N. 9 – 2010 – Tradizione-Romana
Università di Palermo
Nota sulla tutela del contraente
evitto nell’ambito dei c.d. contratti innominati. Il caso dell’actio
auctoritatis
Sommario – 1. D.2.14.7.2: da un’ipotesi di Pietro de Francisci ad
oggi. – 2. Auctoritas e actio auctoritatis: quadro di sintesi. – 3. Mancipatio e obligatio auctoritatis: tra ‘Zugriffsakt’,‘Barkauf’ e imaginaria venditio. – 4. Auctoritas e indicazione del prezzo nella mancipatio-imaginaria venditio. – 5. L’auctoritas nei rapporti di scambio:
profili problematici. – 6. D.19.5.5.2: actio auctoritatis e sussidiarietà dell’actio de dolo.
Spunti per una nuova riflessione. – 7. D.12.4.16 e auctoritas: un testo
da rileggere?
Presi
dalla preoccupazione di studiare l’applicazione delle azioni tradizionalmente
deputate alla tutela delle situazioni contrattuali atipiche (actio in factum, actio praescriptis verbis, actio
de dolo, condictio) non ci si è
chiesti se per caso alle parti, e soprattutto alla parte evitta, potessero spettare
anche ulteriori rimedi processuali, e in che misura questi potessero
eventualmente concorrere con quelli più noti.
In
altri termini, non si è riflettuto adeguatamente sul fatto che, realizzandosi
molte di queste fattispecie attraverso fenomeni traslativi di proprietà
effettuati mediante mancipatio, si
sarebbe almeno teoricamente prospettata la possibilità per il contraente evitto
di far ricorso alla c.d. actio
auctoritatis.
Per
quanto ci risulta, l’unico studioso al quale non sono sfuggite le possibili
implicazioni derivanti dall’impiego della mancipatio
è stato in tempi ormai lontani, Pietro de Francisci[1].
L’ipotesi
era sostanzialmente legata all’interpretazione di
D.2.14.7.2
(Ulp. 4 ad ed.): Sed si in alium
contractum res non transeat, subsit tamen causa, eleganter Aristo Celso
respondit esse obligationem. Ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut
aliquid facias: hoc sun£llagma esse et hinc nasci civilem obligationem. Et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano
reprehensum in hoc: dedi tibi Stichum ut Pamphilum manumittas: manumisisti:
evictus est Stichus. Iulianus scribit in factum actionem a praetore dandam:
ille ait civilem incerti actionem, id est praescriptis verbis sufficere: esse
enim contractum, quod Aristo sunallagma dicit, unde haec nascitur actio.
Ci
troviamo in presenza di una delle testimonianze più note e discusse nell’ambito
della scienza romanistica. Non c’è aspetto del brano che non sia stato
sottoposto ad attenta e minuziosa analisi: dalla determinazione dei requisiti
sostanziali richiesti ai fini del riconoscimento contrattuale della fattispecie
(‘res’[2],
‘causa’)[3],
alla individuazione dei rimedi da accordare sul piano della tutela processuale
(actio civilis incerti, actio praescriptis verbis, actio in factum)[4].
Così come si è egualmente discusso sull’uso aristoniano del termine ‘obligatio’[5],
o sulle ragioni del silenzio ulpianeo sulla nozione sinallagmatica labeoniana[6],
e delle connessioni di questa con la più tarda dottrina aristoniana[7].
Si
tratta di argomenti estremamente complessi che non avrebbe senso pensare di
affrontare in questa sede, e per i quali non rimane che rinviare alla
letteratura di riferimento.
Si deve qui solo osservare che, fatta
eccezione per singoli punti[8],
gli studiosi sono oggi fondamentalmente d’accordo nel ritenere sostanzialmente
genuino il resoconto ulpianeo.
Di ben altro tenore il quadro delle
opinioni che era possibile tracciare sotto l’intemperie della critica
interpolazionistica. L’idea di fondo era che si trattasse di un brano
integralmente corrotto[9]:
bizantina la dottrina del sun£llagma, bizantina la prospettiva di
una tutela civilistica, mediante l’actio
civilis incerti (dal testo stesso identificata con l’actio praescriptis verbis)[10].
Chi avesse voluto cercare traccia dell’originario punto di vista del diritto
romano classico avrebbe dovuto piuttosto guardare alla soluzione giulianea o al
punto di vista celsino, che dunque finivano per assumere un ruolo paradigmatico
dell’atteggiamento tenuto dalla giurisprudenza nei confronti del fenomeno del
contrattualismo atipico, la quale per l’appunto non sarebbe mai pervenuta ad un
riconoscimento civilistico per tali operazioni negoziali[11].
Escluso
dunque l’impiego dell’actio civilis incerti,
rimaneva ovviamente da chiarire a quale azione concretamente pensasse
Mauriciano in favore della parte che avesse subito l’evizione del servo Stichus, ricevuto in cambio della
(successiva) affrancazione del proprio servo Pamphilus.
In
base ad una prima congettura si era pensato ad un’applicazione dell’actio empti[12], la
quale si sarebbe rivelata in grado di fornire un’adeguata tutela per il caso
analizzato, rendendo per l’appunto non necessaria (‘sufficit’)[13]
la predisposizione di un’apposita actio in
factum (concepta), secondo quanto
invece proposto da Giuliano. Altri si erano piuttosto orientati per
un’applicazione della condictio,
nella prospettiva evidentemente di una tutela che dovesse operare sul piano
meramente ripetitivo[14].
Tra
quanti aderirono alla prima ipotesi vi fu, com’è noto, lo stesso de Francisci[15],
il quale però si sentì in dovere di non escludere un’ulteriore possibilità, e
cioè che l’azione suggerita andasse invece individuata proprio nell’actio auctoritatis, visto che si era pur
sempre fatto ricorso ad una mancipatio,
non nummo uno[16].
L’impiego
del verbo sufficere da parte di
Mauriciano, allusivo ad un rimedio processualmente già riconosciuto[17],
sarebbe risultato perfettamente compatibile con entrambe le interpretazioni.
Considerato
che le norme edilizie in materia di vizi occulti erano state recepite in
materia di permuta (così in particolare dalla lettura di D.19.4.2 e
D.21.1.19.5)[18],
era peraltro perfettamente verosimile che «alcuni giuristi…con un passaggio più
ardito» si fossero spinti oltre, sino ad applicare più in generale «alle dationes ob causam le norme derivate in
parte dal vecchio diritto quiritario, in parte dall’editto edilizio»[19].
Per
quanto avanzata con estrema cautela, l’ipotesi non era poi del tutto azzardata,
quantomeno nella prospettiva di una diagnosi interpolazionistica.
Si
tratta di una soluzione che oggi appare ovviamente inaccettabile. Si può
certamente discutere se l’actio civilis
incerti qui suggerita da Mauriciano vada identificata con l’actio praescriptis verbis[20],
alla quale più frequentemente accennano le fonti, o con altro modello
processuale[21].
Non vi sono più però ragionevoli motivi per dubitare dell’autenticità del
ricorso a tale azione[22].
Semmai
occorrerebbe mantenere una certa prudenza nel valutare la possibilità che a
proporne l’impiego in caso di evizione fosse stato già Aristone,[23]
il cui punto di vista riprodotto nel brano ulpianeo si riferisce ad un caso in
effetti differente (adempimento della controprestazione) rispetto a quello
(responsabilità per evizione) successivamente affrontato da Giuliano e
Mauriciano[24].
Indubbiamente
l’impianto narrativo del brano sembra suggerire una stretta relazione tra il
punto di vista di Mauriciano e la dottrina aristoniana (Aristo Celso respondit…Et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano
reprehensum), per cui non a torto, anche di recente, c’è chi ha riscontrato
una ‘omogeneità’ di pensiero tra i due giuristi[25].
Ciò
non impedisce però di immaginare uno sviluppo maturato, se non necessariamente
sul piano dell’elaborazione dogmatica[26]
o dell’approccio processuale[27],
quantomeno sul piano applicativo, ammettendo l’impiego della medesima azione
non solo ai fini dell’adempimento della controprestazione, ma anche in caso di
evizione[28].
Un’ipotesi
del genere non solo consentirebbe di comprendere le ragioni del risalto dato da
Ulpiano alla reprehensio di
Mauriciano, ma soprattutto risulterebbe certamente più coerente con le
informazioni in nostro possesso in materia di compravendita consensuale, le
quali, com’è noto, inducono ragionevolmente a fissare il riconoscimento di una
generalizzata e diretta responsabilità del venditore in caso di evizione, solo
intorno alla metà del II sec. d. C.[29],risultando
unicamente incerta l’identificazione del giurista al cui nome legare in
concreto l’introduzione di tale innovazione (Giavoleno[30],
Giuliano[31],
Pomponio)[32].
Circostanza,
questa, che indubbiamente rischia di far apparire prematura l’affermazione
della medesima responsabilità nell’ambito di rapporti contrattuali atipici già
da parte di Aristone, essendo al contrario ragionevole inserire una soluzione
di questo tipo in un contesto storico che già da qualche tempo doveva
ammettere, allo stesso fine, l’impiego dell’azione contrattuale tipica. Rilievo
che nella sostanza non ci pare possa essere aggirato neppure ricorrendo
all’ipotesi di una incidenza del fenomeno evittivo sul piano della
individuazione dello schema contrattuale atipico (non più do ut facias, ma facio ut
des)[33],
che tra le conseguenze più evidenti avrebbe (avuto) quella di determinare una
trasformazione dell’azione di evizione in un’azione piuttosto diretta
all’adempimento della controprestazione.
Si
tratta comunque di questioni che non presentano diretta attinenza con il tema
qui in discussione, e che in ogni caso non incidono sulla possibilità di un
concorso (magari anche solo elettivo)[34]
dell’azione contrattuale (o comunque reipersecutoria) con l’actio auctoritatis, ogni qual volta
nell’attuazione di tali rapporti le parti avessero fatto ricorso – come pare
ragionevole ritenere per il nostro caso – ad una mancipatio.
Il
problema da affrontare, come si può facilmente intuire, viene ad inserirsi in
un tema ben più ampio che investe direttamente l’ambito di applicabilità di tale
rimedio processuale. Il punto essenziale, in effetti, è quello di stabilire in
quale precisa misura il compimento della mancipatio
determinasse in capo al mancipio dans
il dovere di praestare auctoritatem.
Si
tratta di un tema notoriamente controverso e la cui soluzione è resa ancor più
difficoltosa dal quadro assolutamente desolante delle informazioni in nostro
possesso. Non c’è da stupirsi, pertanto, se col tempo si sono venute delineando
diverse prese di posizione che hanno variamente messo in discussione
l’esistenza stessa di un’actio
auctoritatis[35],
giudicandola azione ‘fantomatica’[36]
e di dubbia compatibilità con la diffusa prassi negoziale di ricorrere a
stipulazioni di garanzia in occasione del compimento del negozio mancipatorio[37],
o che ne hanno comunque stravolto la funzione (di garanzia), al punto da
immaginare il verificarsi di un fenomeno sostanzialmente espropriativo in capo
all’effettivo proprietario, nel presupposto che la mancipatio, anche se effettuata a
non domino, determinasse comunque un effetto acquisitivo a vantaggio
dell’accipiente[38].
Una
così profonda incertezza è da imputare essenzialmente al fatto che nelle fonti
non vi sono tracce esplicite di tale azione: neppure in fonti esterne alla
compilazione giustinianea. Com’è ben noto, non è vi alcun riferimento
all’istituto neanche nelle Istituzioni di Gaio[39],
dovendosi ritenere peraltro solo congetturale l’ipotesi secondo la quale il
giurista antoniniano si sarebbe occupato della responsabilità del mancipio dans nell’ampia lacuna di Gai 2.26
[40].
Ciò
indubbiamente rende in parte problematico aderire all’ipotesi da tempo avanzata
dagli studiosi di una sistematica soppressione da parte dei compilatori, i
quali si sarebbero trovati di fronte ad un rimedio del tutto inattuale,
soprattutto per via dell’abolizione del negozio mancipatorio[41].
Gli
unici brani che sembrano contenere una più concreta allusione sono Ven. 17 stip. D.21.2.76[42]
ed in particolare Paul. Sent. 2.17.1-3[43],
testimonianza ben nota e che ha assunto un rilievo decisivo ai fini della formazione
del punto di vista della dottrina tradizionale[44].
Egualmente discussa risulta peraltro l’attestazione dell’azione nelle fonti
letterarie[45],
tra le quali un certo valore pare si debba comunque riconoscere a Prob. 4.7[46],
ma soprattutto, sul piano del diritto sostanziale, a Varr., De re rust. 2.10.5 [47] e Plaut.,
Persa 4.3.55-56, 4.4.40 [48].
Non è
ovviamente questa la sede per affrontare un tema di tale portata, o ancora per
valutare l’ipotesi che in origine l’auctoritas rappresentasse più ampiamente
una ratifica globale della dichiarazione d’acquisto[49].
Si può qui tutt’al più osservare che i dubbi variamente avanzati non sono
riusciti a intaccare significativamente il punto di vista della dottrina
tradizionale, per la quale, anzi, l’esistenza dell’obligatio auctoritatis è da «considerarsi fuori discussione»[50].
Più
precisamente, in base all’opinione maggiormente accreditata, dal compimento
dell’atto mancipatorio[51]
sarebbe venuto a costituirsi in capo al mancipio
dans un dovere di assistenza processuale, diretto al rafforzamento, in
qualità di auctor[52],
della posizione del mancipio accipiens
convenuto nell’ambito di un eventuale giudizio di rivendica, con conseguente
assunzione del periculum iudicii
(Cic., Pro. Mur. 2.3)[53].
Se
sulle concrete modalità di intervento dell’‘auctor’
in giudizio[54],
o ancora sulla esatta qualificazione giuridica di tale dovere[55],
esiste più di un margine di incertezza, si è invece sostanzialmente d’accordo
nel ritenere che esso risultasse subordinato al pagamento del prezzo (al punto
che si è parlato di una ‘Empfangshaftung’)[56]
o comunque alla prestazione di garanzia in ordine al futuro pagamento[57].
Così
come non vi sono ragioni per dubitare che si protraesse per tutto il periodo
necessario al compimento dell’acquisto a titolo usucapivo (‘usus’) del dominium ex iure quiritium (XII Tab. 6.3)[58].
Da qui la necessità, com’è ben noto, di assicurare ‘aeterna auctoritas’ nei confronti (‘adversus’)[59]
dello straniero (XII Tab.6.4)[60],
in base ad un regime che verrà poi esteso, intorno alla metà del II sec. a.C.,
anche all’ipotesi di ‘res subreptae’[61].
In
caso di esito negativo del giudizio di rivendica[62],
e si ritiene anche per il mancato assolvimento di tale dovere di assistenza (auctoritatem defugere),
indipendentemente dunque dall’esito del giudizio[63],
il mancipio accipiens si sarebbe
vista accordata un’azione in duplum
nei confronti del mancipio dans,
variamente denominata dagli studiosi, in mancanza appunto di una precisa
denominazione nelle fonti, actio
auctoritatis[64]
o actio de auctoritate[65].
Regime,
quello qui sinteticamente descritto, che avrebbe trovato applicazione anche in
caso di evizione parziale, compresa l’ipotesi di rivendica di usufrutto, non
configurandosi invece dal compimento dell’atto mancipatorio alcuna
responsabilità per l’esistenza di servitù passive non dichiarate, occorrendo a
tal fine il ricorso ad apposita clausola (‘uti
optimus maximusque’)[66].
Nonostante
la misura nel duplum della condanna,
per la quale si è peraltro tentata da taluni una spiegazione attraverso il
fenomeno della litiscrescenza[67],
non v’è effettiva certezza tra gli studiosi che si trattasse di azione penale[68].
Anche quanti pensano, almeno per le origini, ad una tale natura dell’azione,
sembrano per lo più ammettere che col tempo questa avesse finito per perderne i
caratteri[69].
Si è
invece d’accordo nel ritenere che nell’ambito del più recente processo
formulare essa avrebbe trovato una propria collocazione all’interno
dell’Editto, in materia di stipulazioni pretorie[70].
Estremamente problematica, come si può intuire, si rivela invece la
ricostruzione del tenore formulare[71].
Come
avremo anche modo di vedere, molti dubbi ancora permangono su punti anche
essenziali.
Soprattutto
varie (e non sempre ben delineate) sono le ipotesi che nel corso del tempo sono
state formulate in ordine al fondamento di una tale responsabilità. In molti si
sono orientati verso una responsabilità da atto illecito. Si tratta di una
soluzione sulla quale non poco ha pesato, oltre chiaramente l’importo della
condanna (duplum), la difficoltà a riconoscere,
in ossequio al c.d. principio di semplicità degli atti giuridici, che un
medesimo atto potesse produrre una duplicità di effetti: reale (trasferimento
della proprietà) ed obbligatorio (garanzia per l’evizione)[72].
Sul
piano della individuazione della concreta fattispecie delittuosa da più parti è
stata suggerito un accostamento (in taluni casi una vera e propria
identificazione) con il furtum nec
manifestum[73]
(o con la vindicia falsa)[74],
per quanto sia risultata in definitiva prevalente l’idea di un illecito
autonomo, per il quale si è dato risalto talvolta alla mancata difesa[75],
e più spesso alla ingiustificata accettazione di denaro altrui, giuridicamente
‘qualificata’ dal formalismo dell’atto mancipatorio, nonché dalla pubblicità
(che allo stesso era) assicurata dall’intervento di testimoni[76].
Altri,
nella opposta prospettiva di una responsabilità ‘contrattuale’, hanno pensato
all’inserimento di un’apposita nuncupatio
del mancipio dans (Plaut., Curcul.
4.2.8 ss.; Cic., Pro Mur. 2.3, De off. 3.16.65, De orat. 1.39.178)[77],
o comunque ad una esplicita assunzione effettuata da quest’ultimo all’interno
di una parte poi scomparsa dell’originario rito mancipatorio, nella quale si
sarebbe peraltro trovata una indicazione del prezzo e della antestatio[78].
Altri ancora hanno immaginato una connessione con il nexum implicitamente presente all’interno della mancipatio, considerandola una ‘nexu traditio’ (Cic., Top. 5.28)[79].
Né sono peraltro mancate contaminazioni tra le due differenti prospettive che
hanno indotto alla configurazione di una responsabilità da atto illecito, per
così dire di tipo ‘sacrale-nuncupativo’ (Cic., de off. 3.16.65)[80].
Molte
di queste ipotesi, com’è noto, sono state col tempo abbandonate[81].
Senza addentrarsi in una più dettagliata analisi, ci si può qui limitare ad
osservare come risulti (ancora) oggi dominante la tendenza a vedere nel dovere
di garanzia un effetto automatico[82],
o come si è detto ‘immanente’[83],
del negozio mancipatorio in quanto tale (Plaut., Persa 4.3.55-56, 4.4.40, Varr., De
re rust. 2.10.5), per quanto in effetti non sia stato possibile trovare un
concreto punto di incontro sulle ragioni specifiche di una tale relazione[84].
Peraltro,
anche quanti continuano a difendere l’idea di una responsabilità da illecito[85],
si trovano comunque d’accordo sul fatto che si trattasse di un’obbligazione
ricollegabile alla sola mancipatio.
In definitiva, l’oggetto del contendere è se si debba considerare l’‘obligatio auctoritatis’ come un effetto
‘negoziale’ della mancipatio, o se piuttosto
la mancipatio ne costituisse più
propriamente un (indispensabile) presupposto[86].
Distinzione che, come si intuisce, non è senza conseguenze sul piano della
configurazione della posizione giuridica soggettiva dell’alienante (prima del
verificarsi dell’evizione)[87].
Qualche
riserva sembra ancora sussistere sul fatto che tale forma di garanzia rappresentasse
un elemento sin dall’inizio connaturato al negozio mancipatorio.
In
molti hanno infatti visto nel modello risultante dalla configurazione gaiana
l’esito di un lungo processo di trasformazione che avrebbe preso le mosse da un
antichissimo modello di origine probabilmente preromana[88],
difficilmente identificabile con lo schema della compravendita, e che piuttosto
farebbe pensare ad una formula vindicatoria, ad un atto unilaterale di
appropriazione («einseitiger Zugriffsakt-Bemächtigungsakt»)[89],
forse anche di natura augurale[90],
la cui compatibilità con forme di assistenza processuale è stata per lo più
giudicata scarsamente verosimile, presupponendo questa, si è detto, la «nozione
di acquisto derivativo»[91].
Ad una
tale garanzia si sarebbe pertanto arrivati solo in un secondo momento, e più
precisamente quando, con l’innestarsi di una più recente emptio librale sull’originario nucleo ‘vindicatorio’[92],
la mancipatio avrebbe finito con
l’assumere, quantomeno sul piano della struttura formale (ed economica), i
caratteri appunto di uno scambio di cosa contro prezzo[93],
al di là poi del fatto che tale scambio avvenisse effettivamente attraverso i
meccanismi giuridici propri della compravendita (trasferimento di un diritto a
fronte di pagamento del prezzo)[94].
Va
detto che tali rilievi non sembrano aver inciso più di tanto sul punto di vista
della dottrina tradizionale che continua ad assegnare alla mancipatio, sin dalla sua apparizione, i caratteri di una vendita a
contanti (‘Barkauf’) o, come si è detto con altra formulazione, a ‘pesanti’[95],
e che tutto sommato rimane preferibile[96].
Indubbiamente
l’adesione ad un’ipotesi evoluzionistica dell’istituto presenterebbe il non
trascurabile vantaggio di chiarire bene il carattere all’apparenza
contraddittorio del rituale mancipatorio gaiano da più parti denunciato[97],
così come consentirebbe probabilmente di risolvere, attraverso l’ipotesi di una
doppia mancipazione ‘vindicatoria’[98],
i non pochi problemi sorti in relazione all’applicabilità agli scambi di tipo permutativo
del negozio mancipatorio, la cui struttura di vendita reale non pare certamente
costituire lo strumento più appropriato per la formalizzazione sul piano
giuridico di tali operazioni commerciali[99].
Da
altro punto di vista, però, renderebbe estremamente problematico spiegare il
venir meno dell’impiego di tale originario schema vindicatorio (non
processuale), in relazione a tutte quelle applicazioni (peraltro ritenute da
taluni originarie)[100]
in cui alla costituzione di una situazione potestativa non doveva corrispondere
una controprestazione in denaro.
Si può
pensare allo schema gaiano in termini di modello (evolutivo) aggiuntivo, volto
ad assicurare una puntuale emersione del profilo ‘causale’ dell’originario
modello ‘astratto’ vindicatorio, destinato a trovare applicazione nella sola e
specifica ipotesi di scambio di cosa contro prezzo, e magari dettato proprio
dall’esigenza di isolare tale funzione rispetto ad altre applicazioni per le
quali non si poneva un problema di garanzia dell’acquisto. Non sembra però si
possa dare seriamente credito all’idea di un modello sostitutivo di
un’originaria formula vindicatoria dal più esteso ambito applicativo.
In
senso opposto, il sicuro ricorso per tutte queste ipotesi al meccanismo della mancipatio-imaginaria venditio, nel suo
evidenziare uno sforzo diretto a rendere applicabile un negozio strutturalmente
inadeguato alla realizzazione di funzioni diverse dallo scambio di cosa contro
prezzo, pare concretamente deporre per l’impossibilità di avvalersi, sul piano
della costituzione di situazioni giuridiche assolute, di più congrui meccanismi
(negoziali), diversi dall’artificiosa determinazione di un prezzo simbolico.
Se
dunque è ragionevole pensare, concordemente con il punto di vista tradizionale,
ad una forma originaria di garanzia[101],
risulta estremamente difficoltoso seguirne le vicende, allorché la mancipatio da negozio di ‘vendita reale’
si sarebbe trasformata, secondo quanto ci riferisce Gaio (Gai 1.119)[102],
in una vendita ‘apparente’ (imaginaria)[103],
in cui alla effettiva pesatura si sarebbe sostituito il gesto simbolico della percussio della bilancia, con successiva
consegna dell’aes, ‘quasi pretii loco’[104].
Si
tratta di un processo per lo più collegato al passaggio dalla moneta grezza
(pesata) alla moneta coniata[105],
per quanto non si possa del tutto escludere il ricorso ad una pesatura
simbolica in un’epoca più risalente rispetto all’introduzione dell’aes signatum, per rispondere ad esigenze
di altra natura[106].
Il quadro estremamente disomogeneo di opinioni che è possibile raccogliere in
proposito, anche in ragione dei molti punti incerti sulle vicende della
monetazione romana di età repubblicana[107],
non consente di arrivare a conclusioni sicure in ordine al momento esatto in
cui una tale trasformazione ebbe a verificarsi.
Con un
certo margine di oscillazione si può comunque pensare ad un’epoca che vada
dalla metà del V alla metà del IV sec. a.C.[108],
per quanto non siano mancate proposte più tarde[109].
In
favore della prima indicazione sembrerebbe orientare XII Tab. 7.11 (J.2.1.41)[110],
testimonianza ben nota e che, comunque la si voglia interpretare[111],
si può spiegare solo nell’ottica di una fase evolutiva dell’istituto in cui il
pagamento (effettivo) del prezzo non doveva più rappresentare un elemento
necessariamente contestuale al compimento del rito mancipatorio[112].
In
ogni caso, a partire da questo stadio evolutivo (la cui datazione rimane
appunto fondamentalmente imprecisata), la mancipatio
avrebbe sostanzialmente assunto la fisionomia di uno schema negoziale astratto[113],
e come tale suscettibile di una varietà di applicazioni[114].
Indubbiamente
si dovette allora porre il problema di valutare la sussistenza di tale garanzia
in riferimento ad ognuna di esse.
Non si
può comunque dubitare del mantenimento in caso di mancipationes venditionis causa. A questo proposito la maggior
parte degli studiosi è però dell’idea che in aggiunta alla pesatura simbolica, si
rendesse necessario procedere ad una indicazione del prezzo effettivamente
concordato, secondo quanto sembrerebbe doversi peraltro desumere dall’analisi
del cospicuo materiale documentativo della prassi negoziale[115].
Ai
fini dell’esercizio dell’azione da parte del compratore, come già si è
accennato[116],
si sarebbe continuato a richiedere il pagamento del prezzo (da effettuarsi non
necessariamente al momento del compimento del rito librale)[117]
o comunque la prestazione di idonea
garanzia in tal senso.
Gli
stessi autori per lo più ritengono che un dovere di garanzia sarebbe sorto in
effetti anche per le applicazioni non venditionis
causa[118],
trattandosi di un elemento imprescindibile di ogni mancipatio[119],
formalmente sottratto alla disponibilità delle parti[120].
Solo
che, almeno con riferimento alle applicazioni che non prevedessero un
corrispettivo economico, tale dovere sarebbe stato sostanzialmente aggirato
mediante la previsione di un prezzo effimero, dal valore appunto meramente
simbolico (sestertius nummus unus)[121].
Il ricorso ad un accorgimento di questo tipo, vanificando di fatto l’impiego
dell’actio auctoritatis, sarebbe
sostanzialmente servito a neutralizzare il dovere di garanzia[122].
Secondo
quanto sembrerebbe ricavarsi soprattutto dalla c.d. formula Baetica,[123]lo
stesso espediente sarebbe risultato applicabile, per le medesime finalità,
anche in presenza di una vendita (immaginaria) reale[124]:
si è anzi sostenuto che questa possa aver rappresentato la funzione originaria
del nummus unus[125].
Con
riferimento alle modalità concrete con cui occorreva procedere all’indicazione
del prezzo (reale o simbolico che fosse), l’opinione in proposito prevalente è
che esso andasse dichiarato formalmente in occasione del compimento del rito
mancipatorio[126].
Si tratta di una soluzione di per sé ragionevole e che certamente è da
preferire all’ipotesi di una indicazione contestuale al compimento del negozio,
ma ‘al di fuori dell’elemento formale’[127].
Si
discute in proposito se si procedesse attraverso un’apposita nuncupatio del mancipio dans[128],
o se
piuttosto ad effettuare una tale indicazione fosse, come per lo
più si ritiene, il mancipio accipiens
(Paul. VF. 50 ‘mihi emptus esto pretio’)[129],
tramite un adattamento soppressivo dell’espressione ‘hoc aere’ adoperata nel formulario gaiano, la quale avrebbe
sostanzialmente rappresentato una sorta di ‘Blankettwort’[130],
o magari mediante una indicazione aggiuntiva (‘hoc aere denarii mille), immaginando così la presenza, all’interno
del formulario, di due prezzi[131]:
l’aes e il prezzo effettivo in caso
di vendita reale, l’aes e il prezzo
irrisorio (nummus unus) nell’ipotesi
di vendita apparente o ancora di vendita reale con indicazione di prezzo
effimero al fine, come si è detto, di escludere di fatto la garanzia per
evizione[132].
Si
deve purtroppo constatare che gli stessi autori non si sono per lo più posti il
medesimo problema in relazione all’impiego della mancipatio in operazioni negoziali non gratuite, effettuate a fini
diversi dalla vendita, ma che comunque prevedessero un sacrificio economico,
diverso dal denaro, da intendersi come corrispettivo del vantaggio patrimoniale
acquisito. La questione è stata sostanzialmente trascurata. Come si può però
agevolmente intuire, si tratta invece di un punto di estremo interesse, le cui
potenziali conseguenze in relazione all’ipotesi di un proficuo impiego dell’actio auctoritatis in riferimento a
negozi mancipatori attuativi di un rapporto non riconducibile agli schemi
contrattuali tipici, sono facilmente immaginabili.
Alla
luce di quanto si è detto, non dovrebbero esservi comunque significative
incertezze circa la sussistenza di un dovere di garanzia. Se per l’appunto si
ritiene che tale dovere fosse formalmente presente anche in caso di applicazioni
gratuite, è ragionevole dedurne che lo fosse, a maggior ragione, in ambiti
applicativi che, come si è detto, comunque comportavano un sacrificio economico
in capo all’acquirente. Rimane da capire come.
È
davvero superfluo osservare che nelle ipotesi qui prese in considerazione non
ci sarebbe stato evidentemente alcun prezzo cui si potesse fare effettivamente
riferimento. D’altra parte, però, non si può neppure troppo semplicisticamente
ritenere che le parti fossero sol per questo costrette a ricorrere alla
fissazione di un prezzo minimo, dal valore meramente simbolico, con un
meccanismo dunque analogo a quello delle c.d. mancipationes nummo uno.
Si
tratterebbe di una soluzione chiaramente inappagante che finirebbe di fatto per
attrarre tali ipotesi all’interno di una categoria tradizionalmente
circoscritta alle sole applicazioni che non comportassero un corrispettivo[133].
Del
resto non si comprende davvero per quale imprecisata ragione il mancipio accipiens avrebbe dovuto
acconsentire all’indicazione di un prezzo (fittizio) irrisorio, con il solo
risultato di rinunciare di fatto ad ogni forma di garanzia in caso di
successiva evizione[134].
Egualmente
inaccettabile appare poi l’idea che più radicalmente tende ad escludere un
impiego della mancipatio in quelle
ipotesi negoziali che prevedessero una controprestazione diversa dal pagamento
di un prezzo[135]:
idea il cui principale limite è senza dubbio quello di rendere incomprensibile
attraverso quali meccanismi negoziali si sarebbe potuto assicurare
l’acquisizione di una situazione potestativa di tipo dominicale nell’ambito di
tali rapporti, compresi quelli di tipo permutativo (in senso stretto).
Immaginare
che tali rapporti trovassero un riconoscimento giuridico attraverso il solo
impiego della traditio, al di fuori
dunque di meccanismi negoziali in grado di determinare all’occorrenza (in caso
di res mancipi) la costituzione di
una formale situazione di ‘signoria’ (o comunque del correlato sistema di
garanzia), dovendosi accontentare tutt’al più di una situazione dominicale di
tipo bonitario, appare del tutto inverosimile.
Così
come non si può neppure pensare che a tal proposito potesse realmente
soccorrere un meccanismo evidentemente artificioso e scarsamente pratico come
la in iure cessio, il cui impiego
sarà destinato sempre più a ridimensionarsi nel corso del principato, al punto
che già ai tempi di Gaio si troverà ad essere stato quasi del tutto soppiantato
dal più agevole ricorso alla mancipatio[136].
Volendosi
dunque mantenere fedeli alla prospettiva suggerita dalla dottrina
maggioritaria, che come si è detto individua nell’indicazione del prezzo un
requisito imprescindibile ai fini dell’esercizio dell’actio auctoritatis, sarebbe allora già più ragionevole pensare ad
una indicazione fittizia, per un importo, non simbolico, ma corrispondente al
valore economico della controprestazione imposta al mancipio accipiens o comunque espressivo dell’interesse che questi
aveva ad una corretta attuazione della vicenda negoziale[137].
Si
consideri del resto che proprio da parte della stessa dottrina si è ritenuto
ammissibile il ricorso ad analogo espediente – indicazione di prezzo non
effimero, ma chiaramente fittizio – persino in presenza di mancipationes effettuate a titolo di donazione, nel caso in cui il
donatore avesse comunque inteso garantire il donatario dal rischio di evizione[138].
Così come è stata pure riconosciuta la possibilità di indicare un prezzo più
elevato rispetto a quello realmente concordato (e pagato) in modo da rafforzare
la garanzia del compratore, assicurandogli, in caso di evizione, un importo
maggiore rispetto a quello che si sarebbe dovuto altrimenti attendere in base
al prezzo effettivo[139].
Ma c’è
di più. È infatti il caso di domandarsi fino a che punto il compimento del rito
richiedesse effettivamente la determinazione di un prezzo ai fini
dell’esercizio dell’actio auctoritatis[140],
e dunque fino a che punto si possa continuare a scorgere nel prezzo ‘nuncupato’
una sorta di meccanismo regolativo della responsabilità per evizione
(‘Evictionsregulator’)[141].
Diciamo
subito che si tratta di un’ipotesi, alla quale per lo meno nei termini in cui è
stata sino ad ora portata avanti, appare difficile aderire e che per certi
versi mostra un non trascurabile profilo di incoerenza, che evidentemente deve
essere sfuggito agli autori che variamente ad essa si sono rifatti, i quali non
si sono in effetti preoccupati di chiarire per quale motivo si sarebbe dovuto
indicare un prezzo effimero come il nummus
unus al fine di aggirare il dovere di garanzia, se, come si sostiene, tale
garanzia avesse realmente operato solo in presenza di una formale indicazione
del prezzo all’interno del rituale mancipatorio.
In tal
caso, il modo più efficace e naturale per sottrarsi ad ogni responsabilità
sarebbe stato quello di tacere, lasciando inalterato il rituale mancipatorio,
costituendo, si è detto, «l’aes (non
pesato) un prezzo strutturalmente non ‘idoneo’ all’esercizio dell’actio auctoritatis»[142].
Si
deve inoltre osservare che, se per le applicazioni di vendita reale fosse stata
davvero richiesta una indicazione nel formulario del prezzo pagato o anche solo
concordato, e da tale indicazione fosse in definitiva dipesa la concreta
sussistenza del dovere di garanzia del venditore, c’è da credere che Gaio non
avrebbe mancato di evidenziarlo[143].
Né si può seriamente sostenere che si trattasse di un elemento didatticamente
non essenziale, sostanzialmente trascurabile in un manuale istituzionale[144]:
ancor meno se si dovesse aderire alla prospettiva, anche ultimamente ribadita,
di una selezione del materiale didattico gaiano in funzione del soddisfacimento
di una esigenza di tipo cautelare[145].
Peraltro,
ci sarebbe anche da chiedersi come avrebbe potuto qualificare Gaio in termini
di imaginaria venditio una mancipatio con precisa indicazione del prezzo[146].
Che
con questa locuzione il giurista pensasse «in particolare a quei casi di
compravendita dicis causa che hanno
luogo in forma di mancipatio al fine
di disporre delle potestà familiari, dei quali casi appunto si veniva allora
occupando, e che non gli sia passato per la mente di domandarsi se la
definizione convenisse anche alle mancipationes
a scopo di compera effettiva, come tante se ne facevano ancora al suo tempo, è
una congettura tutta da dimostrare e, come già ammise chi la propose, allo
stato attuale rimane solo un sospetto: un ‘vago sospetto’»[147].
Né, da
altro punto di vista, ci sono concreti elementi per credere all’esistenza,
accanto alla imaginaria venditio di
Gai 1.119, di un ulteriore modello mancipatorio da impiegare in caso di vendita
reale, secondo quanto suggerito da taluni studiosi nella prospettiva di una
identificazione dello schema di Gai 1.119 con la c.d. mancipatio nummo uno[148].
Si
tratta di un’ipotesi priva di qualsiasi supporto sul piano testuale e che non riesce
a superare il silenzio gaiano in proposito, se non a costo di dover ricorrere
all’ulteriore congettura di una sostanziale scomparsa di tale modello nel corso
dell’età classica, a tutto vantaggio della imaginaria
venditio (da identificare come si è detto con la mancipatio nummo uno), in considerazione del fatto che comunque il
compratore sarebbe stato soddisfacentemente tutelato attraverso l’actio empti o le stipulazioni di
garanzia[149].
Volendo
fare un’ulteriore riflessione sul punto, va detto che non appare facile
comprendere come si sia potuto conciliare l’ipotesi di una connessione tra
esercizio dell’azione e prezzo ‘nuncupato’ con la prospettiva di una
responsabilità da atto illecito di tipo sottrattivo (Jhering, Kaser), in base
alla quale (prospettiva) l’unico importo evidentemente destinato ad avere
rilievo, ai fini della individuazione del referente su cui commisurare il duplum in caso di condanna, avrebbe
dovuto essere la somma effettivamente pagata e dunque indebitamente sottratta
(‘pretio accepto’). La conseguenza
più ovvia di una tale considerazione è che nelle applicazioni gratuite, essendo
il doppio di nulla pur sempre nulla, sarebbero mancati i presupposti non solo
sostanziali, ma ci pare anche formali su cui fondare un valido esercizio dell’azione.
Occorre
più in generale prendere atto che l’ipotesi di una relazione tra importo della
condanna e pecunia nuncupata offre
profili di maggiore coerenza con l’ottica di una interpretazione
‘contrattualistica’ della responsabilità del mancipio dans, piuttosto che con la prospettiva di una
responsabilità da atto illecito, ancorché presentata in una diversa
configurazione rispetto all’ipotesi di una ‘Emphangshaftung’: si pensi ad es.
al punto di vista di un illecito da mancata assistenza (Girard). Per quanto in
quest’ultimo caso non sussistano i medesimi rilievi prima evidenziati rispetto
all’orientamento appena esaminato, e dunque non si frappongano ostacoli formali
sul piano della praticabilità teorica, rimane il fatto che si verrebbe comunque
a delineare una singolare contaminazione tra aspetti tra loro scarsamente
compatibili, configurandosi nei fatti una responsabilità da illecito
‘contrattualmente’ disciplinata.
Alla
luce delle considerazioni sin qui sviluppate, occorre dunque concludere che, in
un modo o nell’altro – sia che con la dottrina tradizionale si pensi ad una
indicazione fittizia non effimera, sia che si ritenga piuttosto non necessaria
la dichiarazione di un prezzo (serio) ai fini di un valido esercizio
dell’azione –, non sembrano esservi comunque ragioni concrete per mettere
seriamente in discussione la sussistenza di una responsabilità per evizione
relativamente a fenomeni traslativi onerosi diversi dalla compravendita, non
riconducibili ad una precisa fattispecie contrattuale.
Si
tratta indubbiamente di una presa di posizione ragionevole, che però solo
raramente ha trovato esplicite adesioni[150].
Per la massima parte gli studiosi, come già si è accennato, hanno preferito non
affrontare la questione.
In
taluni casi, altrettanto rari, ci si è addirittura pronunziati più o meno
esplicitamente contro. E così, o si è escluso il ricorso all’actio auctoritatis per mancanza di
prezzo (Betti)[151],
– peraltro proprio in riferimento all’ipotesi di Ulp. 4 ad ed. D.2.14.7.2 da cui abbiamo preso le mosse –, o ancora, in
termini in effetti più radicali, si è ritenuto di dover circoscrivere
l’obbligazione di garanzia al solo caso di «mancipatio
celebrata emptionis causa»
(Arangio-Ruiz), con soluzione negativa persino rispetto all’ipotesi agitata in
Cels. 3 <8> dig. D.12.4.16, in
cui a fronte dell’obbligo di dare certa
res era comunque prevista la pattuizione di un corrispettivo in denaro[152].
Si
tratta di opinioni, che come si può facilmente intuire, appaiono difficilmente
conciliabili con l’insegnamento della dottrina maggioritaria, che, come già si
è detto, considera piuttosto l’obligatio
auctoritatis un elemento caratteristico della mancipatio, sussistente indipendentemente dalla causa negoziale
perseguita.
Peraltro
la previsione di un corrispettivo diverso dal denaro non sembra di per sé
costituire un motivo sufficiente per escludere, in termini assoluti, una
garanzia, alla cui base è facile immaginare stessero, almeno in epoca classica,
esigenze di tutela che dovevano rivelarsi fondamentalmente slegate alle modalità
di determinazione del sacrificio economico imposto in prospettiva dell’atteso
trasferimento di proprietà.
Circostanza,
questa, peraltro non negata neppure da Arangio-Ruiz, il quale si è visto per
ciò costretto ad ammettere spazi d’impiego dell’actio auctoritatis che andassero oltre gli angusti limiti della mancipatio venditionis causa, aprendo
spiragli quantomeno per l’ipotesi della fiducia
cum creditore[153].
Nulla
dunque impedirebbe di pensare a un tale impiego anche nell’ambito di operazioni
negoziali non riconducibili ad una precisa fattispecie contrattuale.
In tal
caso, si sarebbe forse reso necessario un intervento che ovviasse, sul versante
della conceptio formulare,
all’assenza di un ‘pretium’ al quale
rapportare nella misura del duplum
un’eventuale sentenza di condanna. Di questo, peraltro, non possiamo
dichiararci del tutto sicuri, visto che in base alla più accreditata (e in
definitiva anche unica) proposta ricostruttiva fornita dell’actio auctoritatis, che ad oggi rimane
quella avanzata da Girard, si dovrebbe escludere una precisa indicazione del
prezzo all’interno del programma di giudizio, per quanto a questo si sarebbe
fatto sostanzialmente riferimento per
relationem (‘quanti ea res mancipio
data est…condemnato’)[154].
Si sarebbe
in ogni caso trattato di un inconveniente tutto sommato facilmente risolvibile
mediante un semplice adeguamento del tenore della condemnatio, che imponesse al giudice di procedere ad una
preventiva aestimatio del valore
economico dello schiavo (o più in generale della res) oggetto di mancipatio,
o chissà forse dell’oggetto della controprestazione, visto che, in effetti,
nelle intenzioni delle parti, era proprio l’oggetto della controprestazione a
fungere, analogamente al pretium, da
criterio di stima del valore della cosa.
Appaiono
pertanto eccessivi i rilievi sollevati in proposito e che hanno indotto qualche
studioso a ritenere indispensabile, ai fini della determinazione processuale
del duplum, una preventiva
indicazione nel formulario mancipatorio, come se diversamente si scivolasse
nell’insanabile contraddizione logica di dover ammettere un ‘referens sine relato’[155].
D’altra
parte un procedimento sostanzialmente simile a quello qui immaginato doveva
avvenire nell’ipotesi di evizione parziale, in cui la responsabilità del
venditore nella misura del duplum
sembra non andasse commisurata all’intero prezzo pagato[156],
ma al diminuito valore economico subito dalla cosa[157],
con modalità che poi in concreto variavano a seconda del tipo di evizione
parziale (pro indiviso o pro diviso)[158].
In un
quadro così problematico è possibile trarre degli interessanti spunti di
riflessione dalla lettura di
D.19.5.5.2
(Paul. 5 quaest.): At cum do ut
facias, si tale sit factum, quod locari solet, puta ut tabulam pingas, pecunia
data locatio erit, sicut superiore casu emptio: si rem do, non erit locatio,
sed nascetur vel civilis actio in hoc quod mea interest vel ad repetendam
condictio. Quod si tale est factum, quod locari non possit, puta ut servum
manumittas, sive certum tempus adiectum est, intra quod manumittatur idque, cum
potuisset manumitti, vivo servo transierit, sive finitum non fuit et tantum
temporis consumptum sit, ut potuerit debueritque manumitti, condici ei potest
vel praescriptis verbis agi: quod his quae diximus convenit. Sed si dedi tibi
servum, ut servum tuum manumitteres, et manumisisti et is quem dedi evictus
est, si sciens dedi, de dolo in me dandam actionem Iulianus scribit, si
ignorans, in factum <civilem>.
Si
tratta di un frammento ampiamente conosciuto[159].
Esso costituisce parte integrante di un più ampio squarcio variamente preso di mira
dalla critica interpolazionistica. Più che ad un’opera integrale dei
compilatori[160],
si era pensato ad un commento postclassico maturato in ambiente scolastico[161].
Negli
studi più recenti il frammento è ritenuto, almeno nelle sue linee essenziali,
sostanzialmente attendibile[162].
Dopo
aver affrontato la questione della tutela degli assetti negoziali riconducibili
allo schema del do ut des, Paolo
passava ad occuparsi delle ipotesi del do
ut facias, le quali presentavano una molteplicità di articolazioni a seconda
che il facere si traducesse in un
comportamento ‘locativo’ (suscettibile cioè di costituire prestazione
all’interno di un contratto di locazione: ‘quod
locari solet’), o meno.
Senza voler
qui affrontare la non facile questione del preciso significato da assegnare a
tale criterio distintivo[163],
ci interessa piuttosto osservare che tra le fattispecie riconducibili a
quest’ultima categoria, Paolo riportava il caso di una datio ut manumittas. Analogamente a quanto era avvenuto nel brano
di Ulpiano, l’attenzione del giurista finiva ancora una volta per concentrarsi
sull’ipotesi specifica che il servo dato in cambio dell’affrancazione venisse
rivendicato vittoriosamente dal legittimo proprietario. Peraltro, anche in
questa circostanza ad essere riferito era il punto di vista di Giuliano: ‘Sed si dedi tibi servum, ut servum tuum
manumitteres, et manumisisti et is quem dedi evictus est, si sciens dedi, de
dolo in me dandam actionem Iulianus scribit, si ignorans, in factum
<civilem>’.
Ci
troviamo senz’altro in presenza della medesima fattispecie presa in
considerazione in Ulp. 4 ad ed.
D.2.14.7.2 [164].
Non del tutto coincidente si rivela però la soluzione. Per un verso, perché
l’azione in factum è qui qualificata civilis. Da altro punto di vista, in
quanto la posizione assunta da Giuliano mostra un impianto decisamente più
articolato rispetto al quadro informativo che si potrebbe ricavare arrestandosi
alla sola lettura del l. 4 ad ed. ulpianeo.
Apprendiamo,
infatti, che la concessione di un’actio
in factum suggerita dal giurista adrianeo non era prevista in via generale
per qualsiasi ipotesi in cui l’accipiens-affrancatore
avesse subito l’evizione del servo, ma risultava al contrario circoscritta alla
sola ipotesi che l’inconsapevolezza del primo esecutore in ordine all’altruità
del servo rendesse improponibile un impiego dell’actio de dolo: ‘si sciens dedi, de dolo in me dandam actionem…si
ignorans, in factum <civilem>’[165].
Quanto
alla prima questione, si deve certamente concordare con la quasi totalità degli
studiosi nel riconoscere la natura insiticia dell’aggettivo ‘civilis’[166].
Ogni
tentativo variamente percorso in senso contrario è giustamente rimasto senza
seguito[167].
Più di
un dubbio chiaramente permane sulla natura dell’alterazione testuale, rimanendo
incerto se debba pensarsi ad una interpolazione[168]
o magari solo ad un glossema postclassico[169].
Ma anche in questo caso la questione appare del tutto ininfluente ai nostri
fini.
Più
delicato è il secondo aspetto. Si tratta, come si accennava, di una soluzione
indubbiamente differente rispetto alla più nota impostazione che emerge dal
brano ulpianeo. Entrambi i giuristi danno peraltro la sensazione di riferire
testualmente il pensiero di Salvio Giuliano (‘Iulianus scribit’).
Non è
qui il caso di trovare una spiegazione per questa antinomia. Poco importa se si
debba pensare ad una volontaria reticenza ulpianea (condizionata dal fatto che
il giurista avesse interesse a riferire il solo aspetto della soluzione giulianea
con il quale si trovasse in disaccordo) o diversamente ad un intervento
compilatorio, volto a sopprimere il riferimento all’actio de dolo, attestativo di un regime non più attuale, o se
ancora si debbano percorrere altre vie[170].
Ciò
che realmente conta è che non si può seriamente sospettare della genuinità del
brano[171].
Semmai
si potrebbe discutere se tra i possibili effetti imputabili alla concessione da
parte di Giuliano dell’actio in factum,
anziché dell’actio de dolo[172],
vi fosse anche quello di assicurare una differenziazione di regime tra i due
rimedi processuali sotto il profilo della quantificazione della condanna,
analogamente a certe soluzioni adottate dal giurista adrianeo in materia di
vizi occulti, in cui si assiste al tentativo di procedere ad una precisa
associazione tra il profilo soggettivo del venditore e la concreta
determinazione dell’importo della condanna, in modo da colpire con maggiore
severità il contraente doloso[173].
Associazione
e finalità, che il carattere arbitrario dell’actio de dolo avrebbe probabilmente consentito[174],
per quanto in presenza di eventi giuridicamente irrevocabili (Paul. 11 ad ed. D.4.3.18.1)[175]
l’attore avrebbe dovuto accontentarsi del solo interesse negativo (Pamphilum manumissum non esse)[176],
come sembra peraltro doversi ricavare da Ulp. 11 ad ed. D.4.4.11pr.[177],
e, relativamente all’ipotesi di mors
litis, da Paul. 11 ad ed.
D.4.3.18.4 ‘non ut arbitrio iudicis res
restituatur, sed ut tantum actor consequatur, quanti eius interfuit id non esse
factum’[178].
Lasciando
da parte questi interrogativi e guardando invece al tema che qui maggiormente
interessa, e cioè alla possibilità di un impiego dell’actio auctoritatis in relazione a fenomeni evittivi maturati
all’interno di rapporti contrattuali atipici realizzati attraverso il
meccanismo della mancipatio, si deve
osservare che il brano di Paolo contiene un interessante spunto di riflessione,
in quanto dimostra che, nella prospettiva giulianea (e si deve ritenere dello
stesso Paolo)[179]
il contraente evitto, almeno relativamente al caso in esame, non poteva far
valido affidamento sull’esercizio dell’actio
auctoritatis. Diversamente non si sarebbe potuto prendere in considerazione
l’applicazione dell’actio de dolo, la
cui natura sussidiaria ne rendeva prospettabile l’impiego nella sola ipotesi
che risultasse impraticabile il ricorso ad altri rimedi processuali edittali[180].
C’è da
chiedersi però a questo punto quale rilievo si debba attribuire a tale
circostanza.
Si
tratta di una soluzione generalizzabile sul piano della ricostruzione del punto
di vista giulianeo e paolino in materia?
Ancora.
Si può in base ad essa escludere che un settore della giurisprudenza possa
essere pervenuto, superando i dubbi di Giuliano (e Paolo), ad ammettere
un’applicazione dell’actio auctoritatis,
per il medesimo caso o, più in generale, per altre, se non addirittura tutte,
le fattispecie contrattuali atipiche che prevedessero l’impiego di una mancipatio?
Infine.
Può essere in qualche modo il brano invocato per mettere ulteriormente e più
generalmente in discussione l’esistenza stessa dell’actio auctoritatis?
Si
tratta di interrogativi ai quali in linea di massima si dovrebbe dare una
risposta negativa.
A
questo proposito sarebbe sufficiente ricordare che, in base appunto al c.d.
principio di sussidiarietà, l’actio de
dolo veniva impiegata non solo di
fronte all’assenza oggettiva di un apposito rimedio processuale, (‘si alia actio non sit’), ma anche
nell’ipotesi in cui si presentassero dubbi sulla esperibilità in concreto di
un’azione edittalmente prevista (‘si
dubitetur an alia actio sit’)[181].
Situazione
che poteva senz’altro verificarsi nell’ipotesi prospettata, in cui la
concessione dell’actio auctoritatis
poteva destare più di una perplessità tra i giuristi.
Del
resto anche de Francisci, che dell’applicazione dell’actio auctoritatis da parte della giurisprudenza era stato il
principale sostenitore, si era volutamente sottratto alla tentazione di
assolutizzare eventuali aperture in tal senso. Anzi nelle sue parole sembrava
affiorare l’idea che presso la maggior parte dei giuristi tale soluzione non
fosse stata accolta, forse proprio perché troppo ardita.
La
questione appare però molto più complessa, e può ritenersi tutt’altro che
risolta, dovendoci piuttosto chiedere per quale ragione Giuliano e Paolo avrebbero
dovuto ritenere tanto dubbio il ricorso all’actio
auctoritatis al punto da escluderne di fatto l’impiego.
Da
questo punto di vista occorre tenere presente che la spettanza dell’azione non
avrebbe dovuto essere in discussione sul piano formale: per lo meno se
accettiamo l’idea (sulla quale, come si è visto, vi è, salvo rarissime
eccezioni, sostanziale unanimità in dottrina) per cui l’obligatio auctoritatis avrebbe costituito un effetto inevitabile
della mancipatio, ancorché effettuata
donationis causa[182].
Le
ragioni del dubbio andrebbero pertanto ricercate altrove, e precisamente nella
sua proficua utilizzabilità nel caso specifico. Circostanza, questa, che
avrebbe egualmente consentito di aggirare il principio di sussidiarietà, il
quale, com’è noto, andava considerato non tanto in relazione alla spettanza
formale di un rimedio edittale, ma attraverso una più attenta valutazione che
ne verificasse in concreto l’idoneità ad assicurare una piena ed effettiva
reintegrazione patrimoniale[183],
con un criterio che del resto sembra valere anche nella diversa ipotesi di
spettanza di (altra) azione nei confronti di soggetto diverso dall’autore del
dolo, il cui esercizio risultasse in concreto pregiudicato da insolvenza dello
stesso[184].
Di una
sostanziale inutilizzabilità dell’azione nel caso di specie si potrebbe però
discutere unicamente ad una o, se si preferisce, due condizioni. Da un lato, si
dovrebbe essere disposti ad ammettere che, per potere in concreto operare, la
garanzia richiedesse una determinazione del prezzo nei verba mancipationis; dall’altro, andrebbe esclusa la possibilità di
ricorrere ad una indicazione fittizia (non irrisoria, ma) espressiva
dell’interesse economico del mancipio
accipiens, secondo quanto abbiamo invece prima immaginato, dovendo dunque avvenire
tali mancipazioni necessariamente ‘nummo
uno’[185].
Abbiamo
però già avuto modo di osservare come nessuno dei punti indicati risulti
realmente accettabile. Quanto al primo, dobbiamo qui soprattutto ripetere che
esso è incompatibile con l’idea (sostenuta dalla medesima dottrina) che vede
nella pratica di ricorrere alla determinazione di un prezzo simbolico uno
strumento di ‘neutralizzazione’ dell’obligatio
auctoritatis. Idea che, lo si è già evidenziato, appare concepibile solo
ammettendo l’irrilevanza di una mancata indicazione del pretium effettivo (nel rito mancipatorio) ai fini di un vantaggioso
esercizio della relativa azione.
Quanto
al secondo, si deve ancora una volta ribadire che tale ipotesi non è in grado di
evidenziare le ragioni che avrebbero dovuto indurre il mancipio accipiens all’indicazione di un prezzo irrisorio,
rinunciando così di fatto ad ogni forma di tutela in caso di successiva
evizione.
La
realtà è che il brano rischia di far pericolosamente vacillare la tenuta
complessiva dell’impianto ricostruttivo su cui sino ad ora si è basata la
dottrina tradizionale, alla cui solidità si è guardato forse con eccesso di
fiducia. La sensazione è che occorra una generale riconsiderazione del tema, e
che non ci si possa arrestare a semplici interventi di ‘dettaglio’[186],
ma che si debba avere il coraggio di spingersi ben oltre, andando in
particolare a rivalutare senza riserve l’idea di una garanzia indipendente dal
profilo causale.
In tal
caso si potrebbe pensare all’obligatio
auctoritatis come un elemento tipico della sola mancipatio venditionis causa, per sua natura estraneo a
mancipazioni gratuite, e non necessariamente estendibile ad impieghi onerosi
diversi dalla compravendita, genericamente intesa quale scambio di cosa contro
prezzo, indipendentemente, dunque, da una più precisa determinazione dei
meccanismi regolativi dell’operazione di scambio stessa[187].
E in quest’ottica il brano di Paolo proverebbe solo il rifiuto in relazione al
caso di specie, non escludendo una diversa soluzione (anche da parte degli
stessi Paolo e Giuliano) in relazione ad altre ipotesi. Si consideri, peraltro,
che la fattispecie qui esaminata, non presenta caratteri tali da consentire un
accostamento con la compravendita, secondo quanto sembrava invece suggerire de
Francisci, mostrando piuttosto una specifica affinità con la locatio conductio: occorre tener
presente che Paolo affronta tale ipotesi nel § 2, il cui modello tipico di
riferimento è appunto la locazione.
L’adozione
di una posizione di questo tipo richiederebbe ovviamente anche un significativo
ripensamento sulle c.d. mancipationes
nummo uno, dovendosi naturalmente rinunciare alla prospettiva di un
espediente diretto in termini generalizzati alla neutralizzazione di un effetto
negoziale altrimenti automatico, visto che la dichiarazione di un prezzo
effimero (sestertius nummus unus) sarebbe risultata superflua in caso di
applicazioni gratuite, se appunto si dovesse ammettere che da queste non venisse
a determinarsi alcuna responsabilità in capo al mancipio dans.
Va da
sé che, a questo punto, occorrerebbe anche affrontare l’ulteriore questione di
come debbano essere interpretati i riferimenti al sestertius nummus
unus variamente attestati nella prassi negoziale nell’ambito di tali
applicazioni, dovendosi probabilmente privilegiare l’ipotesi che l’indicazione
del sestertius nummus unus trovasse riscontro solo a livello documentale
e non nel rito mancipatorio, e che di conseguenza fosse effettuata a fini
esclusivamente probatori, al solo scopo di ribadire la natura gratuita
dell’operazione.
Spiegazione
tutto sommato preferibile rispetto alla diversa ipotesi di una identificazione
del nummus unus con l’aes dell’espressione ‘hoc aere aenaque libra’, che finirebbe
di fatto per far coincidere la mancipatio
nummo uno con lo schema mancipatorio stesso, inteso nella nota prospettiva
gaiana di imaginaria venditio[188],
anziché con una specifica modalità applicativa: idea, questa, che com’è noto,
ha ricevuto giudizi estremamente severi[189],
per quanto forse non sempre questi siano stati adeguati alle diverse
configurazioni che essa ha in effetti assunto[190].
In
linea di principio non si può invece escludere – anzi per certi versi l’ipotesi
tornerebbe ad essere più seriamente percorribile – che all’indicazione solenne,
e non solo documentale, di un prezzo effimero si facesse ricorso in caso di
mancipazioni effettuate a titolo di vendita, come espediente concretamente
elusivo di responsabilità, fungendo in tal caso il nummus unus da criterio convenzionale di stima del valore della res mancipata, a cui il giudice si
sarebbe sostanzialmente dovuto attenere ai fini della determinazione
dell’importo della condanna: questo, chiaramente, sempre che, a differenza di
quanto è stato sino ad ora sostenuto dalla dottrina dominante, si dovesse
ritenere non necessaria l’indicazione di un serio prezzo (nuncupato) ai fini di
un proficuo esercizio dell’actio
auctoritatis, visto che, diversamente, sarebbero venute meno le ragioni
stesse per avvalersi di un tale accorgimento, potendosi raggiungere molto più
semplicemente lo stesso risultato lasciando inalterato il rituale mancipatorio[191].
Indubbiamente
anche questa soluzione presenterebbe non trascurabili profili problematici,
dovendosi innanzi tutto spiegare per quale ragione il sestertius nummus unus
avrebbe dovuto escludere più efficacemente dell’aes (battuto sulla
bilancia) il sorgere di una garanzia per evizione, quando comunque anche l’aes
avrebbe rappresentato, sia sostanzialmente che formalmente, un prezzo effimero
e dunque teoricamente inadeguato a costituire un referente in sede di
determinazione dell’importo della condanna.
Non si
può negare che, sul piano della logica astratta, sarebbe certamente più
ragionevole pensare all’adozione di un meccanismo diametralmente opposto,
ritenendo appunto che non fosse il nummus unus ad escludere o comunque
vanificare la garanzia, ma al contrario la dichiarazione formale di un prezzo
serio a costituirla proficuamente.
In
concreto ciò significherebbe però ammettere l’esistenza di due distinti modelli
mancipatori – uno corrispondente allo schema dell’imaginaria venditio di
Gai 1.119, l’altro con precisa indicazione del prezzo, da utilizzare piuttosto
in caso di vendita –, approdando così a conclusioni non dissimili, nella
sostanza, da quelle alle quali era pervenuto già agli inizi del novecento Ernst
Rabel[192],
e che non può dirsi certo abbiano avuto molta fortuna in dottrina. Peraltro si
riproporrebbe nuovamente il problema di conciliare un tale stato delle cose con
l’assoluto silenzio di Gaio sul punto, non essendovi, per contro, seri elementi
per non attribuire una valenza generale a quanto afferma il giurista
antoniniano in Gai 1.119 (‘est autem mancipatio…imaginaria quaedam
venditio’).
Per
prevenire ogni possibile fraintendimento, è infine il caso di precisare che il
quadro ricostruttivo che si è qui assai grossolanamente abbozzatto va tenuto
distinto dal punto di vista allora adottato da Betti e dall’ancor più rigida
impostazione del pensiero di Arangio-Ruiz, non essendovi apprezzabili motivi, a
nostro avviso, per respingere così drasticamente l’ipotesi di una naturale
costituzione dell’obbligo di praestare
auctoritatem anche nell’ambito di rapporti contrattuali atipici, quantomeno
in quelli di tipo permutativo.
Quello
che dunque si profila è un percorso indubbiamente impegnativo, al quale però
non ci si può sottrarre, per lo meno se si vuole evitare che entri in crisi
l’intero sistema dell’obligatio
auctoritatis, in una misura tale che occorrerebbe tornare seriamente ad
interrogarsi sull’esistenza stessa di una responsabilità per evizione del mancipio dans.
Nell’affrontare
tali interrogativi occorrerà comunque tenere in assoluta considerazione
D.12.4.16
(Cels. 3 <8>[193]
dig.): Dedi tibi pecuniam, ut mihi Stichum dares: utrum id contractus
genus pro portione emptionis et venditionis est, an nulla hic alia obligatio
est quam ob rem dati re non secuta? in quod proclivior sum: et ideo, si mortuus
est Stichus, repetere possum quod ideo tibi dedi, ut mihi Stichum dares. Finge
alienum esse Stichum, sed te tamen eum tradidisse: repetere a te pecuniam
potero, quia hominem accipientis non feceris: et rursus, si tuus est Stichus et
pro evictione eius promittere non vis, non liberaberis, quo minus a te pecuniam
repetere possim.
A
fronte di un pagamento di una somma di denaro al fine di ottenere in cambio il
servo Stico, ci si interroga se la predetta operazione costituisca un contratto
analogo (pro portione)[194]
alla compravendita, o se invero non si debba ammettere altra obbligazione se
non quella ob rem dati re non secuta.
Soluzione, quest’ultima, verso la quale si orienta (‘in qua proclivior sum’) appunto Celso.
Si
tratta di un frammento notissimo e che continua a costituire una seria
occasione di imbarazzo tra gli studiosi[195],
apparendo a molti incomprensibili le ragioni per la mancata riconduzione allo
schema della compravendita, di una fattispecie che sul piano causale realizzava
uno scambio di cosa contro prezzo, e che altrove le fonti mostrerebbero di
considerare tale[196].
Non è
qui il caso ovviamente di dar dettagliatamente conto delle diverse spiegazioni
che nel corso del tempo sono state avanzate al riguardo[197].
In proposito è sufficiente osservare che la dottrina non ha accolto le proposte
di emendazione variamente suggerite (dedi
tibi <pecuniam> Pamphilum[198];
rem[199]; peregrinam
pecuniam[200]; Pamphilum
et pecuniam[201])
nel tentativo di ricondurre la fattispecie nei più consueti schemi di uno
scambio propriamente permutativo[202],
e si è piuttosto orientata, per quanto non siano mancate anche recentemente
voci discordanti[203],
nel senso di una incompatibilità dell’obbligo qui assunto di trasferire la
proprietà della res empta (‘dare’)[204]
con il contenuto obbligatorio della compravendita consensuale, dalla quale
scaturiva piuttosto l’obbligo di ‘possessionem
tradere’ (così Paul. 32 <33> ad
ed. D.19.4.1)[205].
Dal nostro
punto di vista, è decisamente più interessante concentrarsi sulle conseguenze (et ideo) derivanti dalla soluzione
celsina[206],
in particolare in relazione all’ipotesi che il servo ‘trasferito’ in cambio del
denaro non appartenesse all’alienante. In questo caso Celso riconosceva
all’‘acquirente’ il diritto alla restituzione della somma versata, non avendo
l’altra parte sostanzialmente onorato l’impegno di far conseguire la proprietà
di Stico. Si rilegga appunto il passaggio in questione:
D.12.4.16
(Cels. 3 <8> dig.) …Finge
alienum esse Stichum, sed te tamen eum tradidisse: repetere a te pecuniam
potero, quia hominem accipientis non feceris.
Trattandosi
di negozio diretto al trasferimento di un servo, in concreto non realizzatosi
per via di un vizio di legittimazione del dans,
gli studiosi sono giustamente concordi nel ritenere interpolato ‘tradidisse’ che si legge oggi nel testo,
pensando piuttosto ad un originario ricorso all’atto mancipatorio[207].
Nella
versione attuale del brano, l’unica forma di tutela presa in considerazione da
Celso risulta la condictio. C’è
dunque da chiedersi se nel caso di specie sussistesse un’obbligazione di
garanzia in capo al mancipio dans, e
se pertanto, verificatasi eventualmente l’evizione, questa potesse essere fatta
proficuamente valere attraverso l’impiego dell’actio auctoritatis. Per diverse ragioni c’è chi lo ha negato.
In
base ad un primo indirizzo si è sostenuto che il ricorso all’actio auctoritatis sarebbe risultato qui
impraticabile, non essendo la mancipatio
effettuata venditionis causa,
risultando da questo punto di vista irrilevante la previsione di un prezzo
effettivo[208].
Altri hanno piuttosto osservato come nel brano non si ponga un problema di
responsabilità per evizione[209],
ma di adempimento, riconoscendosi una responsabilità in capo all’autore
dell’atto mancipatorio per la sola ragione di non aver fatto acquisire la
proprietà del servo, «senza bisogno che si attenda che il terzo proprietario
gliela evinca»[210].
Si
tratta però di punti di vista difficilmente condivisibili.
Quanto
al primo, è inaccettabile anche per chi, come si è detto, dovesse legare la
garanzia per evizione all’indicazione di un prezzo effettivo nella formula
mancipatoria. Indicazione che nel caso in questione difficilmente si potrebbe
ritenere mancante, non intravedendosi ragioni per cui ci si sarebbe dovuti
orientare verso l’adozione di una mancipatio
nummo uno[211].
Se un
punto in effetti può ritenersi ragionevolmente fuori discussione in una vicenda
così intricata, è che l’attuazione di un tale rapporto doveva avvenire nella
convinzione, delle parti, di stare rispettivamente acquistando e vendendo il
servo oggetto della mancipatio.
Sarebbe al contrario molto discutibile pretendere di ricostruirne la volontà
negoziale, in base alle diverse conclusioni alle quali sarebbe poi pervenuto,
in sede di qualificazione della fattispecie, il giurista proculeiano. Non c’è
alcun motivo per cui le parti non dovessero indicare nel rituale mancipatorio –
laddove ciò fosse effettivamente richiesto – ciò che per loro rappresentava,
anche formalmente, il prezzo dello schiavo[212],
essendo molto incerta, e comunque senza significativi appigli sul piano
testuale, la proposta di attribuire ai ‘contraenti’ una interpretazione
‘specifica’ (identificativa) e non ‘fungibile’ (come quantità) della pecunia,
nel tentativo di trasformare così uno scambio di denaro contro cosa, in uno
scambio di cosa (‘determinati pezzi di moneta’) contro cosa[213];
così come non è seriamente di aiuto, al riguardo, il richiamo a Gai 3.139, in
cui il ‘convenire de pretio’ non sembra proprio possa essere inteso in
senso ‘funzionalistico’, e dunque qualificativo del profilo causale – il
trovarsi cioè le parti d’accordo sul fatto che la somma di denaro dovesse
intendersi come prezzo della merce –[214],
alludendo esso piuttosto (in termini meramente quantitativi) al raggiunto
accordo sull’importo della somma da versare come corrispettivo.
Da
altro punto di vista c’è da valutare fino a che punto la mancata riconduzione
della fattispecie allo schema dell’emptio
venditio avrebbe dovuto rappresentare una ragione sufficiente per mettere
in discussione il fatto che comunque la mancipatio
avvenisse, per così dire, venditionis
causa. Si tratta, in effetti, di questioni distinte, essendo la mancipatio in grado di realizzare economicamente
una funzione di vendita (scambio di cosa contro prezzo) indipendentemente dalla
precisa riconducibilità della causa,
da intendersi nel senso di ciò che induce le parti a farvi ricorso, allo schema
dell’emptio-venditio.
Si
deve a questo proposito tenere presente che la mancipatio realizzava una funzione di vendita e che a quella
funzione era collegata l’auctoritas,
ben prima che si sviluppasse il modello della compravendita consensuale. Ciò
significa in altri termini che l’obligatio
auctoritatis costituiva un elemento preesistente e dunque anche
concettualmente indipendente dalla sussistenza di un programma obbligatorio
come quello dell’emptio-venditio (‘tradere rem’, anziché ‘dare rem’).
Maggiore
considerazione richiede invece la seconda valutazione. Bisogna in effetti
riconoscere che Celso non si occupa specificamente del tema dell’evizione, ma
dell’ipotesi di un mancato trasferimento della proprietà del servo per difetto
di legittimazione attiva da parte dell’‘alienante’, indipendentemente da un suo
accertamento in ambito processuale e dunque dal verificarsi di un conseguente
fenomeno evittivo[215].
Così come d’altra parte non sembra sostanzialmente contestabile il fatto che la
condictio qui concessa da Celso al
‘compratore’ non rappresenti un’azione propriamente evittiva, non essendo
l’evizione il presupposto per l’esercizio dell’azione stessa, ma più
correttamente lo squilibrio sinallagmatico determinatosi per via del mancato
acquisto della proprietà del servo[216].
Ciò
ammesso, occorre però anche rilevare che un’evizione avrebbe potuto in concreto
comunque verificarsi, e che anzi nella normalità dei casi doveva essere proprio
la soccombenza nell’ambito di un giudizio di rivendica ad evidenziare
l’esistenza di un vizio dell’atto traslativo, legato all’alienità dello
schiavo. Ci troviamo di fronte a rimedi indubbiamente diversi sul piano dei
presupposti e dunque dell’ambito applicativo (più ampio quello della condictio), ma che in concreto, e forse il
più delle volte, dovevano trovarsi in concorso tra di loro.
A
questo punto c’è da domandarsi come vada interpretato il silenzio del brano
circa l’esercizio dell’actio auctoritatis.
Si
tratta di un dato per il quale si può trovare più di una spiegazione. Prima
ancora di indirizzarsi verso l’ipotesi di un intervento soppressivo (diretto ad
eliminare ogni traccia dell’antico regime della mancipatio), si potrebbe ragionevolmente pensare ad una
‘dimenticanza’ del giurista, il quale occupandosi di ripetizione, potrebbe aver
trovato maggiormente conveniente concentrare la propria attenzione sul solo
impiego della condictio.
Ipotesi,
quest’ultima, che andrebbe certo coordinata con il carattere non propriamente
penale da molti attribuito all’actio
auctoritatis, visto che nella prospettiva di un concorso elettivo, si fa
indubbiamente una certa fatica ad ammettere che il giurista non si preoccupasse
di accennare ad un eventuale ricorso alternativo a tale azione, finendo così
col suggerire unicamente la soluzione in effetti (economicamente) meno
vantaggiosa per il ‘contraente’ (eventualmente) evitto.
In
ogni caso, ognuna di queste congetture risulta praticabile a patto che si sia
disposti ad interpretare con una certa elasticità l’affermazione celsina circa
l’esistenza nel caso di specie della sola obbligazione restitutoria (an nulla hic alia obligatio est quam ob rem
dati re non secuta? in quod
proclivior sum)[217],
visto che, in effetti, accanto a questa si sarebbe venuta comunque a costituire
(per lo meno in riferimento alla fattispecie qui esaminata) anche l’obligatio auctoritatis[218].
La
questione rischia, peraltro, di complicarsi ulteriormente, se proseguendo con
l’analisi del frammento, andiamo a guardare l’ultima ipotesi presa in
considerazione da Celso, e cioè che il servo appartenga al ‘venditore’, ma
questi si rifiuti di prestare a lui idonea garanzia per evizione. La
conseguenza è che al ‘compratore’ verrà riconosciuto il diritto di chiedere
indietro la somma già versata: ‘et
rursus, si tuus est Stichus et pro evictione eius promittere non vis, non
liberaberis, quo minus a te pecuniam repetere possim’.
È
evidente che nella versione attuale del brano, non sembrano rimanere
significativi spazi per pensare alla sussistenza di una obligatio auctoritatis – e non solo limitatamente al caso
specifico –, essendo estremamente improbabile che Celso potesse motivare la
ripetizione di quanto dato col rifiuto del venditore di prestare apposita
garanzia per l’evizione, quando tale (o analoga) garanzia si sarebbe comunque
venuta a costituire automaticamente al momento del trasferimento del servo
mediante mancipatio.
Si
tratta però di una soluzione sulla quale, soprattutto in passato, si sono
concentrati i sospetti degli studiosi[219],
avendo peraltro in molti messo in dubbio l’applicabilità delle stipulazioni di
garanzia al di fuori della compravendita, ritenendola un’estensione di epoca
postclassica[220].
Varie,
com’è noto, sono state le correzioni proposte. C’è chi appunto, nella
prospettiva di una inapplicabilità del regime delle stipulazioni di garanzia ai
contratti innominati, ha suggerito di espungere l’intera frase[221],
o comunque di leggere ‘et rursus, si tuus
est Stichus et pro evictione eius promittere non vis, nihilominus liberaberis’[222].
Altri,
anche alla luce della formula Betica[223],
hanno proposto di leggere ‘et rursus, si
tuus est Stichus et mancipio eum pluris nummo uno dare non vis, non
liberaberis, rell.’, pensando dunque ad un rifiuto di effettuare la mancipatio non nummo uno[224],
con una restituzione del testo che, per quanto in sintonia con il punto di
vista della dottrina tradizionale in tema di auctoritas, rimane comunque altamente congetturale. Altri ancora
hanno immaginato una connessione con la mancata prestazione di una satisdatio secundum mancipium[225].
Tra
tutte le proposte avanzate, a riscuotere maggiori consensi, e ad apparire
certamente più verosimile, è quella di un rifiuto di compiere una mancipatio[226],
per quanto a questo punto si dovrebbe tornare a prendere in considerazione
l’ipotesi di una soppressione del riferimento all’obligatio auctoritatis nella seconda delle ipotesi esaminate da
Celso, risultando poco verosimile che il giurista proculeiano affrontasse le
conseguenze di una mancata prestazione della mancipatio, senza aver
prima quantomeno accennato al tipo di tutela che il ‘compratore’ avrebbe potuto
attendersi (in caso evizione) da un tale impiego.
Si
deve però constatare che gli studiosi sembrano oggi prevalentemente orientati
nel senso della genuinità del tratto ‘et rursus-possim’[227],
non avendo evidentemente valutato le possibili conseguenze di una tale
interpretazione sul piano della ricostruzione generale dell’istituto dell’auctoritas
e della connessa actio auctoritatis.
Come
si vede molti sono ancora i motivi per tornare a riflettere su di un tema che
può ritenersi tutt’altro che chiuso.
[1] P. de Francisci, SUNALLAGMA. Storia e dottrina dei cosiddetti
contratti innominati 1, Pavia 1913, 108 ss., 167 ss.
[2]
Prevalente l’interpretazione del sostantivo nel senso di ‘operazione negoziale’,
‘fattispecie’, ‘caso’, ‘ipotesi’. In quest’ottica, di ‘complessivo assetto di
interessi perseguito dalle parti’ discute A.
Burdese, Ultime prospettive
romanistiche in tema di contratto, in Atti
del II convegno sulla problematica contrattuale in diritto romano, Milano
1998, 32; idea ribadita in Divagazioni in tema di contratto romano tra
forma, consenso e causa, in ‘Iuris Vincula’. Studi in onore di M.
Talamanca 1, Napoli 2001, 334; interpreta res nel senso di
‘fattispecie negoziale obbiettivamente considerata’ M. Sargenti, Svolgimento
dell’idea di contratto nel pensiero giuridico romano, in Iura 39 (1988), 29; nella medesima
direzione R. Knütel, La ‘causa’
nella dottrina dei patti, in Causa e
contratto nella prospettiva storico comparatistica, II Congresso internazionale
ARISTEC, Palermo-Trapani, 7-10 giugno 1995 (pubbl. 1997), 134; T. dalla Massara, Alle origini della
causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica,
Padova 2004, 97 ss., punto di vista riproposto in Id., Sul responsum
di Aristone in D.2.14.7.2 (Ulp. 4 ad
ed.): l’elaborazione del concetto di
causa del contratto, in Le dottrine del contratto nella
giurisprudenza romana, Padova 2006, 285 s.; per una interpretazione di ‘res’ nel senso di ‘Geschäft’ – seppur
con riferimento a Ulp. 11 ad ed. D.50.16.19 ‘gestum
rem significare sine verbis factam’ – si veda anche S. E. Wunner, Contractus.
Sein Wortgebraucht und Willensgehalt im klassischen römischen Recht,
Köln-Graz 1964, 35. Un’allusione ai meccanismi di perfezionamento delle fattispecie
sinallagmatiche è piuttosto colta da R.
Santoro, Il contratto nel pensiero
di Labeone, in AUPA. 37 (1983),
276, il quale suggerisce di interpretare il termine ‘res’ nel senso di ‘convenzione che si è tradotta in un fatto’, con
una concettualizzazione non lontana dal convenire
re labeoniano di Paul. 3 ad ed.
D.2.14.2pr.; opinione sostanzialmente condivisa più di recente da C. Pelloso, Le origini aristoteliche del SUNALLAGMA di Aristone, in La compravendita e la interdipendenza delle
obbligazioni nel diritto romano 1, Padova 2007, a cura di Luigi Garofalo,
70 s., il quale conseguentemente lo ritiene ‘vocabolo semanticamente più ampio
di conventio in quanto indicativo di
una fattispecie negoziale intesa nella sua complessità’; un riferimento al
‘fatto della convenzione’ è colto anche da A.
Schiavone, La scrittura di
Ulpiano. Storia e sistema nelle teorie contrattualistiche del quarto libro ad
edictum, in Le teorie
contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea. Atti del Convegno di diritto romano, a
cura di Nicla Bellocci, Siena 14-15 aprile 1989 (pubbl. 1991), 148;
per una valutazione dell’interpretazione bizantina all’insegna dell’equazione res=conventio (sÚmfwnon), si
rinvia all’analisi di G. Falcone,
Genesi e valore della definizione di SUNALLAGMA nella parafrasi di Teofilo, in Iuris Vincula. Studi in onore di M. Talamanca 1, cit., 108 nt. 91.
[3] In
proposito la dottrina tradizionale oscilla, com’è noto, tra un’interpretazione rigorosamente
circoscritta all’avvenuta prestazione (datio,
factum) – così P. Voci, La dottrina romana del
contratto, Milano 1946, 244; B.
Biondi, Contratto e stipulatio,
Milano 1953, 92; G. mac Cormack, Contractual theory and the innominate
contractus, in SDHI. 51 (1985),
139, 151 s.; F. Gallo, Eredità di Labeone in materia contrattuale, in Atti
del Seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano 1 (Milano
7-9 aprile 1987), Milano 1988, 54; Id.,
Eredità di giuristi romani in materia
contrattuale, in Le teorie contrattualistiche romane nella
storiografia contemporanea. Atti del
convegno di diritto romano (Siena 14 – 15 aprile 1989), Napoli 1991, 52; Id., Synallagma e conventio nel contratto 2, Torino 1995, 95 ss.; Id., Ai primordi del passaggio della sinallagmaticità dal piano delle
obbligazioni a quello delle prestazioni, in Causa e contratto, cit., 67 s.; M.
Talamanca, La tipicità dei
contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone, in Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza
tardo-repubblicana. Atti del IV
convegno di diritto romano e della presentazione della nuova riproduzione della
‘littera Florentina’ (Copanello 1-4 giugno 1988), Napoli 1990, 101 nt. 256,
367 s.; M. Sargenti, Svolgimento dell’idea di contratto,
cit., 33; A. Di Pietro, El regimen de los contractos en el derecho
romano. Perspectivas e incidencias para el tema de los
negocios en una unificacion legislativa latinoamericana, in Roma e America. Diritto romano comune 7
(1999), 84 s. –, ed una rappresentazione che propone di identificare più
propriamente la nozione con la datio
o il factum effettuati in vista di
una controprestazione, la c.d. ‘zweckbestimmte
Leistung’: in questo senso vd. P. de
Francisci, SUNALLAGMA. Storia e dottrina dei cosiddetti contratti
innominati 2, Pavia 1916, 528 ss.; nonostante certe affermazioni («funzione
che si riconosca, in quanto socialmente rilevante, meritevole di tutela»), così
anche A. Burdese, Osservazioni in tema di c. d. contratti
innominati, in Estudios Iglesias
1, Madrid 1988, 137; Id., Contratto e convenzioni atipiche da Labeone
a Papiniano, in SDHI. 62 (1996),
337 s.; Id., Divagazioni in
tema di contratto, cit., 334 ss.; R. Knütel,
La ‘causa’,
cit., 142 ss.; S. Tondo, Note ulpianee alla rubrica edittale per i
‘pacta conventa’, in SDHI. 64
(1998), 452; («prestazione qualificata dallo scopo di una controprestazione’) A. Mantello, Le ‘classi nominali’ per i giuristi romani. Il caso di Ulpiano, in SDHI. 61 (1995), 258; E. Stolfi,
Introduzione allo studio dei
diritti greci, Torino 2006, 166; C.
Pelloso, Le origini aristoteliche,
cit., 73 ss. Per una interpretazione invece ‘funzionale’ vd., con sostanziale
identificazione della causa con il negotium, R. Santoro, Il contratto, cit., 88 ss., 222 ss.,
237, 250;(‘affare che le parti considerano
interessante per entrambe’) C. A.
Cannata, Der Vertrag als
zivilrechtlicher Obligierungsgrund in der römischen Jurisprudenz der
klassischen Zeit, in Collatio iuris
romani. Études H. Ankum, Amsterdam 1995, 64 ss.; Id., Contratto e causa
nel diritto romano, in Causa e
contratto, cit., 47 ss.; (‘ragione sostanziale del rapporto’) A. Palma, Vicende della “res” e permanenza della “causa”, in Sodalitas 3. Scritti in onore di A. Guarino, Napoli 1984, 1502 ss.; («funzione
negoziale giuridicamente qualificata») A.
Schiavone, La scrittura, cit.,
151. Decisamente minoritario il punto di vista di chi ha piuttosto intravisto
nella causa un riferimento alla
controprestazione: così E. Gans, Über
römisches Obligationenrecht, insbesondere über die Lehre von den Innominatkontrakten
und dem jus poenitendi,
Heidelberg 1819 (trad. it., Il diritto romano delle obbligazioni e
spezialmente intorno alla teorica dei contratti innominati e del jus poenitendi, Napoli 1856,
213).
[4]
Discusso, soprattutto, è il rapporto tra actio
civilis incerti e actio praescriptis
verbis, per il quale sembra oggi prevalente l’ipotesi che si trattasse di
due differenti rimedi processuali. In questo senso, con un quadro variegato di
posizioni sul piano della concreta conceptio
formulare, R. Sotty, ‘Condictio incerti’, ‘actio ex stipulatu’ et
‘actio praescriptis verbis’, in Sodalitas
5, cit., 2477 ss.; M. Talamanca, La tipicità, cit., 101; Id., Pubblicazioni pervenute alla Direzione, in BIDR. 92-93 (1989-1990), 732 ss.; soprattutto A. Burdese, Osservazioni, cit., 133
ss.; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 118; Id., «Agere praescriptis verbis» ed
editto alla luce delle testimonianze celsine, in Atti del II Convegno sulla problematica contrattuale in diritto romano
(Milano, 11-12 maggio 1995), Milano 1998, 39; per quanto integrabile mediante praescripta
verba, attribuisce all’actio incerti
civilis una propria radice (‘eine einige Wurzel’) anche M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’. Atypische Geschäftsinhalte und klassisches
Formularverfahren, Berlin 2002, 107
ss., 237. Per una identificazione, vanno comunque segnalati, anche in
questo caso con diverse conclusioni relativamente alla struttura formulare, R. Santoro, Il contratto, cit.,
73, 96; J. Kranjc, Die ‘actio praescriptis verbis’, in ZSS. 106 (1988), 444 ss.; C. A. Cannata,
Contratto e causa, cit., 46; Id., L’actio in factum civilis, in Iura
57 (2008-2009), 47 s., con richiamo soprattutto a C.4.64.6 ‘praescriptis verbis incertam civilem dandam
actionem’; Id., Labeone, Aristone e il sinallagma, in Iura 58 (2010), 34, 98; P. Gröschler, Actiones in factum. Eine Untersuchung zur
Klage-Neuschöpfung im nichtvertraglichen Bereich, Berlin 2002, 20 s.; L. Garofalo, Contratto, obbligazione e convenzione in Sesto Pedio,
in Le dottrine, cit., 349 s. nt. 33; B. Schmidlin, Das Nominatprinzip und seine
Erweiterung durch die ‘actio praescriptis verbis’. Zum
aktionenrechtlichen Aufbau der römischen Konsensualverträge, in ZSS.
124 (2007), cit., 79, 91 nt. 68; Id.,
Il consensualismo contrattuale tra nomina
contractus e bonae fidei iudicia, in Diritto
romano, tradizione romanistica e formazione del diritto europeo. Giornate di
studio in ricordo di G. Pugliese (1914-1995), a cura di L. Vacca, Padova
2008, 116; R. Scevola, ‘Negotium mixtum cum donatione’. Origini terminologiche e concettuali,
Padova 2008, 121 nt. 36.
[5] Per
una interpretazione nel senso di ‘atto obbligatorio’ piuttosto che di ‘rapporto
obbligatorio’ vd. R. Santoro, Il
contratto, cit., 215, il quale si vede per questo costretto a correggere ‘obligationem’ in ‘actionem’ nel tratto ‘hoc-obligationem’
immediatamente successivo; lettura condivisa più recentemente anche da E. Stolfi, Introduzione, cit., 165 s. nt. 36; un’allusione al vincolo
obbligatorio si trova invece in A.
Burdese, Divagazioni in tema di
contratto, cit., 337; e più recentemente in L. Garofalo, Contratto, cit., 361 nt. 55, il cui punto
di vista è ripreso da C. Pelloso,
Le origini aristoteliche, cit., 76 s.
nt. 162; perplessità sull’impiego ipotizzato da Santoro si trovano espresse
anche in T. dalla Massara, Alle origini, cit., 104; più articolato
il punto di vista di F. Gallo, Synallagma
2, cit., 96 ss., il quale suggerisce un diverso impiego del sostantivo da parte
di Aristone rispetto a Ulpiano, attribuendo al giurista severiano un utilizzo
del termine nel significato più tardo di ‘rapporto obbligatorio’.
[6] Di
«reticenza che sfiora la falsificazione» discute A. Schiavone, La scrittura,
cit., 150, 156 ss., il quale più in generale pensa ad una «manipolazione della
storia delle dottrine» da parte di Ulpiano; ipotesi giudicata priva di elementi
da T. dalla Massara, Alle origini, cit., 123 nt. 184; spiega
piuttosto il mancato riferimento al punto di vista labeoniano con il fatto che
questo avrebbe rappresentato una ‘deviazione rispetto alla linea evolutiva
accolta…e portata avanti’ F. Gallo,
Eredità di giuristi romani, cit., 54;
ad una ‘neutralizzazione’ della dottrina labeoniana dettata dalle medesime
ragioni, sembra credere anche E. Stolfi,
Introduzione, cit., 168 nt. 43;
diversamente ad una implicita ‘connessione con la nozione labeoniana del
contratto’ pensa C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 89 nt. 148.
[7] Nel senso
di uno sviluppo o di una precisazione critica della dottrina aristoniana
rispetto all’impostazione del sinallagma labeoniano, vd. A. Giffard, La doctrine d’Ariston en matière de contrats innommés, Conférence
14 Mars 1947, in Études de droit romain, Paris 1972,
190 s.; A. Schiavone, La scrittura, cit., 159; A. Mantello, I dubbi di Aristone, Ancona 1990, 123 s.; Id., Le ‘classi nominali’, cit., 258 s. (con
un’accentuazione del tono critico); V. Scarano Ussani, Il «probabilismo» di
Titius Aristo, in «Ostraka» 4.2 (1995), 239; (‘connotazione
polemica’) F. Gallo, Contratto e atto secondo Labeone: una
dottrina da riconsiderare, in Roma e
America. Diritto romano comune 7 (1999), 27; L. Garofalo, Contratto, cit., 362 s.; E. Stolfi, Studi sui «Libri ad
edictum» di Pomponio 2.
Contesti e pensiero, Milano 2001, 197; Id., Introduzione,
cit., 166 s.; che con Aristone il
termine sun£llagma abbia assunto un nuovo e più generale significato
(‘eine allgemeinere Bedeutung’) è sostenuto anche da M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 107 s., 238; T. dalla Massara, Alle origini,
cit., 111 ss.; B.
Schmidlin, Das Nominatprinzip, cit., 86; per una identificazione dei
due paradigmi contrattuali vd., invece, già A.
Pernice, Parerga 3. Zur Vertragslehre der römischen Juristen,
in ZSS. 9 (1888), 249 s., ove semmai, ad essere denunciato era un
rovesciamento del percorso logico-argomentativo, sostanzialmente non incisivo
sul piano della messa a punto concettuale: non sembra pertanto da condividere
quanto afferma F. Gallo, Synallagma 2, cit., 100 nt. 25; E. Betti, Sul valore dogmatico della categoria “contrahere” in giuristi
proculeiani e sabiniani, in BIDR.
28 (1915), 21; soprattutto R. Santoro,
Il contratto, cit., 277 ss.; da ultimo, così sostanzialmente («Aristone
aderiva interamente alla concezione labeoniana del contratto, solo
perfezionandola con l’introdurre la nozione di causa contrattuale») anche C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 54 s., per quanto lo studioso finisca per attribuire
ad Aristone un’estensione dell’ambito applicativo dell’azione contrattuale
generale labeoniana alle ipotesi di dationes
ob rem sino ad allora protette solo ‘con la condictio per la restituzione del datum re non secuta’: in questo senso si veda già un accenno in Id., Labeone e il contratto, in Panorami
5 (1993), 134 nt. 42.
[8] I
maggiori sospetti continuano a concentrarsi, com’è noto, sulla genuinità del
tratto ‘id est praescriptis verbis’,
soprattutto da parte di quegli autori che escludono un riferimento delle due
espressioni al medesimo modello processuale: in proposito vd. infra nt. 10; dubbi egualmente
permangono in relazione all’impiego del sostantivo obligatio nel tratto ‘hinc
nasci civilem obligationem’,
essendo discretamente diffusa tra gli studiosi l’opinione che il brano in
origine contenesse un riferimento al profilo dell’azione, venuto poi meno per
via di quel processo di valorizzazione del diritto sostanziale che avrebbe
condotto ad una identificazione bizantina tra actio e obligatio: per la
correzione del testo nella direzione indicata, ci limitiamo qui a segnalare R. Santoro, Il contratto, cit., 217; F.
Gallo, Ai primordi, cit., 65; Id., Synallagma 2, cit., 41 nt. 2, 98 ss.; Id., «Agere praescriptis verbis», cit., 36 s.; G. Falcone, Genesi e valore, cit., 94 nt. 64; tra gli studiosi più recenti
difendono invece la classicità del riferimento all’obligatio C. A. Cannata,
Der Vertrag, cit., 67; S. Tondo, Note ulpianee, cit., 454 e ivi nt. 62; M. Artner, ‘Agere
praescriptis verbis’, cit., 107 e ivi nt. 202; A. Burdese, Divagazioni, cit., 337; T. dalla Massara, Alle origini,
cit., 103 ss.; Id., Sul responsum di Aristone, cit., 292 s.;
da ultimo L. Garofalo, Contratto,
cit., 362 nt. 58.
[9] S. Perozzi, Le obbligazioni romane, Bologna 1903, 125 ss. nt. 1; Id., Istituzioni di diritto romano 2, Firenze 1908, 278 ss., 281 nt. 1;
seguito da G. Beseler, Beiträge
zur Kritik der römischen Recthsquellen 2, Tübingen 1911, 156 ss.; con
ulteriori riferimenti alla letteratura precedente vd. P. de Francisci, SUNALLAGMA 1,
cit., 108 ss.
[10] Contro
la genuinità dell’inciso vd. P. de
Francisci, SUNALLAGMA 1,
cit., 113 s., con una critica che
ovviamente colpiva anche il tratto ‘civilem
incerti actionem’; spurio il riferimento anche secondo C. A. Maschi, Il diritto romano 1. La
prospettiva storica della giurisprudenza classica, 2a ed. Milano 1966, 605;
ad una interpolazione esplicativa pensava A.
Giffard, L’actio civilis incerti et le synallagma, in RHDFE.
35 (1957), 338 s., ora in Études,
cit., 195 s.; per un’origine glossematica ha preso posizione anche R. Santoro, Il contratto, cit.,
219, il quale però pare non nutrire dubbi sul fatto che «l’azione concessa da
Mauriciano sia appunto un’actio
praescriptis verbis»; M. Talamanca,
La tipicità dei contratti romani,
cit., 101; A. Burdese, Osservazioni,
cit., 134, 136; Id., Sulle
nozioni di patto, convenzione e contratto in diritto romano, in Sem.
Compl. 5 (1993), 65; incerto invece F.
Gallo, Synallagma 2, cit., 118,
il quale giudica però «probabile che i compilatori abbiano raccorciato il
resoconto ulpianeo»: una maggiore propensione in favore della genuinità sembra
cogliersi da parte dell’Autore in Contratto
e atto secondo Labeone, cit., 29; genuino l’inciso per A. Schiavone, La scrittura, cit., 151: «nella formula dell’«actio civilis
incerti» assimilata (da Ulpiano e forse da Aristone) all’«agere praescriptis
verbis»»; C. A. Cannata, Contratto e causa, cit., 45 nt. 14; Id., L’actio in factum civilis, cit., 47; Id., Labeone, Aristone,
cit., 53 nt. 43; P. Gröschler, Actiones
in factum, cit., 41 nt. 62; un
tentativo di salvare l’inciso si rinviene anche in T. dalla Massara, Alle
origini, cit., 184 s.
[11] In
questo senso, seppur con taluni distinguo, più che altro legati alla natura
contrattuale dell’actio in factum, anche P. Voci, La dottrina romana del contratto, cit., 243 ss.
[13] S. Perozzi, Istituzioni 2, cit., 281 ss. nt. 1; sebbene in una prospettiva
assai differente, nell’uso del verbo ‘sufficere’,
un riferimento all’inutilità del ricorso ad apposita azione pretoria a fronte
di un possibile impiego dell’azione civile (civilis incerti, id est
praescriptis verbis) è colto anche da F.
Gallo, Synallagma 2, cit.,
182; C. A. Cannata, Lo
splendido autunno delle due scuole, in Pacte, convention, contract.
Mélanges en l’honneur du Professeur Buno Schmidlin, Bâle et
Francfort-sur–le-Main,1998, 459, per il quale si tratterebbe di una soluzione
ispirata al più generale principio di ‘economicità degli strumenti giuridici’:
dello stesso Autore vd. anche Der Vertrag,
cit., 69 nt. 36; Labeone, Aristone,
cit., 73. Sostanzialmente senza seguito la proposta avanzata da E. Betti, Sul valore, cit., 28 nt. 2, di interpretare il verbo nel senso di
‘spettare, competere’; si sarebbe trattato di un uso postclassico secondo G. Beseler, Beiträge zur Kritik der
römischen Recthsquellen 6,
in ZSS. 66 (1948), 369 s.; punto di
vista ripreso più recentemente da R.
Santoro, Il contratto, cit.,
220 nt. 151; un impiego di sufficere
nel senso di ‘sostituire’ ‘mettere al posto di’ ‘eleggere in luogo di’, è
ultimamente suggerito da C. Pelloso,
Le origini, cit., 95 nt. 201, il
quale, propone, in via comunque del tutto congetturale, la seguente traduzione:
‘Mauriciano suggerisce di esperire in luogo dell’azione in factum l’actio civilis
incerti’.
[14] Così G. Beseler,
Beiträge 2, cit., 158; J. Partsch,
rec. a P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit.,
in ZSS. 35 (1914), 338; Id., Das Dogma des Synallagma im römischen und byzantinischen Rechte, in Aus nachgelassenen und kleineren verstreuten Schriften, Berlin 1931, cit., 17 nt. 37.
[15] P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 120 ss.; punto di
vista ribadito in Id., SUNALLAGMA 2, cit., 618.
[20] Così R. Santoro, Il contratto, cit., 219;
C. A. Cannata, Contratto e causa, cit., 45 nt. 14; Id., L’actio
civilis in factum, cit., Id.,
Labeone, Aristone, cit., 34; in
questo senso, per quanto in un ordine di idee che tende piuttosto a distinguere
actio civilis incerti e actio praescriptis verbis, cautamente
(‘non è però certo se tale passaggio sia stato già operato da Mauriciano’)
anche F.
Gallo, Synallagma 2, cit.,
118, con un punto di vista riproposto con maggior fiducia (‘venne
verosimilmente compiuto da Mauriciano’) in Contratto
e atto secondo Labeone, cit., 29, ove si attribuisce in sostanza a
Mauriciano una contaminazione del profilo sostanziale della dottrina
aristoniana con la diversa prospettiva processuale labeoniana.
[23] In
questo senso A. Burdese, Osservazioni, cit., 144; Id., Divagazioni in tema di
contratto, cit., 342.
[24]
Denuncia giustamente la diversità di ipotesi F.
Gallo, Contratto e atto secondo
Labeone, cit., 28.
[25] Così T. dalla Massara, Alle origini, cit., 126, il quale, per l’appunto, è dell’avviso che
Mauriciano non abbia apportato ‘alcun contributo all’impianto ricostruttivo’ di
Aristone: dello stesso autore vd. però quanto si dirà infra in nt. 27; ad un’adesione integrale pensa anche A. Schiavone, Studi sulle logiche dei giuristi romani, Napoli 1971, 162.
[26] In
questo senso R. Knütel, La ‘causa’, cit., 142 ss.; suggerisce un
significativo superamento della logica aristoniana, imputabile alla
prescrizione del ricorso allo strumento dell’analogia processuale introdotta in
sede di codificazione dell’editto, F.
Gallo, «Agere praescriptis verbis», cit., 56, il quale si orienta per un impiego utile dell’actio locati; Id., Contratto e atto,
cit., 28 s.; Ai primordi, cit., 74
s., con una posizione che andrebbe coordinata con il punto di vista, ben
differente, espresso in F. Gallo,
Synallagma 2, cit., 14 ss., ove non
si va oltre l’ipotesi di una semplice ridefinizione (da parte di Mauriciano)
della relazione dello schema sinallagmatico con la categoria contrattuale (nel
senso di una sua formale riconduzione nell’ambito del sistema contrattuale),
così come, sul piano processuale, si rimane molto prudenti sull’ipotesi di una
evoluzione verso una tutela di buona fede (e non più di stretto diritto secondo
la prospettiva aristoniana); critico, rispetto all’ipotesi di una estraneità
del sun£llagma
aristoniano al sistema contrattuale, ma anche in relazione all’ipotesi di un
allontanamento di Mauriciano dal modello dell’actio civilis incerti, A.
Burdese, Divagazioni, cit.,
336, 342 s.
[27] Sembra attribuire a Mauriciano (Ulp.
D.2.14.7.2) un processo di avvicinamento tra i due modelli di giudizio,
mediante integrazione dei praescripta
verba labeoniani nella struttura formulare dell’actio civilis incerti aristoniana T.
dalla Massara, Alle origini,
cit., 184 ss.; fortemente critico sul punto (‘elucubrazione talmente eccessiva,
che ne risultano criticate da se stesse’) C.
A. Cannata, Labeone,
Aristone, cit., 93 nt. 161;
indipendentemente dall’ipotesi di uno specifico contributo mauricianeo, sulla
possibilità tecnica di ricorrere a praescripta
verba anche nel programma di giudizio dell’actio civilis incerti, vd. comunque, favorevolmente, A. Burdese, Osservazioni, cit., 137 s., 154; Id.,
I contratti innominati, in Derecho romano de obligaciones. Homenaye J.
L. Murga Gener, Madrid 1994, 77; Id.,
Sul riconoscimento, cit., 18; M. Artner, ‘Agere
praescriptis verbis’, cit., 107 ss.
[28] Uno
spunto in questa direzione sembra cogliersi in B. Biondi, Contratto e
stipulatio, cit., 95; in questo
senso sostanzialmente («Der Forstschrift besteht darin, daß nunmehr auch den
Geber Verpflichtungen treffen können. In dem von ihm konstruierten Fall „dedi ut dares” geht es um die Haftung
des dans für Eviktion») anche M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 147, 157 s., 238, per quanto lo
studioso tedesco sembri ricollegare una tale evoluzione sul versante della
tutela ad una sottostante rimodulazione del precedente schema sinallagmatico
aristoniano (da intendersi nel generico senso di contrahere: «bedeutet sun£llagma das gleiche wie contrahere»:
107 s.) nei nuovi termini del ‘Gegenseitigkeitsverhältniss(es) von Leistung und
Gegenleistung’, con una valorizzazione del profilo della conventio alla quale avrebbe fatto riscontro una contestuale
svalutazione del rilievo della consegna (sul piano della sua efficacia) ai fini
della costituzione del rapporto contrattuale («Bemerkenswerterweise braucht die
datio keine wirksame Übereignung mehr
zu sein…um verpflichtend zu wirken»: 158 nt. 472).
[29]
Riconduce tale svolta agli inizi del II sec. a. C., M. Talamanca, “Vendita
in generale” (diritto romano), in ED.
46, Milano 1993, 388, il quale discute in proposito di ‘profondo rivolgimento
del sistema originario’.
[30] Con
cautela pensa a Giavoleno (Iav. 2 ex
Plaut. D.21.2.60) da ultimo T. dalla
Massara, Evizione e circolazione
della proprietà: matrici romane del sistema italiano vigente, in Iura 52 (2008-2009), 259; Id., Per una ricostruzione delle strutture dell’evizione, in Studi in onore di Antonino Metro 2, a
cura di C. Russo Ruggeri, Milano 2010, 113; in proposito e per una panoramica
generale, vd., con dubbi sulla genuinità di Iav. 2 ex Plaut. D.21.2.60, M.
Talamanca, voce Vendita (dir.
rom.), cit., 395, il quale d’altra parte richiama Iav. 9 epist. D.41.3.23.1.
[31] In
questo senso la dottrina tradizionale, per la quale vd. V. Arangio-Ruiz, La compravendita in diritto romano. Corso di lezioni svolto
nell’Università di Roma. Anni 1951-1953,2 Napoli 1954, 349; con ulteriori
riferimenti alla letteratura, M. Kaser, RP.,2 556 e ivi nt. 31; più recentemente, R. Knütel, Stipulatio
poenae. Studien zur römischen Vertragsstrafe, Köln-Wien 1976, 337; F.
J. Casinos-Mora, ‘Auctoritas’ in
PS.2.17.1-3, in Labeo 48 (2002),
119.
[32] Così H. Ankum, Problemi concernenti l’evizione del compratore nel diritto romano
classico, in Vendita e trasferimento
della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Atti del Congresso
Internazionale Pisa-Viareggio-Lucca 17-21 aprile 1990, a cura di L. Vacca,
Milano 1991, 599, 615; soprattutto, Id.,
Pomponio, Juliano y la responsabilidad
del vendedor por evicción con la actio empti, in RIDA. 39 (1992), 57 ss.
[33] In
questo senso vd. A. Giffard, L’actio
civilis incerti (Études), cit., 198; A. Burdese, Osservazioni, cit., 135, 137; Id.,
Divagazioni in tema di contratto, cit., 342; R. Knütel, La ‘causa’, cit., 138 s.; P. Gröschler, Actiones in factum,
cit., 21 nt. 17; T. dalla
Massara, Alle origini, cit., 105; Id., Sul responsum,
cit., 293 s.; C. Pelloso, Le origini aristoteliche, cit., 77; da
ultima anche P. Lambrini, Actio de dolo malo e accordi privi di tutela
contrattuale, in Seminarios
complutentes de Derecho romano 22 (2009), 242 ss. («quello concretamente
realizzato è un facio ut des»);
contro l’ipotesi di una ‘riqualificazione’ del rapporto in termini di facio ut des vd., recentissimamente, C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 72 s.
[34] Così,
anche se in una prospettiva tutta interna alla compravendita, H. Ankum, Das Ziel der ‘actio empti’ nach Eviktion, in Sodalitas 7, cit., 3216 nt. 5, il quale ritiene poi che il
compratore dovesse agire con l’azione di garanzia (actio auctoritatis-actio ex stipulatu). Sui caratteri dell’azione
vd. anche infra ntt. 68-69.
[35] Così
(non consultato) già E. Danz, Die Auctoritas und die Annalis exceptio
Italici contractus, Jena 1876, sul quale vd. però C. Brezzo, La
mancipatio, Torino 1891, (rist. anastatica in Studia Juridica 70, Roma 1972), 95 s.; tra gli studi più recenti
vd. soprattutto (non consultato) M.
Sargenti, L’evizione nella
compravendita romana, Milano 1960; punto di vista confermato in Per una revisione della nozione di
‘auctoritas’ come effetto della ‘mancipatio’, in Studi Betti 4, Milano 1962, 17 ss.; parziale adesione in A. Calonge, Evicciòn. Historia del concepto y analysis de su contenido en el
Derecho romano clasico, Salamanca 1968, 17 ss., il quale però ritiene
eccessivo mettere in discussione la relazione mancipatio-auctoritas; di
«creación de la doctrina romanística sin base suficiente en las fuentas
romanas» discute P. Fuentesca, ‘Mancipium-Mancipatio-Dominium’, in Labeo 4 (1958), 141, il quale anche più recentemente (P. Fuentesca, Trasferimento
della proprietà e ‘auctoritas’, in Vendita
e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Atti
del Congresso Internazionale Pisa-Viareggio-Lucca 17-21 aprile 1990, a cura
di L. Vacca, Milano 1991, 97 nt. 25) continua a denunciare «le difficoltà, di
natura processuale, che impediscono l’ammissione della presunta actio auctoritatis». Per una valutazione
critica del punto di vista di Sargenti, vd. H.
Ankum, L’actio auctoritatis
appartenant à l’acheteur mancipio accipiens a-t-elle existée?, in Accademia Romanistica Costantiniana. Atti
III Convegno internazionale (Perugia-Trevi-Gualdo Tadino, 28 settembre – 1
ottobre 1977), Perugia 1979, 6 e ivi nt. 19.
[37] Si
interroga sull’utilità di tale prassi nell’ipotesi di una responsabilità per
evizione del mancipio dans, intesa
quale elemento naturale della mancipatio,
M. Sargenti, Per una revisione, cit., 64; in senso contrario, vd. H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 27 ss., il quale spiega il ricorso alla
stipulatio duplae (o simplae) con la volontà delle parti di stabilire
diversamente l’importo da pagare in caso di evizione o comunque una preferenza
per il differente regime della stipulatio
duplae; dello stesso autore vd. Problemi
concernenti l’evizione, cit., 610 ss.; più di recente, mostra di aderire al
punto di vista dello studioso olandese S.
A. Cristaldi, Il contenuto
dell’obbligazione del venditore nel pensiero dei giuristi dell’età imperiale,
Milano 2007, 252 ss.; più in generale, sull’impiego di stipulazioni di garanzia
in occasione del compimento di una mancipatio
si era già pronunciato favorevolmente V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,2
cit., 326 ss.
[38] Così D.
Pugsley, The Roman Law of Property
and Obligations. An historical introduction to some of the
main institutions, Cape Town-Wynberg-Johannesburg 1972, 7 ss.; Id., ‘Quod autem valet mancipatio’, in Id.,
Americans are Aliens and other essays on
Roman Law, Exeter 1989, 32 ss., secondo il quale l’acquirente a non domino avrebbe comunque acquistato
la proprietà della cosa: ad esercitare nei confronti del mancipio dans un’azione penale al duplum del prezzo ricevuto (c.d. actio auctoritatis), sarebbe stato piuttosto il proprietario, che,
a seguito della mancipatio a non domino
avrebbe perduto la proprietà; di ‘ipotesi insostenibile’ discuteva M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 389 nt. 880; critiche si trovano anche
in H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 6 e ivi nt. 19; Id., Problemi
concernenti la responsabilità per evizione, cit., 606 ss.
[39]
Insiste sul punto M. Sargenti, Per una revisione, cit., 63 s.; più
recentemente anche D. Pugsley, The Roman Law, cit., 10 s. nt. 28, di
cui devono ritenersi sostanzialmente condivisibili i dubbi espressi in ordine
alla possibilità di fornire una spiegazione di tale lacuna con il carattere
elementare del manuale gaiano.
[41] In
proposito vd. Th. Mommsen, Inauguraldissertation 2. De auctoritate commentatio, Kiliae
1843, in Gesammelte Schriften.
Juristische Schriften 3, Berlin 1907, 462; O. Lenel, EP.,3 542
ss.; con indicazione analitica delle fonti sospette, vd. soprattutto P. F. Girard, L’auctoritas et l’action auctoritatis. Inventaire d’interpolations,
in Mélanges de droit romain 2, Paris
1923, (d’ora in poi Mélanges 2) 158
ss., 184 ss.; Id., Manuel élémentaire de droit romain,8a
ed., Paris 1929, 590 nt. 1; V. Scialoja,
Teoria della proprietà nel diritto romano.
Lezioni ordinate curate edite da P.
Bonfante 2, Roma 1931, 142; F. Schulz,
Classical Roman Law, Oxford 1951,
534; H. Honsell, Quod interest im bonae-fidei-iudicium.
Studien zum römischen Schadensersatzrecht, München 1969, 20; di ‘scrupolosa
cancellazione’ dei testi relativi alla mancipatio
discuteva G. Pugliese, Sull’obbligazione di ‘mancipare’ nella
compravendita romana, in Études
offertes à Pierre Jaubert. Liber
Amicorum, Bordeaux 1992, 597 ss.
[42]
D.21.2.76 (Ven. 17 stip.): ‘Si alienam rem mihi tradideris et eandem pro
derelicto habuero, amitti auctoritatem, id est actionem pro evictione, placet’:
in proposito vd. V. Arangio-Ruiz,
La compravendita, cit., 322; H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 23.
[43] Paul.
Sent. 2.17.1-3 (1 ‘…pretio accepto
auctoritatis manebit obnoxius…3 Res
empta mancipatione et traditione perfecta si evincatur, auctoritatis venditor
duplo tenus obligatur’. Sul brano vd. V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,2
cit., 318 s., secondo il quale il § 1 in origine avrebbe riguardato la sola
ipotesi di mancipatio venditionis causa;
H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 21 s., il quale suggerisce di leggere ‘auctoritatis nomine o auctoritatis actione’; si tratterebbe di
un brano del tutto inservibile per una messa a punto del regime classico
dell’evizione e che piuttosto rifletterebbe i mutamenti subiti dal contratto di
compravendita in età postclassica, anche sotto il profilo della essenzialità
del pagamento del prezzo ai fini del trasferimento di proprietà, secondo M. Sargenti, Per una revisione, cit., 37 ss., per il quale, peraltro, il
sostantivo ‘auctoritas’ sarebbe qui
impiegato senza alcun riferimento all’istituto della mancipatio, per indicare del tutto genericamente e impropriamente
la responsabilità per evizione del venditore, secondo quanto sostenuto già da
A. Magdelain, Auctoritas rerum, in RIDA. 5 (1950), 135 s.; in una
differente prospettiva, un uso non tecnico del termine auctoritas, ma solo con riferimento al § 1 e alla rubrica ‘de contrahenda auctoritate’ (Paul. Sent.
5.10), è denunciato pure da K. F.
Thormann, Auctoritas. Ein Beitrag
zum römischen Kaufsrecht, in Iura
5 (1954), 12 ss., il quale però riteneva insospettabile l’impiego del termine
nel § 3; che il termine auctoritas
(da intendersi nel senso di ‘qualità di dante causa’) esprima in Paul. Sent.
2.17 un concetto non ‘circoscritto all’ambito della mancipatio, ma anzi riferito a qualsiasi forma di compravendita’, è
sostenuto più recentemente anche da F.
J. Casinos-Mora, ‘Auctoritas’,
cit., 110 ss., il quale peraltro reputa improbabili le correzioni del brano
suggerite dagli studiosi per spiegare l’uso del genitivo ‘auctoritatis [‘auctoritatis
nomine-actione], trattandosi secondo lo studioso di un ‘genitivo di
riferimento’ da mettere in relazione all’endiadi ‘manebit obnoxius’, da tradurre: ‘rimarrà [scil. il venditore]
assoggettato per quel che riguarda l’auctoritas’;
serie riserve sulla proficua utilizzabilità del brano nel senso indicato dalla
dottrina tradizionale sono avanzate da E.
Gintowt, Edictale ‘auctoritas’ des
Verkaufers und die ‘Sententiae Pauli’, in Studi Volterra 5, Milano 1971, 561 ss. Sul brano vd. anche (in
difesa della genuinità della locuzione ‘pretio
accepto’ e del tratto ‘aliter-obligari’
messa in dubbio da Pringhseim) Ch. Appleton, A l’époque
classique le transfert de propriété de la chose vendue et livree était-il
subordonné, en règle, au paiement du prix?, in RHDFE. 7 (1928), 189 s. nt. 2.; ulteriori indicazioni si possono trovare
in S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 33
nt. 90.
[44] In
proposito vd. A. Pernice, rec. a E. Danz, Die auctoritas, cit., in Jenäer
Literaturzeitung 14 (1877), 212; P. F. Girard,
L’action auctoritatis, in NRHDFE. 6 (1882), 182 nt. 2; pur in un
ordine di idee che tende ad un significativo ridimensionamento del valore del
brano per lo studio del regime classico dell’evizione, l’importanza che la
testimonianza ha rivestito nei processi di messa a punto della dottrina
maggioritaria è ben evidenziata da E.
Gintowt, Edictale ‘auctoritas’,
cit., 562.
[45] Per
una dettagliata indicazione delle fonti in questione, vd. P. F. Girard, Mélanges 2, cit., 160 ss.; più di recente H. Ankum, L’actio
auctoritatis, cit., 9 ss.
[46] Prob.
4.7 ‘quando in iure te conspicio, postulo
anne far auctor’. In proposito vd. B.
Albanese, Sull’intervento
dell’‘auctor’ nella ‘legis actio sacramenti in rem’, in Labeo 41 (1995), ora in Id., Scritti giuridici 3, a cura di G. Falcone, Torino 2006, 447 ss.;
che ‘la formula si riferisca ad un qualsiasi processo di evizione’ si trova
sostenuto in L. Amirante, Il concetto unitario dell’‘auctoritas’,
in Studi Solazzi, Napoli 1949, 380
nt. 10.
[47] Danno
giustamente risalto al brano P. F.
Girard, L’action auctoritatis,
cit., 195 ss.; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 316 s.; H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 19 s.; privo di consistenza invece
secondo A. Calonge, Evicciòn, cit., 18; dubbi sulla autenticità
del brano si trovano espressi in Ph.
Meylan, Varron et les conditions du transfert de la proprieté dans la vente
romaine, in Scritti in onore di
Contardo Ferrini 4, Milano 1949, 177 ss.; in proposito vd. P. Fuentesca, ‘Mancipium’, cit., 79 ss., al cui punto di vista mostra di aderire A. Calonge, Evicciòn, cit., 18 nt. 11; sul passo di Varrone si veda anche R. Ortu, Garanzia per l’evizione: ‘stipulatio habere licere’ e ‘stipulatio
duplae’, in La compravendita e
l’interdipendenza 2, cit., 341 ss., 356 ss., alla quale si rinvia per una
valutazione circa eventuali connessioni tra l’impianto narrativo varroniano e
l’editto degli edili curuli; un dettagliato resoconto bibliografico si trova in
S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit.,
251 s. nt. 129.
[49] In
questi termini, soprattutto, F. De
Visscher, Le rôle de l’auctoritas
dans la ‘mancipatio’, in RHDFE.
12 (1933), 610 ss. (ora in Nouvelles Études de droit romain public et
privé, Milano 1949, 143 ss.); L.
Amirante, Il concetto unitario, cit., 378 ss.; verso una funzione di convalida dell’acquisto ‘nei cui confronti
la garanzia per evizione e l’eventuale assistenza nel processo relativo non
rappresentavano che delle particolari — se pure in pratica le più rilevanti —
esplicazioni o conseguenze’ si orienta anche F.
Gallo, Studi sul trasferimento
della proprietà in diritto romano, Torino 1955, 91 s., 139 s. nt. 20, il
quale però non condivide l’interpretazione (proposta dallo studioso francese)
delle disposizioni decemvirali in tema di auctoritas.
[50] Così M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 388 s.; in difesa dell’esistenza dell’actio auctoritatis, ci limitiamo a
segnalare M. Kaser, Die römische Eviktionshaftung nach
Weiterverkauft, in Sein und Werden im
Recht. Festgabe für Ulrich von Lübtow, Berlin 1970, 471 nt. 1; soprattutto H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., passim;
Id., Problemi concernenti la responsabilità per evizione, cit., 605 ss.;
tra gli studi più recenti, J. C. Wolf,
Per una storia dell’emptio venditio:
l’acquisto in contanti quale sfondo della compravendita romana. Una lezione,
in Iura 52 (2001), 49.
[51] Per
una stretta connessione tra mancipatio
- auctoritas e actio auctoritatis, vd. già Th.
Mommsen, De auctoritate
commentatio (Juristische Schriften
3), cit., 461 s.; G. Huschke, Über das Recht des nexum, Leipzig 1846,
171 ss.; P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 191, 121
s.; adesivamente F. De Visscher, Le rôle de l’auctoritas, cit., 625, con
un punto di vista decisamente da preferire rispetto alla tesi sostenuta in ‘Auctoritas’ et ‘mancipium’, in SDHI. 22 (1956), 100 ss., 109, in cui
deve ritenersi poco limpido il tentativo di estensione dell’auctoritas all’ipotesi di trasferimento
di res mancipi avvenuto mediante
semplice traditio, con la precisazione però che tale garanzia
non avrebbe comunque portato ad una sanzione penale (il duplum dell’actio auctoritatis), ritenendosi a tal fine indispensabile il
compimento del rito mancipatorio: nello stesso ordine di idee vd.,
comunque, L. Amirante, Il concetto unitario, cit., 378 ss.,
385; considerazioni in qualche modo raccolte anche da M. Sargenti, Per una
revisione, cit., 66 ss., per il quale si sarebbe eventualmente trattato di
una forma di garanzia pubblica che non avrebbe costituito la «conseguenza della
mancipatio» e che anzi sarebbe stata
«richiesta proprio dove la mancipatio
manca»; non escludeva che in un primo tempo si potesse discutere di auctoritas con riferimento ad ogni
obbligazione di garanzia, ancorché non scaturente da mancipatio V. Arangio-Ruiz,
La compravendita, cit., 317 s., il
quale però respingeva l’ipotesi di una costituzione automatica dalla traditio. Per la sussistenza del
medesimo dovere di assistenza in caso di impiego di in iure cessio (sulla scorta di Gai 2.22) vd. G. Huschke, Über das Recht des nexum, cit., 9; più recentemente, sempre nel
senso di una estensione del regime dell’auctoritas
a partire dall’età decemvirale alla in
iure cessio, vd. M. Kaser, Neue Studien zum altrömische Eigentum, in ZSS. 68 (1951),
159; per una valutazione critica vd. già E. I. Bekker, Die Aktionen
des römischen Privatrechts 1, Berlin 1871, 33 nt. 19; severo il giudizio
(‘exegetische Willkür’) di A. Bechmann,
Der Kauf 1, cit., 142 s. e ivi nt. 2;
P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 191 nt. 1; F. de Visscher, Le rôle de
l’auctoritas, cit., 625 nt. 1; F.
Gallo, Studi sul trasferimento,
cit., 137 ss. e ivi nt. 16, per il quale si tratterebbe di un «elemento
peculiare, integrante ed esclusivo della mancipatio
medesima»; che l’actio auctoritatis
presupponga sempre una mancipatio è
sostenuto più recentemente anche da O.
Behrends, La mancipatio, cit.,
52 nt. 7.
[52] Sul
punto vd. B. Albanese, Sull’intervento dell’‘auctor’ (Scritti giuridici 3), cit., 447 ss.;
sostanzialmente senza seguito l’ipotesi di un intervento dell’‘auctor’ in qualità di sostituto
cautamente avanzata da A. F. Rudorff,
Über die Litiscrescenz, in ZGR. 14 (1848), 432; E. Rabel, Die Haftung des Verkaufers 1, Leipzig 1902, 14; contrari: P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 188 ss., con una sostanziale apertura
però rispetto all’ipotesi di un intervento alieno
nomine nell’ambito della procedura formulare; V. Arangio-Ruiz, La
compravendita, cit., 313; G.
Pugliese, Il processo civile
romano 1. Le legis actiones, Roma
1962, 231 s.; C. A. Cannata, ‘Quando in iure te conspicio’, in Diritto e processo nell’esperienza romana.
Atti del Seminario torinese in memoria di G. Provera (Torino 4-5 dicembre 1991),
Torino 1994, 198 s.; B. Albanese,
Sull’intervento dell’‘auctor’ (Scritti giuridici 3), cit., 474.
[53] O. Karlowa,
Der römische Civilprozess zur Zeit der
Legisactionen, Berlin 1872, 75; H. Ankum,
L’actio auctoritatis, cit., 12 ss.,
20.
[54] Su
tali modalità, che sembrano collegate ad una pronunzia formale (‘laudare auctorem’) da parte del
convenuto-mancipio accipiens, alla
quale doveva far seguito una domanda dallo stesso rivolta all’‘auctor’ con risposta adesiva da parte di
quest’ultimo, vd. B. Albanese, Gli atti negoziali nel diritto privato
romano, Palermo 1982, 45; Id.,
Sull’intervento dell’‘auctor’ (Scritti giuridici 3), cit., 468 ss.,
474; C. A. Cannata, ‘Quando in iure te conspicio’, cit., 195;
che la domanda fosse rivolta all’auctor
dal terzo rivendicante, piuttosto che dal convenuto, era invece sostenuto da V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 313.
[55] Ad una
situazione giuridica soggettiva passiva sostanzialmente assimilabile alla moderna
nozione di ‘onere’ pensa C. A. Cannata,
‘Quando in iure te conspicio’, cit.,
193 s.; uno spunto in tal senso si può già rinvenire in M. Kaser, Eigentum und
Besitz im älteren römischen Recht, 2a ed., Köln-Graz 1956, 130; di un vero
e proprio obbligo coercibile mediante in
ius vocatio discute piuttosto B.
Albanese, Sull’intervento
dell’‘auctor’ (Scritti giuridici
3), cit., 456 ss.; inadeguata la prospettiva canonica di una ‘obligatio ex delicto’ secondo P. Fuentesca, Trasferimento, cit., 98 ss., il quale piuttosto, alla luce anche
del già richiamato Paul. Sent. 2.17.1, si orienta verso una ‘soggezione nella
situazione di nexus (cioè obnoxius)’ coercibile mediante manus iniectio (damnati); ancora differentemente pensava, almeno per le fasi
iniziali, ad ‘une prérogative, une facultè, comme la potestas’ P. Noailles,
Du droit sacré au Droit civil. Cours de
Droit Romain Approfondi (1941-1942),
Paris 1949, 226.
[57] In
proposito vd. G. Huschke, Über das Recht des nexum, cit., 96 s.;
P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 192; F. de Visscher, Le rôle de
l’auctoritas, cit., 625 s.;
M. Kaser, RP., 2a ed., 133; B.
Albanese, Gli atti negoziali,
cit., 43 s., 263; Id., Sull’intervento dell’‘auctor’ (Scritti giuridici 3), cit., 454; M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 410 s. Per le fonti si veda, in aggiunta
al già richiamato Paul. Sent. 2.17.1, soprattutto Ulp. 32 ad ed. D.19.1.11.2 ‘si modo
pretium numeratum aut eo nomine satisfactum’ e J.2.1.41 (su cui vd. infra ntt. 110-111); in senso contrario,
e per una diagnosi interpolazionistica dei brani in cui tale principio si trova
affermato, vd. F. Pringsheim,
Der Kauf mit fremdem Geld, Leipzig
1916, 78 ss.; Id., Eigentumsübergang beim Kauf, in ZSS. 50 (1930), 436 ss.
[58] Per
una identificazione dell’usus
decemvirale con la possessio ad
usucapionem vd. V. Arangio-Ruiz,
La compravendita, cit., 311 s.; punto
di vista condiviso da M. Talamanca,
voce Vendita (dir. rom.), cit., 388
nt. 872; interpreta ‘usus’ nel senso
di usucapione anziché di ‘mera utilizzazione’ anche B. Albanese, Gli atti
negoziali, cit., 44 nt. 51; Id.,
‘Usus auctoritas fundi’ in XII Tab. 6,3
secondo le testimonianze di Cicerone, in AUPA. 45.1 (1998), ora in Id.,
Scritti 3, cit., 488 ss.; alla luce
soprattutto di Cic., Pro Caec. 19.54
‘Lex usum et auctoritatem fundi iubet
rell.’, concludono nel senso di un asindeto V. Arangio-Ruiz, La
compravendita, cit., 311 s.; B.
Albanese, ‘Usus auctoritas fundi’,
cit., 477 ss.; diversamente, in base anche a Boeth., Ad Cic. Top. 4.23 ‘usus
auctoritatem’, considerano in Cic., Top.
4.23 ‘usus’ genitivo oggettivo di ‘auctoritas’ (nel senso di garanzia
relativamente al possesso) T. Mayer-Maly,
Studien zur Frühgeschichte der ‘usucapio’
2, in ZSS. 78 (1961), 221 ss.; M. Kaser, Altrömisches Eigentum und ‘usucapio’, in ZSS. 105 (1988), 128 ss.; su cui vd. M. Talamanca, Pubblicazioni
(1989-1990), cit., 865.
[59] Così B. Albanese, ‘Usus auctoritas’, cit., 494 s., al quale si rimanda per ulteriori
indicazioni; più recentemente M.
Humbert, Il valore semantico e
giuridico di ‘usus’ nelle Dodici Tavole, in Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli Umanisti, a cura di M.
Humbert, Pavia 2005, 393; per una interpretazione nel senso di ‘contro’ vd.
invece T. Mayer-Maly, Studien, cit., 276; M. Kaser, Altrömisches Eigentum, cit., 143.
[60] Al
riguardo vd. V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 313 s.; non ha
avuto seguito la proposta di identificare l’hostis
con il rivendicante avanzata da
O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte 2, Leipzig 1901, 406; P. F. Girard, Mélanges 2, cit., 227 e ivi nt. 3; egualmente senza successo
l’interpretazione suggerita da F. De
Visscher, Le rôle de l’auctoritas,
cit., 620 ss.; Id., “Aeterna
auctoritas”, in RHDFE. 16 (1937), 573 ss., secondo la quale il
versetto decemvirale avrebbe riguardato la garanzia dovuta al compratore nel
giudizio di rivendica da lui intentato nei confronti dello straniero
possessore; rilievi critici ad entrambe le tesi si trovano espressi in V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 315 s. nt. 15; una critica alla tesi di De
Visscher si trova anche in M. Sargenti,
Per una revisione, cit., 65 s.; per
un’analisi della norma decemvirale, vd. M.
Humbert, Il valore semantico,
cit., 392 ss.; da ultima, con indicazioni bibliografiche, R. Ortu, Garanzia per l’evizione, cit., 348 ss.
[61] In
proposito vd., con indicazione delle fonti, F.
De Visscher, “Aeterna auctoritas”, cit., 579 ss.; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 314; più recentemente M. Humbert, Il valore semantico, cit., 397 ss.; per una valutazione delle
incongruenze che sorgerebbero sul piano della relazione usus-auctoritas nella
prospettiva di una inusucapibilità delle res
furtivae in epoca decemvirale (Gai 2.45, 49), ancora interessante si rivela
la lettura di U. von Lübtow, Studien zum altrömischen Kaufrecht, in Festschrift Koschaker 2, Weimar 1939,
118 s., il quale da parte sua prova a risolvere tali incongruenze attraverso
l’ipotesi di uno sviluppo ancora non completo del diritto di proprietà ‘vom
relativen zum absoluten Recht’. Sviluppo che invece si sarebbe ultimato
all’epoca della lex Atinia, rendendo
così necessaria l’estensione alle res
subreptae della regola ‘aeterna
auctoritas’ (già valida adversus
hostem), al fine di mantenere intatta la relazione di dipendenza tra auctoritas e usus.
[62] Per un
accostamento con la nozione di obbligazione di risultato, vd. T. dalla Massara, Garanzia per evizione e interdipendenza delle obbligazioni nella
compravendita romana, in La
compravendita e la interdipendenza 2, cit., 283; Id., Evizione e
circolazione, cit., 251; Id.,
Per una ricostruzione, cit., 105 s.
[63] Così A. Pernice, Labeo. Römisches Privatrecht im ersten Jahrhunderte der Kaserzeit
3, Halle 1892, 118; che il mancipio dans
risultasse responsabile per il solo fatto di essersi sottratto a tale
assistenza è sostenuto tra gli studiosi più recenti da H. Ankum, L’actio
auctoritatis, cit., 30 s.; Id.,
Problemi concernenti l’evizione,
cit., 612; M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 404 nt. 1039,
per il quale rimane impossibile stabilire se il mancipio dans potesse comunque paralizzare ope exceptionis l’azione intentata dal compratore, in caso di esito
del processo a quest’ultimo favorevole; in questo senso da ultimo sembrerebbe
anche T. dalla Massara, Per una ricostruzione, cit., 104 ss.,
per quanto l’autore poi osservi: «la responsabilità scattava per il fatto in sé
che il mancipio accipiens avesse a
soccombere in giudizio»; a diverse conclusioni si perverrebbe, inevitabilmente,
qualora si dovesse seguire la proposta di un accostamento con la figura
dell’onere suggerita da C. A. Cannata,
‘Quando in iure te conspicio’, cit.,
193 s.; sostanzialmente compromissoria la soluzione di P. F. Girard, Mélanges
2, cit., 280 ss., soprattutto 293 s., di legare l’esercizio dell’azione ad un
esito formalmente negativo del processo, indipendentemente però dal verificarsi
di un effettivo pregiudizio patrimoniale per il compratore.
[64] Così,
alla luce soprattutto del già ricordato Paul. Sent. 2.17.1-3, ove si immagina
che Paolo avesse scritto originariamente ‘auctoritatis
[actione] manebit obnoxius’, ‘auctoritatis
[actione] venditor…obligatur’; in tal senso vd. per tutti P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 181; V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,2
cit., 320.
[65] H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 44 s., il quale così argomenta in base
al ricorso alla locuzione actio de
evictione che assai di frequente si rinviene nelle fonti.
[66] Sul
punto vd. P. F. Girard, Mélanges 2, cit., 230 ss., 294 ss.; M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 407 s.; A. Corbino, Il
formalismo negoziale nell’esperienza romana. Lezioni, Torino 1994, 25 s.;
relativamente all’ipotesi di evizione derivante dall’esistenza di servitù sul
bene alienato, insiste sulla connessione della responsabilità, più che col
negozio mancipatorio, con la clausola (non essenziale) ‘uti optimus maximusque’ anche M.
Sargenti, Per una revisione,
cit., 33 ss., il quale, in più, avanza dubbi sul fatto che la relativa azione
prevedesse una poena dupli; per una
estensione della responsabilità anche all’ipotesi di rivendica di servitù vd.,
invece, V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 320 (‘È
da ritenere per certo, benché manchino anche qui prove dirette, che il regime
si applicasse anche all’evizione parziale, nonché alla rivendicazione di
diritti sulla cosa, come le servitù prediali e l’usufrutto’).
[67] Così,
nella prospettiva di una derivazione dell’actio
auctoritatis formulare dalla manus
iniectio, vd. G. Huschke, Über das Recht des nexum, cit., 188 ss.;
più recentemente anche M. Humbert,
Il valore semantico, cit., 381 nt. 7,
386. Per una valutazione critica vd. A.
F. Rudorff, Über die Litsicrescenz,
cit., 444 ss.; (con riferimenti alla letteratura più risalente) P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 205 ss.; C. Brezzo, La
mancipatio, cit., 100; M. Kaser,
Das altrömische ‘Ius’. Studien
zür Rechtsvorstellung und Rechtsgeschichte der Römer, Göttingen 1949, 135 nt. 1, 142 ss.; Id., Neue Studien, cit., 180 nt. 120; B.
Albanese, Il processo privato
romano delle legis actiones, Palermo 1987, 51; M. Kaser-K. Hackl, Das
römische Zivilprozessrecht, München 1996, 135 nt. 24.
[68] Per il
carattere penale, o ancor meglio misto, dell’azione vd. P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 212 ss.; Id., Manuel élémentaire,
cit., 591 nt. 1; A. Pernice, Labeo 3, cit., 115 ss.; E. Rabel, Die Haftung 1, cit., 8 ss.; F.
De Visscher, Le rôle de
l’auctoritas, cit., 637 nt. 2; V. Scialoja, Teoria della proprietà 2, cit., 142; M. Kaser, Eigentum und Besitz,2 cit., 128 s.; L. Amirante, Il concetto
unitario, cit., 384; B. Albanese,
Gli atti negoziali, cit., 45 nt. 58;
di ‘due elementi penali’ (l’aver ‘venduto cosa che non gli appartiene’, non
aver ‘dato al compratore l’assistenza dovuta’) discute più recentemente H. Ankum, Problemi concernenti la responsabilità per evizione, cit., 610. In
senso contrario, nell’ottica di una presuntiva determinazione legislativa del
danno nella misura del duplum, vd.
già A. Longo, La ‘mancipatio’, Firenze 1887, 141 s.
nt. 21; più recentemente F. Schulz,
Classical Roman Law, cit., 534; ad
una ‘funzione di largo risarcimento del danno’ sin dalle origini pensava V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 320 s. nt. 3; decisamente scettico sulla
natura penale, anche relativamente all’età repubblicana, M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 399 nt. 996.
[69] In
questo senso vd. in particolare M. Kaser,
Eigentum und Besitz, cit., 128 s., per
il quale, già prima dell’età classica, l’azione sarebbe divenuta non infamante,
trasmissibile passivamente e probabilmente non nossale: la stessa misura del duplum avrebbe finito per assumere «die
Funktion eines pauschalierten Schadensersatzes». L’unico carattere formalmente
mantenuto dell’antico regime penale sarebbe stato quello della cumulabilità nei
confronti di più venditori, per quanto anche tale aspetto sarebbe stato
sostanzialmente paralizzato già a partire da Labeone mediante la concessione di
exceptio doli; rilievi in tal senso
si trovano anche in P. F. Girard,
L’action auctoritatis, cit., 216; Id., L’auctoritas, cit., 262 s.; per una trasformazione del duplum in ‘Interessenersatz’ vd. K. F. Thormann, Auctoritas, cit., 82; (relativamente al cumulo c.d. oggettivo) H. Ankum, Das Ziel der ‘actio empti’, cit., 3216 nt. 5; fatta eccezione per
la condanna al duplum, più
recentemente sembra denunciare l’assenza dei caratteri propri dell’azione
penale anche T. dalla Massara, Garanzia per evizione, cit., 284; punto
di vista ultimamente ribadito in Id.,
Per una ricostruzione, cit., 104.
[70] Così, O. Lenel, EP., cit., 542 ss.; adesivamente A.
Pernice, Labeo 3, cit., 115; P. F. Girard, La garantie d’eviction dans la vente consensuelle, in NRHDFE. 8 (1884), 400 nt. 2; Id., Mélanges 2, cit., 163 ss.; V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,
cit., 322 ss.; K. F. Thormann, Auctoritas, cit., 83; H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 33 ss.; in senso contrario,
naturalmente, M. Sargenti, Per una revisione, cit., 68 ss.; di
«razón inconsistente» discute P.
Fuentesca, ‘Mancipium’, cit.,
141.
[71] Il
tentativo più serio in proposito rimane ancora quello compiuto da P. F. Girard, Mélanges 2, cit., 301 ss., sui vd. infra nt. 154; rinunciava
ad una ricostruzione testuale O. Lenel,
EP., cit., 542 ss., spec. 546 e ivi
nt. 3, il quale giudicava «Plausible, aber unbeweisbare Vermutungen» le
conclusioni di Girard; nessun riferimento all’azione si trova in D. Mantovani, Le formule del processo privato romano. Per la didattica delle Istituzioni
di diritto romano, Padova 1999.
[72] R. Jhering, Geist des römischen Rechts auf verschiedenen Stufen seiner Entwicklung
3, Leipzig 1906, 140 ss.; seguito soprattutto da P. F. Girard, L’action
auctoritatis, cit., 211 s.; adesivamente, per quanto in una prospettiva
opposta sul piano della valutazione degli effetti tipici della mancipatio (solo obbligatori, almeno in
origine), anche Ph. Meylan, La genese de la vente consensuelle romaine,
in TR. 21 (1953), 141; per una
valutazione critica si rinvia a V.
Scialoja, Teoria della proprietà
2, cit., 144.
[73] Così, in particolare, R. Jhering, Geist des
römischen Rechts auf verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, 2.2, 5a ed. Leipzig
1898, 546, di cui si veda anche Geist
3, cit., 141 in cui l’Autore si pronuncia più nettamente per una
identificazione con il furto: «dürfte man in ihr (scil. actio auctoritatis) wohl eine qualifizierte Diebstahlsklage
erblicken»; Ch. Appleton, A l’époque classique le transfert de
propriété, cit., 189 nt. 2; U. von
Lübtow, Studien zum altrömischen
Kaufrecht, cit., 117; («fatto delittuoso non diverso da un furto») C. Gioffredi, Diritto e processo nelle antiche forme giuridiche romane, Roma
1955, 254; congetturalmente, quantomeno per le origini, anche B. Albanese, Gli atti negoziali, cit., 45 nt. 58; F. J. Casinos-Mora,
‘Auctoritas’, cit., 118; con cautela, di ‘responsabilità penale
avvicinabile a quella prevista per il furtum
nec manifestum’ discute da ultimo T.
dalla Massara, Evizione e circolazione,
cit., 250; per una valutazione critica vd. (in aggiunta agli autori indicati infra in nt. 81) A. Longo, La
‘mancipatio’, cit., 140 s.; più recentemente O. Behrends, La
mancipatio, cit., 52 nt. 7.
[75] P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 216 s.; seguito da E. Rabel, Die Haftung 1, cit., 8 s.; per una valutazione critica, vd.,
convincentemente, M. Sargenti, Per una revisione, cit., 22 s.
[76] Così,
pur segnalando un’analogia con l’ipotesi del furtum nec manifestum
(«nicht anders als wenn er ihn bestohlen hätte») M. Kaser, Eigentum und
Besitz, cit., 120 ss., 143, con la successiva precisazione (Neue Studien,
cit., 180 s.) che non si sarebbe però trattato di una ‘reine Deliktshaftung’,
ma più propriamente di «eine der deliktischen nachgestaltete, aber von der
deliktischen Schuld losgelöste Empfangshaftung»); adesivamente (rispetto
all’impostazione di Eigentum und Besitz)
L. Amirante, Il concetto unitario, cit., 384; più recentemente J. G. Wolf, Funktion und Struktur der mancipatio, in Mélanges de droit romain et d’histoire ancienne. Hommage à la mémoire
de André Magdelain, Paris 1998, 514 s.
[77] Ad un
effetto ricollegabile ad una specifica nuncupatio
pensava, seppur in via congetturale, G. Huschke,
Über das Recht des nexum, cit., 188
ss., su cui vd. infra nt. 79; ipotesi
rilanciata in termini più decisi da O. Karlowa,
Der römische Civilprozess, cit., 75
s. nt. 2; Id., Römische Rechtsgeschichte 2, cit., 373
ss.; nel senso di una nuncupatio
‘tipica’ (‘hanc ego rem…tuam esse aio’),
ma non apposita, costituendo l’auctoritas
un effetto automatico della mancipatio,
vd. M. Voigt, Die XII Tafeln 2, cit., 189; ad una
‘esplicita assunzione di garanzia nei tempi remoti, poscia per il solo fatto di
alienare’, credeva anche S. Perozzi,
Istituzioni di diritto romano 1,
Firenze 1906, 404; una connessione con una formula del tipo ‘auctor sum’ (similarmente a Plaut., Poen. 146) pronunciata immediatamente
dopo il pagamento del prezzo, non era esclusa neppure da F. De Visscher, Le rôle de l’auctoritas,
cit., 634, per quanto lo studioso si orientasse per un’approvazione tacita
consistente nella semplice assistenza al compimento del rito, rappresentando l’auctoritas una garanzia automatica della mancipatio
indipendentemente da una nuncupatio (625); nello stesso senso, anche G. Pugliese, Compravendita, cit., 30 nt. 12, il quale comunque riteneva «del
tutto plausibile anche l’ipotesi che questa obligatio…sorgesse
automaticamente….e allora forse sarebbe sorta anche se la mancipatio fosse stata compiuta per causa diversa dalla vendita»;
più recentemente non esclude che «nel caso poteva essere prevista, allo scopo,
un’apposita nuncupatio» neppure T. dalla Massara, Garanzia per evizione, cit., 283; Id.,
Evizione e circolazione della proprietà,
cit., 249; Id., Per una ricostruzione, cit., 103 e ivi
nt. 14; ulteriori riferimenti alla letteratura meno recente si possono trovare
in P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 192 ss.; M. Kaser, Eigentum und Besitz, cit., 116 nt. 6.
[78] (Non consultato) Ph. Meylan, Periculum
est emptoris, in Festschrift T. Guhl,
Zurig 1950, 9 ss.; Id., La genese de la vente consensuelle,
cit., 137, 139 e ivi nt. 22, il quale con riferimento allo schema mancipatorio
gaiano (Gai 1.119) così si esprimeva: «mancipation amputée de l’element qui,
dans l’institution plus ancienne, constituait la source première de
l’obligation d’auctoritas».
[79] In
questo senso soprattutto G. Huschke,
Über das Recht des nexum, cit., 37
ss., 171 ss.; indicazioni in C. Brezzo,
La mancipatio, cit., 37 ss., 97 nt.
14, 102 ss.; C. Gioffredi, Nexum, in NNDI. vol. XI, Torino 1968, 271; più recentemente di probabile
‘identità negoziale’ discute P.
Fuentesca, Trasferimento,
cit., 93 ss.; sul punto e per un’analisi di Varr. 7.105, vd. A. Magdelain, L’acte per aes et
libram et l’auctoritas, in RIDA.
28 (1981), 129 ss.
[80] Cic., de off.
3.16.65 ‘Ex XII satis erat ea praestare
quae essent lingua nuncupata, quae qui inficiatus esset, dupli poenam subibat’:
in questo senso («Solemne et quasi religiosum videbatur mancipationis carmen»)
vd. Th. Mommsen, De auctoritate commentatio (Juristische Schriften 3), cit., 461, il
quale arrivava a congetturare che nella ‘formula
mancipationis’ fossero cadute «ea verba, quibus mancipio dans antea nexu se
obligat»: dichiarazione che comunque avrebbe costituito parte integrante del
formulario, trattandosi comunque di una ‘obligatio’ che si costituiva ‘ipso
iure ex mancipatione’; così anche («Sie ist…eine poena perfidiae für den Bruch
der publica fides») A. F. Rudorff,
Über die Litiscrescenz, cit., 431,
447.
[81] Per
una valutazione critica, devono ritenersi ancora utili le indicazioni che si
traggono da P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 192 ss.,
210 ss.; e C. Brezzo, La mancipatio, cit., 95 ss., al quale si
rimanda, peraltro, per ulteriori riferimenti alla letteratura meno recente; in
proposito si vedano anche G. G. Archi,
Il trasferimento della proprietà nella
compravendita romana, Padova 1934, 83 ss.; (naturalmente) M. Sargenti, Per una revisione, cit., 26 ss., 61 ss.; (con efficace sintesi) K. F. Thormann, Auctoritas, cit., 2 ss.; V. Arangio-Ruiz,
La compravendita,2 cit., 320 nt. 3;
più recentemente M. Talamanca,
voce Vendita (dir. rom.), cit., 387
nt. 870.
[82] In
questo senso già G. Huschke, Über das Recht des nexum, cit., 171 s.;
così sostanzialmente, pur in un quadro complessivo che tende a distinguere tra
elemento inerente e immanente, anche A. Bechmann,
Der Kauf nach gemeinen Recht. Geschichte
des Kaufs im römischen Recht 1,
Erlangen 1876, 101, 142 s.; F. P. Girard,
L’action auctoritatis, cit., 194 ss.;
M. Voigt, Die XII Tafeln. Geschichte und System des Zivil - und Criminalrecht wie
Prozesses der XII Tafeln nebst deren Fragmenten. Das Zivil - und Criminalrecht der
XII Tafeln 2, Leipzig 1883, 188 ss.; A.
Longo, La ‘mancipatio’, cit.,
141 s.; (‘conseguenza naturale della mancipatio’)
C. Brezzo, La mancipatio, cit., 101, F.
de Visscher, Le rôle de l’auctoritas, cit., 625; K. F.
Thormann, Auctoritas, cit.,
10; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 320 nt. 3; F. Gallo, Studi sul trasferimento, cit., 89; H. Honsell, Quod
interest, cit., 22 nt. 9; A. Watson,
Rome of the XII Tables. Persons and Property, New
Jersey 1975, 140 s.; H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 8; G. Pugliese, Sull’obbligazione di ‘mancipare’, cit., 608; (‘effetto tipico’) A. Corbino, Il formalismo negoziale, cit., 25; di ‘elemento naturale’ del
negozio discute più recentemente anche T.
dalla Massara, Garanzia per
evizione, cit., 282 nt. 8.
[83] Tra
gli studiosi più recenti vd. M.
Talamanca, voce Vendita (dir.
rom.), cit., 387 nt. 870, 388 nt. 879, ove è evidenziata la difficoltà di
inquadrare con esattezza tale effetto tra gli elementi essenziali o accidentali
del negozio.
[84] Nella prospettiva di una «Zusage nicht in
der äusseren Form eines Versprechens, sondern in der Form einer
stillschweigenden Affirmation, die aber als Bestandtheil eines publicistischen
Geschäfts von selbst die Plifcht erzeugt, für ihre Wahrheit einzustehen», vd. A. Bechmann, Der Kauf 1, cit., 101, 142 s.; così sostanzialmente anche F. De Visscher, Le rôle de l’auctoritas,
cit., 635, di cui si veda però anche ‘Auctoritas’
et ‘ mancipium’, cit., 109, in cui
piuttosto si tenta di percorrere una spiegazione di ordine etico, quale
«infraction aux règles de l’honneur»; in una prospettiva magica vd. A. Hägerström, Der römischen Obligationsbegriff im Lichte der allgemeinen römischen
Rechtsanschauung 1, Uppsala 1927, 35 ss., 40; Id., Der römischen
Obligationsbegriff 2, Upssala 1941, 301 ss., 343 ss.; Levy-Bruhl, Nexum et mancipation, in Quelques
problèmes du très ancien droit romain, Paris 1934, 143; F. Leifer, Mancipium und auctoritas 2, in ZSS.
57 (1937), 161 ss.; diversamente, per una connessione con la seconda parte del
formulario ‘isque-libra’, vd. M. Humbert, Il valore semantico, cit., 379; in tal senso, com’è noto, già G. Huschke, Über das Recht des nexum, cit., 171 ss. Per una critica ai primi
due punti di vista («dichiarazione tacita», «carattere magico-religioso» della mancipatio), vd., con ulteriori
indicazioni bibliografiche, M. Kaser,
Eigentum und Besitz, cit., 116 ss.; M. Sargenti, Per una revisione, cit., 27 ss.; per una limpida analisi in chiave critica
della tesi di Bechmann, con dubbi soprattutto in ordine alla suggerita
distinzione dogmatica tra «Inhärieren und Immanent-sein», ancora proficua si
rivela la lettura di O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte 2, cit., 368
s.
[86] «Eine
ihrer Voraussetzungen» per R. Jhering,
Geist 3, cit., 140 ss.; egualmente P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 210 ss., 217, per il quale appunto la
«mancipation est une des conditions d’existence du delit»; adesivamente E. Rabel, Die Haftung 1, cit., 8 s.; più recentemente J. G. Wolf, Funktion und Struktur der mancipatio, cit., 515; una contaminazione
tra le due prospettive (effetto negoziale automatico – presupposto) sembra
cogliersi in V. Scialoja, Teoria della proprietà 2, cit., 137 ss.
[87] Da un
punto di vista formale in effetti si va incontro ad una certa difficoltà nel
considerare tecnicamente un ‘onere’ un comportamento (‘assistenza
processuale’), la cui mancata osservanza determina la costituzione del fatto
illecito stesso o comunque ne rappresenta il principale elemento costitutivo.
[88] Così
P. Bonfante, Forme primitive ed evoluzione della proprietà romana (“Res
mancipi„ e “res nec mancipi„), Roma
1888-89, ora in Scritti giuridici vari
2. Proprietà e servitù, Torino 1926,
125 s., 135 ss..; M. Wlassak, Der Gerichtsmagistrat im gesetzlichen
Spruchverfahren, in ZSS. 28
(1907), 73 e ivi nt. 1; nel senso di «eine uralte Einrichtung latinischen
Ursprungs» vd. anche M. Kaser, Eigentum und Besitz, cit., 107; E. Volterra, Mancipatio, in NNDI. vol.
X, Torino 1964, 99 nt. 4; M. Sargenti,
Per una revisione, cit., 50 s.
[89] Così
già R. Jhering, Geist 2.2, cit., 542 ss.; indicazioni in
proposito si trovano in C. Brezzo,
La mancipatio, cit., 35 ss.; (anche
per una più ampia valutazione della originaria nozione di vindicatio,
ancora imprescindibile si rivela la lettura di) E. Betti, La “vindicatio” romana primitiva e il suo
svolgimento storico nel diritto privato e nel processo, in Il Filangieri
1915, 3 ss., 20; M. Kaser, Eigentum und Besitz, cit., 107, 136 ss.;
P. Noailles, Du droit sacré, cit., 204 ss.; ad un «atto di solenne affermazione
del potere sulla cosa» pensa anche M.
Sargenti, Per una revisione,
cit., 51 s.; alla fusione di due differenti aspetti mostra di credere anche C. St. Tomulescu, Paul. D.18.1.1pr. et la mancipatio. (Considérations économiques et
juridiques), in RIDA. 18 (1971),
713 ss.; che il rito della mancipatio
descritto da Gaio rappresenti il risultato di un processo evolutivo che abbia
portato alla stratificazione di una più recente emptio librale rispetto ad una originaria ‘vindicatio’, intesa come «atto di apprensione solenne» è sostenuto
da P. Fuentesca, Trasferimento, cit., 88 ss. nt. 9;
diversamente, com’è noto, sono orientati a ritenere più recente la formula
vindicatoria, U. von Lübtow, Studien zum altrömischen Kaufrecht,
cit., 121 ss., il quale era peraltro dell’idea che nella sua configurazione
originaria il mancipium costituisse
un semplice atto materiale (e ‘ostile’) di impossessamento (‘emere’), per il cui compimento non fosse
richiesta alcuna pronuncia verbale solenne (neppure dunque la ‘emere-Klausel’); Ph. Meylan, La ‘satisdatio secundum mancipium’, in RHDFE. 26 (1948), 17 s.; Id., La genese de la vente consensuelle, cit., 140 ss.; C. Gioffredi, Diritto e processo, cit., 253 nt. 15; A. Magdelain, L’acte
per aes et libram, cit., 140; più recentemente anche F. Sturm, Origine et évolution, cit., 578 ss., secondo il quale la formula
vindicatoria sarebbe stata introdotta per analogia alla in iure cessio solo sul finire dell’età repubblicana; critiche al
punto di vista di Meylan si trovano formulate in G. Pugliese, Compravendita
e trasferimento della proprietà in diritto romano, in Vendita e trasferimento 1, cit., 27 nt. 6.
[90] In
questo senso specificamente P. Fuentesca,
Trasferimento, cit., 88 ss. e ivi nt.
9, il quale immagina una connessione con «l’effetto costitutivo augurale di una
lex dicta», al punto da supporre che
in origine il rito della mancipatio
avesse una diversa formulazione (non il ‘rem
tenens’ di Gai 1.119, ma analogamente a Liv.1.186-10, ‘hunc ego hominen <cuius caput ego teneo> ex iure quiritium meum
esse aio’): si sarebbe trattato di un atto di natura auspicale o augurale
«costitutivo in rapporto con i sacra
familiaria» (90 s. nt. 12); di «rito augural de incorporación de una
persona o cosa (res mancipi) al
núcleo religioso familiar» discute lo stesso autore in Líneas generales de la ‘fiducia cum creditore’, in Derecho romano de obligaciones, cit., 390 nt. 8; ‘inaccettabile’ il
tentativo di porre un fondamento pubblicistico all’auctoritas del mancipio dans’
per M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 389 nt. 880.
[91] In
quest’ordine di idee vd. soprattutto M.
Sargenti, Per una revisione, cit.,
59. Gli stessi dubbi ovviamente non sussistono fra quanti si pongono nella
prospettiva di un negozio traslativo del dominium
(‘Übereignugsakt’), o a maggior ragione nell’ottica di un atto principalmente o
esclusivamente costitutivo di responsabilità (‘Haftungsakt’). Per i primi,
vanno segnalati P. Voci, Modi di acquisto della proprietà, Milano
1952, 27 ss.; C. Gioffredi, Diritto e processo, cit., 251 s.; E. Levy, ‘Verkauf und Übereignung, in Iura
14 (1963), 1 ss.; A. Watson, Rome of the XII Tables, cit., 134 ss.; G. Pugliese, Vendita e atto traslativo, in Atti
e Memorie della Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena 8
(1990-1991), Modena 1993, 219; favorevole all’idea del trasferimento F. Gallo, Studi sul trasferimento, cit., 89, 109, il quale ritiene
«logicamente inconciliabile» l’obbligo di garanzia con l’ipotesi di un acquisto
a titolo originario da parte del mancipio
dans; O. Behrends, La mancipatio, cit., 54. Per i secondi,
con una gamma di posizioni che oscillano da una drastica esclusione di ogni
effetto reale alla costituzione di effetti reali ‘relativi’ o ‘iure privato’ (‘relatives Eigentum’) vd.
E. Rabel, Die Haftung 1, cit., 1 ss., 50 ss.; F. Leifer, Mancipium und
auctoritas 1, in ZSS. 56 (1936),
136 ss.; Id., Mancipium und auctoritas 2, cit., 112
ss.; riserve circa la idoneità della mancipatio a determinare un pieno
acquisto (iure publico) della proprietà, producendo questa piuttosto
«une propriété de pur droit privé, et dont les effects réels ne se trouvent
soutenus que par l’auctoritas du vendeur» si trovano espresse, com’è
noto, soprattutto in F. De Visscher,
Le rôle de l’auctoritas, cit., 640:
per una corretta valutazione del pensiero dello studioso francese risultano
utili le precisazioni sul punto contenute in ‘Auctoritas’ et ‘mancipium’,
cit., 94 s. e ivi nt. 16; ricollegava l’efficacia principale (‘Hauptwirkung’)
della mancipatio in origine alla
costituzione di una ‘Auktoritätshaftung’ anche M. Kaser, Eigentum und
Besitz, cit., 109; più radicalmente, per l’assenza di ogni effetto reale,
vd. in particolare Ph. Meylan, La satisdatio secundum mancipium, cit.,
16 s.; Id., Pourquoi le vendeur romain n’est il pas tenu de transférer la propriété
de la chose, in Festschrift für Otto
Riese, Karlsruhe 1964, 426 ss., con una posizione che risulta del resto
coerente con l’impostazione complessiva dell’autore orientata (supra nt. 89) nel senso di una più
recente origine della formula vindicatoria (‘aio-Satz’) rispetto all’impianto primitivo del negozio
mancipatorio; più recentemente pensa ad un atto originariamente costitutivo di
sola responsabilità anche H. Ankum,
L’actio auctoritatis, cit., 6 ss.,
secondo il quale all’idea del trasferimento di dominium si sarebbe approdati solo nel III sec. a. C., anche per
effetto della nascita della vendita consensuale;critico M. Talamanca, voce Vendita
(dir. rom.), cit., 387 nt. 870; in base a Plaut. Curc. 4.2.487 s., un’apertura più recentemente parrebbe cogliersi
(‘könnte man schließen, daß wichtigster Zweck der mancipatio nicht die Verschaffung des quiritischen Eigentums,
sondern der Eviktionsgarantie ist’) anche in D.
Nörr, Probleme der
Eviktionshaftung im klassischen römischen Recht, in ZSS. 121 (2004), 154 nt. 10, non sfuggendo però allo studioso il
ricorso qui ad un’espressa garanzia per l’ipotesi di vindicatio in libertatem (‘Memento
promisisse te, si quisquam hanc liberali caussa manu adsereret, mihi omne
argentum redditum eiri, minas triginta’).
[92] In un
ordine di idee che tende comunque a svalutare gli effetti di tale
trasformazione sul piano della costituzione di un dovere di garanzia, ritiene
già acquisita tale configurazione in epoca decemvirale M. Sargenti, Per una
revisione, cit., 58.
[93] In una
prospettiva evoluzionistica dell’istituto vd. R. Jhering, Geist 2.2,
5a ed., cit., 242 s.; A. Longo, La ‘mancipatio’, 40 s., 62; H. Lévy-Brühl, La formule vindicatoire,
in RHDFE. 11 (1932), 214 s.; nel senso di una svolta rispetto ad una
originaria fase in cui l’atto sarebbe stato contrassegnato da una natura
prettamente religiosa vd. P. Noailles,
Du droit sacré, cit., 214 ss., il
quale più in particolare spiegava l’introduzione della pesatura con l’esigenza
di costituire un valido strumento di prova da far valere nell’ambito del
processo civile di cui avrebbe costituito ‘une pièce essentielle’; tra gli
studi recenti vanno segnalati C. St.
Tomulescu, Paul. D.18.1.1pr.,
cit., 716 ss.; P. Fuentesca, Trasferimento, cit., 92 s.
[94] Dubbi
in proposito si trovano espressi in M. Kaser,
Neue Studien, cit., 175 s., Id., Eigentum und Besitz, cit., 136 ss., per il quale nel pagamento del
prezzo bisognerebbe piuttosto vedere il riscatto pagato per scongiurare la contravindicatio del dans; che l’uso della bilancia e della
pesatura non avrebbero determinato un’alterazione della natura del negozio
mancipatorio, rimanendo questo pur sempre un «atto di costituzione della
signoria sulla cosa» più che un atto di trasferimento, è sostenuto da M. Sargenti, Per una revisione, cit., 54 ss., il quale insiste su tale aspetto
per contestare l’esistenza di una garanzia per evizione, la quale costituirebbe
piuttosto una «esigenza inderogabile nella compravendita, ed in genere
nell’atto di scambio», esigenza che invece non sussisterebbe «se l’acquisto del
potere sulla cosa avviene con un atto di impossessamento»; un accostamento con
la vendita reale o in contanti (‘Barkauf’) è contestato più recentemente anche
da P. Fuentesca, Trasferimento, cit., 92 s. nt 15, in
considerazione del fatto che il «pagamento reale non rappresentava ancora un
prezzo dell’acquisto inteso come negozio giuridico trasmissivo, ma come una
controprestazione per la garanzia della legittimità di dominus del dans»: si
sarebbe trattato di una responsabilità di tipo non «esclusivamente
privatistico», ma connessa alla «funzione pubblica del mancipio dans in quanto auctor
venditionis», e che risalirebbe «alla concezione augurale della legittimità
pubblica» (101 nt. 32); in difesa del carattere giuridico della vendita a
contanti, e per una critica del punto di vista di Kaser, vd. V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 25 ss.; F.
Gallo, Studi sul trasferimento,
cit., 93 ss.
[96] Nel
senso di una originaria funzione di vendita a contanti, con pesatura del
prezzo, vd. P. F. Girard, Manuel élémentaire, 8a ed., cit., 310,
589; F. de Visscher, Le rôle
de l’auctoritas, cit., 526; G. Pugliese, La simulazione, cit., 82 s.; V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,
cit., 34; adesivamente F. Gallo, Studi sul trasferimento, cit., 90 s.; C. St. Tomulescu, Le funzioni del ‘nummus unus’ nella ‘mancipatio’, in RIDA. 23 (1976), 225; B. Albanese, Gli atti negoziali, cit., 39 ss.; più recentemente J. G. Wolf, Per una storia dell’emptio venditio, cit., 30 nt. 2; sebbene in una
prospettiva ‘non evoluzionistica’ dell’istituto, serie riserve sulla
configurazione della mancipatio in
termini di vendita a pesanti si trovano espresse in A. Corbino, Il
formalismo negoziale, cit., 21 ss.
[97] R. Jhering, Geist 2.2, 5a ed., cit., 542 s.; A.
Longo, La ‘mancipatio’, cit.,
62; («unsymmetrische Aufbau») U. von
Lübtow, Studien zum altrömischen
Kaufrecht, cit., 121; in termini più netti di ‘contradiction sans remède’
discuteva A. Magdelain, L’acte per aes et libram, cit., 140; sul
punto vd., anche Ph. Meylan, La genese de la vente consensuelle,
cit., 140; C. St. Tomulescu, Paul. D.18.1.1pr., cit., 715 ss.; per un
ridimensionamento, vd. piuttosto V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,2
cit., 22 ss.; più recentemente O.
Behrends, La mancipatio, cit.,
54 ss.
[98] In
questo senso già R. Jhering, Geist 2.2,5 cit., 540 s.; più
recentemente suggerisce il ricorso ad una doppia mancipazione, priva della più
recente parte conclusiva ‘isque-libra’
attestata nel rito mancipatorio gaiano, anche C.
St. Tomulescu, Paul. D.18.1.1pr.,
cit., 713, 720 ss.; in una prospettiva evoluzionistica che tendeva però a
privilegiare l’ipotesi di una più alta risalenza della seconda parte del
formulario gaiano (senza però l’inciso ‘hoc
aere aeneaque libra’), all’impiego di ‘Doppelmanzipationen’ — prima
autonome, poi collegate per relationem
(«wurden sich durch einen Zusatz ergänzt, wonach die Wegnahme des fremden durch
Preisgabe des eigenen Sachgutes gerechtfertigt sei») —, pensava anche U. von Lübtow, Studien zum altrömischen Kaufrecht, cit., 116 s., 126 ss., il quale
peraltro (anche in considerazione di una probabile inidoneità iniziale della traditio a determinare un valido
acquisto del denaro) si dichiarava convinto del mantenimento di tale prassi
(‘Doppelmanzipation’) anche nella fase immediatamente successiva
all’introduzione della pesatura dell’aes
nel rito mancipatorio: «das aes wurde
nach dem Wägen nicht übergeben, sondern vom Verkaufer mit feierlichenWorten
ergriffen…Hoc ego aes meum esse aio idque
mihi emptum est».
[99] In
proposito vd., seppur con talune notazioni critiche rispetto al punto di vista
di Jhering, M. Sargenti, Per una revisione, cit., 50 s.
[100] Che
appunto si trattasse di applicazioni originarie, «più tipiche e genuine» di un
negozio la cui funzione era quella di «un atto d’acquisto di una potestà» è
sostenuto da M. Sargenti, Per una revisione, cit., 53 s., per il
quale la «qualificazione gaiana» (scil. ‘imaginaria
venditio’) sarebbe «il frutto di una riflessione molto lontana
dall’originaria struttura dell’istituto»; così anche, M. Kaser, Eigentum und
Besitz, cit., 108.
[101] Così,
seppur in un diverso ordine di idee rispetto alla funzione originaria della mancipatio, anche A. Corbino, Il formalismo negoziale, cit., 25.
[102] Per
una valutazione dei principali aspetti problematici legati alla lezione
veronese del formulario mancipatorio (‘rem
tenens’ ‘emptus esto’),
raffrontata soprattutto con la diversa versione del brano testimoniata da
Boezio (Boeth., Ad Cic. Top. 5.28: ‘aes tenens’ ‘emptus est’) vd., Ph. Meylan, Gaius Inst. 1.119
rem tenens ou aes tenens, in Studi
Albertario 1, Milano 1953, 213; P.
Noailles, Du Droit sacré,
cit., 211 ss. (in favore di ‘emptus est’);
tra gli studi più recenti soprattutto, con ampie indicazioni bibliografiche, A. Corbino, Il rituale della mancipatio nella descrizione di Gaio. ‘Rem
tenens’ in Inst.1.119 e 2.24, in SDHI. 42 (1976), 149 ss.; F. Sturm, Origine et évolution de la mancipation. Une analyse rétrospective de l’enseignement de Philippe Meylan, in Mélanges Paul Piotet, Berne 1990, 570
ss.; (‘aes tenens’) C. A. Cannata, La compravendita consensuale romana: significato di una struttura,
in Vendita e trasferimento, cit., 419
ss.; in senso contrario, un’opzione per la versione veronese (‘rem tenens’) si trova in W. Kunkel, Mancipatio, in RE. 14.1
(1928), 999, il quale per contro aderisce alla lezione ‘emptus est’ che si trova in Boezio, rispetto alla lezione ‘emptus esto’ di Gaio; sempre sul punto V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 30 ss.; G.
Pugliese, Compravendita e
trasferimento, cit., 27 nt. 5; B.
Albanese, Gli atti negoziali,
cit., 40 nt. 40; C. St. Tomulescu,
Paul. D.18.1.1pr., cit., 718.
[103] Sul
significato dell’aggettivo ‘imaginarius’
nel senso di ‘(atto) apparente’ vd. C.
St. Tomulescu, Les rapports de la mancipatio
et de la monnaie dans l’ancien droit romain, in RIDA. 16 (1969), 348 nt. 9; sul punto, e sul rapporto tra negozi ‘imaginarii’ e ‘dicis gratia (causa)’ vd.
(in difesa di tale distinzione) G.
Pugliese, La simulazione,
cit., 95 s. nt. 3; per un avvicinamento delle due categorie piuttosto E. Betti, Consapevole divergenza della determinazione causale del negozio
giuridico. Simulazione e riproduzione
‘dicis causa’ o ‘fiduciae causa’, in BIDR.
42 (1934), 306. Per una messa appunto della nozione di ‘negozio apparente’
(‘Scheingeschäft’) o ‘imitativo’ (‘Nachgeformtegeschäfte’)
vd., rispettivamente, A. Bechmann,
Der Kauf
1, cit., 175 ss.; E. Rabel,
Nachgeformte Rechtsgeschäfte mit
Beiträgen zu den Lehren von der Injurezession und vom Pfandrecht, in ZSS. 27 (1906), 290 ss.; per una
precisazione concettuale di tale nozione rispetto all’istituto della
simulazione vd. G. Pugliese, La simulazione, cit., 11 ss., 28 ss.;
per una possibile derivazione (storica) dei negozi apparenti (‘imaginarii’) da originari casi di
simulazione, vd. E. Betti, Consapevole divergenza, cit., 307 s.;
indicazioni sul tema si possono trovare in P.
Noailles, Du Droit sacré,
cit., 297 s.
[104]
Sostanzialmente isolato il punto di vista sostenuto principalmente da B. W Leist, Manzipation und Eigentumstradition, Jena 1865, 130 ss., secondo il
quale i negozi ‘per aes et libram’
sarebbero stati sin dall’inizio ‘imaginarii’;
adesivamente vd., però, con indicazioni per la letteratura meno recente, C. Brezzo, La mancipatio, cit., 41 ss., 65 ss. («immagine del peso effettivo,
realmente operato in precedenza»); W. Kunkel,
Mancipatio, cit., 1006; fra gli
studiosi recenti, verso una pesatura solo simbolica sin dall’inizio sembra
comunque orientarsi A. Corbino, Il formalismo negoziale, cit., 21 ss.,
al quale si rinvia per una valutazione dei diversi aspetti problematici legati
all’ipotesi di una vendita effettiva a pesanti; nel «passaggio dalla pesata
effettiva al semplice aere percutere
libram», con cautela ipotizza l’esistenza di una ‘tappa intermedia, corrispondente
a quella…descritta in Gai 3.174 a proposito della solutio’ C. A. Cannata,
La compravendita consensuale, cit.,
418 nt. 20.
[105] Così
O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte, cit., 364 ss.; con riferimenti
bibliografici, G. Pugliese, La simulazione, cit., 66 ss., 76 nt. 1,
82 s.; Ph. Meylan, La genese de la vente consensuelle,
cit., 139; G. G. Archi, Il trasferimento, cit., 98 s.; più
recentemente insiste su tale relazione
O. Behrends, La mancipatio,
cit., 63 ss.; informazioni sul punto anche in C.
St. Tomulescu, Les rapports,
cit., 345 ss., il quale aderisce alla data tradizionale del 335 a C.; Id., Le funzioni del nummus unus, cit., 225; C. A. Cannata, La compravendita consensuale, cit., 418.
[106] Nel
ricorso alla pesatura fittizia vedeva un espediente diretto alla realizzazione
di una vendita a credito maturato in epoca predecemvirale, A. Bechmann, Der Kauf 1, cit., 158 ss., secondo il quale le due forme di mancipatio sarebbero coesistite fino
alle XII Tab., quando con l’introduzione della moneta, ogni mancipatio sarebbe divenuta imaginaria; evidenzia l’‘opportunità di
procedere…ad una pesatura solo simbolica’ in relazione all’alienazione di res mancipi con mancipatio a titolo non gratuito, ‘già in epoche remotissime’, B. Albanese, Gli atti negoziali, cit., 34, 36, il quale in particolare indica
l’esempio della mancipatio familiae;
per una sintesi dei due punti di vista si veda P. Girard, Manuel
élémentaire, 8a ed., cit., 310; ad un’epoca precedente rispetto
all’introduzione della moneta (fissata dall’autore nella metà del III sec. a.
C.), e più precisamente alla prima metà del V sec. a. C., pensa più
recentemente anche J. G. Wolf, Funktion und Struktur der mancipatio,
cit., 504.
[107]
Informazioni per la letteratura più risalente si possono trovare in O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte 2, cit., 364 ss.; sul punto vd. A. D. Manfredini, Tre leggi nel quadro della crisi del V secolo, in Labeo, 22 (1976), 198 ss.; per una
efficace sintesi vd., con ampio ragguaglio bibliografico, F. De Martino, Storia economica di Roma antica 1, Firenze 1980, 45 ss.; M. H. Crawford, Coinage and Money Under the Roman Republic, London 1985, 23, 59 s.,
72 s.; G. G. Belloni, La
moneta romana. Società, politica, cultura, Roma 1993; indicazioni anche in J. G. Wolf, Funktion und Struktur der mancipatio, cit., 504 nt. 24; L. Winkel, Das Geld im römischen
Recht, in Roman Law as Formative of Modern Legal Sistems. Studies in
Honour of W. Litewski 2, Kracow 2003, 281 ss.; con ulteriori riferimenti
bibliografici, vd. anche M. Varvaro,
Per la storia del certum. Alle radici
della categoria delle cose fungibili, Torino 2008, 61 nt. 187, 75 ss.; L. Gagliardi, Prospettive in tema di origine della compravendita consensuale romana,
in La compravendita e l’interdipendenza 1,
cit., 106 nt. 5.
[108] In
favore della prima datazione, vd., oltre agli autori citati supra in nt.
106, P. F. Girard, Manuel élémentaire, 8a ed., cit., 310
(senza escludere addirittura un’epoca precedente); ad un’epoca successiva alle
XII. Tab. pensavano G. Pugliese, La simulazione, cit., 66 ss.; P. Noailles, Du Droit sacré, cit., 208 s.; (metà IV sec.) Ph. Meylan, La genese de la vente consensuelle, cit., 139; verso la fine del IV
sec. sembra orientarsi C. A. Cannata,
La compravendita consensuale, cit.,
418; (metà IV sec.) V. Giuffrè, Il ‘mercato comune’ nel IV sec. a. C. Il
credito e la ‘lex Silia’, in Credito
e moneta nel mondo romano. Atti degli
Incontri capresi di storia dell’economia antica (Capri 12-14 ottobre 2000),
a cura di E. Lo Cascio, Bari 2003, 35.
[109] Il ricorso
alla pesatura si sarebbe reso indispensabile fino all’introduzione della moneta
d’argento (fissata dall’A. alla metà III sec. a. C.), per ovviare «al
differente peso delle monete» secondo E.
Volterra, Mancipatio, cit., 99
nt. 4; alla metà del III sec. (e dunque ben oltre l’apparizione della moneta
d’argento fissata dall’A. prima della fine del IV. sec.) pensa egualmente H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 7, secondo il quale ancora in epoca
decemvirale la mancipatio avrebbe
mantenuto la configurazione originaria di atto costitutivo di responsabilità;
non prima del III sec. a. C. anche per O.
Behrends, La mancipatio, cit.,
63 s.; per un’anticipazione dell’introduzione della prima monetazione
argentaria (didramma) al 320 circa a. C., rispetto alla datazione
tradizionalmente fissata nel 269 a. C., in base soprattutto a Plin., 33.13,
42-44, vd. G. G. Belloni, La
moneta romana, cit., 26, 39 ss.
[110] XII
Tab. 7.11 = J.2.1.41 ‘venditae vero et
traditae non aliter emptori adquiruntur, quam si venditori pretium solverit vel
alio modo ei satisfecerit’.
[111] Nel
senso di una originaria connessione tra il pagamento del prezzo e la
sussistenza dell’obligatio auctoritatis
vd. G. Beseler, Eigentumsübergang
und Kaufpreiszahlung, in Acta
Congressus Iuridici Internationalis (Romae
12-17 novembris 1934), Roma 1935, 333 ss.; adesivamente, ad un ‘equivoco
grossolano’ da parte dei commissari di Giustiniano pensava V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 277 ss., 310 ss.; nell’ottica di un
fraintendimento vd. anche B. Albanese, Gli atti negoziali, cit., 43 nt. 48,
263; M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 410; per
ulteriore letteratura si rinvia a L.
Gagliardi, Prospettive, cit.,
112 ntt. 13 e 14.
[113] W. Kunkel, ‘Mancipatio’, cit., 1003; V.
Scialoja, Teoria della proprietà
2, cit., 146 s.; E. Betti, Consapevole divergenza, cit., 308; F. Gallo, Studi sul trasferimento, cit., 95; G. Pugliese, Vendita e
atto traslativo, cit., 221; Id.,
Compravendita e trasferimento, cit.,
29; B. Albanese, Gli atti negoziali, cit., 42;
diversamente ritiene che non si trattasse di un atto astratto C. St. Tomulescu, Le funzioni del nummus unus, cit., 230, il quale, come si vedrà, ne
esclude l’impiego per le ipotesi di scambio con controprestazione diversa dal
denaro: non si tratterebbe però neppure di negozio con ‘indicazione della causa
concreta’.
[114] Per un
quadro della letteratura meno recente vd. W. Kunkel,
Mancipatio, cit., 998 ss.; J. Partsch, Die Lehre vom Scheingeschäfte im römischen Rechte, in ZSS. 42 (1921), 227, 257 nt. 1; sulle
principali applicazioni della mancipatio
a fini diversi dalla vendita vd., per una panoramica generale, C. Brezzo, La mancipatio, cit., 89 ss.; G.
Pugliese, La simulazione,
cit., 88 ss.
[115] Così
R. Jhering, Geist 2.2, cit., 546; A. Bechmann,
Der Kauf
1, cit., 92 ss., 188 ss.; E.
Rabel, Nachgeformte
Rechtsgeschäfte, cit., 327; W. Kunkel,
Mancipatio, cit., 1000; P. F. Girard, Manuel élementaire, 8a ed., cit., 309, 589 s. nt. 3; G. Pugliese, La simulazione, cit., 77 s.; Id.,
Sull’obbligazione di ‘mancipare’,
cit., 598 nt. 5; Ph. Meylan, La conception classique de la vente et le
fragment D.12.4.16, in RIDA. 1
(1948), 151; Id., La genese de la vente consensuelle,
cit., 139; L. Amirante, Il concetto unitario, cit., 383 ss.; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 190 s.; M.
Kaser, Eigentum und Besitz,
cit., 110; A. Watson, Rome of the XII Tables, cit., 140 e ivi
nt. 27; C. St. Tomulescu, Le funzioni del nummus unus, cit., 226;
per una relazione tra l’obligatio
auctoritatis e ‘il prezzo dichiarato nei verba mancipationis’ vd. anche M.
Talamanca, voce Vendita (dir.
rom.), cit., 388 nt. 879, 411 nt. 1108; F.
Sturm, Origine et évolution,
cit., 584 s.; in senso contrario e per una svalutazione del rilievo da
attribuire alla documentazione negoziale vd. S.
Perozzi, Istituzioni 1, cit.,
403 nt. 3. Per un dettagliato quadro dei diversi punti di vista emersi in
relazione al valore del materiale documentativo ed in particolare delle discusse
tavolette di Transilvania sul piano della ricostruzione del regime mancipatorio
classico, si rinvia alla documentata analisi di S. A. Cristaldi, Il
contenuto dell’obbligazione, cit., 219 ss.
[117] Che
‘la consegna del corrispettivo non era effettuata nel corso del negozio per aes et libram’ si trova sostenuto in
B. Albanese, Gli atti negoziali, cit., 34; più radicalmente, escludeva che il
pagamento del prezzo (reale) potesse aver luogo durante il rituale mancipatorio,
dovendo piuttosto avvenire immediatamente prima o dopo, F. Schulz, Classical Roman Law, cit., 345; in senso contrario ad una
‘ricezione contestuale all’atto stesso della mancipatio’ pensava L. Amirante,
Il concetto unitario, cit., 384.
[118] In senso
contrario vd. V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 192, su cui vedi
comunque quanto si dirà infra nei §§
6-7.
[120] R. Jhering, Geist 2.2, cit., 546 s.; P.
F. Girard, L’action auctoritatis,
cit., 196 s. («cette obligation est si bien inhérente à la mancipation qu’elle
ne peut même pas en être écartée par une clause expresse»); P. Cogliolo, Storia del diritto privato romano (dalle origini all’impero) 2,
Firenze 1889, 133 s.; M. Voigt, Die XII Tafeln. 2, cit., 190 s. («in der Weise, dass auch nicht
einaml durch lex mancipii solche Haftung abgelehnt»); C. Brezzo, La
mancipatio, cit., 114 («patto contrario alla mancipatio»); F. de Visscher,
Le rôle de l’auctoritas, cit., 625; Ph.
Meylan, La genese de la vente
consensuelle, cit., 136 («effet essentiel que les partie ne peuvent pas
l’exclure conventionnellement»); K. F.
Thormann, Auctoritas, cit.,
10, («die zwangsläufige Folge der Durchführung des Mancipationsritus»); A. Watson, Rome of the XII Tables, cit., 141 e ivi nt. 29; H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 8 («suite essentielle de la
mancipation, aussi après que celle-ci avait changé totalement de caractère dans
la seconde moitié du troisième siècle avant J.-Chr.»); di effetto
«non…disponibile ad opera delle parti sul piano della solennità del negozio»
discuteva anche M. Talamanca,
voce Vendita (dir. rom.), cit., 388
nt. 879, su cui però vd. infra nt.
182; diversamente, per una possibile deroga pattizia, vd. (non consultato) F. Buonamici, L’Actio auctoritatis dell’antico diritto romano, in AG. 29 (1882), 73 ss.
[121] Che
«in caso di donazione, e nelle altre mancipationes,
ove manca la sostanza del corrispettivo» la garanzia fosse esclusa per il solo
fatto che «è ridotta al minimo», attraverso il meccanismo del nummus unus, era sostenuto ad es. da C. Brezzo, La mancipatio, cit., 101, 105, per il quale si trattava di un punto
allora ‘incontrastato’; S. Perozzi,
Istituzioni 1, cit., 402 nt. 3; nello
stesso ordine di idee riteneva che, in caso di mancipatio donationis causa «l’obligation du mancipant est réduite
à rien par la mancipation nummo uno» P. W. Kamphuisen, La garantie en cas d’éviction en droit romain hors du contrat de vente,
in RHDFE. 6 (1927), 624; W. Kunkel, ‘Mancipatio’, cit., 1003; seguito da H. Honsell, Quod
interest, cit., 22 nt. 9; C. St.
Tomulescu, Le funzioni del nummus
unus, cit., 227 s.; H. Ankum,
L’actio auctoritatis, cit., 31 s.;
riteneva «del tutto plausibile anche l’ipotesi che questa obligatio…sorgesse automaticamente….e allora forse sarebbe sorta
anche se la mancipatio fosse stata
compiuta per causa diversa dalla vendita» G.
Pugliese, Compravendita, cit.,
30 nt. 12; A. Corbino, Il formalismo negoziale, cit., 26,
secondo il quale il giudice sarebbe stato costretto «ad attenersi a tale…valutazione»
considera l’obligatio auctoritatis
come un «effetto sostanzialmente naturale dell’atto librale…in quanto poteva
essere eliminata mediante il ricorso alla mancipatio
nummo uno» anche M. Talamanca,
voce Vendita (dir. rom.), cit., 393;
si richiama al punto di vista di Corbino, R.
Scevola, ‘Venditio nummo uno’,
in La compravendita e l’interdipendenza
1, cit., 499 nt. 57; da ultimo vd. T.
dalla Massara, Per una
ricostruzione, cit., 103 nt. 12.
[122]
Comprensibilmente dal suo punto di vista, nega qualsiasi incidenza di tale
pratica sul piano della tutela del compratore D.
Pugsley, The Roman Law, cit.,
15.
[123] FIRA Negotia n. 92 ‘mancipio pluris (sestertio) n(ummo) I invitus ne daret, neve sa//tis
secundum mancipium daret’; in proposito vd. P. F. Girard, L’action
auctoritatis, cit., 197 ss.; Id.,
Manuel élémentaire, 8a ed., cit., 589
s. nt. 3; C. Brezzo, La mancipatio, cit., 101 nt. 42; H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 31 ss.; P. Fuentesca, Líneas
generales, cit., 388 ss.
[124] A. Bechmann, Der Kauf 1, cit., 227; M. Voigt, Die XII Tafeln 2, cit., 191 s.; P.
F. Girard, L’action auctoritatis,
cit., 197 ss.; O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte 2, cit., 377
ss.; W. Kunkel, ‘Mancipatio’, cit., 1003; in proposito
vd. C. Brezzo, La mancipatio, cit., 73 s. nt. 164; V. Scialoja, Teoria della proprietà 2, cit., 143; G. G. Archi, Il
trasferimento, cit., 99 nt. 1; G.
Pugliese, La simulazione,
cit., 78; K. F. Thormann, Auctoritas, cit., 7, 9 s.; più
recentemente C. St. Tomulescu, Le funzioni del nummus unus, cit., 228; Id., Problemi concernenti la responsabilità per evizione, cit., 609; T. dalla Massara, Garanzia per evizione, cit., 282 nt. 8.
[126] G. Huschke, Über das Recht des nexum, cit., 171 ss.; A. Bechmann, Der Kauf 1, cit., 92, 188 ss.; P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 204 s.; M. Voigt, Die XII Tafeln
2 cit., 35 nt. 15; adesivamente C.
Brezzo, La mancipatio, cit.,
75; Ch. Appleton, L’obligation de
transférer la propriété dans la vente romaine. Fr. 16 D. De cond. causa data XII, 4, in NRHDFE. 30 (1906), 760; con cautela,
anche G. Pugliese, La simulazione, cit., 77 ss.: più netta
la posizione dell’Autore in Sull’obbligazione
di ‘mancipare’, cit., 598 nt. 5: ‘(non solo nei documenti probatori, ma
anche nei relativi formulari: VF. 50) si indicava un prezzo serio’; da valutare
però la diversa posizione maturata in Compravendita,
cit., 30 nt. 11; L. Amirante, Il concetto unitario, cit., 384; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 192 ss.; C.
St. Tomulescu, Le funzioni del
nummus unus, cit., 226; più recentemente nell’ottica di una relazione tra
l’obligatio auctoritatis e ‘il prezzo
dichiarato nei verba mancipationis’
vd. M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 388 nt. 879;
[127] Così, G. Pugliese, Compravendita, cit., 30 nt. 11; per una indicazione esterna (e
precedente) all’atto mancipatorio sembrerebbe orientarsi anche O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte 2, cit., 376 ss.; dubbi sull’indicazione
del prezzo all’interno del rituale mancipatorio si trovano sollevati anche in
F. Schulz, Classical Roman Law, cit., 345, il quale sembrerebbe appunto
indirizzarsi per una dichiarazione esterna alla mancipatio (‘precedenting declaration’), per quanto l’Autore
qualifichi tale dichiarazione come nuncupatio.
[128] A. Hägerström, Der römischen Obligationsbegriff, cit., 473 nt. 1; così parrebbe, con la precisazione di cui in
nt. prec., anche F. Schulz, Classical Roman Law, cit., 345.
[129] P. F.
Girard, L’action
auctoritatis, cit., 204 s.; Id.;
Manuel élémentaire, cit., 589 nt. 2; Ch. Appleton,
L’obligation de transférer, cit.,
760; K. F. Thormann, Auctoritas, cit., 11; C. St. Tomulescu, Le funzioni del nummus unus, cit., 226; per una svalutazione del
brano S. Perozzi, Istituzioni 1, cit., 403 nt. 3, secondo
il quale Paolo avrebbe piuttosto ‘tradotto con pretio la frase hoc aere
per spiegarla o modernizzarla’.
[131] G. Huschke, T. Flavii Syntrophi donationis instrumentum, Breslavia 1838, 40
ss.; R. Jhering, Geist
2.2,5 cit., 548; A. Longo,
La ‘mancipatio’, cit., 70 s. nt. 44;
A. Bechmann, Der Kauf 1, cit., 188 ss.; P.
F. Girard, L’action auctoritatis,
cit., 204 s.; G. Segrè, Le garanzie reali, cit., 33; V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 193 nt. 2; nello stesso senso
sostanzialmente anche G. Pugliese,
La simulazione, cit., 78 s., 85 nt.
2.
[132] Che in
caso di vendita reale con indicazione di prezzo effimero (nummus unus) non vi fosse spazio per una ulteriore indicazione del
prezzo effettivo all’interno del documento mancipatorio è sostenuto,
convincentemente, da W. Kunkel, ‘Mancipatio’, cit., 1003; più
recentemente C. St. Tomulescu, Le funzioni del nummus unus, cit., 227
nt. 19.
[136] In tal
senso si valuti Gai 2.25 ‘Plerumque tamen
et fere semper mancipationibus utimur: quod enim ipsi per nos praesentibus
amicis agere possumus, hoc non est necesse cum maiore difficultate apud
praetorem aut apud praesidem provinciae agere’. In proposito vd. B. Albanese, Gli atti negoziali, cit., 107, il quale da altro punto di vista
riteneva che «l’applicazione dell’in iure
cessio all’alienazione di res sia
sempre stata eccezionale». Per un’attestazione dell’istituto, ancora in epoca
dioclezianea, vd. comunque Cons. 6.10 (Diocl., a. 293).
[137] Non
sembra pertanto accettabile il diverso punto di vista di Ch. Appleton, L’obligation de transférer, cit., 760 nt. 3, di legare
l’indicazione di un prezzo non irrisorio alla sola ipotesi di applicazione a
fini di vendita; adesivamente vd. comunque V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,
cit., 157 nt. 3; fortemente critico (‘pétition de principe’) invece Ph. Meylan, Nouvelle explication de Celse, D.12.4.16, in Iura 20 (1969), 299 nt. 3.
[138] In tal
senso vd. ad es. Ph. Meylan, La conception classique, cit., 152; posizione
saldamente mantenuta in Nouvelle
explication, cit., 299 nt. 3.
[140] Più in
generale, contestava l’ipotesi di un’indicazione del prezzo all’interno
dell’atto mancipatorio O. Karlowa,
Der römische Civilprozess, cit., 42
(«die Erwähnung des Preises in Münze bildete keinen Bestandtheil des Acts»);
punto di vista confermato in Id.,
Römische Rechtsgeschichte 2, cit.,
376 ss.; rilievi circa un’eventuale indicazione del prezzo nel formulario si
trovano, come si è accennato, anche in S.
Perozzi, Istituzioni 1, cit.,
403 nt. 3, il quale appunto riteneva non «fondata l’idea che la formula
contenesse al posto dell’hoc aere….l’indicazione
del prezzo serio o altrimenti che l’acquisto accadeva nummo uno»; così anche F. Schulz,
Classical Roman Law, cit., 345; dubbi
in proposito si possono trovare, nella prospettiva già indicata (supra nt. 38), anche in D. Pugsley, The Roman Law, cit., 15.
[142] Così,
espressamente, G. Pugliese, La simulazione, cit., 77 nt. 3; ancor
prima R. Jhering, Geist 2.2,5 cit., 548 («das unbestimmte
‘hoc aere’ reichte dazu nicht aus»).
[143] Non
sembrano convincenti né sempre pertinenti i richiami a diversi passaggi del
manuale gaiano (Gai 1.11, 1.21, 2.22, 2.23, 2.25) effettuati da C. St. Tomulescu, Le funzioni del nummus unus, cit., 232, per dimostrare il
riferimento a ‘mancipazioni come atti reali di vendita’.
[145] Così G. Falcone, Appunti sul IV commentario delle Istituzioni di Gaio, Torino 2003; Id., Approccio operativo-cautelare e obligationes ex contractu nelle
Istituzioni di Gaio, in Festschrift
für R. Knütel zum 70. Geburstag,
Heidelberg 2009, 313 ss.
[147] Così V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 194; uno spunto nella medesima direzione si
trova anche in P. F. Girard, L’action auctoritatis, cit., 204 s.
[148] In
questo senso vd. E. Rabel, Nachgeformte Rechtsgeschäfte, cit., 327;
più recentemente C. St. Tomulescu,
Le funzioni del nummus unus, cit.,
232 ss.; severo il giudizio («ipotesi…romanzesca») di G. Pugliese, La
simulazione, cit., 79 nt. 1.
[149] E. Rabel, Nachgeformte Rechtsgeschäfte, cit., 327; critico G. Pugliese, La simulazione, cit., 78 nt. 1.
[150] Seppure a livello manualistico, un’apertura
sembra cogliersi in M. Marrone, Istituzioni di diritto romano, 3a ed.,
Palermo 2006, 465 nt. 161: «L’obbligo di praestare
auctoritatem e l’actio auctoritatis
riguardavano pertanto solo la mancipatio
venditionis causa (o comunque a titolo oneroso)».
[151] Così E. Betti, Sul valore, cit., 29 nt. 2, («mancava il pretium che n’è il
presupposto indispensabile»).
[152] In
questo senso, V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 158 nt. 3, 192:
sul punto vd. infra nel testo § 7.
[153] V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 320 nt. 1: «vogliamo ribadire che‚ in
massima parte l’auctoritas sorgeva
quando la mancipatio fosse fatta emptionis causa… va rilevato, peraltro,
che in qualche caso, e precisamente in quello della fiducia cum creditore…. occorreva che il mancipio accipiens fosse egualmente tutelato. È forse per questo
che nei documenti della pratica è precisato l’ammontare della somma mutuata a
garanzia della quale la mancipatio
avviene».
[154] P. F. Girard, Mélanges 2, cit., 301 ss.: Si
paret N.mN.m A.oA.o hominem Stichum mancipio dedisse neque de ea re
auctoritatem praestavisse, quamobrem N.mN.m A.oA.o damnum pro auctore decidere oportet,
quanti ea res mancipio data est, tantae pecuniae duplum judex condemnato, si
non paret absolvito. In
proposito vd. supra nt. 71.
[155] Così in particolare A.
Bechmann, Der Kauf 1, cit., 94,
per il quale appunto, «das duplum wäre ein referens sine relato, wenn nicht das
Mancipationsformular im einzelnen Fall das verum pretium ausgesprochen hätte».
[156] Ciò
non sempre vale, com’è noto, per la prassi stipulatoria, in cui non è
infrequente riscontrare una sostanziale indifferenziazione tra le due diverse
tipologie di evizione sul piano della quantificazione della responsabilità del
venditore: sul punto ed in particolare sulla emptio puellae in FIRA
III, Negotia n. 87, vd. V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 343 s.
[157] Così
P. F. Girard, Mélanges 2, cit., 294 ss.; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit, 320; M.
Talamanca, voce Vendita (dir.
rom.), cit., 406, il quale cita in proposito Iul. 57 dig. D.21.2.39.2, nonché Pap. 7 quaest.
D.21.2.64pr.-3; per un originario riferimento dei brani all’istituto dell’auctoritas vd. già P. F. Girard, Mélanges 2, cit., 204 nt. 3, 294 ss.
[159] Sul passo vd., per la letteratura più
risalente, C. Accarias, Théorie des contrats innommés et explication
du titre de praescriptis verbis au digeste, Paris 1866, 144 ss.; P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 136 ss.; P. Collinet,
Le fr. 5, Dig. 19.5 De Praescr. Verbis et
in F. Act.: Application de la Méthode critique de Décomposition des Textes,
in Festschrift P. Koschaker 1, Weimar
1939, 75 ss.; Id., La nature des actions, des interdicts
et des exceptions dans l’œuvre de Justinien, Paris 1947, cit., 372 s; Id., La genèse du Digeste, du Code et des Institutions de Justinien,
Paris 1952, 182 ss.; P. Voci, La dottrina romana del contratto, cit.,
272 s.; 277 ss.; R. Sotty, “Condictio incerti”, cit., 2483 s.; C. A. Cannata, Contratto e causa, cit., 38 s., il quale lo ritiene, anche se solo
in via dubitativa («forse nell’originale la sequenza logica era meno
pindarica»), rabberciato. In proposito vd. R. Santoro, Il contratto, cit., 96 ss., 103 ss.; G. mac Cormack, Contractual
theory, cit., 146 s.; J. Kranjc,
Die ‘actio praescriptis verbis’, in ZSS. 106 (1988), 455; A. Burdese, Sul riconoscimento civile dei c.d. contratti innominati, in Iura 36 (1985), 52 s; Id., Osservazioni, cit., 141; Id.,
I contratti innominati, cit., 84; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 180 ss.; R. Knütel,
La ‘causa’,
cit., 137 s.; M. Sargenti, ‘Actio
civilis in factum’, in SDHI. 72 (2006), 248, 287 ss.;
recentissimamente anche P. Lambrini,
Actio de dolo malo, cit., 242 ss.; di
«testo…sicuramente in cattivo stato» e di «faticoso tractatus» discute da ultimo C. A.
Cannata, Labeone, Aristone,
cit., 80 ss.
[160] Cosi ad es. O.
Gradenwitz, Interpolationen in den
Pandekten. Kritische
Studien, Berlin, 1887, 131 ss.
[161] Nella
direzione indicata vd. G. Beseler,
Beiträge 2, cit., 161; P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 138 s.; 206 s.; P. Voci, La dottrina romana del contratto, cit., 277 ss.; P. Collinet, La genèse du Digeste, cit., 185 ss.; più di recente,
l’idea che il testo sia andato incontro ad una rielaborazione «für die
didaktische Zwecke für die Rechtsschule in Beryt» è fatta propria anche da A. Kremer, Die Verhältnisse do ut facias und do ut des als ausgewählte Beispiele
der Innominatkontrakte im klassischen römischen Recht, in Au–delà des frontières. Mélanges W. Wolodkiewicz, Varsovie 2000,
411.
[162] In
questo senso di recente anche A. Kremer,
Die Verhältnisse, cit., 411, il quale
è portato ad ammettere che in D.19.5.5 per lo meno ‘das Kern der
Paulusansichten finden können’; dubbi invece si trovano espressi, relativamente
al tratto ‘vel praescriptis verbis’,
in M. Sargenti, ‘Actio civilis
in factum’, cit., 289; che
l’intero passaggio ‘vel praescriptis
verbis-convenit’ rappresenti il risultato di un raccorciamento del brano
rispetto ad un più ampio discorso che tendeva piuttosto alla concessione dell’actio civilis incerti, con precisazione
magari del fatto determinativo della pretesa all’interno di apposita praescriptio, non è escluso da A. Burdese, Sul riconoscimento, cit., 52 s.
[163] Com’è
noto, sul significato da attribuire alla locuzione esiste da sempre grande
incertezza, anche se alla fine gli orientamenti che si sono col tempo andati
delineando possono essere sostanzialmente ricondotti a due grandi correnti di
pensiero. In base ad una più antica opinione, la irriconducibilità della fattispecie
contemplata da Paolo all’interno dell’ordinario schema locatorio andrebbe messa
in relazione con l’‘istantaneità’ della prestazione richiesta, la cui
esecuzione si sarebbe risolta nel compimento di un semplice atto –
l’affrancamento – piuttosto che in un comportamento prolungato nel tempo
implicante uno sforzo lavorativo: così già Bartolus,
Ad l. 5 § 2 D.19.5: ‘facta,
quibus est admissum ius, ut manumittere, vendere et ista, aut habent factum
momentaneum…non possunt locari’); e soprattutto H. Donellus, Commentaria
ad titulum digestorum, de praescriptis verbis et in factum actionibus, cap.
IV, in Opera omnia. 10, Florentiae
1847, 1259 s. («Animadverto enim, non tantum placere tunc locationem non
contrahi, cum pecuniam tibi do ut, Stichum manumittas: in qua specie dici
potest, ideo manumissionem non esse factum, quod locari possit: quia
momentarium sit et nullum laborem nulla[m]que operam desideret»); secondo
invece un più recente indirizzo interpretativo (Cuiacio), la categoria delle operae quae locari solent andrebbe
circoscritta alle sole attività suscettibili di apprezzamento economico; uno
spunto in questo senso tra gli studiosi moderni sembrerebbe cogliersi, per
quanto indirettamente, anche in M.
Talamanca, Contratto e patto nel
diritto romano, in Digesto IV. Discipline privatistiche. Sezione civile,
vol. IV, Torino 1989, 71 nt. 87, ove come esempio di prestazioni non
‘suscettibili di valutazione patrimoniale’ viene addotta proprio l’ipotesi di do ut manumittas presa in considerazione
in Paul. 5 quaest. D.19.5.5.2; per un
tentativo di conciliazione dei due criteri vd. C. Accarias, Théorie,
cit., 152 ss., il quale aggiungeva, all’elemento della patrimonialità –
considerato comunque preminente («d’abord une industrie donnant des résultats appréciables
en argent tout aussi bien pour celui qui en profite que pour celui qui les
fournit») –, l’ulteriore requisito della ‘istantaneità’ («En outre, ils
impliquent un travail pratiqué sur une chose remise à celui qui fait le travail
par celui qui doit en profiter»): requisito per l’appunto non soddisfatto
nell’ipotesi della manumissio servi,
in considerazione del fatto che «l’affranchissement d’un esclave est l’oeuvre
d’un instant presque indivisible...elle n’implique pas...continuité de
travail».
[164] ‘Un
parallélisme constant’ con il testo ulpianeo era denunciato da A. Giffard, La doctrine d’Ariston, (Études)
cit., 189, il quale era da ciò indotto ad ipotizzare l’impiego di una comune
fonte: i libri digestorum di
Giuliano; di identico caso discute anche F.
Gallo, Synallagma 2, cit.,
181; diversamente, ma senza dimostrazione, J. Kranjc,
Die ‘actio praescriptis verbis’,
cit., 455, sui cui vd. infra nt. 167.
[165] Non ci
pare che a «complicare la limpidezza del criterio discretivo tra azione di dolo
e azione in factum, si aggiunge anche
la precisazione di Paolo, in coda al parere di Giuliano (D.19.5.5.3). Paolo,
generalizzando probabilmente la soluzione giulianea relativa all’actio de dolo, sostiene che nulla erit civilis actio», secondo
quanto sostiene M. F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’ e il problema
del danno meramente patrimoniale, Napoli 2008, 89, visto che il punto di
vista paolino espresso nel § 3 riguarda in maniera evidente un’ipotesi distinta
rispetto a quella affrontata da Giuliano. Del resto, alla fine è la stessa
studiosa a concludere che ‘nonostante le apparenze, non credo che la soluzione
di Paolo si ponga in contraddizione con l’alternativa di Giuliano’.
[166] Così
già J. Pokrowsky, Die actiones in factum des classischen
Rechts, in ZSS. 16 (1895), 83;
con letteratura, P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 169 nt. 3; E. Betti, Sul valore, cit., 38; tra gli studi più recenti vd. A. Schiavone, Studi sulle logiche, cit., 161 nt. 243; R. Santoro, Il
contratto, cit., 95; G. mac Cormack, Contractual theory, cit., 146; A.
Burdese, Sul riconoscimento,
cit., 28, 53; M. Talamanca, La tipicità, cit., 100 nt. 250; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 180; S.
Tondo, Note ulpianee, cit.,
453; M. Sargenti, ‘Actio
civilis in factum’ (2006),
cit., 248, 289; P. Gröschler, Actiones
in factum, cit., 21
nt. 17; M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 146 s.; C. Pelloso, Le origini
aristoteliche, cit., 95 nt. 200.
[167] Si è
sforzato di salvare la diversa soluzione rispetto a Ulp. 4 ad ed.
D.2.14.7.2 (actio in factum, nel
senso di azione con formula in factum),
immaginando che, al di là dell’apparenza, le due fattispecie presentassero in
realtà significativi profili di difformità J. Kranjc,
Die ‘actio praescriptis verbis’,
cit., 455, la cui posizione è rimasta assolutamente isolata, non essendosi
peraltro preoccupato l’Autore di chiarire in concreto quali fossero gli aspetti
discordanti; in proposito vd. le corrette osservazioni di F. Gallo, Synallagma 2, cit.,
181. Ancor più impraticabile deve ritenersi la proposta di sopprimere piuttosto
l’inciso ‘in factum’ (oltre che la
frase ‘Iulianus ait’) più
recentemente avanzata da J. Schmidt-Ott,
Pauli Quaestiones. Eigenart und
Textgeschichte einer spätklassischen Juristenschriften, Berlin 1993, 223
ss., il cui approccio metodologico sul piano della ricostruzione testuale
desta, al di là del caso specifico [in cui risulta inoltre malamente utilizzato
Bas.20.4.5.2], seri motivi di riflessione; critico rispetto all’ipotesi
suggerita dallo studioso tedesco M.
Talamanca, rec. a J. Schmidt-Ott, Pauli Quaestiones, cit., in BIDR.
96-97 (1993-1994), 875; non sembra si possa neppure accogliere l’ipotesi di un
travisamento del pensiero giulianeo da parte di Mauriciano imputabile
all’impiego di una fonte diversa rispetto a quella più puntuale adoperata da
Paolo (Carondas); egualmente da respingere è la proposta di un
ridimensionamento della portata della reprehensio
mauricianea, considerandola come una contestazione del tentativo giulianeo di
circoscrivere il ricorso all’actio in
factum civilis alla sola ipotesi di buona fede del soggetto alienante
(Noodt): sul punto vd., con preziosi ragguagli bibliografici, F. Glück, Commentario alla Pandette vol. XIX, tradotto e annotato da U.
Greco, Milano 1891, 431 ss.
[168] Per la
fattura bizantina vd. A. Schiavone,
Studi sulle logiche, cit., 161 nt.
243; R. Santoro, Il contratto, cit., 95; G. mac
Cormack, Contractual theory,
cit., 146; A. Burdese, Osservazioni, cit., 149; M. Talamanca, La tipicità, cit., 100 nt. 250; F.
Gallo, Synallagma 2, cit.,
180; M. F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit.,
88.
[169] Nel
senso di una «contaminazione postclassica delle due tesi classiche principali»
prende posizione C. A. Cannata, Sulla ‘divisio obligationum’ nel diritto
romano repubblicano e classico, in Iura
21 (1970), 66 nt. 38; di origine postclassica anche per A. Kremer, Die Verhältnisse, cit., 415; un’apertura rispetto all’ipotesi di
Cannata si trova in B. Schmidlin,
Nominatprinzip, cit., 88 nt. 63; Id., Il consensualismo contrattuale, cit., 124 nt. 53, per quanto
l’autore non escluda neppure l’ipotesi di un intervento compilatorio; per un
glossema da imputare ‘imperito interpreti’
si era già pronunciato, com’è noto,
Faber, Rationalia in tertiam
partem Pandectarum 5. De praescriptis
verbis L. XIX tit. V. ad § 2 b, Aurelianae 1626, 652; così ancor prima J.
Cuiacius, Recitationes solemnes.
Ad Titulum V. De praescriptis verbis, et in factum actionibus, in Opera omnia 7, Prati 1839, 1326 («Multi dicunt Tribonianum addidisse verbum
civile….verum addo Tribonianus hoc imperite addidisse»).
[170] Non
pare comunque si possa convincentemente spiegare la diversa soluzione di Ulp.
D.12.4.7.2 nella logica di un mancato accertamento del dolo, secondo quanto pur
cautamente («questa forse è la ragione») sembra suggerire M. F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit., 90, non essendovi elementi
per ritenere che si tratti di ipotesi differenti.
[171] Che
«le silence d’Ulpien ne nous autorise pas à croir que Julien ne la proposât pas
effectivement» era sostenuto già da C.
Accarias, Théorie, cit., 220;
genuino per E. Betti, Sul valore, cit., 38 nt. 1, il quale
anzi richiamava l’attenzione sull’analoga impostazione, da parte di Giuliano,
del rapporto tra exceptio in factum e
exceptio doli; insospettabile il riferimento
all’actio de dolo anche per P. de Francisci, SUNALLAGMA 1,
cit., 168 ss.; più di recente non muovono rilievi alla fonte A. Burdese, Osservazioni, cit., 134, 140; S.
Tondo, Note ulpianee, cit.,
453; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 182; non scorge profili
di incompatibilità sul piano del ben noto regime di sussidiarietà M. F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit., 90, la quale, rifacendosi a
quanto già osservato da Watson, insiste sull’«assenza di una regola precisa
sulla concorrenza di strumenti di tutela sussidiari», valendo «soltanto
rispetto agli strumenti tipici», «quando il sistema si presta ad essere
completato ...anche con altri strumenti egualmente residuali il concorso
elettivo tra i diversi strumenti sfugge a regole predeterminate»; da ultima,
ritiene «non…particolarmente anomala» «la soluzione diretta a differenziare la
tutela in base alla posizione soggettiva dell’autore del dolo», P. Lambrini, Actio de dolo malo, cit., 243 ss., la quale peraltro ritiene
insospettabile la decisione sotto il profilo del rispetto del principio di
sussidiarietà; diversamente, suggeriva di sopprimere ogni riferimento
all’ipotesi del dolo, P. Collinet,
Le fr. 5, Dig. 19.5 De Praescr. Verbis, cit., 78 s.; Id., La nature des actions, cit., 366;
un’opzione per la versione di Ulp. 4 ad ed. D.2.14.7.2 si trova anche in
P. Voci, La dottrina romana del contratto, cit., 272 s.; così,
sostanzialmente, J. Schmidt-Ott, ‘Pauli Quaestiones’, cit., 224 s., su cui
vd. supra nt. 167.
[172] In ogni
caso il convenuto si sarebbe visto sottratto alla natura infamante di tale
azione (Ulp. 11 ad ed. D.4.3.1.4).
Indicazioni sul punto in P. Lambrini,
Actio de dolo, cit., 228.
[173] Così
D.19.1.13pr. (Ulp. 32 ad ed.): Iulianus libro quinto decimo inter eum qui
sciens quid, aut ignorans vendidit, differentiam facit in condemnatione ex
empto; ait enim, qui pecus morbosum, aut tignum vitiosum vendidit, si quidem
ignorans fecit, id tantum ex empto actione praestiturum, quanto minoris esse
empturus, si ita esse sciissem; si vero sciens reticuit, et emptorem decepit,
omnia detrimenta, quae ex ea emptione emptor traxerit, praestiturum ei. Sive
igitur aedes vitio tigni corruerunt, aedium aestimationem, sive pecora
contagione morbis pecoris perierunt, quod interfuit idonae veniisse, erit
praestandum. Sul brano vd. P. Voci,
Risarcimento del danno e processo
formulare nel diritto romano, Milano 1938, 83 ss.; M. Talamanca, voce Vendita
(dir. rom.), cit., 442 ss.; più di recente L.
Vacca, Sulla responsabilità “ex
empto” del venditore nel caso di evizione secondo la giurisprudenza
tardo-classica, in Seminarios
Complutentes de Derecho Romano 7,
cit., 311 s.; con indicazioni bibliografiche, R. Ortu, ‘Aiunt
aediles…’. Dichiarazioni del venditore e vizi della cosa venduta nell’editto de
mancipiis emundis vendundis, Torino 2008, 35 ss.; analogamente vd. Marcian.
4 reg. D.18.1.45, in cui si riporta
(anche) il pensiero di Salvio Giuliano relativamente ad ipotesi di acquisto di
‘vestimenta interpola…pro novis’: in
proposito vd., con letteratura, M.
Talamanca, voce Vendita (dir.
rom.), cit., 327 e ivi nt. 235, 442 con ntt. 1444-1445.
[174] Per la presenza nella formula della clausola
restitutoria tra gli studiosi più recenti, ci limitiamo a segnalare M. Kaser, RP., 2a ed., 627; Id., Zur in integrum restitutio, besonders wegen metus und dolus, in ZSS. 94 (1977), 145 ss.; M. Kaser-K. Hackl, ZR, 335, 425; M.
Brutti, La problematica del dolo
processuale nell’esperienza romana 1, Milano 1973, 158 ss.; in senso contrario, soprattutto, B. Biondi, Studi sulle
‘actiones arbitrariae’ e l’‘arbitrium iudicis’, Palermo 1913, 78 ss.
(ripubblicato in Studia Juridica 30,
Roma 1970); riferimenti alla letteratura più risalente si possono trovare in G. Longo, Contributi, cit., 72 ss.; più recentemente in M. d’Orta, La giurisprudenza tra Repubblica e Principato. Primi studi su C.
Trabazio Testa, Napoli 1990, 183 nt. 175.
[176] In
questo senso M.
Brutti, La problematica 1, cit., 161 s. e ivi nt. 70, secondo il quale il
mancato funzionamento della clausola restitutoria avrebbe finito per svuotare
‘di ogni carattere penale la condanna in
id quod interest’, facendole assumere, nel senso chiarito (‘interesse
negativo’), una funzione risarcitoria.
[177] Ulp.
11 ad ed. D.4.4.11pr. ‘Verum de dolo vel utilis actio erit in id
quod minoris interfuit non manumitti’.
[178] Sul
brano vd., con letteratura, M. Brutti, La problematica 1, cit., 149 ss.; M. d’Orta, La giurisprudenza, cit., 182 ss.
[179] Nell’ottica
di un’adesione al punto di vista giulianeo vd. C. Accarias, Théorie,
cit., 221; J. Pokrowsky, Die actiones in factum, cit., 82; G. mac Cormack, Contractual theory, cit., 146; diversamente, ritiene che Paolo
avesse preso le distanze dal giurista adrianeo e che il tratto in questione non
ci sia pervenuto per via di una svista di un copista C. A. Cannata, Der
Vertrag, cit., 68 nt. 35; Id., Contratto e causa, cit., 38, per il quale il passo andrebbe
ricostruito ‘si ignorans in factum: sed
ego puto omnimodo in factum civilem’; nella stessa direzione R. Knütel, La ‘causa’, cit., 138 s.; Paolo avrebbe
concesso solo l’actio civilis anche
secondo J. Schmidt-Ott, ‘Pauli Quaestiones’, cit., 224.
[180] Sul
carattere sussidiario dell’actio de dolo e sulle finalità che questo avrebbe dovuto assolvere, nell’ambito
delle vicende evolutive dell’illecito di fine età repubblicana, sul piano del contrasto al fenomeno di
snaturamento ed intorbidimento delle singole fattispecie delittuose vd.,
con analisi delle fonti e discussione della letteratura precedente, B. Albanese, La
sussidiarietà dell’‘actio de dolo’, cit., 173 ss., 306 ss.; Id., Ancora in tema di sussidiarietà dell’“actio de dolo”, in Labeo 9 (1963), 42 ss., ora in Scritti giuridici 1, a cura di Matteo
Marrone, Palermo 1991, 331 ss.; A. Guarino, ‘La sussidiarietà dell’actio de
dolo’, in Labeo 8 (1962), 270 ss.
=Pagine di diritto romano 6, Napoli
1995, 281 ss.; G. Tilli, Noterelle in tema di actio doli, in Societas-ius. Minuscula di allievi a F. Serrao,
Napoli 1999, 359 ss.; M. F. Cursi,
L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit., 39 ss.; da ultima, sul punto si veda
anche P. Lambrini, Actio de dolo malo, cit., 229 ss., la
quale propone di ricondurre al carattere generale dell’azione l’origine del principio
di sussidiarietà.
[181] Il
brano fondamentale in proposito rimane Ulp. 11 ad ed. D.4.3.7.3: in proposito vd. B. Albanese, La
sussidiarietà, cit., 231 ss., 300 ss.; Id.,
Ancora
in tema di sussidiarietà (Scritti giuridici 1), cit., 333 ss.; (con
particolare riferimento al rapporto con actiones in factum) A. Watson, Actio de dolo und
actiones in factum, in ZSS. 78 (1961), 392 ss.; sul brano,
più recentemente D. Nörr, Probleme der Eviktionshaftung, cit., 178 s.; M. F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit., 61 ss.; da ultima P. Lambertini, Labeone, l’azione di dolo e l’inadempimento: per una lettura critica di
D.4,3,7,3 (Ulp. 11 ad ed.), in Iura
57 (2008-2209), 226 ss.
[182] Dubbi
in proposito si trovano espressi in M.
Talamanca, voce Vendita (dir.
rom.), cit., 388 nt. 879, per il quale ‘i giuristi laici’ avrebbero escluso
‘sembra anche formalmente, il sorgere dell’obligatio
auctoritatis stessa’ in caso di mancipationes
nummo uno.
[183] Così
Ulp. 11 ad ed. D.4.3.7pr.-1 ‘si alia actio non sit, sic excipit, quasi
res alio modo ei, ad quem ea res pertinet, salva esse non poterit…(1)etsi poenali actione indemnitati eius
consuli possit, dicendum erit, cessare de dolo actionem’: sul brano e più
in generale sulla questione vd. B.
Albanese, La sussidiarietà,
cit., 187 ss., 202 ss. («criterio…determinato dalla considerazione
dell’impossibilità, o meno, della neutralizzazione, del pregiudizio subito
dalla vittima del dolo»: 188); Id.,
Ancora
in tema di sussidiarietà (Scritti giuridici 1), cit., 340; di
principio che deve funzionare «non come criterio formale di concedibilità
dell’azione, ma come strumento volto ad accertare la necessità pratica di
questa, cioè l’inefficienza di qualsiasi altro rimedio per neutralizzare le
conseguenze dell’illecito» discute non diversamente anche M. Brutti, La problematica 1, cit., 260 nt. 80; in proposito vd. più
recentemente G.
Tilli, Noterelle in tema di actio doli, cit., 363s.; sulla
testimonianza vd. da ultima, con discussione della letteratura, M. F. Cursi, L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit., 71 ss.; da ritenersi oggi
superato il diverso punto di vista di G.
Longo, Contributi, 70, il
quale riteneva ‘nuovo’ il principio «della concessione dell’azione di dolo
quando non sarebbe utile, perché non avrebbe pratici risultati, l’esperimento
di un rimedio specifico».
[184] In
questo senso, ad es., Ulp. D.4.3.5, Gai. D.4.3.6 ‘inanis actio’; Ulp. 11 ad ed.
D.4.3.9.3; in proposito devono ritenersi oggi superati i sospetti di F. Pringsheim, Subsidiarität und Insolvenz, in ZSS.
41 (1920), 252 ss.; G. Longo, Contributi alla dottrina del dolo,
Padova 1937, 70, 157 ss.; in senso critico già F. Haymann, Textskritische
Studien zum römischen Obligationenrecht 3. Zur Haftung für Tierschaden (actio de pauperie), in ZSS. 42 (1921), 383 ss.; in favore della
classicità G. Nocera, Insolvenza e responsabilità sussidiaria in
diritto romano, Roma 1942, 10; B.
Albanese, La sussidiarietà,
cit., 184 ss., 208 ss.; A. Masi, Insolvenza dell’obbligato e sussidiarietà
dell’actio de dolo, in Studi Senesi
74 (1962), 440 ss.; «eccessivo il sistematico sospetto sull’actio de dolo concessa in seguito
all’insolvenza del legittimato passivo ad altra azione» anche secondo M. Talamanca, Note su Ulp. 11 ad ed. D.4.3.9.3. Contributo alla storia dei c.d.
contratti innominati, in Scritti
Fazzalari 1, Milano 1993, 197 s. nt. 4; G. Tilli, Noterelle in tema di actio doli,
cit., 360 ss.; M. F. Cursi,
L’eredità dell’‘actio de dolo’, cit.,
58; dubbi sulla classicità di tale soluzione («principio...che presuppone in
chi lo ha posto un’assai scarsa sensibilità storica») continuano ad essere
espressi invece da A. Guarino, ‘La
sussidiarietà dell’actio de dolo’, cit., 273 ss.
[185] È
quanto sembra sostenere, relativamente proprio all’ipotesi di Ulp. 4 ad ed. D.2.14.7.2 e Paul. 5 quaest. D.19.5.5.2, C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 73 (‘costui [scil. il proprietario di
Panfilo] non si sarebbe potuto valere del meccanismo dell’auctoritas, perché evidentemente la mancipatio era stata fatta nummo
uno’).
[186] In questo senso («elle [scil. théorie
traditionnelle] doive être élaborée et corrigée sur bien des points de détail»)
H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 44, il quale però resta dell’avviso che
questa sia «exacte dans ses grandes lignes».
[187] In un
senso quindi differente rispetto alla rigida interpretazione di V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 158 nt. 3, 192, ove si suggerisce in
sostanza una identificazione della causa
venditionis con lo schema contrattuale dell’emptio venditio, con risultati francamente inaccettabili: sul punto
vd. supra nt. 152 e soprattutto infra § 7; per una delimitazione della
garanzia alla sola vendita, in considerazione del fatto che il mancato
pagamento avrebbe determinato l’impossibilità di configurare il nexum da cui nasceva appunto l’obligatio auctoritatis, vd. già G. Huschke, Über das Recht des nexum, cit., 45 s., secondo il quale per tutte
le altre ipotesi si sarebbe dovuto fare ricorso ad una stipulatio; in proposito vd. C.
Brezzo, La mancipatio, cit.,
39, 105; da ultimo, sembra suggerire una limitazione alle sole applicazioni
effettuate venditionis causa anche T. dalla Massara, Per una ricostruzione, cit., 103: «all’esigenza di garantire
l’acquirente…rispondeva già mancipatio
[per lo meno allorché effettuato a titolo di vendita]».
[188] In
questo senso, ma con i chiarimenti di cui supra
§ 5, E. Rabel, Nachgeformte Rechtsgeschäfte, cit., 301
s.; G. G. Archi, Il trasferimento, cit., 101; E. Betti, Consapevole divergenza, cit., 307 s.; F. Schulz, Classical Roman
Law, cit., 345; che i negozi con pesatura simbolica (imaginarii) ‘furono designati come negozi realizzati asse aere, o anche nummo uno’ è sostenuto da B.
Albanese, Gli atti negoziali,
cit., 36; M. Kaser, Römische Privatrecht 1, cit., 46, 103; Id., in Iura 1 (1950), 64, 73 nt. 33; più recentemente J. G. Wolf, Funktion und Struktur der mancipatio, cit., 502, 511; nello stesso
ordine di idee sembra collocarsi anche M.
Varvaro, Per la storia del certum,
cit., 49 nt. 147, 63 nt. 196.
[189] Così
in particolare V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 192 nt. 4, il
quale discuteva di ‘pessimo…ripiego’; in chiave critica vd. già R. Jhering, Geist 2.2, cit., 548, con rigorosa distinzione tra i due prezzi sul
piano strutturale e funzionale: solo nominato (‘bloß genannt’) e ricollegato
alla obbligazione di garanzia, il ‘nummus
unus’; pagato e diretto al trasferimento della proprietà, l’‘aes’; G.
Pugliese, La simulazione,
cit., 77; Ph. Meylan, La genese de la vente consensuelle,
cit., 138; H. Ankum, L’actio auctoritatis, cit., 31 s.; («…radusculum, elemento dell’atto, per
altro, sicuramente distinto dal nummus
unus») A. Corbino, Il formalismo negoziale, cit., 26; anche
M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 411 nt. 1108,
per il quale l’espressione allude piuttosto alla sola mancipatio per cui «non si risponde per evizione».
[190] In
questo senso i rilievi di M. Talamanca,
voce Vendita (dir. rom.), cit., 411
nt. 1108, per cui l’espressione si riferirebbe alla sola mancipatio per la quale «non si risponde per evizione», non
sembrano valere se riferiti all’impostazione complessiva del pensiero di E. Rabel, Nachgeformte Rechtsgeschäfte, cit., 301 s., 327.
[193]
Sull’esempio di O. lenel, Pal.1.139, la maggioranza degli studiosi
ritiene che il frammento non sia tratto dal l.
3 dig. (come vorrebbe l’inscriptio), ma, ratione materiae, dal l.
8, in cui Celso si occupava per l’appunto di emptio venditio; da ultimo giudica ‘incontestabile’ la correzione C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 36 nt. 10; verosimile l’ipotesi anche
secondo M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 127
nt. 295, il quale però non vede seri motivi per correggere l’inscriptio del frammento, potendo esso
riguardare questioni processuali di carattere generale («nämlich die
Möglichkeit eine agere praescriptis verbis»); in senso contrario vd. F. Stella Maranca, Intorno ai frammenti di Celso, Roma 1915, 19; più recentemente
anche P. Cerami, ‘Vulgaria actionum nomina’ ed ‘agere
praescriptis verbis’ in D.19.5.2 (Cels. 8 dig.), in Iura 33 (1982), 125 nt. 15; per una derivazione dal l. 6, in sede di commento alla rubrica si certum petetur, vd. piuttosto J. A. C. Thomas, Celsus: sale and the passage of property, in Studies in the Roman Law of Sale. Dedicated to the memory of F. de Zulueta, Oxford 1959, 169; D. E. C. Yale, Celsus: Sale and conditional gift, in Studies in the Roman Law of Sale, cit., 171 nt. 1; Ph. Meylan, Nouvelle explication, cit., 288; per
ulteriori informazioni sulla questione si rinvia a S. A. Cristaldi, Il
contenuto dell’obbligazione, cit., 77 s. nt. 2.
[194]
Sull’esempio di Gotofredo, suggeriscono di leggere ‘proportione’ in un’unica parola S. Schlossmann, Zur
Geschichte des römischen Kaufes, in ZSS.
24 (1903), 190 nt. 1; A. Schiavone,
Studi sulle logiche, cit., 153 nt.
219; irrilevante la questione secondo V. Scialoja,
La l. 16 dig. de cond. causa data 12,4 e
l’obbligo di trasferire la proprietà nella vendita romana, in BIDR. 19 (1907), 174 s.; così anche P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 126; e più recentemente F. Gallo, Synallagma
2, cit., 156 nt. 4; sull’impiego del termine vd., in aggiunta agli autori
citati, E. Betti, Sulla categoria, cit., 24 e ivi ntt.
2-3; da ultimo si orienta per la lezione ‘pro
portione’ anche C. A. Cannata,
Labeone, Aristone, cit., 36 nt. 11,
con un ridimensionamento del rilievo attribuito alla vicenda da V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 152 nt. 1, secondo il quale invece la
lettura ‘proportione’ esprimerebbe
l’idea dell’analogia, a differenza di ‘pro
portione’ che piuttosto alluderebbe alla tipologia del contratto misto; in
proposito si veda anche S. A. Cristaldi,
Il contenuto dell’obbligazione, cit.,
78 s. nt. 3.
[195] «Texte
embarrassant» secondo un giudizio di Ch.
Appleton, L’obligation de
transférer,, cit., 740; di ‘very cryptic text’ discuteva in tempi
egualmente lontani W. W. Buckland,
D.XII.4.16, in TR. 16 (1939), 359.
[196] Vedi
in proposito Paul. 5 quaest.
D.19.5.5.1 (‘et si quidem pecuniam dem,
ut rem accipiam, emptio et venditio est’); per un quadro della letteratura
meno recente, vd. Ch. Appleton, L’obligation de transférer, cit., 742
ss.; di ‘medesima ipotesi’ discute F.
Gallo, Synallagma 2, cit., 174 s. e ivi nt. 45; che non si tratti
di «un caso diverso da quello tratteggiato da Celso in D.12.4.16» è
recentemente sostenuto da S. A.
Cristaldi, Il contenuto
dell’obbligazione, cit., 109 ss., il quale ritiene da questo punto di vista
irrilevante il ricorso da parte del giurista severiano alla locuzione ‘ut
rem accipiam’, essendo essa utilizzata da Paolo anche relativamente
all’ipotesi della permuta «per indicare sicuramente il trasferimento della
proprietà». Per ulteriori riferimenti vd. S.
A. Cristaldi, Il contenuto
dell’obbligazione, cit., 110 ntt. 110-111.
[197] Per la
letteratura più risalente vd. Ch.
Appleton, L’obligation de
transférer, cit., 739 ss.; V.
Scialoja, La l. 16 dig., cit.,
161 ss.; E. Betti, Sul valore, cit., 24 ss.; V. Arangio-Ruiz, La compravendita,2 cit., 151 ss.; B.
Biondi, Contratto, cit., 102 ss.; J. A. C. Thomas, Celsus: sale and the passage of property, cit., 160 ss.; D. E. C. Yale, Celsus: Sale and conditional gift, cit., 171 ss.; Ph. Meylan, Nouvelle explication de Celse, D.12.4.16, in Iura 20 (1969), 287 ss.; per gli studi più recenti si rimanda a R. Santoro, Studi sulla condictio,
in AUPA. 32 (1971), 283 nt. 95; A. Schiavone, Studi sulle logiche, cit., 152 nt. 217; Id., La scrittura, cit., 125 ss.; D. Pugsley, D.12.4.16, in Acta Juridica,
1972, 165 ss.; V. Scarano Ussani,
Valori e storia della cultura giuridica
tra Nerva e Adriano, Studi su Nerazio e Celso, Napoli 1979, 141 ss.; P. Cerami, ‘Vulgaria actionum nomina’, cit., 125 ss.; M. Sargenti, Svolgimento
dell’idea di contratto, cit., 30 ss.; M.
Talamanca, voce Vendita (dir.
rom.), cit., 380 s.; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 156 ss.; Id., Ai primordi, cit., 69 s.; R.
Knütel, La ‘causa’, cit., 135; S. Tondo,
Note ulpianee, cit., 452 s.; T. Dalla
Massara, Alle origini, cit., 233 ss.; per un accurato quadro
della letteratura, si rinvia a S. A.
Cristaldi, «Dedi tibi pecuniam ut
mihi Stichum dares». A margine di D.12.4.16, in Studi per Giovanni Nicosia 3, Milano 2007, 67 ss.; Id., Il contenuto dell’obbligazione, cit., 77 ss.; da ultimo vd. C. A. Cannata, Labeone, Aristone,
cit., 36 ss.
[198] Ch.
Appleton, L’obligation
de transférer, cit., 739 ss.; Id.,
L‘obligation de transférer la proprieté
dans la vente romaine (Fr. 16 D. de cond. causa data, 12, 4). ─ Post-scriptum, in NRHDFE. 31 (1907), 100 s., secondo il quale l’attuale lezione
sarebbe da imputare all’errore di un copista, che avrebbe sciolto
l’abbreviazione ‘Pam’ con ‘pecuniam’ anziché con ‘Pamphilum’.
[199] Così Krüger,
il quale pensava ad un errore di uno scriba che avrebbe confuso la R (di rem) con la P (di pecuniam): con successiva adesione dello stesso Ch. Appleton, in
L‘obligation de transférer- Post
scriptum, cit., 102 s. («nous paraît aussi préférable à celle de pamphilum»); P.W. Kamphuisen, La
garantie, cit., 618.
[200] Così
già Noodt: sul punto vd. V. Scialoja,
La l. 16 dig., cit., 164 s.;
un’apertura in tal senso sembra cogliersi recentemente in C. Cascione, Consensus. Problemi di origine, tutela processuale, prospettive
sistematiche, Napoli 2003, 397 nt.
151; con ulteriori indicazioni, vd. S.
A. Cristaldi, Il contenuto
dell’obbligazione, cit., 90 e ivi ntt.
[202] Per un
accurato quadro critico delle diverse posizioni vd., per tutti, S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 89 ss.
[203] In
particolare spiega la soluzione celsina con l’assenza di un convenire de pretio, nel senso che le
parti non avrebbero considerato la somma di denaro ‘quale misura di valore
della cosa in vendita’ S. A. Cristaldi,
Il contenuto dell’obbligazione, cit.,
112 ss.: in proposito vd. anche infra in nt. 213; per una valutazione
critica della spiegazione vulgata, ancora utile si rivela la lettura di
Ch. Appleton, L’obligation de transférer, cit., 742
ss.
[204] Così
soprattutto V. Scialoja, La l. 16 dig., cit., 161 ss.; più
recentemente, M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 380 nt. 798; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 156 nt. 5; T.
Dalla Massara, Alle origini, cit., 234 nt. 88; per ulteriori
indicazioni vd. S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit.,
105; che il verbo debba essere interpretato per indicare tecnicamente «die
Verschaffung des quiritische Eigentums» è sostenuto anche da M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 128 e ivi nt. 300, il quale
riconosce la equivocità (‘nicht zweifelsfrei’) talvolta del termine, come nel
caso di Iav. D.18.1.65 dove l’espressione ‘ut
dares’ «‘versteht…offensichtlich nicht als Pflicht zur
Eigentumsverschaffung». Per una valutazione critica rispetto ad una
interpretazione di ‘dare’ nel senso
di ‘Ubereignung’, S. Schlossmann,
Über die angebliche Bedeutung von ‘dare’
in der römischen Rechtssprache, in ZSS.
29 (1908), 288 ss.
[205] In questa
direzione vd. V. Scialoja, La l. 16 dig., cit., 161 ss.; P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 127 ss.; V. Arangio-Ruiz, La compravendita,
2a ed. cit., 161; M. Talamanca,
voce Vendita (dir. rom.), cit., 380
s.; S. Tondo, Note ulpianee, cit., 453 e ivi nt. 59; M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 129 («nicht durch eine
Erweiterung der für dieses Geschäft vorgesehenen Formel durch praescripta verba geleistet werden, da
sie nur die Urteilvoraussetzungen, aber nicht den Inhalt des oportere beeinflussen können»); T. Dalla Massara, Alle origini,
cit., 234 nt. 88; da ultimo C. A.
Cannata, Labeone, Aristone,
cit., 40 («obbligazione che il venditore non ha»); per altri riferimenti vd.,
dettagliatamente, S. A. Cristaldi,
Il contenuto dell’obbligazione, cit.,
1 ss., 102 ss.; un tentativo di ricondurre piuttosto la decisione celsina
all’ordine con cui le parti avrebbero deciso di procedere all’adempimento delle
rispettive prestazioni, si trova in Ph.
Meylan, La conception classique,
cit., 143 ss., di cui però si veda il diverso punto di vista maturato in Nouvelle explication, cit., 287 ss.; per
certi versi simile è la spiegazione più recentemente suggerita da A. Schiavone, Studi, cit., 152 («probabilmente, è l’aver considerato l’effettivo
e materiale trasferimento del denaro come primo atto della vendita…a far
credere a Celso di esser fuori dal modello consueto dell’antico contratto del ius gentium»); critico C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 40 nt. 14; in proposito vd. anche S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 87 s. e ivi nt. 25.
[206] Non ci
pare si possa in proposito aderire al diverso punto di vista di C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 39, 98 s., secondo il quale l’analisi
celsina sarebbe piuttosto finalizzata ad evidenziare l’incompatibilità del
regime della compravendita consensuale con l’intento negoziale delle parti,
lasciando sostanzialmente intendere che la decisione del giurista di orientarsi
verso lo schema dell’obligatio ob rem
dati sarebbe dipesa dal fatto che il regime della condictio fosse l’unico a risultare «aderente alla struttura del
negozio concluso, e quindi come il solo sicuramente aderente alla volontà delle
parti», determinandosi diversamente – mediante il ricorso all’azione
contrattuale – l’applicazione di una «disciplina che non corrispondeva più alla
struttura dell’affare voluto dalle parti» («Tutto il discorso di Celso, da et ideo in poi, è orientato a
sottolineare come il regime del negozio in questione risulti diverso dal regime
della compravendita: e ciò assume un valore particolare perché tale regime è
direttamente desunto da quello che le parti hanno fatto per realizzare la
fattispecie obbligatoria in questione…Ciò rivela, secondo Celso, che il
negozio…non è una compravendita, con una compravendita non ha nulla a che fare,
e quindi tutelarlo con un’azione contrattuale in qualunque misura ispirata alle
azioni da compravendita tradirebbe, in concreto, il senso della negoziazione
avvenuta»). Ad essere qui esaminate dal giurista proculeiano sono le
conseguenze di un mancato inquadramento del negozio nello schema di un genus contractus pro portione emptionis venditionis, piuttosto che le ragioni
che dovevano condurre a tale soluzione: in questo senso, peraltro, con critica
rispetto al punto di vista di P. Cerami,
‘Vulgaria actionum nomina’, cit.,
126, vd. già F. Gallo, Synallagma 2, cit., 168 ss.; Id., «Agere praescriptis verbis»,
cit., 50 s.
[207] Per
l’interpolazione di tradidisse al
posto di mancipasse v. già M. Voigt, Über die condictiones ob causam, Leipzig 1862, 682; O. Lenel, Pal.1.140 nt. 1; H. Erman,
rec. a E. Rabel, Die Haftung, cit., e S. Schlossmann, Zur Geschichte des römischen Kaufes, cit., in ZSS. 25
(1904), 467 s. («Sicher ist ferner, daß Celsus für dies Stichum dare von
Mancipation sprechen…mußte»), al quale si rinvia per una valutazione critica
della proposta ricostruttiva avanzata da S.
Schlossmann, Zur Geschichte des
römischen Kaufes, cit., 189;
V. Scialoja, La l. 16 dig., cit., 179 (‘finge
alienum esse Stichum, sed te tamen eum tradidisse<mancipasse>: repetere a
te pecunia potero’); con decisione P. Kretschmar,
Die l. 16 D. de condictione causa data
causa non secuta 12,4 im Lichte des Schulenstreits; zugleich eine methodische
Untersuchung zur Wiederherstellung der Urfassung, in ZSS. 61 (1941), 136 e ivi nt. 21; V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,2
cit., 157 s.; P.W. Kamphuisen, La garantie, cit., 618 nt. 3; verosimile
il riferimento alla mancipatio anche
per F. Gallo, Synallagma 2, cit., 157 nt. 5, 169 nt.
29, 170 nt. 31; da ultimo C. A. Cannata,
Labeone, Aristone, cit., 36 s.;
ulteriori indicazioni si possono trovare in S.
A. Cristaldi, Il contenuto
dell’obbligazione, cit., 80 nt. 7.
[209] Così C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 41: «non si pone alcun problema di
evizione (neanche nella forma dell’obligatio
auctoritatis legata alla mancipatio)».
[210] C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 41 («Tu
è obbligato a dare: in un negozio in
cui il soggetto che deve fornire una cosa è obbligato a trasferirne la
proprietà, questi, se ha compiuto l’atto traslativo di una cosa altrui, siccome
l’atto è inefficace, resta inadempiente, e ne risponde all’altro, senza bisogno
che si attenda che il terzo proprietario gliela evinca»).
[211] La
necessità di un ricorso ad una mancipatio
nummo uno è esclusa da Ph. Meylan,
La conception classique, cit., 151;
diversamente, come si è visto (supra
nt. 137) Ch. Appleton, L’obligation de transférer,
cit., 760 nt. 3.
[212] Giustamente alla menzione «d’un équivalent pécuniaire
lorsque, comme dans notre espèce, elle opère une aliénation à titre onéreux»
pensava Ph. Meylan, La
conception classique, cit., 152.
[213] In
questo senso, rifacendosi ad uno spunto di Giovanni Bassiano (gl. Proclivior sum), vd., con ulteriore
letteratura, S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 96
ss.; in senso contrario, vd. le osservazioni di M. Talamanca, voce Vendita
(dir. rom.), cit., 381, per il quale si sarebbe trattato di ‘volontà
contraddittoria, e quindi irrilevante per il diritto’; critica respinta da S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 96 nt. 54.
[214] Così S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 114 s. («non ogni pecunia
numerata è prezzo; lo è solo quella sulla quale v’è stato un convenire
de pretio, cioè un accordo che la fa considerare quale misura di valore
della cosa in vendita»).
[215] In
questo senso del resto vd. già P. Kretschmar,
Die l. 16 D. de condictione causa data
causa non secuta 12,4, cit., 136 s. (‘Hier ebenfalls sofortiges Recht des
Zahlers, das Geld zurückzufordern…’); più recentemente M. Talamanca, voce Vendita
(dir. rom.), cit., 380 nt. 800 («se è stato trasmesso uno schiavo altrui…si
poteva subito agire per la ripetizione dell’ob
rem datum, a differenza del regime evizionale della vendita»); una diversa
valutazione sembra piuttosto emergere in A.
Burdese, Sul riconoscimento,
cit., 32 («sul fondamento della verifica che l’azione di ripetizione…sia sufficiente
ad assicurare al dans una
soddisfacente tutela per ogni caso ipotizzabile, di morte dello schiavo
promesso, di sua evizione…»).
[217]
Sostanzialmente senza seguito la proposta di P.
Collinet, L’invention du contrat
innommé: le responsum d’Ariston (Dig. 2,14,4,2) et la question de Celsus
(Dig.12,4,16), in Mnemosyna Pappulias,
AQHNAI 1934, 98 s.; Id., La
nature, cit., 331 ss., di sopprimere l’aggettivo ‘alia’ e l’inciso ‘quam-non
secuta’, essendo peraltro l’espressione ‘obligatio ob rem dati re non secuta’ un hapax: la notazione risale a G.
Beseler, Miszellen, in ZSS. 45 (1925), 462.
[218]
Considerazione che naturalmente richiederebbe una più attenta e diversa valutazione
nella prospettiva di una configurazione del dovere di garanzia tendente
piuttosto ad un accostamento con la (moderna) figura dell’onere.
[219] Una
critica al testo si trova anche in Ph.
Meylan, La conception
classique, cit., 150 ss.; Ch.
Appleton, L’obligation de transférer, cit., 761 s.; P. Voci, La dottrina
romana del contratto, cit., 259; più generalmente ritenevano interpolato
l’intero frammento da finge in poi S. Perozzi, Istituzioni 2, cit., 218 nt. 1; P.
de Francisci, SUNALLAGMA 1,
cit., 129 nt. 1; dubbi rispetto all’ipotesi di un’interpolazione dell’inciso ‘pro evictione-promittere’
(«l’interpolation….ne nous parait pas certaine») si trovano espressi invece in P. W.
Kamphuisen, La garantie,
cit., 618 nt. 3; di parte del testo ‘particolarmente martoriata in passato’
discute S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 80
nt. 9.
[220] In
questo senso vd. V. Arangio-Ruiz,
Diritto puro e diritto applicato negli
obblighi del venditore romano, in Festschrift
P. Koschaker 2, Weimar 1939, 143 nt.
6; Id., La compravendita, cit., 158; sulla questione vd. anche S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 80 nt. 9, 82 s., ntt. 16-17
[221] V. Arangio-Ruiz, Diritto puro e diritto applicato, cit., 143 nt. 6, su cui vd. però infra nt. seg.; critico Ph. Meylan,
La conception classique, cit., 151.
[222] V. Arangio-Ruiz, La compravendita, cit., 158 e ivi nt. 3, il quale proponeva inoltre
di interpretare qui la congiunzione ‘rursus’
nel senso di ‘al contrario’ e non ‘di nuovo’; adesivamente vd. M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 380 nt. 800.
[225] Così,
raccogliendo un suggerimento di Gradenwitz, A. Pernice, Labeo. Römisches
Privatrecht im ersten Jahrhunderte der Kaiserzeit 2.1, Halle 1895, 295 nt. 1; in senso contrario Ph. Meylan, La conception classique, cit., 150, per
il quale non si sarebbe trattato di una garanzia per evizione ed avrebbe comunque
trovato applicazione per la sola ipotesi di trasferimento di immobili (147 e
ivi nt. 2); in parte differente la ricostruzione di P. Kretschmar, Die l. 16
D. de condictione causa data causa non secuta 12,4, cit., 137 ss., 143: ‘et rursus, si tuus est Stichus et <secundum mancipium satisdas, etsi> pro evictione eius
promittere non vis, [non] liberaberis [quo
minus a te pecuniam repetere possim]; sulla satisdatio s. m. aderisce all’interpretazione tradizionale di
stipulazione di garanzia «realizzata con l’intervento di un garante», avente
effetto novativo, T. dalla Massara,
Garanzia per evizione, cit., 285; in
senso contrario vd. M. Sargenti, La satisdatio secundum mancipium, cit.,
151 ss.; sul punto vd. anche V.
Arangio-Ruiz, La compravendita,
cit., 52 ss.
[226] O. Lenel, Pal.1.140 nt. 2; H. Erman,
rec. a E.
Rabel, Die Haftung, cit., 467;
da ultimo C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 41 (‘si tuus est Stichus et <mancipare non
vis>’), il quale ritiene che Tu
non sarebbe stato liberato «compiendo la traditio
dello schiavo…anche se lo faccia col consenso di Ego o in forza di uno specifico patto».
[227] Non
muovono rilievi A. Burdese, Sul riconoscimento, cit., 32; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 169 s. e ivi nt. 31; Id., «Agere praescriptis verbis», cit., 37, 51; T. Dalla Massara, Alle origini,
cit., 235 ss.; in favore della genuinità sembra prendere posizione («i sospetti
d’interpolazione…sono oggi limitati solo al “tradidisse”, che avrebbe
sostituito l’originario riferimento alla mancipatio») anche S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 81 ss., a cui si rimanda per
ulteriori indicazioni bibliografiche; diversamente, come si è visto (supra
nt. prec.), C. A. Cannata, Labeone, Aristone, cit., 41.