N. 9 – 2010
– Tradizione-Romana
Accademia delle
Scienze di Russia
Mosca
Origini e sviluppi
del concetto di persona nella Roma repubblicana
Sommario: 1. Il concetto
d’origine del termine giuridico persona
dalla maschera teatrale nella storiografia moderna. – 2. Le obiezioni alla dottrina dominante della storiografia.
– 3. Il nesso etimologico tra persona e personare. – 4. L’origine
della persona dalle maschere religiose dei culti più arcaici.
– 5. Il ius imaginum
arcaico come laboratorio del ius
personarum classico. – 6. Il
contenuto giuridico del ius imaginum
arcaico. – 7. Il problema del
tempo della nascita del diritto arcaico delle persone. – 8. Il ius imaginum
come diritto pubblico. – 9. Il concetto persona publica. – 10. Ex persona alicuius agere
e il significato del termine arcaico nomen. –
11. La personae fictio come la personificazione
delle persone pubbliche. – 12. Conclusione sul carattere sacrale
del diritto arcaico delle persone sulla base del Serv. Aen. II.116.
Studiando il concetto giuridico romano di persona è necessario ricostruire in
modo abbastanza plausibile la sua origine storica, ma proprio su questo
problema nella letteratura scientifica moderna non c’è sufficiente
chiarezza, nonostante esista ormai una sovrabbondanza di lavori
pubblicati[1]. Nella maggioranza dei lavori scientifici e nei manuali
di diritto romano si legge normalmente che il significato originario, non
giuridico, del termine persona
indicherebbe la maschera teatrale[2]. Nelle fonti di epoca tardo repubblicana e imperiale
questo significato è in effetti uno dei principali[3]. Però, il sostantivo persona è proprio una di quelle parole che presentano una
pluralità di significati e l’individuazione di quale di questi
possa essere il più antico e principale – sarebbe di per sé
il tema per una ricerca a parte, ma è importante sottolineare comunque
che il significato di “maschera teatrale” non è
l’unico tra quelli che si incontrano nei testi più antichi[4]. Una fonte autorevole del I sec. a.C. come il grammatico
romano Gavio Basso rappresenta nel suo “De origine
uocabulorum”, secondo quanto apprendiamo da Aulo
Gellio, la sua spiegazione dell’origine della parola persona. Etimologicamente questa parola sarebbe una derivazione dal
verbo personare che significa
“suonare”. La fonte spiega che la maschera messa sulla testa
rafforza notevolmente il suono che esce dalla bocca della maschera[5]. Basandosi proprio su questo testo di Aulo Gellio, gli
studiosi considerano il significato più antico di persona come “maschera teatrale”[6]. Grazie ai dati che fornisce Festo sulla introduzione
della commedia Atellana antica, mediante la spiegazione della frase personata fabula (favola suonata)[7], e anche grazie al racconto di Tito Livio sul primo
spettacolo teatrale del 364 a.C. che accompagnava i sacrifici propiziatori[8], possiamo individuare il tempo dell’apparizione
delle maschere teatrali in modo abbastanza preciso: la metà del IV sec.
a.C. Gli studiosi, poi, univocamente legano la parola latina persona con quella greca prÒswpon, la quale significava anche
maschera, e giustamente notano come ambedue i
termini siano praticamente sinonimi[9]. Condizionando l’evoluzione del termine latino persona con quella del greco antico prÒswpon,
gli studiosi concludono che il significato giuridico del termine persona sarebbe nato non prima del II
sec. a.C.[10].
Non è possibile condividere tale conclusione,
se non supponendo che il diritto romano arcaico conoscesse un altro termine giuridico
equivalente a quello di persona.
Infatti, etnografi moderni riconoscono che una delle divisioni più
antiche del diritto e anche del prediritto sarebbe stata quella relativa alla
distinzione tra soggetti e oggetti del diritto, cioè alla distinzione
tra persone e cose[11].
Non c’è dubbio quindi che anche i Romani nella loro
sistematizzazione più antica del diritto operassero questo tipo di
distinzione. Infatti, già l’azione più antica, la legis actio sacramento, si suddivideva in due specie: in rem e in personam[12].
Inoltre, concetti come quelli di persona
sui iuris e di persona alieni iuris,
senza dubbio, possiamo dire si usassero già nelle leggi dei re e nelle
XII Tavole[13].
Il concetto di persona sui iuris o suae potestatis si incontra già
in Plauto ed ha origine non meno antica di quella dell’istituto della patria potestas[14].
Su questi fatti si potrebbe obiettare: come si
può parlare di significato giuridico del termine persona in Roma arcaica, se anche gli stessi spettacoli teatrali
con l’uso delle maschere teatrali nella commedia e nella tragedia,
cioè queste personae ancora
non esistevano? La risposta nasce automaticamente: ma perché dobbiamo
chiuderci solamente sulle maschere teatrali? E in generale, davvero il ius personarum, che era così importante per i romani nella sua origine,
era così strettamente legato con espressioni così grottesche come
sono le maschere tragiche e comiche? Infatti gli attori romani, gli histriones, in base al loro status erano sulla scaletta sociale
più bassa, perché la loro professione si riconosceva come
vergognosa e disonorevole per ogni cittadino rispettabile[15].
Solamente i giovani romani che prendevano parte alle commedie popolari atellane
più antiche avevano il privilegio di non smettere le loro maschere
durante lo spettacolo per non infamare lo status
della loro persona o della loro famiglia[16].
Se ci avviciniamo all’analisi dell’origine
del concetto giuridico della persona senza
pregiudizi nei confronti della dottrina dominante, si deve riconoscere che
nessun autore antico che abbiamo a nostra disposizione afferma che la parola persona è presa in prestito dagli
etruschi insieme con gli spettacoli teatrali in un’epoca che sia
anteriore alla metà del IV sec. a.C. e che originariamente questa
significava “la maschera teatrale”[17]. Tutto al
contrario, il grammatico romano Gavio Basso in modo
convincente fa derivare persona
dal verbo latino personare (suonare,
cantare)[18].
Per di più, la parola persona
e il sostantivo derivato persolla
(faccino) si incontrano già nelle commedie del III-II sec. a.C. di
Plauto[19] e
di Terenzio[20] e
anche nelle tragedie di Accio[21]
del II sec. a.C. con il significato non di maschera teatrale, ma di faccia
umana o di personaggio. Un poeta ancora più antico – Nevio che
visse nel III sec. a.C. – usa il participio personatus proprio nel significato “suonato”,
“cantato” (Fest. 238 L.).
La conferma diretta proprio di tale etimologia ci dà l’aggettivo personus formato da personare che ha il significato di “suonato”,
“risuonato”[22].
Dunque, oggettivamente bisogna riconoscere che la
parola persona è di pura
origine dal latino e etimologicamente è connessa col verbo latino, che
esiste da sempre, sonare (suonare,
cantare, riempire di suoni, decantare). Devo riconoscere, però, il fatto
che il significato “maschera” è molto diffuso ed è
uno dei principali, e che anche Gavio Basso, spiegando il significato del verbo
personare, lega le sue
particolarità con la maschera messa sulla testa dell’uomo. Ma i
romani dai tempi antichissimi usavano le maschere e non solamente quelle
teatrali. Per esempio, vale la pena di fare fermare la nostra attenzione su un
testo dei Fasti d’Ovidio[23],
nel quale il poeta spiega l’origine della festa Quinquatrus minores
del collegio dei flautisti che loro festeggiavano in onore di Minerva Capitale
il 13-15 giugno[24].
In questo testo alla domanda di Ovidio: “Perché loro vogliono
delle maschere?” Minerva risponde che dai tempi antichi i flautisti erano
molto stimati dai romani e si usavano in tutti i sacrifici nei templi, nelle
feste religiose e nelle cerimonie funebri degli illustri cittadini. Insieme con
altri autori antichi Ovidio lega l’apparizione della festa con gli eventi
del 311 a.C., però, Livio[25] e
Valerio Massimo[26]
spiegano, che solamente in quest’anno loro hanno restituito l’onore
vecchio (honos
pristinus restitutus) e il diritto della refezione di quelli, che “durante
i sacrifici” e “durante i più importanti affari pubblici e
privati colla maschera in testa fanno canto in
coro”. E Plutarco[27] aggiunge che in favore della venerazione delle
divinità “diritti onorevoli abbastanza grandi” erano
concessi ai flautisti dal re Numa Pompilio, cioè già nel VIII
sec. a.C.
L’uso delle maschere nei riti
religiosi e nelle procedure sacrificali risale a tempo immemorabile, ancora
prima della nascita della stessa Roma, in particolare nel rito dei Saturnalia[28]. Così, Macrobio raccontando dell’origine
dei Saturnali, sottolinea che oracolo di Dodona ordinò ai Pelasgi di
sacrificare le teste umane a Aido (Sat. I.7.28) e le popolazioni del
Lazio antichissimo, seguendo l’oracolo di Apollo avrebbero assimilato
questo uso; però, Ercole dopo il suo arrivo in Italia, avrebbe insegnato
ai Latini di sostituire i sacrifici delle teste umane con le piccole maschere
che imitavano con arte la faccia umana[29]. Più tardi Tarquinio il Superbo sollecitato
dall’oracolo Delfico avrebbe ripristinato i sacrifici delle teste dei
bambini per la divinità Mania, la madre dei Lares, anche se nel 509 a.C. il console Bruto ordinò di
sostituire le teste dei bambini con i nomina
capitum, cioè delle maschere piccole fatte con dei capi di papavero[30]. Con queste piccole maschere che si chiamavano oscilla, i Romani
sacrificavano non solo alle divinità infere Ditus e Lares, ma anche,
per esempio a Bacco[31]. Il termine oscillum,
un diminutivo dal os, oris –
“bocca”, “faccia”, “maschera”,
letteralmente significa “piccola faccia” o “piccola
maschera”[32]. Tali maschere si sospendevano agli alberi nei crocevia
durante i Compitalia, cioè
durante uno dei giorni della festa dei Saturnali. E queste maschere avevano
delle somiglianze ritrattistiche con i loro padroni, e la loro quantità
sempre corrispondeva alla quantità dei membri della famiglia includendo
gli schiavi[33]. La regola voleva che queste maschere si facessero sia
di cera, sia di legno e tessuto[34]. Le maschere grandi che i romani mettevano sulle teste
durante diverse feste religiose, per esempio, nelle processioni dei Salii o dei
Frates Arvali o Luperci, o nelle processioni in onore di Iuppiter Latiaris durante i ludi Latini[35] e così via, venivano anche fatte con la cera, la
creta, il legno o il tessuto (Verg. Georg. II.385-389; Serv. Georg. II.387). In
qualche caso le facce semplicemente venivano tinte con il colore rosso[36], come per esempio, la faccia del trionfatore, che
durante il trionfo raffigurava la persona di Giove[37]. Alle processioni religiose che contemplavano anche dei balli
mascherati partecipavano anche “le divinità paterne”, i
cosiddetti Penates del popolo romano,
le immagini dei quali, cioè le maschere, forse, venivano indossate dai
sacerdoti o dai loro servitori che le calzavano sulle loro teste[38]. Questo modo di procedere alla personificazione delle
divinità è rappresentato abbastanza dettagliatamente da Dionigi
d’Alicarnasso nella sua descrizione della processione religiosa
dell’inizio del V sec. a.C. durante l’apertura dei ludi Latini[39].
Finalmente rivolgiamoci a un altro istituto religioso
romano strettamente legato all’uso di maschere. Si tratta del famoso ius imaginum romano, descritto dallo
storico greco della prima metà del II sec. a.C. Polibio. Lo storico
greco chiama questo diritto “uso antico” (di¦ tîn
™qismîn), e consisteva nell’educare i giovani romani ai
desideri più magnanimi[40].
Anche i più famosi cittadini romani non di rado notavano che proprio le
maschere degli antenati “accendevano un’ispirazione fortissima alla
virtù”[41].
L’essenza del diritto delle maschere secondo Polibio[42],
consisteva nel fatto che i cittadini nobili romani avevano il diritto di avere
dopo la loro morte una pompa funeris
nel foro romano (cioè con la partecipazione di tutti i cittadini
romani), una cerimonia funebre che includeva anche la declamazione di parole
laudative in loro onore pronunciate dal figlio maggiore o dal congiunto
più vicino. Dopo il funerale la maschera del defunto con le onoranze
speciali si metteva nell’armadio di legno nell’atrio della casa.
Successivamente questa maschera insieme con le maschere degli altri antenati
famosi della famiglia partecipavano a tutte le cerimonie funebri della famiglia
e ad alcuni riti religiosi pubblici o della gens.
Messe sulle teste degli uomini simili a defunti in altezza e nelle figure
insieme con i vestiti e le insignia
dei magistrati o dei trionfatori (secondo la carica suprema che il defunto
aveva ricevuto durante la vita), le maschere degli antenati direttamente erano
partecipi della pompa della gens. Avendo più maschere degli
antenati più nobili, il cittadino romano poteva organizzare una pompa funeris che risultasse la
più maestosa e pittoresca.
Secondo Plinio il Vecchio[43],
queste maschere di cera, messe nell’armadio dell’atrio in un certo
ordine, erano collegate a delle linee che formavano l’albero genealogico
di qualsiasi famiglia romana. In questo posto si conservavano anche le tavole
con i nomi e le descrizioni brevi degli affari memorabili degli antenati
durante le loro magistrature. Anche se lo stesso Plinio[44]
nota che la tecnologia della produzione delle maschere di cera, usando la forma
del calco di gesso della faccia umana, sarebbe nata solamente alla fine del IV
sec. a.C., questo fatto indiscutibile può significare che prima tali
maschere si facevano con un’altra tecnologia più primitiva, che
forse non dava la somiglianza ritrattistica più rigorosa. Almeno lo
stesso Plinio scrive che l’arte del modellamento dalla creta e della cera
fu portata in Italia nel VII sec. a.C. dal padre di Tarquinio il Vecchio,
Demarato[45], e
che il console del 495 a.C. Appio Claudio avrebbe collocato gli scudi con le
maschere dei suoi antenati insieme con le iscrizioni dei loro nomi e dei meriti
nel tempio della divinità della guerra Bellona[46],
in base a questo mi sentirei di dissentire con la tesi del romanista italiano
F. Lucrezi, il quale basandosi sulla data abbastanza precisa
dell’invenzione della tecnologia nuova di Lisistrato, ha individuato come
data di nascita del ius imaginum
un’epoca non antecedente del 367 a.C.[47].
Tale conclusione direttamente contraddice non solo Plinio il Vecchio, ma anche
altre fonti abbastanza numerose che ci permettono di concludere che il
“diritto delle maschere” appartiene agli istituti romani più
antichi. Così, Dionigi d’Alicarnasso nota che connesso con questo
diritto l’uso romano di pronunciare laudatio
funebris è più antico di quello greco e come minimo da la
datazione la fine del VI sec. a.C.[48].
Poi, Livio menziona l’istituto delle maschere degli antenati in relazione
con il re del VII sec. a.C. Anco Marzio che pare avesse avuto solo una maschera
dell’antenato romano – quella di Numa Pompilio[49].
Lui menziona anche la maschera del padre del re Tarquinio Prisco[50].
Infine, lo stesso culto degli antenati, se non interamente, almeno in gran
parte coincide al culto comune latino dei Lares
e Penates che senza dubbio è
più antico della stessa città di Roma[51].
Bisogna sottolineare che il ius imaginum abbastanza raramente viene descritto con l’uso
del termine persona, siccome
abitualmente gli autori antichi mettono il termine più generale imago (immagine) o cera (maschera di cera), e forse proprio questo fatto spiega la
mancanza di attenzione degli esperti sul problema d’origine
dell’istituto della persona
verso questo diritto romano antichissimo. Per la prima volta negli anni trenta
del secolo passato il romanista italiano F. Maroi ha rivolto l’attenzione ai
legami tra il ius
imaginum e la persona[52],
però, la sua posizione fu criticata e non accettata dagli studiosi[53].
Non di meno, volendosi attenere ai dati delle fonti antiche, bisogna in
particolare porre l’attenzione sul fatto che Polibio per indicare la
maschera funebre usa proprio il termine prÒswpon,
cioè una parola riconosciuta da tutti come l’equivalente greco
della parola latina persona. Anche i
romani stessi, se non spesso, non di meno usavano il termine persona per indicare la maschera funebre[54],
allo stesso tempo Svetonio si richiama all’uso antico (mos) di mettere la maschera (persona) del defunto durante cerimonia
funebre. Quindi il diritto delle maschere può essere designato non solo
con il ben noto ius imaginum[55], ma anche con
l’ancora più noto ius
personarum. Oltre a questo, il brano appena menzionato di Svetonio permette
di fare anche delle precisazioni importanti su alcuni dettagli del rito funebre
riguardanti il ius imaginum. Lo
storico romano nota che secondo l’uso degli antenati (ut est mos), la persona che si metteva
la maschera del defunto, “rappresentava le sue parole ed i suoi affari”,
cioè la cerimonia funebre includeva in sé anche degli elementi di
uno spettacolo quasi teatrale. Nello stesso tempo grazie all’uso
d’enumerare le azioni gloriose degli antenati di una certa gens patrizia i romani poterono
conservare la loro storia durante molti secoli anche prima della nascita della
tradizione degli annali scritti[56].
Tale costume di glorificazione degli antenati fu proprio di molti popoli che
vissero lo stadio della società patriarcale arcaica e nello stesso
tempo, tale glorificazione, di regola veniva rappresentata in forma epica di
canzone con elementi dello spettacolo teatrale[57],
in connessione con ciò bisogna ricordare che uno dei significati del
verbo personare era
«osannare», «rendere glorioso»[58]. E
proprio questo significato, a mio avviso, è uno dei più antichi,
ascendente all’epoca della tradizione antescritta[59].
E’ evidente che il contenuto giuridico del ius imaginum si formò nel periodo
arcaico[60].
Almeno Plinio il Vecchio raccontando delle immagini degli antenati di Appio
Claudio (datati del 495 a.C.), menziona anche le iscrizioni sotto le maschere
che recavano l’elencazione dei loro honores
e anche piccole immagini di tutti loro figli (N.H. XXXV.12). Anche Livio nella parte dedicata ai secoli IV-III
a.C. non di rado fa menzione delle iscrizioni sotto le maschere degli antenati,
dove venivano annotate le loro cariche, ricompense e imprese gloriose[61].
Livio spesso si rammarica della falsità e della ingegnosità delle
iscrizioni di questo tipo che si spiega molto semplicemente come
un’esaltazione dei meriti degli antenati che poteva favorire la crescita
dello status sociale del discendente
in vita, del suo status personarum.
E’ importante notare che anche nel I sec. a.C. il diritto delle maschere
non si riceva automaticamente, ma veniva attribuito dal senato e dal popolo
come premio accanto al diritto della toga
pretexta e all’uso della sella
curulis e ad altri ancora[62].
In un certo senso, si potrebbe dire che il ius
imaginum rappresentasse il simbolo antichissimo del cosiddetto
“potere dei padri”, la patria
potestas, che in Roma arcaica significava il potere del capo del clan romano[63] e
nello stesso tempo si rappresentava sia nel campo del diritto privato che pubblico[64].
Nella storia romana arcaica ci sono più che sufficienti esempi della
manifestazione di tale potere, ma per il nostro argomento è più
interessante il caso abbastanza tardo (II sec. a.C.) del giudizio di Tito
Manlio Torquato su suo figlio pretore, accusato dai macedoni di concussione. La
condanna all’esilio fu fatta dal padre nell’atrio della casa in
presenza delle maschere degli antenati[65].
Come F. Lucrezi[66]
giustamente nota il crimine del romano investito del potere tra l’altro
si puniva anche con la privazione del diritto della maschera (abolitio imaginis)[67].
Finalmente, la stessa idea di parentela, la divisione dei congiunti in
ascendenti e discendenti, usata nei Digesta
(D.38.10.9), è legata anche con il diritto delle maschere. Infatti, con
il termine stemma o stemmata usato nei Digesta i Romani indicavano le linee delle ghirlande che univano le
maschere degli antenati negli atrii degli aristocratici romani[68].
L’importanza del ius imaginum
per lo status del nobile romano si
rappresenta molto bene nelle parole di Cicerone, secondo cui in occasione e
prima di qualsiasi perorazione davanti l’assemblea del popolo romano
l’oratore cominciava dalla glorificazione delle imagines maiorum della sua famiglia[69].
Esaminando il problema di quando nacque e di
come si sviluppò il diritto delle persone in età arcaica, bisogna
sottolineare che ci sono più o meno chiare due tappe del suo sviluppo.
La prima tappa, quella della nascita, è collegata, secondo me, colla
sostituzione nei sacrifici delle teste umane con loro imitazioni; determinatasi
durante il periodo tra la fine del II millennio a.C. e la fine
dell’età dei re. Più precisamente secondo le fonti questa
tappa poteva essere concentrata nell’età tra il regno di Evandro
(XII sec. a.C.), quando fu stabilito il culto d’Ercole, e del re Numa
Pompilio (fine del VIII sec. a.C.), quando fu fatta la riforma religiosa
più profonda. Infatti, Plinio il Vecchio scrive che la prima statua,
quella d’Ercole Trionfale, fu collocata da Evandro nel Foro Boario e la
seconda, quella di Giano bifronte, da Numa Pompilio[70].
Nell’età più primitiva i latini usavano i cosiddetti delubra – bastoni di legno non
antropomorfici[71].
Allora, proprio a cavallo dei due millenni nacque la personificazione delle
divinità.
La seconda tappa abbastanza chiara è
quella del tempo di Cicerone, cioè nel I sec. a.C. Nelle opere di
Cicerone, come vedremo più avanti, il concetto giuridico della persona
già esisteva come quello astratto e abbastanza sviluppato in direzioni
diverse. E' chiaro che il concetto ciceroniano di persona non era elaborato da
lui stesso o preso in prestito dai greci, siccome gli elementi fondamentali di
questo concetto, come, per esempio, la patria
potestas, secondo Gaio[72]
appartengono al ius proprium ciuium
Romanorum, che era molto diverso da quello degli altri popoli. Nel tempo di
Cicerone il concetto giuridico di persona era già separato dal diritto
delle maschere, ius imaginum, ma
durante i secoli precedenti il ius personarum si sviluppava dentro o
sulla base del ius imaginum. Infatti,
Valerio Massimo scrive che durante i secoli fino alla fine del IV sec. a.C. il
diritto civile fu nascosto tra i riti e i sacrifici della religione[73]. Non
è una cosa accidentale anche il fatto che già nelle XII Tavole il
diritto funebre, strettamente connesso con il ius imaginum, fu
regolato in misura molto profonda, come si vede dal commento di Cicerone nel
libro 3 del trattato De legibus.
Tornando al diritto delle maschere, bisogna
sottolineare che quello è un diritto antichissimo che per iscritto
fissava il diritto delle persone e permetteva di definire lo status di qualsiasi gens romana in modo abbastanza preciso. E per mezzo degli alberi
genealogici degli atrii il ius imaginum
permetteva anche di regolare il ius
gentilicium e della famiglia e anche il sistema ereditario. Però, il
romanista italiano O. Sacchi, che ha scritto delle cose importantissime e
profondissime sull’origine del termine persona, criticando il concetto di F. Maroi, obietta abbastanza
fondatamente contro il mescolamento dei concetti di persona e imago e
sottolinea, in particolare che «in senso giuridico persona viene esteso da Gaio ... a tutti gli individui, ... il
diritto alle imagines riguarda invece
solo una élite di individui ed
era sottoposto ad un regime disciplinatorio assai rigido, anche volendo
estendere, a partire da una certa età, la possibilità del ius imaginum anche alle famiglie plebee»[74]. Su questo argomento si può dall’altra
parte obiettare che prima di tutto il ius
imaginum d’origine arcaico e il ius
personarum classico rispecchiano periodi molto diversi dello sviluppo, ma
di un sistema della stratificazione della società romana. Il ius imaginum si è formato come F.
Lucrezi giustamente nota[75], come un istituto della supremazia relativa del sistema
delle tribù, dove le gentes
dei patrizi erano elementi basilari della società arcaica. Qui proprio i
capi delle gentes, cioè delle grandi
famiglie, i cosiddetti patres, formavano una élite politica. Originariamente, quando il concetto di gens praticamente coincideva con il
concetto di familia, solo questi leader dei clan erano patres familiarum e di conseguenza solo loro erano personae sui iuris. Grazie alle vittorie della plebe nella lotta
col sistema dei clan dei patrizi lo sviluppo politico dello Stato romano
arcaico causò in fine la supremazia del principio della parità
formale davanti alla legge. Anche la trasformazione nella forma monarchica del
governo inizialmente aiutava al conseguimento di questa parità formale
di tutti eccetto il principe e questo fatto, secondo F. Lucrezi[76], a sua volta sarebbe stato causa dell’oblio del ius imaginum arcaico e di tutto il ius gentilicium[77]. Ciò
nondimeno, la somiglianza tra il ius
imaginum gentilizio e il ius
personarum classico e specialmente postclassico è più grande
rispetto a quello che sembra da un primo sguardo. Come F. Lucrezi nota, il ius imaginum repubblicano è
l’istituto non tanto di diritto privato di famiglia ma di diritto
pubblico, siccome regolava soprattutto lo status
proprio della élite politica,
cioè degli ex magistrati e senatori[78]. Il carattere giuspubblicistico dello status del patrizio e della sua famiglia
nella Roma arcaica e anche il carattere ereditario di questo status si vede, in particolare, nella
descrizione di Macrobio dell’uso antico dei patrizi di portare i loro
piccoli figli alle sedute del senato romano, preparandoli così per la
futura carica[79]. E' importante notare che l’appartenenza
eccezionale del diritto delle maschere alla élite politica ancora non
significa che i popolani non potevano avere delle immagini dei loro antenati.
Però, le loro maschere avevano un carattere esclusivamente privato,
perché non potevano partecipare alle cerimonie pubbliche e ai riti
funebri in presenza del popolo, cioè queste erano le personae privatae. E le maschere degli
ex magistrati, dei trionfatori e così via, erano cose assolutamente
diverse; i loro discendenti secondo Polibio (VI.53-54) potevano portare queste
maschere a diverse cerimonie pubbliche e in pubblico rendere gloriosi i loro
antenati e i loro affari. Queste maschere davano alla famiglia uno status giuspubblicistico e in questo
senso possono essere chiamate personae
publicae.
Lo stesso carattere giuspubblicistico
può essere riconosciuto anche in relazione all’élite
politica dell’epoca imperiale, i cosiddetti honestiores,
perciò rivolgiamoci allo studio del concetto persona publica con riferimento a questa epoca. In che misura il
termine persona publica è
applicabile in base al ius personarum
della Roma antica? Infatti, nella storiografia moderna già da più
di un secolo si discute sulla legittimità dell’uso del concetto di
“persona giuridica” in relazione a tali associazioni romane come la
societas, il municipium e gli stessi popolo romano (populus) e civitas romana
nel suo insieme[80]. Il giudizio di uno dei più famosi specialisti
del diritto delle persone, il prof. P. Catalano, è negativo in modo
categorico, lui in particolare nota: «... è giuridicamente assurdo
considerare il popolo come ‘persona giuridica’»[81]. In un certo senso lo studioso è completamente
nel giusto, siccome il concetto moderno di persona giuridica astratta non
esprime la molteplicità concreta dell’associazione romana[82], ossia tutto l’insieme dei cittadini costituenti
il municipio o il popolo romano[83]. Per di più, sotto la maschera astratta della
persona giuridica moderna spesso nel caso della responsabilità
giudiziaria è difficile trovare un individuo concreto che è
capace di essere responsabile per le azioni della persona giuridica.
Nondimeno il concetto persona publica, che indica la persona di qualsiasi totalità
o pluralità di cittadini, era sin dall’antichità ben noto
ai romani. Già Cicerone usa l’espressione persona populi Romani[84] o persona
civitatis (o prÒswpon pÒlewj)[85]. Gli agrimensori romani Frontino e Aggenio Urbico[86] usano l’espressione persona publica per indicare la persona della colonia romana. Anche
i giuristi classici romani, in particolare, Fiorentino[87], usano il termine persona
per indicare il municipium, la
decuria, la societas e
persino l’hereditas.
Infine, nelle fonti giuridici tarde – nel Codice
e nelle Istituzioni di Giustiniano – il termine persona publica viene usato come sinonimo del potere del magistrato[88] o dei senatori municipali[89]. E si deve anche tenere presente che questo ultimo
significato non può essere trattato esclusivamente come tardo antico,
come pensano pure alcuni romanisti[90], dato che già Cicerone usava le espressioni magistratus persona[91] e persona
principis civis[92].
In generale, i
giuristi e filosofi romani conoscevano bene l’idea della persona
astratta, come si vede nel caso della hereditas
iacens che rappresentava la persona del defunto[93], e della persona dello schiavo
di due domini che sincronicamente rappresentava due schiavi[94]. Ancora R. Orestano[95] prestava attenzione al concetto
di persona nel linguaggio di Cicerone
che era abbastanza sviluppato non solo in rapporto alla persona fisica, siccome
lui era capace di vedere in ogni uomo simultaneamente alcune persone-ruoli, per
esempio, una persona comune per tutti che si percepisce come la capacità
dell’intelletto, e un’altra come il carattere individuale
d’ogni singolo uomo[96]. Poi, secondo Seneca[97], ogni comandante che guida la
nave ha due persone; una comune con tutti i passeggeri della nave,
l’altra che è propria della sua carica. E se la prima persona
è in rapporto con i suoi affari privati personali, gli affari della
seconda persona, aggiunge Seneca, rappresentano “l’arte del
governatore della nave che è in proprietà degli altri e
appartiene a quelli, a coloro che lui trasporta”[98]. Infine, il commentatore
dell’Eneide di Virgilio, Donato che visse nel III sec. d.C.,
sull’esempio dei rapporti tra Venere e Giove nota che la prima ha due
persone – una persona privata e
una persona publica: come figlia di
Giove è persona privata, come divinità è persona pubblica,
e come tale subordinata al potere del re, di tutti gli dei e di tutti gli
uomini[99].
P. Catalano di
fronte a questa evidenza delle fonti porta la seguente obbiezione: «...
il fatto che certe regole relative alle persone fossero applicate anche a
collettivi quali le ‘associazioni’ e i municipia (o municipes)
(generalmente per dare a questi le stesse facilità nel traffico
giuridico che avevano le persone), non trasformava ‘associazioni’ e
municipia in personae»[100]. Nei confronti di tale
affermazione non posso consentire completamente. Cominciamo dal fatto che i
Romani mai tracciarono dei confini precisi tra pubblico e privato e non di rado
parificandoli uno con l’altro. Così, l’imperium del popolo romano si concepiva come il potere della
persona del magistrato, e si faceva assomigliare al potere del padre sui suoi
figli e si metteva alla pari con il potere del dominus sulle persone dei suoi schiavi[101]. Il termine familia delle XII Tavole veniva concepito dai giuristi romani come
l’indicazione della pluralità di persone (plures personae), ma nella persona di un solo pater familias[102].
Prendendo in considerazione il fatto che la familia
antichissima era equivalente alla gens
e che il popolo romano stesso non di rado veniva apostrofato come gens Romana[103], si può dire che a livelli
diversi: familia – societas
(cioè la sodalitas antica
delle XII Tavole[104]) – civitas funzionavano mediante la funzione degli stessi istituti.
Infatti, la sodalitas antica delle
XII Tavole veniva rappresentata sia come società di fratelli, ossia come
societas ercto non cito[105], dove ciascuno dei fratelli poteva compiere gli atti
giuridici a nome di tutta la società; sia come società
subordinata alla volontà unica di un padre, di un patrono o di un
magistrato[106]. Spesso le sodalitates gentilizie si riunivano secondo il principio del culto
degli antenati comuni, in connessione con ciò bisogna ricordare il
più antico diritto romano delle maschere, il ius imaginum. L’istituto dei Lares e dei Penates era
strettamente connesso con il ius imaginum
che era il culto tipico non solo privato di ogni famiglia, ma anche dello
stato, siccome c’erano sia dei lares
familiares, che dei lares publici,
sia dei penates, qui domi coluntur,
che dei penates populi Romani[107]. Conformemente a questo principio la maschera funebre
di una singola persona poteva essere trattata come persona publica o come persona
privata, e il suo culto poteva avere sia carattere privato, cioè
familiare puro, che giuspubblicistico[108].
Una persona privata
che agiva a nome di tutto il popolo diventava persona publica[109], proprio così come un’associazione di
privati, agendo a nome del popolo e governando la proprietà pubblica,
per esempio, una società di publicani, diventava societas publica, dato che agiva ex persona populi Romani[110].
In conseguenza di
tali osservazioni si deve prestare attenzione a un altro termine giuridico
importantissimo, che non di rado veniva usato come sinonimo di persona. Si tratta del termine nomen. Infatti, spesso nel luogo dove i
giuristi del Digesto giustinianeo usano l’espressione persistente ex persona alicuius agere[111], e Cicerone usa anche
l’espressione personam
populi Romani ... sustinere[112], in diversi testi risulta usata
l’espressione sinonimica nomine
alicuius agere o facere[113]. Descrivendo il rito
antichissimo della dedicatio domi
alle divinità e ricordando che la gens
di Clodio studiò i riti religiosi dallo stesso Ercole, Cicerone usa in
modo persistente l’espressione chiaramente rituale personam nomenque praebere[114]. Nello stesso tempo nei testi antichi dove si trova
menzione del diritto gentilizio delle maschere e delle iscrizioni
dell’albero genealogico, il termine nomen
si usa, per esempio, in combinazioni come nomina
familiae[115] o nomina nobilitatis[116] in un significato dunque
più ampio che non il semplice “nome” e qualche volta anche
come sinonimo della parola “maschera”[117]. G. Franciosi, studiando questo
termine dal punto di vista della sua applicazione nell’epoca del dominio
del sistema gentilizio arcaico, lo tratta come sinonimo del termine ‘totem’ che si usa nell’etnografia moderna rispetto alle
società primitive a base tribale[118]. Però, il termine nomen si usa più per il nome del totem, invece imago o persona –
per la sua immagine, la sua maschera, come per esempio nel caso
dell’immagine della lupa
romana. Al significato del termine nomen
dedica la sua attenzione anche P. Catalano replicando alle osservazioni di T.
Mommsen e dei suoi adepti rispetto al problema della traduzione del termine
come ‘tribù’ (Stamm,
race) e con argomenti di un certo peso insiste sul significato di
‘unità politica’[119]. Infatti, con
l’espressione nomen Latinum i
Romani spesso usavano riferirsi proprio a qualsiasi unità politica che
avesse una faccia propria e che agisse come una persona, come per esempio, con
la frase iussu nominis Latini[120]. Festo stabilisce un
collegamento tra l’imperium del
popolo romano e il nomen Latinum, in
connessione con ciò bisogna ricordare ancora un termine appartenente al
campo prevalentemente religioso. Si tratta del termine numen[121], con il quale i Romani indicavano sia la stessa
divinità o la sua immagine, sia le anime degli antenati, ma
principalmente il potere stesso della divinità[122] – imperium o potestas e
qualche volta lo usavano come sinonimo della parola nomen[123], in connessione con questo si deve anche notare che
in Roma arcaica, come nella maggioranza delle società tribali o di
classe arcaiche[124], sempre un grande ruolo aveva la
personificazione di ogni potenza astratta, prima di tutto quella divina. Questa
la ragione per cui il termine persona
veniva usato in relazione alle divinità[125], ai popoli e alle città.
In questo senso è molto caratteristica la descrizione d’Appiano
della processione del trionfo di Scipione l’Africano, il vincitore di
Annibale, nella quale furono portate “le immagini delle città
conquistate con le iscrizioni”[126]. Tali immagini prima di tutto
potevano essere delle divinità protettrici e totemiche delle
città, cioè i loro numina
e nomina, come loro personificazione.
I greci e i romani già dal tempo abbastanza antico conoscevano cosa
è la personificazione, usando la parola πϱοσωποποιία della lingua greca[127] e la espressione personae fictio nella lingua latina[128]. Tale prosopopeia
o personae fictio è spiegata da Isidoro come l’introduzione della
persona ai montes, flumina e arbores che non avevano l’anima e non sapevano parlare[129]. Tale personificazione, tale totem, era tipica
di ogni tribù romana arcaica come si vede molto bene nell’uso dei
manipoli militari romani di avere i signa
o le imagines propri, come, per
esempio, la faccia del lupo o dell’aquila, o del minotauro, o del porco,
o del cavallo, o del cinghiale[130]. Colui che portava tale immagine si chiamava imaginifer o signifer ed era molto importante tra i soldati, siccome portava la
persona dell’esercito o del manipolo[131]. Certamente, è possibile
che anche le immagini dei Lares e dei
Penates, delle divinità e
degli antenati famosi dei romani, fossero usate come i signa dei militari romani e così le maschere degli antenati
potevano partecipare alle battaglie e in quel caso perdere era considerato come
un crimine e un fatto particolarmente vergognoso[132]. Ogni immagine militare aveva
infine anche un suo proprio nomen e a
volte anche un cognomen scritti sotto
l’immagine[133].
In nesso con il
concetto della personae fictio
bisogna ricordare il termine fictores
che è molto importante per il nostro tema. Come è noto[134], questo termine significava non
solo gli scultori che lavoravano coll’argilla[135], ma anche i creatori di
sacrifici di diversi tipi speciali (per esempio, i cosiddetti libae)[136], che erano gli assistenti dei
pontefici e delle vestali[137]. Nello stesso tempo Servio nel
commento all’Eneide di Vergilio definisce questi assistenti sacerdotali
come quelli che creano le maschere e le figure di rame e di cera[138], ed Ennio nota che loro furono
creati da Numa Pompilio insieme ai sacrifici dei Argei, cioè delle
bambole di paglia. Può essere che tali antichissimi “creatori
delle maschere” (fictores imaginum)[139] favorivano la creazione del concetto di personae fictio.
Concludendo, voglio
ancora una volta sottolineare come il concetto persona già nel periodo delle XII Tavole fosse usato in
misura uguale sia nel campo giusprivatistico che in campo giuspubblicistico, e
l’istituto romano della persona
publica, anche se non era identico al concetto moderno di persona
giuridica, nondimeno già nell’età repubblicana presentava
degli elementi considerevoli di astrattezza, e più precisamente, di
personificazione dei concetti astratti. È per questo che penso che il
concetto di persona sui iuris delle
XII Tavole possa essere messo in relazione con il concetto di persona civitatis ... suo proprio iure.
Come già R. Leonhard ha giustamente notato[140], la capacità dei Romani
di personificare i concetti astratti e le insegne per mezzo del meccanismo
della fictio che consentiva loro di
assegnare a queste fattispecie una sorta di personalità, e cioè
le particolarità individuali, i nomina
e la possibilità di parlare (personare),
si formò nell’ambito del diritto sacro, circostanza sulla quale il
commentatore dell’Eneide virgiliana, Servio, presta la sua attenzione in
un testo con il quale vorrei finire la mia relazione:
Virgine caesa non vere, sed ut
videbatur. et sciendum in sacris simulata pro veris accipi: unde cum de
animalibus quae difficile inveniuntur est sacrificandum, de pane vel cera fiunt
et pro veris accipiuntur[141].
[1] Ved. per esempio: Goria F., Schiavi, sistematica delle personae e condizioni economico-sociali nel
Principato, in Prospettive
sistematiche nel diritto romano, Torino, 1976, 309-382; Albanese B., Le persone nel diritto privato romano, Palermo, 1979; Parfit D., Reasons and Persons, Oxford, 1984; Ricoer P., La persona, Brescia,
1997; Lubrano M., Persona
e homo nell’opera di Gaio. Elementi concettuali del sistema giuridico
romano, Torino, 2002; Melillo
G., Persona e status in Roma antica, Napoli, 2006; Boniolo G., De Anna G., Vincenti U., Individuo
e persona. Tre saggi su chi siamo, Milano, 2007; Homo, caput, persona.
La costruzione giuridica dell'identità nell'esperienza romana, a
cura di A. CORBINO, M. HUMBERT, G. NEGRI, Pavia, 2010; Donati A., Homo e persona. Incherent Dignity e
Menschenwürde, in Atti dell’Accademia romanistica
Costantiniana. XVII Convegno internazionale in onore di G.Crifò, T.
1, Roma, 2010, 73-236; Faro S., La
maschera e il volto, in Atti dell’Accademia..., 629-648; Giglio S., Caput come persona nella
legislazione imperiale, in Atti dell’Accademia..., 795-848; Falchi G.L., La persona e il suo
diritto, in Atti dell’Accademia..., 1021-1062; Sacchi O., Persona e diritto romano. Elementi per un’archeologia giuridica
del concetto, in Atti
dell’Accademia..., 1189-1263; Tafaro S., Ius hominum causa
constitutum. Un diritto a misura
d’uomo, Napoli 2009; Scarano
Ussani V., La
'scoperta' della persona, in Ostraka
2009, 237-248.
Per maggiori dettagli della storiografia sul problema ved.: Sacchi O., Phersu/persona?
Contributo per un’etimologia di prosōpon, in Ius Antiquum. Древнее право, № 22, 2008, Мosca, 2010, 25 ss.
[2] Ved. per esempio: Sacchi O., Op. cit., 25-40; Mantovani D., Identità
e persona: un’introduzione, in Atti dell’Accademia...,
37; García Garrido M.J., Derecho
privado romano. Casos, acciones, instituciones, Madrid, 2001, 205, nt.1.
[3] Oxford Latin Dictionary, Oxford, 1968, 1356; Thesaurus
Linguae Latinae (TLL) Vol. X.1, 1715-1729.
[5] Gell. N.A. V.7: Lepide mi Hercules
et scite Gauius Bassus in libris, quos de origine uocabulorum composuit, unde
appellata 'persona' sit, interpretatur; a personando enim id uocabulum factum
esse coniectat. Nam 'caput' inquit 'et os coperimento personae tectum undique
unaque tantum uocis emittendae uia peruium, quoniam non uaga neque diffusa est,
<set> in unum tantummodo exitum collectam coactamque uocem ciet, magis
claros canorosque sonitus facit. Quoniam igitur indumentum illud oris
clarescere et resonare uocem facit, ob eam causam “persona” dicta
est “o” littera propter uocabuli formam productiore.
[7] Fest. 238 L: Personata fabula quaedam Naevi inscribitur, quam putant quidam primum
<actam> a personatis histrionibus. Sed cum post multos annos comoedi et
tragoedi personis uti coeperint, verisimilius est eam fabulam propter inopiam
comoedorum actam novam per Atellanos, qui proprie vocantur personati; quia ius
est is non cogi in scena ponere personam, quod ceteris histrionibus pati
necesse est.
[8] Liv. VII.2.3-5: 3. ...
uictis superstitione animis ludi quoque
scenici - noua res bellicoso populo, nam circi modo spectaculum fuerat - inter
alia caelestis irae placamina instituti dicuntur... 4. sine carmine ullo, sine
imitandorum carminum actu ludiones ex Etruria acciti, ad tibicinis modos saltantes,
haud indecoros motus more Tusco dabant. 5. imitari deinde eos iuuentus, simul inconditis inter se
iocularia fundentes uersibus, coepere...
[9] Düll, Op. cit., 1036; Nédoncelle M., Prósopon
et persona dans l'antiquité classique. Essai de bilan linguistique,
in Revue des Sciences religieuses, 22, 1948, 277-299.
[12]
Ved. Кофанов
Л.Л., Lex и ius:
Возникновение
и развитие
римского
права в VIII-III вв. до
н.э., М., 2006,
363.
[13] Lobrano G., Il potere
dei tribuni della plebe, Milano,
1983, 278; Goria F., Op. cit., 334, nt. 53; Кофанов Л.Л., Lex и ius..., 73 ss.; 364.
[14] Ved.: Meylan, Origine de la formule “in potestate manu mancipioue”,
in Études Macqueron, Aix-en-Provence, 1970, 503 ss.; Capogrossi Colognesi L., Proprietà
e signoria in Roma antica, Roma, 1986, 174 ss.; Idem., Dalla
tribù allo stato (Le istituzioni dello stato cittadino), Roma,
1990, 233-243; Смирин В.М., Патриархальные представления и их роль в общественном сознании римлян, in Культура древнего Рима, Под ред. Е.С. ГОЛУБЦОВОЙ, Т. 2, М., 1985, 21-38.
[16] Liv. VII.2.12: unde exodia postea appellata consertaque
fabellis potissimum Atellanis sunt; quod genus ludorum ab Oscis acceptum tenuit
iuuentus nec ab histrionibus pollui passa est; eo institutum manet, ut actores
Atellanarum nec tribu moueantur et stipendia, tamquam expertes artis ludicrae, faciant.
Ved. anche: Fest. 238 L. Personata fabula.
[17] Per il vero, devo notare che esiste
almeno un autore antico, per quanto molto tardo (VI sec. d.C.), si tratta di
Boezio (De person. (Peiper) 3.10),
che scrive: Nomen enim personae uidetur aliunde traductum, ex his
scilicet personis quae in comoediis tragoediisque eos quorum interest homines
repraesentabant.
[18] L’etimologia di questo verbo
da per + sonare ved.: Oxford Latin
Dictionary..., 1357; TLL, Vol. X.1, Persona,
1732. Ved. anche: Boeth. Contra Eutych.
(Peiper) 3.10: persona … dicta est a personando circumflexa paenultima; quod si
acuatur antepaenultima, apertissime a sono dicta videbitur.
[19] Plaut. Curc. 192: ebriola,
persollae nugae. Phaed. Tun meam Venerem vituperas?; Pers. 783-784: qui illum Persam atque
omnís Persas atque étiam omnis persónas / male di
ómnes perdant...
[20] Terent. Eunuch. 25-26: Colacem esse
Naevi, et Plauti veterem fabulam; / parasiti personam inde ablatam et militis; 30-36: Colax Menandrist: in east
parasitus Colax / et miles gloriosus: eas se non negat / personas transtulisse
in Eunuchum suam / ex Graeca; sed eas fabulas factas prius / Latinas scisse
sese id vero pernegat. / quod si personis isdem huic uti non licet...
[21] Accius Carm. fr. 26: it nigrum
campis agmen / personas distortis oribus deformis miriones = Varr. De l.l. VII.64: miraculae a miris, id est monstris; a quo Accius ait: 'personas
distortis oribus deformis miriones'.
[23] Ovid. Fast. VI. 651-663: et iam
Quinquatrus iubeor narrare minores. / nunc ades o coeptis, flava Minerva, meis.
/ 'cur vagus incedit tota tibicen in Urbe? / quid sibi personae, quid stola
longa volunt?' / sic ego. sic posita Tritonia cuspide dixit...: / 'temporibus veterum
tibicinis usus avorum / magnus et in magno semper honore fuit: / cantabat
fanis, cantabat tibia ludis, / 660
cantabat maestis tibia funeribus; dulcis erat mercede labor. tempusque secutum
/ quod subito gratae frangeret artis opus. / adde quod aedilis, pompam qui
funeris irent, / artifices solos iusserat esse decem.
[25] Liv. IX.30.10: tunc concursus populi factus, impetratoque ut manerent, datum ut
triduum quotannis ornati cum cantu atque hac quae nunc sollemnis est licentia
per urbem uagarentur, restitutumque in aede uescendi ius iis qui sacris
praecinerent.
[26] Val. Max. II.5.4: Tibicinum quoque collegium solet in foro uulgi
oculos in se conuertere, cum inter publicas priuatasque serias actiones
personis tecto capite uariaque ueste uelatum concentus edit... quibus et honos
pristinus restitutus et huiusce lusus ius est datum. personarum usus pudorem
circumuentae temulentiae causam habet.
[27] Plut. Rom. q. 55: meg£laj g¦r æj
œoike tim¦j ™karpoànto toà basilšwj Nom©
dÒntoj aÙto‹j di¦ t¾n prÕj tÕ qe‹on
ÐsiÒthta.
[29] Macr. Sat. I.7.31-32: Cumque diu
humanis capitibus Ditem et virorum victimis Saturnum placare se crederent propter
oraculum in quo erat: Herculem ferunt ... suasisse illorum posteris, ut faustis
sacrificiis infausta mutarent inferentes Diti non hominum capita sed oscilla ad
humanam effigiem arte simulata... Inde mos per Saturnalia missitandis cereis coepit... 32. Illud quoque in litteris invenio, quod, cum multi occasione Saturnaliorum per avaritiam a clientibus ambitiose munera exigerent idque onus tenuiores gravaret, Publicius tribunus plebi tulit, non nisi cerei ditioribus missitarentur.
[30]
Macr. Sat. I.7.34–35: ... invenio postea Compitalibus celebratum cum ludi per urbem in compitis agitabantur, restituti scilicet a Tarquinio Superbo Laribus ac Maniae ex responso Apollinis, quo praeceptum est ut pro capitibus capitibus supplicaretur. Inde aliquiamdiu observatum, ut pro
familiarum sospitate pueri mactarentur Maniae deae, matri Larum. Quod
sacrificii genus Iunius Brutus consul pulso Tarquinio aliter constituit
celebrandum. nam capitibus alii et papaveris supplicari iussit ut responso Apollonis
satis fieret de nomine capitum remoto scilicet scelere infaustae
sacrificationis: factumque est ut effigies Maniae suspensae pro singulorum
foribus periculum, si quod immineret familiis, expiarent...
[31] Verg. Georg. II.385-389: nec non Ausonii, Troia gens missa, coloni /
uersibus incomptis ludunt risuque soluto, / oraque corticibus sumunt horrenda
cauatis, / et te, Bacche, uocant per carmina laeta, tibique / oscilla ex alta
suspendunt mollia pinu. Cfr.: Serv. Georg. II.387: oraque
corticibus sumunt h. c. quia necesse erat pro ratione sacrorum aliqua ludicra
et turpia fieri, quibus posset populo risus moveri, qui ea exercebant propter
verecundiae remedium hoc adhibuerunt, ne agnoscerentur, ut personas factas de
arborum corticibus sumerent.
[33] Paul. Fest. 238 L.: Pilae et effigies viriles et
muliebres ex lana Compitalibus in compitis suspenduntur, quod hic dies festus
est deorum inferorum, quos vocant Lares, quibus tot pilae suspenduntur, quot
capita sunt servorum, tot effigies, quot essent liberi ponebantur, ut vivis
parcerent et essent his pilis et simulacris contenti.
[34] Ved. il grammatico romano
Prisciano: Prisc. gramm. III.474.7:
oscillum parva facies, id est larva ... parva ora, imagines videlicet, quae fiunt ex ligno et vestibus...
[35] Dionys. VII.72.10-12: ... met¦ g¦r toÝj
™nopl…ouj coroÝj oƒ tîn saturistîn ™pÒmpeuon
coroˆ t¾n `Ellhnik¾n e„doforoàntej s…kinnin.
skeuaˆ d' aÙto‹j Ãsan to‹j mn e„j SilhnoÝj e„kasqe‹si
mallwtoˆ citînej, oÞj œnioi corta…ouj kaloàsi,
kaˆ peribÒlaia ™k pantÕj ¥nqouj·to‹j
d' e„j SatÚrouj perizèmata kaˆ doraˆ tr£gwn
kaˆ ÑrqÒtricej ™pˆ ta‹j kefala‹j fÒbai
kaˆ Ósa toÚtoij Ómoia. oátoi katšskwptÒn
te kaˆ katemimoànto t¦j spouda…aj kin»seij
™pˆ t¦ geloiÒtera metafšrontej. 11. dhloàsi
d kaˆ
aƒ tîn qri£mbwn e‡sodoi palai¦n kaˆ ™picèrion
oâsan `Rwma…oij t¾n kšrtomon kaˆ saturik¾n
paidi£n... 12. edon d kaˆ ™n ¢ndrîn ™pis»mwn
tafa‹j ¤ma ta‹j ¥llaij pompa‹j prohgoumšnouj
tÁj kl…nhj toÝj saturistîn coroÝj kinoumšnouj
t¾n s…kinnin Ôrchsin, m£lista d' ™n to‹j tîn
eÙdaimÒnwn k»desin. Óti d' oÜte LigÚwn oÜt'
'Ombrikîn oÜt' ¥llwn tinîn barb£rwn tîn
™n 'Ital…v katoikoÚntwn eÛrhma ¹ saturik¾ paidi¦
kaˆ Ôrchsij Ãn, ¢ll' `Ell»nwn, dšdoika, m¾
kaˆ ÑclhrÕj ena… tisi dÒxw, lÒgoij ple…osi
pistoàsqai ÐmologoÚmenon pr©gma boulÒmenoj.
[36] Tibul. II.1.51-56: Agricola
adsiduo primum satiatus aratro / Cantavit certo rustica verba pede / Et satur
arenti primum est modulatus avena / Carmen, ut ornatos diceret ante deos; / Agricola
et minio subfusus, Bacche, rubenti / Primus inexperta duxit ab arte choros; Verg. Ecl. X.26-27: Pana ... sanguineis ebuli bacis
minioque rubentem...
[37] Serv. Ecl. VI.22: sanguineis frontem moris et
tempora pingit. multi ob hoc dictum putant, quod robeus color deorum sit: unde
et triumphantes facie miniata, et in Capitolio Iuppiter in quadrigis miniatus; Serv. Ecl. X.27: ... etiam triumphantes, qui habent omnia Iovis
insignia ... faciem quoque de rubrica inlinunt instar coloris aetherii.
[38] L’uso dei sacerdoti (non dei romani,
però) di mettere sulla testa la maschera della divinità durante
le feste religiose (misteri di Eleusino) viene menzionato Pausania (VIII.15.3):
... œcon
™ntÕj D»mhtroj prÒswpon Kidar…aj· toàto Ð
ƒereÝj periqšmenoj tÕ prÒswpon ™n
tÍ me…zoni kaloumšnV teletÍ ·£bdoij
kat¦ lÒgon d» tina toÝj Øpocqon…ouj
pa…ei. (... qua si conserva la maschera della Demetra
Kidaria. Mettendo su questa maschera durante i cosiddetti grandi
misteri il sacerdote colpisce i demoni sotterranei...). Anche sui sacerdoti romani è noto che durante i
sacrifici chiudevano le teste sotto il tessuto del mantello: Verg. Aen. III.546-548: et capita ante aras Phrygio uelamur amictu, praeceptisque Heleni, dederat
quae maxima, rite Iunoni Argiuae iussos adolemus honores. Cfr. Aurel. Vict. Orig.
gent. Rom. 12.2.
[39] Dionys. VII.72.13: Met¦ d
toÝj coroÝj toÚtouj kiqarista… t' ¢qrÒoi
kaˆ aÙlhtaˆ polloˆ ... teleuta‹a d p£ntwn aƒ tîn
qeîn e„kÒnej ™pÒmpeuon êmoij Øp'
¢ndrîn ferÒmenai, morf£j q' Ðmo…aj paršcousai
ta‹j par' “Ellhsi plattomšnaij kaˆ skeu¦j kaˆ
sÚmbola kaˆ dwre£j, ïn eØretaˆ kaˆ dotÁrej
¢nqrèpoij ›kastoi parad…dontai, ... La
frase aƒ
tîn qeîn e„kÒnej di Dionigi
corrisponde alla frase di Polibio (VI.53) e„kèn ™sti
prÒswpon e da questa comparazione è
evidente che greco e„kÒnej = latino imagines. Anche il verbo greco pompeÚw usato da Dionigi corrisponde con latino pompa funeris o pompa
triumphis e significa “incedere nella processione religiosa”.
Ved.: Bömer F.,
Pompa, in RE, Hbd. 42, Stuttgart, 1952, 1878-1994.
[40] Polyb. VI.53: 52.10. meg£lhn
d kaˆ
di¦ tîn ™qismîn prÕj toàto tÕ
mšroj poioàntai tîn nšwn parÒrmhsin...
[41] Sallust. Iugurt. 4.5-6: nam saepe ego
audivi Q. Maxumum, P. Scipionem, praeterea civitatis nostrae praeclaros viros
solitos ita dicere, quom maiorum imagines intuerentur, vehementissume sibi
animum ad virtutem adcendi. scilicet non ceram illam neque figuram tantam vim
in sese habere...
[42] Polyb. VI.53: 1. “Otan g¦r metall£xV
tij par' aÙto‹j tîn ™pifanîn ¢ndrîn, sunteloumšnhj
tÁj ™kfor©j kom…zetai met¦ toà loipoà
kÒsmou prÕj toÝj kaloumšnouj ™mbÒlouj e„j
t¾n ¢gor¦n pot mn ˜stëj ™narg»j, span…wj d katakeklimšnoj. pšrix d pantÕj
toà d»mou st£ntoj, ¢nab¦j ™pˆ
toÝj ™mbÒlouj, ¨n mn uƒÕj ™n
¹lik…v katale…phtai kaˆ tÚcV parèn, oátoj, e„ d m», tîn
¥llwn e‡ tij ¢pÕ gšnouj Øp£rcei, lšgei perˆ
toà teteleuthkÒtoj t¦j ¢ret¦j kaˆ t¦j
™piteteugmšnaj ™n tù zÁn pr£xeij. di' ïn sumba…nei
toÝj polloÝj ¢namimnhskomšnouj kaˆ lamb£nontaj
ØpÕ t¾n Ôyin t¦ gegonÒta, m¾ mÒnon
toÝj kekoinwnhkÒtaj tîn œrgwn, ¢ll¦
kaˆ toÝj ™ktÒj, ™pˆ tosoàton g…nesqai
sumpaqe‹j éste m¾ tîn khdeuÒntwn ‡dion, ¢ll¦
koinÕn toà d»mou fa…nesqai tÕ sÚmptwma. met¦ d taàta
q£yantej kaˆ poi»santej t¦ nomizÒmena tiqšasi
t¾n e„kÒna toà metall£xantoj e„j tÕn
™pifanšstaton tÒpon tÁj o„k…aj, xÚlina
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kateirgasmšnoj, diacrÚsouj. aÙtoˆ mn oân ™f' ¡rm£twn oátoi poreÚontai, ·£bdoi
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¢x…an ˜k£stJ tÁj gegenhmšnhj kat¦ tÕn
b…on ™n tÍ polite…v proagwgÁj Ótan d' ™pˆ
toÝj ™mbÒlouj œlqwsi, kaqšzontai p£ntej
˜xÁj ™pˆ d…frwn ™lefant…nwn. oá k£llion
oÙk eÙmarj „de‹n qšama nšJ filodÒxJ kaˆ filag£qJ· tÕ g¦r
t¦j tîn ™p' ¢retÍ dedoxasmšnwn ¢ndrîn e„kÒnaj
„de‹n Ðmoà p£saj oŒon e„ zèsaj
kaˆ pepnumšnaj t…n' oÙk ¨n parast»sai;
t… d' ¨n k£llion qšama toÚtou fane…h; 54.1. pl¾n Ó ge lšgwn Øpr toà q£ptesqai mšllontoj, ™p¦n
dišlqV tÕn perˆ toÚtou lÒgon, ¥rcetai
tîn ¥llwn ¢pÕ toà progenest£tou tîn
parÒntwn, kaˆ lšgei t¦j ™pituc…aj ˜k£stou kaˆ
t¦j pr£xeij.
[43] Plin. N.H. XXXV.6: aliter apud maiores in atriis haec erant, quae
spectarentur; ... expressi cera vultus singulis disponebantur armariis, ut
essent imagines, quae comitarentur gentilicia funera, semperque defuncto aliquo
totus aderat familiae eius qui umquam fuerat populus. stemmata vero lineis
discurrebant ad imagines pictas. tabulina codicibus implebantur et monimentis
rerum in magistratu gestarum.
[44] Plin. N.H. XXXV.153: Hominis autem imaginem
gypso e facie ipsa primus omnium expressit ceraque in eam formam gypsi infusa emendare
instituit Lysistratus Sicyonius, frater Lysippi, de quo diximus. hic et similitudines
reddere instituit...
[45] Plin. N.H. XXXV.151-152: tradant ... Corintho pulsos, Damaratum vero
ex eadem urbe profugum, qui in Etruria Tarquinium regem populi Romani genuit, comitatos
fictores Euchira, Diopum, Eugrammum; ab iis Italiae traditam plasticen.
[46] Plin. N.H.XXXV.12: Verum
clupeos in sacro vel publico dicare privatim primus instituit, ut reperio, Appius
Claudius [qui consul cum P. Servilio fuit anno urbis CCLVIIII]. posuit enim in
Bellonae aede maiores suos, placuitque in excelso spectari et titulos honorum
legi, decora res, utique si liberum turba
parvulis imaginibus ceu nidum aliquem subolis pariter ostendat...
[47] Lucrezi F., “Ius imaginum”,
“Nova nobilitas”, in Labeo. Rassegna di diritto romano,
32, Napoli, 1986, 159 s.
[48] Dionys. V.17 (509 a.C.): “Valerio, abbigliandosi
con i vestiari del lutto e mettendo nel foro il corpo di Bruto messo perfetto
nel letto, ha convocato il popolo in assemblea e salendo in tribuna ha
pronunciato la perorazione funebre in suo onore. 3. Dunque, se Valerio fu il
primo che ha introdotto questa legge per i romani o ha assimilato quello che
era già stato istituito ancora dai re, non posso dire in modo preciso.
Però, studiando la storia universale, ... io conosco con fermezza che la
pronuncia delle perorazioni durante il funerale degli uomini illustri, per
rendere glorioso il loro valore, è invenzione antica dei romani e degli
Elleni”.
[49] Liv. I.34.6: in regnum Numam a
Curibus, et Ancum Sabina matre ortum nobilemque una imagine Numae esse.
[50] Liv. I.47.4: di te penates patriique et patris imago et domus regia et in domo
regale solium et nomen Tarquinium creat uocatque regem.
[51] Così, Virgilio menziona la maschera del padre di
Enea (Aen. II.560: cari genitoris imago...) e poi nella descrizione
dell’atrio della casa del re Latino (Aen.
VII.177-181: quin etiam ueterum effigies ex
ordine auorum / antiqua e cedro, Italusque paterque Sabinus / uitisator curuam
seruans sub imagine falcem, / Saturnusque senex Ianique bifrontis imago /
uestibulo astabant, aliique ab origine reges, Martiaque ob patriam pugnando
uulnera passi). Ved. anche: Boehm, Lares, in RE, Hbd. 23, Stuttgart, 1924,
806-833; Weinstock St., Penates, in RE, Hbd.
37, Stuttgart, 1937, 417-457.
[52] Maroi F., Elementi religiosi del diritto romano
arcaico, in Archivio Giuridico, 4a serie, 25, 1933, 3-19; Idem, La personalità umana.
Glosse di un giurista al libro di un medico, in Scritti giuridici,
Milano, 1956, II, 281 ss. Fa eccezione l’articolo di S. Faro, che
fondandosi sull’opinione di F. Maroi conclude che persona poteva essere sia la maschera teatrale sia la maschera
funeraria, in quanto «le due ipotesi possono combinarsi»: Faro S., Op. cit., 634 s.
[54] Per esempio, vedi: Sueton. Vesp. 19.2: sed et in funere Fauor archimimus personam eius ferens imitansque, ut
est mos, facta ac dicta uiui...
[55] Sulla storia di questo termine
ved.: Lucrezi F., Op. cit., 131
ss.; Meyer H., Imagines
maiorum, in RE, Hbd. 17, Stuttgart, 1914, 1097-1104.
[56] Salmodie funebri e conviviali si chiamavano neniae (Fest. 154 L.: Naenia est <carmen, quod in funere laudandi> gratia can<tatur ad
tibiam>; Cic. De leg. II.62: Reliqua sunt in more: ... honoratorum uirorum
laudes in contione memorentur, easque etiam cantus ad tibicinem prosequatur,
cui nomen neniae, quo uocabulo etiam <apud> Graecos cantus lugubres
nominantur) ed esistevano secondo Cicerone e Catone il Vecchio
dall’antichità profonda: Cic. Brut. 75: atque utinam
exstarent illa carmina, quae multis saeclis ante suam aetatem in epulis esse
cantitata a singulis convivis de clarorum virorum laudibus in Originibus
scriptum reliquit Cato. Come Valerio Massimo racconta (II.1.10), queste neniae in maniera orale si trasmettevano da una generazione
all’altra: Maiores natu in
conuiuiis ad tibias egregia superiorum opera carmine conprehensa pangebant, quo
ad ea imitanda iuuentutem alacriorem redderent ... pubertas canis suum decus
reddebat defuncta [uiri]... Più dettagliatamente ved.: Kroll W., Nenia, in RE, Hbd. 32, Stuttgart, 1935,
2890-2393; Vollmer, Laudatio,
in RE, Hbd. 23, Stuttgart, 1924, 992-994.
[57]
История
первобытного
общества.
Эпоха классообразования,
Под ред. Ю.В.
БРОМЛЕЯ, М., 1988, 398-400; Мелетинский
Е.М., Эпос и
мифы, in Мифы
народов мира, Гл. ред
С.А.Токарев, Т. 2,
М., 1982, 664 ss.; Dumézil G., Mithe et épopée, T. 1-3, Paris,
1968-1973; Тэн Г., Тит
Ливий.
Критическое исследование, М., 1885, 120 s.
[59] Sul significato dei canti liturgici epici nella Roma del
VI – V sec. a.C. Cicerone scrive quanto segue (Cic. Tuscul. IV. 3-4): gravissumus
auctor in Originibus dixit Cato morem apud maiores hunc epularum fuisse, ut
deinceps, qui accubarent, canerent ad tibiam clarorum virorum laudes atque
virtutes; ex quo perspicuum est et cantus tum fuisse discriptos vocum sonis et
carmina. quamquam id quidem etiam duodecim tabulae declarant, condi iam tum
solitum esse carmen; quod ne liceret fieri ad alterius iniuriam, lege
sanxerunt. nec vero illud non eruditorum temporum argumentum est, quod et
deorum pulvinaribus et epulis magistratuum fides praecinunt... Cfr.:
Horat. Ep. II.1.139-155.
[60] Sull’importanza politica del ius imaginum dell’epoca
repubblicana ved.: Lucrezi F.,
Op. cit., 131-179.
[61] Liv. VIII.40.4: uitiatam memoriam
funebribus laudibus reor falsisque imaginum titulis, dum familiae ad se quaeque
famam rerum gestarum honorumque fallente mendacio trahunt;
Liv. X.7.12: cuius <in>
imaginis titulo consulatus censuraque et triumphus aequo animo legetur, si
auguratum aut pontificatum adieceritis, non sustinebunt legentium oculi?;
Liv. XXII.31.11: res inde gestas
gloriamque insignem ducis et augentes titulum imaginis posteros...;
Liv. XXX.45.7: exemplo deinde huius
... imaginum titulos claraque cognomina familiarum fecerunt;
Liv. XXXVI.40.9: hoc titulo, etsi nec
consulatus nec triumphus addatur, satis honestam honoratamque P. Scipionis
Nasicae imaginem fore.
[62] Così, per esempio, Cicerone
(Cic. Verr. V.36) nota: ob earum rerum laborem et
sollicitudinem fructus illos datos, antiquiorem in senatu sententiae dicendae
locum, togam praetextam, sellam curulem, ius imaginis ad memoriam
posteritatemque prodendae.
[63] Franciosi G., Famiglia e persone in Roma
antica dall’età arcaica al principato, Torino, 1995, 43-102.
[64] Franciosi G., Clan gentilizio e strutture
monogamiche. Contributo alla storia della famiglia romana, Napoli, 1999,
261-290.
[65] Val. Max.
V.8.3: T. autem Manlius Torquatus ... cum ad senatum Macedonia de filio eius D.
Silano, qui eam prouinciam optinuerat, querellas per legatos detulisset, a
patribus conscriptis petiit ne quid ante de ea re statuerent quam ipse
Macedonum filiique sui causam inspexisset ... tertio plenissime die ... ita
pronuntiauit: ‘cum Silanum filium meum pecunias a sociis accepisse
probatum mihi sit, et re publica eum et domo mea indignum iudico protinusque e
conspectu meo abire iubeo’ ... peregerat iam Torquatus seueri et
religiosi iudicis partis ... at ille neque exequiis adulescentis interfuit et,
cum maxime funus eius duceretur, consulere se uolentibus uacuas aures
accommodauit: uidebat enim se in eo atrio consedisse, in quo imperiosi illius
Torquati seueritate conspicua imago posita erat, prudentissimoque uiro
succurrebat effigies maiorum [suorum] cum titulis suis idcirco in prima parte
aedium poni solere, ut eorum uirtutes posteri non solum legerent, sed etiam
imitarentur.
[67] Tac. Ann.
II.32: tunc Cotta Messalinus, ne imago
Libonis exequias posterorum comitaretur, censuit...; Plut. Caes.
5.1-2: kaˆ perˆ t¾n
™kfor¦n ™tÒlmhsen e„kÒnaj Mar…wn
proqšsqai, tÒte prîton
Ñfqe…saj met¦ t¾n ™pˆ SÚlla polite…an, polem…wn tîn ¢ndrîn
kriqšntwn. ™pˆ
toÚtJ g¦r ™n…wn katabohs£ntwn toà Ka…saroj, Ð dÁmoj ¢nt»chse, lamprù dex£menoj krÒtJ
kaˆ qaum£saj ésper ™x “Aidou di¦ crÒnwn
pollîn ¢n£gonta t¦j Mar…ou tim¦j e„j
t¾n pÒlin; Tac. Ann. XVI.7: igitur missa
ad senatum oratione removendos a re publica utrosque disseruit, obiectavitque
Cassio quod inter imagines maiorum etiam C. Cassi effigiem coluisset...
[68] Plin. N.H. XXXV.2; Suet. Ner. 37: Cassio Longino iuris
consulto ac luminibus orbato, quod in uetere gentili[s] stemmate C. Cassi
percussoris Caesaris imagines retinuisset; Galb. 2: Galba ... imperator uero etiam stemma in atrio proposuerit, quo paternam
originem ad Iouem, maternam ad Pasiphaam Minonis uxorem referret. Imagines et
elogia uniuersi generis exequi longum est...; Iuven. 8.1-13: Stemmata quid
faciunt? quid prodest, Pontice, longo / sanguine censeri, pictos ostendere uultus
... 6. [quis fructus generis
tabula iactare capaci Coruinum, posthac multa contingere uirga / fumosos ... 9. effigies quo / tot bellatorum, si luditur alea pernox / ante Numantinos, 13. natus in Herculeo Fabius lare... Cfr.: Sen. Ep. 44.5. Ved. anche: Poland-Hug, Stemmata, in RE,
Hbd. 6, Stuttgart, 1929, 2330 s.
[69] Cic. De
leg. agr. II.1: Est hoc in more positum,
Quirites, institutoque maiorum, ut ei qui beneficio vestro imagines familiae
suae consecuti sunt eam primam habeant contionem, qua gratiam benefici vestri
cum suorum laude coniungant. Qua in oratione non nulli aliquando digni maiorum
loco reperiuntur, plerique autem hoc perficiunt ut tantum maioribus eorum
debitum esse videatur, unde etiam quod posteris solveretur redundaret.
[70] Plin. N.H. XXXIV.33: Fuisse autem
statuariam artem familiarem Italiae quoque et vetustam, indicant Hercules ab
Euandro sacratus, ut produnt, in foro boario, qui triumphalis vocatur atque per
triumphos vestitur habitu triumphali, praeterea Ianus geminus a Numa rege
dicatus...
[71] Fest. 64 L.: Delubrum
dicebant fustem delibratum, hoc est decoraticatum, quem venerabantur pro deo.
[72] Gai. Inst.
I.55: Item in potestate nostra sunt
liberi nostri, quos iustis nuptis procreauimus. quod ius proprium ciuium
Romanorum est; fere enim nulli alii sunt homines qui talem in filios suos
habent potestatem qualem nos habemus.
[73] Val. Max.
II.5.2: Ius ciuile per multa saecula
inter sacra caerimoniasque deorum inmortalium abditum solisque pontificibus
notum...
[79] Macr. Sat. I.6.19; 25: Mos antea
senatoribus fuit in curiam cum praetextatis filiis introire ... Senatus ...
consultumque facit uti posthac pueri cum patribus in curiam ne introeant
praeter illum unum Papirium.
[80] Ved., per esempio: Загурский Л.Н., К учению об юридических лицах, М., 1877; Герваген Л., Развитие учения о юридическом лице, СПб., 1888; Ельяшевич В.Б., Юридическое лицо, его роль в римском праве, СПб., 1909; IDEM, Юридическое лицо, его происхождение и функции в римском частном праве, СПб., 1910; Пергамент М.Я., К вопросу о правоспособности юридического лица, СПб., 1909; Суворов Н.С., Об юридических лицах по римскому праву, М., 2000; Orestano
R., “Persona”
e “persone giuridiche” nell’età moderna, in Persone
giuridiche e storia del diritto, a cura di L. PEPPE, Torino, 2004, 1-72; Albanese B., Op. cit., 551-576.
[82] D.50.16.85 (Marcell.): Neratius Priscus tres
facere existimat 'collegium', et hoc magis sequendum est.
[83] Лобрано Дж.,«Римская конституция» как современная «модель», in Ius Antiquum. Древнее
право, № 17, 2006, 154-169; ОНИДА
П., Правовое
основание societas: от
римского
права к
европейскому, in Ius Antiquum. Древнее право, №
17, 2006, 170-186.
[84] Cic. Dom. 133: viri, qui
sua dignitate personam populi (Romani) atque auctoritatem imperii sustinerent. Cfr.: Symm. rel.
9.1: personam populi Romani nulla inplet
oratio.
[85] Cic. Off. I.124: est … munus
magistratus intellegere se gerere personam civitatis; Ad fam. XV. 17.2: Nos hic, ... P. Sullam patrem mortuum
habebamus. ... quamquam prÒswpon pÒlewj amisimus. Cfr.: Augustin. Civ. Dei I.21, p. 35, 25: personam gerentes publicae potestatis.
[86] Frontin. Grom. p. 40, 1: ut ad publicas personas respiciamus:
coloniae quoque loca quaedam habent. Cfr.: Ps. Agenn. Grom. p. 63, 20 s.: quaedam
loca feruntur ad personas publicas attinere; nam personae publicae etiam
coloniae appellantur; p. 46, 22: haec
inscriptio … ad personam coloniae pertinet.
[87] D.46.1.22 (Florent.): hereditas
personae vice fungitur sicuti municipium et decuria et societas.
[88] C.5.37.24 pr.: sub
praesentia publicarum personarum. Cfr.: Cassiod. Var. III.30.2; Iust.
Inst. I.20.5: apud alias publicas personas, id est magistratus.
[89] С.1.17.2; С. 4.63.6; С.4.65.33; С.10.32.31; С.12.1.11; С.12.1.13; С.12.1.16; С.12.1.17; С.12.3.3. Leggendo con
l’attenzione il Codice di Giustiniano libro 10 titolo 32 “De decurionibus et filiis eorum...”, libro 12 titolo 1 “De dignitatibus” e il Codice
Teodosiano libro 12 titolo 1 “De
decurionibus”, diventa chiaro che i decurioni e i loro figli erano le
persone pubbliche, poiché anche per forza erano tenuti a rappresentare
il senato municipale ed erano responsabili con tutte le proprietà per il
governo effettivo della loro civitas.
Bisogna sottolineare che questo diritto era ereditario e il figlio del senatore
municipale dopo i 18 anni d’età automaticamente si includeva nell’ordo dei senatori municipali anche
contro la sua volontà.
[90] Botta F., L’iniziativa processualcriminale delle personae publicae nelle fonti giuridiche di età
giustinianea, in Legislazione, cultura giuridica, prassi
dell’Impero d’Oriente in età giustinianea tra passato e
futuro, a cura di S. PULIATTI, S. SANGUINETTI, Milano, 2000, 285 s.
[91] Cic. Brut.
165: Domitium ... pone satis in eo fuisse
orationis atque ingeni, quo et magistratus personam et consularem dignitatem
tueretur...
[92] Cic. Brut.
80: atque etiam L. Paullus Africani pater
personam principis civis facile dicendo tuebatur. Cfr.: Cic. Phil. VIII.29: personam in re publica tueri principis.
[93] D.30.116.3 (Flor.):
hereditas personae defuncti … vice fungitur; Iust. Inst. II.14.2: hereditas personae vicem sustinet … defuncti; D.41.1.34
(Ulp.): hereditas … non heredis
personam, sed defuncti. Cfr.: D.34.3.7.5; D.46.1.22.
[94] D.45.3.1.4: Communis seruus duorum seruorum personam sustinet. idcirco si proprius meus
seruus communi meo et tuo seruo stipulatus fuerit, idem iuris erit in hac una
conceptione uerborum, quod futurum esset, si separatim duae stipulationes
conceptae fuissent, altera in personam mei serui, altera in personam tui serui:
neque existimare debemus partem dimidiam tantum mihi adquiri, partem nullius
esse momenti, quia persona serui communis eius condicionis est, ut in eo, quod
alter ex dominis potest adquirere, alter non potest, perinde habeatur, ac si
eius solius esset, cui adquirendi facultatem habeat.
[95] ORESTANO R., “Persona”
e “persone giuridiche”..., 4, nt. 7.
[96] Cic. De off.
I.107: Intellegendum etiam est duabus quasi nos a natura
indutos esse personis; quarum una communis est ex eo, quod omnes participes
sumus rationis praestantiaeque eius, qua antecellimus bestiis, a qua omne
honestum decorumque trahitur et ex qua ratio inveniendi officii exquiritur,
altera autem quae proprie singulis est tributa. De off. I.115: Ac duabus iis personis, quas
supra dixi, tertia adiungitur, quam casus aliqui aut tempus imponit, quarta
etiam, quam nobismet ipsis iudicio nostro accommodamus. nam regna, imperia,
nobilitatem, honores, divitias, opes eaque, quae sunt his contraria, in casu
sita temporibus gubernantur; ipsi autem gerere quam personam velimus, a nostra
voluntate proficiscitur.
[97] Sen. Epist. 85.35: duas personas habet gubernator, alteram
communem cum omnibus, qui eandem conscenderunt navem: ipse quoque vector est;
alteram propriam: gubernator est.
[99] Donat.
Aen. I.230: Hic enim loquitur Venus
ad Iovem, si privatam personam ponamus, filia apud patrem, si publicam,
inferior dea apud deorum omnium et cuntorum hominum regem.
[101] D.50.16.215: Paulus libro singulari ad legem Fufiam Caniniam. 'Potestatis' uerbo
plura significantur: in persona magistratuum imperium: in persona liberorum
patria potestas: in persona serui dominium.
[103] Verg. Aen. I.33; Ov. Fast.
II.687; Liv. IX.3.13; Manil. Astron. III.23; Sen. Contr. X.4.3; Lucan. IX.1014; Fronto p. 217, 3.
[104] Lex XII tab. VIII. 27 (= D.47.22.4): Sodales sunt qui eiusdem collegii sunt quam
Graeci ™taire…an uocant. His potestatem facit lex (i. e. XII
tab.) pactionem quam uelint sibi ferre,
dum ne quid ex publica lege corrumpant.
[105] Gai. Inst. III.154: Olim enim
mortuo patre familias i(nter) suos h(ere)des quaedam erat legitima simul et naturalis
soci[e]t[a]s, quae appell[abatur] [ercto non cito... [unus] quod u(el) unus ex
sociis communem seruum m(anu)mittendo liberu(m) faciebat et omnibus libertum
adquirebat: item unus [rem co]mmunem m(an)c[ipa](n)[do eius faciebat, qui
m(an)[cipio accipiebat. Per i commenti su questo frammento ved.: Кофанов Л.Л., Lex и ius..., 376 ss.
[106] Sul potere romano verticale, quando
la persona del figlio si riunisce con quella del padre ved.: Lobrano G., Pater e filius eadem
persona. Per lo studio della patria
potestas, Milano, 1984, 1-167.
[108] Così, per esempio, la
maschera o l’immagine di Scipione l’Africano già durante sua
vita era messa nel tempio del Giove sul Campidoglio (Liv. XXXVIII.56.12-13):
castigatum enim quondam ab eo populum
ait, quod ... prohibuisse, ne decerneretur, ut imago sua triumphali ornatu e
templo Iouis optimi maximi exiret.
[109] D.3.3.43.2: In popularibus actionibus, ubi quis quasi unus ex populo agit...; D.47.23.1:
Eam popularem actionem dicimus, quae suum
ius populi tuetur.
[110] Sulla societas
publica dei publicani ved.: Кофанов Л.Л., Вторая книга «Правил» Модестина (D. 44. 7. 52) и
источники
обязательств
по
государственным
контрактам в
Римской
республике, in Ius Antiquum. Древнее
право, № 20, 2007, 18 s.
[111]
D.2.2.3.4: Si filius meus in magistratu in hoc edictum incidit, an in his actionibus, quas ex persona eius intendo, hoc edicto locus sit?; D.2.15.9 pr.: aduersus eosdem tutores ex persona fratris sui, cui heres extiterat, agens; D.3.5.45 pr.: si uero propterea emerim, ne filius mandati iudicio teneatur, magis est, ut ex persona eius et ego tecum mandati agere possim; D.4.4.19 pr.: hoc enim ipso deceptus uidetur, quod, cum posset restitui intra tempus statutum ex persona defuncti, hoc non fecit; D.5.1.28.1: Contra si legatus tempore legationis adierit et restituerit, datur in fideicommissarium actio, nec exceptio Trebelliani obstat ex persona legati, quia hoc legati personale beneficium est; D.10.3.29 pr.: neque enim negotia socii gero, sed propriam rem tueor et magis ex re, in quam impenditur, quam ex persona socii actio nascitur; D.11.1.20 pr.: nec haec inter se contraria sunt: nam superiore casu ex persona serui duo tenentur, sicut in seruo communi dicimus, ubi altero conuento alter quoque liberatur: at is qui confitetur se occidisse uel uulnerasse suo nomine tenetur...; D.13.1.20 pr.: Iulianus ex persona filiae, quae res amouit, dandam in patrem condictionem in peculium respondit; D.14.1.1.24: Haec actio ex persona magistri in exercitorem dabitur; D.22.1.32.3: si et filius familias et pater ex persona eius teneatur; D.23.4.30 pr.: non quasi heres mulieris ex persona defunctae se exceptione pacti tuebitur...; D.24.3.25 pr.: habet actionem pater ex persona filii...; D.28.5.31 pr.: cum testamenti factio cum seruis ex persona dominorum introducta est; D.29.2.86 pr.: heredes Auiti ... ex persona defuncti restitutionem in integrum implorabant...; D.46.1.33 pr.: Ex persona rei ... fideiussori ceterisque accessionibus competere potest; D.50.1.17.2: Filium pater decurionem esse uoluit: ante filium ex persona sua res publica debet conuenire quam pat<rem> ex persona filii.
[112] Cic. Dom. 133: viri, qui sua
dignitate personam populi Romani atque auctoritatem imperii sustinerent. Cfr.: Symm. rel.
9.1: personam p. R. nulla inplet oratio.
[113] CIL. I.594 I.4.22: EA SACRA, QVAE ... COLONORVM NOMINE FIANT;
Liv. V.35.5: legati ... qui senatus
populique Romani nomine agerent cum Gallis; Cic. In Verr. II.46: praedare in
bonis alienis nomine civitatis...; Sen. Con.
IX.2.15: qui aliquid publico nomine facit.
[114] Cic. De dom.
134: Quem ego tamen credo, si est ortus ab illis quos memoriae
proditum est ab ipso Hercule perfuncto iam laboribus sacra didicisse ...; qui
aut nihil dixit nec fecit omnino ... ut mutam in delicto personam nomenque
praeberet...
[115] Sen. De ben. III.28: Qui imagines in atrio exponunt et nomina familiae suae longo ordine ac
multis stemmatum inligata flexuris in parte prima aedium conlocant...
[116] Tac. Ann. III.76: viginti clarissimarum familiarum imagines antelatae
sunt, Manlii, Quinctii aliaque eiusdem nobilitatis nomina. sed praefulgebant
Cassius atque Brutus eo ipso quod effigies eorum non visebantur.
[117] Ved. per esempio: Tert.
De spect. 10: scimus nihil esse nomina mortuorum, sicut nec ipsa simulacra eorum; sed
non ignoramus, qui sub istis nominibus et institutis simulacris operentur et
gaudeant et divinitatem mentiantur, nequam spiritus scilicet, daemones. Cfr.:
Charis. Gramm. p. 214, 17: Persona est substantia nominis ad propriam significationem dicendi relata.
[118] Franciosi G., L’onomastica gentilizia
romana e il problema del totemismo, in Idem,
Clan gentilizio..., 223-229.
[120] Fest. 276 L: Praetor ad portam nunc salutatur is qui in provinciam pro praetore aut
pro consule exit: cuius rei morem ait fuisse Cincius in libro de consulum
potestate talem: "Albanos rerum potitos usque ad Tullum regem: Alba deinde
diruta usque ad P. Decium Murem consulem populus Latinos ad caput Ferentinae,
quod est sub monte Albano, consulere solitos, et imperium communi consilio
administrare: itaque quo anno Romanos imperatores ad exercitum mittere
oporteret iussu nominis Latini, conplures nostros in Capitolio a sole oriente
auspicis operam dare solitos.
[121] Sul nesso etimologico tra nomen e numen ved.: Ernout A.,
Meillet A., Dictionnaire
étimologique de la langue latine, 9a ed., Paris, 1939,
675; Walde A., Lateinisches etymologisches
Wörterbuch, Bd. II, Heidelberg, 1938, 174.
[125] Per esempio: Lact.
epit. 18.2: sexagenarii homines ex persona Apollinis de ponte
… deiciebantur.
[126] App. Libyc. 293: Ð
d Skip…wn taàta sunqšmenoj
™k LibÚhj ™j t¾n 'Ital…an pantˆ tù
stratù dišplei kaˆ ™j t¾n `Rèmhn
™s»laune qriambeÚwn, ™pifanšstata
d¾ tîn prÕ aÙtoà. kaˆ Ð trÒpoj, ú kaˆ nàn œti crèmenoi
diateloàsin, ™stˆ toiÒsde. ™stef£nwntai mn ¤pantej, ¹goàntai d salpigkta… te
kaˆ lafÚrwn ¤maxai, pÚrgoi te
parafšrontai mim»mata tîn e„lhmmšnwn pÒlewn
kaˆ grafaˆ kaˆ sc»mata tîn gegonÒtwn, eta crusÕj kaˆ
¥rguroj ¢s»mantÒj te kaˆ seshmasmšnoj kaˆ
e‡ ti toioutÒtropon ¥llo, kaˆ
stšfanoi, Ósoij tÕn
strathgÕn.
[127] Per l’analisi delle fonti su questo termine ved.: Sacchi O., Persona e diritto romano..., 1221 ss.
[128] Quint. Inst.
IX.2.29: fictiones personarum, quae πϱοσωποποιίαι dicuntur. Cfr.:
Quint. Inst. IX.3.89: in personae fictione;
XI.1.39: utimur …
fictione personarum et velut ore alieno loquimur. Ved. anche: TLL, Vol. VI.1, 648, Fictio; Oxford Latin Dictionary..., 696.
[129] Isid. Etym.
II.13.2: Sic et montes et flumina vel
arbores loquentes inducimus personam, iponentes rei quae non habet naturam
loquendi...
[130] Plin. NH. X.16: Romanis eam legionibus Gaius Marius in secundo
consulatu suo proprie dicavit. erat et antea prima cum quattuor aliis: lupi,
minotauri, equi aprique singulos ordines anteibant. paucis ante annis sola in
aciem portari coepta erat, reliqua in castris relinquebantur; Marius in totum
ea abdicavit. ex eo notatum, non fere legionis umquam hiberna esse castra ubi
aquilarum non sit iugum. Fest. 266
L.: <Porci effigies inter
militar>ia signa quintum locum <optinebat, quia confecto be>llo, inter
quos populos <pax fiat, ea porca caesa in foe>dere firmari solet.
[131]
Ved. Kubitschek, Signa, in
RE, R. 2, Hbd. 4, Stuttgart, 1923, 2335 ss.; Idem, Signifer, in RE, R. 2, Hbd. 4, Stuttgart,
1923, 2350 s.; TLL, Vol. VII.1, 403, imāginifer; 402, imāginārius, -a, -um.
[132] Almeno in età imperiale si usavano le immagini dell’imperatore
come bandiera militare: Veget. II.7; Lyd.
De mag. I.46.
[136] Varr. L.L. VII.44:
apud Ennium: 'mensas
constituit idemque ancilia.' ... 'libaque fictores Argeos et tutulatos'. liba, quod
libandi causa fiunt. fictores dicti a fingendis libis.
[137] Per quanto riguarda gli assistenti dei
pontefici, ved.: CIL. V.3352: <fic>tor ponti<ficu>m
Romae; CIL. VI.1074: discipulo fictorum pontificum c. c. v. v.; CIL. VI.10247: fictoris pontificum c. c. v. v.; CIL. XIV.2413 (= VI.2125): regi
sacrorum, fictori pontificum p. R. In rapporto agli
assistenti delle vestali ved.: CIL. VI.786: Eutyches fictor;
CIL VI.2134 (= 32419): v(ir) e(gregius) fictor v(irginum) V(estalium). Сfr. CIL
.V.2136; 2137; 32405; 32413.
[138] Serv. Aen.
VIII.634: fingere tamen et formare aliquid
et ad integram faciem arte producere significat; inde fictores dicuntur qui
imagines vel signa ex aere vel cera faciunt. Gell. XVII.10.3.