N. 9 – 2010 – Tradizione-Romana
Università del Piemonte Orientale "A. Avogadro"
Senatoconsulto Neroniano e legatum per praeceptionem
Sommario: 1. Delimitazione del tema. – 2. Riferimenti al senatoconsulto Neroniano nelle
Istituzioni di Gaio, nei Vaticana
Fragmenta e nei Tituli ex Corpore
Ulpiani. – 3. Senatoconsulto
Neroniano e legatum per praeceptionem
nelle Istituzioni di Gaio: impostazione sabiniana e dispute interne alla scuola
in merito alle ipotesi di legatum per
praeceptionem invalido. – 4. Impostazione
e soluzione del problema nella scuola proculiana. – 5. Rapporto tra il senatoconsulto Neroniano e lo
sviluppo storico delle singole figure di legato. – 6. Anteriorità della disputa
sabiniano-proculiana in tema di validità del legatum per praeceptionem rispetto all’emanazione del
Neroniano. – 7. Conclusioni e
ulteriori prospettive di ricerca.
Il
presente contributo ha per oggetto le peculiarità dell’efficacia
sanante che il senatoconsulto Neroniano[1]
ebbe su alcuni profili di invalidità dei legati conosciuti
nell’età classica, in particolare di quello per praeceptionem. È noto come, proprio in occasione della
presentazione di tale genus legati,
Gaio evidenzi nel suo manuale istituzionale[2],
e in misura decisamente superiore rispetto a quanto svolto in relazione ad
altri genera legatorum[3],
il punto di contatto tra questi due istituti. Dall’analisi che segue
sarà peraltro possibile indicare prospettive di più vasta
portata, in merito alla teoria generale e alla storia dei legati, con
particolare riguardo allo sviluppo delle singole figure, e non solo alla forma per praeceptionem.
Al
senatoconsulto Neroniano si fa riferimento una prima volta proprio nelle
Istituzioni di Gaio nel luogo in cui si illustrano le peculiarità del
legato per vindicationem[4]:
Sed sane hoc ita est iure civili. Postea vero auctore Nerone
Caesare senatusconsultum factum est, quo cautum est, ut si eam rem quisque
legaverit quae eius numquam fuerit, proinde utile sit legatum, atque si optimo
iure relictum esset: optimum autem ius est per damnationem legati, quo genere
etiam aliena res legari potest, sicut inferius apparebit.
Subito
dopo aver esposto la rigorosa impostazione del ius civile[5]
in forza della quale, ai fini della validità della disposizione,
l’oggetto di un legato per
vindicationem avrebbe dovuto essere nella proprietà quiritaria del
testatore tanto nel momento della confezione del testamento quanto in quello
della morte del testatore – con l’eccezione delle cose fungibili,
‘quae pondere numero mensura
constant’ per le quali bastava che fossero nel dominio quiritario del
testatore al tempo della sua morte[6]
– si precisa, nel testo in esame, che ciò vale per il diritto
civile, al quale si derogherà in parte proprio in forza del
senatoconsulto votato «su proposta di Nerone formulata in oratio da lui letta o fatta leggere in
Senato ... deliberazione rimasta in vigore anche dopo la damnatio memoriae»[7]:
ricorrendo l’ipotesi dell’altruità dell’oggetto del
bene legato, infatti, il legato per
vindicationem viene comunque considerato utile, come se fosse stato lasciato nella miglior forma possibile
(‘ac si optimo iure relictum esset’),
subito individuata in quella per
damnationem. Si tratta di un’importante testimonianza indiretta
relativa ad un senatoconsulto, il Neronianum
de legatis appunto, il cui testo originale non ci è pervenuto, e la
cui collocazione temporale, nell’assenza di indicazioni più
precise desumibili dalle fonti a nostra disposizione, assume pertanto come date
estreme quelle del regno di Nerone (54 – 68 d.C.)[8].
Si può anticipare già qui che nel seguito di questo contributo si
cercherà di determinare con maggior precisione, sulla base di
un’ipotesi già formulata dal Ferrini[9],
la datazione del senatoconsulto.
È
opportuno segnalare che, in assenza del testo del Neroniano, tutte le
affermazioni (di molte delle quali ci si occuperà nel presente
contributo), spesso presentate come certezze dalla dottrina moderna, relative
al tenore delle disposizioni in esso contenute, dovranno necessariamente essere
qualificate come congetture, dato che esse si basano su testimonianze relative
alla presentazione degli effetti, e non anche delle disposizioni, del
senatoconsulto in questione, il quale, oltre che nei passi delle Institutiones gaiane, è
menzionato anche in Vat. Fr. 85:
Si tamen per damnationem usus fructus legetur, ius adcrescendi
cessat non inmerito, quoniam damnatio partes facit. Proinde si rei alienae usus
fructus legetur et ex Neroniano confirmetur legatum, sine dubio dicendum est
ius adcrescendi cessare, si modo post constitutum usum fructum fuerit amissus. Quod si ante et socius amittat, erit danda totius
petitio. Idemque et si sinendi modo fuerit legatus usus fructus. An tamen in
Neroniano, quoniam exemplum vindicationis sequimur, debeat dici utilem actionem
amisso usu fructu ab altero alteri dandam, quaeri potest; et puto secundum
Neratium admittendum. In fideicommisso autem id sequimur quod in damnatione.
Il
passo si inserisce in un più ampio discorso (Vat. Fr. 75-88) sul tema
dell’accrescimento tra collegatari di usufrutto, concentrandosi sui casi,
enumerati in considerazione del tipo di legato utilizzato per disporlo, in cui
lo ius adcrescendi cessa, e si fa
riferimento, tra l’altro, all’ipotesi del legato di usufrutto su
cose altrui, confermato dal senatoconsulto Neroniano, il quale viene menzionato
anche nei Tituli ex corpore Ulpiani
(24.11a):
Si ea res, quae non fuit utroque tempore testatoris ex iure
Quiritium, per vindicationem legata sit, licet iure civili non valeat legatum,
tamen senatus consulto Neroniano firmatur, quo cautum est, ut quod minus aptis
verbis legatum est, perinde sit, ac si optimo iure legatum esset: optimum autem
ius legati per damnationem est.
Anche
in questo passo si espone l’impostazione rigorosa del ius civile, in forza della quale il legatum per vindicationem di cosa altrui
sarebbe stato inutile, e si presenta
il correttivo introdotto dal senatoconsulto, grazie al quale il legato disposto
con formulazione non adeguata si considera comunque come se fosse stato
disposto nella miglior forma possibile, ed ancora una volta l’optimum ius legati viene individuato
nella forma per damnationem.
Non si
è mancato di rilevare come tale insegnamento appaia «oscuro e
sconcertante»[10],
così come «più o meno equivalenti, unilaterali, o generiche
e imprecise»[11]
sarebbero le traduzioni delle espressioni ‘optimun autem ius est per damnationem legatum’ e ‘optimum autem ius legati per damnationem est’,
eventualmente accompagnate da «tentativi di chiarimento più o meno
combinati o tautologici, fra cui prevale, come motivazione, che il leg. p. damn. era il migliore
perché permetteva al testatore di disporre per legato anche di una res aliena»[12]:
e si è affermato ciò nella consapevolezza che tentativi di
determinazioni più precise avrebbero condotto «ad una
interpretazione più o meno arbitraria»[13],
posto che è stato ritenuto «impossibile fissare con sicura
precisione il motivo classico della massima perché esso è
estraneo al regime classico dei legata»[14].
Questa posizione del Ciapessoni, che sottintende il riferimento a movimenti e
problemi di più vasta portata, ma di particolare importanza anche per il
tema specifico, riposa, tra l’altro, sul radicato convincimento di
quest’autore relativo all’ampio rimaneggiamento postclassico dei
due passi presi in considerazione, e alla conseguente aggiunta di glosse che ne
avrebbero stravolto l’originale tenore testuale, tradendo così
l’originale rimedialità pretoria (ritenuta esclusiva e tipica)
predisposta per l’attuazione giudiziaria del legato confermato ex Neroniano[15].
La tesi del Ciapessoni, che pure è stata riconosciuta ricca di
«doti di cultura e finezza»[16],
è stata però fortemente criticata[17],
proprio in relazione ai suoi assunti principali – tra cui la
considerazione in senso assoluto proprio della qualifica del legato per damnationem come optimum ius[18]
– che non hanno saputo affiancare ad una serrata pars destruens un’altrettanto articolata pars costruens, la quale anzi si è spesso basata su
illazioni e congetture non supportate da un’esegesi rigorosa dei testi
sui quali avrebbero preteso di fondarsi, in relazione all’interpretazione
dei quali – soprattutto di quelli gaiani e ulpianei – si è
addirittura parlato della realizzazione di «un’ecatombe non
giustificata»[19].
Per
quel che qui interessa, la presentazione dei due passi in esame consente di
rilevare che se per Gaio il senatoconsulto avrebbe potuto realizzare la
conversione o conferma[20]
del legato per vindicationem di res aliena, per il testo ulpianeo tale
conferma sarebbe in realtà stata l’applicazione pratica ad un caso
specifico di una più ampia e generale efficacia sanante disposta dal
senatoconsulto stesso. Nel citato passo delle Institutiones, dunque, Gaio si sarebbe limitato a rappresentare
esemplificativamente un’applicazione del Neroniano, così come
peraltro è possibile rilevare nell’altro passo della sua opera[21],
nel quale, prendendo in considerazione l’ipotesi di un legato sinendi modo, il cui oggetto non fu mai
nella disponibilità del testatore, e nemmeno in quella dell’erede[22],
si fa riferimento alla discussione circa l’eventuale sanabilità
della disposizione proprio in forza del Neroniano.
Si
è rilevato[23],
comunque, che del resto lo stesso Gaio, in un altro passo del suo manuale
istituzionale[24]
sul quale si soffermerà la nostra attenzione, dimostri di conoscere,
illustrando le peculiarità del legato per praeceptionem, la portata più ampia della disposizione
contenuta nel senatoconsulto, quando riporta l’opinione di Sabino, il
quale ricorda che l’efficacia sanante del Neroniano avrebbe riguardato i
legati invalidi iure civili per
improprietà delle parole utilizzate nel disporli (verborum vitio)[25].
Conviene
allora presentare da subito, oltre che il testo gaiano da ultimo menzionato,
anche la più ampia esposizione[26]
in cui, nel secondo commentario, esso si inserisce: essa potrà infatti
valere come una sintetica rappresentazione delle principali questioni da discutere:
216. Per praeceptionem hoc modo legamus ‘L. Titius hominem
Stichum praecipito’.
217. Sed nostri quidem praeceptores nulli allii eo modo legari
posse putant, nisi ei qui aliqua ex partes heres scriputs esset; praecipere
enim esse praecipuum sumere; quod tantum in eius persona procedit, qui aliqua
ex parte heres institutus est, quod is extra portionem hereditatis praecipuum
legatum habiturus sit.
218. Ideoque si extraneo legatum fuerit, inutile est legatum;
adeo ut Sabinus existimaverit ne quidem ex senatusconsulto Neroniano posse
convalescere: nam eo, inquit, senatusconsulto ea tantum confirmantur, quae
verborum vitio iure civili non valent, non quae propter ipsam personam
legatarii non deberentur. Sed Iuliano et Sexto placuit etiam hoc casu ex senatusconsulto
confirmari legatum: nam ex his verbis etiam hoc casu accidere, ut iure civili
inutile sit legatum, inde manifestum esse, quod eidem aliis verbis recte
legatur, veluti per vindicationem, per damnationem sinendi modo; tunc autem
vitio personae legatum non valere, cui ei legatum sit, cui nullo modo legari
possit, velut peregrino, cum quo testamenti factio non sit; quo plane casu
senatusconsulto locus non est.
219. Item nostri praeceptores quod ita legatum est nulla alia
ratione putant posse consequi eum cui ita fuerit legatum quam iudicio familiae
erciscundae, quod inter heredes de hereditate erciscunda, id est dividunda,
accipi solet; officio enim iudicis id contineri, ut ei quod per praeceptionem
legatum est adiudicetur.
220. Unde intelligimus nihil aliud secundum nostrorum
praeceptorum opinionem per praeceptionem legari posse, nisi quod testatoris
sit; nulla enim alia res quam hereditaria deducitur in hoc iudicium. Itaque si
non suam rem eo modo testator legaverit, iure quidem civili inutile erit legatum;
sed ex senatusconsulto confirmabitur. Aliquo tamen casu etiam alienam rem per
praeceptionem legari posse fatentur; veluti si qui eam rem legaverit, quam
creditori fiduciae causa mancipio dederit; nam officio iudicis coheredes cogi
posse existimant soluta pecunia luere eam rem, ut possit praecipere is cui ita
legatum sit.
221. Sed diversae scholae auctores putant etiam extraneo per
praeceptionem legari posse proinde ac si ita scribatur ‘Titius hominem
Stichum capito’, supervacuo adiecta ‘prae’ syllaba; ideoque
per vindicationem eam rem legatam videri. Quae sententia dicitur divi Hadriani
constitutione confirmata esse.
222. Secundum hanc igitur opinionem si ea res ex iure Quiritium
defuncti fuerit, potest a legatario vindicari, sive is unus ex heredibus sit
sive extraneus; quodsi in bonis tantum testatoris fuerit, extraneo quidem ex
senatusconsulto utile erit legatum, heredi vero familiae erciscundae iudicis
officio praestabitur; quodsi nullo iure fuerit testatoris, tam heredi quam
extraneo ex senatusconsulto utile erit.
223. Sive tamen heredibus secundum nostrorum opinionem, sive
etiam extraneis secundum illorum opinionem, duobus plurisve eadem res
coniunctim aut disiunctim legata fuerit, singuli parte habere debent.
La
trattazione di Gaio, che conclude la presentazione dei quattuor genera legatorum, esordisce presentando la formula con la
quale il legato era validamente disposto[27].
L’attenzione del giurista è subito posta sul verbo utilizzato:
proprio in quel ‘praecipito’
Gaio individua il fondamento di taluni fenomeni tipici del legato in questione,
al punto da affrettarsi a spiegarne la portata, individuata nella spettanza, in
capo al beneficiario, del diritto a «prendere un extra» rispetto
alla quota ad esso destinata a titolo ereditario: ‘praecipere enim esse praecipuum sumere’, e a rappresentare da
subito la rigorosa interpretazione sabiniana – seguìta ovviamente
dallo stesso Gaio, anch’egli sabiniano[28]
– in forza della quale nessun altro, se non un coerede, avrebbe potuto
essere beneficiario di un legatum per
praeceptionem.
Contrariamente
a quanto effettuato in precedenza in relazione agli altri tipi di legato,
l’esposizione gaiana, subito dopo aver presentato la formula con cui si
disponeva validamente il lascito, non prosegue illustrandone gli effetti, come
nel caso del legatum per vindicationem[29] – ove essi vengono ricollegati
alla denominazione stessa dell’istituto e accostati alla vindicatio, da esperirsi da parte del
legatario, necessaria alla loro attuazione, per il caso in cui il bene oggetto
del legato fosse nel possesso dell’erede o di chiunque altro –; e
non prosegue nemmeno indicandone il campo d’applicazione, come nel caso
del legatum per damnationem[30] – ove si specifica come per suo
tramite fosse possibile legare anche cose altrui o cose future –, o come
nel caso del legatum sinendi modo[31] – ove si afferma che con esso,
avente qualcosa in più rispetto al legatum
per vindicationem e qualcosa in meno rispetto a quello per damnationem, il testatore avrebbe potuto legare una cosa sua o
dell’erede, ma non anche altrui.
Nel
caso del legatum per praeceptionem,
infatti, dopo la presentazione della formula, si esordisce delimitando
l’ambito di coloro che potevano esserne beneficiari, che è poi
l’oggetto principale della disputa sabiniano-proculiana; a tal proposito
il paragrafo 218 risulta particolarmente denso di informazioni: è in
questo luogo, infatti, che si riconduce a Sabino l’interpretazione
più rigorosa, oltre ad introdursi per la prima volta la menzione del
senatoconsulto Neroniano in relazione al nostro legato.
Secondo
la lettura di Sabino, dunque, un legato per
praeceptionem disposto a favore di un extraneus
(cioè di un soggetto che non fosse anche coerede) sarebbe stato inutile. E nemmeno l’efficacia
sanante del senatoconsulto Neroniano (raffigurata in questo paragrafo gaiano
dal verbo ‘convalescere’)
avrebbe potuto operare in qualche modo. Tale ultimo aspetto, in verità,
non era pacifico nella scuola sabiniana, nella dialettica interna della quale,
infatti, erano emerse alcune voci di dissenso: e Gaio non manca di renderne
conto, citando le diverse opinioni[32]
di Giuliano e Sesto, in forza delle quali l’ambito dell’efficacia
sanante del senatoconsulto andava inteso in maniera decisamente più
ampia. L’allusione a Sextus nel
testo gaiano ha portato in molti a interrogarsi sulla sua identificazione: se
con Pomponio[33],
o piuttosto con Pedio o, come sembra più probabile, con Africano[34],
che fu proprio allievo di Giuliano.
In
questa sede è opportuno rilevare che, all’interno della scuola
sabiniana, l’applicazione del senatoconsulto Neroniano ad ipotesi di
validità quantomeno dubbia di un legato per praeceptionem era oggetto di una certa discussione: se per
Sabino, infatti, l’inapplicabilità del senatoconsulto derivava
dall’idoneità di quest’ultimo a sanare solo quelli invalidi iure civili per improprietà delle
parole utilizzate nella sua disposizione (verborum
vitio), e non anche per l’erronea individuazione del beneficiario
della disposizione stessa (un extraneus
anziché un coerede: vitium
personae), per Giuliano e Sesto, invece, anche in tale ultima ipotesi
l’efficacia sanante del senatoconsulto Neroniano avrebbe trovato
applicazione, posto che, anche in questi casi, si sarebbe trattato di verborum vitio, e non già di vitium personae.
L’ambito
di quest’ultima categoria, conseguentemente, viene ristretto rispetto
all’interpretazione di Sabino, e sostanzialmente fatto coincidere con
quello dei soggetti privi di testamenti
factio passiva. Il manuale istituzionale gaiano reca a tal proposito
l’esempio del peregrinus, che
forse fu fatto proprio da Giuliano e Sesto per supportare la propria
interpretazione: in questa ipotesi, non avendo lo straniero la capacità
di ricevere per testamento, si integra un vitium
personae, ma non può dirsi lo stesso per il caso in cui il
beneficiario della disposizione a titolo particolare avrebbe potuto
tranquillamente conseguirla laddove il testatore avesse scelto un altro tipo di
legato per disporre il lascito. In quest’ultimo caso, pertanto, si
verterebbe ancora in un’ipotesi di vizio «coperto»
dall’efficacia sanante del senatoconsulto, posto che il legatario capace
di ricevere per testamento avrebbe conseguito il lascito se questo fosse stato
disposto con un’appropriata scelta della figura di legato, esattamente
all’opposto della considerata ipotesi di chi, essendo incapace a
ricevere, non avrebbe comunque ricevuto, quand’anche si fosse disposto a
suo favore ricorrendo ad un legato per
vindicationem, per damnationem o sinendi modo.
La
presentazione della rigorosa impostazione sabiniana si conclude illustrando
l’ulteriore peculiarità relativa all’attuazione del legato per praeceptionem, il cui oggetto
sarà ottenuto dal (coerede-)legatario esclusivamente nell’ambito
del giudizio di divisione ereditaria, rientrando la relativa adiudicatio nell’officium di quel giudice.
Decisamente
più «progressista» è la visione proculiana[35],
così come risulta dal paragrafo 221 del secondo commentario delle Institutiones gaiane: secondo tale
scuola sarebbe stato possibile disporre validamente un legato per praeceptionem a favore di un extraneus sulla base di un dato
letterale relativo alla formula della disposizione, o, più precisamente,
su una particolare modalità di interpretazione di essa: anche in questo
caso, Gaio introduce l’interpretazione fornita dalla scuola ricorrendo al
formulario ritenuto corretto dai Proculiani: secondo la visione di costoro, la
formula ‘Titius hominem Stichum
praecipito’ sarebbe stata del tutto equivalente a ‘Titius hominem Stichum capito’. La
sillaba ‘prae’, dunque,
sarebbe stata assolutamente inutile, e il legato si sarebbe dovuto intendere
disposto nella valida forma per
vindicationem. L’opinione proculiana sarebbe peraltro stata
confermata da una costituzione di Adriano: Gai. 2.221, infatti, termina
affermando: quae sententia dicitur divi
Hadriani constitutione confirmata esse.
Tale
ultima proposizione è stata oggetto di numerose discussioni tra gli
autori moderni: si è rilevata l’ambiguità di quel ‘dicitur’, quasi come se Gaio,
scrivendo, non fosse stato affatto convinto della piena affermazione
dell’impostazione avversa, oltre che del contenuto della costituzione di
Adriano nei riferiti termini di riconoscimento di favore alla tesi proculiana[36].
L’informazione è stata giudicata a tal punto fugace, ermetica ed
idonea ad interrompere il fluire del discorso nel testo istituzionale, da
proporre di intendere l’intera espressione come null’altro che una
glossa aggiunta al testo di Gaio, magari da un commentatore suo contemporaneo[37]:
In effetti, all’espressione ‘ideoque
per vindicationem eam rem legatam videri’, che precede la frase
conclusiva di Gai. 2.221, corrisponde l’espressione ‘Secundum hanc igitur opinionem si ea res ex
iure Quiritium defuncti fuerit, potest a legatario vindicari’, con
cui principia Gai. 2.222.
L’eliminazione
della frase ritenuta una glossa, dunque, non creerebbe alcuna disarmonia nel
corpo del testo, in qualche modo interrotto nel suo fluire proprio
dall’introduzione della supposta glossa. La soppressione della
proposizione conclusiva di Gai. 2.221 determinerebbe invece in maniera
più piana il senso logico della continuazione dell’esposizione nel
paragrafo successivo, nel quale, dopo aver esposto l’interpretazione
proculiana, Gaio tratta delle sue concrete conseguenze, volte ad individuare, a
seconda dei casi, l’attuazione del lascito per il tramite della rei vindicatio, del senatoconsulto
Neroniano o dell’adiudicatio
del giudice nel iudicium familiae
erciscundae. Se il testo fosse provenuto tutto da un’unica mano,
allora avrebbe avuto più senso inserire la menzione
dell’affermazione della dottrina proculiana al termine della sua
esposizione, e non nel bel mezzo di essa, a meno di non ritenere che la
costituzione di Adriano si sia limitata a confermare soltanto il parere
proculiano relativo all’equivalenza delle formule ‘praecipito’ e ‘capito’ nel caso di legatum per praeceptionem disposto a
favore di un extraneus (legato da
intendersi dunque per vindicationem)
e non anche le ulteriori conseguenze in relazione all’attuazione del
legato stesso, ma in questo senso la ricostruzione risulta decisamente forzata.
Altri
ancora hanno letto nella fugacità dell’affermazione gaiana
«il disappunto di un seguace di Sabino che, costretto ad ammettere la
sconfitta della propria scuola, cerca di farlo in forma estremamente
larvata»[38].
Molto probabilmente quel ‘dicitur’
rispecchia il dato di fatto di un’opinione generalmente ammessa tra i
giuristi, che comporta la rinunzia, da parte di Gaio, a sviluppare ulteriormente
e in maniera più completa l’insegnamento sabiniano[39].
La
«lacerazione analitica»[40]
conseguente alla disputa sabiniano-proculiana, non avrebbe rappresentato un
semplice emblema del contrasto tra visioni conservatici e progressiste, frutto
di convinzioni filosofiche o princìpi metodologici differenti, come
generalmente si rileva[41],
ma avrebbe condotto ad una serie di questioni concrete; la proiezione
processuale costituì un campo privilegiato per illustrare tali
conseguenze, tanto dal punto di vista delle azioni esperibili a tutela del
legatario quanto da quello, inscindibilmente connesso al primo,
dell’appartenenza dei beni che potevano costituire oggetto del lascito.
Il
rigido principio per cui all’attuazione del legatum per praeceptionem si provvedeva nell’ambito del iudicium familiae erciscundae, infatti,
riceve la notevole mitigazione conseguente alla considerazione per cui
l’oggetto della disposizione, nel caso in cui fosse appartenuto ex iure Quiritium al testatore, avrebbe
potuto esser conseguito dal beneficiario (fosse esso erede o estraneo) con il
ricorso alla rei vindicatio.
All’officium iudicis familiae
erciscundae si sarebbe ritornati, ai fini dell’attuazione del legatum per praeceptionem,
nell’ipotesi in cui l’oggetto del legato fosse solo in godimento
del testatore, e laddove il legatario fosse anche erede; nel caso di legatario
estraneo, invece, la validità sarebbe risultata sulla base del
senatoconsulto Neroniano, il quale avrebbe giovato (tanto al legatario-erede
quanto al legatario-estraneo) anche nel caso in cui l’oggetto del legato
non fosse stato ad alcun titolo del testatore[42].
In sintesi, il più articolato quadro fornito dai Proculiani – i
quali considerano le varie ipotesi sia in relazione al legatario, sia in
relazione al titolo di appartenenza dell’oggetto del legato al testatore,
contemporaneamente relazionandole agli strumenti processuali idonei a fornire
tutela ed attuazione alla disposizione mortis
causa – può essere riassunto secondo il seguente prospetto,
formulato da Gloria Galeno[43]
e sostanzialmente mutuato da quello del Ciapessoni[44]:
a) se
il legatario è un coerede e la res
legata era in dominium ex iure
Quiritium del testatore, il legatario avrà la rei vindicatio;
b) se
il legatario è un extraneus e
la res legata era in dominium ex iure Quiritium del
testatore, il legatario avrà ugualmente la rei vindicatio;
c) se
il legatario è un coerede e la res
legata era in bonis del
testatore, il legatario otterrà l’attuazione del proprio legato
mediante il iudicium familiae erciscundae;
d) se
il legatario è un extraneus e
la res legata era in bonis del testatore, il legatario si
varrà del senatoconsulto Neroniano;
e) se
la cosa non apparteneva a nessun titolo al testatore, il legatario (heres o extraneus) si varranno del senatoconsulto Neroniano.
Di
certo non è facile cercare di datare l’origine della disputa tra
le due scuole in merito alla validità del legatum per praeceptionem disposto a favore di un extraneus. Il fatto che Gaio riporti il
parere di Sabino può far dedurre che essa sia riconducibile
all’epoca di quest’ultimo[45],
o a poco prima. Il dies ad quem deve
però senz’altro collocarsi non oltre l’avvento del regno di
Nerone, periodo fino al quale Sabino stesso visse[46].
Alla
luce delle considerazioni che precedono, si può allora affermare che la
datazione dello stesso senatoconsulto Neroniano deve necessariamente attestarsi
nei primi anni del regno di Nerone, e comunque in quelli precedenti la morte di
Sabino, posto che quest’ultimo ne conosce il testo e ne discute le
applicazioni[47].
Sempre
a quegli anni deve essere ricondotta la disputa interna alla scuola sabiniana e
il contrasto con quella proculiana. In dottrina si è a tal proposito sostenuto,
pur con varie sfumature e argomentazioni[48],
che la comparsa della posizione proculiana abbia preceduto l’emanazione
del senatoconsulto Neroniano: il dato è contestatissimo da chi ritiene
che «tutta la concezione dei Proculiani presuppone il SC. Neroniano»[49],
non riuscendo altrimenti a spiegarsi come mai essa faccia riferimento proprio
al senatoconsulto in determinate ipotesi, anziché escogitare «un
tipo di conversione simile a quello che valeva per le cose proprie del
testatore, per esempio accordando direttamente un’actio ex testamento o un’actio
Publiciana»[50].
L’anteriorità del senatoconsulto Neroniano alla dottrina
proculiana viene inoltre sostenuta sulla base della considerazione per cui la
conversione dall’uno all’altro genus
legati sarebbe così ricondotta ad un periodo storico in cui la
quadripartizione stessa non si sarebbe ancora affermata, risultando peraltro
sconosciuta allo stesso Neroniano[51].
È
stretta la connessione tra questo tema e la vexata
quaestio relativa all’ordine e allo sviluppo storico delle singole
figure di legato. Anche su questo problema, ritenuto da taluni pressoché
irrisolvibile[52],
la letteratura è vastissima: l’analisi condotta dagli studiosi a
cavallo tra Otto e Novecento partiva dalla considerazione per cui le quattro
forme elencate, tra gli altri, da Gaio nel suo manuale istituzionale[53]
si riducevano fondamentalmente a due categorie: quella del legato di
proprietà (legatum per
vindicationem) e quella del legato di obbligazione (legatum per damnationem). Gli altri due tipi di legato, e
cioè il legatum sinendi modo e
il legatum per praeceptionem,
venivano solitamente presentati come forme secondarie, le cui figure dovevano
necessariamente sussumersi nelle due categorie principali, solo in relazione
alle quali, dunque, tendevano ad organizzarsi gli studi relativi
all’individuazione della priorità storica dell’una figura
sull’altra. A tal proposito, una consistente ed autorevole parte della
dottrina, soprattutto italiana, sosteneva la priorità cronologica del
legato per vindicationem sulla base
di una serie di dati storici e testuali assolutamente eterogenei in quanto a
pregio, attendibilità e portata[54]:
la supposta maggiore indipendenza del legato per vindicationem (inteso come mero trapasso patrimoniale)
dall’eredità, interpretata quest’ultima – secondo la
nota teoria del Bonfante[55]
– come successione nella signoria domestica e dunque come successione del
nuovo capo nella posizione personale e non solo patrimoniale del suo
predecessore, è stata una delle motivazioni; ma ha giocato un ruolo
persino l’ordine dell’elencazione delle singole figure così
come costantemente riportato da Gaio, Ulpiano e Giustiniano[56]:
tale ordine, del resto, ha influenzato persino chi lo ha accettato come solo
parzialmente rispondente all’effettiva sequenza dello sviluppo storico
dei legati, limitandolo ai due tipi assunti come principali[57].
Si
è inoltre vista una correlazione tra la formula solenne (‘do lego’) con cui si poteva
validamente disporre tale legato[58]
– ritenuto tra tutti «il più semplice e il più rigoroso»[59],
e quindi necessariamente (o arbitrariamente) il più antico – e il legare (‘uti legassit’) menzionato nelle XII Tavole (Tab. 5.3):
seguendo l’interpretazione per cui il legare
delle XII Tavole facesse riferimento alle sole disposizioni di ultima volontà
a titolo particolare (interpretazione tutt’altro che pacifica, posto che
Gaio fa riferimento alla norma decemvirale ponendola a fondamento quantomeno di
legati e manomissioni[60];
mentre Pomponio, nel quinto libro del suo commento a Quinto Mucio, attribuisce
alla norma in questione una ‘latissima
potestas’ fondamento di ogni disposizione a titolo universale e
particolare, o, almeno, dell’istituzione di erede, della disposizione di
legati e manomissioni oltre che della costituzione della tutela testamentaria[61],
si riconduceva il legato di proprietà al V secolo a.C., e proprio in
forza di tale corrispondenza si spiegava «l’origine tutta
particolare»[62]
di un istituto nato senza un nome specifico, e poi chiamato ‘per vindicationem’ proprio per
distinguerlo dagli altri tipi di legato: la stessa (supposta successiva)
denominazione, non correlata alla formula con cui poteva validamente disporsi,
come accadeva per gli altri, ma all’azione con cui poteva essere
ottenuto, veniva interpretata dal Ferrini come un «principio così
costante nell’antico diritto»[63]
da potersi desumere l’invocata priorità del legato stesso.
Del
resto, si affermava[64]
che lo stesso Ulpiano, spiegando i modi di acquisto del dominium, avrebbe ancora conservato memoria della fase primitiva,
al punto da alludere a quello che sarà successivamente indicato come legatum per vindicationem chiamandolo
semplicemente e genericamente ‘legatum’,
e correlandolo alla legge decemvirale[65].
E di tale memoria vi sarebbe stata traccia anche nei Fragmenta Vaticana, in cui il riferimento al legatum per vindicationem avviene per il tramite della formula con
cui era validamente disposto (‘legatum
do lego’)[66].
Si osservava[67]
inoltre che ammettere la priorità del legatum per damnationem, e ricondurlo ad una non meglio precisata
epoca antecedente l’età decemvirale, non avrebbe tenuto in dovuto
conto l’immaturità del concetto di obbligazione precedente
l’emanazione della lex Poetelia
Papiria del 326 a.C.
Un
numero minore di studiosi[68]
sosteneva al contrario, con altrettanta autorevolezza, la precedenza storica
del legatum per damnationem
sottolineando un’ulteriore serie di aspetti notevoli: il carattere di
diritto pubblico che si riteneva originariamente proprio della damnatio, chiaramente ricollegato alla
formula imperativa con cui si disponeva validamente questo legato (Cfr. Gai.
2.101), permetteva di accostare l’istituto che si realizzava tramite essa
al testamentum calatis comitiis.
All’antichità di tale forma pubblica di testamento (una delle due
forme di testamento che, assieme al testamentum
in procinctu, come si legge in Gai. 2.101 initio fuerunt) così come degli istituti ad esso
riconducibili, e alla sua ritenuta natura di lex publica, dunque di espressione della volontà generale,
si contrapponeva l’incompatibilità della tipica manifestazione
della volontà individuale che caratterizzava invece il legatum per vindicationem, il quale
sarebbe stato incluso nel testamento solo quando questo sarebbe divenuto un
atto svincolato da quel controllo pubblico e caratterizzante che distingueva la
natura del testamentum calatis comitiis,
e cioè quando a Roma invalse l’uso di disporre mortis causa ricorrendo al gestum per aes et libram. La maggiore
antichità del legatum per
damnationem sarebbe emersa anche dalla considerazione della tutela
giudiziaria per esso prevista, oltre che del modo di liberazione
dell’erede da parte del legatario: proprio in forza dell’uso della
solenne formula ‘damnas esto’,
nell’ambito delle legis actiones
il legatario avrebbe potuto ricorrere per l’adempimento contro
l’erede direttamente con la legis
actio per manus iniectionem, comportante la soggezione dell’actio ex testamento alla regola della
litiscrescenza adversus infitiantem;
peraltro, ancora in epoca classica il legatario avrebbe liberato l’erede
tramite il ricorso alla solutio per aes
et libram[69].
Si
sottolineava[70]
inoltre che il rapporto obbligatorio tra erede-onerato e legatario-onorato
rispecchiava plasticamente il principio generale per cui l’erede era
inteso successor in omne ius mortui, mentre una dinamica del genere non si
riproponeva immediata nel legatum per
vindicationem, proprio per quel suo effetto caratteristico consistente nel
far transitare recta via la
proprietà di quanto ne formava oggetto (o, successivamente, la
titolarità dei diritti reali tramite esso costituiti) in capo al
legatario, prescindendo da qualunque rapporto giuridico con l’erede. La
stessa supposizione che nel testo del Neroniano il legatum per damnationem venisse qualificato ‘optimo iure’ ha costituito motivo
di argomentazioni tanto a favore quanto contro l’ipotesi che questa fosse
la forma originaria.
Il
legato sinendi modo e il legato per praeceptionem venivano
pressoché unanimemente considerati tipi secondari, e comunque di origine
più recente (o, al massimo, di transizione dall’un tipo principale
all’altro)[71].
Non è questa la sede per approfondire ulteriormente il tema: mi limito
solo ad osservare che la necessità dell’attuazione del legato per praeceptionem mediante il ricorso al
iudicium familiae erciscundae,
unitamente alla considerazione per cui quest’ultimo era riconosciuto
dalle XII Tavole, costituisce un indizio fortissimo a favore dell’estrema
antichità di questo tipo di legato: la stessa disputa
sabiniano-proculiana sui suoi profili di validità, lungi
dall’essere indice della sua origine relativamente recente,
approssimativamente riconducibile ai primi anni dell’impero, come pure
è stato sostenuto[72],
sembra più che altro deporre per un’incapacità a
comprendere la natura di un’istituzione antica, soprattutto nel tentativo
di adattarla a nuove esigenze[73].
La
dottrina che, in tempi più recenti, ha affrontato il tema sembra, da un
lato, cedere alla suggestione di ricondurre la quadripartizione
all’importazione del modello ellenistico delle ripartizioni in genera, attestato per il I sec. a.C.[74],
e, dall’altro, seguire un’impostazione decisamente più
«atomistica»[75]
e tutt’altro che omogenea, coerentemente a quello che sarebbe stato
l’atteggiamento della riflessione dei giuristi prima
dell’introduzione dei genera
legatorum: quest’ultimo atteggiamento riflette la mancanza di un
sufficiente numero di attestazioni dirette, volte a delineare con maggior
chiarezza lo sviluppo del diritto privato romano nell’arco di tempo
compreso tra il II e il I sec. a.C., e si è rilevato come tali difficoltà
si esasperino addirittura in tema di legati, rendendo così problematica
la ricostruzione del loro sviluppo storico[76],
alla base della ricerca del quale avrebbe nuociuto un duplice pregiudizio: da
un lato vi sarebbe stata una riconduzione ad un unico ed indifferenziato
momento temporale in cui si sarebbero confusi problemi concernenti
l’origine e lo sviluppo dei legati, dall’altro lo schema
classificatorio dei quattuor genera
legatorum sarebbe stato assunto come canone euristico anche dagli studiosi
moderni, al punto da tradire e omettere la necessaria valutazione dei concreti
problemi affrontati e risolti dalle interpretazioni dei veteres, che permisero lo sviluppo delle diverse figure[77].
L’effetto finale sarebbe consistito in un’arbitraria fusione, oltre
che in un indebito appiattimento, tra età arcaica ed età
repubblicana, così da attribuire una caratteristica piega arcaicizzante
ai caratteri dell’esperienza repubblicana.
Seguendo
quest’ordine di idee, si ritiene che la partizione non avrebbe potuto essere
antecedente a Quinto Mucio[78],
ed anzi si è proposto «di posticipare la data approssimativa di
questa classificazione all’età di Celso o, al più presto, a
quella di Nerva padre e Gaio Cassio Longino»[79],
e cioè ad un periodo precedente di pochi anni il regno di Nerone.
L’Ormanni[80]
ha fornito una articolata dimostrazione di tale assunto; eppure, nemmeno una
ricostruzione tanto dotta e raffinata riesce a superare una contestazione
fondamentale: la quadripartizione, che ancora Gaio ricorda e tratta diffusamente
nel suo manuale istituzionale, si sarebbe affermata pochissimi anni prima o in
data pressoché contemporanea, se non addirittura posteriore,
all’emanazione di quel senatoconsulto Neroniano la cui ratio di fondo era volta a realizzare
un’«apprezzabile semplificazione delle strette regole del ius civile vetus»[81]
e con il quale, come lo stesso Ormanni afferma, si «segnò il
principio della fine della partizione in genera»[82],
il che è un nonsenso.
Dobbiamo
allora rivalutare il dato tanto contestato, tra gli altri, dal Palazzolo: la
disputa sabiniano-proculiana in tema di validità del legato per praeceptionem disposto a favore di
un extraneus (o il cui oggetto non
era nel dominio quiritario del testatore) è molto probabilmente
anteriore all’emanazione del Neroniano, il quale anzi si inserisce in
essa, peraltro non contribuendo a sopirla del tutto, posto che lo stesso Gaio
ne conserva una memoria sufficientemente dettagliata nel suo manuale
istituzionale, nella stesura del quale egli con molta probabilità
sovrappone alla pregressa discussione giurisprudenziale frammenti di disciplina
immediatamente o interpretativamente riconducibili alla successiva
deliberazione del Senato. Il dato riferito trova, tra l’altro, conferma
nell’assunto per cui spesso erano i giuristi delle stesse scuole ad
ispirare i contenuti delle disposizioni dei senatoconsulti[83],
non limitandosi ad effettuarne una successiva interpretazione del testo.
Sarebbe allora da riconsiderare e precisare la prospettiva per cui «la
stessa interpretatio della
giurisprudenza classica poté giungere ad ampie estensioni»[84]
della statuizione contenuta nel Neroniano.
Queste
considerazioni potrebbero essere da sole sufficienti a testimoniare che, almeno
a far data dall’epoca di Nerone, la quadripartizione classica dei legati
era già ampiamente conosciuta[85],
e non solo probabilmente abbozzata: ma se non ci si volesse spingere a tanto, persistendo
nel dubbio circa la sua riconducibilità alla giurisprudenza
tardo-repubblicana[86],
si dovrebbe quantomeno ammettere che i giuristi dell’epoca conoscessero
il legato per praeceptionem e ne
facessero oggetto di ampie dispute e discussioni.
Dispute
e discussioni che sicuramente influirono sull’emanazione del
senatoconsulto Neroniano, il quale sembra proprio riconducibile al più
ampio insieme del «numero non indifferente di senatoconsulti»[87]
che «trasformò, nel corso dei primi due secoli d.C., innanzitutto
il diritto ereditario, e poi anche singoli settori del diritto delle persone e
del diritto delle obbligazioni»[88].
La deliberazione del Senato, dunque, potrebbe essere stata resa opportuna per
due ordini di ragioni, che possono considerarsi in rapporto di
alternatività o, come mi sembra più probabile, di concorrenza, se
non addirittura di reciproca connessione.
A tal
proposito, va in primo luogo osservato che all’epoca di Nerone può
dirsi quasi del tutto – se non pienamente – sgretolato il fenomeno
della interpretatio-recezione[89]
come metodo di produzione extra-autoritativa del diritto: il meccanismo che
aveva origine nella interpretatio
prudentium, infatti, non era più ritenuto mezzo idoneo a conseguire,
tra l’altro, un risultato come la sanatoria (o la convalida) di un
istituto le cui caratteristiche ed effetti – e, conseguentemente, per il
caso di sua disposizione in qualche modo erronea, i cui profili di
invalidità – erano stati caratterizzati, per il più antico ius civile, in maniera particolarmente
netta.
In
secondo luogo, l’ampio ricorso ai legati[90]
e le conseguenti (spesso irrisolte) dispute relative alla loro interpretazione
rese necessaria, proprio all’epoca di Nerone – ed anche alla luce
di quelle controversie giurisprudenziali che ho assunto essere necessariamente
precedenti l’emanazione del senatoconsulto –, la produzione di ius novum per il tramite di una
disposizione scritta avente efficacia legislativa[91]
– il Neroniano, appunto – l’emanazione della quale, da un
punto di vista pratico oltre che della teoria generale, aveva il vantaggio di
operare «con immediatezza e vistosamente»[92],
anziché «su tempi lunghi e in modo non appariscente»[93],
la risoluzione di punti di diritto controverso.
Del
resto, la testimonianza offertaci da Gaio può essere letta nel senso che
le dispute e il contenzioso generati dall’interpretazione delle formule
con cui venivano disposti i legati (in particolar modo, ma non solo, quello per praeceptionem) dovevano essere
così intensi, articolati e frequenti che nemmeno l’intervento del
Senato riuscì a regolamentare in maniera definitiva il variegato e
complesso regime delle invalidità delle disposizioni a titolo
particolare: la riforma attuata col Neroniano, infatti, risulterà essere
solo un (primo) passo, sia pur di notevolissima portata, nella direzione
dell’iter seguito dagli
sviluppi postclassici, che a loro volta confluiranno nella definitiva riforma
giustinianea.
In
conclusione, le considerazioni che possono formularsi alla luce del presente
contributo afferiscono, da un lato, alle dispute sabiniano-proculiane in tema
di efficacia sanante del senatoconsulto Neroniano in merito al legatum per praeceptionem disposto verborum vitio, e portano,
dall’altro, ad abbozzarne delle altre sulla considerazione dello sviluppo
storico delle singole figure di legato.
Si
è infatti soliti ritenere che le dispute tra Sabiniani e Proculiani in
merito alle questioni di validità del legatum per praeceptionem siano sorte successivamente
all’emanazione del Neroniano: col presente scritto si è cercato di
dimostrare che la sua emanazione fu invece una delle conseguenze di tali
dispute, le quali dunque devono ritenersi anteriori ad esso.
Il
fatto che lo stesso Sabino intervenisse in merito alle più volte
menzionate controversie tra le due scuole è poi una prova della loro
antichità, così come la considerazione, proprio da parte di
Sabino, della portata del legatum per
praeceptionem deve far riflettere sulla stessa antichità di questo genus legati e del suo rapporto con le
altre figure.
Ciò
dovrebbe altresì spingere nel senso di una profonda riconsiderazione
della solita qualificazione della figura del legatum per praeceptionem come «intermedia» o comunque
tarda rispetto ai principali modelli per
vindicationem e per damnationem.
Il legatum per praeceptionem,
infatti, trovava attuazione, a differenza di tutte le altre (successive?)
figure di legato nel iudicium familiae
erciscundae. A tale giudizio si ricorreva sicuramente in età
decemvirale, posto che esso è conosciuto nel testo delle XII Tavole, il
quale anzi, stando all’informazione desumibile da Gaio[94],
di tale giudizio avrebbe rappresentato l’origine.
Anche
in forza di questa considerazione, dunque, potrebbe articolarsi
l’impostazione della ricerca conseguente all’insoddisfazione,
già espressa dal Coli e rammentata dall’Ormanni[95],
circa l’illustrazione dello sviluppo storico delle singole figure di
legato: il tema, che trascende la portata del presente contributo, potrebbe
svilupparsi proprio verificando la priorità storica di quelle figure,
solitamente qualificate «minori», «secondarie»,
«intermedie» o comunque più tarde rispetto alle principali
– tradizionalmente assunte anche come cronologicamente antecedenti
– e riconsiderandone i reciproci rapporti e la conseguente evoluzione
storica.
[1] Come
emergerà nel seguito del testo, il senatoconsulto Neroniano involge
questioni che, com’è noto, riguardano la materia dei legati, tanto
in relazione ai profili di sanabilità della disposizione invalida per
vizio di forma, quanto a quelli relativi alla storia e all’evoluzione
delle singole figure di legato, così come risultano conosciute in
età classica. L’efficacia sanante del senatoconsulto, inoltre,
costituisce materia di discussione e interesse anche per la teoria generale,
proprio per il suo riferirsi al tema dell’invalidità dei negozi
giuridici; è appena il caso di sottolineare come la letteratura su tali
temi sia sterminata: va conseguentemente evidenziato quanto siano numerosi i
riferimenti al Neroniano nelle trattazioni che affrontano i relativi argomenti.
Per le informazioni fondamentali si può fare riferimento a C. Ferrini, Teoria generale dei legati e dei fedecommessi secondo il diritto
romano, con riguardo all’attuale giurisprudenza, Milano, 1889, 24 ss.;
U. Coli, Lo sviluppo delle varie forme di legato nel diritto romano (1920),
ora in Id., Scritti di diritto romano, I, Milano, 1973, 65 ss., in part. 148; B. Biondi, Successione testamentaria e donazioni2, Milano, 1955, 280 ss.; P. Voci, Diritto ereditario romano2, I, Milano, 1967, 421; II, Milano, 1963,
267 ss.; G. Grosso, I legati nel diritto romano. Parte generale2,
Torino, 1962, 93 ss. Ha dedicato attenzione ai rapporti tra legato per praeceptionem e senatoconsulto
Neroniano J.F. Leuba, Origine et nature du legs per praeceptionem, Lausanne, 1962, in
part. 57 ss., il quale riconosce come testo fondamentale per lo studio della
teoria del legatum per praeceptionem
lo scritto di K. Bernstein, Zur Lehre vom römischen Voraus (legatum
per praeceptionem), in «ZSS», XV, 1894, 143 s. V.,
similmente, con rilievi sulla disputa sabiniano-proculiana sul tema, M. García Garrido, Gayo 2.216-223 sobre
el «legatum per praeceptionem», in «AHDE», XXXI,
1961, 487 ss., in part. 499 ss. Il quadro più esaustivo sulle divergenze
tra le due scuole, anche in relazione all’oggetto specifico del presente
contributo, resta comunque quello di Falchi,
Le controversie tra Sabiniani e
Proculiani, Milano, 1981, passim,
in part. 133 ss., a cui va aggiunto il contributo di M.G. Scacchetti, Note
sulle differenze di metodo fra Sabiniani e Proculiani, in «Studi A.
Biscardi», V, Milano, 1984, 369 ss. Va inoltre tenuto presente N. Palazzolo, Dos praelegata. Contributo alla storia del prelegato romano,
Milano, 1968, in part. 179 ss. Un quadro sintetico della disputa
sabiniano-proculiana sull’utilizzo e l’interpretazione del legato per praeceptionem, e sulla relativa
tutela processuale accordata ad esso in forza del Neroniano è tracciato
da G. Galeno, «Per
praeceptionem», in «Synteleia V. Arangio-Ruiz», I,
Napoli, 1964, 206 ss. Presta inoltre specifica attenzione alle
peculiarità del verbo utilizzato da Gaio (‘convalescere’) per indicare l’effetto sanante del
senatoconsulto Neroniano in riguardo al legato per praeceptionem invalido V. Giuffrè,
«Convalescere» in Gai.
2.218, in «Synteleia V. Arangio-Ruiz», cit., II, 621 ss. Si
devono tuttavia ricordare tre autori che hanno espressamente dedicato al
senatoconsulto Neroniano un lavoro monografico: A. Ascoli, Sul
Senatoconsulto Neroniano, in «Archivio Giuridico», XL, 1888,
329 ss.; P. Ciapessoni, Sul Senatoconsulto Neroniano, in
«Studi P. Bonfante», III, Milano, 1930, 651 ss.; R. Piaget, Le Sénatus-consulte Néronien, Lausanne, 1936. Oltre
che per gli specifici riferimenti al tema di questo contributo, in una
più ampia ottica volta a considerare le indicazioni metodologiche, il
rigore dell’esposizione, e le riflessioni sulla possibilità di una
«sistematica» in materia di legati precedente la quadripartizione
classica dell’istituto, non si può prescindere dal brillantissimo
scritto di A. Ormanni, Penus legata. Contributi alla storia dei
legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica,
in «Studi E. Betti», Milano, 1962, 581 ss. Il contributo più
recente sul legato per praeceptionem
mi risulta essere lo scritto di M. d’Orta,
«Sterilis beneficii conscientia». Dalla «praeceptio»
al «legatum per praeceptionem», Torino, 2005, che riprende
sostanzialmente, ampliandolo, Id., Il «legatum per praeceptionem». Dal dibattito dei giuristi
classici alla riforma giustinianea, Torino, 2004. Il legatum per praeceptionem è stato spesso rapportato in vario
modo al prelegato: riguardo a quest’ultimo argomento, il contributo
più recente e innovativo, con particolare riferimento alla
valorizzazione del concursus causarum
lucrativarum è lo scritto di M. Wimmer,
Das Prälegat, Wien, 2004.
[3] E
precisamente in relazione al legato per
vindicationem, come risulta dal passo immediatamente presentato nel testo,
e al legato sinendi modo: cfr. Gai.
2.212, in fine.
[5] Gai.
2.196: Eae autem solae res per
vindicationem legantur recte, quae ex iure Quiritium ipsius testatoris sunt.
Sed eas quidem res quae pondere numero mensura constant placuit sufficere, si
mortis tempore sint ex iure Quiritium testatoris, veluti vinum oleum frumentum
pecuniam numeratam. Ceteras res vero placuit utroque tempore testatoris ex
iure Quiritium esse debere, id est et quo faceret testamentum et quo
morerentur; alioquin inutile est legatum.
[6]
Vedremo in prosieguo di testo come in dottrina si sia sostenuto, fornendo una
lettura ampiamente riduttiva, che la riforma operata dal Neroniano si sarebbe
ridotta ad estendere, imitandola, la più mite disciplina prevista per le
cose fungibili a quelle infungibili: mi riferisco in particolare alla tesi
formulata dal Ciapessoni, op. cit., in part. 679, che riposa, tra
l’altro, sul convincimento di quest’autore per cui (674, nt. 89)
«il trattamento delle cose fungibili meriterebbe particolare attenzione
nella dottrina romana dei legati», tanto da riportare la congettura
formulata da O. Gradenwitz, Zwangsvollstreckung und Urtheilssicherung,
in Festgabe für Rudolf von Gneist
zum Doctor-Jubiläum am XX. November MDCCCLXXXVIII, Berlin, 1888, 302
secondo il quale «in origine, la distinzione tra leg. p. vindic. e leg. p.
damnat. equivaleva a legato di cose infungibili e legato di cose fungibili,
mentre in fase successiva venne a significare legato di cosa propria e legato
di cosa d’altri: perciò in Gai. II, 196 il leg. p. vindic. di cose fungibili ha un diverso trattamento circa
il requisito del dominium».
[8] Il Ciapessoni, op. et loc. ult. cit. propone una datazione più precisa e
riconduce il senatoconsulto all’anno 61, sulla base della considerazione
per cui gli sembra probabile «che si tratti di senatoconsulto relativo
non al solo rimedio per convalida di legati nulli, ma altresì ad altri
provvedimenti, di cui uno è certo da ritenersi di tale anno»: per
tale autore, infatti, il Neroniano è espressione caratteristica (653)
«tanto delle riforme adottate all’inizio del Principato nel regime
del diritto successorio, quanto della notevole attività innovatrice del
Senato sotto il primo periodo del regno di Nerone, anche in tema di successione
testamentaria».
[14] Ciapessoni, op. et loc. ult. cit. A dire il vero, come emergerà nel
seguito di questo contributo, la mancata emersione della quadripartizione
classica dei legati nel testo del Neroniano potrebbe semplicemente ascriversi
alla stessa finalità del senatoconsulto anziché a supposti
(più o meno profondi) rimaneggiamenti dei testi rilevanti in merito: il
che dovrebbe a maggior ragione portare ad affermare che non è possibile
stabilire una relazione immediata e diretta tra il Neroniano stesso e le
ipotesi sulla datazione dell’introduzione della quadripartizione.
[15] Cfr.,
ad esempio, quanto afferma espressamente Ciapessoni,
op. cit., 661 s., 663 s., 672, 682,
684 ss., 693 ss., 720 s., 726. Coerentemente con la sua impostazione, questo
autore ritiene pertanto che l’acquisto di un legato per vindicationem confermato ex
Neroniano avrebbe fatto conseguire al legatario non già il dominium ex iure Quiritium del bene ma
solo (691) «l’in bonis,
cioè la proprietà pretoria, e senza bisogno di tradizione da
parte dell’erede. Che sia stato totalmente trascurato sinora questo punto
non deve fare meraviglia: la fallace riduzione costante ex Neroniano del leg. p.
vindic. al leg. p. damn. porta
necessariamente a far pensare soltanto a rapporti obbligatorii tra legatario ed
erede». Per il Ciapessoni, dunque, nel diritto classico il senatoconsulto
Neroniano esplicava la sua efficacia nel diritto pretorio, il quale
l’avrebbe garantita, attribuendole quella cogenza che esso, da solo,
secondo questa interpretazione non avrebbe avuto, mediante la concessione di
un’actio utilis con formula ficticia, in analogia
all’azione che sarebbe spettata in base al legato la cui formula era
stata utilizzata: rei vindicatio utilis,
dunque, per il caso di legato per
vindicationem e, negli altri casi, volta a volta, actio utilis ex testamento ovvero iudicium familiae erciscundae utilis. L’intorbidimento del
diritto classico sarebbe stato favorito da un duplice ordine di eventi: da un
lato, la diffusione della pratica del ricorso alla doppia formula da parte del
testatore; dall’altro, in una col cadere del rigore formale tipico delle
singole figure di legato, l’affermazione del legato per damnationem come figura generale e sussidiaria al legato per vindicationem eventualmente
invalido. Tale duplice ordine di eventi avrebbe spinto i glossatori
postclassici ad aggiungere ripetutamente la menzione di optimum ius correlata al legato per
damnationem, completamente stravolgendo gli effetti ritenuti
originariamente tipici del Neroniano. Cfr. l’insegnamento del Grosso, op. cit., 97 s., il quale conclude affermando che, comunque, (98)
«nel diritto postclassico per giungere al risultato esposto non vi fosse
neppur bisogno di ricorrere ad esso»; Piaget,
op. cit., 18 ss.; Leuba, op. cit., 72.
[17] Cfr. Piaget,
op. cit., 8 ss.; Grosso, I legati2, cit., 97. La tesi del Ciapessoni fu citata da S. Solazzi, Glosse a Gaio, I, (1936), ora in Id., Scritti di diritto romano, VI, Napoli, 1972, 157 s., e discussa più ampiamente in Id., Glosse a Gaio, IV, (1949), ora in ora in Id., Scritti, cit., 448 ss.
[20]
Userò le espressioni intendendole sostanzialmente con medesima efficacia
funzionale. Avverto però che proprio sulla distinzione tra conversione e
conferma del legato invalido fonda gran parte delle sue erudite argomentazioni
il Ciapessoni: cfr. ad es., in
termini più espliciti, Id., op. cit., 668, 672. Si consideri inoltre
che il Palazzolo, op. cit., 181 nt. 22, 183 nt. 25
affronta la questione, riferendosi ai termini «conversione» e
«convalescenza», richiamando il contributo di Giuffrè, «Convalescere», cit., in part. 623 ss., e sottolineando
(181 nt. 22) che «la convalescenza in senso tecnico presuppone infatti
sempre che non vi sia una nullità radicale dell’atto, come
è certamente quella di cui ci occupiamo». In realtà va
sottolineato come il ricorso a categorie dogmatiche moderne possa risultare
parecchio fuorviante: lo riconosceva lo stesso Ciapessoni, op. cit.,
655, quando scriveva che «il problema della invalidità dei negozi
giuridici è fra i più ardui anche nel diritto odierno: anche oggi
la legislazione e la dottrina accrescono le difficoltà con una svariata
imprecisione di linguaggio (parlando di nullità, inesistenza,
inefficacia, invalidità, impugnabilità, annullabilità,
ecc.), in cui accanto a sinonimi si hanno sfumature di concetti, e che sembra
riflettere una rinuncia a fissare con esattezza univoca nozioni non
definitivamente chiare»: sia concesso di considerare che tali
osservazioni mantengono inalterata la loro validità ancora oggi, e le
pecche del «diritto odierno» che considerava ottant’anni fa
il Ciapessoni sembrano permanere ancora nella nostra esperienza.
[21] Gai. 2.212: Quodsi
post mortem testatoris ea res heredis esse coeperit, quaeritur an utile sit
legatum. Et plerique putant inutile esse. Quid ergo est? licet aliquis eam rem
legaverit, quae neque eius umquam fuerit neque postea heredis eius umquam esse
coeperit, ex senatusconsulto Neroniano proinde videtur, ac si per damnationem
relicta esset.
[25] La
testimonianza sabiniana offertaci da Gaio consente di portare un ulteriore
argomento contro la tesi del Ciapessoni,
op. cit., 677 s., che vorrebbe
ridurre la portata della riforma attuata dal Neroniano alla sola ipotesi
dell’invalidità del legato per
vindicationem avente ad oggetto una cosa infungibile non di dominio
quiritario del testatore: esso sarebbe stato «sanato mediante conferma
purché la cosa legata risultasse di dominio quiritario del testatore mortis tempore, in modo che il legatario
poteva far valere il legato atque si
optimo iure res per vindicationem legata esset»: così
argomentando, l’autore sostiene dunque (679) che il Neroniano «ha
imitato, non anche ampliato, la deroga adottata ne’ riguardi delle cose
fungibili, in quanto anche per le infungibili ha voluto che il legato di
proprietà fosse salvo, se esse risultavano in dominio quiritario del
testatore mortis tempore».
[27] Si tratta
della formula più semplice, riproposta anche in Tit. Ulp. 24.26. Abbiamo
comunque notizia di formule più articolate: cfr. Leuba, op. cit.,
108.
[28] Tale
affermazione è suffragata dal dato testuale per cui, proprio in Gai.
2.219, si fa riferimento ai Sabiniani indicandoli come ‘nostri praeceptores’, mentre i
Proculiani sono indicati con l’espressione ‘diversae scholae auctores’ rinvenibile in Gai. 2.221. Cfr.,
comunque, T. Honorè, Gaius. A biografy, Oxford, 1962, 18 ss.,
e la relativa recensione di G.G. Archi, in
«SDHI», XXIX, 1963, 424 ss.; B. Casavola,
Gaio nel suo tempo, in
«Atti del Simposio romanistico. Gaio nel suo tempo», Napoli, 1966,
8 ss.; F. Schulz, History of Roman Legal
Science2, Oxford, 1953, trad.
it. – Storia della giurisprudenza
romana –, Firenze, 1968, 216 ss.; L. Lantella, Le Istituzioni di Gaio come modello, in
«Il modello di Gaio nella formazione del giurista. Atti del convegno
torinese. 4-5 maggio 1978 in onore del prof. Silvio Romano», Milano,
1981, 58 ss. nt. 18; O. Stanojevic,
Gaius noster. Pladoyer pour Gaius,
Amsterdam, 1989, 100 ss.; M. Bretone, Storia del diritto romano11, Bari, 2006, 260 ss.; E. Stolfi, Il modello delle scuole in Pomponio e Gaio, estratto da
«SDHI», LXIII, 1997, 2 e nt. 2.
[29] Cfr.,
infatti, Gai. 2.194: Ideo autem per
vindicationem legatum appellatur, quia post aditam hereditatem statim ex iure
Quiritium res legatarii fit; et si eam rem legatarius vel ab herede vel ab alio
quocumque qui eam possidet petat, vindicare debet, id est intendere suam rem ex
iure Quiritium esse.
[30] Cfr.
Gai. 2.202-203: Eoque genere legati etiam
aliena res legari potest, ita ut heres redimere rem et praestare aut
estimationem eius dare debet. Ea quoque res quae in rerum natura non est, si
modo futura est, per damnationem legari potest, velut ‘fructus qui in
illo fundo nati erunt’ aut ‘quod ex illa ancilla natum erit’.
[31] Cfr.
Gai. 2.210: Quod genus legati plus quidem
habet quam per vindicationem legatum, minus autem quam per damnationem. Nam eo
modo non solum suam rem testator utiliter legare potest, sed etiam heredis sui;
cum alioquin per vindicationem nisi suam rem legare non potest, per damnationem
autem cuiuslibet extranei rem legare potest.
[32] Cfr. d’Orta, Sterilis, cit., 49 s. Relativamente allo sforzo interpretativo di
Giuliano e Sesto volto ad ampliare l’ambito di sanabilità del legatum per praeceptionem disposto a
favore di estranei comunque non privi della testamentifactio
passiva, questo Autore ritiene (50) che esso «non avrebbe avuto esito
alcuno presso la scuola di appartenenza».
[33]
È l’ipotesi formulata, ad esempio, da H. Wagner, Studien zur allgemeinen Rechtslehre des Gaius,
Zutphen, 1978, 192, e Stanojevic,
Gaius, cit., 5 ss. Dubbioso Voci, Diritto ereditario2, I, cit., 7 nt. 11: «Gaio cita una volta
un Sextus ... ma è dubbio se
si tratti di Pomponio (e non, invece, Africano), e comunque non è nota
l’opera cui intende riferirsi»: il dubbio permane in Id., Diritto ereditario, II, cit.,
228 nt. 26; altrettanto cauto O. Lenel,
Palingenesia iuris civilis, Lipsiae,
1889, I, 35 nt. 3; Giuffrè, «Convalescere», cit., 623,
non prende posizione tra le ipotesi di Pomponio e Africano. Comunque,
già V. Scialoja, Sulle condizioni impossibili nei testamenti.
Nuove considerazioni, in «BIDR», XIV, 1901 (pubbl. 1902), 20,
riteneva che Pomponio fosse decisamente da escludersi, mentre «non si
può dir con certezza» se il Sextus
fosse Pedio o Africano.
[34] In
questo senso si pronuncia espressamente Grosso,
op. cit., 96, il quale ricorda
che Sesto Africano fu discepolo di Giuliano. Si riferisce direttamente a Sesto
Africano anche Palazzolo, op. cit., 181. Cfr., inoltre, A.M. Giomaro, Spunti per una lettura critica di Gaio, Institutiones. 1. Il testo. Versione illustrata e ipotesi
interpretative, Urbino, 1994, 125 nt. 108; Stolfi, Il modello,
cit., 50 nt. 230.
[35] Cfr. i
puntuali rilievi circa le divergenze tra le due scuole formulati da Falchi, Le controversie, cit., 134 ss., e da Scacchetti, Differenze,
cit., 370 ss.
[36] Cfr.
in questo senso Biondi, Successione testamentaria, cit., 272 nt.
2, il quale non ritiene possibile che un giurista accorto come Gaio ignorasse
del tutto l’esistenza di una costituzione di Adriano, peraltro in
relazione ad un tema oggetto di radicali contrapposizioni con la scuola
avversaria. In realtà è stato rilevato che «non è
per nulla infrequente che Gaio avesse una cognizione molto vaga di una fonte
autoritativa»: così Palazzolo,
op. cit., 185 nt. 30, ed ivi
letteratura. Nulla vieta comunque di ipotizzare che possa trattarsi di una interpretatio, magari estensiva, della sententia Hadriani.
[37]
Quest’ultima è l’opinione più radicale espressa dal Solazzi, Glosse, II, cit., 337 e
nt. 205; Cfr. inoltre U. von
Lübtow, Zur Lehre vom
Praelegat, in «ZSS», LXVIII, 1951, 513:
«Der Satz sive is unus ex heredibus
sit sive extraneus dürfte daher ein nachklassisches Glossem
sein»; Biondi, Successione, cit., 281; Leuba, op. cit., 61 s.
[42] Cfr. Gai. 2.222: Secundum
hanc igitur opinionem si ea res ex iure Quiritium defuncti fuerit, potest a
legatario vindicari, sive is unus ex heredibus sit sive extraneus; quodsi in
bonis tantum testatoris fuerit, extraneo quidem ex senatusconsulto utile erit
legatum, heredi vero familiae erciscundae iudicis praestabitur; quodsi nullo
iure fuerit testatoris, tam heredi quam extraneo ex senatusconsulto utile erit.
[46] A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino, 2005, 300
ricorda – facendo sue le osservazioni di R.A. Bauman, Lawyers and
Politics in the early Roman Empire, München, 1989, 62 ss. – che
«Sabino ebbe vita lunghissima: attraversò indenne l’ultima
cupa età tiberiana, fatale ... a Nerva, che aveva seguito il principe
nell’isolamento di Capri; assistette, per quel che sappiamo senza
conseguenze, al tramonto dei sogni classicisti del tempo di Augusto, e lo
ritroviamo (probabilmente) ancora al lavoro nei primi anni del principato di
Nerone».
[47]
L’affermazione si basa ovviamente sulla più volte menzionata
informazione riportata in Gai. 2.218.
[55] P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, 10a ed., Torino, 1946, 586 e nt. 1, Id., L’origine dell’«hereditas» e dei
«legata» nel diritto successorio romano, (1891), in Scritti giuridici varii, I, Famiglia e successione, Roma, 2007, 113
ss., Id., Le critiche al concetto dell’originaria eredità sovrana e
la sua riprova, in Scritti, I,
cit., 187 ss., Id., Teorie vecchie e nuove sull’origine
dell’eredità, (1915), in Scritti,
I, cit., 429 ss., Id., Il concetto dommatico dell’eredità nel diritto romano e
moderno, (1894), in Scritti, I,
cit., 157 ss., Id., Le affinità
giuridiche greco-romane. Testamento romano e testamento greco, (1910), in Scritti, I, cit., 315 ss. E’ ormai
noto come il punto più debole della teoria del Bonfante consista nel
fatto che non si trova mai ricordata nelle fonti un’epoca in cui ad un
fratello fosse riconosciuta la potestà (in particolare, quella che
già fu del pater) sopra gli
altri.
[56] Cfr.
in tal senso, Coli, op. cit., 70, il quale ammette che
«l’ordine con cui i genera
legatorum sono elencati dalle fonti, ha non poco influito».
[57] Cfr.,
ad esempio, E. Carusi, Note intorno alla dottrina dei legati,
Roma, 1896, estr. da «Studi e documenti di storia del diritto»,
XVII, 1896, 15.
[59] H. Dernburg, Pandekten. III. Familien- und Erbrecht (1901), trad. it. – Pandette. Diritto di famiglia e dell’eredità –,
Torino, 1905, 221 nt. 3.
[61] Cfr.,
infatti, D. 50.16.120: Verbis legis
duodecim tabularum his ‘uti legassit suae rei, ita ius esto’
latissima potestas tributa videtur et heredis instituendi et legata et
libertates dandi, tutelas quoque constituendi. Sed id interpretatione
coangustatum est vel legum vel auctoritate iura constituentium. Sulle motivazioni relative alla
rivalutazione dell’interpretazione che legge il ‘legassit’ decemvirale nel
più ampio senso di ‘legem
dicere’, e non soltanto di «disporre legati», mi permetto
di rinviare a un mio precedente scritto: P. Arces,
Riflessioni sulla norma «uti
legassit» (Tab. V.3), estratto da «RDR», IV, 2004.
L’articolo può anche essere consultato al seguente link: http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano04arces.pdf
.
[68] E. Hölder, Beitrage zur Geschichte der römischen Erbrechts, Erlangen,
1881, 29 ss., 71 ss.; S. Perozzi, Istituzioni di diritto romano, II, Roma, 1928, 379, che considera
quello per damnationem «il vero
legato»; F.P. Bremer, Iurisprudentiae antehadrianeae quae
supersunt, I, Leipzig, 1896, 71; Coli,
Lo sviluppo, cit., 80 ss.
[74] M. Talamanca, Lo schema ‘genus-species’ nelle sistematiche dei giuristi
romani, in La filosofia greca e il
diritto romano. Atti del colloquio italo-francese, Roma, 14-17 aprile 1973,
II, Roma, 1977, 223 nt. 632; R. Martini,
«Genus» e «species» nel linguaggio gaiano, in
«Synteleia V. Arangio-Ruiz», I, cit., 462 ss.
[78] In
termini possibilisti circa la riconducibilità a Quinto Mucio della
quadripartizione, da ultimo, Schiavone,
op. cit., 435 nt. 1; L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere,
Bologna, 2009, 192, ricorda che «Quinto Mucio si staglia come
l’autore di una prima generale organizzazione del sistema
giuridico».
[83] Cfr.,
ad esempio, T. Honoré, Proculus, in «TR», XXX,
1962, 491, il quale sostiene che Proculo sarebbe stato l’ispiratore del
Neroniano.
[84] Anche
questa posizione viene ricordata da Ciapessoni,
op. cit., 657, e
sostanzialmente confermata, tra gli altri, da M. Talamanca, Istituzioni
di diritto romano, Milano, 1990, 742 s., il quale riconosce che il
Neroniano «costituì una tappa fondamentale nello sviluppo dei
legati romani verso la configurazione giustinianea», affermando che esso
«regolava la fattispecie del legatum
per vindicationem di cosa altrui» per poi essere «esteso a
tutti i casi in cui la nullità del legato dipendeva dal genus legati prescelto, mentre la
disposizione sarebbe valida se presa per
damnationem»: la deliberazione del Senato, dunque, «trasferiva
sul piano normativo la prassi – abbastanza diffusa – di disporre lo
stesso lascito in più forme, usate contestualmente, soprattutto
cumulando il genus per vindicationem
e per damnationem».
[85] Per
escludere tale possibilità non risulta particolarmente significativo
affermare, come fa Ormanni, op. cit., 587 nt. 18 che
«né la lex Falcidia ...
né il SC Neronianum ...
né l’editto del pretore ... vi si riferiscono»: scopo della lex Falcidia, infatti, era quello di
porre un limite alla possibilità concessa dalla legge delle XII Tavole
al testatore di disperdere tutto il patrimonio ereditario legatis atque libertatis: ed è evidente che il riferimento
è a tutti i legati: con il che si esclude la necessità di
menzionare la loro partizione sistematica. In quanto al Neroniano, poi, fermo
restando che nell’assenza del testo della deliberazione del Senato non si
possono fare altro che congetture, è evidente che lo scopo del
senatoconsulto era quello, in una con la maggiore sensibilità nei
confronti del rispetto della voluntas
testatoris, di salvare, per quanto possibile, il legato che fosse stato
invalido per solo vizio di forma. L’editto del pretore, infine, aveva la
funzione di rendere cogenti situazioni e prescrizioni che fossero prive di
sanzione per il caso della loro violazione, mediante la creazione di
un’apposita tutela processuale: e anche in questa ipotesi, la menzione
della partizione sistematica dei legati non risulta essere necessaria.
[86] Del
resto lo stesso Ormanni, op. et loc. ult. cit., ricorda a titolo
indicativo che tale era la posizione di E. Cuq,
manuel des institutions juridiques des Romains, 2a ed., Paris, 1928,
770 e nt. 3, il quale affermava che «cette classification est due sans doute aux
jurisconsultes de la fin de la République», e che lo stesso
COLI, op. cit., 143 ss., pur facendo risalire l’esistenza dei quattuor genera legatorum alla
giurisprudenza repubblicana, riconosceva che tale quadripartizione sembrava ignota
alla lex Falcidia: ma ho rilevato che
l’omissione di tale menzione può ascriversi semplicemente alla
diversa finalità perseguita dalla Falcidia.
[87] W. Kunkel, Römische Rechtsgeschichte. Eine
Einführung, 6a ed., Köln-Wien, 1972, trad. it. – Linee di storia giuridica romana
–, Napoli, 1973, 171.
[89] Sulla interpretatio-recezione è
fondamentale F. Gallo, La recezione moribus nell’esperienza
romana: una prospettiva perduta da recuperare, in «Iura», LV,
2004-2005, (pubbl. 2008), 1 ss. Il tema, peraltro, veniva trattato
dall’autore già a partire dall’inizio degli anni ’70
del secolo scorso: cfr. Id., Interpretazione e formazione consuetudinaria
del diritto. Lezioni di diritto romano, Torino, 1971, passim. Cfr. anche ID., Sulla definizione celsina del diritto,
(1987), ora in Id., Opuscula selecta
(curr. F. Bona, M. Miglietta),
Padova, 1999, 563 ss.; Id., Un nuovo approccio per lo studio del ius
honorarium, (1996), ora in Opuscula,
cit., 935 ss.
[90] La
prassi dei testatori di largheggiare in disposizione di legati e manumissioni,
sino a disperdere l’intero patrimonio ereditario, è testimoniata
dallo stesso Gaio, il quale ne vede il fondamento normativo nella norma
decemvirale ‘uti legassit’:
cfr., infatti, Gai. 2.224: Sed olim
quidem licebat totum patrimonium legatis atque libertatis erogare nec quicquam
heredi relinquere praeterquam inane nomen heredis; idque lex XII tabularum
permittere videbatur qua cavetur, ut quod quisque de re sua testatus esset, id
ratum haberetur, his verbis: ‘uti legassit suae rei, ita ius esto’.
Quare qui scripti heredes erant, ab hereditate se abstinebant, et idcirco
plerique intestati moriebantur.
[91] Il
punto non è pacifico: il Ciapessoni,
op. cit., 656, afferma che «la
efficacia legislativa dei senatoconsulti come fonte di ius civile all’epoca di Nerone è, per lo meno, assai
problematica»: e discute con ampie argomentazioni (689 ss.) «il
carattere ed i limiti della funzione legislativa del Senato», che egli
riconosce pienamente ed indubitabilmente solo a partire da Adriano. Su tale
questione, cfr. le solide argomentazioni opposte dal Piaget, op. cit.,
36 ss. Lo stesso Gaio nel suo manuale istituzionale, trattando delle fonti del
diritto romano, annovera i senatoconsulti, ma rileva che in passato fosse
discusso se essi avessero forza di legge: cfr., infatti, Gai. 1.4: Senatusconsultum est quod senatus iubet
atque constituit, idque legis vicem optinent, quamvis fuerit quaesitum. Non
si può omettere di ricordare, però, che già
all’epoca di Cicerone l’efficacia legislativa dei senatoconsulti
era in qualche modo avvertita, ed anche in maniera particolarmente stringente:
una plastica dimostrazione mi sembra rinvenibile nella lettura di Cic., de orat. 1.34.159: perdiscendum ius civile, cognoscendae leges, percipienda omnis
antiquitas, senatoria consuetudo, disciplina rei publicae...: proprio
l’allusione alla senatoria
consuetudo ha portato B. Albanese, Ars iuris civilis nel pensiero di Cicerone, in «AUPA»,
XLVII, 2002, 24, a sostenere incisivamente che essa mostra «una precoce
consapevolezza della sostanziale normatività dei senatoconsulti».
Alla luce di tali considerazioni può forse anticiparsi almeno alla
seconda metà del I secolo d.C. – quantomeno dal punto di vista
dell’efficacia legislativa – la datazione proposta da Capogrossi Colognesi, Storia, cit., 301, che colloca
«tra la fine del I e il II secolo d. C.» i senatoconsulti come
«autonoma fonte del diritto civile, con efficacia identica a quelle delle
antiche leges comiziali, anzi in loro
sostituzione», avendo in un primo momento le deliberazioni del Senato
«trovato applicazione attraverso l’imperium magistratuale, non differendo in sostanza nella loro
natura da quelli dell’età repubblicana», la quale avrebbe
avuto «la funzione, eminentemente politica, di guidare – e vincolare
– l’azione di governo dei magistrati superiori». Il
«nuovo valore come fonte normativa» dei senatoconsulti avrebbe
così contribuito a ridisegnare «interi settori del diritto privato
romano». Ora, tanto più sembra opportuno proporre questa anticipazione
cronologica quanto più si legge quest’ultima affermazione
accostandola, oltre che al riportato passo ciceroniano, proprio alle
constatazioni dello stesso Ciapessoni, op. cit., 654 s., il quale riconosce che
il Neroniano, con cui si «volle dare efficacia a un negozio giuridico
invalido, mitigando le conseguenze dei vitia
verborum», «appartiene ad un determinato movimento
riformatore» avente ad oggetto «la invalidità del negozio
giuridico, e il rapporto tra verba e voluntas per la validità e
interpretazione di esso». Cfr. anche Bretone,
Storia, cit., 222 s. Si è inoltre già segnalato che,
chiaramente alludendo all’efficacia legislativa del Neroniano, Talamanca, Istituzioni, cit., 742 s., parla di trasferimento sul piano
normativo, operato dal senatoconsulto, della prassi di disporre lo stesso
lascito in più forme.
[94] D. 10.2.1 pr. (Gai. 7 ad ed prov.): Haec actio (scil: familiae erciscundae) proficiscitur e lege duodecim tabularum.