Seconda-pagina1[ISSN 1825-0300]

 

N. 9 – 2010 – Note-&-Rassegne

 

 

Le vicende matrimoniali di Nerone

 

Anna Tarwacka

Università «Cardinale Stefan Wyszyński»

Varsavia.

 

 

 

Nerone: matricida, incendiario di Roma, infimo cantante. Un mostro, d’altronde reo anche di altri, tremendi misfatti, ricacciati nell’ombra da quelli più tristemente famosi. Sinistro marito di tre donne: Ottavia, Poppea e Statilia Messalina. Ottavia la prese in sposa nel 53 a.C.[1], il predecessore e padre adottivo Claudio[2] ancora vivente. Giovanissimi entrambi: lei, figlia di Claudio e Messalina[3], aveva appena tredici anni, lui sedici. Ottavia era una ragazza di tutte le virtù; a dispetto dell’età, una perfetta matrona. A Nerone venne presto a noia.

 

Suet. Ner. 35,1: Octaviae consuetudinem cito asprenatus, corripientibus amicis sufficere illi debere respondit uxoria ornamenta.

 

Secondo Svetonio, Nerone avrebbe detto agli amici che Ottavia doveva accontentarsi di aver sposato il principe, esser diventata Augusta ed aver raggiunto una così alta condizione sociale. Le spettava il rango di moglie, ma la convivenza e la fedeltà coniugale rientravano in tutt’altro ordine di cose.

Pur richiamandosi all’insegnamento di Ottaviano Augusto[4], Nerone non tardò a dar sfogo alle sue passioni, trasgredendo più volte le norme della lex Iulia de adulteriis[5].

 

Suet. Ner. 28: Super ingenuorum paedagogia et nuptarum concubinatus Vestali virgini Rubriae vim intulit.

 

Svetonio non solo ricordava i numerosi adulteri di Nerone, ma anche gli stupri commessi dall’imperatore, seduttore di ragazzi ingenui nonché stupratore di una vestale, Rubria[6]. Il colpevole di incestum, uno dei più gravi crimini contro la morale, veniva fustigato a morte; la vestale veniva sepolta viva[7]. Nerone, che non temeva certo di incorrere nella pena, con il suo misfatto aveva dimostrato di infischiarsi non solo dello ius, ma anche del fas.

Con il passare degli anni Nerone non si accontentava più di relazioni fugaci e informali.

 

Suet. Ner. 28: Acten libertam paulum afuit quin iusto sibi matrimonio coniungeret, summissis consularibus viris qui regio genere ortam peierarent.

 

L’imperatore pensò di contrarre iustum matrimonium con la liberta Acte. Non aveva ancora divorziata da Ottavia. Ma l’ostacolo stava altrove. Facendosi palesemente beffe della lex Iulia de adulteriis, Nerone non osava tuttavia violare le altri leggi di Augusto. La lex Iulia et Papia Poppaea[8] aveva tolto il conubium tra senatori e discendenti da una parte e le liberte dall’altra[9]. Nerone si dimostrava molto attento a vivere in iustum matrimonium; pertanto tentò di provare che Acte fosse nata libera[10], inducendo qualche senatore a testimoniare il falso. Alla fine si diede per vinto, ma ebbe subito altre idee, ben più estreme. Mutilato un giovane che gli era caduto nell’occhio e fatta ufficiare una cerimonia nuziale, si tenne il disgraziato pro uxore[11]. Convisse anche con varie concubine, tra cui una prostituta[12].

Nel 62 d.C. decise infine di sposare Poppea Sabina, che già da tempo viveva a corte come sua amante[13]. S’imponeva il divorzio da Ottavia. Quale causa del repudium Nerone addusse la sterilità della moglie: exturbat Octaviam, sterilem dictitans[14]. Il principato contemplava il divorzio unilaterale per volontà del marito o della moglie. La motivazione del ripudio non era richiesta. Nerone, tuttavia, preferì darla, considerando la gran popolarità di Ottavia e per prevenire eventuali dissensi.

La sterilità quale causa di divorzio campeggia nelle fonti che raccontano il caso di Spurio Carvilio Ruga, considerato a torto il primo divorziato romano[15]. Ruga aveva allontanato la moglie benché la donna non avesse commesso nessuno degli atti contemplati tra le cause di divorzio da Romolo[16]. Al momento, la società reagì male, ma con il tempo si dispose ad accettare i divorzi giustificati dall’incapacità di procreare[17].

Ottavia era cara al popolo, tanto che la notizia del suo ripudio e del matrimonio di Nerone con Poppea lo mise in agitazione. Poppea suggerì le giuste contromisure. Una delle serve accusò Ottavia di rapporti adulterini con uno schiavo.

 

Tac. Ann. 14,60: Exim Poppeae coniungitur. Ea diu paelex et adulteri Neronis, mox mariti potens, quendam ex ministris Octaviae impulit servilem ei amorem obicere. Destinaturque reus cognomento Eucaerus, natione Alexandrinus, canere per tibias doctus. Actae ob id de ancillis quaestiones, et vi tormentorum victis quibusdam, ut falsa adnuerent, plures persistere sanctitatem dominae tueri; ex quibus una instanti Tigellino castiora esse muliebria Octaviae respondit quam os eius. Movetur tamen primo civilis discidii specie domumque Burri, praedia Plauti infausta dona accipit; mox in Campania[m] pulsa est addita militari custodia.

 

Del crimine fu accusato Eucaerus, uno schiavo di origini alessandrine. Le schiave di Ottavia[18] dovevano confermare l’accusa: molte non resistettero alla tortura, ma alcune trovarono la forza di negare. Le interrogava da par suo l’allora prefetto del pretorio Tigellino.

C’è da chiedersi se chi intrattenesse rapporti con schiavi fosse all’epoca accusabile di adulterio. Dai vocaboli usati da Tacito nel racconto di questa storia si desume che fu istruito un processo penale: la procedura delle quaestiones, Eucaerus gratificato della qualifica di reus, le schiave interrogate sotto tortura.

 

D. 48,5,6 pr. (Pap. 1 de adult.): Inter liberas tantum personas adulterium stuprumve passas lex Iulia locum habet. Quod autem ad servas pertinet, et legis Aquiliae actio facile tenebit et iniuriarum quoque competit nec erit deneganda praetoria quoque actio de servo corrupto: nec propter plures actiones parcendum erit in huiusmodi crimine reo.

 

Stando al commento di Papiniano[19], la lex Iulia de adulteriis contemplava unicamente i rapporti extraconiugali dei liberi. Va notato tuttavia che il giurisperito scrivesse soltanto della parte passiva del rapporto: lo indica il verbo pati. Se ne evince pertanto che dovevano essere liberi sia la donna, maritata, nubile o vedova, sia il giovane che avessero subito adulterium o stuprum.

 

D. 48,2,5 (Ulp. 3 de adult.): Servos quoque adulterii posse accusari nulla dubitatio est: sed qui prohibentur adulterii liberos homines accusare, idem servos quoque prohibebuntur. Sed ex rescripto divi Marci etiam adversus proprium servum accusationem instituere dominus potest. Post hoc igitur rescriptum accusandi necessitas incumbet domino servum suum: ceterum iuste mulier nupta praescriptione utetur.

 

Il commento di Ulpiano indica con certezza che lo schiavo poteva essere accusato di adulterium. Fu però soltanto un rescritto di Marco Aurelio ad ammettere atti di accusa contro i propri schiavi. Di chi fosse schiavo Eucaerus, Tacito non lo dice con univoca chiarezza: a quanto pare, di Ottavia. Questa, con ogni probabilità, era sui iuris, dato che il padre, Claudio, era morto e lei non si trovava in manu mariti[20]. Il racconto suggerirebbe peraltro che il processo si svolse iure extranei e che, lungi dal dispiacergli, l’accusa non fosse stata promossa da Nerone.

Il tentativo di denigrare Ottavia con l’accusa di servilis amor fallì miseramente. I sostenitori dell’imperatore non ne uscirono rafforzati. L’affare giovò invece a Ottavia, nuova Lucrezia vittima dell’odiato Tarquinio redivivo in Nerone[21].

Poiché la colpa di Ottavia non fu provata, la donna venne allontanata civilis discidii specie. Si ricorse quindi a una procedura conforme al diritto civile, come peraltro si volle enfatizzare, probabilmente per fugare dubbi sul rispetto delle condizioni poste da Augusto. Questi, stando a Svetonio, divortiis modum imposuit[22]. L’enunciato non è chiaro né facilmente interpretabile. C’è da supporre che Augusto non fosse in grado di contenere il numero dei divorzi[23]. Il brano di Suetonio permette però anche un’interpretazione diversa. Modus può tradursi pure in “modalità”: in tal caso Svetonio si sarebbe limitato ad osservare che sotto Augusto la procedura di divorzio era stata in qualche modo regolamentata[24]. In quest’ultima accezione il vocabolo modus è usato da Ulpiano nel commento all’editto pretorio.

 

D. 38,11,1 (Ulp. 47 ad ed.): Item Iulia de adulteriis nisi certo modo divortium factum sit, pro infecto habet.

 

Secondo il giurisperito, l’efficacia del divorzio richiede il rispetto di certe procedure. Del medesimo avviso sembra essere Paolo in un brano del suo De adulteriis.

 

D. 24,2,9 (Paul. 2 adult.): Nullum divortium ratum est nisi septem civibus Romanis puberibus adhibitis praeter libertum eius qui divortium faciet.

 

Il divorzio, pertanto, era efficace se proclamato in presenza di sette cittadini romani di età matura tra i quali non veniva annoverato il liberto[25] del divorziando[26]. Poiché il brano è fuori contesto, risulta arduo stabilire se la regola si applicasse in ogni caso ovvero soltanto al divorzio per adulterium della moglie, come potrebbe suggerire il titolo dell’opera da cui è tratto: De adulteriis. Non sembra che la regola riguardasse anche i divorzi consensuali né quelli esenti da vertenze patrimoniali. Nel brano, osserva la Treggiari, il divorzio non è ritenuto invalido, ma solo non ratum, cioè inefficace[27]. Dimostrare che il divorzio fosse stato regolarmente concesso poteva avere un’importanza probativa nei casi di accusa di adulterio[28]: qualora il matrimonio non fosse stato sciolto, il marito incorreva nell’accusa di lenocinio.

Tacito informa che Ottavia ottenne una villa di Burro e poderi appartenuti a Plauto, probabilmente in ricompensa per la sua dote[29]. Si decise quindi di allontanarla in Campania sotto scorta militare, verosimilmente a seguito dei tafferugli provocati dai suoi simpatizzanti.

Per ignoti motivi Nerone decise di farla ritornare a Roma[30]. Cedendo a Poppea, riaccusò Ottavia di adulterio e convinse Aniceto, che su suo ordine ne aveva già assassinato la madre Agrippina, di aver avuto rapporti con Ottavia.

 

Tac. Ann. 14,62-63: Et visus idoneus maternae necis patrator Anicetus, classi apud Misenum, ut memoravi, praefectus, levi post admissum scelus gratia, dein graviore odio, quia malorum facinorum ministri quasi exprobrantes adspiciuntur. Igitur accitum eum Caesar operae prioris admonet: solum incolumitati principis adversus insidiantem matrem subvenisse; locum haud minoris gratiae instare, si coniugem infensam depelleret. Nec manu aut telo opus: fateretur Octaviae adulterium. Occulta quidem ad praesens, sed magna ei praemia et secessus amoenos promittit, vel, si negavisset, necem intentat. Ille, insita vaecordia et facilitate priorum flagitiorum, plura etiam quam iussum erat fingit fateturque apud amicos, quos velut consilio adhibuerat princeps. Tum in Sardiniam pellitur, ubi non inops exilium toleravit et fato obiit. At Nero praefectum in spem sociandae classis corruptum, et incusatae paulo ante sterilitatis oblitus, abactos partus conscientia libidinum, eaque sibi comperta edicto memorat insulaque Pandateria Octaviam claudit.

 

Aniceto, all’epoca praefectus classis a Miseno, confessò davanti a un consiglio convocato da Nerone di aver avuto una relazione con Ottavia. Eucaerus fu sottoposto a una quaestio, per interrogare Aniceto l’imperatore preferì convocare un consiglio. Due percorsi diversi, forse perché nel primo caso l’accusa era stata mossa iure extranei, e nel secondo Nerone aveva agito iure mariti. Sembra che già sotto Caligola le norme della lex Iulia fossero state attenuate, ripristinando tra altro la possibilità di procedere nell’ambito del tribunale di famiglia[31].

Aniceto fu confinato in Sardegna, dove visse nel lusso, mentre Ottavia fu esiliata a Pandateria, già prigione di Giulia e Agrippina. Nel suo accanimento Nerone si spinse a imputarle di essersi legata ad Aniceto per conquistare la flotta, di cui l’uomo era comandante[32], accusandola per giunta di procurato aborto, dimenticandosi di averla tacciata in precedenza di sterilità[33]. Infine, temendo l’ira dei sudditi, la fece assassinare. Quando l’ordine ebbe raggiunto l’isola, Ottavia cercò di convincere i soldati che, non essendo più moglie di Nerone, non poteva nuocergli. Ma non ebbero pietà. Le tagliarono le vene. Poiché il sangue usciva lento a causa del freddo tagliente, la gettarono nell’acqua calda. La sua testa fu recapitata a Poppea a dimostrazione che la condanna era stata eseguita[34].

Questi avvenimenti furono descritti in un dramma, Ottavia, attribuito, a quanto pare erroneamente, a Seneca[35], di poco posteriore ai fatti e probabilmente specchio fedele degli umori sociali. Nelle prime battute del testo Poppea non è ancora moglie di Nerone e Ottavia teme per la propria vita, che la rivale chiede all’imperatore in ricompensa dei suoi favori.

 

Pseudo-Sen. Oct.131-133:

inimica victrix imminet thalamis meis

odioque nostri flagrat et pretium stupri

iustae maritum coniugis poscit caput.

 

Per l’autore Poppea è paelex[36], come è chiamata pure da Tacito, ma fra poco sarà lei la signora del palazzo. Il favore del popolo non giova a Ottavia, perché il timore di tafferugli può spingerlo al crimine: Extinguat et me, ne manu nostra cadat[37]. Il luogo centrale del dramma é la camera ed il letto nunziale[38]. Scrivendo del divorzio, l’autore ne fa uscire Ottavia per far posto a Popeea.

 

Pseudo-Sen. Oct. 671-673:

cessit thalamis Claudia diri

pulsa Neronis,

quos iam victrix Poppaea tenet.

 

L’abbandono del letto matrimoniale viene equiparato a quello della casa del marito, cioè al divorzio.

Neanche Poppea nella nuova situazione si sente sicura. Ha sogni da incubo: Octaviae discidia planxerunt sacros/ inter penates fratris et patrium larem[39]. Il popolo, invaghito di Ottavia, ha distrutto le statue della nuova moglie di Nerone[40]. Dal punto di vista giuridico motivo determinante del dramma sta nelle accuse contro Ottavia: di aver commesso adulterio con Aniceto e di aver voluto prendere il controllo della flotta. Conversando con il prefetto Nerone chiama Ottavia hostis, al che il prefetto si dice dubbioso se di una donna possa parlarsi in questo modo[41]. L’imperatore replica che si può qualora abbia commesso un crimine[42]. A suo avviso Ottavia merita la pena di morte non per adulterio, per il quale sin dai tempi di Augusto i mariti non potevano condannare alla pena capitale le mogli infedeli[43], ma per aver tradito lo Stato. Se ne evince, quindi, che Nerone vuole uccidere Ottavia in quanto rea di crimen maiestatis. Benché dal brano di Tacito si evinca piuttosto che il confino di Ottavia a Pandateria fu una pena parallela alla cacciata di Aniceto in Sardegna, dal dramma dello Pseudo-Seneca si evince che l’imperatore ritenesse più importanti le accuse di aver tentato prendere il controllo della flotta e con ciò motivasse l’uccisione di Ottavia, provando in tal modo a rivoltarle contro i cittadini. Se l’adulterio era punibile con la relegazione, l’adulterio intrecciato con il tradimento era punibile con la morte[44]. Condannata per tradimento, Ottavia subì anche la damnatio memoriae, revocata dopo la morte di Nerone[45]. Può darsi che il dramma Octavia volesse trasmettere ai posteri la verità sulla donna proclamata da Nerone hostis e rintuzzare la propaganda imperiale. Giova notare che l’autore del dramma imputò a chiare lettere a Nerone la violazione delle norme varate da Augusto.

 

Pseudo-Sen. Oct. 250-251:

orbis tyrannus, quem premit turpi iugo

morumque uitiis nomen Augustum inquinat!

 

L’imperatore è un tiranno che impone a tutti un giogo infame. I suoi costumi insozzano il nome di Augusto[46]. È un chiaro riferimento alla legislazione matrimoniale tesa al miglioramento dei costumi.

Poppea era diventata l’incontrastata signora del palazzo, ma – benché tutto facesse pensare che Nerone ne fosse grandemente innamorato – anch’essa cadde vittima dell’imperatore.

 

Suet. Ner. 35,3: Poppaeam duodecimo die post divortium Octaviae in matrimonium acceptam dilexit unice; et tamen ipsam quoque ictu calci occidit, quod se ex aurigatione sero reversum gravida et aegra conviciis incesserat.

 

Poppea era incinta. Rinfacciò a Nerone di essere tornato tardi dalle corse delle bighe. L’imperatore le scaraventò una scarpa e la uccise. Dopo la morte di Poppea volle sposare la sorellastra di Ottavia, Antonia. Quando questa gli si negò, la condannò a morte, accusandola di res novae, cioè di idee rivoluzionarie[47]. Poi, per sposare Statilia Messalina, ne fece uccidere il marito[48]. Il catalogo dei crimini commessi da Nerone in occasione delle sue vicissitudini matrimoniali supera per lunghezza quello degli altri imperatori della dinastia giulio-claudia, ma è soltanto una frazione dei suoi intrighi e omicidi.

 

 



 

[1] Cf. Suet. Ner. 7.

 

[2] Sull’adrogatio di Nerone Cf. M. Zabłocka, Przemiany prawa osobowego i rodzinnego w ustawodawstwie dynastii julijsko-klaudyjskiej [Trasformazioni del diritto delle persone e di famiglia nella legislazione della dinastia giulio-claudia], Warszawa 1987, 122-127.

 

[3] C’è da chiedersi, pertanto, se il matrimonio di Nerone, figlio arrogato di Nerone, e Ottavia non fosse incestuoso. La risposta è negativa: sotto il principato, nella fattispecie, c’era il conubium. Cf. J.F. Gardner, Women in Roman Law and Society, Bloomington 1986, 36.

 

[4] Suet. Ner. 10: Atque ut certiorem adhuc indolem ostenderet, ex Augusti praescripto imperaturum se professus, neque liberalitatis neque clementiae, ne comitatis quidem ex hibendae ullam occasionem omisit.

 

[5] La lex iulia de adulteriis coërcendis penalizzava l’adulterium, ovvero rapporto con donna maritata, e lo stuprum, ovvero rapporto con una nubile o una vedova di costumi virtuosi, nonché un ragazzo; Cf. G. Rotondi, ‘Leges publicae populi Romani, Milano 1912, 445-447; L. Ferrero Raditsa, AugustusLegislation Concerning Marriage, Procreation, Love Affairs and Adultery, «ANRW» II.13/1980, 310-319; M. Zabłocka, Przemiany, cit., 68-69; E.C. Green, A.D.E. Lewis, M. Crawford, ‘Lex Iulia de adulteriis coërcendis’, in: The Roman Satutes, t. 2, red. M. Crawford, London 1996, 781-786. Si è soliti ritenere che la legge fu votata nel 18 a.C., ma forse è del 19; Cf. T. Spagnuolo Vigorita, La data della lex Iulia de adulteriis’, in: ‘Iuris vincula. Studi in onore di Mario Talamanca, t.8, Napoli 2001, 79-96.

 

[6] La vestale non fu punita per incestum; Cf. J. Misztal-Konecka, ‘Incestum w prawie rzymskim [L’incestum nel diritto romano], Lublin 2007, 254. Accusabili di incestum erano anche gli uomini che si fossero accoppiati con le vestali; nella fattispecie, l’assenza di pena poteva scaturire tanto dalla considerazione che la violenza escludesse la colpa della vestale, quanto dal fatto che non si fosse trovato nessuno che avesse avuto il coraggio di accusare l’imperatore.

 

[7] Cf. J. Misztal-Konecka, op. cit., 288-303.

 

[8] Sulla lex Iulia de maritandis ordinibus del 18 a. C. Cf. G. Rotondi, op. cit., 443-445. Sulla lex Papia Poppaea nuptialis del 9 d.C. Cf. G.Rotondi, op. cit., 457-462. Una ricostruzione delle leggi in E.C. Green, A.D.E. Lewis, M. Crawford, ‘Lex Iulia de maritandis ordinibus’. ‘Lex Papia Poppaea’, in: M. Crawford red., The Roman Satutes, t. 2, cit., 801-809.

 

[9] Cf. B. Biondi, La legislazione di Augusto, in: Idem, Scritti giuridici, t. 2, 150; M. Zabłocka, Przemiany, cit., 35.

 

[10] Nerone voleva presentare Acte come discendente degli Attalidi. Per Cassio Dione (61,7) la donna era stata adottata dalla dinastia.

 

[11] Cf. Suet. Ner. 28.

 

[12] Cfr Suet. Ner. 28. Lo si sospettava di intenti libidinosi verso la madre. Pare che la meretrice al suo seguito assomigliasse ad Agrippina.

 

[13] Poppea si era già data in sposa a Rufrio Crispino, quindi a Ottone, che sarebbe salito al trono nell’anno dei quattro imperatori. Ottone si sarebbe tanto vantato della venustà della consorte da suscitare l’invidia di Nerone che volle conoscerla e se ne invaghì. Per sbarazzarsi di Ottone, Nerone lo nominò governatore della Lusitania. Cf. Tac. Ann. 13,46; Suet. Ner. 35; Oth. 3.

 

[14] Tac.  Ann. 14,60. Cf. Suet. Ner. 35,2.

 

[15] Cfr A. Tarwacka, Rozwód Carviliusa Rugi. Czy naprawdę pierwszy? [Il divorzio di Carvilio Ruga. Fu veramente il primo?], in «Czasopismo Prawno-Historyczne» 54.1/2002, 301-308.

 

[16] Plut. Rom. 22.

 

[17] Tra le più ricorrenti cause di divorzio la sterilità era menzionata dai giuristi del periodo classico, ad es. da Ermogeniano (D. 24,1,60,1). Cf. J.F. Gardner, op. cit., 81.

 

[18] In linea di massima non si consentiva di estorcere agli schiavi dichiarazioni compromettenti per i loro padroni (Cf. Cic. de part. or. 118). In caso di adulterio, tuttavia, si poteva procedere dopo aver corrisposto al padrone un valore pari a quello dello schiavo: D. 48,5,28 pr. (Ulp. 2 adult.): Si postulaverit accusator, ut quaestio habeatur de servo adulterii accusato, sive voluit ipse interesse sive noluit, iubent iudices eum servum aestimari, et ubi aestimaverint, tantam pecuniam et alterum tantum eum, qui nomen eius servi detulerit, ei ad quem ea res pertinet dare iubebunt. 

 

[19] Sul commento di Papiniano alla lex Iulia de adulteriis Cf. G. Cervenca, Appunti sui ‘libri singulares de adulteriis’ di Papiniano e di Paolo, in: Studi in onore di Edoardo Volterra, t. 3, Milano 1971, 395-416.

 

[20] Può darsi che Nerone e Ottavia si unirono con la confarreatio, ma il rito aveva un significato strettamente sacrale e non produceva la manus. Cf. M. Zabłocka, Przemiany, cit., 96-101; Eadem, ‘Confarreatio w ustawodawstwie pierwszych cesarzy rzymskich [La ‘confarreatio’ nella legislazione dei primi imperatori romani], in «Prawo Kanoniczne» 31.1-2/1988, 238-246; R. Astolfi, Il matrimonio nel diritto romano preclassico, Padova 2000, 202-204.

 

[21] Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, costrinse Lucrezia a un rapporto extraconiugale con la minaccia di accusarla di rapporti con uno schiavo. Per la tradizione fu la causa diretta della cacciata dell’ultimo re. Cf. Liv. 1,57-60.

 

[22] Suet. Aug. 34.2.

 

[23] Cf. S. Treggiari, Roman Marriage. ‘Iusti coniuges’ from the time of Cicero to the time of Ulpian, Oxford 1991, 453.

 

[24] Cf. R. Astolfi, op. cit., 108.

 

[25] Alcuni (G. Brini, Matrimonio e divorzio nel diritto romano, t. 3, Bologna 1888, 56; O. Robleda, El matrimonio en derecho romano. Esencia, requisitos de validez, efectos, disolubilidad, Roma 1970, 201) traducono praeter in davanti a, assurgendo il liberto a personaggio centrale del divorzio. Di parere contrario: P.E. Corbett, The Roman Law of Marriage, Oxford 1930, 228-229. Cf. C. Fayer, La familia romana. Parte terza. Concubinato, divorzio, adulterio, Roma 2005, p. 114.

 

[26] Si è pure sostenuto che il brano non riguardi il divorzio, ma la remancipatio uxoris in manu; Cf. B. Biondi, La legislazione, cit., 151-152; P. Csilllag, The Augustan Laws on Family Relations, Budapest 1976, 130. L’ipotesi non convince in quanto all’epoca di Augusto erano ormai poche le donne che si assoggettavano alla manus del marito. L’importanza della confarreatio si esauriva per lo più nella sfera sacrale. Forse si seguitava a ricorrervi nell’emancipazione di liberte dalla mano maritale.

 

[27] S. Treggiari, op. cit., 457.

 

[28] Cf. E. Volterra, Diritto di famiglia, Bologna 1946, 196-204; O. Robleda, op. cit., 202-203.

 

[29] Per Cassio Dione (62,13) Burro cercò di dissuadere Nerone dal divorzio con Ottavia. Quindi ebbe l’arditezza di dire che l’imperatore avrebbe dovuto restituirle almeno la dote. La contestazione risultava troppo aperta. Burro la pagò con la testa.

 

[30] In Tacito c’è qui una lacuna. Tac. Ann. 14,60 in fine: tamquam Nero penitentia flagitii coniugem revocarit Octaviam. Perché coniugem, se prima ne aveva divorziato?

 

[31] Cf. M. Zabłocka, Przemiany, cit., 76; Eadem, Le modifiche introdotte nelle leggi matrimoniali augustee sotto la dinastia giulio-claudia, «BIDR» 89, 1986, 408-409; Eadem, Zmiany w ustawach małżeńskich Augusta za panowania dynastii julijsko-klaudyjskiej [Modifiche della legislazione matrimoniale di Augusto sotto la dinastia giulio-claudia], in «Prawo Kanoniczne» 30.1-2, 1987, 169-170.

 

[32] R.A. Bauman, Crime and Punishment in Ancient Rome, London-New York 1996, 89 sostiene che l’imputazione riguardava l’aver messo in pericolo l’utilitas publica.

 

[33] Cf. E. Cantarella, Pandoras daughters. The Role and Status of Women in Greek and Roman Antiquity (trad. M.B. Fant), Baltimore-London 1993, 148.

 

[34] Tac. Ann. 14,64.

 

[35] La paternità di Seneca è contestata. Octavia fu scritta probabilmente dopo la morte di Nerone. Cf. Oktawia. Dramat z czasów Nerona [Octavia. Un dramma dell’epoca di Nerone], a cura di M. Borowska, Warszawa 2001, 13-15 sull’autore e la trama della pièce. Cf. pure P. Kragelund, Prophecy, Populism and Propaganda in the ‘Octavia’, Copenhagen 1982, 7-8.

 

[36] Pseudo-Sen. Oct. 186.

 

[37] Pseudo-Sen. Oct. 174.

 

[38] Cf. P. Kragelund, op. cit., 31-32.

 

[39] Pseudo-Sen. Oct. 746-747. L’interpretazione del sogno di Poppea in P. Kragelund, op. cit., 9-14.

 

[40] Ne scrisse anche Tacito Ann. 14,61: effigies Poppeae ruunt, Octaviae imagines gestant umeris, spargunt floribus foroque ac templis statuunt.

 

[41] Hostes si definivano di solito i popoli con cui i Romani erano in guerra (iustum piumque bellum). L’unica donna dichiarata nemica fu Cleopatra.

 

[42] Pseudo-Sen. Oct. 864-865. Cf. R.A. Bauman, op. cit., 90.

 

[43] Cf. E. Loska, ‘Si tamen maritus in adulterio deprehensam occidit’, in: ‘Contra leges et bonos moresPrzestępstwa obyczajowe w starożytnej Grecji i Rzymie [Delitti contro il costume nell’antica Grecia e a Roma], Lublin 2005, 221-227.

 

[44] Pertanto nell’affare di Giulia, la figlia di Augusto, tutti i colpevoli furono relegati alle isole, ma Giulio Antonio, accusato per giunta di crimen maiestatis fu condannato a morte, Cf. Cass. Dio 55,10; B. Biondi, La poena adulterii da Augusto a Giustiniano, in: Idem, Scritti giuridici, t. 2, Milano 1965, 51. 

 

[45] Cf. E.R. Varner, Mutilation and transformation. ‘Damnatio memoriae’ and Roman Imperial Portraiture, Leiden 2004, 100.

 

[46] Assumendo la dignità di imperatore, Nerone ricevette anche il titolo di Augustus che però si associava pure al primo principe. Nel brano in parola nomen Augustum riveste pertanto un doppio significato.

 

[47] Suet. Ner. 35,4. Simile l’accusa mossa da Cicerone contro Catilina: Cic. Cat. 1,1,3; Sall. Con. Cat. 28,4.

 

[48] Tac. Ann. 15,69.