N. 9 – 2010 –
Note-&-Rassegne
Le
vicende matrimoniali di Nerone
Università «Cardinale Stefan
Wyszyński»
Varsavia.
Nerone: matricida, incendiario di Roma, infimo cantante.
Un mostro, d’altronde reo anche di altri, tremendi misfatti, ricacciati
nell’ombra da quelli più tristemente famosi. Sinistro marito di
tre donne: Ottavia, Poppea e Statilia Messalina. Ottavia la prese in sposa nel
53 a.C.[1],
il predecessore e padre adottivo Claudio[2]
ancora vivente. Giovanissimi entrambi: lei, figlia di Claudio e Messalina[3],
aveva appena tredici anni, lui sedici. Ottavia era una ragazza di tutte le
virtù; a dispetto dell’età, una perfetta matrona. A Nerone
venne presto a noia.
Suet. Ner.
35,1: Octaviae consuetudinem cito asprenatus, corripientibus amicis sufficere
illi debere respondit uxoria ornamenta.
Secondo Svetonio, Nerone avrebbe detto agli amici che
Ottavia doveva accontentarsi di aver sposato il principe, esser diventata
Augusta ed aver raggiunto una così alta condizione sociale. Le spettava
il rango di moglie, ma la convivenza e la fedeltà coniugale rientravano
in tutt’altro ordine di cose.
Pur richiamandosi all’insegnamento di Ottaviano
Augusto[4],
Nerone non tardò a dar sfogo alle sue passioni, trasgredendo più
volte le norme della lex Iulia de
adulteriis[5].
Suet. Ner. 28:
Super ingenuorum paedagogia et nuptarum concubinatus Vestali virgini Rubriae
vim intulit.
Svetonio non solo ricordava i numerosi adulteri di
Nerone, ma anche gli stupri commessi dall’imperatore, seduttore di
ragazzi ingenui nonché stupratore di una vestale, Rubria[6].
Il colpevole di incestum, uno dei
più gravi crimini contro la morale, veniva fustigato a morte; la vestale
veniva sepolta viva[7].
Nerone, che non temeva certo di incorrere nella pena, con il suo misfatto aveva
dimostrato di infischiarsi non solo dello ius,
ma anche del fas.
Con il passare degli anni Nerone non si accontentava
più di relazioni fugaci e informali.
Suet. Ner. 28:
Acten libertam paulum afuit quin iusto sibi matrimonio coniungeret, summissis
consularibus viris qui regio genere ortam peierarent.
L’imperatore pensò di contrarre iustum matrimonium con la liberta Acte.
Non aveva ancora divorziata da Ottavia. Ma l’ostacolo stava altrove.
Facendosi palesemente beffe della lex
Iulia de adulteriis, Nerone non osava tuttavia violare le altri leggi di
Augusto. La lex Iulia et Papia Poppaea[8] aveva tolto il conubium tra senatori e discendenti da una parte e le liberte
dall’altra[9].
Nerone si dimostrava molto attento a vivere in iustum matrimonium; pertanto tentò di provare che Acte fosse
nata libera[10],
inducendo qualche senatore a testimoniare il falso. Alla fine si diede per
vinto, ma ebbe subito altre idee, ben più estreme. Mutilato un giovane
che gli era caduto nell’occhio e fatta ufficiare una cerimonia nuziale,
si tenne il disgraziato pro uxore[11].
Convisse anche con varie concubine, tra cui una prostituta[12].
Nel 62 d.C. decise infine di sposare Poppea Sabina, che
già da tempo viveva a corte come sua amante[13].
S’imponeva il divorzio da Ottavia. Quale causa del repudium Nerone addusse la sterilità della moglie: exturbat Octaviam, sterilem dictitans[14]. Il principato contemplava il divorzio
unilaterale per volontà del marito o della moglie. La motivazione del
ripudio non era richiesta. Nerone, tuttavia, preferì darla, considerando
la gran popolarità di Ottavia e per prevenire eventuali dissensi.
La sterilità quale causa di divorzio campeggia
nelle fonti che raccontano il caso di Spurio Carvilio Ruga, considerato a torto
il primo divorziato romano[15].
Ruga aveva allontanato la moglie benché la donna non avesse commesso
nessuno degli atti contemplati tra le cause di divorzio da Romolo[16].
Al momento, la società reagì male, ma con il tempo si dispose ad
accettare i divorzi giustificati dall’incapacità di procreare[17].
Ottavia era cara al popolo, tanto che la notizia del suo
ripudio e del matrimonio di Nerone con Poppea lo mise in agitazione. Poppea
suggerì le giuste contromisure. Una delle serve accusò Ottavia di
rapporti adulterini con uno schiavo.
Tac. Ann. 14,60:
Exim Poppeae coniungitur. Ea diu paelex et adulteri Neronis, mox mariti potens,
quendam ex ministris Octaviae impulit servilem ei amorem obicere. Destinaturque
reus cognomento Eucaerus, natione Alexandrinus, canere per tibias doctus. Actae
ob id de ancillis quaestiones, et vi tormentorum victis quibusdam, ut falsa
adnuerent, plures persistere sanctitatem dominae tueri; ex quibus una instanti
Tigellino castiora esse muliebria Octaviae respondit quam os eius. Movetur
tamen primo civilis discidii specie domumque Burri, praedia Plauti infausta
dona accipit; mox in Campania[m] pulsa est addita militari custodia.
Del crimine fu accusato Eucaerus, uno schiavo di origini
alessandrine. Le schiave di Ottavia[18]
dovevano confermare l’accusa: molte non resistettero alla tortura, ma
alcune trovarono la forza di negare. Le interrogava da par suo l’allora
prefetto del pretorio Tigellino.
C’è da chiedersi se chi intrattenesse
rapporti con schiavi fosse all’epoca accusabile di adulterio. Dai
vocaboli usati da Tacito nel racconto di questa storia si desume che fu
istruito un processo penale: la procedura delle quaestiones, Eucaerus gratificato della qualifica di reus, le schiave interrogate sotto
tortura.
D. 48,5,6 pr. (Pap. 1 de
adult.): Inter liberas tantum personas adulterium stuprumve passas lex
Iulia locum habet. Quod autem ad servas pertinet, et legis Aquiliae actio
facile tenebit et iniuriarum quoque competit nec erit deneganda praetoria
quoque actio de servo corrupto: nec propter plures actiones parcendum erit in huiusmodi
crimine reo.
Stando al commento di Papiniano[19],
la lex Iulia de adulteriis
contemplava unicamente i rapporti extraconiugali dei liberi. Va notato tuttavia
che il giurisperito scrivesse soltanto della parte passiva del rapporto: lo
indica il verbo pati. Se ne evince
pertanto che dovevano essere liberi sia la donna, maritata, nubile o vedova,
sia il giovane che avessero subito adulterium
o stuprum.
D. 48,2,5 (Ulp. 3 de
adult.): Servos quoque adulterii posse accusari nulla dubitatio est: sed
qui prohibentur adulterii liberos homines accusare, idem servos quoque
prohibebuntur. Sed ex rescripto divi Marci etiam adversus proprium servum
accusationem instituere dominus potest. Post hoc igitur rescriptum accusandi
necessitas incumbet domino servum suum: ceterum iuste mulier nupta
praescriptione utetur.
Il commento di Ulpiano indica con certezza che lo schiavo
poteva essere accusato di adulterium.
Fu però soltanto un rescritto di Marco Aurelio ad ammettere atti di
accusa contro i propri schiavi. Di chi fosse schiavo Eucaerus, Tacito non lo
dice con univoca chiarezza: a quanto pare, di Ottavia. Questa, con ogni
probabilità, era sui iuris,
dato che il padre, Claudio, era morto e lei non si trovava in manu mariti[20].
Il racconto suggerirebbe peraltro che il processo si svolse iure extranei e che, lungi dal
dispiacergli, l’accusa non fosse stata promossa da Nerone.
Il tentativo di denigrare Ottavia con l’accusa di servilis amor fallì miseramente.
I sostenitori dell’imperatore non ne uscirono rafforzati. L’affare
giovò invece a Ottavia, nuova Lucrezia vittima dell’odiato
Tarquinio redivivo in Nerone[21].
Poiché la colpa di Ottavia non fu provata, la
donna venne allontanata civilis discidii
specie. Si ricorse quindi a una procedura conforme al diritto civile, come
peraltro si volle enfatizzare, probabilmente per fugare dubbi sul rispetto
delle condizioni poste da Augusto. Questi, stando a Svetonio, divortiis modum imposuit[22].
L’enunciato non è chiaro né facilmente interpretabile.
C’è da supporre che Augusto non fosse in grado di contenere il
numero dei divorzi[23].
Il brano di Suetonio permette però anche un’interpretazione
diversa. Modus può tradursi
pure in “modalità”: in tal caso Svetonio si sarebbe limitato
ad osservare che sotto Augusto la procedura di divorzio era stata in qualche
modo regolamentata[24].
In quest’ultima accezione il vocabolo modus
è usato da Ulpiano nel commento all’editto pretorio.
D. 38,11,1 (Ulp. 47 ad
ed.): Item Iulia de adulteriis nisi certo modo divortium factum sit, pro
infecto habet.
Secondo il giurisperito, l’efficacia del divorzio
richiede il rispetto di certe procedure. Del medesimo avviso sembra essere
Paolo in un brano del suo De adulteriis.
D. 24,2,9 (Paul. 2 adult.):
Nullum divortium ratum est nisi septem civibus Romanis puberibus adhibitis
praeter libertum eius qui divortium faciet.
Il divorzio, pertanto, era efficace se proclamato in
presenza di sette cittadini romani di età matura tra i quali non veniva
annoverato il liberto[25]
del divorziando[26].
Poiché il brano è fuori contesto, risulta arduo stabilire se la
regola si applicasse in ogni caso ovvero soltanto al divorzio per adulterium della moglie, come potrebbe
suggerire il titolo dell’opera da cui è tratto: De adulteriis. Non sembra che la regola
riguardasse anche i divorzi consensuali né quelli esenti da vertenze
patrimoniali. Nel brano, osserva
Tacito informa che Ottavia ottenne una villa di Burro e
poderi appartenuti a Plauto, probabilmente in ricompensa per la sua dote[29].
Si decise quindi di allontanarla in Campania sotto scorta militare,
verosimilmente a seguito dei tafferugli provocati dai suoi simpatizzanti.
Per ignoti motivi Nerone decise di farla ritornare a Roma[30].
Cedendo a Poppea, riaccusò Ottavia di adulterio e convinse Aniceto, che
su suo ordine ne aveva già assassinato la madre Agrippina, di aver avuto
rapporti con Ottavia.
Tac. Ann. 14,62-63:
Et visus idoneus maternae necis patrator Anicetus, classi apud Misenum, ut
memoravi, praefectus, levi post admissum scelus gratia, dein graviore odio,
quia malorum facinorum ministri quasi exprobrantes adspiciuntur. Igitur accitum
eum Caesar operae prioris admonet: solum incolumitati principis adversus
insidiantem matrem subvenisse; locum haud minoris gratiae instare, si coniugem infensam
depelleret. Nec manu aut telo opus: fateretur Octaviae adulterium. Occulta
quidem ad praesens, sed magna ei praemia et secessus amoenos promittit, vel, si
negavisset, necem intentat. Ille, insita vaecordia et facilitate priorum
flagitiorum, plura etiam quam iussum erat fingit fateturque apud amicos, quos
velut consilio adhibuerat princeps. Tum in Sardiniam pellitur, ubi non inops
exilium toleravit et fato obiit. At Nero praefectum in spem sociandae classis
corruptum, et incusatae paulo ante sterilitatis oblitus, abactos partus
conscientia libidinum, eaque sibi comperta edicto memorat insulaque Pandateria
Octaviam claudit.
Aniceto, all’epoca praefectus classis a Miseno, confessò davanti a un consiglio
convocato da Nerone di aver avuto una relazione con Ottavia. Eucaerus fu
sottoposto a una quaestio, per
interrogare Aniceto l’imperatore preferì convocare un consiglio.
Due percorsi diversi, forse perché nel primo caso l’accusa era
stata mossa iure extranei, e nel
secondo Nerone aveva agito iure mariti. Sembra che già sotto
Caligola le norme della lex Iulia
fossero state attenuate, ripristinando tra altro la possibilità di
procedere nell’ambito del tribunale di famiglia[31].
Aniceto fu confinato in Sardegna, dove visse nel lusso,
mentre Ottavia fu esiliata a Pandateria, già prigione di Giulia e
Agrippina. Nel suo accanimento Nerone si spinse a imputarle di essersi legata
ad Aniceto per conquistare la flotta, di cui l’uomo era comandante[32],
accusandola per giunta di procurato aborto, dimenticandosi di averla tacciata
in precedenza di sterilità[33].
Infine, temendo l’ira dei sudditi, la fece assassinare. Quando
l’ordine ebbe raggiunto l’isola, Ottavia cercò di convincere
i soldati che, non essendo più moglie di Nerone, non poteva nuocergli.
Ma non ebbero pietà. Le tagliarono le vene. Poiché il sangue
usciva lento a causa del freddo tagliente, la gettarono nell’acqua calda.
La sua testa fu recapitata a Poppea a dimostrazione che la condanna era stata
eseguita[34].
Questi avvenimenti furono descritti in un dramma, Ottavia, attribuito, a quanto pare
erroneamente, a Seneca[35],
di poco posteriore ai fatti e probabilmente specchio fedele degli umori
sociali. Nelle prime battute del testo Poppea non è ancora moglie di
Nerone e Ottavia teme per la propria vita, che la rivale chiede
all’imperatore in ricompensa dei suoi favori.
Pseudo-Sen. Oct.131-133:
inimica victrix imminet thalamis meis
odioque nostri flagrat et pretium stupri
iustae maritum coniugis poscit caput.
Per l’autore Poppea è paelex[36],
come è chiamata pure da Tacito, ma fra poco sarà lei la signora
del palazzo. Il favore del popolo non giova a Ottavia, perché il timore
di tafferugli può spingerlo al crimine: Extinguat et me, ne manu nostra cadat[37].
Il luogo centrale del dramma é la camera ed il letto nunziale[38].
Scrivendo del divorzio, l’autore ne fa uscire Ottavia per far posto a
Popeea.
Pseudo-Sen. Oct. 671-673:
cessit thalamis
Claudia diri
pulsa Neronis,
quos iam victrix Poppaea tenet.
L’abbandono del letto matrimoniale viene equiparato
a quello della casa del marito, cioè al divorzio.
Neanche Poppea nella nuova situazione si sente sicura. Ha
sogni da incubo: Octaviae discidia
planxerunt sacros/ inter penates fratris et patrium larem[39].
Il popolo, invaghito di Ottavia, ha distrutto le statue della nuova moglie di
Nerone[40].
Dal punto di vista giuridico motivo determinante del dramma sta nelle accuse
contro Ottavia: di aver commesso adulterio con Aniceto e di aver voluto
prendere il controllo della flotta. Conversando con il prefetto Nerone chiama
Ottavia hostis, al che il prefetto si
dice dubbioso se di una donna possa parlarsi in questo modo[41].
L’imperatore replica che si può qualora abbia commesso un crimine[42].
A suo avviso Ottavia merita la pena di morte non per adulterio, per il quale
sin dai tempi di Augusto i mariti non potevano condannare alla pena capitale le
mogli infedeli[43],
ma per aver tradito lo Stato. Se ne evince, quindi, che Nerone vuole uccidere
Ottavia in quanto rea di crimen
maiestatis. Benché dal brano di Tacito si evinca piuttosto che il
confino di Ottavia a Pandateria fu una pena parallela alla cacciata di Aniceto
in Sardegna, dal dramma dello Pseudo-Seneca si evince che l’imperatore
ritenesse più importanti le accuse di aver tentato prendere il controllo
della flotta e con ciò motivasse l’uccisione di Ottavia, provando
in tal modo a rivoltarle contro i cittadini. Se l’adulterio era punibile
con la relegazione, l’adulterio intrecciato con il tradimento era
punibile con la morte[44].
Condannata per tradimento, Ottavia subì anche la damnatio memoriae, revocata dopo la morte di Nerone[45].
Può darsi che il dramma Octavia
volesse trasmettere ai posteri la verità sulla donna proclamata da
Nerone hostis e rintuzzare la
propaganda imperiale. Giova notare che l’autore del dramma imputò
a chiare lettere a Nerone la violazione delle norme varate da Augusto.
Pseudo-Sen. Oct. 250-251:
orbis tyrannus,
quem premit turpi iugo
morumque uitiis nomen Augustum inquinat!
L’imperatore è un tiranno che impone a tutti
un giogo infame. I suoi costumi insozzano il nome di Augusto[46].
È un chiaro riferimento alla legislazione matrimoniale tesa al
miglioramento dei costumi.
Poppea era diventata l’incontrastata signora del
palazzo, ma – benché tutto facesse pensare che Nerone ne fosse
grandemente innamorato – anch’essa cadde vittima
dell’imperatore.
Suet. Ner. 35,3:
Poppaeam duodecimo die post divortium Octaviae in matrimonium acceptam dilexit
unice; et tamen ipsam quoque ictu calci occidit, quod se ex aurigatione sero
reversum gravida et aegra conviciis incesserat.
Poppea era incinta. Rinfacciò a Nerone di essere
tornato tardi dalle corse delle bighe. L’imperatore le scaraventò
una scarpa e la uccise. Dopo la morte di Poppea volle sposare la sorellastra di
Ottavia, Antonia. Quando questa gli si negò, la condannò a morte,
accusandola di res novae, cioè
di idee rivoluzionarie[47].
Poi, per sposare Statilia Messalina, ne fece uccidere il marito[48].
Il catalogo dei crimini commessi da Nerone in occasione delle sue vicissitudini
matrimoniali supera per lunghezza quello degli altri imperatori della dinastia
giulio-claudia, ma è soltanto una frazione dei suoi intrighi e omicidi.
[2]
Sull’adrogatio di Nerone Cf. M. Zabłocka, Przemiany prawa osobowego i rodzinnego w ustawodawstwie dynastii
julijsko-klaudyjskiej [Trasformazioni del diritto delle persone e di famiglia
nella legislazione della dinastia giulio-claudia], Warszawa 1987, 122-127.
[3] C’è da chiedersi, pertanto, se il
matrimonio di Nerone, figlio arrogato di Nerone, e Ottavia non fosse
incestuoso. La risposta è negativa: sotto il principato, nella
fattispecie, c’era il conubium.
Cf. J.F. Gardner,
Women
in Roman Law and Society, Bloomington
1986, 36.
[4] Suet. Ner.
10: Atque ut certiorem adhuc indolem
ostenderet, ex Augusti praescripto imperaturum se professus, neque
liberalitatis neque clementiae, ne comitatis quidem ex hibendae ullam
occasionem omisit.
[5] La lex
iulia de adulteriis coërcendis penalizzava l’adulterium, ovvero rapporto con donna
maritata, e lo stuprum, ovvero
rapporto con una nubile o una vedova di costumi virtuosi, nonché un
ragazzo; Cf. G. Rotondi, ‘Leges
publicae populi Romani’,
Milano 1912, 445-447; L. Ferrero Raditsa, Augustus’ Legislation
Concerning Marriage, Procreation, Love Affairs and Adultery,
«ANRW» II.13/1980, 310-319; M. Zabłocka,
Przemiany, cit., 68-69; E.C. Green, A.D.E. Lewis, M. Crawford,
‘Lex Iulia de adulteriis
coërcendis’, in: The Roman Satutes, t. 2, red. M. Crawford,
London 1996, 781-786. Si è soliti ritenere che la legge fu votata nel 18
a.C., ma forse è del 19; Cf. T. Spagnuolo
Vigorita, La data della ‘lex
Iulia de adulteriis’, in: ‘Iuris
vincula’. Studi in onore di
Mario Talamanca, t.8, Napoli 2001, 79-96.
[6] La vestale non fu punita per incestum; Cf. J. Misztal-Konecka,
‘Incestum’ w prawie rzymskim [L’incestum nel diritto romano], Lublin 2007, 254. Accusabili di incestum erano anche gli uomini che si fossero accoppiati con le
vestali; nella fattispecie, l’assenza di pena poteva scaturire tanto
dalla considerazione che la violenza escludesse la colpa della vestale, quanto
dal fatto che non si fosse trovato nessuno che avesse avuto il coraggio di
accusare l’imperatore.
[8] Sulla lex Iulia de
maritandis ordinibus del
[9] Cf. B. Biondi,
La legislazione di Augusto, in: Idem, Scritti giuridici, t. 2, 150; M. Zabłocka,
Przemiany, cit., 35.
[10] Nerone voleva presentare Acte come discendente degli
Attalidi. Per Cassio Dione (61,7) la donna era stata adottata dalla dinastia.
[12]
Cfr Suet. Ner. 28. Lo si sospettava di intenti libidinosi verso la madre.
Pare che la meretrice al suo seguito assomigliasse ad Agrippina.
[13] Poppea si era già data in sposa a Rufrio
Crispino, quindi a Ottone, che sarebbe salito al trono nell’anno dei
quattro imperatori. Ottone si sarebbe tanto vantato della venustà della
consorte da suscitare l’invidia di Nerone che volle conoscerla e se ne
invaghì. Per sbarazzarsi di Ottone, Nerone lo nominò governatore
della Lusitania. Cf. Tac. Ann. 13,46; Suet. Ner. 35; Oth. 3.
[15] Cfr A.
Tarwacka, Rozwód Carviliusa
Rugi. Czy naprawdę pierwszy? [Il divorzio di Carvilio Ruga. Fu veramente
il primo?], in «Czasopismo
Prawno-Historyczne» 54.1/2002, 301-308.
[17] Tra le più ricorrenti cause di divorzio la
sterilità era menzionata dai giuristi del periodo classico, ad es. da
Ermogeniano (D. 24,1,60,1). Cf. J.F. Gardner,
op. cit., 81.
[18] In linea di massima non si consentiva di estorcere agli
schiavi dichiarazioni compromettenti per i loro padroni (Cf. Cic. de part. or. 118). In caso di adulterio,
tuttavia, si poteva procedere dopo aver corrisposto al padrone un valore pari a
quello dello schiavo: D. 48,5,28 pr. (Ulp. 2 adult.): Si postulaverit
accusator, ut quaestio habeatur de servo adulterii accusato, sive voluit ipse
interesse sive noluit, iubent iudices eum servum aestimari, et ubi
aestimaverint, tantam pecuniam et alterum tantum eum, qui nomen eius servi
detulerit, ei ad quem ea res pertinet dare iubebunt.
[19] Sul commento di
Papiniano alla lex Iulia de adulteriis Cf.
G. Cervenca, Appunti sui ‘libri singulares de adulteriis’ di Papiniano e
di Paolo, in: Studi in onore di
Edoardo Volterra, t. 3, Milano 1971, 395-416.
[20] Può darsi che Nerone e Ottavia si unirono con la confarreatio, ma il rito aveva un
significato strettamente sacrale e non produceva la manus. Cf. M. Zabłocka,
Przemiany, cit., 96-101; Eadem, ‘Confarreatio’ w
ustawodawstwie pierwszych cesarzy rzymskich [La ‘confarreatio’
nella legislazione dei primi imperatori romani], in «Prawo
Kanoniczne» 31.1-2/1988, 238-246; R.
Astolfi, Il matrimonio nel diritto
romano preclassico, Padova 2000, 202-204.
[21] Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo,
costrinse Lucrezia a un rapporto extraconiugale con la minaccia di accusarla di
rapporti con uno schiavo. Per la tradizione fu la causa diretta della cacciata
dell’ultimo re. Cf.
Liv. 1,57-60.
[23] Cf. S. Treggiari,
Roman Marriage. ‘Iusti
coniuges’ from the time of Cicero to the time of Ulpian, Oxford 1991, 453.
[25] Alcuni (G. Brini,
Matrimonio e divorzio nel diritto romano,
t. 3, Bologna 1888, 56; O. Robleda,
El matrimonio en derecho romano. Esencia,
requisitos de validez, efectos, disolubilidad, Roma 1970, 201) traducono praeter in davanti a, assurgendo il liberto a personaggio centrale del
divorzio. Di parere contrario: P.E. Corbett,
The Roman Law of Marriage, Oxford
1930, 228-229. Cf. C. Fayer,
La familia romana. Parte terza.
Concubinato, divorzio, adulterio, Roma 2005, p. 114.
[26] Si è pure sostenuto che il brano non riguardi il
divorzio, ma la remancipatio uxoris in
manu; Cf. B. Biondi, La legislazione, cit., 151-152; P. Csilllag, The Augustan Laws on Family Relations, Budapest 1976, 130.
L’ipotesi non convince in quanto all’epoca di Augusto erano ormai
poche le donne che si assoggettavano alla manus
del marito. L’importanza della confarreatio
si esauriva per lo più nella sfera sacrale. Forse si seguitava a
ricorrervi nell’emancipazione di liberte dalla mano maritale.
[29] Per Cassio Dione (62,13) Burro cercò di
dissuadere Nerone dal divorzio con Ottavia. Quindi ebbe l’arditezza di
dire che l’imperatore avrebbe dovuto restituirle almeno la dote. La
contestazione risultava troppo aperta. Burro la pagò con la testa.
[30] In Tacito c’è qui una lacuna. Tac. Ann.
[31] Cf. M.
Zabłocka, Przemiany, cit.,
76; Eadem, Le modifiche introdotte nelle leggi matrimoniali augustee sotto la
dinastia giulio-claudia, «BIDR» 89, 1986, 408-409; Eadem, Zmiany w ustawach małżeńskich Augusta za panowania
dynastii julijsko-klaudyjskiej [Modifiche della legislazione matrimoniale di
Augusto sotto la dinastia giulio-claudia], in «Prawo
Kanoniczne» 30.1-2, 1987, 169-170.
[32] R.A. Bauman,
Crime and Punishment in Ancient Rome,
London-New York 1996, 89 sostiene che l’imputazione riguardava
l’aver messo in pericolo l’utilitas
publica.
[33] Cf. E. Cantarella, Pandora’s daughters.
The Role and Status of Women in Greek and Roman Antiquity (trad. M.B. Fant),
Baltimore-London 1993, 148.
[35] La paternità di Seneca è contestata. Octavia fu scritta probabilmente dopo la
morte di Nerone. Cf. Oktawia. Dramat z
czasów Nerona [Octavia. Un dramma dell’epoca di Nerone], a
cura di M. Borowska, Warszawa
2001, 13-15 sull’autore e la trama della pièce. Cf. pure P.
Kragelund, Prophecy, Populism and
Propaganda in the ‘Octavia’, Copenhagen 1982, 7-8.
[39] Pseudo-Sen. Oct. 746-747.
L’interpretazione del sogno di Poppea in P. Kragelund, op. cit.,
9-14.
[40] Ne scrisse anche Tacito Ann. 14,61: effigies Poppeae
ruunt, Octaviae imagines gestant umeris, spargunt floribus foroque ac templis
statuunt.
[41] Hostes si
definivano di solito i popoli con cui i Romani erano in guerra (iustum piumque bellum). L’unica
donna dichiarata nemica fu Cleopatra.
[43] Cf. E. Loska,
‘Si tamen maritus in adulterio
deprehensam occidit’, in: ‘Contra
leges et bonos mores’ Przestępstwa
obyczajowe w starożytnej Grecji i Rzymie [Delitti contro il costume nell’antica Grecia e a Roma],
Lublin 2005, 221-227.
[44] Pertanto nell’affare di
Giulia, la figlia di Augusto, tutti i colpevoli furono relegati alle isole, ma
Giulio Antonio, accusato per giunta di crimen
maiestatis fu condannato a morte, Cf. Cass. Dio 55,10; B. Biondi, La poena adulterii da Augusto a Giustiniano, in: Idem, Scritti giuridici, t. 2, Milano 1965, 51.
[45] Cf. E.R. Varner,
Mutilation and transformation.
‘Damnatio memoriae’ and
Roman Imperial Portraiture, Leiden 2004, 100.
[46] Assumendo la dignità di imperatore, Nerone
ricevette anche il titolo di Augustus
che però si associava pure al primo principe. Nel brano in parola nomen Augustum riveste pertanto un
doppio significato.
[47] Suet. Ner.
35,4. Simile l’accusa mossa da Cicerone contro Catilina: Cic. Cat. 1,1,3; Sall. Con. Cat. 28,4.