N. 9 – 2010 –
Note-&-Rassegne
Territorio
e nichilismo
Università Telematica delle Scienze
Umane “Niccolò Cusano” – UNISU
A proposito di: Giovanni Bianco, Nichilismo giuridico e territorio,
Milano, UTET-Giuridica, 2010, [ISBN 978-88-598-0573-1] pp. 50, € 7.
In questo lavoro di Giovanni Bianco, diversi percorsi
argomentativi costruiscono un quadro lineare. Nichilismo giuridico e territorio (Milano, UTET, 2010) è un
libro in due parti: infatti nasce da due distinte voci enciclopediche (Nichilismo giuridico e Territorio e deterritorializzazione,
entrambe tratte dal III e IV aggiornamento del Digesto delle discipline privatistiche – Sezione civile,
Torino, UTET, 2007-2009). Le riflessioni che contiene hanno però una sola
origine e un solo fine.
Per quanto riguarda l’origine, l’esergo suggerisce un
curioso affratellamento: Albert Camus e Carl Schmitt, L’uomo in rivolta e Terra
e mare (ma è più presente, nel volumetto, Il nomos della terra).
Si può notare un’altrettanto curiosa
prossimità cronologica, fra quell’opera del filosofo francese,
edita nel ’51, e Il nomos della
terra, che era uscito nel ’50. Ma si tratta di sguardi sul nichilismo
– e sull’Europa, sul Novecento, su tutto – completamente
antitetici.
Il nichilismo a cui pensava Camus era anche tale, almeno
all’origine della sua storia, per cui nel suo “universo
demente” a risuonare “è l’invocazione dilaniata alla
regola, all’ordine e alla morale”. Perché, spiega Camus,
“l’insurrezione umana … non è e non può essere
altro che una lunga protesta contro la morte, un’arrovellata accusa a
questa condizione retta dalla pena di morte generalizzata”, e
“lottare contro la morte equivale a rivendicare un senso alla vita, a
combattere per la regola e l’unità”. Infatti alla morte
manca un qualsivoglia “principio di spiegazione”. Ecco
perciò che i nichilisti possono mirare a “riunire alfine la
comunità umana sulle macerie della comunità divina. Uccidere dio
e costruire una chiesa, è questo il movimento costante e contraddittorio
della rivolta. La libertà assoluta diviene infine prigione di doveri
assoluti …”, in uno “sforzo convulso verso l’impero del
mondo e verso la regola universale. Ma è una “marcia per
l’impero del mondo attraverso uccisioni moltiplicate
all’infinito” (A. Camus, L’uomo
in rivolta, Milano, Bompiani, 1981, pp. 113-117).
In Schmitt la nozione di nichilismo appare saldamente ancorata al
ragionamento sul nomos e quindi al
pensiero, per così dire, di un ordine dello spazio (quindi anche di un territorio): ecco perciò
che “se non si vuole che anche la parola nichilismo si riduca a una vuota
espressione, si deve essere consapevoli della negatività specifica
mediante la quale il nichilismo assume la sua posizione storica, il suo topos. Solo allora si potrà
vedere in che cosa il nichilismo dei secoli XIX e XX differisce dalle
situazione anarchiche del Medioevo cristiano. Nella connessione esistente tra utopia e nichilismo si può infatti vedere che solo una definitiva e
radicale separazione tra ordinamento e localizzazione nello spazio può
essere detta nichilismo in un senso storico specifico” (C. Schmitt, Il nomos della terra, Milano, Adelphi,
1998², p. 53).
Il tema del nichilismo fu affrontato, qualche anno fa, anche in un
incontro organizzato dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco, i cui
risultati vennero poi raccolti in volume (Diritto
e culture della politica, a cura di S. Rodotà, Fondazione Lelio e
Lisli Basso Issoco, Annali 23, Roma, Carocci, 2004). In quella sede, Domenico
Fazio sintetizzava felicemente le questioni giuridiche implicate dal discorso
di Nietzsche sul nichilismo: “in primo luogo, negare la conoscenza e la
verità significa negare la possibilità di giungere, attraverso
l’interpretazione della norma, all’intento originale del
legislatore (…). In secondo luogo, negare ogni fondamento ai valori
morali equivale a negare la possibilità di qualsiasi fondazione etica
delle norme giuridiche” (D. M. Fazio, Dialogo
sul nichilismo giuridico, Premessa,
in Diritto e culture della politica,
cit., pp. 15-22, p. 17).
Bianco percorre con attenzione quello che negli ultimi anni
è stato il dibattito sul nichilismo, specialmente in Italia: è
ovviamente basilare, nel testo, il riferimento alle riflessioni di Natalino
Irti, ma vengono tenute ben presenti anche quelle di Mario Barcellona, Carlo
Galli, Karl Löwith, Massimo Cacciari, Emanuele Severino (nonché di
Augusto Del Noce, a p. 3). Una ricostruzione accorta, che ha il merito di
fornire un profilo complessivo ben definito e di dare bene conto del nesso, spesso
molto forte ma opaco, tra pensiero dei filosofi e pensiero dei giuristi.
La chiave di lettura di Bianco prende forma nei due ultimi
paragrafi: “nichilismo giuridico versus costituzionalismo?”
è il motto, a partire dal quale Bianco, a fronte dell’opzione
decisionista, invita, facendo perno
su Habermas, a considerare il “patriottismo costituzionale” come
possibile “uscita di sicurezza”. L’ultimo paragrafo –
“Critica del nichilismo giuridico (ontologico)” – che offre
peraltro spazio al pensiero di Giuseppe Capograssi, si chiude sulla prospettiva
di uno sforzo teorico che faccia leva sulla “concreta esistenza della
persona umana, del soggetto reale e della storia”. Traspare, da queste
ultime pagine, il legame che unisce Bianco ad una certa tradizione di costituzionalismo
cattolico-democratico. Soprattutto, però, qui il soggetto (non
casualmente declinato anche come “persona”) e la sua collocazione
nel tempo vengono posti alla base di un possibile superamento
dell’impasse nichilista.
Se il nesso fra nichilismo giuridico e ordine dello spazio e del
territorio appariva chiaro nel ragionamento schmittiano, questo dato è
solo un punto di partenza della ricostruzione di Bianco.
Anzi: Bianco prende le mosse da alcune definizioni del territorio
ben radicate nella cultura giuridica del Novecento italiano (tratte dalle Lezioni di filosofia del diritto di
Giorgio del Vecchio e dal Corso di
diritto costituzionale di Santi Romano). Viene poi ricostruito, ancora una
volta con grande cura, il dibattito più recente (cui adesso si
può aggiungere, con particolare riguardo al tema della rappresentanza,
il più recente lavoro di I. Ciolli, Il territorio rappresentato: profili
costituzionali, Napoli, Jovene, 2010), alle radici del quale
paiono comunque dominanti i quadri teorici di Schmitt e Kelsen.
L’orizzonte, comunque, resta quello che va
dall’articolazione del cosiddetto “modello Westfalia”, alla
crisi dello ius publicum europaeum,
ai processi più recenti di deterritorializzazione della
sovranità, letti come “compimento di una grande scissione che si
determina all’interno della società e dello stesso individuo
nell’evo del mercantilismo prima e del capitalismo dopo” (p. 38).
Bianco dedica una particolare attenzione alle
“locuzioni” che sono state adoperate per descrivere e ordinare
questi processi: quello che gli sembra più vicino, e a cui ha già
dedicato altri lavori, è il concetto di “nuovo ordine pubblico
economico”, adoperato per inquadrare una fase in cui “non
c’è nessuna convergenza tra l’effettività delle
transazioni e degli scambi e le fasi delle decisioni politiche”, con un
effetto di “declino” del principio di legalità a fronte di
una “incontrastata egemonia” dell’effettività (pp.
40-41).
Sulla scia di Gustavo Zagrebelsky, Bianco individua una possibile
stella polare nell’ancoraggio alla costituzione, ad un quadro di principi
costituzionali quanto più possibile condivisi, ad un principio di
costituzionalità che operi in relazione ad esperienze giuridiche sempre
più indipendenti da limiti territoriali (pp. 43-44).
Dunque, la tentazione nichilista come frutto del movimento di
deterritorializzazione dei processi di formazione delle decisioni e delle
norme. Sembra comunque forte la matrice schmittiana di questo tema. Con tutti i
suoi limiti (ad esempio di periodizzazione e di individuazione dei momenti e
delle ragioni di discontinuità e di frattura).
Scriveva Eligio Resta, a proposito del nichilismo (e anche della
sua lettura schmittiana), che “l’uguaglianza è entrata nei
sistemi politici parlamentari attraverso la norma che stabiliva l’uguaglianza
di fronte alla legge. Essa non vi sarebbe entrata se i movimenti rivoluzionari
non l’avessero imposta con forza. Da quel momento l’esistenza di
una legge ci consente di dire che se esistono disuguaglianze qualcuno ne
è responsabile. Bisogna ripartire da questo tentativo di dare un
contenuto minimo di emancipazione al diritto. (…) Non c’è
nessuna virtù della maggioranza, c’è soltanto un modo di
decidere quando le decisioni sono complesse. Questo è il vero volto del
nichilismo. La vera sfida, la vera resistenza al nichilismo sta nel sottrarre
pezzi della decisione alla maggioranza (…). Il diritto oggi è
esattamente questo, sottrarre alla maggioranza alcune quote su cui
universalisticamente non possiamo che essere tutti d’accordo, per esempio
il diritto alla pace, il diritto alla vita. La sfida è trovare
all’interno del diritto i meccanismi di universalizzazione, che non sono
le procedure in astratto, ma il legame tra la sostanza e la sua procedura. Sono
esattamente i luoghi dei diritti e dei beni fondamentali, fondamentali in
quanto appartengono a ognuno” (Diritto
e culture della politica, cit., pp. 32-33).
In questo senso Bianco, nel suo volumetto (forte, peraltro, anche
del solido nesso con una cultura giuridica di matrice cattolico-democratica), a
partire dagli orientamenti di pensiero cui si riferisce, indica un’
“uscita di sicurezza” possibile.