N. 9 – 2010 –
Monografie
Cap.
9 della monografia: Elio De Magistris,
Structurae. Ricerche su tecniche
costruttive e monumenti antichi, Napoli (Loffredo) 2010.
Università di Salerno
Per la localizzazione del tribunale
dell’imperatore nel Foro Romano
«non
si può comprendere un edificio antico senza tentare di comprendere
anche
il diritto e la religione che informava la mentalità dei costruttori, senza
tentare un
approccio
globale alla cultura della società della quale studiamo le murature»
(dall’Introduzione di Structurae
).
La
proposta di ubicare la statua di Marsia nel Foro Romano presso il monumento di
Stilicone[1] riapre
il dibattito sulla raffigurazione della statua del sileno e del vicino albero
di fico sui cosiddetti plutei di Traiano[2] ( Fig. 1a,
Fig.
1b, Fig. 1c ).
Alla maggior parte degli studiosi moderni è sembrato doversi trattare di una
rappresentazione allegorica, allusiva alla libertas
dispensata dal princeps e alla continuitas imperii, non già di una
notazione realistica ed utilizzabile quale riferimento topografico ad un
settore della piazza, poiché statua ed albero, di solito, sono posizionati
nettamente più a nord, nell’area comiziale e presso la Curia[3]. La
nuova ubicazione sul margine settentrionale del Foro spiana la strada ad una
radicale revisione del problema della sede originaria delle due ‘balaustre’,
più volte ritenuto insolubile; nuova luce cade di riflesso sull’interpretazione
delle scene figurate.
La
maggior parte degli studiosi oggi accetta l’ultima interpretazione dei plutei
come elementi di chiusura dell’antica area della ficus Ruminalis e di Marsia, risistemata o riconsacrata negli anni
intorno al 106 d.C. con una duplice lustratio,
culminata nei due suovetaurilia
superbamente rappresentati sulle facce ‘posteriori’ dei pannelli[4]; le due
balaustre erano quindi disposte in modo da offrire una visione continua dei
bassorilievi, con un raccordo ideologico e rappresentativo nella ripetizione
delle figure di fico e sileno. La parte alta dei plutei avrebbe sorretto una
cancellata bronzea, probabilmente in sostituzione di analoga recinzione
dell’albero, di cui si ha notizia letteraria per l’età augustea[5].
La
superficie superiore di ogni balaustra è rifinita senza politura; il centro,
per circa un terzo della larghezza, è occupato da un listello longitudinale
alto poco più di 10 cm. ( Fig. 2
). La maggior parte degli incavi e fori qui visibili è pertinente a perni e
grappe di assemblaggio dei diversi blocchi marmorei che compongono il
monumento; solo una minima parte sembra funzionale ad altro scopo. Numero delle
cavità e reciproche distanze fanno escludere l’ipotesi di una cancellata
metallica, sia poggiata sui plutei e ancorata altrove, che interamente infissa
nei marmi. Sulla sommità del rilievo cosiddetto degli alimenta troviamo due coppie di fori circolari, disposte ai lati e
a filo delle testate del listello modanato: dal lato più vicino alla scena di adlocutio ( Fig. 3
) i fori, irregolarmente scalpellati in alto, sono profondi 3,8 cm. e arretrati
di 12,5 cm. rispetto al filo del pannello di testata. Sul lato opposto, verso
Marsia, uno dei fori conserva l’incamiciatura in piombo e l’altro è obliterato
da una grappa di restauro moderna. Sull’unica testata residua e non integra del
pluteo cosiddetto dei reliqua vetera
abolita è leggibile la traccia di uno dei due fori circolari, cosicché
possiamo restituire anche su questa balaustra le due coppie simmetriche. È da
segnalare ancora una coppia di incavi rettangolari , presenti in origine in
entrambi i plutei dal lato di Marsia, sulla sommità piana del listello (alimenta: lungh. 10/11 cm., largh.
6,5/7,5 cm.; sull’ unico blocco sommitale dei reliqua vetera è rimasto un solo incavo rettangolare lungh. 10,4
cm., largh. 5,7 cm., prof. 6,5 cm. circa ) ( Fig.
4 ).
Prescindendo
per ora dagli incavi rettangolari, i quattro fori circolari sugli alimenta e gli altrettanti ricostruibili
sui reliqua vetera sono compatibili
con i tenoni di bloccaggio di una pedana lignea poggiata su entrambi i plutei
affrontati. I singoli appoggi possiamo ricostruirli come formati ognuno da due travetti, alti
poco più di 10 cm. , che correvano lungo i due lati del listello sommitale che,
pertanto, fungeva anche da blocco contro gli spostamenti laterali della pedana
( Fig. 5
); al di sopra doveva essere un piano di correnti trasversali, colleganti le
due balaustre, e, a livello di piancito, un tavolato di tavole ordinarie,
larghe 20/22 cm. Complessivamente, la pedana non doveva superare 20 cm. in
altezza; poteva essere così ‘infilata’ sulle modanature sommitali dei plutei e
fatta scivolare fino a raggiungere il filo dei fori circolari all’estremità
opposta. Si presuppone, quindi, che uno dei lati della pedana, trasversale
all’asse dei plutei, fosse aperto per consentire lo scivolamento. I tenoni di
bloccaggio, che possiamo ricostruire in bronzo, erano inseriti nei fori di base
incamiciati in piombo e nei corrispettivi fori realizzati sui travetti ai lati
delle modanature sommitali.
Fori
ed incavi oggi visibili inducono a ricostruire, più che una cancellata
metallica, un suggestus, un tribunal monumentale; si comprende pure
che la posizione del monumento, all’atto del rinvenimento nel 1872,
rispecchiava, nella traslazione di età medievale o tardoantica, la posizione
originaria.
In
antico i plutei erano montati su basi di altezza forse non dissimile da quelle
realizzate in età moderna, per cui si può ipotizzare un’ altezza del suggesto
di 9½ piedi romani circa ( h. 2,21 m.+ base di 1 cubito + pedana ), forse 10
piedi .
Per
determinare la larghezza della pedana, e l’originaria distanza delle basi
marmoree, bisogna prima tentare di localizzare la loro sede originaria. Com’è
noto, oltre la recente proposta dell’area comiziale, dove sarebbe stata
adottata la disposizione a lettura continua, non contrapposta[6], in
precedenza si era immaginato che i plutei ornassero i Rostra vetera[7] o un accesso monumentale a qualche area
della piazza[8],
ma era piuttosto diffuso un preconcetto di insolubilità del problema[9].
L’ipotesi
del suggesto qui avanzata ci indirizza verso punti ben precisi e non molto
numerosi del vecchio Foro, perché in età traianea, dopo i due Rostra, il podio e l’area circostante il
tempio dei Castori, il luogo più eminente della piazza e più prestigioso per un
un tribuna restava l’antica sede del pretore. I pretori urbano e peregrino, nel
frattempo, si erano spostati nei fori di Cesare e Augusto, ma sappiamo di una
disposizione di Nerone che imponeva di discutere nel Foro le cause intentate
dall’Erario[10],
e sappiamo anche di imperatori che nel Foro amministravano la giustizia[11]; quivi,
pertanto, era la sede di un tribunale dell’imperatore il quale, comunque,
poteva giudicare dove gli pareva. Dai Severi in poi è attestato lo spostamento
dei giudizi imperiali nel chiuso delle aule palatine[12].
Vi
è unanime consenso sulla vicinanza dell’antico tribunale pretorio all’ iscrizione pavimentale di L. Naevius Surdinus pr(aetor) (CIL VI,
37068 ), e sul nesso tra iscrizione e rifacimento della pavimentazione del Foro
negli anni successivi al 14 a.C.[13]: in
quell’area ristretta, tra la colonna di Foca e il lacus Curtius, si può ipoteticamente cercare la sede originaria dei
plutei di Traiano ( Fig. 6 ). L’analisi
della pavimentazione e delle sue trasformazioni tra Augusto e i Severi può
aiutare a restringere ulteriormente l’area. Prima va esaminata brevemente
l’ipotesi di William Seston che ubicava i plutei nella cosiddetta Aiuola di
Marsia, lo spazio quadrangolare recintato e non pavimentato, antistante ad est
la colonna di Foca e l’iscrizione di Surdinus.
Qui, nel 1906, Christian Hülsen aveva ubicato la statua di Marsia con l’ulivo,
il fico e la vite, le tre essenze vegetali spontanee ubicate in medio foro da Plinio ( n. h. 15, 77 )[14].
Secondo il Seston i plutei erano posizionati sui bordi occidentale e orientale
del quadrilatero, a delimitare la piccola area restaurata agli inizi del regno
di Adriano e purificata con una duplice lustratio[15] . Mario Torelli, nel 1982, giudicò
errata l’interpretazione del passo di Plinio sugli alberi forensi, ritenendo
che l’unico fico associabile a Marsia era il fico Ruminale, così come aveva
dimostrato la ricostruzione del Comizio del
Coarelli, che poneva entrambi nell’area successivamente occupata dallo spigolo
nord-est dell’arco di Severo[16]. Con la
proposta di spostare il Marsia presso il monumento di Stilicone, ai margini
della piazza e al confine con il Comizio, va nuovamente considerata la
possibilità di un rapporto spaziale tra i plutei e la cd. Aiuola di Marsia, a
maggior ragione perché oggi nell’Aiuola si riconosce la sede del tribunale
pretorio[17]
( Fig. 7 ).
Gli
strati archeologici entro il recinto presentano una malta magra poco coesiva,
donde si deduce che la parte non lastricata supportava, eventualmente, una
struttura di modesta altezza per la quale si erano rinforzati i lati interni
del recinto ( eccetto il settentrionale ) con scaglioni di marmo: qui Giuliani
e Verduchi hanno ipotizzato che fosse la sede del tribunale del pretore. Le
tracce sui blocchi perimetrali fanno ricostruire in elevato una fodera di
lastre in marmo o travertino, spesse 12/15 cm., raccordate a pilastrini; dalla
mancanza di scaglioni di marmo di rinforzo si deduce che sul lato
settentrionale doveva essere una bassa scala di accesso al suggesto. Il tribunal fu rispettato dalla
pavimentazione severiana del Foro, segno evidente dell’esistenza della
struttura ancora agli inizi del III secolo d.C. Opportunamente si è notato che,
allo stato attuale, non esiste alcun nesso strutturale tra plutei e ‘Aiuola di
Marsia’ e che, eventualmente, i plutei potevano, dopo lo spostamento, fungere
da accesso monumentale alla tribuna[18] .
Vi
è, a mio avviso, un altro motivo che sconsiglia di ubicare qui i plutei, intesi
come basamento di una tribuna: posizionandoli sui lati ovest ed est ( dove sono
i due rinforzi simmetrici in scaglioni di marmo ), si avrebbe una larghezza
della pedana di circa 6,5 m. , a prima vista eccessiva, considerando che con
una superficie di 32 mq. sarebbe stato più difficile gestirne trasporto e
smontaggio, e sarebbero stati necessari travi portanti di sezione maggiore di
quelli da me ricostruiti. Vi è anche un altro aspetto che potrebbe mettere in
dubbio la stessa esistenza della tribuna pretoria entro l’Aiuola: tenendo conto
dei monumenti nella piazza, è probabile che il pretore fosse rivolto verso il
tempio del divo Giulio, non verso i Rostra
vetera. Anche ammettendo che si rivolgesse verso nord, verso l’ingresso al tribunal, era costretto a leggere
capovolta l’iscrizione pavimentale: ciò non comprometteva l’attività del
magistrato, ovviamente, ma ritengo inverosimile che Surdinus facesse scrivere il proprio nome a caratteri cubitali per
doverlo poi leggere rovesciato e capovolto.
Tuttavia,
il rapporto spaziale del monumento con l’attività giudiziaria si può
felicemente recuperare, facendo chiarezza su un punto finora trascurato.
Il
tribunale del pretore non era formato dalla sola sede rialzata del magistrato,
ma anche da un altro spazio antistante la tribuna, più basso di questa e
sollevato rispetto all’area circostante: era l’ inferior locus, destinato alle parti, allo scriba, ai littori[19]. Questo
luogo separato dalla piazza e rialzato, perché gli astanti potessero vedere
convenuti ed advocati, possiamo
agevolmente ricostruirlo sulle strutture superstiti dell’Aiuola. Il superior locus[20], il
seggio del pretore, lo ubicheremo di conseguenza a ovest dell’Aiuola, in
posizione tale che l’occupante avesse di fronte e non capovolta l’iscrizione di
Surdinus.
Proprio
in questa posizione il pavimento forense presenta una rilastricatura di 3,40 x
3,70 m. [21]che
individua uno spazio rispettato dalla pavimentazione severiana e, prima della
rilastricatura, anche da quella augustea: qui possiamo ubicare l’ incavo
sfruttato per montare la tribuna lignea del pretore, poggiandola su un piano
ribassato di calcestruzzo[22] ( Fig. 8
). Giuliani e Verduchi hanno invece localizzato qui la statua di Marsia, dopo
aver individuato nell’Aiuola la sede del tribunal:
le misure dello spazio ripavimentato sono però eccessive per una statua che non
fosse equestre, e inoltre si deve pensare che in età severiana, o prima, la
statua del sileno non esisteva più.
Possiamo
allora ipotizzare che in età traianea il vecchio tribunal, non sappiamo se ancora ligneo, sia stato sostituito da un
suggesto poggiato sui plutei marmorei, dopo la chiusura con lastre pavimentali
del cavo residuo; il tribunale del pretore si trasformò nel tribunale
imperiale, nel tribunal Traiani.
In
tal senso possiamo leggere alcune importanti coincidenze spaziali e metriche.
Riposizionando idealmente le due balaustre a nord e a sud della rilastricatura
( Fig.
9 ) avremo una larghezza della pedana in legno sovrapposta di circa 3,90
m.: tale è anche la distanza che intercorreva tra i plutei nella successiva
sistemazione tardoantica, a nord dell’Aiuola. Pertanto dobbiamo pensare che,
nella nuova posizione, il mantenimento della stessa distanza era funzionale alla
conservazione della pedana: ciò non avveniva a caso, perché ruotando i plutei a
nord, non si perdeva il rapporto spaziale con l’inferior locus del tribunal
e, contestualmente, si conservava la precedente distanza tra locus superior e inferior. Annullando la rotazione, si ottiene che il pluteo degli alimenta era originariamente posizionato
a nord, verso la via Sacra, e quello dei reliqua
vetera a sud; ficus e Marsia di
entrambi si trovavano a ovest e i due suovetaurilia
erano rivolti verso il Campidoglio, sede di elezione per questo sacrificio
quando offerto entro le mura. Gli incavi rettangolari sui listelli sommitali,
verso ficus e Marsia, si possono
spiegare come incassi di due parapetti angolari che avevano altri due ancoraggi
sulla pedana lignea, sul lato ovest: le modanature sulle testate dei plutei
lasciano infatti intendere che erano fatte per rimanere a vista, ossia la
scaletta di accesso sul lato ovest era più stretta della pedana, per cui i
parapetti agli angoli occidentali indicavano all’occupante la giusta via per la
discesa.
L’erezione
della colonna di Diocleziano, poi ridedicata a Foca, causò la rotazione del tribunal che avrebbe potuto ancora
funzionare agli inizi del IV secolo d.C., benché ciò sia improbabile a causa
dello spostamento delle cognitiones
imperiali nel palazzo, prima, e del trasferimento della capitale d’Occidente
poi.
Giunti
a tal punto, bisogna stabilire l’ altezza del suggesto dell’inferior locus e possiamo farlo grazie
ad una lastra marmorea rinvenuta nelle vicinanze, e scolpita sulle due facce in
modo da tener conto del dislivello tra il lato esterno dell’Aiuola, fissato
dalla pavimentazione augustea, ed il lato interno rialzato: questa lastra,
arcinota e da sempre ricollocata sul bordo del lacus Curtius, è il bassorilievo raffigurante M. Curtius a cavallo che si precipita nella voragine del Foro,
scolpito sul retro dell’iscrizione CIL VI, 1468 (= CIL VI, 31662 ), L(ucius) Naevius L(uci) f(ilius) Surdinus/
pr(aetor)/ inter civis et peregrinos ( Fig. 10,
Fig. 11
)[23]. Lo
spessore della lastra nella parte inferiore è compatibile con le tracce di
imposta di un parapetto sui lati settentrionale e meridionale dell’Aiuola ( i
lati del quadrilatero sono uguali a coppie simmetriche); la scalpellatura del
toro inferiore ( lato iscrizione ), che in origine doveva debordare leggermente
sul pavimento di età augustea, si spiega col rifacimento pavimentale di età
severiana. Le superfici grezze ai lati del bassorilievo ( larghe 17 cm. a
sinistra, 22 a destra ) presuppongono l’addossamento sul retro di montanti
litici, e l’asimmetricità della larghezza si spiega con la posizione del
pannello presso un angolo della struttura, o a lato della scaletta di accesso[24]. Sotto
il pannello scolpito la superficie della lastra arretra in sottosquadro ed è
lavorata con la subbia a solchi verticali ( Fig. 10
). Oggi si ritiene che possa trattarsi della lavorazione per applicare un’altra
lastra di marmo, magari policroma, forse addirittura di una rilavorazione
moderna se si considera la freschezza dei segni[25].
Ritengo, invece, che la superficie sia più fresca perché non è stata esposta
all’aria e che la sua altezza ci dia l’altezza del piano di calpestio interno
rispetto alla pavimentazione augustea, cioè l’altezza del suggesto in muratura,
uguale a 32 cm. circa. Una conferma viene anche dall’incavo trapezoidale,
profondo 9 cm., scalpellato per tutta la lunghezza della cornice inferiore del
bassorilievo: si tratta, a mio avviso, dell’incasso per le lastre pavimentali
del suggesto inferiore, e tanto è ulteriormente dimostrato dalla linea di
stucco ancora visibile al di sotto della base del’incasso.
Pertanto,
l’Aiuola oggi non è pavimentata, ma in antico lo era, e ad un livello più alto
di quanto non si sia finora pensato.
Naevius
Surdinus non
solo rifece la pavimentazione del Foro, ma ricostruì anche l’ inferior locus del tribunale mentre era praetor peregrinus, e non possiamo del tutto escludere che abbia rifatto
in pietra anche i supporti del superior
locus[26].
Pochi anni prima, ad Ostia, P. Lucilius
Gamala rifaceva in marmo un altro tribunal
[27] del
quale ora possiamo forse avere un’idea meno vaga.
La
lastra con l’iscrizione di Surdinus e
il bassorilievo di M. Curtius non è compatibile con il bordo
del lacus Curtius perché qui i
rapporti tra quote interne ed esterne sono invertiti rispetti a quelli dell’ inferior locus del tribunal.
La
statua di Marsia, nella nuova ricostruzione, si trovava 12 metri a nord e
allineata col suggesto del pretore: ne consegue perciò che la ficus rappresentata nei rilievi non è la
Ruminalis, ma quella in medio foro e, poiché Plinio fa
riferimento al lacus Curtius,
possiamo ubicarla a sud dello stesso suggesto, leggermente più avanzata verso
est rispetto alla statua, tra l’iscrizione plateale di Surdinus e il lacus Curtius
( Fig.
10 )[28].
In tal modo la raffigurazione artistica diventa ancor più significativa sul
piano topografico e ci mostra che la statua del sileno era rivolta non verso la
piazza forense, ma verso il Campidoglio, ossia verso la sede del più antico
tribunale del pretore, al confine tra Comizio e Foro.
L’allineamento
nord-sud di Marsia e ficus
contrassegnava quindi un intero settore longitudinale del Foro, caratterizzando
l’area per eccellenza riservata ai giudizi. Si comprende allora meglio la
raffigurazione sfalsata di statua ed albero ed il tentativo di scorcio evidente
nelle basi.
Appare
evidente, di conseguenza, che il suggesto rappresentato nella scena degli alimenta coincide con il tribunal prima pretorio e poi imperiale,
e che, a maggior ragione, non può essere riferito ad un ipotetico gruppo
statuario nel centro della piazza. Contro l’interpretazione del gruppo
statuario, tutt’oggi ampiamente condivisa, depone anche la confusione dei piani
di lettura che essa ingenera, poiché i plebei a destra della ‘statua’
parteciperebbero non all’azione della ‘statua’, ovviamente, ma a quella
centrata sulla adlocutio dai Rostra orientali: saremmo perciò di
fronte ad una notazione spaziale iperrealistica, non tanto della statua quanto
dei plebei partecipanti alla lontana scena di adlocutio/congiarium, difficile da accettare. D’ altra parte, per
quanto sia evidente l’enfasi iconografica nel rappresentare l’imperatore con
scettro, assiso in sella curulis, ben
diverso dall’imperatore togato che parla dai Rostri aziaci, la stessa enfasi
non basta a suffragare l’ipotesi della ‘statua’: un imperatore togato e senza insegne, seduto
sull’antico seggio del pretore, sarebbe stato identificato con il pretore, non
con l’imperatore.
L’antico
tribunal di Surdinus diventa il centro intorno al quale si articola la
narrazione storica dei rilievi: le scene degli alimenta si svolgono nel tribunal
e nello spazio forense ad esso antistante; la scena dei reliqua vetera, invece, si svolge dietro. Per la lettura dei
rilievi, quindi, si configura una soluzione inattesa: lo sfondo delle scene è
continuo da un pluteo all’altro, dai Rostri orientali al tempio di Vespasiano e
oltre, ma diviso su due supporti contrapposti.
L’
ambientazione giudiziale ci fa comprendere meglio il senso della duplice
rappresentazione sulla balaustra degli alimenta,
interpretata solitamente come adlocutio/congiarium
a sinistra e institutio alimentaria a
destra. Ora, invece, leggiamo con più chiarezza l’allegoria di liberalitas e libertas: la prima comprende la scena sui Rostri, che non raffigura
un congiarium perché nessuno degli
uomini sulla tribuna esibisce danaro[29], ma
piuttosto la proclamazione dell’editto ( rotolo nella mano dell’imperatore )
con il quale si annuncia l’abolizione di tasse future. Ma di quali tasse? La
risposta è nell’ oggetto nella mano sinistra del quarto personaggio in primo
piano davanti ai rostri, un plebeo, come denuncia l’abito ( Fig. 12 ): è
un oggetto che, per trovarsi in primo piano e quasi verso il centro focale del
rilievo, si presume abbia capacità evocativa ed ampia icasticità, ma oggi lo si
interpreta ancora come una piccola borsa per raccogliere il donativo in
contante[30].
Grazie al confronto con numerosi monumenti funerari[31],
possiamo invece riconoscere nell’ oggetto un codex ansatus[32] e trovare così il nesso allegorico con
il volumen nella mano
dell’imperatore.
Il
codex è il contenitore delle tavolette cerate sulle
quali è scritto il testamento. Con l’editto imperiale sulla vicesima hereditatium ( Plin. Panegyr. 38-40 ), il testatore di
modesta fortuna potrà lasciare agli eredi non consanguinei anche il 5% del
valore complessivo che sarebbe andato all’erario, e perciò vorrà riaprire le tabulae testamentarie, sigillate in
precedenza alla presenza di sette testimoni. Non è un caso, pertanto, che la
scrittura sia nelle mani di un plebeo con la paenula; è da ritenere che ad una scrittura testamentaria alluda
anche il rotolo nelle mani del plebeo barbato in secondo piano ( il quinto da
sinistra davanti ai Rostri ). Il volumen
era ormai il supporto di scrittura preferito[33], ma per
gli usi documentari si usavano ancora le tavole cerate[34], e per secoli si era testato con la formula : « Haec ita, ut in his tabulis cerisque scripta
sunt, ita do ita lego ita testor, itaque vos, Quirites, testimonium mihi
perhibetote » (Gai Instit. 2,
104), cosicché le tavolette
rappresentavano il testamento per antonomasia nel discorso parlato e figurato.
La giurisprudenza precisò ( Iustin. Inst.
2, 10, 12 ): « Nihil autem interest,
testamentum in tabulis an in chartis membranisve vel in alia materia fiat »,
ed Ulpiano ( Dig. 37, 11, 1 ) aveva chiarito che, fossero tavolette, papiri,
pergamene o altro, parlandosi di testamento, nel linguaggio giuridico sempre tabulae erano. I togati acclamanti nelle
prime file beneficiano probabilmente delle altre riforme in materia
testamentaria introdotte dall’imperatore ( Plin. Panegyr. 43, 1: testamenta
nostra secura sunt, dopo l’abolizione dell’odiosa legge sulla delazione ), e della riduzione delle imposte ( Panegyr. 41, 1: te vectigalia temperasse ).
Per spiegare la raffigurazione delle scritture
possiamo proporre anche una lettura più realistica. La legge di Traiano, con un
supplemento di liberalitas, rimetteva
le tasse di successione dovute, senza contenzioso, fino al giorno dell’editto (
Panegyr. 40, adhibitum est ut, qui ex huius modi causis in diem edicti vicesimam
deberent, nondum tamen intulissent, non inferrent ): i cives acclamanti sotto i Rostra
sono coloro che si aggiravano nel Foro con in mano le scritture testamentarie
perché, entro quel giorno, avrebbero dovuto pagare la tassa di successione
all’Erario, nel vicino tempio di Saturno.
L’
abolizione della tassa dovuta per il passato si configura, invece, come un atto
giudiziale che risolve un contenzioso: è necessario che la scena si svolga in
un tribunale e la remissione dei debiti si configuri come un proscioglimento in iure, nel quale l’imperatore si
arroga le mansioni del praetor aerarii
e assolve gli insolventi che, con gli altri imperatori, avrebbero dovuto pagare
una multa equivalente al doppio o al quadruplo della vicesima ( Panegyr. 40,
5: Alius ut contumacibus irasceretur
tarditatemque solvendi dupli vel etiam quadrupli irrogatione multaret ).
Con più verosimiglianza, allora, l’imperatore assiso sul suggesto al centro del
pluteo degli alimenta non è una
statua, ma la raffigurazione dell’imperatore che amministra la giustizia dal tribunal che un tempo era stato dei
pretori urbano e peregrino, e che negli anni del principato traianeo fu
monumentalizzato con i plutei istoriati. Con altrettanta verosimiglianza
identificheremo il volumen nelle mani dei paenulati
a destra della tribuna non come l’atto di appartenenza ad una tribù[35], ma
come il documento sul quale lo scriba del tribunale ha trascritto la formula
assolutoria pronunciata dall’imperatore ( Fig. 13 ).
Non
può sfuggire che con questa nuova interpretazione si risolve una pesante
incongruenza della lettura continua su plutei affiancati: sul rilievo dei reliqua vetera i milites che portano al rogo i registri dei debiti provengono da
sinistra (rispetto all’osservatore) ( Fig.
1b ), ma, se trasportano le tavole dalla sede dell’Erario nel tempio di
Saturno, dovrebbero arrivare da destra, perché qui è raffigurato il tempio, e
littori e togati che assistono al rogo dovrebbero trovarsi a sinistra.
Ora
possiamo sostenere che i soldati provengono da sinistra perché arrivano dal
tribunale dell’imperatore, portando le prove testimoniali dei debiti, esibite
nel processo (allegorico) a carico degli insolventi e che, dopo la felice
conclusione del contenzioso, possono essere distrutte.
Qualche
difficoltà sorge per l’interpretazione della figura femminile con infanti come Italia destinataria delle provvidenze
degli alimenta, perché l’allegoria
sarebbe più consona al contesto della liberalitas
che non a quello della libertas ( Panegyr. 27, 3: quocirca nihil magis in tota tua liberalitate
laudaverim, quam quod congiarium das de tuo, alimenta de tuo )[36]. L’
inquadramento dell’ Italia nel
contesto giudiziale pone gli stessi problemi di un sesterzio di Adriano che
riprende la scena centrale del pluteo degli alimenta,
ricorrente anche sulla monetazione di Traiano del 109-111 d.C.: mentre
nelle monete traianee compare la legenda alim(enta)
Ital(iae)[37],
in quelle adrianee si ha libertas
restituta[38].
Il Seston, seguito dalla Toynbee, argomenta che in questo caso libertas sarebbe sinonimo di securitas, liberazione dai vincoli della miseria, sicurezza per il
futuro della prole[39]; di certo,
il tema degli alimenta Italiae non ha
un’iconografia fissa, se in altre monete con identica legenda scompare la
figura femminile e restano i pargoli con Traiano[40].
Nell’
Italia con pargoli del rilievo
sarebbe pertanto preferibile vedere, più che un riferimento puntuale a
istituzioni o largizioni, la conseguenza degli atti congiunti di liberalitas e libertas: l’ incremento delle nascite di nuovi cittadini che siano
sostegno della guerra e ornamento della pace.
Dabis
congiaria, si voles; praestabis alimenta, si voles: illi [scil. cives] propter te nascuntur[41] ( Fig. 14 )
Le
Figg. 7, 8 e la base planimetrica delle Figg. 6, 9 sono tratte da Giuliani-Verduchi 1987.
Abbreviazioni: Gioffredi 1943:C. Gioffredi, I tribunali
del Foro, « SDHI » 9, 1943, pp. 227-282. Giuliani-Verduchi
1987: C. F. Giuliani, P. Verduchi, L’area
centrale del Foro Romano, Firenze 1987. Jenkins 1901: A. S. Jenkins, The “Trajan-Reliefs” in the Roman Forum,
« AJA» 5, 1901, pp. 58-82. Hammond 1953:
M. Hammond, A statue of Trajan
represented on the “Anaglypha Traiani”, « MAAR» 21, 1953, pp. 127-183. Seston 1927: W. Seston, Les “Anaglypha Traiani” du Forum Romain et la politique d’Hadrien en
118, « MEFR » 44, 1927, pp. 154-183; Torelli
1982: M. Torelli, Typology and
structure of Roman historical reliefs, Ann Arbor 1982, pp. 89-118; Torelli 1999: Plutei di Traiano (
Anaglypha Traiani ), in LTUR IV,
1999.
[1] E. De Magistris, Il puteal di Atto Navio. Osservazioni
sulla topografia del Comizio di Roma, «PdP» 61, 2006, p. 435 s.
[2] Biliografia
generale in Torelli 1999, p. 96.
[3] Per una
funzione puramente simbolica e decorativa, non strettamente topografica, di ficus e Marsia si sono espressi Jenkins 1901, p.78, Seston 1927, p. 167, Torelli 1982, p. 96.
[4] Torelli 1982 e 1999.
[5] Conon. Narr. 48.
[6] In F. M. Nichols, The Roman Forum, London-Rome 1872, si ha la prima proposta di
lettura continua.
[7] Ch. Hülsen, Das Forum Romanum. Seine Gechichte und seine Denkmäler, Roma 1904, p.
89; O. Marucchi, Descrizione del Foro Romano, Roma 1883,
pp. 94-96.
[8] L’ipotesi fu
avanzata per la prima volta da O.
Richter, Rekonstruktion und
Geschichte der römische Rednerbühne, Berlin 1884, p. 60 s.; subito scartata
l’idea di un pons tra Foro e Comizio;
J. B. Carter, The balaustrades of Trajan, « AJA » 14,
1910, p. 317, immagina un monumento in onore di Traiano eretto presso l’antico
tribunale del pretore.
[9] Così Hammond 1953, p. 133; identico
scetticismo in U. Rüdiger, Die Anaglypha Hadriani, in Antike Plastik XII, 1973, p. 163.
[10] Suet. Nero, 17.
[11] Suet. Domit. 8: ius diligenter et industrie dixit, plerumque et in foro pro tribunali
extra ordinem ; per Adriano, Dio. Cass. 69, 71. Di Traiano, invece,
sappiamo da Dio. Cass. 68, 10, 2 che amministrò la giustizia nel Foro di
Augusto, nel Portico di Livia, e spesso altrove, stando seduto su una tribuna:
da notare che la notizia è riferita al periodo tra le due campagne daciche.
[12] B. Santalucia, Diritto e processo penale nell’antica Roma, Milano 1998, II ed.,
pp. 215-221.
[13] Bibliografia in
Giuliani – Verduchi 1987, pp.
93-94.
[14] Ch. Hülsen, Le Forum Romain. Son histoire
et ses monuments (tr. fr. J. Carcopino), Roma 1906, pp.148-149; ID. , I più recenti scavi del Foro Romano. Appendice all’opera Foro Romano,
Roma 1910, pp. 21-25; in precedenza, in « MDAI(R) » VII, 1892, p. 287 s., aveva
sostenuto che la base raffigurata al piede del fico era la rappresentazione del
recinto.
[15] Seston 1927, pp. 177-178.
[16] Torelli 1982, p. 90; F. Coarelli, Il Comizio dalle origini alla fine della Repubblica ( cronologia e
topografia ), « PdP» 32, 1977; ID.
s. v. Comitium, in LTUR I, 1993.
[17] Giuliani-Verduchi 1987, pp. 95-102.
[18] Giuliani-Verduchi 1987, p. 80.
[19] Gioffredi 1943, p. 233; Th. Mommsen, Droit public romain (ed. franc.), VI, 1, Paris 1889, II ed., r. a. Paris 1985, p. 440,
n. 3.
[20] Fonti per il locus superior, detto excelsus o anche sublimis, in Gioffredi 1943,
p. 233.
[21] Giuliani-Verduchi 1987, p. 93.
[22] Giuliani-Verduchi 1987, p. 93: il piano
di calcestruzzo è stato intercettato in un carotaggio.
[23] Ch. Hülsen, Das Capitolinische Curtius-Relief, « MDAI(R) » XVII, 1902, pp.
322-329; E. Strong, La scultura romana romana da Augusto a
Costantino, Firenze 1926, p. 316 s.; Giuliani-Verduchi
1987, pp. 114-116.
[24] Questa seconda
ipotesi è poco probabile perché ai due estremi della superficie superiore si
conservano gli incavi di due grappe a coda di rondine
[25] Giuliani-Verduchi 1987, p. 116.
[26] Era possibile
l’uso di uno stesso tribunal da parte
dei due pretori, come ricorda Gioffredi
1943, p. 269.
[27] CIL XIV, 275; Th. Mommsen, Tituli Ostienses P. Lucilii Gamalae, « EphEpig» III, 1877, pp.
319-332; P. Pensabene, Ostiensium
marmorum decus et decor. Studi architettonici,
decorativi e archeometrici, Roma 2007, pp. 12-13.
[28]
L’identificazione con il fico in medio
foro fu sostenuta dapprima dal Nichols
( cit. a n. 1 ), p. 73; Ch. Hülsen, Das Forum Romanum. Seine Geschichte und seine Denkmäler, Roma 1904,
p. 88, negò che l’albero potesse identificarsi con la Ruminalis; da ultimo, così anche J.
DeRose Evans, The art of
persuasion: political propaganda from
Aeneas to Brutus, The University of Michigan Press, 1992, p. 77, n. 60, con
bibliografia completa sulle opposte identificazioni.
[29] Come di norma
sulle raffigurazioni monetali di Traiano e Adriano. H. Mattingly, Coins of the Roman Empire in the
British Museum, III, London 1966, pl. 27, 11; pl. 77, 10
[30] Da ultimo G. M.
Koeppel, Die historischen Reliefs
der römischen Kaiserzeit, IV, «
BJb » 186, 1986, p. 20, no. 17; Torelli
1999.
[31] Ad es. Stele di
Q. Statius Rufinus, CIL III, 556,
InscrAtt 10: primo monumento figurato nel quale si è riconosciuto un codex ansatus da parte di Th. Mommsen, che si era occupato della
denominazione, nota epigraficamente, in Decret des Proconsuls von Sardinien L.
Haelvius Agrippa von J. 68 nach Chr., « Hermes » II, 1867, p. 119 s.; sulla
stessa stele, da ultimo, con bibliografia, C.
Franzoni, Habitus atque habitudo militis: monumenti funerari nella Cisalpina romana, Roma 1987, pp. 81 e
120; W. von Massow, Die Gräbmaler von Neumagen,
Berlin-Leipzig 1932, 180 a2, p. 136 e tav. 27 ( scena di scuola ); M. G. Picozzi, Una stele di legionario ad Albano Laziale, «ACl» 31, 1979, pp.
180-182; Y. Freigang, La
romanisation en pays de Moselle vue à travers les monuments funéraires, «
Révue archéologique de Picardie » 1996, n.s. 11, pp. 209-219.
[32] In tal senso si espresse solo H. Jordan, Die neuesten
Erscheinungen auf dem Gebiete der römischen Topographie, « Bursian
Jahresber. » 3,
1875, p. 733 e Id., Topographie der Stadt Rom in Altertum,
I, 2 Berlin 1882, p. 221: lo studioso ritenne che il codex indicasse, raffigurato nella mano di un puer, l’assegnazione alimentaria,
ma l’ipotesi fu generalmente respinta anche per la difficoltà di riconoscere un
fanciullo nel personaggio in primo piano. Torelli
1982, p. 112, n. 16 respinge l’identificazione con un codex perché la superficie dell’oggetto
è curva: se si prescinde dall’usura e dalle scheggiature, la superficie
dell’oggetto non può dirsi curva, ma tendente al parallelepipedo.
[33] G. Cavallo, Libro e cultura scritta, in Storia
di Roma, IV, a cura di E. Gabba, A. Schiavone, Torino 1989, p. 693 s. ; G. Purpura, Diritto, papiri e scrittura, Torino 1999 II.
[34] L. Migliardi Zingale, I
testamenti romani nei papiri e nelle tavolette d’Egitto, Torino 19973.
[35] Torelli 1982, p. 91.
[36] Il nesso liberalitas
e alimenta in C. Bossu, L’objectiv de l’institution alimentaire: essai d’ évaluation, «
Latomus » 48, 1989; B. Rawson, Children as cultural symbols: imperial
ideology in the second century, in Childhood,
class and kin in the Roman world, ed. by S. Dixon, London 2001, p. 24, n.
14, pp. 32-34.
[37] RIC nn. 460-461. Elenco completo delle
‘Alimentationsmünzen’ in W. Kuhoff,
Felicior Augusto melior Traiano. Aspekte der Selbstdastellung der Römischer Kaiser wärend
Prinzipatszeit, Frankfurt a. Mein 1993, p.
211, n. 250.
[38] RIC no. 55. La tenuità del nesso tra
tipi monetali e legende fu notata già da Hammond
1953, p. 72. Sparziano ( Hadr. VI ), nel riferire della successiva remisione
di debiti di Adriano, distingue tra debiti contratti con il fisco da privati
cittadini dell’Urbe o dell’ Italia. Tuttavia, mi sembra iconograficamente
improbabile una chiamata in giudizio dell’ Italia.
[39] Seston 1927, p. 168 s.; J. M. C. Toynbee, The Hadrianic School, Cambridge
1934, p. 110, con richiamo a Panegyr.
27. A. U. Stylow, Libertas und Liberalitas. Untersuchungen zur
innenpolitischen Propaganda der Römer, München 1972, p. 59, osserva che non
era la prima, né sarebbe stata l’ultima volta che il soddisfacimento dei
bisogni materiali del popolo si configurava quale libertas.
[40] RIC no. 93. Oppure compare Annona con un solo fanciullo.
[41] Plin. Panegyr. 28, 7.