N. 9 – 2010 – Memorie/Tradizione-repubblicana-romana-III
Università di Verona
Caio
Sicinio Belluto e l’origine del tribunato della plebe
Il ricordo di Caius
Sicinius Bellutus resta legato ad un evento di importanza epocale nella
storia dei primi passi della repubblica romana: la prima secessione della plebe
avvenuta nel 494 a.C. sul Monte Sacro. In quel tempo, i plebei, tornati dalla
guerra contro i Sabini, si ribellarono rivendicando, a fronte dell’impegno
profuso per il bene di Roma, un compenso adeguato, un ruolo decisionale attivo
a fianco di coloro che già amministravano la Res publica, e la
libertà di cui erano privati a causa dei debiti e della desolazione
delle terre che non avevano potuto coltivare a causa del prolungato servizio
militare. I plebei allora si ritirarono sul monte Sacro e furono indotti a
ritornare a Roma solo quando fu permesso loro di creare i tribuni della plebe,
magistrati che avrebbero garantito i loro diritti.
Sarà il caso
però di dare la parola agli autori antichi che ci parlano dei primi capi
della plebe, che poi furono eletti nel primo collegio di tribuni.
Livio presenta la secessione in questi termini:
«su proposta di un certo Sicinio, si
ammutinarono all'autorità dei consoli e si ritirarono sul monte Sacro,
sulla riva destra dell'Aniene, a tre miglia da Roma...
Lì, senza nessuno che
li guidasse, fortificarono in tutta calma il campo con fossati e palizzate
limitandosi ad andare in cerca di cibo e, per alcuni giorni, non subirono
attacchi né attaccarono a loro volta» (Liv. II.32.2-5).
Quanto all’elezione dei primi tribuni
il racconto liviano è il seguente:
«Furono eletti due
tribuni della plebe, Caio Licinio e Lucio Albino. A loro volta essi si scelsero
tre colleghi, uno dei quali era Sicinio, il promotore della rivolta. Sui nomi
degli altri due ci sono parecchie incertezze. Alcuni autori sostengono che sul
monte Sacro vennero eletti soltanto due tribuni e che lì fu proposta la
legge sull'inviolabilità» (Liv.
II.33.2-3).
Veniamo ora a Dionisio di Alicarnasso. Egli nomina
Sicinio come “capo dei
plebei”[1],
ma per lui il vero capo della secessione fu Lucio Giunio Bruto, omonimo, se non
addirittura identico al fondatore della repubblica. Poi egli riferisce le prime
elezioni tribunizie in questi termini:
«Ritornarono Bruto e le
persone che erano state inviate con lui dopo aver siglato i trattati con il
senato per mezzo dei giudici di pace che i Romani chiamano fetiales. Il popolo, diviso allora nelle fratrie, o comunque si
vogliano chiamare quelle che i Romani denominano curiae, designò come magistrati in carica per un anno Lucio
Giunio Bruto e Gaio Sicinio Belluto, che fino ad allora avevano avuto come
capi, ed in aggiunta a questi Gaio e Publio Licinio e Gaio Visellio[2]
Ruga. 2 Costoro furono i primi
uomini che furono investiti della carica di tribuni della plebe nel quarto
giorno prima delle Idi di Dicembre, come è ancora oggi consuetudine.
Ultimate le elezioni, agli inviati del senato parve che tutte le faccende per
le quali avevano avuto la missione fossero compiutamente assolte. Ma Bruto,
convocata l’assemblea, consigliò ai plebei di far diventare tale
magistratura santa e inviolabile, garantendone la sicurezza con una legge e un
giuramento» (VI.89.1-2 trad. Guzzi).
Asconio
Pediano parla della secessione con queste parole:
«Tanta fu la loro
virtù, e infatti nel XVI anno dalla cacciata dei re fecero una
secessione a causa dell’eccessivo dispotismo dei potenti, ripristinarono
le leggi sacrate, crearono due tribuni, consacrarono ad eterna memoria il monte
oltre l’Aniene, detto ora Sacro, in cui si erano insediati in armi. E
così l’anno successivo, dopo avere tratto gli auspici, furono
creati dai comizi curiati i tribuni della plebe» (Ascon., in Cornelianam, p. 68 Clark).
Poi l’autore precisa che non si
trattò di un ripristino, ma della creazione delle leggi sacrate.
Asconio si rifaceva alle opere di Sempronio
Tuditano, Cicerone, Attico e Livio quando nominava i primi tribuni della plebe:
«Del resto, non due,
come dice Cicerone, ma cinque, come viene tramandato, furono i tribuni creati,
uno da ogni singola classe. Ma alcuni autori concordano con Cicerone dicendo
che essi furono due. Tra questi autori Tuditano e Pomponio Attico ed anche il
nostro Livio. Ma Livio e Tuditano ne aggiungono altri tre, creati da quei due
in base alla legge in modo che fossero colleghi. I nomi dei due che per primi
furono creati sono: Lucio Sicinio Veluto, figlio di Lucio, e Lucio Albino
Patercolo, figlio di Caio» (Ascon., in
Cornelianam, p. 68 Clark).
Plutarco concorda nel numero dei primi tribuni, ma
non nei loro nomi. Ecco quanto egli scrive nella vita di Coriolano:
«A questo punto avvenne
una riconciliazione, dopo che il popolo aveva chiesto e ottenuto dal senato di
eleggere cinque uomini chiamati in seguito tribuni della plebe come difensori
degli indigenti. Elessero per primi Giunio Bruto e Sicinnio Belluto, che erano
stati i loro capi nella protesta» (Plut., Marcius Coriol. 7).
La presenza di Bruto rinvia alla tradizione
seguita anche da Dionisio di Alicarnasso.
Il racconto di Cassio Dione presenta la secessione in
termini poco lusinghieri nei confronti della plebe:
«Coloro
che erano indebitati presero possesso di un’altura, si scelsero come capo
un certo Gaio, si assicurarono il vettovagliamento dal territorio, come se esso
fosse nemico, mostrando che le leggi sono più deboli delle armi e la
giustizia più debole della loro disperazione» (Cass.Dio IV, fr.
17.9; I, pp. 45-46 Boissevain).
Questo testo sembra
risentire dell’ideologia tipica delle guerre civili tardo-repubblicane,
ben nota a Cassio Dione, che noi sappiamo essere spesso indipendente dalla
tradizione liviana. Livio afferma che la tradizione sui fatti non era univoca e
probabilmente per questo Cassio Dione deve avere parlato di “un certo
Gaio”. In effetti, Gaio è il prenome sia di Licinio, uno dei due
primi tribuni secondo Livio, sia del Sicinio Belluto, di Licinio e di Visellio Ruga secondo Dionisio di Alicarnasso. La menzione del personaggio col solo
prenome potrebbe anche risalire ad una tradizione greca, visto che i Greci in
età medio-repubblicana erano soliti citare i Romani col solo praenomen.
Infine il bizantino Giovanni Lido così descrive la
carica dei tribuni:
«Poiché
i censori terrorizzavano i sudditi e perseguivano duramente i cittadini e
poiché i creditori erano inesorabili con i debitori, la plebe si elesse
due tribuni, Gaio Licinio e Lucio Albino, che avrebbero amministrato la plebe e
controllato il mercato. Ma i tribuni si cinsero il fianco con la spada ed
avevano come inservienti degli schiavi pubblici detti vernaculi (parola che indica gli schiavi nati in casa)
…» (Lydus, de mag. 44, p. 66 Bandy).
E’ probabile
che Lido si rifacesse, quanto ai nomi dei tribuni, alla tradizione liviana.
La Suda scrive, per parte sua:
«Tribuni
della plebe: il popolo ritornò alla precedente condotta civile e scelse
come tribuni Sicinio e Bruto, ponendoli sullo stesso livello dei consoli,
quanto a potere, godendo di tale potere per un anno» (Suid., s.v. Demarchoi).
Sui nomi dei primi
tribuni si possono fare poche considerazioni in questa sede. E’ evidente,
prima di tutto, che la tradizione non era solida nei suoi dettagli, e che
risente fortemente dell’ideologia gentilizia repubblicana. La presenza di
Bruto, in particolare, tendeva a collegare la costituzione voluta dalla plebe
nel 493 con quella della repubblica, nata nel 509. Tale ideologia era
largamente condivisa e permette di dubitare di tutte le teorie moderne sulla
natura patrizia della costituzione repubblicana delle origini[3].
Si noti poi che la
tradizione concordava nel tramandare il nome di un tale Gaio, al quale era
attribuito, in genere, il nome gentilizio di Sicinio o Licinio.
Quest’ultimo, rispetto a Sicinio, costituisce una sorta di lectio facilior, nel senso che è
difficile pensare che qualche annalista abbia inserito nella tradizione un
Sicinio, visto che la gens Sicinia
non fu particolarmente importante e non annoverò alcun annalista, mentre
è possibilissimo che qualche storico abbia inserito il nome di Licinio,
visto che l’annalistica annovera dei Licinii, e in particolare, il
filopopolare Licinio Macro. Un Licinio primo tribuno poteva costituire un
precedente del grande Caio Licinio Stolone, promotore delle leggi Licinie
Sestie, a maggior gloria della gens
Licinia[4]. Inoltre non si dimentichi
che Licinio Crasso, insieme a Pompeo Magno, ripristinò le prerogative
dei tribuni della plebe nel 70 a.C., abolendo le limitazioni poste dalla
legislazione sillana.
Si dà il caso
poi che nel 487 i Fasti registrino il consolato di Caius Aquilius Tuscus e di
Titus Sicinius Sabinus, che costituisce l’unico consolato della gens Sicinia. Tempo fa Carmine Ampolo[5] ha sottolineato
come il consolato di Aquilio Tusco abbia ottime probabilità di essere
storico, alla luce di tre iscrizioni etrusche coeve relative a un Aulus
Aquilius, la cui illustre gens
dimostra pertanto una certa propensione alla mobilità fra le
città etrusche e quelle latine.
Se la coppia
consolare del 487 è da considerarsi storica, ciò significa che la
gens Sicinia stava giocando in quegli
anni un ruolo politico importante a Roma.
Cassio Dione[6] scrive che «La cosiddetta potestà tribunizia, un
tempo la rivestivano solo gli uomini di particolare prestigio».
C’è dunque da dubitare che anche i primi tribuni della plebe
fossero dei poveracci, come pensava Dionisio di Alicarnasso[7],
e non piuttosto dei cittadini illustri ed illuminati, come il grande Caio
Sicinio Belluto.
[2] La tradizione manoscritta oscilla fra Iousillios e Ouesillios.
I moderni si sono divisi nell’identificazione di questo nomen come Oueskillios, cioè Visellius (tesi di B. Jacoby), o come Ikillios, cioè Icilius (tesi di
Niccolini); si veda T.R.S. Broughton,
The Magistrates of the Roman Republic,
I, Atlanta 1951, 16.
[3] In tal senso mi permetto di rinviare al mio Lucio Giunio Bruto. Ricerche di storia, religione e diritto sulle
origini della repubblica romana, Trento1988.
[4] Cf. J.-C.
Richard, Les origines de la
plèbe romaine, Roma 1978, 568. Sui problemi prosopografici ed
ideologici si veda R.T. Ridley, Notes on the Establishment of the tribunate
of the plebs, in “Latomus” 27, 1968, 535-554.
[5] C. Ampolo, Gli Aquilii del v secolo a. C. e il problema
dei fasti consolari più antichi, in “PP” 30, 1975,
410-416.