N. 9 – 2010
– Memorie/Tradizione-repubblicana-romana-III
Università di San Paolo del Brasile
Il foedus tra plebei e Senato ed il
problema del diritto internazionale. Dalla secessione della plebe
all'autodeterminazione dei popoli
nella storia della Repubblica fecero appello ai concetti
di libertas e di dignitas sia coloro
che cercavano di introdurre mutamenti radicali, in
particolare cercando l'appoggio popolare
contro il consenso aristocratico e tentando di aumentare
i privilegi materiali del popolo,
quanto coloro che cercavano di preservare lo status quo, sia in termini di potere
politico,
sia in termini di distribuzione di risorse.
Michael CRAWFORD (1978, ed. 1988)[1]
1. La
necessità di una applicazione della legge in senso stretto non è
un dato incidentale, bensì fondamentale per la costruzione di una
città[2]
e del suo equilibrio. Tuttavia, ciò non può realizzarsi senza che
prima sia determinato un concetto generale di ordine di vita politicamente
organizzata in una comunità – aspetto che ci rimanda allo zoon politikon di Aristotele[3].
L'esistenza
dell'uomo in società non può realizzarsi pienamente se
distaccata dall'idea di vita organizzata in società. Prima che
diventasse di uso comune la definizione secondo cui la natura dell'essere umano
si completa in un'esistenza organizzata in un sistema politico, bisogna tener
presente il possibile parallelismo con il bisogno di costruire un livello
supplementare di regolamentazione di ogni città-stato, attraverso la loro
convivenza. La concezione aristotelica non riguarda quindi la singola
città, ma deve essere intesa come indicazione concreta di un ordine
politico duraturo[4].
2. Di
fronte all'aumento dell'interdipendenza fra le città e alla conseguente
necessità di regolarne la convivenza, in tempi più recenti
è sorto il bisogno di ricercare la costruzione di vita organizzata a
livello internazionale, secondo un sistema di cooperazione. Questo passo
è stato compiuto prima con la creazione della Società delle
Nazioni e poi con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, simboli di ricerca di
società organizzate a livello internazionale[5].
E'
necessario tener sempre presente, a questo proposito, il monito di Platone che,
nel Menesseno[6],
afferma che la vita in società (politicamente organizzata) nutre gli
uomini: «uomini valorosi se
è buona, malvagi se non lo è». La maggior parte delle
volte la politica non eccelle per qualità[7].
3. Nella
natura umana sono presenti contemporaneamente tanto la tensione verso una vita
in società, quanto la mera aggressività. Ed è proprio qui
che si inserisce il diritto.
Come il
tracciato delle vie e degli edifici pubblici configurano lo spazio
politicamente organizzato in cui si sviluppa appieno la natura dell'uomo,
così la costruzione di una città è costituita dalla
combinazione di questi elementi materiali e immateriali[8],
che si tratti di ordine di una città o di ordine del sistema
istituzionale e normativo internazionale.
4. Dove
si individua, dunque, il parallelismo tra la situazione che si creò nell'antica
Repubblica romana e la situazione del diritto internazionale nel contesto post
moderno? Nella costruzione progressiva di un sistema politico e giuridico che
si adegui alle necessità della società e al tempo stesso ne
regoli l'andamento.
La costruzione
del sistema istituzionale e normativo internazionale non nasce ex nihilo,
ma come effetto e risultato di un intensificarsi della convivenza tra le
singole unità componenti il sistema con l'aumento degli attori tradizionali, gli stati, e il
simultaneo moltiplicarsi degli altri agenti
non statali[9].
5. Nel
descrivere le distinte forme possibili di repubblica, dopo aver scartato quelle
che nascono sottomesse a un ordine esterno e come tali subordinate al potere
esterno, Machiavelli osserva nei Discorsi[10]
che esistono quelle che ricevono un ordine istituzionale «come quelle che furono date da Licurgo agli
Spartani» che dura praticamente ottocento anni[11],
mentre le altre «ed in più
volte, e secondo gli accidenti, come ebbe Roma»[12].
In
questo senso si inserisce, secondo Machiavelli, «il principio buono e atto a diventare migliore, possono per la
occorrenzia degli accidenti diventare perfette». Il problema
sarà così quello di determinare quale sia o possa essere tale
‘buon principio’, che sia in grado di migliorarsi e, attraverso il
concatenarsi di varie circostanze, arrivi alla perfezione.
6. Nel
diritto internazionale contemporaneo si porrebbe, in questo modo, l'attenzione
sui cambiamenti e sul passaggio dello stato anteriore, di ordine strettamente
interstatale, ampiamente superato dall'evoluzione posteriore che portò
l'elemento umano verso il centro del sistema. Ciò viene espresso
nell'internazionalizzazione della protezione dei diritti fondamentali e
dell'emergenza di interi rami del diritto internazionale post moderno
strutturati a partire dalla concezione di norme cogenti di diritto
internazionale generale (jus cogens),
del patrimonio comune dell'umanità (come nella Convenzione delle Nazioni
Unite sul diritto del mare, del 1982), e nell'interesse comune dell'umanità
(in accordo con il Diritto internazionale dell'ambiente, a partire dalla
Conferenza di Stoccolma, 1972, Rio, 1992, Johannesburg, 2002, e le successive).
Se il nuovo sistema ancora non esiste, quello vecchio non esiste più.
7. Qui si
inserisce il compito dell'azione umana e del tempo, nella costruzione del
sistema istituzionale e normativo internazionale. In parallelo con ciò
che successe a Roma, nella sua analisi Machiavelli commenta a proposito di Tito
Livio: «Nacquono queste variazioni
de’ governi a caso intra gli uomini»[13].
E, in egual modo, «Nacque la
cognizione delle cose oneste e buone».
8.
Machiavelli passa a considerare il caso Roma, in cui, non essendoci stato
Licurgo che le desse dall'inizio leggi quasi perfette, «Che la ordinasse in modo, nel principio, che
la potesse vivere lungo tempo libera, nondimeno furono tanti gli accidenti che
in quella nacquero, per la disunione che era intra la Plebe ed il Senato, che
quello che non aveva fatto un ordinatore, lo fece il caso»[14].
Nel caso
di Roma «i primi ordini suoi, se
furono difettivi, nondimeno non deviarono della diritta via che li
potesse condurre alla perfezione».
Così come tutte le relazioni umane devono essere osservate e comprese
alla luce del periodo nel quale furono instaurate, allo stesso modo «Romolo e tutti gli altri re fecero molte e
buone leggi, conformi ancora al vivere libero; ma perché il fine loro fu
fondare un regno e non una republica, quando quella città rimase libera,
vi mancavano molte cose che era necessario ordinare in favore della
libertà, le quali non erano state da quelli re ordinate».
9. In
modo simile, nel sistema istituzionale e normativo internazionale, gli stati,
occupandosi dei propri interessi e basandosi sul come venivano percepiti tali
interessi, col passare del tempo crearono un insieme di norme e principi per i
quali contribuirono, secondo le loro necessità, a trovare un modo
ordinato per regolare la convivenza tra di loro. Ma, data la natura stessa e le
origini del sistema istituzionale e normativo internazionale, almeno nella sua
forma iniziale di sistema classico, strettamente interstatale, si rese
necessario proteggere gli interessi da coloro che avevano concepito e
strutturato il sistema, mentre invece, «a partire dal cambiamento del paradigma centrale del diritto
internazionale nel contesto post moderno, si comincia a dare all’uomo e
ai suoi valori una propria dignità, protezione, sia individuale che
collettiva, oltre al diritto per quest’ultimo di vivere in un ambiente
sano».
In
questo modo, si può giungere a formulare delle basi di un sistema
più coerente con la dimensione umana e focalizzato sull'uomo come valore
centrale e come elemento di ordine del sistema istituzionale e normativo
internazionale. Gli effetti sul sistema classico saranno sconvolgenti, ma lo
rendono più umano.
10.
Prosegue MACHIAVELLI: «E
avvengaché quelli suoi re perdessono l’imperio, per le cagioni e
modi discorsi; nondimeno quelli che li cacciarono, ordinandovi subito due
Consoli che stessono nel luogo de’ Re, vennero a cacciare di Roma il
nome, e non la potestà regia»[15].
Nella
costruzione dell'ordinamento del potere a Roma, «Restavale solo a dare luogo al governo popolare» in cui,
diventata insolente la nobiltà romana – diventata la Nobilità romana insolente – si
levò il popolo contro quella – si
levò il popolo contro di quella – e per non perdere tutto il
potere, la nobiltà ne concesse una parte: «per non perdere il tutto, fu costretta concedere al Popolo la sua
parte, e, dall’altra parte, il Senato e i Consoli restassono con tanta
autorità, che potessono tenere in quella republica il grado loro. E
così nacque la creazione de’ Tribuni della plebe»[16].
Il
parallelismo con la mutazione nel sistema istituzionale e normativo
internazionale è sicuramente appropriato e segue la stessa via[17].
Gli sviluppi in quest’ultimo non sono ancora così chiari, nel
senso che i cambiamenti si stanno ancora producendo[18].
11.
Partendo dalle necessità imposte dal tempo e dalle pressioni dei diversi
gruppi, si creò, in difesa dei propri interessi, questa nuova
entità e in essa fu possibile costruire un equilibrio tra tutte le forze
costituenti. In questo modo, il parallelismo sembra proseguire tra la
Repubblica romana e l'instaurazione progressiva del sistema istituzionale e
normativo internazionale: «E tanto le
fu favorevole la fortuna, che, benché si passasse dal Governo de’
Re e degli Ottimati al Popolo, per quelli medesimi gradi e per quelle medesime
cagioni [...] nondimeno non si tolse mai, per dare autorità agli
Ottimati, tutta l’autorità alle qualità regie; né si
diminuì l’autorità in tutto agli Ottimati, tutta
l’autorità alle qualità regie; né si diminuì
l’autorità in tutto agli Ottimati, per darla al Popolo; ma
rimanendo mista, fece una republica perfetta: alla quale perfezione venne per
la disunione della Plebe e del Senato»[19].
12.
L'equilibrio non si costruì in modo definito partendo da un concetto
teorico perfetto – tanto più che questo non avrebbe potuto mai
essere concepito, se non si fosse fatto nulla prima almeno in forma
sperimentale. Di tutto il sistema si mantengono gli elementi più idonei
a facilitarne il suo perfezionamento, in modo da condurlo progressivamente a
inglobare gli interessi non solo de’
Re e dalla Nobilità, ma
anche quelli della plebe, ossia la dimensione umana nel diritto internazionale
contemporaneo.
Tuttavia,
per evitare gli effetti distruttivi che un tal cambiamento avrebbe potuto
causare, fu necessario dare ordine a un sistema in cui ciascuna di tali classi
conservasse una parte del potere e attraverso la divisione ordinata del potere
tra di esse, fu costruito il sistema politico della Repubblica romana. E
può essere in corso la costruzione di una nuova fase e un nuovo modo di
operare del sistema istituzionale e normativo internazionale, ove tali ordini
siano combinati insieme: stati ed altri agenti non statali.
13. Dopo
aver considerato quanto frequentemente si faccia riferimento alla Repubblica
romana come a una repubblica inquieta – una republica tumultuaria e piena di tanta confusione[20]
–, soprattutto nel periodo tra la morte di Tarquinio e l'instaurazione
dei tribuni, Machiavelli sottolinea che non si può separare ciò
che è successo dai risultati ai quali tali eventi hanno condotto:
«Io dico che coloro che dannono i
tumulti intra i Nobili e la Plebe mi pare che biasimino quelle cose che furono
prima causa del tenere libera Roma»[21].
In
questo modo, sarà per effetto di tali scontri e divisioni tra popolo e
Senato avvenute a Roma e la necessità di ricomporre un equilibrio tra
gli interessi contrastanti, si arrivò all'instaurazione dei tribuni
della plebe, passo fondamentale per preservare la libertà:
«Né si
può chiamare in alcun modo, con ragione, una republica inordinata, dove
siano tanti esempli di virtù, perché li buoni esempli nascono
della buona educazione; la buona educazione dalle buone leggi; e le buone leggi
da quelli tumulti, che molti inconsideratamente dannano»[22].
14. Da
tali tumulti nacquero le «leggi e
ordini in beneficio della publica libertà», e tralasciando la
superficiale condanna degli scontri causati dalla plebe, in confronto
all'antico ordine stabilito dal Senato, fu costruito il modo romano di
conciliare le fazioni in contrasto:
«ogni
città deve avere i suoi modi con i quali il popolo possa sfogare
l’ambizione sua»
per quanto
«i desideri
dei popoli liberi rare volte sono perniziosi alla libertà, perché
e’ nascono, o da essere oppressi, o da suspizione di avere ad essere
oppressi»[23].
Si
colgono così, le ragioni e le circostanze del contesto locale in cui,
per mezzo delle contestazioni e degli scontri, nacquero le istituzioni che
portarono ad un perfezionamento istituzionale della Repubblica romana.
Secondo
Machiavelli si deve:
«più
parcamente biasimare il governo romano; e considerare che tanti buoni effetti,
quanti uscivano di quella republica, non erano causati se non da ottime cagioni».
Se si
dovessero giudicare gli avvenimenti passati alla luce dei risultati raggiunti,
la conclusione sarebbe estremamente positiva:
«E se i
tumulti furono cagione della creazione de’ Tribuni, meritano somma laude»[24],
visto che per mezzo di questo sviluppo
istituzionale nella Repubblica romana,
«oltre al
dare la parte sua all’amministrazione popolare, furano constituiti per
guardia della libertà romana»[25].
15. La
consapevolezza della necessità di separare i poteri e lo spirito di
adattamento tra le classi e i segmenti sociali non prevalse sempre in Occidente
e non orienta l'ordinamento di altre parti del mondo fino ai nostri giorni,
esamina Thomas M. Franck, nella sua indagine sulla legittimità tra le
nazioni[26],
nel considerare:
«Machiavelli
scrisse a riguardo di Numa Pompilio che, succeduto a Romolo come capo di stato
a Roma, ritornò alla religione come strumento, primo fra tutti,
necessario per mantenere lo stato civilizzato [...] Fu la religione che
facilitò qualsiasi tipo di impresa che il Senato e i grandi uomini di
Roma avessero in animo di prendere [...] Dai tempi di Numa, non mancarono
líder che abbiano cancellato la distinzione tra ordine morale e
secolare, in modo da permettere a entrambi di essere validi. Anche oggi
è una battaglia continua, anche tra democrazie liberali e consolidate,
nel cercare di presentare i due ordini come se fossero un’unica
cosa»[27].
16. Nella
sua opera sulla Storia di Roma nel Medioevo, Ferdinand Gregorovius[28]
indica il fenomeno di appropriazione di simboli laici da parte dell'azione
politica di Bonifacio VIII, nella ricerca di un consolidamento del potere
temporale del papato, come illustra la manovra dell'istituzione del giubileo di
carattere religioso:
«Nell’antica
Roma il giubileo secolare solleva essere celebrato con giochi superbi ma, con
l’andare del tempo, di questa usanza si era spento anche il ricordo e
nessuna cronaca racconta che la Roma cristiana solennizzasse con feste
ecclesiastiche l’inizio o la fine di un secolo»[29].
La
distorsione più palese del significato consisterà nell'uso di
questa occasione per stigmatizzare gli avversari politici di papa Bonifacio
VIII, dato che
«furono
esclusi soltanto i nemici della Chiesa, che il papa indicò in Federico
di Sicilia, nei Colonna e nei loro sostenitori, e infine, il che è molto
strano, in tutti i Cristiani che avevano traffici con i Saraceni»[30].
La
conclusione di Gregorovius è tassativa:
«Bonifacio,
in definitiva, si serviva del giubileo per bollare pubblicamente i propri
oppositori escludendoli dal patrimonio provvidenziale del cristianesimo»[31].
17. La
pubblicazione della traduzione italiana della Storia di Roma nel Medioevo, nel 1873, ebbe luogo in un momento di
tensione tra lo Stato italiano e la Chiesa. In questo stesso anno, dopo che era
avvenuta ormai l’occupazione di Roma ed era stata votata la legge delle Guarentigie che regolava da
parte italiana i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, il presidente del Consiglio
Marco Minghetti dichiarava alla Camera:
«La
libertà che chiede la Chiesa di Roma non è la libertà
quale la intendiamo noi, cioè quella del diritto comune; è il suo
contrario, cioè il privilegio, l’indipendenza dalle leggi dello
Stato, la dominazione esclusiva nell’istruzione, nella beneficenza, negli
atti civili. Questa non è libertà, ma monopolio».
18. Le
distorsioni, dettate dalle preferenze personali e dagli interessi politici di
un singolo individuo o fazione che sia, in relazione all'interesse comune,
possono e devono sempre essere oggetto di attenzione oltre che di protezione
istituzionale della libertà, o come diremmo oggi, delle libertà
istituzionalmente stipulate e protette, perché il potere tenderà
sempre ad esercitare oltre i limiti delle sue prerogative.
Nella
sua indagine Machiavelli «dove più sicuramente si possa collocare
la difesa della libertà»[32],
considera l'esempio dei tribuni della plebe a Roma, e la progressiva
occupazione da parte dei membri di questa classe, dei principali posti di
potere nella città di Roma:
«E veramente
chi discorressi bene l’una cosa e l’altra, potrebbe stare dubbio,
quale da lui fusse eletto per guardia di tale libertà, non sappiendo
quale umore di uomini sia più nocivo in una republica, o quello che
desidera mantenere l’onore già acquistato, o quello che desidera
acquistare quello che non ha»[33].
19. I
tribuni delle plebe, almeno in Tito Livio, nella Storia di Roma[34],
svolgono il ruolo di “guastafeste” in mezzo alla normalità
istituzionale, almeno come potrebbe essere vista e applicata nella prospettiva
dell'oligarchia riunita nel Senato romano. Sono i demagoghi, nel senso stretto
di manipolatori delle moltitudini, coloro che, tramite queste, tentano di
posporre le proprie pretese di potere e di conquista di spazi di influenza.
Tuttavia,
saranno esattamente le iniziative dei tribuni della plebe che portarono alla
costruzione di un nuovo equilibrio fondato sull'innovazione istituzionale.
Lasciati i nobili senatori di Roma – e non solo – nelle
loro rispettive sfere di azione, chissà se non si sarebbero viste
innovazioni istituzionali e perfezionamenti strumentali che ci conducono alla
contemplazione dell'evoluzione nella storia antica di Roma. Sarà grazie
all'azione congiunta di questi distinti spazi di ricerca di potere e di
influenza e dei costanti attriti e conflitti tra plebe e Senato, che si
formeranno le istituzioni e la continuità istituzionale che segna
l'evoluzione della tradizione repubblicana romana.
20. Non
è necessario insistere sulla visione di insieme della storia politica e
della evoluzione istituzionale nell'antica Roma. Ciò è già
noto. Le ricerche degli studiosi di diritto romano sono innumerevoli e
conosciute.
Il dato
importante da rilevare è il possibile confronto tra la storia romana
anteriore all'avvento dell'Impero – precisamente la tradizione
repubblicana - e l'attuale stato della evoluzione nel diritto delle genti
specialmente nel contesto odierno. Qui si inserisce un aspetto che potrebbe
meritare la giusta attenzione, come enfatizza Tito Livio
«Tutti i
trattati hanno le proprie clausole particolari, ma tutti se realizzano allo
stesso modo»[35].
21. In
questo senso, ritengo, si possa ricercare la chiave di lettura di un fenomeno
recente, il cui sviluppo, ancora in corso, rende meno chiara la comprensione
delle fondamenta e delle possibili conseguenze dei mutamenti in corso
nell'attuale sistema istituzionale e normativo internazionale.
Il
passaggio dal sistema strettamente interstatale del passato all'instaurarsi di
quello istituzionale e normativo più ampio e basato su premesse
più orientate verso il ruolo dell'essere umano, come soggetto del
diritto internazionale – è ciò che si delinea nel corso del
secolo XX, ma che incontra obiezioni concettuali come ostacolo alla sua
esecuzione – si tratta di percepire la dimensione in cui
l'emergenza del fattore umano in seno al sistema vigente istituzionale e
normativo internazionale attuale, ha il ruolo di trasformatore delle basi e
delle ramificazioni del sistema. Dopo aver identificato le nuove
necessità[36],
bisognerà assicurarsi che il diritto internazionale possa svolgere le
nuove funzioni attribuite, ma entro limiti fattibili e concretizzabili[37].
22.
Ciò non sarà soltanto elemento di disturbo e di trasformazione
del funzionamento dell'antico sistema interstatale, come di fatto lo è,
ma sarà per mezzo dell'azione di questi elementi umanizzanti e
trasformatori del sistema che si potrà capire il suo cambiamento
essenziale per inserire nel suo contesto ponendo come sue premesse, le basi per
un sistema istituzionale e normativo internazionale, ma adeguato alle necessità
e alle premesse che determinano il mondo teleologicamente umano.
E'
possibile comprendere quanto di ciò possa già essere successo se
si tratta dell'emergenza del principio dell'autodeterminazione dei popoli, nel
diritto internazionale contemporaneo. Questo viene a modificare il paradigma
precedente della mutua astensione e della non ingerenza negli affari interni[38],
per dar luogo alla comprensione del ruolo dei popoli, come collegio umano, nel
nuovo diritto internazionale, che si configura a partire dalla prima guerra mondiale,
dai trattati di Versailles e dagli altri accordi dell'epoca[39].
Poco
c'era dell'autodeterminazione dei popoli nella Carta dell'ONU, nel 1945.
Sarà soltanto negli anni successivi che sorgerà il nuovo
paradigma che sarà consolidato intorno al 1960, e la fine della
decolonizzazione in massa.
23.
Così Machiavelli indica «quali
accidenti facessono creare in Roma i tribuni della Plebe, il che fece la
Republica più perfetta»[40]
e bisogna giustamente considerare che, visto che gli uomini non operano se non
per necessità – gli uomini
non operano mai nulla bene se non per necessità[41].
Quanto il bisogno costituisca l'elemento creatore di norme e istituzioni
è un dato ampiamente accertato, che non necessita di ulteriore
attenzione.
Bisognerebbe
così indicare il parallelismo tra la situazione che a Roma porta
all'instaurarsi dei tribuni della plebe – e che secondo Machiavelli
avrebbe contribuito a rendere più perfetta la Repubblica - con la
formazione e l'azione del diritto internazionale, in quanto sistema istituzionale
e normativo, visto che come lui stesso considera:
«dove una
cosa per se medesima sanza la legge opera bene, non è necessaria la
legge; ma quando quella buona consuetudine manca, è subito la legge
necessaria»[42].
Se, in
questo contesto, «convenne pensare
a uno nuovo ordine che facesse quel medesimo effetto»[43],
si creò l'evoluzione in modo tale
«E
però dopo molte confusioni, romori e pericoli di scandoli, che nacquero
intra la Plebe e la Nobilità, si venne per sicurtà della Plebe,
alla creazione dei Tribuni; e quelli ordinarono con tante preminenzie e tanta
riputazione, che poterono essere sempre di poi mezzi intra la Plebe e il
Senato, e ovviare alla insolenzia de’ Nobili»[44].
24.
L'accettazione del concetto di autodeterminazione dei popoli come base guida
del sistema non gli garantì necessariamente la coerenza e la logica
nell'applicazione. Fino ad oggi, alcuni casi sembrano meritare più
autodeterminazione di altri.
Perché
si parla poco e non si fa nulla in favore del Kurdistan indipendente?
Perché casi come questo sembrano non meritare l'attenzione dei media
né della letteratura specializzata? Salvo rare eccezioni che non fanno
altro che confermare la situazione generale.
Perché
non è stato ancora più ampiamente riconosciuto internazionalmente
il genocidio armeno? Quanto manca di riconoscenza al decorrere del suo
centenario nel prossimo 2015?
25.
L'autodeterminazione dei popoli potrebbe così avere il compito di
trasformare il sistema internazionale e normativo internazionale, in modo tale
da essere paragonato a ciò che avvenne con la secessione della plebe,
come effetto dell'azione dei tribuni, nell'evoluzione istituzionale e politica
della Repubblica romana. Questo elemento trasformatore è presente allo
stesso modo rispetto alle strutture consacrate dalla prassi del passato.
Sarebbe
più facile percepire la dimensione della trasformazione, dopo che questa
abbia avuto luogo, ma a quel punto apparterrebbe già al passato. Bisognerebbe, giustamente, ricercare la
comprensione del fenomeno e avere un’anteprima della dimensione della
trasformazione mentre è ancora in corso, paragonando tale fenomeno
all’autodeterminazione dei popoli, nel diritto internazionale
contemporaneo.
26. Quando
si tratta di accogliere concetti innovatori e trasformatori in una determinata
disciplina giuridica, sorge inevitabile l'associazione tra la rappresentazione
e la rappresentatività. In questo modo[45]
si può indicare la dimensione nella quale il passaggio a un diritto
internazionale più democratico è ancora sotto forma di stadio
iniziale di un progetto da realizzare[46].
Qui si
ritiene che non ci sia la normatività imminente del criterio di
fondamentazione della rappresentazione, nel diritto internazionale nel contesto
post moderno, benché questi dovessero collocarsi nel processo di
creazione di nuove norme, vincolate al principio del diritto di
autodeterminazione dei popoli[47].
In
questo modo, l'inesorabile irruzione della nozione di popolo e dei suoi diritti
nella scena internazionale avrà un impatto trasformatore sulle categorie
tradizionali per esempio rispetto allo «spazio di mitificazione tanto
potente come quello di interesse nazionale»[48],
in cui l'«instaurazione di associazione tra la rappresentazione e la
rappresentatività costituisce solamente una tappa che, una volta
superata, scatenerà l'equivalenza di diversi sistemi e ordini
giuridici», secondo Akçay (1984)[49].
27.
Suzanne Bastid (1984)[50]
enfatizzava la dimensione trasformatrice del diritto internazionale, in quanto
sistema istituzionale e normativo, che decorre dal riconoscimento dell'interesse
dei popoli, invece che da quello dei governatori: «essendo il popolo
d'ora in avanti una forza creatrice nella dinamica del diritto
internazionale». Tuttavia, nel momento stesso in cui si riconosce il
significato trasformatore e innovatore dell'accettazione di tale formulazione,
questa affermazione non ci esonera dal precisare il contenuto esatto di nozione
di ‘popolo’ e dalla adeguata caratterizzazione dei suoi diritti[51].
Aspetto che rimane tuttora impreciso.
28. A sua
volta, Francine Batailler-Demichel (1984)[52]
considerava la contrapposizione tra il diritto internazionale classico,
interstatale e le innovazioni del suo contenuto nello stesso momento in cui
rimane essenziale e strutturalmente interstatale[53],
ma comincia ad accogliere diritti dei quali gli stati non siano più gli
unici beneficiari, come
«i progressi
più spettacolari di diritto, la cui creazione risiede nella competenza
esclusiva degli stati»,
in
ambiti come la protezione internazionale dei diritti dell'uomo e i diritti dei
popoli, concretamente espressi nel diritto all'autodeterminazione[54].
29. In eco
alla frase di TERENZIO[55]
«homo
sum: humani nihil a me alienum puto»[56],
François
Rigaux nella sua opera “La legge
dei giudici” (1997)[57]
mostra l'estensione nella quale il diritto attraversa tutta la vita in
società:
«niente di
ciò che è umano è estraneo al diritto, che sottomette a
semplici comandi la molteplicità della realtà»[58].
E il
compito dei magistrati nel funzionamento di questi strumenti di regolazione
della vita sociale:
«occupano posizione strategica, per regolare
l’andirivieni tra il vocabolario degli specialisti e il parlare
quotidiano, movimento che si produce in entrambi i sensi. Per quanto esoterico
possa sembrare il linguaggio degli esperti del diritto, qualunque giudice che
debba basare la propria decisione su motivi circostanziali, si vede costretto a
rimettersi al significato comune dei termini, o alle regole di esperienza,
chiamate anche di senso comune (sens commun), o buon senso: così si
scopre che molte volte il diritto obbliga i propri esperti a ritradurre in un
linguaggio usuale il vocabolario che esso stesso costruì, destinato a
uso dei neofiti. Al contrario, alcuni strumenti normativi esprimono aspirazioni
fondamentali degli uomini e delle donne del loro tempo, e proclamano un
messaggio chiaro e anche esaltante, in pratica sono molto più complessi
da maneggiare. Questo è il caso, specialmente, della Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino,
del 26 agosto 1789, i cui principi furono ripetuti nel preambolo della
Costituzione della 5ª repubblica (francese), e il cui linguaggio
ispirò la Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, del 4
novembre 1950. Questi documenti sembrano
rimandare ad angoli di paradiso e promettono in termini accessibili a
tutti la libertà di espressione, la libertà di associazione,
l’uguaglianza di fronte alla legge, la protezione contro
l’arbitrarietà. Eppure, a partire dal momento che i giudici si
impossessano della supposta violazione di libertà fondamentale,
sviluppano discorsi che rivelano quanto siano incerte le frontiere degli spazi
protetti: la religione dei diritti dell’uomo si trasforma in culto
erudito»[59].
30. Come
interpreti del pronunciarsi a riguardo di una controversia particolare, di un
conflitto di interessi privati o di un conflitto tra l'interesse generale e una
libertà individuale, i giudici devono prima risolvere il conflitto tra
le leggi e, come enfatizza Rigaux,
«questo
conflitto non è solo tra ordini giuridici concorrenti, come quelli del
diritto internazionale privato o del diritto interterritoriale, la cui importanza statistica è ridotta,
nonostante le sia stata aggiunta la concorrenza tra il diritto
dell’Unione europea e il diritto interno degli stati membri. Anche
all’interno dell’ordine giuridico apparentemente unificato, non
mancano occasioni di conflitto che non smettono di moltiplicarsi, rispetto
all’entusiasmo legislativo e le diverse forme di controllo esercitate sul
legislatore: l’onnipotenza della legge unificante cedette di fronte al
controllo di costituzionalità o di conformità agli obblighi dello
stato, specialmente quelli provenienti dalla Convenzione di salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»[60].
In
questo modo, se il conflitto di legge è indotto dall'identificare come oggetto concreto, nel senso di
cosificare il contenuto delle norme poste in opposizione, nella maggior parte
delle volte basterà un modesto sforzo di relativizzazione dei concetti
per uscire dal conflitto.
Così
per Rigaux,
«l’efficacia
di certi metodi stereotipati, come il principio della gerarchia, presume che la
norma superiore che riguarda la costituzione o il trattato internazionale, sia
di una chiarezza cristallina, allontanando come per incanto, qualsiasi norma inferiore
incompatibile. Ora, la pratica giudiziaria insegna che le due norme sono
ugualmente soggette a interpretazione e che nella maggior parte delle volte il
giudice ha la capacità di conciliarle»[61].
31.
Secondo Rigaux[62],
«nessuna
teoria del diritto riesce a portare un metalinguaggio capace di inglobare una
rete di significati, atti a manifestare i modi di azione del sistema giuridico.
Le teorie non sono meno esitanti delle pratiche che si sforzano di chiarire e
l’autore di una sintesi dottrinale deve estendere ai propri metodi
l’atteggiamento di sospetto mantenuto riguardo alle fonti del diritto
positivo».
In
questo senso, il messaggio della dottrina è tanto più soggetta a
interpretazione quanto il discorso legislativo e le motivazioni giudiziarie. A
che titolo, in virtù di che e in nome di chi la scienza del diritto
– la più congetturale senza alcun dubbio di tutte le scienze
– assumerebbe il controllo del discorso di verità?
32. La questione centrale che si pone è
quella della costruzione del parallelismo tra il giuramento della plebe e la
situazione del diritto internazionale nel contesto post moderno, e qui si
inserisce l'obiettivo della presente relazione: come costruire l'anello tra due
eventi tanto diversi e distanti nel tempo? L’anello
sarà dato dall’elemento umano: in entrambi i casi si inserisce
l’effetto dell’azione umana, in cui gli uomini fanno sentire la
loro presenza rispetto
all’insieme dei dati e saranno i fatti nuovi che porteranno alla
riformulazione dei concetti finora vigenti.
Nel
diritto internazionale classico, il paradigma risiede nello statalismo
– gli stati come dato centrale – ed era il sistema concettuale
azionato dagli stati che imponevano il loro segno al sistema e lo facevano
funzionare in base ai loro interessi, o almeno in base al consenso, alla
costruzione dell'interazione tra questi enti statali che definivano l'esistenza
e l'azione del diritto internazionale dell'epoca e delle relazioni
internazionali proiettandovisi fortemente. Il popolo e gli uomini erano
più oggetto della politica degli stati che agenti che
segnavano tale politica.
33. Nel
diritto internazionale, nel contesto post moderno, si ha un cambiamento verso
la cosiddetta ‘umanizzazione’ del sistema, nel senso che in
esso si inseriscono come valori e principi da osservare e da applicare,
questioni come quella della protezione internazionale dei diritti fondamentali,
della protezione internazionale dell'ambiente – con l'emergenza di
definire concetti come quello dell'interesse comune dell'umanità –
e tutti i cambiamenti concettuali avvenuti nel diritto internazionale nel corso
degli ultimi decenni. Il passaggio dal principio di non intervento come
paradigma per l'autodeterminazione dei popoli come dato accolto dal diritto
internazionale, è un cambiamento non meno importante delle premesse e
del suo funzionamento, come sistema istituzionale e normativo internazionale.
La
trasformazione è in corso e non può sempre apparire chiara,
così come possono sempre essere indicate sfere e piani in cui queste
nuove aspirazioni ancora non si sono concretizzate adeguatamente. Ma questa
incompletezza non altera i cambiamenti strutturali in corso nel sistema.
34. La
dimensione umana irrompe nel senso che modifica le strutture (dallo statalismo) già vigenti e a
queste apporta trasformazioni strutturali irreversibili (verso l’umanizzazione) – se cambia la logica del
sistema cambierà tutto il suo funzionamento. Tutto il mutamento nel
sistema istituzionale e normativo internazionale viene riassunto in queste due
voci.
Il
sistema attuale viene frequentemente criticato perché, segnato dal
passaggio dal vecchio al nuovo, non è perfetto e finito. Tuttavia,
l'importante è soprattutto percepire
la dimensione del cambiamento avvenuto: il diritto internazionale classico
non esiste più né opera come tale, come invece avveniva in
passato quando era efficiente in quanto sistema normativo e operazionale, con i
dati con i quali operava.
Attualmente
è necessario indicare dei valori e dei nuovi parametri di condotta per
gli stati in modo che non siano considerati solo come tali, ma che sia
considerata la dimensione umana nel mondo del diritto e della politica
internazionale. Il che non è facile, non è stato fatto, né
si farà senza ostacoli. E senza contestazioni.
35.
Un'altra critica frequente riguarda la selettività dell'applicazione. E
la percezione dell'inconsistenza di applicazione non aiuta a rinforzare la
logica e il concatenarsi adeguato tra i valori, i principi e il funzionamento
del sistema.
L'autodeterminazione
dei popoli accettata nel diritto internazionale contemporaneo come criterio di
ordinamento della condotta non ha, in sé e per sé, l'equilibrio e
l'applicazione sistematica di questo criterio per tutti i casi, in cui si
tratta di popoli e la loro autodeterminazione – alcuni saranno più
autodeterminati di altri.
Questa
disarmonia rinforza le critiche di coloro che pensavano che il sistema
interstatale classico aveva, almeno, a modo suo, la coerenza tra i mezzi e i
fini. Il che, nel vecchio sistema, ha effetto ma non può essere
accettato per questo motivo, nonostante il dato centrale umano sarebbe,
così, escluso e a ciò si riconosce la centralità nel
sistema attuale.
36.
Machiavelli osserva, sempre nei Discorsi[63]:
«per la
invida natura degli uomini sia sempre suto non altrimenti pericoloso trovare modi
e ordini nuovi»;
ma sarà esattamente nella ricerca di
questi nuovi modi e ordini che si può realizzare la natura umana, nel
senso del perfezionamento della politica, sia interna che internazionale. Come
modo di sistemare la vita in società, come quella delle società
tra loro.
E, come
indica Machiavelli nei Discorsi
(libro primo, cap. 1), operano gli uomini o per necessità o per scelta
– gli uomini operano o per
necessità o per elezione – i cambiamenti avverranno per
effetto sia delle scelte sia delle necessità imperative, quando ha luogo
l'esaurimento del modello precedente e la necessità di affrontare i
nuovi tempi con nuove soluzioni. Tuttavia, come segnala ancora Machiavelli,
subito dopo, nello stesso passaggio dei Discorsi[64]
«di quella antica virtù non
ci è rimasto alcun segno».
37.
L'esaurimento del modello precedente porta alla necessità di trovare
nuove soluzioni a nuove sfide – come fece la plebe romana, o come si
cercò di fare - e tuttavia si cerca ancora – nel diritto
internazionale contemporaneo, tentando di collocare
la dimensione umana nel contesto operazionale del diritto internazionale
classico. Il risultato che nonostante tutto si incontra in fase di
trasformazione, non va giudicato se svincolato dal tempo e dai mezzi di cui
disponeva. Vi è un rapporto diretto e necessario tra gli strumenti umani
e il contesto temporale e culturale nel quale essi si inseriscono.
La
costruzione del diritto internazionale nel contesto post moderno è
ancora in itinere e non può essere considerata un prodotto pronto e
finito. Ma bisogna valutarla e capirla soprattutto alla luce del vecchio
sistema che non potrebbe più soddisfare le necessità del mondo
contemporaneo.
38. Il
collegamento tra la secessione della plebe nella tradizione repubblicana romana
e l’autodeterminazione dei popoli nel diritto internazionale nel mondo
contemporaneo[65]
non viene fatto in modo arbitrario, ma riprende il vero senso del diritto
internazionale, nel senso di un diritto naturale internazionale[66],
nel trovare la sua vera ragione di essere necessaria ed immutabile nella legge
di natura, dichiarava Christian Wolff, nel suo Jus gentium methodo scientifico pertractatum (1764)[67]:
«Jus Gentium
necessarium appellamus quod consistit in Jure naturae ad Gentes applicato.
Vocatur etim a GROTIO et aliis, qui eum sequuntur, Jus Gentium internum,
quatenus scilicet in conscientia gentes obligat. Dicimur etiam a nonnullis Jus
Gentium naturale»[68];
e aggiungeva Wolff:
«Quonian Jus
Gentium necessarium consistit in Jure Naturae ad Gentes applicato, Jus autem
naturae immutabile est»[69].
39. Il
fatto che tale diritto obbligava «in
conscientia gentes» porta ad un’interessante considerazione,
secondo Barile[70]:
«esiste
sicuramente più che una analogia fra il metodo di rilevazione attuale
della coscienza giuridica collettiva internazionale»
e quello adottato dagli autori
giusnaturalistici, che pure risultava travisato nei presupposti per il valore
immutabile ed eterno attribuito al diritto naturale internazionale:
«Ciò
premesso con riguardo alle connessioni fra la rilevazione dell’attuale
diritto internazionale non scritto (che viene ancora spesso attuata
dall’interprete con riferimento a fatti storici antichissimi, quali
quelli desunti dal diritto romano) e rilevazioni dell’antico diritto
naturale internazionale, è opportuno ora illuminare [...] i legami
obiettivi che esistono fra un dato ambiente di un passato meno remoto e
l’ordinamento internazionale moderno»[71].
40. In
sintesi, la grande trasformazione in corso nel diritto internazionale, nel
contesto post moderno, si presenta nel senso che si inserisce l'essere umano
come fine ultimo di ogni sistema legale. Questa trasformazione implica la
trasformazione dei parametri e dei modelli operativi, rispetto a ciò che
vigeva prima nel diritto internazionale classico, segnato dall'interstatalismo.
La
trasformazione si vide nella Repubblica romana quando si trattò di
inserirvi il sistema di protezione degli interessi della plebe, ossia il
popolo, accanto a quelli costituiti ed espressi dai patrizi, nel Senato. Il
turbamento del vecchio ordine è stato necessario perché si
costruisse un nuovo ordine che ha permesso la costruzione e il perfezionamento
del sistema istituzionale romano. Queste migliorie istituzionali sono state
componenti necessarie nel processo che portò la città di Roma a
trasformarsi in Repubblica romana, per poi diventare la capitale del grande
impero.
Roma,
sia nella tradizione repubblicana, sia nell’impero giunge fino a noi in
questo terzo seminario presentandosi come un mondo, ed una realtà il cui
potere diretto si estese per secoli e il cui impatto trasformatore si fece
paradigma concettuale dell'occidente, come lo considera Pierangelo Catalano
(2003 e 2001)[72]
e lo faceva Antonio Vieira, nella sua Storia
del futuro (1718)[73]
e questo si fa ancora sentire nei cambiamenti istituzionali e concettuali in
corso nell'ordine internazionale, quando si comincia ad accogliere i valori e i
principi come quello della protezione internazionale dei diritti fondamentali o
dei diritti dei popoli.
[1] Michael
Hewson CRAWFORD, The Roman republic
(Glasgow: Fontana / Collins, 1978, 4th impression, 1988, ‘historical
introduction’, 13-14): «The struggles between politicians during
the Republic were given free rein by the failure to develop communal
institutions for the maintenance of order; thus even legal procedure often
involved the use of an element of self-help, as in bringing a defendant to
court. Such a state of affairs perhaps did not matter greatly in a small rural
community, and the struggle of the orders, between patricians and plebeians,
was in the end resolved in the course of the fifth and fourth centuries b.C.
But when men turned to force in the late Republic to resolve political
differences, the result was catastrophic, with armies composed of many legions
rapidly involved».
[2] Tacito, Annali IV.32: «Molti dei fatti
narrati o che verrò narrando sembreranno forse di scarso rilievo e poco
degni di ricordo: ne sono consapevole; ma nessuno vorrà paragonare i
miei annali alle opere di scrittori che hanno composto gli antichi fasti del
popolo romano. Quelli avevano da ricordare, spaziando liberamente, conflitti
grandiosi, espugnazioni di città, re sconfitti o presi prigionieri e, se
passavano agli avvenimenti interni, contrasti tra consoli e tribuni, leggi
agrarie e frumentarie, lotte tra patrizi e plebei. La mia fatica ha orizzonti
ristretti ed è senza gloria: una pace stagnante o con brevi sussulti; a
Roma una realtà sconsolante e un principe non interessato a estendere
l'impero».
[3] La Politica contiene l’esposizione
del soggetto, ma quest’opera, tale come si presenta correntemente, forse
non corrisponde all’originale, e può essere stata messa insieme da
un editore, dopo la morte di Aristotele, il che non implica assolutamente nulla
riguardo la qualità dell’opera, genuinamente aristotelica, e
chiaramente riflette le sue concezioni sui modi socio-politici di sistemare la
vita comune, per il perfezionamento e il pieno sviluppo dell’uomo.
[4]
Christopher SHIELDS, Aristotle
(London: Routledge, first published, 2007, esp. Nine - Political Association,
350-374, cit. 350): «As a practical science, political science takes as
its end the realization of the human good. Thus, Aristotle’s fundamental
outlook in the Politics does not seek
to legitimate the state or justify its authority as an abridgement of
antecedently or independently existing rights»; Jean BRUN, Sócrates, Platão, Aristóteles
(dagli originali Socrate, 1960; Platon, 1961 e Aristote, 1961;
trad. Carlos
PITTA, Filipe JARRO e Liz da SILVA, Lisboa: Dom Quixote, 1994, III.II, cap. ix, item 7, ´ética e
política’, 287-288): «Celebre è la definizione di
Aristotele secondo cui l’uomo è un ‘animale politico’;
abbiamo già visto che Aristotele, nella Etica a Nicomaco, affrontò il problema di vedere il motivo
per cui la giustizia era, anch’essa, un giusto equilibrio: ma è
soprattutto nella Politica che
troviamo analizzati i diversi problemi scaturiti dall’organizzazione
della città».
[5] Così
potrà perfezionarsi il diritto internazionale, nel mondo post-moderno,
nel nostro secolo. In questo senso, P.B. CASELLA, Fundamentos do direito internacional pós-moderno (São
Paulo: Quartier Latin, 2008) brano
tradotto in italiano: «se fino alla sua estinzione
l’umanità non avrà causato la propria distruzione, sia con
armi atomiche o convenzionali, sia producendo un inquinamento tale da rendere
invivibile la vita sul pianeta, o immaginando una fine ancor più
prosaica e tragica, chissà che non moriremo tutti di sete, come
risultato di perversi effetti combinati del riscaldamento globale, dell’aumento
del livello degli oceani, con la riduzione di acqua potabile e delle foreste
nel pianeta. Chissà che l’umanità non abbia nemmeno bisogno
di armi atomiche per farla finita su questa terra!».
[6] Plato, Menexenus (“with an English
translation” by R.G. BURY, Plato, vol. IX, 1st. publ., 1929, reprinted
1989, 329-381, cit. par. 238-C): Πολιτεία
γὰρ τροφὴ
ἀνθρώπων
ἐστίν, καλὴ μὲν
ἀγαθῶν, ἡ δὲ
ἐναντία κακῶν.
[7] L’imperatore
brasiliano Don Pedro II (1825-1891), sulla politica, osservava che
“nessuna legge è riuscita a fare di una Messalina una
vestale” – oppure, nenhuma
lei fez vestal da Messalina. I nostri tempi dimostrano che aveva ragione.
[8] In
questo senso, P.B. CASELLA, Direito
internacional dos espaços (São Paulo: Atlas, 2009); Lewis
MUMFORD, The city in history (first
published, 1961, New York: Penguin – Peregrine Books, 1987). Quello che si desidera
non esiste necessariamente, lo dimostra Italo CALVINO, Le città invisibili (Torino: Einaudi (c) 1972, impr. 1984,
16): «I desideri sono già ricordi».
[9] Da vedere anche, P.B.
CASELLA, Fundamentos (op. cit., 2008,
cap. XI, ‘creatio ex nihilo: justiça e força’,
831-876).
[10] N. MACHIAVELLI, Discorsi (in Tutte le opere, a cura di Mario MARTELLI, Firenze: Sansoni, 1971,
73-254); v. tb. edizione brasiliana MAQUIAVEL, Comentários sobre a primeira década de Tito-Lívio
(trad. Sérgio
BATH, Brasília: Ed. UnB, 1979); Celso LAFER, Ensaios sobre a liberdade (São Paulo: Perspectiva, 1980,
cap. 1. ‘O moderno e o antigo conceito de liberdade’, 11-48, cit. 26) brano tradotto in italiano: «Sono
pochi coloro che, come il Machiavelli dei Discorsi
sopra la prima deca di Titio Livio – un testo di ispirazione
polibiana – vedono i contrasti, anche tra le classi, la disarmonia e non
l’armonia, come causa delle buone leggi che predispongono alla libertà».
[11] MACHIAVELLI, Discorsi (ed. cit., 1971, l. I. c. 2,
‘Di quante spezie sono le republiche e di quale fu la republica
romana’, 78-81, cit. 79): «Talché, felice si può
chiamare quella republica, la quale sortisce un uomo sì prudente, che gli
dia leggi ordinate in modo che, sanza avere bisogno di ricorreggerle, possa
vivere sicuramente sotto quelle. E si vede che Sparta le osservò
più che ottocento anni sanza corromperle, o sanza alcuno tumulto
pericoloso».
[15] MACHIAVELLI, Discorsi (ed. cit., 1971, loc. cit.):
«talché, essendo in quella republica i Consoli e il Senato, veniva
solo a essere mista di due qualità delle tre soprascritte; cioè
di Principato e di Ottimati».
[16] MACHIAVELLI, Discorsi (ed. cit., 1971, loc. cit.):
«dopo la quale creazione venne a essere più stabilito lo stato di
quella republica, avendovi tutte le tre qualità di governo la parte
sua».
[17] Secondo Vincenzo
ARANGIO-RUIZ, nella sua Storia del
diritto romano (Napoli: E. Jovene, settima edizione riveduta con note
aggiunte, ristampa anastatica, 1977, cap. III, ‘L’organizzazione della plebe e le sue conquiste politiche’,
43-54): «l’ipotesi da noi preferita circa il fondamento della
distinzione fra i due ordini [patriziato e plebe] sarebbero latini i plebei,
oltre gl’immigrati che per varie ragioni si stabilirono nel territorio
romano dopo la fondazione della Città, gli abitanti dei prischi villaggi
del Palatino e dell’Esquilino; sono invece patrizi gli etruschi che
conquistarono il Settimonzio e fondarono la civitas
propriamente detta». Nello sviluppo dei rapporti tra queste due ordini,
«Di fronte alla tenace resistenza patrizia, la lotta dei plebei per
l’eliminazione dei privilegi economici e politici assume una forma
tipicamente rivoluzionaria: mezzo di coazione preferito è la secessione,
abbandono della città da parte di tutti i plebei validi, con conseguente
rifiuto di prestare il servizio militare; organi rivoluzionari permanenti le
magistrature plebee [...] La più tipica fra queste magistrature è
il tribunato. La tradizione più diffusa l’afferma istituito nel
494, dopo la prima e celeberrima secessione sul monte Sacro».
[18] V. ARANGIO-RUIZ, Storia del diritto romano, cit., cap.
III, 48-49): «tutto il popolo volle assicurato alla plebe il rispetto dei
suoi magistrati. Come infatti quella si era costituita in stato entro lo stato,
le relazioni fra i suoi organi e quelli del popolo romano nel suo complesso
avevano caratteri che le avvicinavano ai rapporti internazionali: posto
ciò, se pure i termini dell’accordo hanno trovato espressione in
una legge del comizio centuriato, questa ebbe un valore non dissimile da quello
che hanno oggi le ratifiche dei trattati internazionali da parte degli organi
legislativi dei singoli stati contraenti».
[20] MACHIAVELLI, Discorsi (ed. cit., 1971, l. I, c. 4,
‘Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece libera e potente
quella republica’, 82-83, cit. 82).
[21] MACHIAVELLI, Discorsi (ed. cit., 1971, l. I, c. 4,
82) nei quali «che considerino più ai romori e alle grida, che di
tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti che quelli partorivano, e
che e’ non considerino come e’ sono in ogni repubblica due umori
diversi, quello del popolo e quello de’ grandi, e come tutte le leggi,
che si fanno in favore della libertà, nascono della disunione loro, come
facilmente si può vedere essere eseguito in Roma; perchè dai
Tarquini ai Gracchi, che furanno più di trecento anni, i tumulti di Roma
rade volte partorivano esilio e radissime sangue».
[26] Nella sua indagine
sulla legittimità tra le Nazioni, Thomas M. FRANCK, The power of legitimacy among Nations (New York / Oxford: Oxford
U.P., 1990).
[27] FRANCK
(op. cit., 1990, 13. ‘Postlude: why not Justice?’, 240):
«awareness of separation and spirit of accommodation was not always
prevalent in the West and is not evident in parts of the world even today.
Machiavelli has written of Numa Pompilius, who, succeeding Romulus as the head
of the Roman state, that he returned to religion as the instrument necessary
above all others for the maintenance of a civilized state […] It was
religion which facilitated whatever enterprise the Senate and the great men of
Rome designed to undertake […] Since NUMA’s day, there has been no
shortage of rulers who have erased the distinction between moral and secular
orders so as to be perceived to be validated by both. Even today, it is an
increasing battle, even in established liberal democracies, to keep the two
orders to be perceived as one».
[28] Ferdinand
GREGOROVIUS, Storia di Roma nel Medioevo
(dall’originale tedesco Geschichte
der Stadt Rom im Mittelalter, a cura di Vittoria CALVANI e Pia MICCHIA,
Roma: Newton Compton Ed., 1971, nuova edizione, 1989).
[29] GREGOROVIUS, Storia di Roma nel Medioevo, vol. terzo,
libro decimo, ‘Storia della città di Roma dall’anno 1260
all’anno 1305’, cap. 6, 460-484, cit. 460-461: «Bonifacio
diede forma e sanzione ufficiale con la bolla del giubileo promulgata il 22
febbraio 1300, in cui si prometteva l’assoluzione plenaria a tutti coloro
che avessero visitato entro l’anno le basiliche di S. Pietro e S.
Paolo».
[32] MACHIAVELLI, Discorsi (ed., cit., l. I, cap. 5,
‘dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o
nel Popolo o ne’ Grandi; e qualli hanno maggiore cagione di tumultuare, o
chi vuole acquistare o chi vuole mantenere’, 83-84): «E ne danno
per esemplo la medesima Roma, che, per avere i Tribuni della plebe questa
autorità nelle mani, non bastò loro avere un Consolo plebeio,
ché gli vollono avere ambedue. Da questo ei vollono la Censura, il
Pretore, e tutti gli altri gradi dell’imperio della città:
né bastò loro questo che, menati dal medesimo furore,
cominciorono poi, col tempo, a adorare quelli uomini che vedevano atti a
battere la Nobilità; donde nacque la potenza di Mario e la rovina di
Roma».
[34] TITO LIVIO, História de Roma – ab urbe condita libri (introduzione,
traduzione e note di Paulo Matos PEIXOTO, São Paulo: Paumape, 1989, 6
vols.).
[36] In questo senso
Benedetto CONFORTI, nel suo International
law and the role of domestic legal systems (“updated version of
author’s general course on public international law given at the Hague
Academy of International Law in 1988, an published in the Recueil des Cours,
volume 212 (1988-V)”, translated by René PROVOST in collaboration
with Shauna Van PRAAGH, The Hague: Kluwer Law International, 1993) parla dello
sviluppo del diritto internazionale nel secolo scorso, dove ha avuto luogo un
ampliamento delle ‘competenze’ e delle materie che fanno parte del
cosiddetto ‘ambito internazionale’, mentre invece rimarrà al
secolo presente il compito di adempiere oppure assicurare che vengano eseguite
– la mise en application
– queste nuove necessità.
[37] A sua volta,
Emmanuelle JOUANNET, À quoi sert le droit international?
Le droit international providence du XIXe siècle (in Revue belge
de droit international, 2007/1, Bruxelles: Bruylant, 5-51): «Une
logique juridique et politique à l’oeuvre depuis 1945 dans le
droit international contemporain qui fait de lui un droit international
providence. C’est un droit qui intervient partout, et qui cherche
à combler les déséquilibres économiques, sociaux,
écologiques et sanitaires de la planète. Mais ce faisant, il
suscite des attentes et contient des promesses, qu’il ne pourra
peut-être pas tenir». Così conviene mantenere il diritto
internazionale entro limiti eseguibili, per conservare la sua forza
«limites que l’on devrait fixer au droit international pour lui
rendre sa véritable force».
[38] G.
ARANGIO-RUIZ presenta lo sviluppo del concetto nel sistema internazionale nel
suo Le domaine réservé:
l’organisation internationale et le rapports entre droit international et
droit interne (in RCADI, 1990, t. 225, 9-484).
[39] P.B. CASELLA, Tratado de Versalhes na história do
direito internacional (São Paulo: Quartier Latin, 2007).
[41] MACHIAVELLI, Discorsi (ed. cit., 1971, l. I, c. 3,
82), nella stessa frase, prosegue: «dove la elezione abbonda, e che vi si
può usare licenza, si riempie subito ogni cosa di confusione e di
disordine».
[45] Denis
AKÇAY, Représentation et
représentativité: l’inévitable association (in Le droit des peuples à disposer
d’eux-mêmes: méthodes d’analyse du droit international
– Mélanges offerts à Charles Chaumont, Paris: Pedone,
1984, 1-9).
[46] D.
AKÇAY (op. cit., 1984, 1): «Si les discours
de certains milieux multiplient les références à ces
principes [comme celui du droit des peuples à disposer
d’eux-mêmes ou de la non-intervention], il est à remarquer
que mises à part les violations graves perpétrées par certains
États, la pratique soit des États, soit des organisations
internationales n’a pas contribué à une évolution
ultérieure de ces principes».
[48] D.
AKÇAY (op. cit., 1984, 8): «La distanciation
n’épargne pas la représentation internationale qui, elle
aussi, relève d’un espace de mythification très puissant,
celui de l’intérêt national».
[49] D.
AKÇAY (op. cit., 1984, 9):
«L’instauration d’une association normative entre la
représentation et la représentativité n’en constitue
qu’une étape qui, une fois franchie, déclenchera
l’équivalence des différents systèmes et ordres
juridiques. Naturellement il s’agira d’une équivalence
tendancielle découlant de la disparition des principes mythifiants
actuels».
[50] Suzanne
BASTID, Les droits des peuples dans le
plan à moyen terme (1984-1989) de l’U.N.E.S.C.O. (in Le droit des peuples à disposer
d’eux-mêmes: méthodes d’analyse du droit international
– Mélanges offerts à Charles Chaumont, cit., 11-22).
[51] S. BASTID (art. cit.,
1984, 17) riferiva le considerazioni formulate dalla delegazione
dell’Australia nella riunione dell’UNESCO, realizzata a Belgrado
nel 1980, rispetto alle necessità di precisare tanto il contenuto quanto
l’estensione da attribuire ai diritti dei popoli, nel senso che «le concept de
droit des peuples reste imprécis, s’agissant aussi bien de la
notion de peuple que de la nature des droits».
[52] Francine
BATAILLER-DEMICHEL, Droits de
l’homme et droits des peuples dans l’ordre international (in Le droit des peuples à disposer
d’eux-mêmes: méthodes d’analyse du droit international
– Mélanges offerts à Charles Chaumont, cit., 23-34).
[53] F.
BATAILLER-DEMICHEL (cit., 1984, 23):
«Le droit international demeure le droit des États. Et il est sans
doute nécessaire qu’il en soit ainsi dans une
société fondamentalement conflictuelle où nulle instance
ne saurait avoir l’autorité indispensable pour imposer aux
États quelque règle de conduite que ce soit. Pour autant les
progrès du droit international ne consistent pas uniquement dans
l’amélioration des modalités de relation entre
États».
[54] F.
BATAILLER-DEMICHEL (cit., 1984, 23):
«L’État est encore, et sans doute pour assez longtemps, la
structure de pouvoir la plus achevée, celle qui permet le mieux
l’expression des forces populaires en lutte, tant dans la
société internationale, qu’à
l’intérieur de la nation. Dès lors, seul
l’État est en mesure de se dépasser lui-même en
s’imposant le respect des hommes qui le composent, des peuples qui en
sont la base. Et c’est ainsi que droits de l’homme et droits des
peuples se trouvent être le point central où se
révèlent les contradictions dialectiques et les progrès
effectifs de la société internationale contemporaine».
[55] Terence, Comédies (texte établi et traduit par J. MAROUZEAU, Paris:
Société d’édition "Les belles lettres",
1964, 3 vols., si presenta l’Heautontimoroumenos
nel secondo volume, 7-101).
[58] F. RIGAUX (op. cit.,
1997, ‘ouverture’, 7-11, cit. 7-8):
«L’expérience quotidienne est elle-même à ce
point imprégnée de ses préceptes que chacun pourvoit aux
besoins les plus élémentaires de l’existence en prononçant
les paroles du droit et en s’engageant dans quelques-unes au moins des
multiples opérations de l’activité juridique: vendre ou
acheter, prendre en location, céder sa force de travail, se marier,
avoir des enfants».
[59] F. RIGAUX (op. cit., 1997, loc. cit.) prosegue:
«Les praticiens – et trop souvent, les théoriciens enclins
à s’aligner sur la pratique ambiante – ont tendance à
déguiser leur activité sous des formules qui en masquent le
ressort. En réponse à cette obscurité savamment
entretenue, le présent ouvrage se voudrait une mise au jour des
principes sur lesquels se fonde le raisonnement judiciaire. / On peut citer,
parmi les vaches sacrées de la philosophie spontanée des
juristes, la recherche du sens littéral, la théorie de
l’acte clair, le devoir du juge d’obéir à la loi, la
distinction entre le fait et le droit, la démarcation des cas faciles et
des cas difficiles, l’idée que pour toute question litigieuse il
n’existerait qu’une seule solution correcte. Ces lieux communs de
la pensée juridique participent à une taxinomie binaire, c’est-à-dire
à une méthode de raisonnement traçant une
démarcation rigide entre la face positive et la face négative de
toute réalité. Toutefois, la multiplicité des
règles ayant vocation à appréhender les faits complique ce
que les juristes voudraient spontanément pouvoir tenir pour une
opération logique de qualification».
[60] F. RIGAUX (op. cit., 1997, 8-9): «Certaines
erreurs communes de la théorie juridique sont aisées à
débusquer, dès qu’on prend la peine de les apercevoir
– la distinction du fait et du droit ou l’idée que seuls les
textes ambigus donneraient lieu à l’interprétation, par
exemple. Mais on découvre aussi, chemin faisant, que les outils de
l’analyse ne sont pas moins incertains, voire trompeurs. Il en est du
conflit des lois comme du principe de l’hiérarchie ou de la
méthode de pondération des intérêts: autant de
chevilles qui ont paru utiles pour l’assemblage des pièces, mais
dont on s’aperçoit à la fin du jour qu’elles ne sont
guère moins mystificatrices que la doctrine de l’acte clair ou la
distinction du fait et du droit».
[61] F. RIGAUX (op. cit., 1997, loc. cit.): «De même, la méthode de
pondération des intérêts, tant prônée par les
jurisprudences allemande et américaine, entretient une
représentation illusoire de la justice qui tient la balance égale
entre les droits individuels ou entre les normes en conflit. Portée
à son terme, la méthode conduit nécessairement à
donner la primauté à l’intérêt qui pèse
le plus lourd et fait pencher le fléau d’un côté ou
d’autre. Quant au conflit de normes, il est évacué par
l’adjonction d’une règle nouvelle départageant le
champ contesté».
[62] F. RIGAUX, La loi des juges (op. cit., 1997,
‘ouverture’); v. tb.: Jean-Pierre BORLOO, Pauvre justice: ou l’inégalité des citoyens devant
la loi (Bruxelles: EPO, 1997); Dalmo de Abreu DALLARI, O poder dos juízes (São Paulo: Saraiva, 1996); Philip
K. HOWARD, The death of common sense: how
law is suffocating America (New York: Warner Books, 1994); Olivier
JACOT-GUILLARMOD, Le juge national face
au droit européen: perspective suisse et communautaire (Basilea e
Frankfurt: Helbing & Lichtenhahn / Bruxelles: Bruylant, 1993); Christine
MATRAY, Le chagrin des juges: essai sur
une crise exemplaire (préface d’Antoine GARAPON, Bruxelles:
Ed. Complexe,
1997); Régis Fernandes OLIVEIRA, O
juiz na sociedade moderna (São Paulo: FTD, 1997); Felipe Augusto de
Miranda ROSA e Odila Dinorá de Alagão CANDIDO, Jurisprudência e mudança social
(Rio: Jorge Zahar, 1988); Harold J. ROTHWAX, Guilty: the collapse of criminal justice (New York: Random House, 1996).
[65] Così lo
presentava Antonio CASSESE, Il diritto
internazionale nel mondo contemporaneo (dall’originale International law in a divided world,
trad. Rosario SAPIENZA, Bologna: Il Mulino, 1984), poi semplicemente pubblicato
come International law (Oxford: UP,
2nd. ed., 2005).
[66] Giuseppe BARILE, Lezioni di diritto internazionale
(Padova: Cedam, 1977, cap. I, ‘La comunità cristiana medievale
precedente diretto della comunità internazionale moderna’, 15-23,
cit. 16): «Tuttavia, nonostante questa teorica affermazione,
anch’esso rientrava nella storia, perché i c.d. fondatori del
diritto internazionale tendevano, essi pure, in ultima analisi, a dimostrare il
diritto internazionale come del resto lo jus
voluntarium gentium (rilevabile da una volontà presunta), attraverso
fatti, sia pure remoti e lontanissimi, desunti per l’appunto dalla
storia».
[67] Christian WOLFF, Jus Gentium methodo scientifico pertractatum
(Francoforte e Lipsia, 1764, riproduzione fotografica nella collana The Classics of International Law, ed.
by James B. SCOTT, Oxford e Londra, 1934).
[71] BARILE (op. cit., 1977, 16): «Tale
ambiente è quello costituito dalla comunità cristiana medievale,
legato, a nostro avviso, da un filo logico-storico diretto a quello in cui vive
il diritto internazionale attuale».
[72] Pierangelo CATALANO, Império, povo, costumes, lugar,
cidadania, nascituros. Alguns elementos da tradição
jurídica romano-brasileira (pubblicato nel volume Estudos em homenagem a José Afonso da
Silva, 2003); Pierangelo CATALANO, Spes
contra spem: sobre imigração, defesa da vida, cidadanias
continentais, nascituro, Roma americana, dívida externa e autoridade
pública universal (intervento introduttivo, XVIII Seminario
Roma-Brasília, Identidade
jurídica da América Latina: integrações
continentais e globalização, Brasília, 23-25 de agosto
de 2001); R. POLETTI, A ideia brasileira
de Império (in Direito,
política, filosofia, poesia
– estudos em homenagem ao prof. Miguel Reale, no seu octogésimo
aniversário, coord. C. LAFER e T. Sampaio FERRAZ Jr., São
Paulo: Saraiva, 1992, 549-563).
[73] Antonio VIEIRA, S.J., História do futuro – livro
anteprimeiro. Prolegômeno a toda a história do futuro, em que se
declara o fim e se provam os fundamentos dela. Matéria, verdade e
utilidade da história do futuro (ed. original, Lisboa: Oficina de
Antonio Pedroso Galram, 1718, organizador José Carlos Brandi ALEIXO,
Brasília: Ed. UnB, 2005, 385-386): «havia de se acabar seu mando,
seu poder, seu império, sua soberania, como verdadeiramente se acabou a
dos Assírios pela sucessão dos Persas, dos Persas pela
sucessão dos Gregos, e a dos Gregos pela sucessão dos Romanos, e
se acabará também a dos Romanos pela sucessão do Quinto
Império».