N. 9
– 2010 – Contributi
MODELLI
DI FEDERALISMO FISCALE, CANADA E ITALIA A CONFRONTO[1]
Università
di Sassari
Sommario: 1. Premessa.
– 2. Canada:
il contesto federale. – 2.1. Il potere di imposizione. – 2.2. Il
potere di spesa. – 2.3. La fiscal imbalance. – 3. Italia: Il contesto regionale. – 3.1. L’attuazione del federalismo
fiscale. – 3.2. Il potere di imposizione. – 3.3. Il
potere di spesa. – 3.4. La perequazione fiscale. – 4. Conclusioni.
Il federalismo fiscale studia i ruoli e le relazioni finanziarie
dei governi negli Stati caratterizzati da più livelli di decisione
finanziaria. La struttura costituzionale[2]
conserva un peso fondamentale nella definizione del modello di federalismo
fiscale, consente di distinguere il federalismo dal decentramento, e tutto
ciò che consegue sotto il profilo dei rapporti centro–periferia e
delle garanzie che li assistono. La descrizione delle soluzioni costituzionali
e legislative individuate dai diversi Stati per distribuire il potere
finanziario tra livelli di governo consente di far luce sull’esistenza di
modelli comuni a diversi ordinamenti e di esprimere valutazioni di merito e di
congruenza tra la realtà di uno specifico ordinamento e il
“modello” di riferimento. L’analisi che segue mette a
confronto due ordinamenti dalle caratteristiche costituzionali e organizzative
diverse (federale uno, regionale l’altro) ma con alcuni problemi comuni
ai sistemi federali e regionali.
Il Canada costituisce un esempio di federalismo dinamico e
asimmetrico, nel quale la ripartizione dei poteri tra la Federazione e gli enti
decentrati, ovvero le Province e i 3 Territori del Northwest, Yukon, Nunavut[3],
pur essendo fondata su solide basi costituzionali, si caratterizza per una
notevole flessibilità di applicazione[4].
In questo senso quello canadese è un caso esemplare di federalizing process, capace di
sperimentare e innovare le relazioni tra centro e periferia. La scelta federale
si è tradotta in una formula del tutto peculiare di distribuzione delle
funzioni tra livelli di governo. Secondo la section
91 del British North America Act
(BNA) 1867 la Federazione ha poteri normativi nelle materie ivi previste, che
sono, tra l’altro, debito pubblico, proprietà, disciplina del
commercio, difesa, moneta e sistema bancario, penale, imposizione fiscale e ogni altra materia
non espressamente attribuita alle Province (residual
power). L’elenco delle attribuzioni federali è preceduto da
una formula che consente al Parlamento di approvare leggi al fine di assicurare
peace, order and good government of
Canada, in relazione alle materie
che non sono riservate alle Province. Si tratta chiaramente di una
disposizione che, assieme al riconoscimento del potere generale di imposizione,
avrebbe dovuto assicurare, nelle intenzioni dei costituenti, la preminenza
della Federazione sui governo provinciali[5].
Una clausola, quella del peace, order and
good government (POGG), che ha impegnato gli interpreti e la giurisprudenza
costituzionale[6]
e che è destinata a conservare una natura aperta. Alla Federazione viene
inoltre riservato il potere di attingere fondi dal Coinsolidate Revenue Fund per i public service (section 91-2A).
Alcuni emendamenti al BNA hanno attribuito alla Federazione la
competenza sull’assicurazione per la disoccupazione (1940) e una
competenza concorrente sul sistema delle pensioni (section 94 A). Altre materie sono di legislazione concorrente, come
l’agricoltura e l’immigrazione (section
95 BNA).
Alle Province viene riconosciuto, dalla section 92 del BNA, il potere di legiferare nelle materie ivi
elencate, che sono di interesse locale o privato, come gli ospedali, gli asili,
le prigioni; dalla section 93 del
BNA, la competenza esclusiva in materia di istruzione.
La separazione è però tutt’altro che rigida,
sia perché alcune materie, come ad esempio l’imposizione, sono
attribuite ad entrambi i livelli, sia perché alcune competenze sono
strumentali per funzioni diverse e vengono attratte (ad es. con i
finanziamenti) da altre, sia infine, perché l’importanza o anche l’esistenza
di alcune competenze non aveva rilievo al momento della scrittura del BNA 1868[7].
Sovrapposizione di competenze, concorrenza di materie e responsabilità
condivise sono tre modi di definire i caratteri del federalismo canadese, che
rispondono alla complessità delle funzioni di uno Stato moderno, alla
difficoltà di distinguere ciò che è locale da ciò
che è nazionale, al maggior impegno richiesto agli Stati in
società globalizzate e tuttavia legate al welfare state.
Il Constitutional Act
1982, con il quale è stata riconosciuta l’indipendenza del Canada,
non ha alterato l’assetto dei rapporti tra Federazione da una parte,
Province e Territori dall’altra. Perciò il cuore della divisione
dei poteri tra Federazione e Province continuano ad essere le sections 91 e 92 del BNA 1867, integrate
da altre sections dello stesso e del Constitutional Act 1982. In particolare,
per la distribuzione dei poteri fiscali assume rilievo, oltre alla Carta dei
diritti[8],
l’art. 36 (Equalization and
Regional Disparities), che assegna a Federazione e Province, senza
alterazione delle rispettive competenze, il compito di promuovere eguali
opportunità per il benessere dei canadesi; portare avanti iniziative
tese a rimuovere la disparità e fornire servizi pubblici essenziali di
ragionevole qualità. Il secondo comma dispone inoltre che il Parlamento
e il Governo del Canada sono chiamati a interventi di perequazione nei
confronti delle province per garantire che queste forniscano livelli
ragionevolmente comparabili di servizi pubblici per livelli ragionevolmente equiparabili
di tassazione.
Il Constitutional Act
1982 ha confermato inoltre la distribuzione orizzontale dei poteri affermatasi
per via convenzionale, che è di tipo parlamentare e di ispirazione
britannica[9],
tende cioè a concentrare il potere nell’esecutivo e non è
una divisione rigida[10].
Quella canadese è una democrazia parlamentare e federale che non ha una
seconda camera rappresentativa dei territori[11],
ma che ha trovato altre forme di raccordo tra centro e periferie nelle c.d. intergovernmental relations. La prevalenza
dell’esecutivo federale e degli esecutivi provinciali sulle altre
istituzioni viene garantita sia a livello politico (negli incontri di vertice)
sia a livello amministrativo, attraverso la incessante collaborazione tra
amministrazioni per implementare le politiche federali[12].
La prassi fornisce una varietà di sedi e procedure
negoziali; fino agli anni ‘90 la più importante è stata la
federal-provincial First Ministers’
Conference (FMCs), nella quale il Prime Minister e i Premiers affrontano le
questioni più importanti della Federazione e adottano le linee
fondamentali dell’azione politica federale[13].
È la struttura che, a dispetto dell’informalità che la
caratterizza, concentra i maggiori poteri della Federazione ed è in
grado di assumere decisioni di notevole rilievo. La FMCs si riunisce
generalmente a Ottawa e viene convocata dal Premier, che indica anche
l’ordine dei lavori[14].
La FMcs ha conosciuto il maggiore sviluppo negli anni ’70, costituendo
una segreteria permanente nel 1973, ed è stata protagonista di alcune
tappe fondamentali delle ralazioni tra Federazione e Province, facilitando
accordi come il CAP e agreements
relativi alla distribuzione dei poteri fiscali e di spesa[15].
Tuttavia, negli anni ’90 essa ha iniziato un lento declino,
lasciando spazio a forum informali, quali la First Ministers’ Meetengs (FMMs).
Una sede che sta acquistando rilievo e stabilità è
la conferenza dei Premiers delle
Province (non di quello federale) che si tiene annualmente, dal 2003, il Council of the Federation, con una
cadenza semestrale e l’intento di presentare un fronte unitario al
Governo federale. Altre sedi importanti
sono i Ministerial Meetings,
ai quali si affiancano altre conferenze, interprovinciali, bilaterali, nelle
quali vengono affrontati i problemi politico-amministrativi più
rilevanti. Tendono ad essere regolari e ad avere un supporto stabile con una
segreteria a tempo pieno e una documentazione scritta.
Per quanto riguarda le relazioni finanziarie, un ruolo
fondamentale hanno gli incontri tra finance
ministers. Pur con diversa periodicità, questi incontri si occupano
di coordinare le decisioni di finanza pubblica, di armonizzare il sistema
tributario e di controllare la spesa[16].
La prima area ha conosciuto notevole sviluppo fino agli anni ’90, la seconda
ha funzionato da traino agli agreements,
la terza è oggetto di molti conflitti negli anni più recenti[17].
L’obiettivo degli incontri è quello di dare continuità alle
consultazioni e alle negoziazioni sui temi finanziari, ma anche assicurare una
corretta condivisione di strumenti (dati, rapporti dei comitati tecnici, ecc)[18].
la capacità dei meccanismi di raccordo di garantire il miglior
coordinamento possibile della finanza pubblica, dipende ovviamente dal contesto
politico e istituzionale e dalle condizioni economiche nelle quali intervengono
i rapporti tra Federazione e Province. Le riunioni di questi organismi non sono
pubbliche[19],
e anche se negli anni 2000 gli accordi sono diventati più dettagliati,
vengono criticate da quanti ritengono queste prassi contrarie ai principi
democratici di trasparenza e responsabilità[20].
Molti incontri tra esponenti di governo sono semplici dibattiti e
forme di sollecitazione o persuasione, ma il più delle volte si
traducono in agreements. Gli agreements sono il risultato delle intergovernment relations e non hanno
una disciplina costituzionale o legislativa, non sono vincolanti se non per
comune accettazione dei sottoscrittori. Benché essi contengano clausole,
sections come gli atti normativi, non
hanno natura legislativa, come ha confermato la Corte Suprema[21].
Essi dipendono dal rispetto della convenzione che riconosce la
possibilità ad ogni attore di sottostare per un certo tempo a quanto
sottoscritto, ma nessun governo per esempio è tenuto a rispettare gli
accordi conclusi dal precedente esecutivo[22].
Molto spesso di essi non vi è alcuna traccia negli Acts
del Parlamento e delle assemblee provinciali[23],
o al più si trova un riferimento in un Vote che autorizza il Governo a concludere accordi[24].
Gli agreements concorrono anche a
diversificare la situazione dei territori e del Quebec. I maggiori limiti sono
dati dal fatto che manca un adeguata accountability,
perché Parlamento e assemblee provinciale sono escluse dalle decisioni[25].
Tuttavia, è impossibile ignorare il ruolo che hanno avuto
nel definire le relazione finanziarie tra Federazione e Province[26].
Gli agreements riguardano sia l’esercizio delle funzioni impositive che
quelle di spesa, come pure aspetti connessi. Ad esempio, una riforma fiscale
può essere il risultato di una specifica azione del Governo, ma spesso
consegue a accordi o è parte del processo di bilancio[27].
È importante ricordare che la natura politica prima che burocratica
delle relazioni tra livelli di governo, rende estremamente sensibili le relazioni
tra i due livelli al contesto politico e partitico generale.
I Costituenti canadesi hanno cercato di introdurre una divisione
netta tra Federazione e Province, ma nel concreto funzionamento quello canadese
è divenuto un federalismo interdipendente, allineandosi a quello che
sembra essere lo sviluppo del federalismo contemporaneo.
L’interdipendenza tra livelli di governo richiede una continua
interazione su diverse policies, ma
non comporta necessariamente che un livello sia subordinato all’altro. Il
federalismo e il parliamentary government
hanno assicurato la funzionalità del sistema facendo riferimento al
ruolo dominante del potere esecutivo sia a livello federale sia a livello
provinciale[28]. La caratteristica del federalismo
canadese è quella di cercare di instaurare relazioni intergovernative
nel maggior numero possibile di casi, e con la massima libertà di
azione, per realizzare specifiche policies[29].
Il successo del modello è dovuto alla struttura politica
canadese, incentrata sul dominio degli esecutivi (intrastate federalism), anche se vi sono delle controindicazioni
per l’adozione di decisioni poco trasparenti e prive del controllo
parlamentare. Ma è anche l’espressione di un paese dove convivono
Province che vengono percepite o si sentono nazioni, tra le quali le relazioni
intergovernative sembrano piuttosto relazioni interstatali (interstate federalism)[30].
Nel corso di oltre un secolo, gli equilibri tra Federazione e
Province sono cambiati[31].
L’evoluzione della forma di stato canadese e dei rapporti tra livelli di
governo, ha risentito delle difficili relazioni politiche tra culture e popoli
diversi, delle crisi economiche che hanno colpito il paese nel secondo
dopoguerra e nel primo decennio del terzo millennio. Nei momenti di difficoltà,
il Governo federale si è reso protagonista di un enlargment of powers che ha messo in discussione i principi del
governo federale, ed in particolare l’indipendenza e autonomia dei
diversi livelli di governo. ma in genere esiste un notevole equilibro tra i due
livelli, anche se quello federale conserva una serie di poteri, che gli vengono
riconosciuti dalla Costituzione.
Il potere di imposizione è condiviso tra Federazione e Province,
le quali non possono delegare questo potere (ad esempio alle Municipalities). Il riconoscimento del
potere di imposizione previsto dalla section
92 del BNA incontra tre limiti: deve trattarsi di imposte dirette, entro il
territorio della Provincia, per fini connessi a interessi provinciali[32].
Oltre alla tassazione diretta la section
92.4 del BNA 1867 permette alle Province di usare any mode or system of taxation nel caso di sfruttamento di risorse
naturali non rinnovabili.
Il riconoscimento del potere di imposizione, sotto forma di
potere legislativo di istituire imposte, deve però conciliarsi con il
potere federale, quando entrambi riguardano la stessa imposta,o meglio la
stessa base imponibile. Storicamente questo conflitto è stato risolto
con la pre-empion della Federazione,
e talvolta con la occupazione dello spazio impositivo (tax room).
Attualmente le Province istituiscono le loro imposte sul reddito,
che forniscono un terzo delle risorse a Province e Federazione, mentre il local
government si finanzia soprattutto con la tassa sulla proprietà[33].
Le imposte sul reddito vengono riscosse dalle Province o dalla
Federazione, e in questo secondo
caso ritrasferite. L’armonizzazione tra i due livelli è diversa a
seconda delle imposte e delle Province. Il Tax
Collection Agreement (TCAs) in base al quale il Governo riscuote le imposte
nelle Province[34]
si applica a tutte le Province e ai tre Territori meno il Quebéc per il
PIT (personal income tax) e a tutte
le Province e i tre Territori meno l’Alberta, Ontario e Quebéc per
il CIT(corporate income tax)[35].
L’esistenza del TACs nel settore più importante
dell’imposizione ha il vantaggio di ridurre i conflitti, di evitare
doppie imposizione, di ridurre i costi di gestione, di avere un unico sistema
di controllo, di semplificare il contenzioso che si forma in relazione alle
imposte oggetto del TACs[36].
Oltre alla Income tax
altre fonti provinciali (eccetto Alberta) sono la retail sale tax, l’imposta sui consumi, che deve essere
armozzata con la good and service tax
federale[37].
Nel 1991 è stata istituita la
value add tax federale (good and Services Tax), che ha dovuto convivere con
le sales tax provinciali, a loro
volta diverse nelle Province[38].
Il Governo federale ha cercato di coinvolgere le Province, ma la difficile accoglienza
tra i canadesi della nuova tassa ha indotto molte a tenere il vecchio sistema.
Alcune Province (Nova Scotia, Brunswick e Newfoundland e Labrador) hanno
accettato nel 1996 di armonizzare i sistemi, e anche in questo caso la
Federazione riscuote la combined tax[39].
Esistono due sistemi di armonizzazione, uno per il Qebéc e
l’altro per le Province che hanno accettato il Comprehensive Integrated Tax Coordination Agreement (CITCAs). Nel
caso del Qebéc i due governi si sono accordati perché fosse la
Provincia ad amministrare la QST, divenendo responsabile per tutti gli aspetti
ad essa relativi: riscossione, audit, contenzioso. Il CITCAs attribuisce alla
Federazione e alla Agenzia federale questi compiti, ma prevede tra
l’altro un Review Committee che consente a entrambi i livelli di
concordare modifiche alla base imponibile e all’aliquota[40].
Nel 2006 l’accordo è stato rinnovato e il Governo federale ha invitato le altre Province ad
aderirvi.
Molte altre imposte sono prive di armonizzazione[41].
Naturalmente un sistema diversificato si offre a diverse critiche, che
riguardano la efficienza ed equità del sistema, mentre devono essere
considerati positivamente gli effetti sull’autonomia dei Governi, sulla
loro accountability e sulla
capacità di dare differenti risposte ai territori.
In sintesi il sistema fiscale è decentralizzato e con una
ragionevole grado di armonizzazione per le maggiori imposte[42],
ma non tute le Province sono incluse e non tutte le imposte sono soggette ad
armonizzazione.
Altre imposte hanno un
minore impatto sulle entrate e sono condivise, mentre altre, come le imposte
sulle risorse naturali non rinnovabili, sono a panneggio di un solo livello (in
questo caso le Province).
Nel’ultimo
decennio, a causa del debole bilancio pubblico le Province hanno visto
espandersi i poteri normativi e
costruiscono il proprio sistema tributario e quello del local government in maniera molto
indipendente e con effetti concorrenziali sulle altre Province[43].
L’assetto
attuale è il risultato di vere e proprie cessioni di spazi impositivi,
che sono possibili in quanto la linea di separazione tra tax rooms federali e provinciali è mobile. La Federazione
ricorre all’abatement, decisi
in genere con gli agreements per
ridurre la propria aliquota federale, e consentire alle Province, se vogliono, di applicare
le loro aliquote, non essendo condizionate a imporre la tassa e ad a occupare
l’intero spazio lasciato dalla Federazione[44].
Nonostante il notevole decentramento di funzioni del sistema canadese
vi è ancora una netta prevalenza delle spese del Governo federale (oltre
il 60%) su quelle provinciali (35%) e locali (2-3%). Le maggiori voci di spesa federale sono
il debito pubblico, la difesa e i servizi sociali. Le maggiori voci di spesa
del Governo provinciale sono la sanità, l’istruzione, i servizi
sociali e il debito.
Il potere di spesa è distribuito tra Federazione e
Province in relazione alle competenze, ma la Federazione può far valere
l’esistenza di un interesse nazionale ed effettuare spese in ambiti
provinciali[45].
Anche le Province possono spendere in ambiti riservati alla Federazione[46].
In generale, le spese seguono il principio delle attribuzioni
costituzionali, per cui se sanità, assistenza e istruzione, sono
affidati alle Province, sono queste a amministrano i servizi ad essi relativi e
a spendere per coprire i costi.
Tuttavia, attraverso una serie di atti legislativi e di governo,
la Federazione ha condizionato le scelte di politica sanitaria, assistenziale e
dell’istruzione. Il meccanismo utilizzato è stato quello del
finanziamento e quindi del controllo indiretto del potere di spesa provinciale,
con il sistema dei trasferimenti di risorse e con i programmi co-finanziati al
50%. Dopo la seconda Guerra la Federazione ha usato il potere di spesa per
“invadere” aree tradizionalmente provinciali, quali quella
previdenziale, assistenziale e della salute[47].
I costituzionalisti hanno sostenuto che lo spending
power discende direttamente dal potere generale di raccolta delle risorse,
ma il Quebéc ha contestato questa lettura, affermando che in tal modo si
limitava l’autonomia provinciale e sostenendo la necessità che
anche questo potere rispettasse i limiti della giurisdizione provinciale e
delle competenze[48],
mentre le altre Province hanno ritenuto conveniente accettare gli interventi
federali[49].
Il potere federale di spesa non è regolato espressamente
dalla Costituzione, per cui la sua legittimità è stata fatta
dipendere da una serie di poteri riconosciuti al Governo federale dal BNA 1867:
dalla section 91(3), che lo autorizza
alla raccolta delle risorse impositive; dalla section 91 (1A), che gli attribuisce poteri legislativi in materia
di public property; dalla section 106, che autorizza il Governo a usare
le risorse federali per i pubblici servizi; dalla POGG clause[50].
Ancor più esplicita sembra essere l’autorizzazione ad intervenire
in funzione equitativa e di perequazione data dalla section 36 del Constitutional
Act 1982[51].
Infine, lo spending power
è stato considerato legittimo da una ormai consolidata giurisprudenza
della Corte Suprema[52]
e accettato dalle Province come un dato difficilmente confutabile.
Poiché lo spending
power viene utilizzato in misura molto ridotta rispetto al passato, la
relazione tra potere di spesa e fonti di entrata è diventata abbastanza
complessa ed è comunque suscettibile di continui cambiamenti.
Il finanziamento delle attività provinciali avviene
attraverso le imposte e alle altre risorse provinciali, i trasferimenti, il ricorso
al debito (consentito alle Province come alla Federazione), la perequazione.
Tanto più ampio è lo spazio occupato dal Governo
federale nelle tax rooms, tanto
minore sarà quello provinciale e, inversamente proporzionali
l’ammontare dei trasferimenti[53].
Fino a che l’armonizzazione fiscale ha conservato
l’uniformità della maggiore imposta (income tax) trasferire spazi impositivi o somme di danaro era
praticamente una scelta equivalente negli effetti. Quando le province hanno
riacquisito spazi impositivi e poteri normativi, la scelta è diventata
più complessa.
Attualmente il sistema prevalente è quello dei block grants e delle imposte cedute, ma
il governo federale non ha cessato di svolgere un ruolo di coordinamento,
seppure in modo occasionale e contingente, ad esempio attivando un programma
per la riduzione dei tempi di attesa negli ospedali (Waiting Time Reduction Fund) e altri specifici programmi di
intervento nei settori del welfare[54]
e ha rinnovato i finanziamenti ai local
governments per le infrastrutture, decisi dal Governo liberale che lo aveva
preceduto[55].
Negli anni ’90 del secolo scorso, le Province, che si sono
viste interrotti i trasferimenti legati ai programmi federali, hanno aperto un
tavolo di negoziati per rivendicare un ristoro delle risorse, necessario a
colmare la fiscal imbalance, causata
da un gap verticale considerato dalle stesse inaccettabile.
Il Canada, come tutti gli ordinamenti decentrati, sperimenta da
sempre la sperequazione verticale, che si verifica per una distribuzione
asimmetrica di compiti e risorse tra livello federale e livello provinciale.
Tuttavia, le differenza maggiori sono di tipo orizzontale, e sono dovute al
diverso reddito pro capite di alcune Province, e dal possesso di risorse naturali
produttive di ricchezza. Altre differenze derivano dal costo dei servizi resi,
in rapporto alle condizioni socio-economiche (ed esempio molto costosi nei
Territori).
Per porre rimedio a queste disparità la Federazione
può ricorrere a misure generali e incondizionate di riequilibrio, che
ovviamente lasciano intatti i compiti di formazione e di spesa delle Province,
ma servono solo a integrare le risorse (insufficienti), oppure può porre
in atto politiche di intervento mirate, come quelle regolate dal Canada Health Transfer (CHT) and Canada Social
Transfer
(CST)[56].
la perequazione interviene a livello federale (per le province) e provinciale
(per il local government).
Il primo equalization
program venne introdotto nel 1957 con apposita legge, ma di fatto
già prima funzionava un sistema di trasferimenti con elementi
perequativi. Da quando è in vigore, esso è stato aggiornato ogni
5 anni dopo la consultazione delle Province. Le misure decise nell’ambito
dell’equalization program non
sono le uniche ad avere effetti perequativi, perché una finalità
perequativa è insita nel sistema fiscale e soprattutto negli interventi
ricompresi nei principali programmi di finanziamento (Canadian Assistance Plan
(CAP) e Established Programs Financing
(EFP), fino al 1996; e poi CHT e CST).
Tuttavia, l’equalization
program è l’unico ad avere come specifico obiettivo il
finanziamento delle Province più deboli, con una capacità fiscale
inferiore alla media per singole voci di entrata, al fine di ridurre le
differenze.
D’altra parte, è ovvio che se si riducono
notevolmente i programmi specifici, come è avvenuto negli anni ’90
(Government Expenditure Restriction Act)
gli interventi perequativi diventano essenziali per le Province. Un rapporto
del 1998 del provincial/territorial Ministers
of Finances (Report to Premiers,
Ottawa)[57]
riferiva della notevole asimmetria tra spese provinciali e distribuzione delle
risorse.
Quando, con una decisione unilaterale, il governo federale nel
2004 ha deciso di stabilire il livello massimo di equalizzazione, la crescita
programmata e la distribuzione tra Province, è sembrato che il sistema
fosse giunto a un punto di rottura degli equilibri.
Il Governo ha parzialmente accolto le richieste incrementando
alcuni programmi, come la salute e l’istruzione, ma lo ha fatto in modo
discrezionale e con un meccanismo che non teneva conto di tutte le Province.
Anche il programma di equalizzazione ha seguito una evoluzione simile.
Gli anni 2000 hanno visto succedersi al Governo i liberali e, dal
2006, i conservatori. Questi ultimi hanno confermato di optare per una politica
restrittiva nei confronti dei trasferimenti condizionati, ma si sono impegnati
a riconoscere alle Province un ruolo autonomo e responsabile nelle scelte sul
welfare state, introducendo tra l’altro un criterio trasparente e
credibile di perequazione.
Il problema del fiscal
imballante è diventato pressante con l’ascesa dei prezzi del
petrolio e la possibilità per le Province che hanno risorse naturali di
diventare sempre più ricche[58].
Davanti alle proteste delle Province e dell’opposizione, Il Governo
Harper ha dato stabilità alla formula perequativa[59],
reintroducendo tutte le 10 province nel calcolo della capacità media
riferita al 50% delle imposte provinciali ma la questione dello squilibrio
verticale (fiscal imbalance) non
è stata affrontata. Harper ha promesso meno ingerenza e di non fare
ricorso ad accordi bilaterali. In più è stato stabilito un tetto
massimo per la perequazione, in modo che nessuna provincia con un reddito
inferiore alla media possa sorpassare le province che non usufruiscono della
perequazione.
L’attuale governo ha rivisto i meccanismi per ridurre la fiscal imbalance, ammettendo la sua
esistenza, ma neanche le Province sono unite nel indicare una soluzione. Il
modo in cui può essere ridotto il fiscal
imbalance è oggetto di ampio e non unanime discussione. Cessione di
imposte, trasferimenti e assunzione del governo federale di spese provinciali
sembrano le vie percorribili dall’esperienza canadese.
La situazione attuale è in via di rapida evoluzione. Nel
2009 è stato istituito un Gruppo di esperti con il compito di
individuare soluzioni per una migliore perequazione[60].
Normalmente i primi ministri provinciali vengono coinvolti nella
definizione delle politiche nazionali più importanti (inflazione, crisi
economica, ecc), anche se non sono mancati periodi di unilateralismo.
Le Province non hanno alcuna legittima pretesa nei confronti del
sostegno federale, ma più concretamente hanno ricontrattato le
condizioni degli aiuti federali, ma i risultati sono stati deludenti e
attualmente le province stanno cercando di recuperare risorse dal loro potere
impositivo[61].
Le Province conservano comunque un’invidiabile autonomia di
gestione del bilancio, alla quale si aggiunge la possibilità di fare ricorso
al debito per finanziare la propria attività. Pur non venendo limitato,
il potere di bilancio delle Province si autoregola in considerazione della
responsabilità esercitata verso gli elettori e verso il Governo
centrale.
L’Italia può essere considerata un classico esempio
di Stato regionale, nel quale agli enti decentrati vengono assegnate funzioni
amministrative e legislative e quote di potere decisionale finanziario, ma si
conserva al centro l’unità della struttura costituzionale[62].
La natura dello Stato italiano è affermata dall’art. 5 Cost., nel
quale i principi di unità e indivisibilità convivono con quello
dell’autonomia. L’originalità dell’organizzazione
territoriale italiana sta nel pluralismo degli enti di governo, rappresentativi
delle rispettive comunità, titolari di poteri stabiliti in Costituzione
e perciò costitutivi con eguale dignità della Repubblica[63].
La riforma del Titolo V della Costituzione, approvata nel 2001,
ha rivisto molti aspetti dell’autonomia politica e organizzativa degli
enti: ha comportato importanti novità per la competenza legislativa, che
ora è esercitata, con nuove e diverse modalità, dallo Stato e
dalle Regioni, i quali devono assicurare l’eguaglianza delle prestazioni relative
ai livelli essenziali dei diritti civili e sociali(art. 117 Cost.) e per quella
amministrativa, che è attribuita ai Comuni, salva la necessità di
affidarla a un livello di governo superiore (art. 118 Cost.). L’autonomia
finanziaria viene ridefinita ed estesa agli enti territoriali diversi dalle
Regioni (art. 119)[64],
anche se esistono sensibili differenze tra autonomie territoriali dotate di
diverse attribuzioni, riguardo la capacità di procurarsi le risorse e di
spenderle[65].
Le Regioni ad autonomia speciale godono di uno status particolare, definito per
ognuna di esse dai rispettivi Statuti e dalle norme di attuazione[66].
Tuttavia, nel disegno costituzionale, anche dopo le innovazioni
introdotte nel 2001, esiste un divario tra la definizione dell’autonomia
finanziaria e dell’autonomia normativa e amministrativa. Mentre queste
ultime trovano sviluppo e disciplina nello stesso testo costituzionale, la
prima viene genericamente definita e la sua attuazione sostanzialmente affidata
alla legge ordinaria[67].
Il nuovo testo dell’art. 119 si compone di un numero
maggiore di commi rispetto a quello originario[68],
ma la sua forza innovativa è assai discussa[69].
Non vi è dubbio che la continuità con il passato sia data
dall’elevato grado di indeterminatezza della disposizione[70],
che affida al legislatore il compito di bilanciare l’autonomia e
responsabilità degli enti con le esigenze di solidarietà. Restano
indefiniti i contorni del potere di imposta e della perequazione, che
rappresentano i punti più controversi di ogni modello di federalismo
fiscale[71].
Pare tuttavia innegabile che vi siano differenze rilevanti
rispetto al passato, se non altro per il diverso contesto entro il quale si
inserisce il nuovo art. 119 Cost. finanziaria[72],
per il più ampio riconoscimento dell’autonomia finanziaria, e per
il superamento del previgente assetto centralistico[73].
La forza innovativa del nuovo testo dell’art. 119 Cost.
potrà essere valutata in relazione all’attuazione del modello che
esso delinea da parte del legislatore ordinario.
L’art. 119, primo comma, riconosce alle Regioni e agli
altri enti di cui si compone la Repubblica, «autonomia finanziaria di
entrata e di spesa», che, come precisa il quarto comma, devono consentire
il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite.
In tal modo viene chiarito che l’autonomia finanziaria
riguarda il reperimento delle risorse e il modo in cui impiegarle, e che vi
deve essere una corrispondenza tra le funzioni attribuite alle Regioni e le
risorse di cui possono disporre (proprie o trasferite). Si tratta di una
disposizione di particolare rilievo, che relega in una posizione secondaria la
finanza da trasferimento del passato.
Il secondo comma dell’art. 119 sembra dare maggiore enfasi
all’autonomia finanziaria disponendo che le entrate possono essere
costituite da risorse autonome, sotto forma di tributi ed entrate proprie[74],
o compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro
territorio. Si attua così una tipizzazione delle entrate che mancava nel
vecchio testo[75]
e che tutela maggiormente gli enti decentrati[76].
Ad esse possono aggiungersi le risorse derivanti dall’indebitamento, ma
solo per finanziare spese di investimento, come precisa il 6 comma.
Le Regioni hanno dunque risorse proprie, che dovranno essere stabilite
e applicate in armonia con la
Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario. Il potere del legislatore nazionale in materia di
coordinamento della finanza pubblica costituisce, come nel vecchio testo, il
limite più significativo al potere di bilancio e alle decisioni relative
ai flussi finanziari.
I commi 3 e 5 dell’art. 119 affidano allo Stato la funzione
redistributiva, perequativa e di regolazione del sistema, onde evitare che il
decentramento si risolva in un maggior gettito per alcune aree o in maggiori
costi di gestione. In particolare, secondo la previsione contenuta nel comma 3
dell’art. 119, lo Stato istituisce un fondo perequativo per i territori
con minore capacità fiscale per abitante. La disposizione di cui al
terzo comma vincola il legislatore a un obiettivo, la perequazione, ma lo
lascia libero di scegliere il modello di ridistribuzione delle risorse[77],
l’entità della stessa e le fonti attraverso le quali finanziarla[78].
La disposizione del quinto comma prevede che lo Stato possa
destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali a favore di
determinati enti territoriali, per promuovere lo sviluppo economico, la
coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici
e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona[79].
L’art.
119 presenta importanti novità, ma va letto in combinato con
l’art. 117, il quale compie una ripartizione delle competenze normative
in materia finanziaria abbastanza complessa. Infatti, se da un lato attribuisce
allo Stato la competenza in materia di sistema tributario e contabile dello
Stato, e chiama quest’ultimo
a determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale (lett. m), a stabilire le modalità della perequazione,
dall’altro lato affida alle Regioni il compito di concorrere alla
potestà legislativa in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e implicitamente
riconosce ad esse in via residuale la competenza a disciplinare il sistema
tributario regionale e locale.
Sempre
se si accede, come pare innegabile, ad una lettura sistematica delle disposizioni
costituzionali, la competenza statale a determinare i livelli essenziali dei
diritti civili e sociali significa che il sistema tributario deve avere
l’obiettivo di far concorrere tutti i cittadini, con criteri di
progressività (art. 53) a ottenere che in tutto il territorio vengano
assicurate condizioni essenziali di cittadinanza.
Tenendo anche conto del riformato art. 114 Cost., nel quale
Stato, Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane sono ordinamenti
particolari rispetto all’ordinamento repubblicano, si può dire che
con la revisione del Titolo V è stato determinato un sensibile
spostamento (di funzioni e) di risorse dal bilancio statale a quello delle
autonomie[80].
Ne viene un rinnovato sistema di rapporti tra centro e periferia,
che ha segnato «il passaggio da un autonomismo derivato di tipo
gerarchico e piramidale a uno relazionale, tra l’ordinamento che esprime
l’unità del sistema e gli altri che danno vita alle
differenze»[81].
Se così è, le conseguenze sul funzionamento del sistema delle
autonomie riguardano tutte le funzioni, che vengono esercitate seguendo un
modello di partecipazione e cooperazione, e non in regime di separazione come
previsto dal testo originario[82].
Tuttavia, non è possibile ignorare il fatto che a questo
disegno relazionale manca un sistema di raccordi organici adeguato, che
impedisce lo sviluppo della forma di Stato verso un assetto di tipo federale.
Negli anni ’90 la funzione di coordinamento/partecipazione
è stato affidata al sistema delle Conferenze (Conferenza permanente per
i rapporti tra Stato e Regioni, la Conferenza Stato-città e Autonomie
Locali e la Conferenza Unificata)
intergovernative, sedi per la contrattazione tra i due enti, le cui competenze
non sono limitate alla materia finanziaria e riguardano tutte le
attività d’interesse regionale.
Tuttavia, il c.d.
sistema delle Conferenze non è parso in grado di svolgere la funzione di
rappresentanza e coordinamento tra enti, quando i conflitti tra livelli e tra
enti dello stesso livello, hanno interessato la istanze economiche e fiscali[83].
Il legislatore ordinario ha cercato di porre rimedio alla carenza
di organi di coordinamento, prevedendo che il processo di attuazione del
federalismo fiscale, come regolato dalla recente legge delega del 2009, si
avvalga di nuovi organi per il coordinamento finanziario, che secondo
un’attenta dottrina avrebbero l’effetto di emarginare il Parlamento
a vantaggio del Governo[84],
ma il cui peso istituzionale è necessariamente limitato agli obiettivi
della legge.
Stante la carenza di organi costituzionali in grado di mediare
tra interessi di diversi livelli territoriali, non appare facilmente
realizzabile la leale collaborazione tra livelli di governo, su cui insiste da
anni la giurisprudenza costituzionale[85],
e che la legge delega n. 42 del 2009 indica tra i principi fondamentali ai
quali dovrà attenersi il legislatore nell’attuazione del
federalismo fiscale[86].
La legge n. 42 del 2009 si auto-qualifica come legge di attuazione
dell’art. 119 Cost. con l’obiettivo di assicurare l’autonomia
finanziaria degli enti territoriali secondo i principi di solidarietà e
coesione sociale[87].
Le forme di realizzazione dell’autonomia di entrata e di spesa dovranno
assicurare 1)il graduale superamento della spesa storica come criterio per la
determinazione del fabbisogno di spesa, sostituito dal costo standard[88];
2) la
responsabilizzazione finanziaria degli enti territoriali, che potranno disporre
di una leva fiscale[89]
ma saranno sottoposti a un controllo democratico e per ciò non potranno
più sottrarsi alle conseguenze di una eventuale inefficienza dei servizi
resi. Questo passaggio epocale dovrà avvenire in un arco di 5 anni,
tanti sono stati quelli ritenuti necessari a cambiare il regime.
In questo quadro sistematico la legge si propone di dettare i principi
fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario, di perequazione e per gli interventi speciali e aggiuntivi, i
principi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio agli enti
di cui all’art. 114 Cost. nonché la disciplina transitoria sulle
città metropolitana di nuova istituzione e sull’ordinamento di
Roma capitale[90].
Per la finanza locale la legge prevede un ruolo importante delle Regioni,
che, nell’ambito dei principi fissati dallo Stato, potranno istituire
tributi nel rispetto delle basi imponibili statali, mentre gli enti locali
potranno modificare le aliquote e le tariffe nel rispetto dei criteri indicati
dalla legge regionale[91].
Il sistema dei rapporti finanziari disegnato dalla legge delega ha un
limitato grado di differenziazione delle forme di finanziamento degli enti
dello stesso livello[92],
a causa della sostanziale uniformità delle competenze normative e
amministrative, e non tiene conto della particolare propensioni delle diverse
Regioni al federalismo[93],
ma un conferimento differenziato di risorse è previsto nel caso si dia
attuazione al procedimento di cui all’art. 116 Cost. per
l’attribuzione di particolari forme e condizioni di autonomia alle
Regioni[94].
Infine, le Regioni speciali sono disciplinate, come anticipato,
da specifiche disposizioni, che prevedono una serie di obblighi e prerogative,
a garanzia del differente status di autonomia finanziaria.
In attesa che la legge delega riceva attuazione con
l’approvazione dei decreti delegati, la dimensione dell’autonomia
finanziaria regionale viene determinata con riferimento alla legislazione e
alla giurisprudenza transitorie.
Poiché i principi
in materia di autonomia finanziaria enunciati dall’art. 119 Cost. non
hanno un grado elevato di specificazione, espressioni come autonomia di entrata
e di spesa, finanziamento integrale delle funzioni e perequazione valgono a
tracciare una cornice all’interno della quale il legislatore e l’interprete
devono inserire il loro lavorio ricostruttivo. Ne viene, inevitabilmente, che
molte delle statuizioni legislative e delle letture date al testo
costituzionale risentono della tradizione legislativa e giurisprudenziale
precedente. Il contenuto dei principi non vive di vita completamente nuova, ma
si ridefinisce alla luce delle modifiche costituzionali nel loro complesso.
Dopo la riforma del Titolo V la è stato affermato con
forza il principio che l’autonomia finanziaria viene attribuita dalla
Costituzione, mentre la legge dello Stato può solo limitarla[95].
La concezione dell’autonomia finanziaria ha subito negli anni più
recenti una rielaborazione, in considerazione della diversa allocazione delle
funzioni voluta dal riformatore costituzionale e delle nuove concezioni
politiche economiche affermatesi in Italia[96].
La legge delega n. 42 del 2009, nel dare attuazione ai principi costituzionali,
ha recepito alcuni tra i più significativi contributi della teoria
economica e tributaria sul federalismo fiscale, senza rinunciare alle conquiste
degli ultimi 10 anni in materia di finanziamento delle autonomie territoriali,
alle quali ha dato il suo contributo la giurisprudenza costituzionale[97].
Tuttavia, sia sul fronte delle entrate sia su quello delle spese
non è realistico un significativo incremento di autonomia, perché
la legge delega contiene accanto al riconoscimento di poteri un numero
consistenti di limiti[98].
Del resto, e per varie ragioni, la tendenza a una a-simmetria tra autonomia di
entrata e di spesa si va affermando a tutte le latitudini; la difficoltà
di individuare basi imponibili adatte agli enti locali, la concorrenza tra
territori, la constatazione che in un territorio dove funzionano i servizi i
costi sono a carico dei residenti, ma gli effetti si espandono oltre la
giurisdizione, sono solo alcune delle ragioni che spingono il legislatore a
riconoscere ampia autonomia di spesa ma a controllare le entrate degli enti
decentrati[99].
Il Principio di responsabilità è rinvenibile direttamente
in Costituzione, se con esso si intende fare riferimento al disposto
dell’art. 119 secondo il quale ogni ente è chiamato a finanziare
le proprie spese con le risorse proprie, costituite da tributi propri e
compartecipazioni, per cui i cittadini che usufruiscono dei servizi resi
dall’ente possono valutare e responsabilizzare l’azione di governo
del loro territorio[100].
La concezione ottimale di autonomia finanziaria imporrebbe di
attribuire il potere normativo attraverso il quale si istituisce il tributo e
si stabilisce la spesa allo stesso ente che deve svolgere
l’attività finanziaria[101].
Tuttavia, la stessa Costituzione contiene un eccezione a detto
principio, dal momento che prevede che il sistema di finanziamento debba
assicurare la copertura di tutte i compiti attribuiti dalla legge (statale o
regionale) ai diversi enti. Poiché non vi è coincidenza tra
potere normativo e amministrativo (artt. 117 e 118 Cost.), sarà
inevitabile che la potestà normativa relativa ad una certa materia venga
attribuita ad un ente diverso da quello che deve esercitar le funzioni da
finanziare, limitando l’applicazione del principio di
responsabilità.
Le Regioni ordinarie dispongono di un potere impositivo che viene
riconosciuto direttamente dalla Costituzione all’art. 119, che è
di natura concorrente riguardo alla
materia “coordinamento del sistema tributario” (117, comma 2) e di
natura residuale riguardo al sistema tributario regionale e locale[102].
Infatti, poiché le Regioni hanno il potere normativo nelle
materie che non sono di legislazione esclusiva, la dottrina ha riconosciuto ad
esse la competenza esclusiva nel regolare il sistema tributario regionale,
essendo riservato allo Stato solo il compito di disciplinare il suo sistema tributario[103].
Il sistema tributario regionale, a sua volta, si compone di tributi propri e
degli enti locali[104].
La Corte costituzionale ha fugato ogni dubbio in proposito,
precisando che potranno essere definiti come tributi propri solo quelli
istituiti con legge regionale[105]
e non quelli il cui gettito è attribuito alle Regione e/o su cui queste
abbiano potere di manovra delle aliquote[106].
Sul piano normativo, la legge delega n. 42, che riforma la potestà
normativa regionale, ha recepito questo orientamento prevedendo tra le fonti di
finanziamento regionale i tributi propri istituiti dalla Regione e i tributi
propri derivati (art. 7, comma 1, lett. b), ma non ha comportato un sostanziale
salto di qualità dei poteri regionali di istituire tributi, che ha
limiti particolari per l’interazione tra diverse potestà regionali
e statali di tipo esclusivo, concorrente e residuale.
La possibilità che le Regioni legiferino sui tributi senza
previa fissazione di principi, che una parte della dottrina aveva considerato
ammissibile[107],
e che alcune Regioni avevano messo in atto[108]
è stata esclusa dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto il previo
intervento del legislatore una condizione essenziale dell’autonomia
finanziaria[109].
La Corte ha assegnato al potere di coordinamento del sistema tributario, che
dovrebbe scaturire dalla cooperazione tra Stato e Regioni (legislazione
concorrente)[110], il compito di definire, nel rispetto
dell’art. 23 Cost., sia l’ambito in cui potrà esplicarsi la
potestà regolamentare degli enti medesimi, sia il rapporto fra
legislazione statale e legislazione regionale per quanto attiene la disciplina
di grado primario dei tributi locali[111].
In attesa della legge di coordinamento, lo Stato potrà continuare a
legiferare, e potrà farlo senza efficaci limiti quantitativi, senza
tuttavia procedere in senso contrario ai principi introdotti dal riformato
articolo 119 della Costituzione, e nel caso dovesse sopprimere i tributi locali
introdotti con legge statale dovrà indicare contestualmente le fonti
sostitutive[112].
La
funzione di coordinamento va esercitata tenendo conto del nuovo Titolo V, dei principi di libertà e
solidarietà enunciata dalla Costituzione, del contesto europeo nel quale
agisce il decisore nazionale[113],
per cui lo Stato dovrebbe limitarsi a stabilire le linee generali della
politica tributaria, lasciando agli enti territoriali la responsabilità
di definire il loro sistema tributario[114].
La legge delega n. 42 del 2009 ha recepito alcune delle
indicazioni della dottrina e della giurisprudenza costituzionali, rinviando ai decreti
le ulteriori risposte. Inoltre, essa recepisce molti aspetti del disegno
esistente[115].
L’impianto dei rapporti tra livelli per quanto riguarda il
potere tributario prevede uno spazio marginale per l’autonomia tributaria
di Regioni ed Enti locali[116],
a conferma del fatto che si guarda al federalismo fiscale più come
possibilità di ancorare il gettito al territorio che come potestà
di istituire tributi[117].
Si prevede, per le Regioni, tributi istituiti dallo Stato, addizionali e
compartecipazioni ai tributi erariali e tributi propri, che concorrono assieme
alla perequazione a finanziare le funzioni dell’ente, mentre i
trasferimenti scompaiono, sopravvivendo in via transitoria fino
all’emanazione dei decreti di attuazione. In futuro, con l’emanazione
dei decreti delegati, la situazione attuale delle entrate dovrebbe migliorare,
ma non a seguito del rafforzamento del potere impositivo quanto per
l’attribuzione di gettito di tributi statali[118].
Per i tributi propri non si prevedono spazi di imposizione e altrettanto
ridotte sono le indicazioni sulle tariffe che gli Enti territoriali possono
applicare[119].
Per gli enti locali la legge prescrive un’autonomia
limitata ai tributi di scopo; il rispetto della ripartizione delle competenze
legislative fra Stato e regione in tema di coordinamento del sistema tributario
e affida alla Regione, nell’ambito della legislazione di principio
statale, il compito di istituire tributi locali e compartecipazioni ai tributi
e alle compartecipazioni regionali. Sia per i tributi istituiti dallo Stato sia
per quelli istituiti dalle Regioni, vale il principio della
flessibilità, per cui tali enti dovranno avere una significativa
manovrabilità dei tributi.
Apprezzabili in linea di principio, questi precetti dovranno
trovare una non facile attuazione in disposizioni che bilanciano
l’esigenza di ridurre al minimo la perequazione con quella di non gravare
in misura eccessiva sui contribuenti.
Per quanto riguarda i tributi propri regionali, l’ambito di
applicazione è alquanto ridotto dalla c.d. riserva di presupposto,
ovvero dalla previsione che la Regione possa istituirli solo sulla base di
presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato (art. 2, comma
2, lett. o) e q); art. 7, comma 1, lett. b,
n. 3)[120].
Infatti, tutti gli indici di capacità contributiva sono coperti da
imposizione statale, e poco rimane a disposizione delle Regioni, specie dopo
che è stata espunta dal testo la previsione, contenuta nel testo originario, della riserva di
aliquota Irpef[121].
Altri principi validi per i tributi propri sono la
territorialità (art. 2, comma 2, lett. hh) la continenza e
responsabilità(art. 2, comma 2, lett. p).
Tra questi principi, deve farsi notare che la
territorialità, ovvero la possibilità di restituire a un
territorio i proventi del gettito dei tributi ivi riscossi, ha un significato
politico molto forte, ma effetti pratici minimi, in considerazione del ruolo
residuale attribuito ai tributi propri[122].
Questa scelta è in linea con quanto avviene in altri
ordinamenti che hanno struttura costituzionale simile, ed è tanto
più ragionevole rispetto all’esigenza di on frammentare il sistema
tributario in modo eccessivo, anche in considerazione dell’esistenza di
più livelli di imposizione e della possibilità di soddisfare le
esigenze di autonomia attraverso il riconoscimento agli enti territoriali di
risorse certe e manovrabili[123].
Ciò è reso esplicito dall’art. 2 della legge,
comma 2 lett. c) che prescrive la razionalità e coerenza dei singoli
tributi e del sistema tributario, che deve essere semplificato, trasparente e
efficace, in modo da ridurre gli adempimenti dei contribuenti.
Sulla continenza e responsabilità la legge, oltre alla
generale enunciazione di principio di cui all’art. 2, comma 2, lett. a) e b)[124]
esclude che gli enti possano intervenire su basi imponibili e su aliquote che
non siano del proprio livello di governo(art. 2, comma 2, lett. t)[125].
Quanto ai tributi degli enti locali, essendo questi privi della
potestà normativa primaria richiesta per l’istituzione dei tributi
dall’art. 23 Cost., è parso evidente che essi sono chiamati ad
operare nel quadro definito dal legislatore nazionale e regionale, ma non di
meno dispongono di un certo grado di autonomia nell’applicazione dei
tributi, a meno di non voler rinnegare il senso della disposizione
costituzionale che riconosce loro autonomia finanziaria[126]. Secondo il disegno della legge delega,
che non introduce particolari novità in materia[127],
i tributi degli Enti locali istituiti dalle Regioni si aggiungono ai tributi
propri degli enti locali, istituiti dallo Stato, secondo un ventaglio
abbastanza ampio[128],
che da vita ad un sistema tributario a due livelli (statale e locale, regionale
e locale). L’art. 2 enuncia il principio (riproposto dall’art. 12,
lett. g) per cui le Regioni possano, con
riguardo a presupposti non assoggettati a imposizione da parte dello Stato,
istituire tributi locali e determinare le aliquote e le agevolazioni che gli
enti locali possono applicare nell’esercizio della loro autonomia[129].
La legge delega ha dunque optato per un regime di concorrenza tra
potere normativo statale e regionale di istituire tributi propri degli Enti
locali, senza possibilità per le Regioni di alcun margine di intervento
sui tributi istituiti dallo Stato [130].
Per Regioni ed Enti locali il sistema deve garantire un mix di
risorse tributarie e perequative, privilegiando l’autonomia, ma senza
trascurare l’esigenza di uniformità, a garanzia della quale la
legge delega introduce la previsione di un’adeguata flessibilità
dei tributi, con una base imponibile il più stabile e diffusa possibile
sul territorio, in modo da offrire a tutti gli enti la possibilità di
finanziare le proprie funzioni.
La principale fonte di finanziamento delle Regioni è
costituita, e continuerà ad esserlo anche dopo l’approvazione della
legge delega, dalla compartecipazioni e dai tributi erariali i cui proventi
sono assegnati alle Regioni. Le
prime sono state introdotte nel nostro ordinamento dal decreto n. 56 del
2000 e recepite dal nuovo testo dell’art. 119 Cost., il quale specifica che
l’attribuzione dei proventi dei tributi deve avvenire in base al criterio della provenienza
del gettito. Si tratta di risorse che non affluiscono in un unico fondo, come
avveniva per le “quote di tributi erariali” e che debbono essere
“riferibili al territorio”. La dottrina si è interrogata sul
significato delle indicazioni costituzionali, assai generiche e prive
dell’indicazione di un criterio di riferibilità al territorio dei
tributi[131].
Le compartecipazioni assicurano un elevato introito di risorse agli
enti territoriali e cercano di attuare una forma di federalismo
“puro”, i cui effetti sono limitati dal fatto che le Regioni
dispongono di un ristretto potere normativo. L’idea che dalla legge
delega possa derivare una maggiore accountability degli enti territoriali viene
contraddetta da un sistema di entrate basato essenzialmente sulle
compartecipazioni, che inficia il principio della correlazione tra entrate e
spese, che è la base della responsabilità finanziaria[132].
La legge delega n. 42 ha confermato l’importanza assunta
nel nostro ordinamento dalle compartecipazioni (l’IVA è la finte
più importante), sulle quali le Regini non possono esercitare alcun
controllo, alle quali ha affiancato
le addizionali, non previste dalla Costituzione, in parte “manovrabili”
dalle Regioni. L’art. 7 indica, in riferimento alle compartecipazioni e
ai tributi propri derivati, elementi di connessione tra tributi e territorio,
individuando i meccanismi per i diversi fatti imponibili[133].
Se da un lato la Corte ha “congelato”
l’autonomia tributaria[134],
dall’altro lato ha dato immediata e ampia applicazione
dell’autonomia di spesa, la quale è legata alle competenze di
ciascun ente. A seguire il disposto del’art. 119 Cost. il sistema di
finanziamento deve assicurare la copertura di tutte i compiti attribuiti dalla
legge, statale o regionale, ai diversi enti, secondo il principio di
sufficienza.
Tuttavia, la Costituzione non indica su quali basi vada valutata
la sufficienza delle risorse, per cui è necessario prima di tutto
individuare le funzioni e i soggetti che devono esercitarle e poi calcolare il
loro costo, per consentire la distribuzione delle diverse fonti di
finanziamento previste dall’art. 119 ai vari livelli/enti.
In
assenza di disposizioni attuative la dottrina si è posta il problema di
individuare il criterio per l’assegnazione delle risorse, in quanto
le competenze possono essere
determinate sulla base delle attribuzioni della potestà legislativa di
allocazione delle funzioni[135]
o sulla base direttamente delle competenze amministrative.
In entrambi i casi è possibile ipotizzare che il
finanziamento delle funzioni segua lo schema dell’art. 119 per gli ambiti
propri degli enti, mentre al di fuori di essi e se sopravvengono ambiti ulteriori
si possa far luogo a risorse non tipizzate.
La legge delega sul federalismo fiscale si è occupata
della questione, specificando che le risorse ordinarie (tributi,
compartecipazioni e fondo perequativo) servono per finanziare le spese relative
all’esercizio delle materie nelle quali le Regioni hanno competenza
normativa residuale o concorrente e quelle per le quali sussiste la competenza
esclusiva dello Stato, ma le Regioni hanno competenza amministrativa.
Quale che sia il computo dei costi, il finanziamento, non
potrà più basarsi sui trasferimenti vincolanti. La Consulta ha
affermato in diverse occasioni che l’autonomia finanziaria, nelle materie
di competenza regionale esclusiva e in quella concorrente, comporta il divieto
per lo Stato di indirizzare risorse specificamente destinate alle autonomie
locali (mentre i trasferimenti sono ancora possibili nelle materie di esclusiva
competenza statale). La legge delega ha confermato questo indirizzo non
prevedendo forma alcuna di trasferimento statale agli enti territoriali e
disponendo tra i principi della legge delega che vengano soppressi i
trasferimenti statali destinati alle spese Lep e non Lep (art. 8, 1 comma,
lett. f).
Il potere di spesa è destinato a cambiare volto in seguito
all’approvazione dei decreti attuativi della legge n. 42 del 2009, nella
quale si afferma il principio di territorialità, e con esso la
possibilità che le Regioni e gli enti locali spendano nei limiti delle
loro capacità di finanziamento[136]
e che la spesa dovrà essere finanziata in futuro con risorse da
determinarsi sulla base dei principi di sufficienza e standardizzazione dei
costi.
L’abbandono della spesa storica è certamente un dato
positivo, anche se rimane indefinito il criterio che lo sostituirà.
Infatti, la determinazione del costo e del fabbisogno standard presuppone
l’individuazione di criteri di calcolo della spesa che l’esercizio
di una funzione comporta, e che esso venga fatto in condizioni di efficienza.
Sia l’una (il calcolo) che l’altra condizione (azione efficiente)
impongono un comportamento responsabile e di buona gestione ad enti che versano
in condizioni molto diverse, sotto il profilo economico, del territorio, della
densità demografica, della buona amministrazione e perfino della
sicurezza delle attività economiche[137].
Il limite al potere di spesa delle Regioni è costituito
dal coordinamento della finanza pubblica, attribuita allo Stato, e dai vincoli
che derivano dal 6° comma dell’art. 119, che prevede la
possibilità del ricorso all’indebitamento esclusivamente per le
spese di investimento[138].
La Costituzione non definisce né i meccanismi né
gli obiettivi della funzione di coordinamento della finanza pubblica. La
“finanza pubblica” è espressione usata per descrivere
l’attività relativa alle entrate, tributarie o patrimoniali, e
alle spese, in relazione ai fini dell’ente[139],
per cui il coordinamento della finanza pubblica è altro rispetto al
coordinamento tributario[140].
Il nuovo art. 117, comma 3, qualificando come materia concorrente
l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario, fa ricadere sul legislatore nazionale il
compito di dettare i principi fondamentali e di individuare i modi per
risolvere i problemi di allocazione dei compiti tra Stato e Regioni e di questi
con i compiti degli enti locali, prevedendo anche la partecipazione del
legislatore regionale[141].
Le finalità del coordinamento sono quelle desumibili dalle disposizioni
costituzionali, e dunque in primo luogo l’eguaglianza, la
solidarietà, la razionalità ed efficienza amministrativa, la
coerenza-non contraddizione tra livelli, la sussidiarietà. Tra le altre
finalità dello Stato si pone il raggiungimento di una situazione
finanziaria stabile, il cui fondamento è da ricercare nell’impegno
europeo e nel rispetto del trattato di Maastricht e del Patto di
stabilità e crescita. Dai
vincoli posti dall’ordinamento comunitario, ai quali l’art. 119
Cost. sottopone la legislazione statale e regionale, discende l’obbligo
per le Regioni e gli enti locali di concorrere all’equilibrio finanziario
dello Stato[142].
La questione degli interventi perequativi è rimasta sullo
sfondo della discussione sul federalismo fiscale, soverchiata dal problema
della distribuzione del potere tributario. In alcuni settori della cultura
politica[143]
è diffusa l’idea di quello che è stato definito il modello
di federalismo puro, inteso come sistema nel quale i tributi vengono votai e
riscossi dai territori, che finanziano così i servizi forniti ai loro
cittadini[144].
Per contro, è stato fatto notare che il principio per cui le risorse
devono essere utilizzate nel territorio in cui sono state raccolte tende a
creare squilibri tra territori e a limitare l’azione perequativa[145],
mettendo in pericolo la tenuta del principio di solidarietà enunciato
negli artt. 2, 3, e 117, comma II lett. m, della Costituzione[146].
L’ordinamento costituzionale italiano non ha un modello ben
definito di federalismo solidale, contiene istituti che richiamano le soluzioni
appena descritte[147]
e non rifugge da elementi di puro federalismo, come quelli rappresentati dal secondo
comma dell’art. 119, che tra le entrate regionali annovera la
compartecipazione a tributi riferibili ai territori[148].
La determinazione dei livelli essenziali dei diritti non è
di per se un correttivo sufficiente delle diseguaglianze dei territori, per cui
si pone la necessità di ricorrere alla redistribuzione delle risorse.
L’art. 119, commi 3 e 5, Cost. individua due strumenti, che hanno il
compito di rimuovere gli squilibri strutturali e i loro effetti sul fabbisogno
di spesa e sulla capacità fiscale dei territori, a loro volta
fondamentali criteri di attribuzione di risorse[149].
Il primo è costituito da un fondo perequativo, istituito
dallo Stato, che ha la competenza normativa esclusiva in materia di
perequazione finanziaria,[150]
per finanziare le regioni con minore capacità fiscale, quindi con minore
capacità di produrre reddito e tramite questo finanziare, attraverso i
tributi, i servizi pubblici. Il fondo è liberamente utilizzabile, senza
destinazioni vincolate, ma non vi è dubbio che l’essere esso una
fonte di finanziamento dell’attività generale dell’ente
implica di fatto che lo stesso finisca col destinare le risorse
all’espletamento dei servizi essenziali.
Infatti, il fondo è destinato a ridurre il divario tra la
capacità di reddito (ossia di produrre ricchezza) dei cittadini dei
territori più deboli, poiché questa implica una minore
quantità di risorse (che derivano dai tributi su tali redditi) per
finanziare un offerta di servizi accettabile, secondo gli standard stabiliti
dallo Stato. Di qui la necessità che lo Stato medesimo trasferisca
risorse a tali enti per colmare le differenze in modo totale per i servizi
essenziali.
L’art. 9 della legge delega n. 42 del 2009 istituisce un
fondo perequativo nazionale e due fondi perequativi regionali, uno per le
Province e l’altro per i Comuni. Il primo è finanziato con
l’IVA ed è destinato a svolgere un compito di perequazione dei
fabbisogni e di riequilibrio tra territori con diversa capacità fiscale[151].
I secondi sono finanziati dalla fiscalità generale dello Stato e sono
destinati, rispettivamente, a Comuni ed altri enti.
Un ulteriore fonte di finanziamento straordinaria e selettiva
è quella delle risorse aggiuntive, le cui finalità sono indicate
dall’art. 119, che la legge delega si incarica di riferire a una serie di
presupposti che estendono gli obiettivi perseguibili con questo strumento oltre
l’area delle zone sottosviluppate, ad esempio per finalità legate
alla tutela del patrimonio storico ed artistico[152].
Nel dare attuazione all’art. 119, comma 5, la legge delega
menziona come ulteriore fonte di finanziamento delle autonomie le risorse
aggiuntive, mentre nulla dice sugli gli interventi speciali. Ad essi fa
riferimento, benché implicitamente, la lett. d dell’art. 16 della
legge delega n. 42, affidando al legislatore il compito di individuare
interventi diretti a promuovere lo sviluppo e in definitiva alla rimozione di
gravi diseguaglianze, consentendo allo Stato di spingersi oltre le proprie
competenze per adempiere le finalità solidaristiche[153].
La legge ha però modo di precisare che le risorse statali
sono destinate a interventi finalizzati e non possono essere sostituiti dai
fondi europei (art. 16, comma 1, lett. a). dette risorse sono vincolate nella
destinazione, ma confluiscono in
appositi fondi attribuiti agli enti territoriali, nel rispetto della
loro autonomia finanziaria (art. 16, comma 1, lett. b) seguendo una politica di
programmazione pluriennale[154].
Una scelta che, insieme ad altre espresse dalla legge delega
negli artt. 16, sminuisce il ruolo dello Stato in funzione di
solidarietà, e lascia che siano gli altri enti e l’UE a
determinare il benessere collettivo.
Le risorse aggiuntive e gli interventi speciali previsti dal 5
comma non hanno finalità perequative delle risorse, ma servono per raggiungere
obiettivi specifici che esulano dall’interesse regionale e per attuare la
soddisfazione di particolari bisogni[155].
L’arco delle finalità per le quali queste forme di finanziamento
sono state previste è molto
ampio e consiste nel promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la
solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali,
favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, provvedere a scopi
diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.
La caratteristica essenziale degli Stati moderni che affidano a
più livelli di governo la responsabilità della decisione
finanziaria è l’esigenza di coordinare governi autonomi e tuttavia
interdipendenti. L’interdipendenza si misura in campo economico, con
effetti negativi, e allora è necessario la collaborazione. Il
coordinamento, in generale, ha lo scopo di evitare effetti negativi delle
decisioni su altre decisioni di altri soggetti pubblici.
Il peso della tradizione federale si percepisce nella diversa
dignità istituzionale riconosciuta agli enti da coordinare, mentre i
modelli in senso stretto risentono
della tradizione costituzionale e amministrativa. La massima estensione del
coordinamento si riscontra in Canada dove si ricerca una condivisione delle
scelte di politica tributaria, di spesa, di bilancio.
Ben diversa la situazione dell’Italia, dove il coordinamento della finanza pubblica
continua ad essere una funzione che segue un modello autoritativo , affidata
alla legge, e con obiettivi troppo limitati. Le previsioni della l. 42 non
hanno inciso su questo punto fino ad ora. La Costituzione è troppo
generica, e non esistendo una fonte in grado di definire i confini questi sono
e restano nelle mani delle maggioranze politiche. Ma da questo non nasce una
contrattazione virtuosa con i livelli inferiori.
Il divario tra i due ordinamenti si coglie anche a livello di
attribuzioni finanziaria. Per un certo periodo il Canada ha sperimentato un
sistema di finanziamento delle Province basato sulla partecipazione alla
tassazione statale. Dunque lo Stato decideva i tributi e le Province ricevevano
una parte dei proventi. Tuttavia, le Province canadesi hanno una più
ampia autonomia tributaria, che possono cedere o affittare (rent) ma che rimane nella loro
disponibilità, mentre l’autonomia impositiva regionale italiana
non si estende oltre i confini tracciati dallo Stato centrale. Le Province
canadesi e le Regioni italiane godono di autonomia di spesa, ma le seconde
devono sottostare a limiti anche puntuali che discendono dalle esigenze di
rispettare i vincoli europei sulle finanze pubbliche. La perequazione è
un obiettivo costituzionale in Canada e in Italia, e pone problematiche
abbastanza simili: come determinare il quantum e gli effetti della
perequazione, su quali basi effettuare gli interventi perequativi.
La costituzione di un fondo comune, sulla base di un paniere di
tributi e le regole per la distribuzione del fondo ai vari territori, hanno come
riferimento lo stesso concetto giuridico-economico: la capacità fiscale,
la finalità generale di riduzione delle differenze, la garanzia di
livelli minimi di servizi. In Canada più ancora che in Italia la
distribuzione delle risorse aventi finalità perequative è oggetto
di trattativa politica. L’osservazione della successiva evoluzione
consentirà di valutare in che misura a problemi ragionevolmente simili
si daranno risposte ragionevolmente sostenibili.
[1] Questo
lavoro costituisce il risultato di una ricerca condotta
nell’Università di Toronto con il contributo finanziario del
Governo del Canada.
[2] Questo
vale per gli Stati che hanno una diversa struttura costituzionale (federali,
regionali, unitari) e per Stati che appartengono a uno stesso gruppo, per
esempio di federalismo classico. Così il federalismo statunitense e
quello tedesco sono diversi (più competitivo il primo, più
cooperativo il secondo) ma entrambi applicano i principi del federalismo
fiscale. Negli USA vige un coordinamento ex post delle attività fiscali,
in Germania un coordinamento ex ante, su base programmatica e pattizia.
[3] I
Territori hanno basi costituzionali distinte, il Northwest Territories Act, lo Yukon
act, il Nunavut Act, documenti
che non fanno parte, a norma della section
52 del Constitution Act 1982,
della Costituzione del Canada. Questi atti riconoscono ai territori poteri
legislativi, esercitati da Assemblee elette democraticamente, il diritto
all'autogoverno. Ad essi si affiancano i numerosi accordi che disciplinano i
rapporti tra il Governo e i rappresentanti delle popolazioni aborigine. B. W. Funstone, Canada’s
North and Tomorrow’s Federalism, in I.
Peach (edited by), Constructing
Tomorrow’s Federalism, Winnipeg, University of Manitoba Press, 2007, 115 ss.
[4] La
possibilità di prevedere special
arrangments per ogni Provincia è espressamente prevista, ad esempio,
in numerose sections del BNA (133,
16.2, 17.2, 18.2, 19.2, 20.2) e dalla section
43 , che disciplina la procedura di modifica.
P. J. Monahan, Constitutional
Law, Irwin Law, Toronto, 2006, 3rd ed., 199 ss.
[5] P.W.
Hogg, Constitutional
law of Canada, Toronto, Carswell Co, 2007- 5th ed. Supplemented,
5.3(a). il quale sottolinea che in Canada al Governo federale vengono riconosciuti
poteri che negli USA non sono federali, come criminal law, penitentiaries,
marriage and deivorce, oltre a un ampio e dominante potere finanziario. Al
Governo federale viene inoltre riconosciuto il potere di invalidare le leggi
provinciali (BNA, section 90) nominare il Liutenent (92.1) nominare i giudici
delle giurisdizioni provinciali superiori (96 e 93) e ricondurre al livello
federale una materia per il vantaggio del canada (91.29-92.10).
[6] Sia
quella del Privy Council, sia quella
della Corte Sprema. Sulle origini delle diverse interpretazioni del preambolo
della section 91. B. Laskin, “Peace, Order and Good government” in G. Stevenson (edited by), Federalism
in Canada. Selected
Reading, Toronto, McClelland & Stewart, 1989, 18 ss.
[7] S. Brooks, Canadian
Democracy,Don Mills,
Ontario,Oxford University Press, 2009. 6th ed., 202 ss. P.J. Monahan,
Constitutional Law, cit., 101 ss., il
quale sostiene la natura chiaramente residuale del POGG, e quella prevalente delle
competenze provinciali, come confermato dalla Suprema Corte. In senso contrario B. Laskin, “Peace, Order and Good government”, cit.
[8] La
quale prevede tra l’altro la libertà di movimento e il divieto di
discriminazione. R. Boadway, The Constitutional Division of Power: an
Economic Perspective, Ottawa: Economic Council of Canada, 1991, 15 s.
[9] Il federalismo canadese non
è dunque un federalismo di rottura, ma di continuità. M. Chevrier, The
Idea of Federalism among the Founding Fathers of the United States and Canada,
in A.G.Gaugnon (edited by), Contemporary Canadian
federalism: foundations, traditions, institutions, Toronto, University of Toronto Press, 2009, 11 ss.
[11] Sui problemi che afliggono il
federalismo canadese e in particolare la struttura delle istituzioni federali G. Bayer, H. Bakvis, Federalism and the Reform of Central
Institutions: Dealing with Asymmetry and the Democratic Deficit, in I. Peach (edited by), Constructing Tomorrow’s Federalism,
cit., 170 ss.
[12] H.
Bakvis, G. Baier, D. Brown, Contested federalism: certainty and ambiguity in the Canadian
federation, cit., 14 ss.
[13] M.
Papillon, R, Simeon, The Weakest Link? First Ministers’ Conferences in Canadian
Intergovernmental Relations, in J.P.
Meekison, H. Telford, H. Lazar (edited by), Reconsidering the Institution of Canadian Federalism, cit., 113 ss.
[14] Ha
origini lontane nei primi anni del 900 ma sporadicamente convocata. Dal 1974 ha
assunto il nome attuale. Le riunioni sono diventate frequenti dopo la seconda
guerra, quando si è reso necssario un continuo interscabio per
l’adozione di misure a favore dell’economia. Contested federalism : certainty and ambiguity
in the Canadian federation,
cit., 105 ss.
[15] M.
Papillon, R. Simeon, The Weakest Link? First Ministers’ Conferences in Canadian
Intergovernmental Relations, cit., 118 ss.
[16] J.P.Meekison,
H. Telford, H. Lazar, The Institution of Executive Federalism: Myths and Realities, in Id (edited by), Reconsidering the Institution of Canadian Federalism, 19 ss.
[17] P.
Leslie, R.H. Neumann, R. Robinson, Managing Canadian Fiscal Federalism, in J.P.Meekison, H. Telford, H. Lazar, (edited by), Reconsidering the Institution of Canadian Federalism
cit., 213 ss.
[18] A
supporto dell’attività di coordinamento vi sono numerose strutture
che operano a livello federale e provinciale. A parte gli organi di vertice,
che si incontrano nei federal-provincial-territorial
meetengs, in modo informale e non aperto alla stampa, vi sono incontri
separati tra ministri delle finanze di province e territori, commitee of officials, che si occupano
di specifici aspetti: tasse, trasferimenti, dati, ecc. altri organismi possono
essere costituiti ad hoc, come è avvenuto per il Canada-Quebéc Pension Plan Commette.
[20]
Occorre considerare che spesso gli accordi intergovernativi sono conclusi da un
numero ristretto di persone, che in genere, ma non necessariamente,
rappresentano il corpo elettorale. Quando le élites provinciali non
riescono a dar seguito agli accordi si determina un probabile fallimento. H. Bakvis, G.
Baier, D. Brown, Contested
federalism : certainty and ambiguity in the Canadian federation, cit., 16.
[21] In
Reference re Canada Assistance Plan (BC) 1991, la Corte esamina l’accordo
concluso dal Governo federale con le Province, per il finanziamento del 50% dei
programmi di assistenza. Nel 1990 il Governo federale aveva deciso di limitare
le sue spese e di modificare unilateralmente l’accordo. La Provincia di
British Columbia ha impugnato la decisione del Governo davanti alla Corte
d’appello, invocando la legittima aspettativa. La Corte Suprema
pronunciandosi in appello ha argomentato in senso contrario, affermando che
l’accordo era tra esecutivi e non vincolava l’autorità del
Parlamento, che può sempre modificare precedenti statutes.
[22] H.
Bakvis, G. Baier, D. Brown, Contested federalism : certainty and ambiguity in the Canadian
federation, cit., 49.
[23]
Tuttavia alcune province, come il Quebéc, hanno una disciplina delle
pubblicazioni e regole di entrata in vigore.
[24] D.J. Savoie, Federal-provincial
Collaboration : the Canada-New Brunswick General Development Agreement,
Montreal: McGill-Queen's University Press, 1981, 127 ss.
[25] J.P.
Meekison, H. Telford, H. Lazar, Introduction, in Id
(edited by), Reconsidering the
Institution of Canadian Federalism, cit., 4.
[26] Una
parte della dottrina canadese ha sostenuto la necessità di
istituzionalizzare gli agreements, ma il progetto di introdurre questo
principio nel Charlotte Accord è fallito. L. Friedlander, Constitutionalizing
Intergovernmental Agreements, in National
Journal of Constitutional Law, 1994, 153 ss.
[27] A.M.
Maslove, Tax
Reform in Canada: the Process and Impact, Halifax, N.S. Institute for
Research on Public Policy, 1989, 16 ss.
[28] R.
Simeon, A. Nugent, Parliamentary
Canada and Intergovernmental Canada: Exploring the Tension, cit., 89 ss.
[30] I termini intrastate federalism e
interstate federalism vengono da K.
Loewenstein, Political Power and
the Governmental Process, Chicago, 1965, citato in D.V. Smiley, R.L. Watts, Intrastate
Federalism in Canada, Toronto, University of Toronto Press, 1985, 4.
[31] F.R.
Scott, Centralisation
and decentralisation in Canadian Federalism, cit., 52 ss. K. G. Banting, The Three Federalism: Socisal Policy and Intergovernmental Decision
Making, in H. Bakvis, G. Skogstad (edited
by), Canadian Federalism, cit., 137
ss. Quello candese è stato un dual federalism con frequenti consultazioni tra governi, negli anni
’40 è diventato cooperative,
in aree come la sanità e l’istruzione, dopo gli interventi
straordinari della Federazione richiesti dalla Guerra, ma la cooperazione si
è estesa a certi campi, permanendo in altri una logica competitive. R. Simeon, I.
Robinson, State,
Society and the Development of Canadian Federalism, University of Toronto
Press, 1990. Negli anni ’60 il protagonismo dei governi nel tessere le
relazioni tra centro e periferia ha fatto si che si parlasse del federalismo
canadese come di un executive federalism.
D.V.Smiley, Canada
in Question, Federalism in the Seventies, Toronto, Ontario, Canada:
Mcgraw-Hill Ryerson, 1976. Infine, negli anni ’90 ha fatto la
sua comparsa il federalismo collaborativo, meno gerarchico di quello
cooperativo. H. Lazar (edited by), The State of Federation 1997. Non Constitutional Renewal, Kingston,
Ontario, Institute of Intergovernmental Relations, Queen's University, 1998. L’esempio
più significativo della oscillazioni che il modello costituzionale ha
subito è quello della sanità. Nel BNA 1867 alle Province vengono
riconosciuti i poteri in materia dalla section
92, commi 7, 13, 16 e 11, ma è noto che attraverso programmi federali di
spesa e leggi federali si è assistito a uno sviluppo di competenze del
Governo centrale, attraverso il cooperative
federalism degli anni 1947-1977, l’unilateralism
federalism degli anni 1984-1999, con grandi conflitti tra Federazione e
Province, e dal 1999 un più equilibrato collaborative federalism. A. Maioni,
Health Care, in H. Bakvis, G. Skogstad (edited by), Canadian Federalism, cit., 161
ss.
[33] Le
imposte sui redditi sono un classico esempio di imposta diretta, e fino al 1917
erano di esclusivo dominio delle Province. Da quel momento il gettito venne
condiviso tra i due livelli, e per il periodo della seconda guerra mondiale il
Governo federale vi ricorse in modo esclusivo. Dopo la guerra nel 1962 vi fu un
abatement che nel 1972 divenne una riduzione dell’imposta federale,
subito recuperata dalle Province.
[34]
Entrato in vigore nel 1962, il TCA è stato modificato nel 1972 per
permettere alle Province di introdurre detrazioni ( tax credits), a patto che
questi soddisfassero le condizioni imposte dal Governo, cioè essere
fattibili, non erodere l’armonizzazione e uniformità
dell’imposta, non compromettere l’unione economica. Il TCA prevede
un’unica amministrazione per la riscossione delle imposte per la maggior
parte delle Province con una base imponibile e un aliquota comuni. Le Province
conservano il diritto di fissare le aliquote e stabilire le detrazioni nei
limiti stabiliti, mentre la Federazioni stabilisce la base e la rate structure.
Le Province possono scegliere se aderire o meno. R. Boadway, The Constitutional Division of Power,
cit., 19.
[36] P. Berg-Dick, M. Carreau, D. Field, M.
Éthier, Tax coordination
under the Canadian Tax System, in N.
Bosch, J.M.Durán (edited by) Fiscal Federalism and Political Decentralization, 2008, 175 s. Le
Province si adoperano per avere una legislazione simile, ad esempio riguardo al
calendario fiscale.
[38]
Alberta ha contestato la legittimità della tassa in Re GST 1992, la
Corte Suprema ha respinto il ricorso della Provincia di Alberta che sosteneva
l’illegittimità dell’imposta, per il modo in cui era
applicata.
[39] Per
convincere le Province ad aderire all’accordo, la Federazione si è
impegnata a compensare la perdita di manovrabilità del tributi con un
incremento della stessa in relazione alla tassa sul reddito. P.P. Gendron,
J.M.Mintz, T.A.
Wilson, VAT Harmonization in
Canada: Recent developments and the Need for Flexibility, in D. B. Perry, P.P. Gendron, J.M.Mintz, T.A.Wilson,
R,M. Bird, D. Chen, Essay on
Fiscal Federalism and Federal Finance in Canada, International Centre for
Tax Studies, University of Toronto, Discussion Paper n. 6, 1996, 24 ss
[40] P.
Berg-Dick, M. Carreau, D. Field, M. Éthier, Tax coordination under the Canadian Tax
System, cit. 183 ss.
[41] D. Perry, The
Evalution of Fiscal Finance in Canada, in D.
B. Perry, P.P. Gendron, J.M.Mintz, T.A.Wilson, R,M. Bird, D. Chen, Essay on Fiscal Federalism and Federal
Finance in Canada, cit., 5.
[42] R. Boadway, Canada
Emerging Issues in a Decentralized Federation, in R. Blindenbacher, A. O. Karos (edited by), Dialogues
on the Practice of Fiscal Federalism : Comparative Perspectives,Ottawa :
Forum of Federations,and IACFS, International Association of Centers for Federal
Studies, 2006, 11.
[43] Ogni
Provincia decide le aliquote massime e minime che i governo locali possono
stabilire per le loro entrate, che sono costituite da tasse di concessione e
tasse sul patrimonio.
[44]
L’abatement non è un grant ma una cessione di poteri impositivi
dai quali ricavare risorse. In pratica sarebbe meglio parlare di tax transfer.
Un tax transfer è previsto dal CHT e CST che li hanno ereditati dal EFP.
Vere e proprie riduzioni, abatemment espliciti, sono previsti ad esempio per la CIT in Quebec, per compensare la
mancata adesione ad alcuni shared program, P.W.Hogg,
Constiututional Law of Canada, 2007,
6.5.
[45] Si
tratta comunque di un confine mobile, che attraversa le diverse materie, come
dimostra la recente analisi di T.E.Frosini,
P.L.Petrillo, Il federalismo
fiscale “decostituzionalizzato” canadese e la negoziazione
tributaria tra livello federale e provinciale,cit. 373 ss.
[46]
Riconosciuto dalla Suprema Corte in Lovelace v Ontario 2000. P.W. Hogg, Constitutional
law of Canada, cit.
6.8(b).
[47] Tra
gli interventi più significativi il Canadian
Pension Plan, del 1965 accettato da tutte le Province meno il Quebec, che
ha attivato un suo Pension Plan; il Medial Care Act and Canadian Assistance Plan del 1966, che ha finanziato una serie di
servizi sociali prima separati e diversificati a livello provinciale.
[48] D.
M Brown, Fiscal
Federalism: Searching for Balance, in H.
Bakvis, G. Skogstad (edited by), Canadian
Federalism, cit., 64 ss.
[49] Nel
1999 il Governo federale e le Province (meno il Québec) hanno
sottoscritto il Social Union Framework
Agreement, con il quale sono stati stabiliti i principi ai quali la
Federazione deve attenersi nell’esercitare lo spending power.
[50] In R.
v. Crown Zellerbach Canada Ltd. 1988, la Corte Suprema ha confermato il ricorso
al potere federale di legiferare per una dimensione nazionale. S.Choydhry,
J.F.Gaudreault, DesBiens, L. Sossin,
Introduction, in Id (edited by), Dilemma of Solidarity: Rethinking Redistribution in the Canadian
Federation, cit. 7.
[51] A. Nader, Providing Essential Services: Canada ConstitutionAL
Commitment under Section 36, in Dalhousie Law Journal, 1996, 306 ss. R. Boadway, The
Constitutional Division of Power, cit. 16. S.Choydhry, J.F.Gaudreault,
DesBiens, L. Sossin, Introduction, cit., 5 ss.
[52] Tra le
pronounce più recenti Winterhaven Stables Ltd. V Canada 1988. R. Boadway, The
Constitutional Division of Power, cit. 17. S. Choydhry, J.F.Gaudreault,
DesBiens, L. Sossin, Introduction, cit., 8. Sul tentativo
della BC di impugnare the government expenditure restrainto act 1990 la Corte
Suprema si è espresso negativamente, riformano la decisione della Corte
di appello di BC. G. Baier, Courts and Federalism, 146 ss.
[53] R.
Boadway, Federal-Provincial
Transfer in Canada: A critical Review of the Existing Arrangements, in M. Krasnick (coordinator), Fiscal Federalism, 1986, 6 ss.
[56] R.
Boadway, Fiscal
Equalization: the Canadian Experience, in N.
Bosch, J.M.Durán (edited by) Fiscal Federalism and Political Decentralization, 2008, 109 ss.
[57] K.
Norrie, L.S. Wilson, On Re-Balancing Fiscal Federalism, in H. Lazar (edited by), Toward
a New Mission, 79 ss s.
[59]
Seguendo le raccomandazioni del gruppo di esperti istituito dal Governo
precedente nel 2005, il c.d. O’Brien Report.
[60] Exper Panel on Equalization and territorial
Formula Financing, ha funzioni consultive del Consiglio della federazione.
[63] V. Cerulli Irilli, Il contesto ordinamentale, in V.
Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese, Il
federalismo fiscale, Roma, Donzelli, 2009, 7 ss.
[64] Sul
rapporto tra l’autonomia finanziaria e il contesto istituzionale cfr. E.
Buglione, Istituzioni e autonomia finanziaria in Italia, in E. Buglione, V. Patrizi (a cura di), Governo e Governi. Istituzioni e finanza in un sistema a più
livelli, Milano,
Giuffrè, 1998, 101 ss.
[65] G. della Cananea, Autonomia e perequazione nell’art. 119 della Costituzione, in
Le istituzioni del federalismo, 2005,
n. 1, 129 ss.
[66] In
ragione di ciò, ad esempio, è stato sostenuto che le Regioni speciali
dispongono di una potestà legislativa in materia di finanza locale,
esplicitamente prevista dagli Statuti della VA e del TAA, e indirettamente
desumibile per le altre Regioni dalla competenza in materia di ordinamento
degli enti locali. Una conferma della diversa competenza in materia per le
Regioni speciali viene dalla legislazione ordinaria che di anno in anno
aggiorna il patto di stabilità interno, la quale tiene conto per VA e
TAA delle normative predisposte a livello regionale. M. Barbero, Un patto di
stabilità interno su scala regionale? L’esperienza delle Regioni a
statuto speciale (e delle province autonome), in Federalismi.it, 2004, n. 12, 3.
[68] Il vecchio
testo dell’art.. 119 si componeva di quattro
commi: «Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti
stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello
Stato, delle Province e dei Comuni.
Alle Regioni sono attribuiti
tributi propri e quote di tributi erariali in relazione a bisogni delle Regioni
per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. Per provvedere a
scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole,
lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali. La Regione ha
un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge
della Repubblica».
[69] F. Covino, L’autonomia finanziaria, in T.
Groppi, M. Olivetti (a cura di) La
Repubblica delle autonomie, Torino, Giappichelli, 2001, 190; P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119, Un economista di
fronte alla nuova Costituzione, in Le
Regioni, 2001, n. 6, 1429 ss.
[70] P. Giarda, Sull’incompletezza del sistema di federalismo fiscale proposto
dalla nuova Costituzione, in Osservatorio
sul federalismo, gennaio 2003. A.
Musumeci, Autonomia finanziaria,
livelli di governo e finanziamento delle funzioni, in E. Bettinelli, F. Rigano (a cura di), La
riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli 2004, 150 ss.
[71] M. Bertolissi, L’autonomia finanziaria delle Regioni ordinarie, in Le Regioni, 2004, nn. 2/3, 432 ss, parla di formalismo della
interpretazione della disposizione da parte di legislatore e Corte
costituzionale.
[72] Per
una forte capacità innovativa del testo A. Brancasi, L’autonomia
finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost.,
in Le Regioni, 2003, n. 1, 41 s. F. Balassone, M. Degni, G. Salvemini, Regole di bilancio, patto di
stabilità interno e autonomia delle amministrazioni locali, in Rass. Parl. 2002, 730 ss.
[73] E. Jorio, Il federalismo fiscale nella previsione costituzionale, in E. Jorio, S. Gambino, G. D’Ignazio
(a cura di), Il federalismo fiscale,
Rimini, Maggioli, 2009, 15.
[74] Si
è molto insistito in dottrina sull’uso delle espressioni
“stabiliscono ed applicano tributi propri”. Cfr. F. Gallo, Il nuovo articolo 119 della Costituzione e
la sua attuazione, in F. Bassanini,
G. Macciotta (a cura di), L’attuazione del federalismo fiscale
Il Mulino, Bologna 2003, 162; D. de
Grazia, L’autonomia
finanziaria degli enti territoriali nel nuovo titolo V della Costituzione, in
Le istituzioni del federalismo 2002,
n. 2, 278.
[75] A. Brancasi, L’autonomia finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche
sul nuovo art. 119 Cost., cit., 43 ss.
[76] In
passato i maggiori condizionamenti dell’autonomia finanziaria sono stati
quelli determinati da fonti di finanziamento non previste dalla Costituzione,
come il fondo sanitario Cfr. A.
Brancasi, L’autonomia
finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., cit.,
42 ss.; Id, Osservazioni sull’autonomia finanziaria, in Le Regioni, 2004, 451 ss.; M. Gorlani, Qualche (disincantata) considerazione
sull’autonomia finanziaria delle Regioni, in http://web.unife.it/progetti/forumcostituzionale,
considera invece insufficiente
l’elencazione delle entrate.
[77]
Secondo F. Balassone-M. Degni-G.
Salvemini, Regole di bilancio,
patto di stabilità interno e autonomia delle amministrazioni locali,
cit., 735 il testo dell’art. 119 indicherebbe una perequazione verticale,
che meglio si addice a un paese con forti squilibri territoriali.
[78]
Esistono in dottrina posizioni favorevoli e contrarie a una specifica
indicazione costituzionale del sistema di perequazione. Ritiene coerente con lo
Stato unitario la perequazione verticale P. Giarda, Regioni e federalismo fiscale, Bologna, 1995, 101 ss. Per L. Antonini, La vicenda e la prospettiva dell’autonomia finanziaria regionale:
dal vecchio al nuovo art. 119 Cost., in Le
Regioni, 2003, n. 1, 34 ss., non si può escludere una perequazione
orizzontale e si deve escludere che il Fondo perequativo vada a livellare le
differenze esistenti le capacità fiscali.
[79] Queste
disposizioni sono state considerate troppo timide e generiche rispetto alle
esigenze di garantire le Regioni più povere. Cfr. G. Pitruzzella, Problemi e pericoli del “federalismo fiscale” in Italia, in
Le Regioni, 2002, n. 5, 981 ss.
[81] G. Rolla, Il principio unitario nei sistemi costituzionali a più livelli,
in Le Regioni, 2003, n. 5, 710.
Espressione del nuovo assetto sarebbe il pur limitato principio dispositivo di
cui al’art. 116 Cost.
[82] Pare
invece inappropriato definire competitivo il sistema vigente fino al 2001, come
sostiene G. Rolla, Il principio unitario nei sistemi
costituzionali a più livelli, cit., 712, perché la
competizione non può svilupparsi quando uno dei competitori si trova in
un rapporto gerarchico in posizione subordinata e senza garanzie relative alla
tutela delle proprie competenze.
[83] Per
questa ragione, come vedremo, la legge delega sull’attuazione del
federalismo fiscale, ha previsto un sistema di organi ad integrazione
dell’attività della Conferenza. N.
Lupo, Il procedimento di
attuazione della delega sul federalismo fiscale e le nuove sedi della
collaborazione tra i livelli territoriali: Commissione Bicamerale, Commissione Tecnica paritetica e Conferenza
Permanente, in www.federalismi.it
n. 23 del 2009.
[84] C. De Fiores, Note minime sul federalismo fiscale, in costituzionalismi.it, 2009; N.
Lupo, Il procedimento di
attuazione della delega sul federalismo fiscale e le nuove sedi della
collaborazione tra i livelli territoriali: cit.
[86] Sulla
necessità della cooperazione per l’adozione delle scelte che
riguardano i vari ambiti disciplinati dalla legge F. Bassanini, G. Macciotta, Oggetto e finalità della legge, (Commento all’art. 2), in
V. Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese,
Il federalismo fiscale, cit. 28 s.
[87] T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Il federalismo fiscale, secondo la legge n.
42 del 2009. Appendice di aggiornamento a Lineamenti di Diritto Regionale, Milano, Giuffrè, 2009, 1
ss; F. Pizzetti, Un federalismo per unificare il paese e
rafforzare la democrazia, in V.
Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese (a cura di), Il federalismo fiscale, cit., 7 ss.
[88] G. Falcon, Che cosa attendersi e che cosa non attendersi dal federalismo fiscale,
in Le Regioni 2008, 765 ss. Sulle
origine economica del concetto e sulla perduranti incertezze relative alla
definizione dei costi standard E. Jorio,
Il federalismo fiscale verso i costi
standard, in www.federalismi.it
n. 12 del 2010.
[89] La
possibilità che le Regioni e gli enti locali attuino una loro politica
fiscale è assicurata, tra l’altro, dalla definizione di una
disciplina dei tributi in grado di assicurare la piena valorizzazione della
sussidiarietà orizzontale (art. 2, lett. dd) che potranno costituire
strumenti idonei per favorire la piena attuazione delle politiche della
famiglia (art. 2, lett. gg). L. Antonini,
La manovrabilità dei tributi
propri (Commento all’art. 7), in V.
Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese (a cura di), Il federalismo fiscale, cit. 128 ss.
[90] Si
tratta, rispettivamente, degli artt. 23 e 24 della legge delega. L’art.
23 si occupa della disciplina transitoria di tali enti, fino a che non
sarà emanata un apposita legge. L’art. 24 prevede una speciale
autonomia per la capitale, e ne definisce i tratti fondamentali. T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Il federalismo fiscale, secondo la legge n.
42 del 2009, cit. 26 ss.
[91] Art.
2, comma 2, lett. q. L. Antonini, Il federalismo fiscale a una svolta: il nuovo disegno di legge, in www.federalismi.it n. 16/2008.
[92] Il
legislatore ha replicato lo schema dell’art. 7, che classifica le spese e
le relative fonti di finanziamento
per le Regioni, nell’art. 11, che qualifica le spese e le fonti di
finanziamento per gli enti locali.
[93] Come
ha osservato di recente G. Cerea,
Regionalismi del passato e federalismo
futuro: cosa insegna l’esperienza delle autonomie speciali, in Le Regioni, 2009, nn.3-4, 453 ss., la propensione al federalismo è
storicamente diversa da regione a regione.
[94] In tal
caso, pare ovvio che detto riconoscimento venga accompagnato da un adeguato
ammontare di risorse. V. Cerulli Irelli,
Regionalismo differenziato (Commento
all’art. 14), in V. Nicotra,
F. Pizzetti, S. Scozzese (a cura di), Il federalismo fiscale, cit., 149 ss.
[95] A. Brancasi, L’autonomia
finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost.,
in Le Regioni, 2003, n. 1, 48 ss.
[96] Cfr. D. Fausto-F. Pica, Introduzione, in Teoria e
fatti del federalismo fiscale, Il Mulino, Bologna 2000, 24 ss.
[97] Sulle
oscillazioni legislative e giurisprudenziali, in presenza di un modello
costituzionale aperto, F. Covino,
ostituzione e federalismo fiscale in nove
ordinamenti dell’Unione europea, in federalismi.it n. 16 del 2005.
[98] E. Buglione, La nuova autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti locali, in federalismi.it, n. 10 del 2010.
[99] F. Farina, V. Russo, A. Zanardi, Esperienze di decentramento fiscale: tendenze emergenti, in A. Zanardi (a cura di), Per lo sviluppo. Un federalismo fiscale
responsabile e solidale, Bologna, Il Mulino, 2006, 43 ss.
[102] Sono
superate perciò le interpretazioni dell’art. 23 Cost. come
attribuzione di riserva esclusivamente statale. F. Gallo, Prime osservazioni
sul nuovo art. 119 della Costituzione, in Rass. Trib. 2002, 589. per cui
risulta superata la configurazione della stessa come potestà attuativa M. Basilavecchia-L. Del Federico-F. Osculati,
Il finanziamento delle regioni, in Ist. fed.2006, 670
[103] Non
è mancato chi ha sostenuto che esista un unico regime legislativo,
perché in materia di coordinamento della finanza regionale sarebbe
impensabile un sistema parallelo di legislazione Le regioni, partecipando della
potestà concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario si autolimiterebbero anche nel regolare il proprio sistema
e quello degli enti locali. D. De Grazia,
L’autonomia finanziaria degli enti
locali nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Ist. Fed. 2002, 271 ss.
[104] F. Gallo, Prime osservazioni sul nuovo art. 119 della Costituzione, in Rass. Trib.
2002, 588 ss. F. Gallo, Le risorse per l’esercizio delle funzioni
amministrative del nuovo articolo 119, in www.amministrazioneincammino.it;
A. Brancasi, L’autonomia finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul
nuovo art. 119 Cost., in Le Regioni, 2003, n. 1, 50 s A. Brancasi, Eguaglianze e
disuguaglianze nell’assetto finanziario di una Repubblica federale, cit.
915 s. D. De Grazia, L’autonomia finanziaria degli enti
locali nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le ist. Fed. 2002, 268 ss.
[105] La
natura dei tributi propri è stata chiarita dalla Corte cost. sent. nn.
296 e 297 del 2003, in Giur. cost. 2003, 2555 ss., e sent. n. 37 del 2004, in Giur. cost. 2004, 517ss., con nota di M. Barbero, Dalla Corte costituzionale
un ''vademecum'' per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione in www.giurcost.org.
A. Brancasi, La finanza regionale e locale nella giurisprudenza costituzionale,
in Dir. pubbl. 2007, 858 ss. Nella
stessa pronuncia la Corte ha escluso la possibilità degli enti locali di
istituire tributi propri. Secondo la teoria economica, in generale un tributo
si qualifica proprio se il suo gettito è riferito a una base imponibile
presente nel territorio e se manovrabile dall’ente beneficiario. Altri elementi
possono essere il potere di istituzione e di gestione del tributo. Cfr. F. Balassone-M. Degni-G. Salvemini, Regole
di bilancio, patto di
stabilità interno e autonomia delle amministrazioni locali, cit.,
733 s. .
[106] Cfr. sent.
nn. 296, 297 e 311 del 2003, in Giur.
cost. 2003; 241 del 2004; 335 e 397 del 2005; 75 del 2006. Cfr. M.
Barbero, Le contraddizioni di un
federalismo (fiscale) “senza principi”, (Breve nota a margine di
Corte Cost. n. 397/2005), in Federalismi.it,
n. 21 del 2005. La tesi accolta dalla Corte era stata prospettata in
dottrina da Cfr. F. Gallo, Il nuovo articolo 119 della Costituzione e
la sua attuazione, cit., 194 ss. Nella sent. n. 2 del 2006 la Corte ha
considerato legittima la disposizione con il quale il legislatore della Regione
Marche ha realizzato la maggiorazione dell’addizionale IRPEF attraverso
un’“aliquota progressiva”, articolata in più aliquote
crescenti in funzione del reddito.
[107] P. De Ioanna, L’autonomia finanziaria: un’ipotesi di ricostruzione
interpretativa tra diritti di cittadinanza e federalismo possibile, in Osservatorio sul federalismo, 2002, 15
[108] La
scelta di alcune Regioni di modificare con legge la disciplina dell’IRAP,
è stato respinto dalla Corte nella sent. n. 296 del 2003, che ha negato
ad esso la natura di tributo proprio regionale. La Corte ribadisce che natura
di tributo proprio non deriva dunque dall’essere assegnato alla Regione,
o riferibile al suo territorio, ma dall’essere istituito dalla Regione.
Cfr. L. Antonini, La Corte assegna l’IRAP alla
competenza esclusiva statale. Intanto il federalismo fiscale rimane al palo
mentre decolla il “tubatico” siciliano, cit., 241 ss. A
ulteriore precisazione della giurisprudenza della Corte si vedano anche le ormai
note sent. Nn. n. 16 e 37 del 2004. Sul contributo della giurisprudenza alla
definizione dell’autonomia tributaria regionale cfr. A. Brancasi, Osservazioni sull’autonomia finanziaria, cit., p. 451 ss.; M.
Barbero, La Corte costituzionale ritorna sull’Irap, in www.associazionedeicostituzionalisti.
[109] Anche
ad ammettere che le regioni abbiano una potestà normativa esclusiva,
restano da definire i limiti della stessa. Per alcuni si ha un limite di continenza,
per altri le regioni potrebbero istituire tributi per svolgere le loro funzioni
in materie dove non hanno competenze normative. A. Brancasi, L’autonomia
finanziaria degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost.,
in Le Regioni, 2003, n. 1, 51 s
[110] Ma che
in passato ha avuto carattere gerarchico, non essendoci strumenti e sedi
adeguate di cooperazione F. Merloni, La leale collaborazione nella Repubblica
delle autonomie, in Dir. pubbl.
2002, p. 847 ss.
[111] A. Brancasi, La finanza regionale e locale nella giurisprudenza costituzionale,
in Dir. pubbl. 2007, 860 ss. La legge
dovrà prevedere, per ciascun livello di governo, un’adeguata
combinazione di risorse proprie, compartecipazioni e trasferimenti dal
fondo perequativo, assumendo come criterio-guida il principio del parallelismo
fra responsabilità di disciplina e responsabilità finanziaria. La
sentenza che ha posto le basi di questa giurisprudenza è la n. 37 del
2004. Cfr. A. Brancasi, Osservazioni sull’autonomia
finanziaria, cit., 452. La Corte sembrerebbe così avallare
l’ipotesi che i principi di coordinamento del sistema tributario abbiano
un’efficacia diversa dai principi fondamentali della materia, per i quali
è consentito alle Regioni di legiferare traendo i principi dalla legislazione
vigente. Come previsto ora dall’art. 1, comma 3, della legge n. 131 del
2003. Mentre questi ultimi limitano solo il potere normativo, i primi
ripartiscono sia il modo in cui può essere esercitato il potere
normativo relativo all’imposizione, sia l’area di prelievo (e
dunque della materia). In dottrina si era posto il problema se le regioni
possano esercitare questa potestà nell’inerzia del legislatore
statale. A favore di questa interpretazione cfr. P. Giarda, Le regole
del federalismo fiscale nell’art. 119, Un economista di fronte alla nuova
Costituzione, cit., 1435; F. Gallo,
Il nuovo articolo 119 della Costituzione
e la sua attuazione, cit., 168 ss.; A.
Brancasi, L’autonomia finanziaria
degli enti territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., cit., 59
ss., in senso dubitativo L. Antonini,
La vicenda e la prospettiva
dell’autonomia finanziaria regionale: dal vecchio al nuovo art. 119 Cost.
cit., 31.
[112] Il
potere statale di disciplina della fase transitoria potrebbe superare in questa
fase i limiti della normazione di principio. Cfr. M. Barbero, Federalismo fiscale: dalla
Consulta una sentenza con molte conferme, alcune precisazioni e qualche
anticipazione, (nota a Corte Cost. n. 320/ 2004), in Federalismi.it,
n. 23 del 2004. Tuttavia, questo divieto di reformatio in pejus ha avuto
esiti deludenti nell’applicazione. A.
Brancasi, La finanza regionale e
locale nella giurisprudenza costituzionale, cit. 867 ss.
[113] P. De Ioanna, L’autonomia finanziaria: un’ipotesi di ricostruzione
interpretativa tra diritti di cittadinanza e federalismo possibile, in Osservatorio sul federalismo, 2002, www
federalismo.it. M. Basilavecchia-L. Del
Federico-F. Osculati, Il
finanziamento delle regioni, in Ist. fed.2006, 673 ss. Infatti, la possibilità
che le regioni o gli enti locali adottino misure fiscali deve essere valutata
alla luce del divieto di aiuti di Stato e del principio di libera circolazione,
come hanno messo in evidenza le vicende dei tributi sardi. Come è noto
la questione dei tributi selettivi, tali perché riservano un trattamento
vantaggioso per alcune imprese, può essere affrontata tenendo in
considerazione l’elemento territoriale. La Corte di giustizia ha
inizialmente negato la legittimità di tributi selettivi territoriali,
configurati come aiuto di stato, e poi li ha ammessi in presenza di determinate
condizioni, sono ammissibili i tributi che incidono sulle imprese di un
territorio se l’ente che li istituisce o li applica, a seconda di come si
interpreta l tributo proprio, è dotato di autonomia politico
istituzionale, di decisione e finanziaria.
M Barbero, Per attuare una vera fiscalità
regionale di vantaggio serve il federalismo fiscale (nota a margine di Corte di
Giustizia delle Comunità europee, sentenza nella causa C-88/03,
Portogallo vs Commissione), in Le
Regioni 2007, 379 ss.
[115] F. Osculati, L’autonomia tributaria, (commento agli artt. 11 e 12), in V. Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese(a
cura di), Il federalismo fiscale, 242.
[117] L. Ronchetti, Federalismo fiscale: il futuro della riforma e lo stato attuale della
giurisprudenza, in costituzionalismo.it (2 novembre 2009)
[118]
Attualmente il decentramento del
gettito è di circa il 20%, quello della spesa del 50%. E. Buglione, La nuova autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti locali, in federalismi.it, n. 10 del 2010.
[119] Anche
sulla disciplina dell’indebitamento la legge non contiene indicazioni
specifiche, mentre è assai improbabile un introito significativo dal
patrimonio che verrà trasferito con il c.d. federalismo demaniale.
[120] L. Salvini, I tributi propri di Regioni, Province e Comuni. Profili tributari
(Commento agli artt. 11 e 12), in V.
Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese (a cura di), Il federalismo fiscale, 214.
[122] T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Il federalismo fiscale, secondo la legge n.
42 del 2009, cit., 6.
[123]
Secondo alcuni tributaristi l’aspirazione degli enti territoriali non
è quella di avere il potere di istituire e applicare tributi, quanto
quello di gestire autonomamente un bilancio e quindi risorse sufficienti. M. Di Siena, Le entrate tributarie degli enti sub-statali nella recente legge delega
sul federalismo fiscale. Brevi riflessioni (problematiche) di un tributarista.:
è vera gloria? in costituzionalismo.it
2009
[124] Il
primo invoca la maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e
contabile di tutti i livelli di governo; il secondo la lealtà
istituzionale fra tutti i livelli di governo nel conseguimento degli obiettivi
di finanza pubblica, con evidente co-responsabilizzazione degli stessi.
[125] Salvo
il caso in cui tali interventi siano effettuati dallo Stato su basi imponibili
e aliquote riguardanti gli enti locali o su basi imponibili di tributi
regionali derivati e aliquote di addizionali regionali, con conferimento di
funzioni amministrative e contestuale adozione di misure per la compensazione.
[127] E. Della Valle, Il c.d. federalismo fiscale nell’ottica del tributarista: nihil
sub sole novi, in
costituzionalismo.it (18 maggio 2010).
[128]
L’art. 12 lett. b, elenca
diverse fonti di gettito: compartecipazione IVA, all’Irpef, imposizione immobiliare,
tributi di scopo. Ad essi l’art. 11 aggiunge addizionali e tributi
erariali. Agli enti locali viene così riconosciuta un’autonomia
qualitativamente e quantitativamente più ampia rispetto al passato, in
accordo con il nuovo dettato dell’art. 119 Cost. la legge delega ha
dedicato un apposito capo alla finanza degli enti locali. G.F.Ferrari, Inquadramento
generale dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli Enti locali (Commento agli
artt. 11,12,12 e 21), in V. Nicotra,
F. Pizzetti, S. Scozzese (a cura di), Il federalismo fiscale, 175 ss.
[129] Artt.
2, lett. q e 12, lett. g. L. Antonini,
La manovrabilità dei tributi
propri (Commento all’art. 7),p. 132 ss. Anche questa parte della
potestà normativa regionale è stata “congelata” dalla
giurisprudenza costituzionale, con l’eccezione delle regioni speciali,
come chiarito dalla sent. n. 108 del 2008. L’autonomia degli enti locali
si attua mediante regolamenti, pertanto non può consistere nella
potestà impositiva, ma in quella di manovra. La potestà regolamentare
avrà una forza proporzionale a quella legislativa regionale statale, che
dovranno però rispettare i principi a tutela dell’autonomia
inclusi nella delega. G.F. Ferrari,
Inquadramento generale dei rapporti
finanziari tra lo Stato e gli Enti locali (Commento agli artt. 11,12,12 e 21),
cit., 162 ss.
[130]
L’art. 12, comma 1, lett. a prescrive che la legge statale fissi
presupposti, soggetti passivi, imponibili e, con un’adeguata
flessibilità, aliquote valide per tutto il territorio nazionale. Gli
Enti locali non potrebbero scegliere, se non nel caso di tributi di scopo, di
attivare o meno i tributi propri. L.
Salvini, I tributi propri di
Regioni, Province e Comuni. Profili tributari (Commento agli artt. 11 e 12),
cit., 215 s.
[131] E. Jorio, Il federalismo fiscale nella previsione costituzionale, cit. 21 ss.
Per il fatto di attribuire direttamente il gettito alle regioni, la nuova
formula è potenziale in grado di determinare maggiori effetti
sperequativi. A. Brancasi, L’autonomia finanziaria degli enti
territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., in Le Regioni, 2003, n. 1, 67 s.
[132] T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Il federalismo fiscale, secondo la legge n.
42 del 2009, cit., 6.
[133] La
localizzazione dei cespiti per i tributi sul patrimonio, del luogo di
prestazione del lavoro per i tributi sulla produzione, del residenza per i
tributi sui redditi delle persone fisiche.
[134] Cfr. A. Brancasi, Per “congelare” la potestà impositiva delle Regioni
la Corte costituzionale mette in pericolo la loro autonomia finanziaria, in
Giur. cost. 2003, 2562 ss.
[135]
Secondo la teoria economica, le diverse competenze normative dovrebbero
comportare un diverso finanziamento, per cui quelle esclusive delle Regioni
dovrebbero essere finanziate con tributi propri, integrabili dalle
compartecipazioni ai tributi erariali, e quelle concorrenti con i contributi
statali (principalmente perequativi, ma non solo). Ma questa impostazione non
sembra trovare piena conferma nel testo costituzionale, che conserva molte ambiguità
non solo riguardo la perequazione tra territori, ma anche sul principio della
responsabilità politico fiscale, e sul finanziamento delle funzioni
amministrative assegnate agli enti locali, creando le condizioni per un
potenziale aumento delle tensioni tra diversi livelli di governo. Per
individuare le funzioni che devono essere finanziate con le fonti di
finanziamento elencate dall’art. 119, una parte della dottrina ha
proposto di prendere in considerazioni le regole sulla distribuzione del potere
normativo. Cfr. F. Gallo, Il nuovo articolo 119 della Costituzione e
la sua attuazione, cit., 173 ss.; P.
Giarda, Le regole del federalismo
fiscale nell’art. 119, cit., 1451 ss. Contra D. de Grazia, L’autonomia
finanziaria degli enti territoriali nel nuovo Titolo V della Costituzione,
cit., 287; L. Antonini, La vicenda e la prospettiva
dell’autonomia finanziaria regionale: dal vecchio al nuovo art. 119 Cost.
cit., 36, il quale ritiene che le forme di finanziamento debbano prescindere
dalle competenze normative.
[136] Il
tema è particolarmente sentito, e ha assunto ormai toni drammatici, nel
settore della sanità, dove è dilagata negli ultimi decenni una
cultura della spesa irresponsabile. Scarsamente efficaci si sono dimostrati i
tentativi di arginare il fenomeno dell’extra-deficit attraverso misure
straordinarie quali i piani di rientro, e conferimento di poteri di Commissario
ad acta ai Presidenti della Giunta regionale, previsti entrambi dalla legge. N.
311 del 2004-finanziaria per il 2005. E.
Jorio, I piani di rientro del
debito sanitario e i rischi della legislazione dell’emergenza, in federalismi.it, n. 13 del 2009.
[137] T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Il federalismo fiscale, secondo la legge n.
42 del 2009, cit., 8.
[138] Queste
sono state limitate dalla giurisprudenza della Corte, che ha inteso le spese di
investimento in senso stretto ha ammesso l’intervento dello Stato in
funzione di coordinamento dell’accesso al mercato finanziario in via
amministrativa. Cfr. P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale
nell’art. 119, cit., 1431. Nonostante il divieto il legislatore
nazionale, nelle more del referendum costituzionale, aveva concesso con d.l. n.
347 del 2001, convertito in legge n. 405 del 2001, le Regioni a ricorrere
all’indebitamento per coprire il disavanzo della spesa sanitaria. Cfr. L. Palatucci, I vincoli all’autonomia di bilancio degli enti territoriali nel
nuovo art. 119 Cost.: alcune osservazioni sulla base dell’esperienza
comparata, in Le istituzioni del
federalismo, 2003, 662 ss. Il legislatore nazionale ha confermato
l’interpretazione restrittiva nella legge n. 350 del 2003 (finanziaria
2004) stabilendo che gli investimenti di cui si tratta sono solo quelli diretti
e non a fini di coprire spese di gestione o precedenti buchi di bilancio. A. Brancasi, La finanza regionale e locale nella giurisprudenza costituzionale,
cit. p. 894 ss. Tuttavia, è accaduto che lo stesso legislatore abbia
più volte derogato a questa definizione consentendo alle regioni di
indebitarsi per coprire debiti pregressi nella sanità E. Jorio, Il federalismo fiscale nella previsione costituzionale, cit. 38 ss.
[140] G.G. Carboni, Il coordinamento della finanza pubblica alla luce di alcune esperienze
straniere, in federalismi n. 4
del 2007.
[141] Cfr. P. Giarda, Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119, cit., 1433ss;
M. Bertolissi, L’autonomia finanziaria delle Regioni
ordinarie, cit., 438 ss.; A.
Brancasi, Osservazioni
sull’autonomia finanziaria, cit., 457 ss. Del resto, il Patto interno
di stabilità è stato recepito da una legge dello Stato
(finanziaria), che altro non è se non una legge di coordinamento. Cfr. R. Perez, La finanza pubblica, cit., 665; G.
Ladu, Alla ricerca degli equilibri
finanziari, in Quad. cost. 2002,
90 ss.; F. Merloni, La leale collaborazione nella Repubblica
delle autonomie, cit., 839 ss.
[142] Cfr. G. D’Auria, Funzioni amministrative e autonomia finanziaria delle regioni e degli
enti locali, in Il Foro Italiano, 2001,
V, 219.
[144] A. Brancasi, Eguaglianze e disuguaglianze nell’assetto finanziario di una
Repubblica federale, in Dir. pubbl.
2002, n. 3, 903 ss.
[145] Nel
periodo di trasferimento di competenze le condizioni della finanza pubblica
possono peggiorare in mancanza di precise regole sulla distribuzione dei
compiti. In ogni caso è necessaria una rete di controlli per evitare i
pericoli di una gestione irresponsabile da parte di alcuni enti e
l’eccessivo aggravamento degli obblighi fiscali. In presenza di queste
condizioni può farsi luogo all’autonomia finanziaria ottenendo una
migliore risposta pubblica ai bisogni della collettività locale. Cfr. A. Fraschini-F. Osculati, Federalismo dall’alto, in Riv. dir. fin. e sc. delle fin. 2003, n.
3, 399 ss.; F. Balassone-M. Degni-G.
Salvemini, Regole di bilancio, patto di stabilità interno e autonomia delle amministrazioni
locali, cit., 730. Sulla difficoltà di trovare un buon equilibrio
tra le esigenze della teoria economica e quelle della democrazia politica cfr. V. Patrizi, Rappresentanza ed efficienza, cit., 17ss.
[146] Sul
principio del solidarismo territoriale cfr. U.
de Siervo, Riforma del
regionalismo e Stato sociale, cit., 46 ss.
[148] A. Brancasi, Eguaglianze e disuguaglianze nell’assetto finanziario di una
Repubblica federale, cit., 913 ss.
[149] A. Brancasi, Eguaglianze e disuguaglianze nell’assetto finanziario di una
Repubblica federale, cit., 933 ss.
[150] Le
indicazioni dell’art. 119 sembrano quelle di una perequazione verticale,
perché la competenza normativa e soprattutto il fondo perequativo sono
statali. A. Brancasi, L’autonomia finanziaria degli enti
territoriali: note esegetiche sul nuovo art. 119 Cost., cit., 69 ss
[151] La
correzione dei fabbisogni fa riferimento alla differenza di costi nella
fornitura di servizi che non dipendono dalla capacità contributiva,
quali la popolazione e il territorio. Il riequilibrio che incide sulla
capacità contributiva presuppone, in genere, che non vi siano differenze
rilevanti di fabbisogni, e che si possa intervenire senza ricorrere a fonti di
finanzimento diverse. A. Zanardi, La
perequazione regionale (Commento all’art. 9 ), in V. Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese (a
cura di), Il federalismo fiscale,
cit., 99 ss.
[152] G. Macciotta, Interventi speciali (Commento agli artt. 16 e 22), in V. Nicotra, F. Pizzetti, S. Scozzese (a
cura di), Il federalismo fiscale,
cit., 307 ss.
[154] Nel
rispetto di detta autonomia gli interventi aggiuntivi sono oggetto di intesa in
sede di Conferenza Unificata e disciplinati annualmente con legge. G. Macciotta, Interventi speciali (Commento agli artt. 16 e 22), cit, 305 ss.