N. 9
– 2010 – Contributi
LA SINDROME DELLA CLASSE ECONOMICA*
Università
di Sassari
Sommario: I. La sindrome venosa
profonda e la sua incidenza nel trasporto aereo. – II. Presupposti per una
pretesa del passeggero verso il vettore. – II.1. Disciplina applicabile. – II.2. La pretesa esclusività dell’azione. – La casistica. – II.3. Uniformità
delle soluzioni adottate. – II.4. La casistica italiana. – II.5. Le ragioni della posizione negativa della giurisprudenza. –
Esigenze di uniformità di interpretazione del diritto uniforme.
– II.6. La nozione di «incidente». – II.7. Evento ed incidente. – II.8. Le condizioni fisiche del passeggero. – II.9. Sostanziale
coincidenza della previsione del presupposto del risarcimento nella Convenzione
di Montreal rispetto alla Convenzione di Varsavia. – III. Le prospettive aperte dal caso Olympic
Airways v. Husain. – IV. Opportunità
di prevedere una copertura assicurativa obbligatoria per gli infortuni del
passeggero. – IV.1. I precedenti regimi di assicurazione obbligatoria infortuni del
passeggero. – IV.2. Abolizione dell’assicurazione obbligatoria passeggeri nel codice
della navigazione italiano. – IV.3. Inadeguatezza
dell’assicurazione di responsabilità del vettore a garantire
pienamente la tutela dei passeggeri, anche in un regime di
responsabilità oggettiva. – IV.4. Opportunità
di prevedere un’assicurazione che copra i danni da DVT ed altre
manifestazioni morbose del passeggero. – V. Conclusioni.
Il problema della risarcibilità del danno conseguente alla
c.d. «sindrome della classe economica»[1]
(nota nella terminologia medica come «sindrome venosa profonda»)[2],
che si verifichi nell'ambito di un trasporto aereo
«internazionale», ai sensi della Convenzione di Montreal del 1999,
ovvero della Convenzione di Varsavia del 1929, non apre, in realtà,
questioni assolutamente nuove rispetto ad altre già esaminate in passato
dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Tuttavia, ha richiamato l'attenzione
tanto della stampa di divulgazione che della letteratura specialistica, sia
medica[3],
sia giuridica, se non altro per la drammaticità delle conseguenze che in
alcuni casi le vicende connesse hanno assunto. Fra i fattori certamente non
secondari che hanno alimentato il dibattito, oltre le maggiori conoscenze
scientifiche, certamente ha inciso la diffusione del trasporto aereo, diventato
mezzo di trasporto di massa, e l’introduzione di apparecchi a reazione,
idonei a voli di lungo raggio senza scalo, che ha contribuito ad un incremento
della casistica conosciuta[4].
Prima di affrontare i profili giuridici, va chiarito che non si
tratta di una patologia che si riscontra esclusivamente nei passeggeri del
trasporto aereo[5],
e nemmeno è vero che si verifichi esclusivamente fra i passeggeri di
classe economica. In realtà, conseguenze analoghe sono state riscontrate
in soggetti costretti a posture particolari per periodi di tempo dilatati, come
può accadere anche in altre modalità di trasporto, e la patologia
non è sconosciuta nemmeno ai passeggeri di prima classe[6].
D'altro canto, la patologia in questione è stata riscontrata con una
certa frequenza durante la seconda guerra mondiale fra i soggetti costretti a
restare per lunghi periodi nei rifugi antiaerei durante la battaglia
d'Inghilterra[7].
D’altra parte, rispetto al trasporto aereo, a mio avviso,
la riflessione va svolta, tenendo in considerazione anche un’altra
considerazione di fatto, di non secondaria importanza sul piano sociale ed
economico: quand’anche non abbia esito fatale, la sindrome può comportare
per il passeggero l’assunzione di costi sanitari e di ospedalizzazione
particolarmente gravosi, molto lontano dal suo luogo di residenza abituale, e
magari non coperti dal regime di assistenza sanitaria di cui gode nel proprio
Paese. A ciò si aggiunge la considerazione che la casistica della
sindrome venosa profonda resta comunque fortunatamente molto circoscritta
rispetto al totale dei passeggeri nel trasporto aereo: si tratta, insomma, di
un rischio che potrebbe essere molto agevolmente collocato sul mercato
assicurativo.
Da un punto di vista giuridico, la questione va inquadrata in
termini non diversi rispetto ad ogni altra pretesa che il passeggero o i suoi
aventi causa possano avanzare nei confronti del vettore nel trasporto aereo
internazionale. In quanto sia applicabile una convenzione di diritto uniforme,
occorre verificare se la domanda dell'attore ricada in quella convenzione,
ovvero, se quella convenzione, ove la vicenda de qua ricada nel suo campo di
applicazione, sia preclusiva della possibilità per il danneggiato di
fondare la sua pretesa anche, o soltanto, sul diritto comune, piuttosto che sul
testo di diritto uniforme: ad esempio, in un trasporto aereo internazionale, ai
sensi dell'art. 1 della Convenzione di Montreal del 1999, ovvero
dell’art. 1 della Convenzione di Varsavia del 1929, va verificato se il
passeggero o gli aventi causa possano invocare (anche o soltanto) le tutele
accordate alla stregua della disciplina ordinaria dei contratti o del trasporto
in generale (assumendo che il trasporto aereo altro non sia che un sottotipo di
quest'ultimo)[8],
ovvero della responsabilità aquiliana, in astratto applicabile alla
stregua dei principi di diritto internazionale privato, in quanto non siano
precluse, ai sensi dell’art. 29 della Convenzione di Montreal, o
dell’art. 24 della Convenzione di Varsavia[9].
Va precisato che la Convenzione di Varsavia prima, e la
Convenzione di Montreal, poi, non hanno inteso dettare un regime legale
esaustivo, che potesse esaurire nel diritto uniforme ogni possibile aspetto
connesso al trasporto aereo internazionale[10].
Si tratta di un aspetto evidenziato nella stessa intestazione
delle convenzioni in questione: ad esempio, la Convenzione di Varsavia del 1929
è, infatti, intitolata alla «unification de certaines
règles relatives au transport aérien International». Sottolineo
l'utilizzazione del termine «certaines», che intendeva
sottolineare come il legislatore di diritto uniforme avesse inteso
dettare soltanto una disciplina minima della materia della trasporto aereo
internazionale, incentrata sulla responsabilità vettoriale e sulla
documentazione del trasporto, in quanto funzionale alla responsabilità,
lasciando per il resto il rapporto regolato appunto alla stregua della
normativa nazionale applicabile. Questo paradigma è stato seguito anche
dalla Convenzione di Montreal nel 1999 («Convention for the unification
of certain rules for international carriage by air»;
«Convention pour l'unification de certaines règles
relatives au transport aérien»; in lingua spagnola «Convenio
para la unificación de ciertas
reglas para el transporte aéreo internacional».
A questa lettura si contrappone quella che, partendo da una
malintesa interpretazione dell’art. 24 della Convenzione di Varsavia, ha
aperto la strada ad un atteggiamento ancor più restrittivo alla stregua
dell’art. 29 della Convenzione di Montreal[11],
che, tuttavia, sembra non aver attecchito nella giurisprudenza degli
ordinamenti di diritto continentale[12],
ed è stata espressamente rigettata dalla Corte di giustizia delle
Comunità europee[13].
La giurisprudenza fin qui conosciuta sulla sindrome venosa
profonda nel trasporto aereo formatasi nei vari ordinamenti legati al sistema
della Convenzione di Varsavia, in cui la questione si è posta, è
sembrata univocamente orientata ad escludere la risarcibilità dei danni
derivanti da questo tipo di evenienze[14],
sulla scìa della prima decisione nota[15],
adottata dalla Corte Suprema dello Stato di New York nel 1976 [16];
con il conforto, peraltro, della prevalente letteratura[17].
La per ora circoscritta casistica italiana, che consta di due
decisioni, entrambe relative a trasporti aerei che ricadevano nell’ambito
di applicazione della Convenzione di Montreal, emesse, rispettivamente dal
Tribunale di Varese – Sezione di Busto Arsizio[18]
e dal Tribunale di Roma[19],
non si discosta dalla soluzione negativa della risarcibilità[20].
Si riscontra sul punto una coincidenza di soluzioni adottate
dalle autorità giudiziarie dei vari ordinamenti interessati, che va
nella linea di offrire una interpretazione uniforme dei trattati internazionali
(quali sono anche le convenzioni di diritto uniforme), secondo quanto postulato
dalla Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati[21];
è incidentalmente da dire che, a livello di diritto interno italiano, il
canone ermeneutico che richiama l’esigenza dell’interpretazione
uniforme delle convenzioni di diritto uniforme è esplicitamente ribadito
dall’art. 2, comma 2, della l. 31 maggio 1995, n. 218 sulla riforma del
sistema di diritto internazionale privato[22].
L’atteggiamento della giurisprudenza riposa sulla nozione
di «accident qui a causé le dommage … produit à
bord de l’aéronef ou au cours de toute opérations
d’embarquement et de débarquement», secondo la formula
adottata dall’art. 17 della Convenzione di Varsavia, sostanzialmente
ripresa dall’art. 17 della Convenzione di Montreal, per delimitare
l’ambito dei fatti causativi della responsabilità del vettore
aereo per morte o lesioni personali subite dal passeggero. In effetti,
ancorché la nozione di «incidente» nella disciplina uniforme
della responsabilità vettoriale sia stata al centro di ampia
discussione, ne manca una definizione nella Convenzione di Varsavia, e non si
è considerata l’opportunità di operare in maniera diversa
nella stesura della Convenzione di Montreal[23],
nonostante l’esperienza pregressa avesse mostrato tutti i limiti di tale
soluzione, anche rispetto a tipologie di eventi di ben di natura diversa da
quelli di cui ci stiamo occupando oggi, come, per citare un esempio noto e
discusso, le conseguenze di atti terroristici o, comunque, interferenze
illecite contro l’aviazione civile[24].
Sembra, in effetti, prevalente l’idea, tanto rispetto alla
Convenzione di Varsavia che alla Convenzione di Montreal, che
l’«accident» debba consistere in un evento che non discenda
dalle pregresse condizioni di salute del passeggero: anche sulla base del
richiamo della nozione presupposta nell’Annesso 13 della Convenzione di
Chicago del 1944 [25],
in un filone giurisprudenziale inaugurato dalla celebre decisione della Corte
Suprema degli Stati Uniti sul caso Air France v. Saks[26],
che riguardava la rottura di un timpano di un passeggero, senza che il volo
avesse presentato alcuna anomalia[27],
si è sostenuto che l’«incidente» debba consistere in
un fattore inusuale rispetto alle normali operazioni dell’aeromobile[28],
con soluzione che è stata criticata da un’ampia parte della
letteratura specialistica[29],
anche in quanto le sue implicazioni sono state malintese da una parte della
giurisprudenza successiva[30],
in senso che aggrava l’onere probatorio a carico del danneggiato, al di
là di quanto richiesto dal legislatore di diritto uniforme[31].
Si tende ad affermare che la morte o la lesione personale subita
dal passeggero non costituisce di per sé un «incidente»[32];
essa può (eventualmente) costituire la conseguenza di un
«incidente», che, se ed in quanto verificatosi nell’arco
temporale coperto dall’art. 17 della Convenzione di Varsavia, ovvero,
dall’art. 17 della Convenzione di Montreal (in definitiva,
dall’inizio dell’imbarco al completamento dello sbarco)[33],
può dar luogo alla responsabilità del vettore[34].
Devo incidentalmente osservare che non necessariamente la formula
proposta dal mai entrato in vigore Protocollo di Guatemala City del 1971, per
definire il presupposto fattuale su cui si fonda la responsabilità del
vettore («fait» in lingua
francese; «event» in
lingua inglese; «hecho»
in lingua spagnola), sostanzialmente seguita anche dall’art. 129 del Proyecto de Código Aeronáutico
Latinoamericano[35],
avrebbe potuto portare ad una più agevole affermazione della
responsabilità del vettore aereo, rispetto ad episodi come quelli di cui
ci stiamo occupando in questa sede, dato che comunque resta ferma la condizione
che il fatto produttivo della morte o della lesione personale si sia prodotto a
bordo dell’aeromobile o durante le operazioni di imbarco o di sbarco: mi
limito qui ad osservare che la definizione di tale ambito temporale della
responsabilità vettoriale non è pacifica, e che, comunque, sul
passeggero o sui suoi aventi causa continuerebbe a gravare l’onere della
prova circa la collocazione cronologica del fattore scatenante
dell’episodio di trombosi venosa profonda.
Rispetto all’accoglimento di una domanda risarcitoria per i
danni conseguenti alla DVT osta che il fattore che ha determinato in concreto
il rischio della trombosi risiede nelle condizioni fisiche pregresse del
passeggero, di cui forse lui, e nella normalità dei casi il vettore, non
ha consapevolezza. E, sotto quest’ultimo profilo, che si è
sostenuta la differenza rispetto al caso deciso, con il riconoscimento del
diritto al risarcimento dei danni, nel celebre caso Husain v. Olimpic
Airways, in cui un passeggero asmatico, come tale palesatosi, si era visto
assegnare, nonostante le sue proteste, un posto nell’area fumatori, pur
avendo prenotato un posto «non fumatori»[36].
In particolare, in quest’ultima decisione, si è ritenuto di dover
enfatizzare che la condotta omissiva del personale di cabina, circa il mancato
trasferimento del passeggero, che pur aveva fatto presente le sue ragioni di
salute, rispetto al posto assegnatogli, fosse stata considerata «unexpected and unusual».
Prima che entrasse effettivamente in vigore, è stata
adombrata la possibilità che la Convenzione di Montreal, rispetto al
Sistema di Varsavia, lasciasse maggiori spazi per affermare la
responsabilità del vettore per i danni conseguenti alla sindrome della
classe economica, nel caso di utilizzazione di aeromobili con spazi
eccessivamente ridotti fra i sedili, ovvero di mancata informazione dei
passeggeri circa gli accorgimenti da adottare per circoscrivere il rischio di
una trombosi venosa profonda[37].
Al riguardo, va ricordato come, secondo un’autorevole opinione,
l’omissione di un richiamo circa gli accorgimenti da seguire per ridurre
il fattore di rischio dell’insorgenza della DVT sarebbe un «non-event»,
come tale non riconducibile comunque alla nozione di incidente che integra i
presupposti per l’affermazione della responsabilità vettoriale[38].
In realtà, non sembra possibile intravedere alcun elemento che, con
riferimento alla questione in esame, giustifichi una lettura diversa e
più ampia, del fatto costitutivo della pretesa contro il vettore di
persone, rispetto a quella operata alla stregua della Convenzione di Varsavia
del 1929 [39].
In realtà, l’esclusione del
risarcimento dei danni subiti dal passeggero, ricollegabile ad un suo fattore
intrinseco, ovvero comunque non derivante da un fattore estrinseco
classificabile come incidente è tendenzialmente ormai consolidato nella
già richiamata giurisprudenza aeronautica internazionale[40].
A ben guardare, poi, la soluzione cui
è pervenuta la giurisprudenza internazionale a proposito del trasporto
aereo di passeggeri non è dissonante rispetto alla lettura
giurisprudenziale che in Italia (dove, tendenzialmente, non si dubita della
natura contrattuale delle pretese del passeggero o dei suoi aventi causa
rispetto ai danni subiti nel trasporto)[41] è stata data di formule, pure particolarmente rigorose nei
confronti del vettore marittimo di persone e del vettore di persone nel
trasporto disciplinato dal codice civile. Entrambe sono state, con soluzione
fortemente avversata da una parte della dottrina, circoscritte al solo ambito
(per la verità mai evocato dal legislatore) dei danni «a causa del
trasporto»; addossando, viceversa, al danneggiato, la prova
dell’imputabilità al vettore, per i danni etichettati come
«in occasione del trasporto»[42]. Sembra non privo di interesse rilevare che la motivazione di una delle
due decisioni italiane conosciute fino a questo momento in tema di sindrome
venosa profonda, abbia ritenuto di dover appoggiare l’esclusione
dell’imputazione al vettore aereo, oltre che sull’art. 17 della
Convenzione di Montreal, anche sull’art. 1681 cod. civ.
Incidentalmente, anche se nella sua motivazione ha ritenuto di dover
precisare che non intendeva aprire alla risarcibilità del danno da
sindrome della classe economica, il caso Olympic
Airways v. Husain[43]
ha comunque introdotto nel dibattito sulla nozione di «incidente» elementi
che possono comunque rilevare quanto meno rispetto a casi-limite: non si
potrebbe verosimilmente escludere il risarcimento, lì dove il vettore
impiegasse aeromobili allestiti o con problemi di malfunzionamento degli
impianti tali da aggravare in maniera consistente il rischio di incidenza della
trombosi venosa profonda, e da escludere la possibilità, per il
passeggero, di adottare quelle precauzioni di comportamento durante il volo che
sono ormai generalmente raccomandate. Verosimilmente, potrebbe essere meno
agevole supporre argomentare l’insussistenza di cause estrinseche
rispetto al danneggiato, lì dove a subire quella particolare patologia
sia più di un passeggero e/o o di un membro dell’equipaggio sul
medesimo volo. Non si potrebbe fare a meno di sottolineare la maggior incidenza
su un campione comunque limitato, qual è quello delle persone imbarcate
per una tratta su un determinato aeromobile, rispetto alla media dei casi
riscontrati nelle statistiche generali del fenomeno.
Infine, credo giusto ricordare come il legislatore italiano del
codice della navigazione del 1942 aveva preso atto della necessità di
tutelare il passeggero al di là delle ipotesi di responsabilità
vettoriale, per le conseguenze negative del trasporto aereo, che potessero
tradursi in un danno per la sua persona. Alludo qui, in particolare,
all’assicurazione obbligatoria passeggeri «contro gli infortuni di
volo», prevista dal testo originario dell’art. 941 cod. nav., che
aveva dato veste di obbligo legale a quella che era già, in ambito
italiano, una consolidata prassi amministrativa, a partire dagli anni venti del
secolo scorso[44],
con l’introduzione di un tale strumento, limitatamente ai trasporti su
volo di linea[45],
attraverso una copertura contratta in abbonamento dal vettore, in favore del
passeggero, con le modalità previste dagli artt. 996/1000 cod. nav., nel
testo originario[46],
con una disciplina che teneva delle linee emerse nel corso dei lavori di
uniformazione del diritto aeronautico fra le due guerre mondiali, che non si
concretizzarono mai nell’adozione di una specifica convenzione[47].
È, però, da dire che l’Italia non restò il solo
Stato ad introdurre nel proprio diritto interno un’assicurazione
obbligatoria; iniziative analoghe vennero, in effetti, seguite in numerosi
altri ordinamenti[48].
Il legislatore della riforma del 2005-2006 ha abrogato tout-court
le norme sull’obbligo di assicurazione degli infortuni dei passeggeri,
ritenendo che l’odierno più rigoroso regime di imputazione della responsabilità
vettoriale, unitamente all’introduzione di un’assicurazione
obbligatoria di responsabilità, abbiano fatto venir meno le ragioni di
un tale strumento[49].
Ciò su cui può certamente convenirsi è che,
nel momento in cui il legislatore della riforma si è trovato anche ad
intervenire su questa specifica materia, il massimale minimo legale della
copertura assicurativa per infortuni dei passeggeri era davvero molto basso,
insufficiente ad assicurare un serio ristoro dei danni gravi subiti dal
passeggero, in quanto era venuta meno la corrispondenza al limite risarcitorio
del vettore aereo di persone, originariamente previsto nel testo del 1942 del
codice della navigazione: mentre il primo (art. 941 cod. nav., nel testo
originario) era stato adeguato da ultimo soltanto la l. 16 aprile 1954, n. 202,
il secondo era stato oggetto di ulteriori interventi volti a parametrarlo al
deprezzamento della moneta italiana. In effetti, prima della riforma del
2005-2006, il massimale dell’assicurazione obbligatoria per gli infortuni
dei passeggeri, poi abrogata, era fissato in soltanto 5.200.000 lire;
l’ultimo limite risarcitorio previsto in Italia per il danno da morte e
lesioni personali dei passeggeri, ai sensi del testo precedentemente in vigore
dell’art. 942 cod. nav., corrispondeva a 195.000.000 lire, importo
previsto dal d.P.R. 7 marzo 1987, n. 201, che aveva appunto fatto venire meno
la simmetria fra limite risarcitorio del vettore aereo e massimale di legge
dell’assicurazione obbligatoria infortuni dei passeggeri[50].
Al di là dei dubbi che possono comunque sussistere
sull’opportunità della soluzione del legislatore della riforma[51],
è da chiedersi se non sarebbe stato opportuno piuttosto[52],
anche in considerazione dell’accresciuta consapevolezza dei rischi del
volo, al di là delle responsabilità del vettore (anche in un
regime più rigoroso di imputazione come è quello della
Convenzione di Montreal del 1999) modificare ed ampliare lo strumento
dell’assicurazione obbligatoria degli infortuni dei passeggeri. In
effetti, quest’ultima, nella sua forma originaria, prevista dal testo del
1942 del codice della navigazione, copriva soltanto i rischi da morte ed
invalidità del passeggero derivanti, secondo la formula dell’art.
997 cod. nav., abrogato, «da lesioni prodottesi in occasione del volo,
per causa violenta ed esterna, purché il sinistro non dipenda in tutto o
in parte dal passeggero»[53].
Si trattava comunque di una soluzione che offriva al passeggero una tutela
maggiore di quella che avrebbe potuto essergli offerta alla stregua del
coesistente regime di imputazione della responsabilità vettoriale,
basato su un regime di imputazione che lasciava comunque al vettore la
possibilità di sfuggire all’obbligazione risarcitoria, in una
serie di ipotesi tendenzialmente corrispondenti alla nozione di
«fortuito», per le quali, viceversa, come aveva sottolineato la
Relazione ministeriale al codice della navigazione[54],
il danneggiato avrebbe potuto trovare ristoro attraverso quella copertura
assicurativa[55].
Il passo ulteriore da prendere in considerazione dovrebbe essere quello di
prevedere una copertura obbligatoria degli infortuni, a favore dei passeggeri,
da stipularsi a carico del vettore, secondo lo schema dell’assicurazione
in abbonamento, secondo l’esempio dell’art. 941 cod. nav., nel
testo originario del 1942, con un massimale minimo adeguato, e tale da offrire
una copertura delle conseguenze della sindrome venosa profonda, o di altre
patologie, che pur dovuti alle condizioni del passeggero, si siano scatenate, o
comunque aggravate, in occasione del trasporto aereo[56].
Non resta che augurarsi, de
jure condendo, che
l’occasione persa dal legislatore italiano della riforma del 2005-2006
della parte aeronautica del codice della navigazione, venga colta almeno dal
legislatore europeo. Analogamente al regime del testo originario del codice
della navigazione del 1942, potrebbe ipotizzarsi un regime di assicurazione in
abbonamento, contratta obbligatoriamente dal vettore in favore del passeggero.
Il mancato assolvimento dell’obbligo assicurativo per il vettore dovrebbe
comportare il suo assoggettamento al pagamento degli indennizzi che sarebbe
stati dovuti dall’assicuratore, se l’assicurazione fosse stata
contratta. Si potrebbe ipotizzare di condizionare le operazioni delle compagnie
aeree nell’Unione europea all’assolvimento di tale obbligo,
analogamente a quanto era stato a suo tempo previsto, a livello di legislazione
italiana, per il rispetto della disciplina in materia di assicurazione obbligatoria
di responsabilità del vettore aereo, dall’art. 3 della l. 7 luglio
1988, n. 274 [57],
su una linea poi seguita dall’art. 8 del regolamento CE n. 785/2004 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativo ai requisiti
assicurativi applicabili ai vettori aerei e agli esercenti di aeromobili[58].
A questo punto, credo possiamo tentare una sintesi dei rilievi
svolti precedentemente e provare a delineare qualche conclusione:
·
la Convenzione di Montreal o, prima, quella di Varsavia, non hanno
inteso affermare il principio dell’esclusività dell’azione;
·
la sindrome venosa profonda e le sue conseguenze non sono di per
loro un «incidente», ai sensi dell’art. 17 della Convenzione
di Montreal o della Convenzione di Varsavia;
·
conseguentemente, non è di per sé escluso (ai sensi
dell’art. 29 della Convenzione di Montreal o dell’art. 24 della
Convenzione di Varsavia) che la materia delle conseguenze della sindrome venosa
profonda o delle precauzioni da adottare per evitarne l’insorgere possa
costituire un campo di azione per il legislatore nazionale o per il legislatore
europeo (come è avvenuto, ad esempio, per quanto concerneva il mancato
imbarco e la cancellazione del volo, e comunque per gli obblighi di assistenza
del passeggero in caso di ritardo, con il regolamento 261 del 2004);
·
l’intervento auspicato de
jure condendo potrebbe consistere nell’introduzione, in tutti i voli
che interessino il territorio dello Stato e/o dell’Organizzazione di
integrazione regionale che introduca la misura, ovvero per tutti i biglietti
aerei venduti in quel territorio, di un obbligo di assicurazione a favore dei
passeggeri, che offra una copertura estesa alle conseguenze della sindrome
della classe economica e di ogni altra patologia che possa essere scatenata od
aggravata dal trasporto aereo.
* Questo
scritto si basa su una relazione tenuta dall’autore nell’ambito del
Congreso Internacional de transporte aéreo, aeropuertos y turismo (con
motivo del 50º Aniversario de la Asociación Latino Americana de
Derecho Aeronautico y Espacial ALADA), svoltosi nell’Aula Magna della Facultad de Derecho de la
Universidad de Buenos Aires, dal 15 al 19 novembro 2010. In tale occasione, è stata
approvata dall’Assemblea di ALADA, su proposta del relatore, la seguente
risoluzione:
«1.- Considerando que el transporte aéreo
asume el deber de preservar la seguridad del pasajero a bordo y en las
operaciones de embarco y desembarco,
Se sugiere solicitar al transportador
aéreo cobertura obligatoria de seguro sobre daños corporales de
los pasajeros, de acuerdo con las exigencias del seguro con un límite
compensatorio suficiente, a efectos de cubrir consecuencias de la trombosis
venosa profunda (TUP) o de otras patologías, aun debidas a las
condiciones de salud del pasajero, las que se hayan manifestado o bien agravado
durante el transporte aéreo. -
2.-
Solicitar a las autoridades competentes
que exijan a los transportadores aéreos la oportuna información
sobre medidas preventivas indicadas por la Organización Mundial de la
Salud para prevenir casos de trombosis venosa profunda (TUP)» .
[1] In lingua spagnola «Síndrome del pasajero
de clase económica» o, più semplicemente
«Síndrome de la clase económica», ovvero
«Síndrome de la clase turista».
[2] Ovvero
come «D.V.T.», acronimo dall'espressione in lingua inglese «deep
venous trombosys»; in lingua spagnola «T.V.P.»,
dall’espressione «trombosis venosa profonda».
[3]
È impossibile dar conto della ormai ampia letteratura medica sul punto.
Ci si limita, in questa sede a richiamare, nell’ambito degli scritti
italiani di medicina legale: G. Umani
Ronchi – G. Bolino – M. Bellezza, La trombosi venosa del
viaggiatore: aspetti medico-legali ed assicurativi, in Zacchia,
2003, 151.
[4] N.
Koukakos, Syndrome
de la classe économique et indemnisation dans le transport aérien
de passagers, in Rev.
fr. dr. aer., 2001, 165, ivi, 166.
[5]
Rimanendo nell’ambito delle notizie ricavabili dalle vicende giudiziarie,
per un caso di richiesta (respinta) di risarcimento dei danni da sindrome
venosa profonda subita, con esito mortale, da un passeggero nel trasporto
ferroviario, sul percorso Chicago-Los Angeles, nella giurisprudenza
statunitense, decisa dalla Corte d’appello federale per il nono Circuito,
v. Haynes v. Amtrak, 2009 U.S. App. LEXIS 5201, che ha
confermato la sentenza resa dalla Corte distrettuale Haynes v. Amtrak 2006 U.S. Dist. LEXIS 13992 (C.D. Cal., 2006).
[6] Cfr. M.F.
Morsello, A saúde do
passageiro e a Trombose Venosa Profunda (TVP) em cotejo com a responsabilidade
civil do tranportador aéreo, in Diritto@storia,
n. 7, 2008, http://www.dirittoestoria.it/7/Contributi/Morsello-Saude-passageiro-responsabilidade-transportador-aereo.htm. Come ricorda N. Koukakos, Sindrome, cit.,
167, nel 1994, persino l’allora vice-presidente degli Stati Uniti, Dan
Quayle, dopo un volo di Stato, verosimilmente non operato in condizioni di
particolare scomodità per il passeggero, fu ricoverato d’urgenza
per un malore apparentemente riconducibile alla sindrome.
[7] Per
riferimenti: R. Abeyratne, Aviation and Social Responsibility, in A.A. S.L., 2002, 27, ivi 62; N.
Koukakos, Sindrome,
cit., 165; G.N. Tompkins, Jr., Deep Vein Trombosys (DVT) and Air Carrier Legal Liability – The
Myth and the Law, in Air & Sp. L., 2001, 231, ivi, 232.
[8] V. in
proposito, nella letteratura italiana, G.
Romanelli, Il trasporto aereo di
persone, Padova, 1959, 10; U. La Torre, La definizione del contratto di trasporto, Napoli, 2000, 154.
[9] Sulla
genesi e l’ambito di applicazione di tale disciplina, nella letteratura
italiana, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, v. da ultimo E.G. Rosafio, Riflessioni in margine all’art. 29 della Convenzione di Montreal
del 1999, in Dir. turismo, 2006, 124.
[10] Nella
varia letteratura sul punto, v. T.
Ballarino – S. Busti, Diritto
aeronautico e spaziale, Milano, 1988, 607; M. De Juglart, Traité
de Droit aérien, I, Paris, 1989, 1160; I.
DIEDERIKS-VERSSCHOOR, An Introduction to Air Law, Deventer, 1983,
48; N. Mateesco Matte, Treatise
on Air-Aeronautical Law, Montreal-Toronto, 1981, 421; G.
Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 230; Id., Uniform Rules of Air Carriage (relazione
all'International Conference on Current Issues in Maritime Transportation,
Genova, 22 giugno 1992), in Dir. mar., 1992, 103.
[11] Possono,
ricordarsi, al riguardo, fra le altre, due decisioni, rispettivamente, della
Corte Suprema degli Stati Uniti e della Camera dei Lords, che esprimono in
maniera significativa il punto di vista rigettato nel testo: El Al Israel Airlines, Ltd. v. Tsui Yuan Tseng [U.S. Supreme Court, 12 gennaio 1999],
525 U.S. 155 (anche in Dir. trasp.,
2000, 205, con nota condivisibilmente critica di E.G. Rosafio, In tema
di ammissibilità di azioni risarcitorie da parte del passeggero al di
fuori della Convenzione di Varsavia, ivi, 222) e Abnett v. British Airways Plc. (Scotland) and Sidhu v. British Airways
Plc [1 All E.R. 193 (1996)] [House of Lords,
12 dicembre 1996]. Quest’ultima decisione è reperibile anche, in
traduzione francese, in Rev. fr. dr.
aér., 1997, 163.
Sulla derivazione dell’art. 29 della Convenzione di Montreal dalla
previsione dell’art. 24 della Convenzione di Varsavia, e sulle ragioni
dell’adozione di tale previsione nell’ottica (soltanto) di impedire
che il danneggiato possa eludere i meccanismi di diritto uniforme, esperendo,
in via di concorso, o di cumulo, l’azione contrattuale e l’azione
extracontrattuale, v. da ultimo, nella letteratura italiana, E.G. Rosafio, L’azione extracontrattuale, ne La nuova disciplina del trasporto aereo
– Commento alla Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999,
a cura di L. Tullio, Napoli, 2006, 255, ivi, 258.
[12] Cass.
francese, 15 luglio 1999, in Rev. fr. dr.
aér., 1999, 353,
oppure in Dir. trasp., 2000, 531, con annotazione di E. R(osafio).
[13] C. giust.
CE, 10 gennaio 2006, in causa C-344/04, in Dir.
turismo, 2006, 154, con nota di M. Lopez de Gonzalo, I giudici comunitari confermano il nuovo
Regolamento «Overbooking». V. anche (su tale sentenza) le
precisazioni, nel senso comunque della compatibilità della disciplina
comunitaria con la Convenzione di Montreal (ma in senso parzialmente critico
sulla motivazione) di L. Tullio, Interventi interpretativi della Corte di
giustizia europea sul Reg. (CE) n. 261/2004, in Estudios de derecho aéreo: Aeronave y
Liberalización, Madrid–Barlona-Buenos Aires,
2009, 303. La sentenza è invece duramente criticata da altri autori,
che lamentano, appunto, la violazione dell’(inesistente) principio
dell’esclusività dell’azione: J. Wegter, The ECJ
Decision of 10 January 2006 on the Validity of Regulation 261/2004: Ignoring
the Exclusivity of the Montreal Convention, in Air & Sp. L., 2006, 133.
[14] Al
riguardo, a quanto consta, resta ancora valida l’efficace sintesi di N. Koukakos, Sindrome, cit.,
166, «… jamais personne n’a pu obtenir, officiellement
tout au moins, une quelconque imdemnisation». V. anche M.F. Morsello, A saúde do passageiro, cit., con i richiami di cui alle note
8, 9, 10 e 11; con riferimento alla Germania, v. W. Müller-Rostin, DVT
Claim Dismissed by German Court, in Air
& Sp. L., 2002, 151.
[15] Come tale richiamata da M. Clarke, Deep Vein Trombosis (DVD): a Misfortune but not an Accident – End
of the Runway in England – A note on the decision of the House of Lords,
12 August 2005 Re Deep Vein Trombosis and Air Travel Group Litigation,
in Unif. L. Rev., 2006, 187, ivi, 188.
[17] Da ultimo, v. N.E.
Luongo, Tratado de daños y perjuicios en el transporte
aéreo, Buenos Aires, 2009, 231. Deve peraltro darsi atto che
ancora non definitivamente chiusa alla possibilità di ammettere un
risarcimento appare, invece, la dottrina giuridica che ha trattato la
problematica, in assenza di una casistica giurisprudenziale nazionale: V., ad
esempio, M.J. Guerrero Lebrón, La
responsabilidad contractual del porteador aéreo en el transporte de
pasajeros, Valencia, 2005, 133 ss.
[18] Trib.
Varese, Sez. Busto Arsizio, 3 febbraio 2009, n. 399, relativa ad una passeggera
deceduta dopo un volo fra Shangai e Milano Malpensa, in Riv. dir. nav.,
2010, 384, con nota di S.
Pollastrelli, Il risarcimento del danno da sindrome da classe
economica, ivi, 393, oppure in Dir.
trasp., 2010, 453, con nota di E.
Cargniel, Trombosi nel trasporto
aereo: nesso di causalità e nozione di incidente, ivi, 459.
[19] Si
tratta di Trib. Roma, 28 marzo 2009, n. 9155, relativa ad una passeggera di un
volo intercontinentale Roma-Parigi-San Francisco, in Dir. trasp., 2010, 473. Tuttavia se ne può
leggere una sintesi in G. Guerreri, Italian
Court Denies Recovery for Celebral Haemorrhage Followung 18.5-Hour Journey,
in Air & Sp. L., 2010,
79.
[20] Per
quanto concerne i trasporti aerei non «internazionali», ai sensi
delle Convenzioni di Varsavia del 1929 e di Montreal del 1999, è da dire
che non risultano decisioni dei tribunali italiani basate esclusivamente sul
diritto interno. D'altro canto, l'ambito dei trasporti a medio e lungo raggio
(ovvero quelli in cui è più probabile che possano crearsi i
presupposti della trombosi venosa profonda) che ricadano esclusivamente
nell'ambito di applicazione della legge italiana, sembra alquanto circoscritto.
Infine c'è da osservare che, quanto meno dopo l'entrata in vigore della
riforma della parte ed aeronautica del codice della navigazione (decreti
legislativi 96 del 2005 e 151 del 2006), la vicenda dovrebbe essere comunque
decisa alla stregua della medesima disciplina di diritto uniforme, alla stregua
del rinvio operato dall'articolo 941 del codice della navigazione, nel testo
oggi in vigore, che la richiama, unitamente al diritto comunitario.
[21] V. in
generale S. Bariatti, L'interpretazione delle convenzioni
internazionali di diritto uniforme,
Padova, 1986, spec. 62 ss.; cfr. anche E. Du Pontavice, L'interprétation des conventions internationales portant loi
uniforme dans les rapports internationaux, in A.A.S.L., 1982, 2, ivi 16 ss. Si
tratta di questione di particolare evidenza per l’interpretazione delle
convenzioni di diritto uniforme dei trasporti: v. sul punto F. Berlingieri, Sulla
interpretazione delle convenzioni internazionali e sull’esonero per danni
da incendio, in Dir. maritt.,
1987, 380.
[22] Esso
non implica, peraltro, un dovere del giudice italiano di attenersi acriticamente
all’interpretazione del testo fornita nelle altre giurisdizioni in
decisioni precedenti, ma soltanto quello di non ignorare la lettura fornita da
quelle precedenti decisioni: così A.
Giardina, Il ruolo delle
convenzioni internazionali nella nuova normativa, in Aa. Vv., La riforma del diritto internazionale
privato, atti della giornata di studio di Milano del 28 ottobre 1995,
Milano, 1996, 17, ivi 23 ss.
[23] A suo tempo, sulla nozione di «incidente» (e sulla carenza di
una definizione nei testi di diritto uniforme privato, in cui pure la nozione
rileva) v. A. Bauza Araujo, Del acidente aviatorio y su problematica
juridica, Montevideo, 1973, 7 ss.; da ultimo, v. M.F. Morsello, Responsabilidade civil no Transporte
Aéreo, São Paulo, 2006, 58 ss.
[24] Per una sintesi sul punto, v. M.J. Guerriero Lebrón, La responsabilidad contractual del porteador
aéreo en el transporte de pasajeros, Valencia, 2005, 126 ss.
[25] Si
tratta di un’indicazione tutt’altro che pacifica. Per
un’autorevole critica, v. F.N. Videla
Escalada, Manual de derecho
aaeronáutico, Buenos
Aires, 1996, 501, nonché M. De
Juglart, traité de droit
aérien, I, a cura di E. du Pontavice, J.
Dutheil de la Rochère e G.M. Miller, Paris, 1989, 1116. Circa la nozione
di «incidente» nell’Annesso 13, anche in relazione
all’art. 26 della Convenzione di Chicago, v. W.-H. Park, Use of the term «Accident» and «Incident»
in Air Law, in A.A.S.L., 1990, 193, ivi, 194.
[26] Ed a
tale precedente, nel riferirsi alla sindrome della classe economica, fa
richiamo la più diffusa manualistica. V. I. Diederiks
Vershoor, An Introduction to Air
Law, Deventer, 2006, 131.
[28] Nella
giurisprudenza italiana, in termini analoghi nel decisum a Air France v. Saks, v., con riferimento alla rottura di
un timpano subito da un passeggero, Cass., 15 febbraio 2006, n. 3285, in Dir. trasp., 2007, 507, con nota
di W. Pagliei, La colpa del
passeggero nel trasporto aereo, ivi, 509. V., anche per ulteriori
richiami alla letteratura in lingua italiana, le considerazione, riferite a
tale ultima sentenza, di N.
Liberatoscioli, La nozione di accident
per il risarcimento dei danni al
passeggero aereo, in Dir.
turismo, 2008, 259. Nella medesima direzione di Air France v. Saks, rispetto ad un caso
simile, in Francia, v. Cass. Fr., 6 dicembre 1988, in Rev. fr. dr. aér., 1988, 381. Per l’esclusione della
responsabilità della compagnia aerea rispetto ad un caso di morte del
passeggero sopravvenuta in conseguenza di un malessere nella fase di
atterraggio, alla stregua del diritto interno francese (che, all’epoca,
rinviava alla Convenzione di Varsavia), v. App. Aix-en-Provence, 6 novembre
2002, in Rev. fr. dr. aér.,
2002, 411. Nella giurisprudenza inglese, con riferimento al caso di un
passeggero scivolato nella cabina dell’aeromobile, v., Barclay v. British Airways Plc [2008]
EWCA Civ 1419 (su cui v., in senso conforme, T.
Marland, Court of appeal Does Not
Put a Foot Wrong, in Air
& Sp. L., 2009, 135); per un’analoga
conclusione della giurisprudenza statunitense rispetto ad un passeggero
inciampato su un bagaglio nel corridoio, durante l’imbarco: Sethy v. Malev-Hungarian Airlines,
2000 US Dist. Lexis 1206 (SDNY,
2000).
[29] V., in proposito, M.J.
Guerriero Lebrón, La
responsabilidad contractual del porteador aéreo en el transporte de
pasajeros, cit., 120. Avverte
E. Mapelli Lopez, El contrato de transporte aéreo
internacional. Commentarios al Convenio de Varsovia, Madrid, 1968, 160, «La palabra accidente, en la forma
en que la emplea el Convenio de Varsovia, no debe entenderse en relación
con la aeronave ni aun siquiera con el viaje, sino contemplando directamente la
persona del pasajero».
[30] Cfr. L.
Goldhirsh, Definition
of «Accident».
Revisiting Air France v. Saks, in Air
& Sp. L., 2001, 86.
[31] V. al
riguardo, nella letteratura italiana, S.
Busti, Contratto di trasporto
aereo, Milano, 2001, 417. J. De
Paz Martín, La
responsabilidad en el transporte aéreo internacional,
Madrid, 2006, 263, sul punto si limita ad auspicare una lettura ampia della
nozione di «incidente», tale da non rendere vana
l’affermazione (nella Convenzione di Montreal) di criteri oggettivi per
l’imputazione della responsabilità del vettore aereo di persone.
[32] Per
l’esclusione della responsabilità del vettore per la morte del
passeggero intervenuta per un malessere sopravvenuto a bordo, nel corso del
trasporto, nella giurisprudenza francese: Trib. Grand Instance Marseille, 3
settembre 1997, in Rev. fr. dr.
aér., 1999, 146.
[33]
Sull’individuazione di tale arco spazio-temporale, v. da ultimo U. La Torre, La
responsabilità per le operazioni di imbarco e sbarco nel trasporto aereo
di persone, in Trasporto aereo e tutela del passeggero
nella prospettiva europea, a cura di L. Masala e E.G. Rosafio,
atti del convegno di Sassari del 15-16 aprile 2005, Milano, 2006, 153, ivi 161
ss.
[34] Da
ultimo, N.E. Luongo, Tratado
de daños y perjuicios en el transporte aéreo, cit., 231; contra S. Busti, Contratto di trasporto aereo, cit., 418.
[35] V. il testo pubblicato nel volume 40 Años de Alada la Asociación Latino Americana de
Derecho Aeronáutico y Espacial y sus cuatro décadas de vida
académica, a cura di
M.O. Folchi, Buenos Aires, s.d., 147 ss.
[36] Olympic Airways v. Husain, 540 U.S. 644
(2004) [U.S. Supreme Court, 24 febbraio 2004], anche in Dir. trasp., 2006. 603,
con nota di M.M. Comenale Pinto, Nozione di «incidente» e
condotte omissive del vettore e dei suoi preposti nel trasporto aereo
internazionale di persone,
ivi, 609 e in Dir. mar.,
2006, 930, con nota di L. Palmieri, Ancora sulla nozione di
«accident» in base alla Convenzione di Varsavia,
ivi, 931.
[38] V. M.
Clarke, Deep Vein Trombosis (DVD), cit., 191, che richiama
l’opinione espressa da Lord Phillips, nel caso Re Deep Vein Trombosis
and Air Travel Group Litigation.
[39] Anzi,
la lettura restrittiva seguita dalla giurisprudenza sembra trovare conforto
nella formulazione della norma di delimitazione del fatto che poteva
determinare il danno risarcibile, adottata dalla Convenzione di Montreal, che,
non ha seguito la via tracciata dal mai entrato Protocollo di emendamento della
Convenzione di Varsavia, adottato a Guatemala City nel 1971. Quest’ultimo
aveva sostituito il termine «fait» a quello di
«accident», cui aveva fatto originariamente ricorso il legislatore
di diritto uniforme nel 1929: cfr. M.
Donato, sub Artículo 17, in Transporte
aéreo internacional, cura di M.O. Folchi, Buenos Aires, 2002,
191, ivi, 192.
[41] Nel
senso della natura contrattuale della responsabilità del vettore, v. per
tutti F.N. Videla Escalada, Manual de derecho aaeronáutico, Buenos Aires, 1996, 534.
[42] Per
qualche riferimento, v. S. Zunarelli
– M.M. Comenale Pinto, Manuale
di diritto della navigazione e dei trasporti, I, Padova, 2009, 223
(per la disciplina del codice civile) e 263 (per il trasporto marittimo di
passeggeri che ricade nella disciplina del codice della navigazione).
[45]
L’esigenza di introdurre uno strumento analogo era stata, a suo tempo, segnalata
dalla dottrina anche per il trasporto aereo non di linea: M. Grigoli, La tutela assicurativa dei passeggeri di volo «charter»,
in Dir. aereo,
1977, 48. Ad estendere gli obblighi assicurativi anche ai vettori aerei non
di linea provvide poi effettivamente l’art. 3 della l. 11 dicembre 1980,
n. 862, con disposizione che, tuttavia, aveva sollevato le perplessità
della dottrina, per il fatto che il legislatore aveva omesso di provvedere
contestualmente all’elevazione del massimale: v. G. Romanelli, Legge 11
dicembre 1980, n. 862 - Disciplina dei servizi aerei non di linea ed
interpretazione di disposizioni del codice della navigazione, in Nuove leggi civ., 1982, 177, ivi, 182.
[47] Cfr. A. Giannini, Il movimento internazionale per la disciplina giuridica delle
assicurazioni aeronautiche, già pubblicato in Assic., 1934, ora in Nuovi
Saggi di diritto aeronautico, II, Milano, 1940, 459 (ed ivi, 470 s., per la
copertura degli infortuni dei passeggeri nel trasporto aereo); E. Fanara, Le assicurazioni aeronautiche,
I, Reggio Calabria, 1976, 545 ss.
[48] Per
spunti di diritto comparato, cfr. E.
Fanara, Le assicurazioni
aeronautiche, I, cit., 548 ss.
[49] V. al
riguardo le considerazioni di G.
Mastrandrea – L. Tullio, Il
compimento della revisione della parte aeronautica del codice della navigazione,
in Dir. mar., 2006, 699, ivi, 729.
[50] Cfr. A. Antonini, La tutela assicurativa del passeggero nel trasporto aereo di persone,
in Dir. prat. av. civ.,
2/1990, 328, ivi, 329. In tema, v. anche E.G.
Rosafio, Considerazioni
sull'assicurazione della responsabilità del vettore aereo di persone,
in Nuovi profili di responsabilità
e di assicurazione nel diritto aeronautico - Nuevos enfoques de la
responsabilidad y del seguro en el derecho aeronáutico, a cura di L. Tullio, Napoli, 2009,
307, ivi, 308; S. Vernizzi, Brevi note sul nuovo assetto delle
assicurazioni aeronautiche a seguito dei decreti legislativi nn. 06/2005 e
151/2006, in Resp.
Civ. prev., 2006, 1946, ivi, 1949.
[51] V. al
riguardo le incisive e convincenti considerazioni di E.G. Rosafio, Considerazioni
sull'assicurazione della responsabilità del vettore aereo di persone,
cit., 310 ss. Una valutazione sull’opportunità di un adeguamento
del regime di assicurazione infortuni (piuttosto che la sua integrale
sostituzione con un regime di assicurazione di responsabilità del
vettore) sembra implicito in E.
Fogliani, Le assicurazioni del
trasporto aereo, ne I nuovi contratti nella prassi civile e
commerciale, a cura di
Cendon, XVII - Trasporto, Torino, 2004, 172, ivi, 174. Per considerazioni sulle
ragioni che portavano a ritenere il meccanismo dell’assicurazione
infortuni preferibile, per la salvaguardia degli interessi dei passeggeri,
rispetto all’assicurazione di responsabilità del vettore, nel
quadro originale del codice della navigazione, in cui il regime di
responsabilità vettoriale era ispirato ai meccanismi della Convenzione
di Varsavia del 1929: M. Grigoli, L’assicurazione obbligatoria, cit., 304 ss. (d’altronde,
l’assicurazione obbligatoria doveva essere stipulata anche per i
trasporti internazionali assoggettati alla Convenzione di Varsavia, ove fosse
comunque applicabile il diritto italiano: G.
Romanelli, Le norme regolatrici
del trasporto aereo internazionale nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. nav.,
1954, I, 166, ivi, 195; Id., Il trasporto aereo di persone, Padova,
1966, 190 s.; E. Fanara, Le assicurazioni aeronautiche, I, cit., 574; S. Nisio, Assicurazione dei passeggeri (dir. nav.), in Enc. dir., III, Milano, 1958, 573, ivi, 579).
[52]
È appena il caso di osservare che l’introduzione di un obbligo di
assicurazione di responsabilità del vettore non era affatto
incompatibile con il mantenimento del regime di assicurazione obbligatoria
infortuni per i passeggeri: cfr. G.
Romanelli, Il regime di
responsabilità del vettore aereo per infortunio al passeggero in base al
Regolamento CE del Consiglio n. 2027/97, in Studi in memoria di Maria Luisa Corbino,
Milano, 1999, 749, ivi, 769; E.G. Rosafio, Considerazioni sull'assicurazione della responsabilità del
vettore aereo di persone, cit., 312; G.
Silingardi, commento alla l. 7 luglio 1988, n. 274, in Nuove leggi civ. comm., 1989, 783. Era stata del resto
opportunamente contestata (E. Fogliani, Le assicurazioni del trasporto aereo,
cit., 175) la tesi che ipotizzava la tacita abrogazione (per effetto
dell’introduzione degli obblighi assicurativi di responsabilità
del vettore ex art. 3, reg. 2027/97) degli obblighi assicurativi di cui
all’art. 941 cod. nav. (tesi sostenuta da M. Piras, L’assicurazione
della responsabilità del vettore aereo di persone, in Dir. trasp., 2001, 462, ivi, 471; apparentemente in
senso analogo v. anche R. Capotosti,
Criteri di «ragionevolezza» e
obbligo di assicurazione della responsabilità civile del vettore aereo
comunitario per i danni ai passeggeri, in Assic., 1997, II, 244).
[55] V. sul
punto i rilievi di A. Antonini, La tutela assicurativa del passeggero nel
trasporto aereo di persone, cit., 330 ss.
[56] Per la
tendenziale non copertura del rischio, nelle odierne polizze di assicurazione
del rischio del viaggio, v. M. Clarke, Deep Vein Trombosis (DVD),
cit., 196.
[58] Per
quanto concerne l’ambito di applicazione, ci si potrebbe rifare a quello
del medesimo regolamento 785/2004/CE, ovvero prevederne
l’applicabilità «a tutti i vettori aerei e a tutti gli
esercenti di aeromobili che effettuino voli all'interno del territorio di uno
Stato membro cui si applica il trattato, a destinazione o in provenienza dallo
stesso, o che lo sorvolano» (cfr. art. 1 regolamento 785/2004/CE). In
generale sul regolamento CE/785/2004, v. C.
Severoni, Requisiti assicurativi
minimi nell’assicurazione di responsabilità del vettore aereo,
in Dir. trasp.,
2004, 769.