ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana

 

Stefano Conti

Università di Siena

 

Scambi culturali e persistenze: il paganesimo nell’Africa Proconsolare cristiana

 

 

(pubblicato in L’Africa romana. Mobilità delle persone e dei popoli, dinamiche migratorie, emigrazioni ed immigrazioni nelle province occidentali dell’Impero romano. Atti del XVI convegno di studio. Rabat, 15-19 dicembre 2004, a cura di M. Akerraz, P. Ruggeri, A. Siraj, C. Vismara, Roma, Carocci editore, 2006, II, pp. 883-897)

 

Sommario: 1. Il paganesimo africano tra IV e V secolo d.C. – 2. Culti, templi e sacerdozi pagani nella Proconsularis tardo-antica. – 3. L’incontro-scontro tra pagani e cristiani nelle province africane.

 

 

1. – Il paganesimo africano tra IV e V secolo d.C.

 

Nel 399 sant’Agostino rivolse un appello per distruggere i simulacri pagani ancora presenti in Africa: Si ergo dii Romani Romae defecerunt, hic quare remanserunt?[1]. Trascurando deliberatamente l’ancora forte paganesimo urbano, le preoccupazioni del vescovo di Ippona volevano riflettere una realtà provinciale, dove le persistenze dei culti tradizionali sembravano proseguire oltre la loro pratica nella città che li aveva generati.

Questo stato di fatto non poteva che suscitare indignazione e la convinzione che bisognasse eliminare in ogni modo le tracce dell’antica superstitio. I cristiani dell’Africa cercarono pertanto di estendere quanto più possibile l’applicazione delle disposizioni emanate dal potere centrale, che prescrivevano pene sempre più severe per chi ricorreva a sacrifici, pratiche magiche o auspicali.

La volontà di cancellare le false divinità fu però ostacolata da resistenze non facilmente debellabili: i vari centri erano spesso ancora [p. 884] in mano ad un élite municipale profondamente romanizzata, persuasa che solo il perpetuarsi dei culti per gli dei potesse garantire la sopravvivenza delle città. Del resto il sacco di Alarico del 410 aveva fatto dubitare molti della capacità del Dio dei cristiani di difendere i suoi fedeli e aveva portato a sostenere la necessità di tornare ad invocare la protezione delle divinità romane. Le costituzioni emesse dai vari imperatori non sempre trovavano dunque l’appoggio del senato locale e frequenti sono i casi in cui rimasero inevase[2].

La frequentazione di santuari e i sacrifici ivi praticati per tutto il iv secolo dimostrano come non solo i pagani non si preoccupassero delle reiterate disposizioni contro l’idolatria, ma anche che gli stessi magistrati municipali, addetti a far rispettare tali leggi, erano spesso a favore dei riti tradizionali. Si aggiunga che, nonostante le pene previste per i funzionari imperiali scoperti ad osservare pratiche pagane, per tutto il iv secolo e gli inizi del successivo si susseguirono al proconsolato della provincia noti esponenti pagani. Non a caso Salviano, ribadendo una sorta di sincretismo pagano-cristiano in Africa (vedi infra), sostiene che erano soprattutto i nobili e i potenti quelli più legati agli idoli pagani[3].

Il presente studio intende quindi individuare, a partire da Costantino in poi, l’esistenza di funzionari provinciali e municipali pagani, nonché la loro attività edilizia a favore dei vari templi.

 

 

2. – Culti, templi e sacerdozi pagani nella Proconsularis tardo-antica

 

Sulla base delle testimonianze letterarie, epigrafiche ed archeologiche, è in effetti possibile rintracciare la persistenza del culto [p. 885] tradizionale in Africa; analisi che, in questa sede, si è preferito circoscrivere alla Proconsolare.

Al regno di Costantino risalgono almeno due interventi locali a favore di santuari: tra 324 e 326 fu dedicato un tempio nella città di Belalis Maior[4]; mentre, tra 331 e 333, restauri al portico del tempio cartaginese di Cibele e Attis furono fatti eseguire da L. Aradius Valerius Proculus, proconsole provinciale che assunse numerosi sacerdozi romani[5].

Pagano era anche il vicario della diocesi d’Africa dal 338 al 339 Aco Catullinus (signo Philomatius), in seguito destinatario di una legge sulla salvaguardia dei templi[6]. Sotto la reggenza sua e del proconsole Aurelius Celsinus (337-338 o 338-339), ad Avitta Bibba fu restaurato, ad opera di Imbrius Geminius Faustin[us?], il fanum di Mercurio[7].

Per tutto il restante regno di Costanzo non sono attestate iniziative in tal senso nella provincia, nonostante vari pagani si fossero alternati al governo, tra cui L. Crepereius Madalianus e M. Aurelius Consius Quartus, che ricoprirono alcuni sacerdozi, Saturninius Secundus Salutius, poi consigliere di Giuliano, e Memmius Vitrasius Orfitus, noto per avere costruito un tempio ad Apollo a Roma[8].

Per una ripresa dei culti nella Proconsularis sembra si debba [p. 886] attendere la riforma dell’imperatore Giuliano, che ridiede vigore al paganesimo e che fu verosimilmente ben accolta in tutta l’Africa.

Sembrano dimostrarlo le numerose iscrizioni a lui dedicate nella diocesi, tra cui due lo indicano come colui che aveva ripristinato i riti sacri e la religio romana ed anche le attività edilizie promosse sotto il suo regno[9]. Il proconsolato d’Africa era allora in mano a Clodius Octavianus, che era anche pontifex maior; mentre sacerdote provinciale era Basilius Cirrenianus Restitutus, parente di due sacerdoti di Calama: l’augure Basilius Flaccianus ed il flamen Basilius Cirrenianus[10].

La Proconsularis continuò ad essere in mano a non cristiani anche dopo la breve e fallimentare riforma giulianea, tanto che, proprio tra 364 e 367, Optato di Milev celebra il ripristino dei culti tradizionali in Africa (Opt. ii,16-17). Pagano e poeta era, in effetti, il governatore del 364/365 Publius Ampelius: sotto di lui un tempio fu restaurato a Mustis da [--- Ant?]onianus, flamine perpetuo e curatore municipale[11].

Fu suo successore Claudius Hermogenianus Caesarius (365/366), di cui si ricordano i vari sacerdozi e il restauro del tempio urbano del Bonus Eventus[12]. A Calama è celebrata l’attività edilizia di Q. Basilius Flaccianus, flamen perpetuus, curator rei [p. 887] publicae e augur municipale: i due testi che vi fanno riferimento sono databili al governo di Publius Ampelius[13].

Iulius Festus Hymetius, proconsole tra 366 e 368, cercò di ravvivare i sacerdozi provinciali; non a caso gli africani eressero in suo onore statue a Cartagine e a Roma. Il suo tentativo ebbe però vita breve: nel 368 Hymetius fu esiliato, in quanto accusato di essere ricorso all’aruspice Amanzio e alle sue pratiche magiche per conquistare il favore di Valentiniano[14].

Al regno di questo imperatore si riferiscono le ultime attestazioni dei sacerdozi tradizionali in Africa: proprio a Valentiniano, tra 364 e 375, è dedicata una base a Sicca Veneria dal pontefice Aemilius [---] Cassius Donatus[15]. Mentre nell’album di Thamugadi (CIL viii, 2403 = ILS, 6122), databile tra 364 e 367, sono attestati i pontefici Plotius Romulus, Ulpius Purpurius, Horatius Maximus, Aelius Bibianus, e gli auguri Iulius Victorinianus, Flavius Pullentius, Plotius Paulinianus, Sessius Cresconius; sono inoltre presenti vari flamines perpetui e sacerdoti provinciali. In merito a questi ultimi, va sottolineata la lunga permanenza delle cariche legate al culto imperiale: esse avevano ormai perso il loro valore religioso per diventare un semplice omaggio all’imperatore. Nel v e vi secolo il flaminato perpetuo ed il sacerdozio provinciale non avevano più la funzione originaria, sopravvissuta ancora sotto Giuliano, e si erano ridotti a semplici titoli onorifici per l’aristocrazia municipale, tanto che anche cristiani ricoprirono queste cariche[16].

[p. 888] Tornando al regno di Valentiniano, non va tralasciato che sotto il proconsolato di Sextius Rusticus Iulianus (tra 371 e 373), un tempio per una divinità ignota venne dedicato a Teboursouk[17].

Non sono attestate iniziative simili ad opera del suo successore Simmaco (proconsole nel 373-374), di cui ben note sono le convinzioni religiose. Una base di Cartagine innalzata dal famoso autore potrebbe essere messa in connessione con una statua della dea Vittoria, rinvenuta nello stesso luogo (l’anfiteatro)[18]: si tratta solo di un’ipotesi, che risulta comunque particolarmente interessante vista la polemica sull’altare urbano della Vittoria e la strenua difesa di esso da parte di Simmaco[19]. Si aggiunga che Ulpius Egnatius Faventinus, governatore della Numidia tra 364 e 367, aveva posto nella basilica di Cuicul proprio una statua della Vittoria, come sorta di risposta locale alla polemica infuriata a Roma[20].

Comunque sia all’epoca di Simmaco a Cartagine erano ancora frequenti le processioni e gli spettacoli, che lo stesso Agostino ammette di aver visto in gioventù (forse tra 370 e 383): in particolare quelli legati al culto della dea Caelestis e di Cibele, divinità verosimilmente assimilate[21]. L’importanza di Caelestis in Africa ancora nel iv secolo è sottolineata da Salviano, secondo cui non solo i pagani, ma anche alcuni cristiani erano devoti a tale divinità[22]. Il culto del Genio di Cartagine è invece attestato da sant’Agostino ancora nel 399 (o nel 407-408): egli ribadisce l’esistenza di un altare, di una statua e di riti tributati dagli abitanti a tale divinità[23]. Inoltre il famoso santuario di Saturno nei pressi della città (sul mons Balcaranensis) fu frequentato sino alla fine del iv secolo, quando venne distrutto evidentemente ad opera di cristiani[24].

Sempre a Cartagine erano poi presenti aruspici: Agostino ricorda di aver rifiutato la proposta di uno di loro, che si era offerto di sacrificare animali e ricorrere a riti segreti per fargli ottenere la vittoria in una gara poetica[25].

[p. 890] La persistenza pagana nella capitale provinciale non si limitava alla celebrazione di antichi culti o alle pratiche magiche di sacerdoti e ciarlatani (come sembra essere l’aruspice citato): negli ultimi due decenni del iv secolo e nel primo del v vari furono ancora i senatori pagani inviati a governare la Proconsolare. Tra 383 e 388 fu proconsole V[---]adius, dedicante di un’aedes restaurata a Hr. Morabba (nei pressi di Djebel Morabba); tra 389 e 390 ebbe l’incarico Latinius Pacatus Drepanius, che compose nel 389 un panegirico a Teodosio, da cui traspare la “fede ellenica” dell’autore[26]. Dovevano ugualmente seguire gli ideali religiosi dell’ellenismo tardo-antico: Marcianus (proconsole nel 394), forse poi convertitosi (vedi infra), Seranus (397), Gabinius Barbarus Pompeianus (400/401, in base all’onomastica di probabile origine africana) ed infine Helpidius (che si suppone sia stato proconsole nel 402)[27]. Ovviamente non bastava che il governatore fosse pagano perché nella provincia si praticassero i culti; di certo ciò consentiva una maggiore libertà d’azione ai credenti negli antichi dei.

Così un’iscrizione ricorda lavori edilizi curati dal flamine perpetuo Geminius Aurelius Victor, insieme al senato e alla città tutta, ad un tempio, forse dedicato a Venere, a Bisica Lucana[28]. Sicuramente per questa divinità erano poi il tempio e la statua di Sicca Veneria: danneggiati a latronibus, furono restaurati nel corso del iv [p. 891] secolo ad opera di Valerius Romanus, patrono e curatore municipale[29].

Anche a Madauros, centro dove sant’Agostino aveva studiato (forse tra 365 e 369), molti erano i pagani[30]: nella seconda metà del iv secolo era stata innalzata una statua ad un anonimo patrono della colonia, consularis della provincia di Cipro, che rivestiva a Roma i sacerdozi di pontifex dei Solis e augur[31]. Lo scrittore cristiano ricorda poi che nella città, oltre ai misteri di Libero, si svolgevano riti di stampo dionisiaco, che coinvolgevano i decurioni ed i notabili locali: forse dovevano essere celebrazioni per la dea Virtus oppure per Bellona/Mâ[32].

Inoltre solo tra 375 e 383 si riuscì a destinare a scopi mercantili il locale tempio della Fortuna[33], mentre ancora nel 390 nella piazza principale vi erano statue pagane, tra cui due di Marte. Ricaviamo questa notizia dalla scambio epistolare tra lo stesso sant’Agostino e il grammatico Maximus, forse suo maestro a Madauros: quest’ultimo attaccava ironicamente i martiri ed il culto loro tributato, difendendo altresì un paganesimo monoteista (sosteneva che le divinità erano solo vari aspetti riconducibili ad un unico dio)[34]; la risposta del [p. 892] vescovo di Ippona confutava ovviamente le asserzioni di stampo neoplatonico dell’anziano grammatico (Aug., epist., 17).

 

 

3. – L’incontro-scontro tra pagani e cristiani nelle province africane

 

Nonostante le tesi sostenute da sant’Agostino e da Maximus fossero agli antipodi, il loro scambio epistolare dimostra i toni pacati che assunse a volte il confronto tra intellettuali pagani e cristiani. In effetti, se a livello popolare l’antipatia reciproca tra le due fazioni era pronta a sfociare in rivolta o repressione, negli strati più elevati il confronto tra concezioni religiose diverse favorì, a tratti, lo scambio culturale.

Altro esempio celebre è quello che vede coinvolto, oltre a sant’Agostino, Rufio Volusiano, esponente di una nota gens urbana: egli, insieme ad altri aristocratici della capitale, si era rifugiato a Cartagine verosimilmente dopo il sacco di Alarico del 410, e, forse, in quell’occasione aveva rivestito la carica di proconsole dell’Africa[35]. Egli scrisse una lettera al celebre vescovo con obiezioni ai dogmi del cristianesimo (incarnazione, verginità di Maria, deviazione dal giudaismo, ecc.), frutto delle discussioni sviluppate nel circolo pagano creatosi nella capitale provinciale, e di cui facevano parte non solo senatori provenienti da Roma, ma anche notabili locali[36]. Agostino non mancò di rispondere ampiamente ai dubbi sollevati dall’eminente senatore, con toni spesso assimilabili al sermone; inoltre, anche in seguito alle esortazioni del tribunus et notarius Flavius Marcellinus a controbattere ulteriori obiezioni sollevate da Volusiano, il vescovo si accinse a comporre un’opera fruibile dagli intellettuali pagani: il De civitate Dei [37].

[p. 893] Questo e gli altri testi composti all’epoca e, più in generale, lo scambio di opinioni tra circoli pagani radunatesi nelle principali città africane e le autorità religiose lì stanziate, portò ad alcune celebri conversioni: lo stesso Volusiano sembra accogliere, ma solo in punto di morte (nel 437: Vita Mel. 53-55), la religione che già alcuni membri della sua famiglia avevano abbracciato (in particolare la nipote santa Melania la Giovane, artefice del ripensamento religioso dell’aristocratico pagano). Se dubbia permane questa conversione, avvenuta comunque a Costantinopoli, sicura appare quella di Martialis, notabile di Calama, passato alla fede cristiana, prima fortemente osteggiata, solo in fin di vita e per intercessione della figlia[38]; del resto lo stesso padre di Agostino si era convertito in letto di morte e grazie all’opera di santa Monica (Aug., Conf. ix,9,22; cfr. ix,6,14). Un altro esempio illustre di conversione in extremis di un africano è quello di Martinianus, vicarius Africae nel 358: ancora pagano nel 371, sembra essere poi divenuto cristiano[39].

A Cartagine Agostino registra nel 401 la conversione di Faustinus, sottolineando che appariva dovuta più alla volontà di facilitare la sua carriera municipale che ad un’intima convinzione[40]. Doveva trattarsi di un esempio di conversione per opportunismo tra i tanti noti all’epoca: si pensi in particolare agli schiavi e ai sottoposti ad un nobile o a un proprietario terriero che, se il loro padrone passava al cristianesimo, abbracciavano in massa la sua fede. Anche qui illuminante è un passo di Agostino: Ille nobilis si christianus esset, nemo remaneret paganus[41]. Conversioni poco convinte sono ricordate anche da Salviano, secondo cui vi erano africani che [p. 894] continuavano a consacrare i nascituri a Caelestis e ad adorare tale divinità insieme a quella cristiana[42].

Non sempre però si passò da una religione all’altra in maniera pacifica e il confronto non rimase circoscritto al dibattito intellettuale, ma degenerò in aperta lotta. In particolare originarono aspre contese e furono terreno di scontro i santuari ancora esistenti e frequentati[43].

Nel 399 i comites di Onorio Gaudentius e Iovius devastarono vari templi e statue nella zona di Cartagine[44]. A questo episodio seguirono distruzioni, non sempre autorizzate, di edifici cultuali da parte di gruppi estremisti cristiani[45]. Per far fronte a queste eversiones, nello stesso 399 Onorio inviò ad Apollodoro, proconsole d’Africa, una costituzione[46], che comminava pene a chi praticava i sacrifici; allo stesso [p. 895] tempo vietava le demolizioni di templi, riservandole eventualmente alla decisione dell’imperatore e all’azione di suoi funzionari. Il decreto fu nel 401 parzialmente modificato, affidando alle curie municipali la salvaguardia di tali edifici, nonché la loro trasformazione a scopi pubblici profani o l’eventuale alienazione[47]. In alcuni casi i templi vennero venduti alle autorità ecclesiastiche e trasformati in chiese; più spesso, per non porsi in aperto contrasto con i gruppi pagani influenti a livello locale, furono diversamente utilizzati.

Già nel corso del iv secolo vari santuari erano in realtà stati trasformati: oltre al citato caso del tempio di Madauros[48], sotto Costanzo a Cuicul in Numidia il santuario di Saturno veniva adoperato per il commercio delle stoffe[49], mentre a Mactaris (Byzacena) il tempio di Liber Pater, divinità tutelare cittadina, era stato adattato a basilica, e i frammenti architettonici dell’edificio riusati per la costruzione di un ciborium per il culto imperiale[50]. Esemplare invece della persistente opposizione pagana è il caso del famoso tempio cartaginese per la dea Tanit/Caelestis: nel 399 il vescovo Aurelius riuscì ad impossessarsene, dando però origine a diffusi scontenti[51]; nel 421 il tribuno Ursus fu pertanto costretto a far sparire completamente i resti di quel [p. 896] santuario, nonostante fosse ormai divenuto cattedrale cristiana[52]. Verosimilmente la fazione pagana era così forte, e non limitata ai soli ambienti colti, da poter pretendere di ricondurre al culto tradizionale l’edificio e quindi la demolizione dello stesso era l’unico mezzo per sedare una rivolta ancor prima che si originasse.

Rari sono comunque i casi di reazione pagana alle violenze cristiane.

Già nel 399 a Sufes (Sbiba) in Byzacena un gruppo di cristiani, facendo leva su una legge di Onorio contro gli idoli pagani (CTh xv,10,16, proprio del 399), aveva distrutto la statua argentea di Ercole, divinità poliade e fortemente venerata nel centro; la rappresaglia pagana, appoggiata dai locali decurioni, fu in quel caso terribile: 60 cristiani furono uccisi [53]. Anche il martirio di santa Salsa in Mauretania Caesariensis si inserisce in quel clima di contrasti tra pagani e cristiani: la giovane sarebbe stata linciata ed uccisa dai pagani per aver gettato a mare la testa di un dragone bronzeo, venerato dagli abitanti di Tipasa ed il cui tempio era posto sulla colina centrale della città, nei pressi del foro[54].

Nel frattempo comunque il quadro era mutato: l’editto di Onorio del 407 permetteva, oltre che ai funzionari imperiali e municipali, anche ai vescovi di sopprimere le celebrazioni pagane[55]. Lo scambio epistolare di sant’Agostino con Nectarius, attesta una sommossa popolare a Calama, proprio in seguito a tale costituzione[56]: [p. 897] il nobile pagano invita il celebre teologo a perdonare i suoi concittadini ed ad intercedere presso i funzionari imperiali per condonare loro le pene (fisiche e pecuniarie) previste per aver trasgredito le disposizioni imperiali. Agostino, sostenendo che le violenze dei pagani andavano punite per la loro stessa salvezza eterna e per prevenire altri episodi, narra gli avvenimenti intercorsi nel giugno del 408. I pagani di Calama non solo avevano svolto una processione danzante (forse un rito dionisiaco), ma avevano tirato pietre sulla chiesa locale; alle proteste del vescovo Possidius, lamentatosi presso la curia municipale della mancata osservazione della recente legge, seguì un’ulteriore sassaiola ed una sommossa, che portò all’incendio della chiesa, alla morte di un chierico e alla fuga dei restanti prelati[57]. Agostino sottolinea che la rivolta non avrebbe avuto successo se la fazione pagana non avesse trovato l’acquiescenza delle autorità cittadine (epist. 91, 8, 7), che non avevano messo in atto le disposizioni antipagane né fermato i rivoltosi[58]. Pochi anni dopo, le ultime resistenze pagane vennero sostanzialmente messe a tacere da un nuovo editto: si riferiva in particolare all’Africa la costituzione del 415 con cui Onorio e Teodosio ii imposero la chiusura dei templi, la confisca delle loro proprietà o la destinazione di esse alla chiesa; si ordinava inoltre ai sacerdoti pagani di abbandonare Cartagine e gli altri centri principali e di fare ritorno alle loro città[59]. Nonostante in alcune zone, rurali ed interne, siano rintracciabili pagani ancora per tutto il v secolo, la frequentazione di santuari e la pratica dei culti sembra allora definitivamente terminare.

 

 



 

[1] Aug., serm. 24,6; cfr. F. van der Meer, Augustine the Bishop. The life and work of a father of the Church, engl. trans. by B. Battershaw e G. R. Lamb (dall’ediz. Augustinus de zielzorger, Utrecht 1957), London 1961, p. 39; H. Chadwick, Augustine on pagans and Christians: reflections on religious and social change, in History, Society and the Churches. Essays in Honour of O. Chadwick, Cambridge 1985, p. 12. Come Brown rileva in una sua raccolta di studi proprio su S. Agostino (P. Brown, Religione e società nell’età di sant’Agostino, Torino 1975, p. 249; trad. it., a cura di G. Fragnito, di Religion and Society in the Age of Saint Augustine, London 1972): «Lo storico della Chiesa tardoromana corre costantemente il rischio di dare per scontata la fine del paganesimo. Eppure il destino del paganesimo alimentava l’immaginazione delle comunità cristiane; ed il posto di un vescovo nella società romana – anzi, tutto il significato del governo della sua chiesa – era intimamente connesso con la fortuna dei suoi nemici tradizionali, gli dei pagani».

 

[2] Cfr. infra e più in generale C. Lepelley, Les Cités de l’Afrique romaine au Bas-Empire, i-ii, Paris 1979-81.

 

[3] Salv., gub. viii, 2, 12; 3, 14. Nei mosaici africani di fine iv secolo, che abbellivano le ville dei senatori e dei notabili locali, si ritrovano spesso riferimenti a divinità e miti pagani: si pensi ad es. ai mosaici di Cartagine che raffigurano un sacrificio a Diana e ad Apollo o che celebrano Attis, Cerere e Dioniso. Per una lista dei mosaici di iv secolo con soggetti pagani cfr. A. Merlin, L. Poinssot, Amours vendangeurs au gecko (Mosaïque de Thugga), «RevAfr», 100, 1956, pp. 283-300; cfr. G. C. Picard, La Carthage de Saint Augustin, Paris 1965, pp. 121-6. Si vedano inoltre due iscrizioni musive, da Cirta e da Bulla Regia, di impronta filosofica pagana: R. Hanoune, Le paganisme philosophique de l’aristocratie municipale, in L’Afrique dans l’Occident romain (ier siècle av. J.-C. – ive siècle ap. J.-C.). Actes du colloque (Rome, 3-5 décembre 1987), Roma 1990, pp. 63-75.

 

[4] CIL viii, 14436.

 

[5] Su Proculus, poi prefetto urbano, cfr. CIL VI, 1690-1691 (= ILS, 1240); Symm., epist. xii,4 ; PLRE i, Proculus 11, pp. 747-9; A. Chastagnol, Les fastes de la préfecture de Rome au Bas-Empire, Paris 1962, pp. 96-102. Sull’intervento al tempio cartaginese: CIL viii, 24521; Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 14; Z. Benzina Ben Abdallah, Catalogue des inscriptions latines païennes du Musée du Bardo, Roma 1986, p. 251. Sul locale culto di Cybele: H. Pavis d’Escurac, La religion de la Magna Mater en Afrique, «Bull. Univ. Haute Alsace» 11 (1980), pp. 55-71.

 

[6] CTh xvi,10,3. Su Catullinus, che dedicò in Callaecia un’iscrizione a Giove (CIL ii, 2635), PLRE i, Catullinus 3, pp. 187-8. Sua figlia era Fabia Aconia Paulina, moglie del famoso senatore pagano Pretestato.

 

[7] CIL viii, 12272 (= EE v, 303); Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 74; V. Brouquier-Reddè, Temples et Cultes de Tripolitaine, Paris 1992, p. 305. Faustinus, verosimilmente curator rei publicae, non è altrimenti noto; su Celsinus cfr. PLRE i, Celsinus 4, p. 192.

 

[8] Su Madalianus cfr. PLRE i, Madalianus, p. 530; T. D. Barnes, Proconsuls of Africa, 337-392, «Phoenix», 39, 1985, p. 146. Su Quartus cfr. CIL VI, 1700 (= ILS, 1249); A. ChastagnolLa carrière du proconsul d’Afrique M. Aurelius Consius Quartus, «Lybica», 7, 1959, pp. 191-203; Barnes, Proconsuls, cit., p. 146. Su Salutius Barnes, Proconsuls, cit., p. 147. Su Orfitus, CIL VI, 45 (= ILS, 3222); PLRE i, Orfitus 3, pp. 651-3; Barnes, Proconsuls, cit., p. 147.

 

[9] S. Conti, Die Inschriften Kaiser Julians, Stuttgart 2004, pp. 170-1 nr. 167; Ibid., p. 177 nr. 176. Al regno di Giuliano è poi databile una lucerna nord-africana con le raffigurazioni di Giuliano/Helios-Serapide ed Elena/Iside: cfr. L. Budde, Julian-Helios Sarapis und Helena-Isis, «AA», 87, 1972, pp. 630-42. Sulle costruzioni giulianee cfr. S. Conti, Attività edilizia e restauri nei centri africani durante il regno dell’imperatore Giuliano, in L’Africa romana xv, pp. 1681-91.

 

[10] Il sacerdozio di Octavianus è attestato in un’iscrizione da Bovianum (CIL ix, 2566 = ILS, 1253); come governatore provinciale ricorre nel 363 anche in Proconsularis a Thagora (CIL viii, 4647 = ILS, 756 = ILAlg i, 1035); cfr. Amm. xxiii,1,4. Su di lui PLRE i, Octavianus 2, p. 637; R. von Haehling, Die Religionszugehörigkeit der hohen Amtsträger des Römischen Reiches seit Constantins i. Alleinherrschaft bis zum Ende der Theodosianischen Dynastie (324-450 bzw. 455 n. Chr.), Bonn 1978, p. 424. Sempre nel 363 era governatore della Byzacena Aginatius, messo poi a morte sotto Valentiniano (375/376) con l’accusa di magia nera (Amm. xxviii,1,50-56): PLRE i, Aginatius, pp. 29-30; A. Chastagnol, Les gouverneurs de Byzacène et de Tripolitaine, «AntAfr» 1, 1967, pp. 123, 125. Su Restitutus cfr. invece ILAlg i, 253 (= CIL viii, 5338 = 17488); Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 176.

 

[11] ILTun 1538 b; Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 148-9. Su Publius Ampelius cfr. PLRE i, Ampelius 3, pp. 56-7.

 

[12] Su di lui CIL vi, 499 (= ILS, 4147); Amm. xxix,6,19; PLRE i, Caesarius 7, pp. 171-2; Barnes, Proconsuls, cit., pp. 149-50.

 

[13] CIL viii, 5337 (= ILAlg i, 254); CIL viii, 5335 (= ILS, 5730 = ILAlg i, 256). Su Flaccianus cfr. M. S. Bassignano, Il flaminato nelle province romane dell’Africa, Roma 1974, pp. 301, 303, 305; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 166 nt. 195, 177.

 

[14] Amm. xxviii, 1, 19-23. Su Hymetius cfr. CIL VI, 1736 (= ILS, 1256); PLRE i, Hymetius, 447; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., p. 425; Barnes, Proconsuls, cit., p. 150; G. Marasco, Agostino e l’aruspice di Cartagine, in L’Africa romana xii, p. 1557. Sulla politica religiosa di Valentiniano cfr. J. Rougé, Valentinian et la religion: 364-365, «Ktema» 12, 1987, pp. 285-97.

 

[15] CIL viii, 1636; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 166 nt. 195, 178. Donatus non è altrimenti noto. Di un altro pontifex della stessa città, [---]ius Faustinianus, non è invece databile l’iscrizione che lo menziona, comunque tarda: CIL viii, 15878 (= EE v, 627); Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 182.

 

[16] Sulla funzione dei flamines tardi cfr. G. B. De Rossi, Come si possa conciliare il titolo di flamen perpetuus con quello di Christianus, «BArchCr», iii, 3, 1878, pp. 31-6; T. Kotula, Les curies municipales en Afrique romaine, Wroclaw 1968, pp. 86-9, 132; Bassignano, Flaminato, cit., p. 63; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 166-7. Sui sacerdotales ancora nel v secolo cfr. invece A. Chastagnol, N. Duval, Les survivances du culte impérial dans l’Afrique du Nord à l’époque vandale, in Mélanges d’histoire ancienne offerts a William Seston, Paris 1974, pp. 87-118; S. Mazzarino, Antico, tardoantico ed era costantiniana, i, Bari 1974, pp. 434-9; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 367-8; ii, pp. 66-8; A. Chastagnol, Sur les sacerdotales africains à la veille de l'invasion vandale, in L’Africa romana v, pp. 101-10.

 

[17] CIL viii, 15256. Vedi PLRE i, Iulianus 37, pp. 479-80; Barnes, Proconsuls, cit., p. 150.

[18] CIL viii, 24584. Vedi Picard, Carthage, cit., p. 105; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 349 nt. 68; ii, p. 15. Su di lui PLRE i, Symmachus 4, pp. 865-71.

 

[19] Della sterminata bibliografia sulla controversia per l’ara della Vittoria, mi limito a citare alcuni contributi più recenti e significativi (e a cui rimando per i riferimenti bibliografici precedenti): F. Canfora, Sulla controversia per l’altare della Vittoria tra pagani e cristiani nel iv secolo, in Studi storici in onore di G. Pepe, Bari 1969, pp. 103-26; R. Klein, Der Streit um den Viktoriaaltar. Die Dritte Relatio des Symmachus und die Briefe 17, 18 und 57 des Mailänder Bischofs Ambrosius, Darmstadt 1972; S. Mazzarino, Tolleranza e intolleranza: la polemica sull’ara della Vittoria, in Id., Antico, tardoantico ed era costantiniana, i, Bari 1974, pp. 339-77; J. Wytzes, Der letzte Kampf des Heidentums in Rom, Leiden 1977; F. Paschoud, Le rôle du providentialisme dans le conflit de 384 sur l’autel de la Victoire, «MH», 40, 1983, pp. 197-206; F. Paschoud, G. Fry, Y. Rütsche (a cura di), Colloque genevois sur Symmaque à l’occasion du mille six centième anniversaire du conflict de l’autel de la Victoire, Paris 1986; D. Lassandro, L’altare della vittoria: “letture” moderne di un’antica controversia, in A. Garzya (a cura di), Metodologie della ricerca sulla tarda antichità. Atti del Primo Convegno dell’Associazione di Studi Tardoantichi, Napoli 1989, pp. 443-50; F. Canfora, Simmaco, Ambrogio. L’altare della Vittoria, Palermo 1991; B. Moroni, Il conflitto per l’altare della Vittoria in Ambrogio, De obitu Valent. 19-20, «RIL», 130, 1996, pp. 237-63; D. Lassandro, La controversia de ara Victoriae del 384 d.C. nell’età sua e nella riflessione dei moderni, in F. Bessone, E. Malaspina (a cura di), Politica e cultura in Roma antica. Atti dell’incontro di studio in ricordo di Italo Lana (Torino, 16-17 ottobre 2003), Bologna 2005, pp. 157-71.

 

[20] E. Albertini, Une nouvelle basilique civile à Cuicul (Djemila), «CRAI» 1943, pp. 376-86 (= AE, 1946, 108-109); Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 349; ii, pp. 406-7. Su Faventinus, che ricoprì vari sacerdozi pagani, cfr. CIL vi, 504 (= ILS, 4153); PLRE i, Faventinus 1, p. 325; A. Chastagnol, Les consulaires de Numidie, in Mélanges offerts à Jérome Carcopino, Paris 1966, p. 227.

 

[21] Aug., Civ. Dei, ii, 4; ii, 26, 2; cfr. van der Meer, Augustine, cit., pp. 37-8; Picard, Carthage, cit., p. 104; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 350.

 

[22] Salv., gub. viii, 2, 9-12.

 

[23] Aug., serm. 62, 6, 10; C. Lepelley, Aspects de l'Afrique Romaine. Les cités, la vie rurale, le christianisme, Bari 2001, pp. 49-50. Il genio municipale è celebrato nel iv secolo anche in altri centri africani, quali Lepcis Magna (IRTrip., 282; J. Robert – L. Robert, Bulletin Epigraphique, «REG», 1953, p. 203; cfr. Brouquier-Reddè, Temples, cit., pp. 198-9, 297, 305) e Thamugadi (Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 313; Id., Aspects, cit., p. 43).

 

[24] Vedi M. Le Glay, Saturne African, Histoire, Paris 1966, p. 101; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 350. Il culto di tale divinità africana fra le più diffuse, è ricordato in epoca costantiniana: un sacerdos Saturni è attestato a Zama Regia in Byzacena nel 322 (CIL vi, 1686 = ILS, 6111), mentre l’anno successivo un sacerdote di Saturno, M. Gargilius Zabo, pose una dedica al dio a El Ayaida (nella regione di Béjà); cfr. A. Beschaouch, Une stèle consacrée à Saturne le 8 novembre 323, «BCTH», 4, 1968, pp. 253-68 (AE, 1969-1970, 657).

 

[25] Aug., Conf. iv, 2, 3; l’incontro con l’aruspice deve essere avvenuto durante il suo insegnamento di retorica nella città (tra il 379 e il 381). Vedi D. Briquel, Chrétiens et haruspices. La religion étrusque, dernier rempart du paganisme romain, Paris 1997, pp. 188-9; Marasco, Aruspice, cit., pp. 1555-62; Id., I vescovi e il problema della magia in epoca teodosiana, in Vescovi e pastori in epoca teodosiana. xxv Incontro di studiosi dell’antichità cristiana (Roma, 8-11 maggio 1996), Roma 1997, pp. 225-47.

 

[26] Su V[---]adius cfr. i due testi identici frammentari: CIL viii, 23968-23969; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 347, 349. Per i passi e la bibliografia su Pacatus cfr. PLRE i, Drepanius, p. 272; A. Lippold, Herrscherideal und Traditionsverbundenheit im Panegyricus des Pacatum, «Historia», 17, 1968, pp. 228-50; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., pp. 431-3.

 

[27] Su Marcianus cfr. Carmen contra paganos 78 ss.; Symm., epist. viii, 23; PLRE i, Marcianus 14, pp. 555-6; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., pp. 404-5. Il paganesimo di Pompeianus si palesa nella proposta di sacrifici per scongiurare un nuovo attacco di Alarico (Soz., ix,6; Zos., v, 41, 1-3) e nella disputa, in qualità di prefetto urbano, sui beni di Melania (Vita Mel. 19; S. Conti, Tra integrazione ed emarginazione: le ultime Vestali, «SHHA», 21, 2003, pp. 209-22); su di lui PLRE ii, Pompeianus 2, pp. 897-8; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., pp. 402-3. Su Helpidius Symm., epist. 5,85 e 94; PLRE ii, Helpidius 1, pp. 535-6; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., pp. 441-3.

 

[28] CIL viii, 12285; Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 85.

 

[29] CIL viii, 15881 (= ILS, 5505); sul tempio cfr. G. C. Picard, Les religions de l’Afrique antique, Paris 1954, p. 116.

 

[30] In una lettera Agostino esorta proprio i cittadini di Madauros a convertirsi (epist. 232), anche minacciando le punizioni del giudizio universale. A proposito di questa epistola Lepelley nota: «Augustin évoque les temples utilisés à des usages non religieux, mais il ne parle pas de temples transformés en église: c’eût été probablement impossible dans une cité dominée par un ordo presque exclusivement païen» (Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 355 nt. 104; cfr. ii, pp. 136-7; van der Meer, Augustine, cit., p. 34).

 

[31] ILAlg i, 2117; Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 132, 138.

 

[32] Aug., epist. 17, 4. Cfr. ILAlg i, 2071; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 350; ii, pp. 99, 136. Riti simili si svolgevano a Calama ancora nel 408: cfr. infra.

 

[33] ILAlg i, 2103; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 347, 349; ii, pp. 130-1.

 

[34] Aug., epist., 16. Sullo scambio epistolare tra Agostino e Massimo cfr. P. Mastandrea, Massimo di Madauros (Agostino, Epistulae 16 e 17), Padova 1985; cfr. van der Meer, Augustine, cit., pp. 32-3; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 357-8, ii, pp. 135-6; L. Storoni Mazzolani, Le lettere di S. Agostino ai pagani, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, iv, Perugia 1981, pp. 51-3; Ead., Sant’Agostino e i pagani, Palermo 1987, pp. 55-62; G. Rinaldi, La Bibbia dei pagani. i: Quadro storico, Bologna 1997, pp. 361-2. Più in generale cfr. M. Edwards, Pagan and Christian Monotheism in the Age of Constantine, in S. Swain, M. Edwards (eds.), Approaching Late Antiquity. The Transformation from Early to Late Empire, Oxford 2004, pp. 211-34.

 

[35] Rut. Nam. i, 173-174. Su Volusiano PLRE, ii, Volusianus 6, pp. 1184-5; A. Chastagnol, Le sénateur Volusien et la conversion d’une famille de l’aristocratie romaine au Bas-Empire, «REA», 58, 1956, pp. 241-53; P. Martain, Une conversion au v siècle: Volusien, «REAug», 59, 1907, pp. 145-72; A. Fo, Crittografie per amici e nemici in Rutilio Namaziano: la questione del ‘quinto Lepido’ e il cognomen di Rufio Volusiano, «Paideia», 59, 2004, pp. 169-95.

 

[36] Aug., epist., 135. Vedi van der Meer, Augustine, cit., pp. 35-6; Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 40-1; cfr. Storoni Mazzolani, Le lettere, cit., pp. 57-63; Ead., Sant’Agostino, cit., pp. 96-109; C. Gnilka, La conversione della cultura antica vista dai padri della chiesa, in P. F. Beatrice (a cura di), L’intolleranza cristiana nei confronti dei pagani, Bologna 1990, pp. 147-50.

 

[37] Aug., epist., 132, 136-137. I primi due libri del De civitate Dei sono dedicati proprio a Marcellino; anche se, in realtà, la vastità e complessità dell’opera non permette di limitarne il progetto e la realizzazione solo al suggerimento del funzionario imperiale (Storoni Mazzolani, Sant’Agostino, cit., p. 99). Su Marcellinus PLRE ii, Marcellinus 10, pp. 711-2.

 

[38] Secondo Agostino il battesimo del vecchio decurione fu dovuto all’intercessione della figlia presso S. Stefano, martire a cui era dedicata una cappella nel centro africano (Aug., Civ. Dei xxii, 8, 14); cfr. Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 101.

 

[39] Cfr. Bas., epist., 74 con Greg. Naz., epist., 43, 50. Su di lui cfr. PLRE i, Martinianus 5, p. 564.

 

[40] Aug., serm. Morin 1, 2 e 3 (=PLS ii, 656-660); van der Meer, Augustine, cit., pp. 30-1; Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 41-2.

 

[41] Aug., En. in ps. 54,13; cfr. van der Meer, Augustine, cit., pp. 29-30; Chadwick, Augustine, cit., p. 19. Al contrario Salviano sostiene che se il padrone rimane legato a riti pagani, ancora di più lo sarà tutto il personale a suo servizio: Salv., gub. viii, 3, 14.

 

[42] Salv., gub. viii,2,10-3; cfr. Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 360 e 361 nt. 135. Anche Marcianus, proconsul Africae del 394, sembra essere passato dal paganesimo al cristianesimo: Aug., epist., 258; su di lui cfr. nota 27. Fausto il Manicheo aveva sostenuto che i cristiani non avevano fatto altro che sostituire gli dei pagani con i martiri cristiani; mentre sempre Agostino ricorda che alcuni battezzati continuavano a praticare riti sacrileghi e a ricorrere ad astrologi (De Catechizandis Rudibus).

 

[43] Sul tema cfr. N. Duval, Église et temple en Afrique du Nord. Notes sur les installations chrétiennes dans les temples à cour, à propos de l’église dite de Servus à Sbeitla, «BCTH», n.s. 7, 1971, pp. 254-96; R. Klein, Distruzione di templi nella tarda antichità. Un problema politico, culturale e sociale, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, x, Napoli 1995, pp. 127-52; Rinaldi, Bibbia dei pagani, cit., pp. 365-92; F. Grelle, Il titolo “de paganis sacrificiis et templis” nel Codice di Giustiniano, «VetChr», 39, 2002, pp. 61-7. Più in generale J. Gaudemet, Politique ecclésiastique et législation religieuse après l’édit de Theodose i de 380, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, vi, Perugia 1986, pp. 1-22.

 

[44] Aug., Civ. Dei, xviii, 54, 1; Quodv., Prom. iii, 38; cfr. più in generale sempre Aug., serm. 24, 6; contra Parm., 1, 9, 15. Vedi van der Meer, Augustine, cit., p. 38; O. Perler, Les voyages de Saint Augustin, Paris 1969, pp. 391-5; Brown, Religione e società, cit., p. 303; Chadwick, Augustine, cit., p. 11; K. L. Noethlichs, Heidenverfolgung, in RAC 13, Stuttgart 1986, col. 1172; C. Lepelley, Le musée des statues divines. La volonté de sauvegarder le patrimoine artistique paien à l’époque théodosienne, «CArch», 42, 1994, pp. 5-6; Rinaldi, Bibbia dei pagani, cit., p. 387.

 

[45] Agostino esortava i Cartaginesi, sempre nel 399, a non distruggere i templi pagani che non erano in terreni di proprietari cristiani (serm. 62, 7-8); cfr. Chadwick, Augustine, cit., p. 11. Si noti che già Costanzo e Costante avevano emesso una costituzione per preservare i santuari, pur abolendo i culti in essi praticati (CTh xvi, 10, 3); cfr. CTh xvi, 10, 8 del 382.

 

[46] CTh xvi, 10, 18 del 20 agosto 399: Aedes inlicitis rebus vacuas nostrarum beneficio sanctionum ne quis conetur evertere. Decernimus enim, ut aedificiorum quidem sit integer status, si quis vero in sacrificio fuerit deprehensus, in eum legibus vindicetur, depositis sub officio idolis disceptatione habita, quibus etiam nunc patuerit cultum vanae superstitionis inpendi. Cfr. CTh xvi, 10, 15 e 17 sempre del 399; C. Castello, L’umanesimo cristiano di Stilicone, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, iv, Perugia 1981, pp. 65-96; Storoni Mazzolani, Sant’Agostino, cit., pp. 30 e 130-3; J. Gaudemet, La legislazione antipagana da Costantino a Giustiniano, in Beatrice, Intolleranza cristiana, cit., p. 29; Lepelley, Statues divines, cit., p. 8; A. Barzanò, Il cristianesimo nelle leggi di Roma imperiale, Milano 1996, p. 265.

 

[47] CTh xv, 1, 41 del 401 e xvi, 10, 19 del 407; cfr. L. De Giovanni, Il libro xvi del Codice Teodosiano. Alle origini della codificazione in tema di rapporti chiesa-stato, Napoli 1985, p. 134; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 353-5; Id., Statues divines, cit., p. 6; Id., Aspects, cit., pp. 50-1. In effetti nel 401 un concilio radunatosi a Cartagine aveva chiesto leggi più dure contro i “residui dell’idolatria”(Conc. Carth. v, 15 = Reg. Carth. lviii, 60, 84); cfr. Chadwick, Augustine, cit., p. 12; Rinaldi, Bibbia dei pagani, cit., p. 387.

 

[48] Vedi supra. Cfr. Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 131.

 

[49] Picard, Carthage, cit., p. 104.

 

[50] Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 292-3; cfr. Picard, Les religions, cit., p. 195. Per l’iscrizione dedicatoria del ciborium a Costanzo e Giuliano: Conti, Die Inschriften, cit., pp. 164-5 nr. 154.

 

[51] Della presenza di un tempio e di una statua della dea riferisce lo stesso Agostino (Civ. Dei, ii, 26, 2); per la sua utilizzazione cristiana dal 399 cfr. Quodv., Prom. iii, 38; Perler, Les voyages, cit., p. 394.

 

[52] Quodv., Prom. iii, 38; Picard, Les religions, cit., pp. 106-7, 117, 254; Id., Carthage, cit., p. 105; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 354 e 356-7; ii, pp. 42-4, 53.

 

[53] Aug., epist., 50; van der Meer, Augustine, cit., pp. 39-40; T. Kotula, Deux pages relatives à l’histoire de la réaction païenne. Les troubles à Sufes et à Calama, «Act. Univer. Wratislaviensis», 205, 1974, pp. 69-95 (in polacco, con riassunto in francese di M. Michalak alle pp. 95-7); Brown, Religione e società, cit., pp. 249, 291; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 355; ii, pp. 305-7; Chadwick, Augustine, cit., p. 12; Storoni Mazzolani, Sant’Agostino, cit., pp. 62-4; M. Maas, Readings in Late Antiquity. A Sourcebook, London-New York 2000, pp. 186-7; Lepelley, Aspects, cit., p. 47 nt. 43. Sulla locale venerazione per Ercole, forse assimilato al dio punico Melqart, cfr. una base di iii secolo dove è definito genius patriae: CIL viii, 11430 (= 262 = ILS, 6835).

 

[54] Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 544. La vicenda è conservata nella Passio Salsae, composta nella prima metà del v secolo da un cittadino di Tipasa.

 

[55] CTh xvi, 10, 19; Brown, Religione e società, cit., p. 304; Gaudemet, Legislazione antipagana, cit., p. 30; Lepelley, Statues divines, cit., p. 8. La demolizione dei templi era comunque demandata alle autorità civili: cfr. anche CTh xvi, 10, 25 del 435.

 

[56] La costituzione fu promulgata il 15 novembre del 407 (CTh xvi, 5, 43 e xvi, 10, 19), fu attuata in Proconsolare dal governatore Porfirio solo dopo la sua affissione a Cartagine il 5 giugno del 408 (Sirmond. 12); si può però supporre che in Numidia fosse giunta alcuni giorni prima e fosse già nota il 1 giugno, quando si originarono i primi scontri. Le lettere di Nectarius sono conservate in Aug., epist., 90 e 103; le risposte del vescovo d’Ippona sono le epist., 91 e 104.

 

[57] Aug., epist., 91, 8, 5-6; cfr. van der Meer, Augustine, cit., pp. 40-1; Kotula, Deux pages, cit., pp. 69-97; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 356, 358; ii, pp. 97-101 e 136 nt. 31; Storoni Mazzolani, Le lettere, cit., pp. 54-7; Ead., Sant’Agostino, cit., pp. 64-80. Cfr. supra per cerimonie danzanti simili a Madauros.

 

[58] «Les événements de Calama n’étaient pas seulement le fait d’une populace déchaînée, des membres de l’aristocratie municipale étaient compromis, la réaction païenne avait son origine dans la curie. [...] Cette attitude et ces événements sont aussi fort révélateurs de la désinvolture avec laquelle les autorités d’une cité pouvaient traiter la législation impériale» (Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 99-100).

 

[59] CTh xvi, 10, 20. Vedi J. Rougé, CTh 16,10,20 Essai d’intérpretation, «RHDFE» 59, 1981, pp. 55-60.