N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana
Università di Macerata
Alcune
osservazioni sulla genesi e la diffusione delle cupae
(pubblicato in L’Africa romana. Mobilità delle persone e dei popoli,
dinamiche migratorie, emigrazioni ed immigrazioni nelle province occidentali
dell’Impero romano. Atti del XVI convegno di studio. Rabat, 15-19 dicembre 2004, a cura di M. Akerraz, P.
Ruggeri, A. Siraj, C. Vismara, Roma, Carocci editore, 2006, III, pp. 1669-1681)
Con il nome cupa[1] si definisce una particolare categoria di monumenti
funerari diffusa nei territori del Mediterraneo occidentale e nell’Europa
continentale a partire dal I e soprattutto nel ii e iii secolo
d.C. Le cupae compaiono in Africa, in particolare nella Proconsolare,
nella Numidia e in Mauretania, nella Penisola Iberica, soprattutto nell’Hispania
Citerior, a Barcellona e a Tarragona, nella Betica, nella Meseta centrale
in Lusitania, a Merida, intorno a Lisbona e nella parte meridionale della
provincia, in Sardegna, ad Ostia, a Roma e nei suoi dintorni e
nell’Italia centro-meridionale, in Gallia, Mesia e Dacia[2].
Si tratta di [p. 1670] monumenti funerari caratterizzati da uno zoccolo e da
una copertura dalla forma approssimativamente semicilindrica, che sono
associati sia a sepolture ad incinerazione che ad inumazione[3]
e che possono essere realizzati in muratura o lavorati in un blocco monolitico
di pietra; in Lusitania e in Sardegna talvolta riproducono con dovizia di
particolari le fattezze di una vera e propria botte .
Sull’origine
delle cupae e sulla loro diffusione sono state avanzate numerose
ipotesi. Tra le principali va ricordata le proposta fatta a suo tempo da J.
Leite de Vasconcelos[4]
secondo il quale questa tipologia [p. 1672] monumentale deriverebbe da una
più antica usanza di seppellire i defunti, ovvero di deporre le loro
ceneri, in botti di legno. L’ipotesi non sembra accettabile perché
troppo condizionata da una interpretazione legata ai siti in cui le cupae assumono
l’aspetto dei contenitori lignei e perché, di conseguenza, risulta
difficilmente applicabile per regioni, come ad esempio quelle africane, in cui
tra il i e il iii secolo l’uso e la produzione
delle botti doveva essere, almeno stando ai dati di cui si
dispone,
un fatto del tutto marginale[5].
[p. 1673] W. Deonna[6]
riconducendo tutte le cupae all’idea della botte vede in queste
sepolture una forma di culto reso al dio Sucellus[7]
che annovera tra i suoi attributi appunto uno di questi contenitori. A
prescindere dal fatto che Sucellus associato alla cupa è
diffuso esclusivamente in Gallia e Germania, Deonna non tiene in considerazione
la categoria monumentale delle cupae nel suo insieme, ma cerca di dare
una spiegazione solo per quei tipi che ripropongono fedelmente le fattezze di
una botte.
Ancora
più difficilmente sostenibile appare la teoria di S. Lambrino[8]
che, riprendendo quella di Deonna e cosciente della diversa diffusione tra le cupae
e il culto reso a Sucellus, soprattutto quando tra i suoi attributi
appare la botte, propone un legame tra questa forma monumentale e il culto
tributato a Endovellicus una delle divinità più diffuse in
Lusitana e in Betica meridionali.
D.
Julia[9],
non dando spiegazioni sull’origine del tipo monumentale e limitando la
sua analisi ai soli pezzi presenti in Hispania, sostiene una sua derivazione
dall’Africa, dove apparirebbe in una fase cronologica anteriore rispetto
alla Penisola Iberica. L’origine africana sarebbe inoltre avvalorata dal
fatto che molti monumenti dell’Hispania Citerior sono corredati da
condotti per libagioni presenti anche negli esemplari africani; che, in taluni
casi, l’epigrafia rivela nomi di origine africana e che nella Penisola
Iberica le cupae ricorrono frequentemente in zone costiere dove spesso
sono attestati contatti con le province [p. 1674] della opposta sponda
mediterranea. Se questo è vero in particolare per l’Hispania
Citerior la tesi non risulta però sostenibile per altre zone di
diffusione di questa tipologia monumentale, in specie per quelle continentali e
per l’Italia meridionale, cui, come già detto, Julia non fa
riferimento.
I.
Berciu e W. Wolski[10]
dal canto loro cercano di trovare una spiegazione che tenga conto della
tipologia monumentale nel suo insieme e sostengono, anche sulla base dei dati
ricavabili dell’epigrafia associata alle cupae, una derivazione da
modelli orientali, in particolare da un tipo di sarcofago diffuso in Licia che
presenta una copertura arcuata. La proposta presenta soprattutto una
difficoltà, ovvero voler accostare i sarcofagi alle cupae: queste
ultime, infatti, sono concettualmente differenti poiché, come
giustamente scrive L. Bacchielli, la cupa «non è in alcun
modo un contenitore dei resti del defunto ma soltanto elemento di protezione di
essi...»[11].
Qualche
anno dopo G. Fabre[12],
pur non tenendo conto di tutto il materiale presente in Italia, ma incentrando
la sua attenzione su quello ostiense, avanza l’ipotesi di un influsso
italico nella genesi e nell’evoluzione di questa tipologia monumentale,
senza escludere del tutto un apporto dall’Africa che sarebbe però
limitato alla Penisola Iberica.
J.-N.
Bonneville[13],
cui si deve un ottimo lavoro su questo materiale, rimasto però purtroppo
senza gli auspicabili sviluppi per la prematura morte dello studioso, riafferma
l’influsso di una corrente greco-orientale nella genesi ed evoluzione delle
cupae. Al contempo però non scarta l’ipotesi
dell’esistenza di un polo di diffusione di questi monumenti, che ritiene
essere Ostia, e la presenza di influssi africani soprattutto per quanto
riguarda il materiale dell’Hispania Citerior.
Una teoria molto attendibile, che tiene conto della
tipologia monumentale nella sua totalità, è quella avanzata da L.
Bacchielli[14]
proprio in un suo contributo nell’ambito del convegno dell’Africa
romana tenutosi [p. 1675] nel 1985 in cui esprime dei dubbi circa la derivazione
africana di questa classe monumentale, sottolineando, giustamente, che non
tutte le zone in cui si rinvengono le cupae sono aperte ad influssi
provenienti da queste province. Bacchielli pone l’accento sulla natura,
ovvero sui caratteri funzionali oltre che formali delle cupae e propone
per questa tipologia monumentale una derivazione dalle tombe “a
tumulo” caratterizzate da una copertura fatta con un accumulo di terra e
dotate spesso di una stele posta ad una delle estremità. L’ipotesi
sarebbe ampiamente avvalorata dalle testimonianze epigrafiche: infatti quasi a
mantenere viva la loro origine alcune cupae, sia in muratura che
monolitiche, sono dette [p. 1676] tumuli, come è il caso di un
esemplare di Tipasa[15]
e di diverse cupae sarde[16].
Bacchielli aggiunge che pur non essendo possibile accertare
l’anteriorità della forma costruita su quella monolitica, questa
sembra altamente probabile da un punto di vista dell’evoluzione
tipologica. Il retaggio delle cupae in muratura e della loro origine
sarebbe infatti evidente nel caso di un pezzo monolitico di Tipasa[17]
che a differenza di tutti gli esemplari litici, è ricoperto di intonaco
come quelli costruiti. Seppure va detto che la parola tumulus nell’epigrafia
funeraria non deve indicare necessariamente la categoria di sepolture che noi
definiamo “a tumulo”, ma può riferirsi anche al sepolcro in
genere e addirittura al solo epitaffio[18],
l’origine da una sepoltura interrata coperta da una montagnola di terra
è ipotesi assai plausibile.
Come
già accennato nel lavoro di Bonneville e fermamente sostenuto in quello
di Bacchielli lo studio di questa classe di materiale e soprattutto delle
problematiche legate alla sua genesi non può prescindere da una analisi
globale delle cupae nel loro insieme tenendo conto di tutti i luoghi in
cui esse sono attestate[19].
Troppo spesso, infatti, l’attenzione è stata posta su singoli
gruppi e varianti locali legate a determinate botteghe e mode che comportano
senza dubbio differenze nella forma e più ancora nella decorazione e
negli apparati epigrafici dei monumenti, elementi nei quali possono riflettersi
influssi di altre zone dell’impero, ma in cui non necessariamente va
cercata l’origine di questa tipologia monumentale.
Va detto, inoltre, che per un corretto studio delle cupae
è altrettanto fondamentale stabilire una buona definizione della
loro cronologia. A questa, infatti, come abbiamo visto, è legata anche
parte delle teorie sulla loro origine e sulla loro diffusione. Negli studi
anteriori si è proposta una cronologia alta, addirittura al i secolo a.C., per alcuni esemplari
africani, basata in particolare sulla datazione, effettuata su base epigrafica,
di una cupa di Cirta attribuita alla fine dell’età
repubblicana[20].
Questa tesi si è consolidata, è stata accolta e ripresa ed ha [p.
1677] condizionato molti degli studi successivi dedicati a questa tipologia
monumentale. In effetti l’assoluta anteriorità cronologica del
materiale africano è dubbia e soprattutto non appare certa la datazione
dei pezzi più antichi che sembrano posteriori alla data proposta.
Il
lavoro che sto conducendo sulle cupae, tenendo presenti i due
summenzionati punti, ha permesso di individuare e definire i comuni
denominatori di questa classe di materiale.
Le
cupae rivelano un’ampia diffusione che va dalla Mesia alla Lusitania
abbracciando anche l’Africa. La distribuzione di questi monumenti sul
territorio non è però omogenea, ma presenta nelle singole
province zone di forte concentrazione che sono da ricollegarsi sicuramente alle
modalità, vie e fattori, di diffusione.
Per
quanto concerne la cronologia il loro sviluppo può essere fissato nel I
secolo ma il periodo di maggiore attestazione nelle diverse zone
dell’impero è certo il ii
e iii secolo d.C.
L’analisi
del corredo epigrafico rivela che questo tipo di sepoltura, soprattutto al di
fuori dell’Africa, è da ricondurre ad una precisa classe sociale,
un ceto medio composto per lo più da categorie servili, schiavi e
liberti, militari e loro familiari e che ricorre per lo più in ambito
profano e pagano sebbene non manchino attestazioni in ambienti cristiani. Non
è escluso che la diffusione e la circolazione del monumento funerario
vada ricollegata in buona parte agli spostamenti e alle attività di
questi ultimi.
Le
cupae non costituiscono in genere una sepoltura isolata ma formano parte
di veri e propri cimiteri o vie sepolcrali, come è ben evidente, ad
esempio, nel caso di Albano, presso Roma, e di Barcellona nella Hispania
Citerior e in molti altri posti ancora, dove accanto ai monumenti in
muratura possono convivere anche gli esemplari monolitici. Il fatto che,
indipendentemente dagli aspetti strutturali, da un punto di vista non solo
formale ma anche concettuale si tratti del medesimo tipo di sepoltura, appare
evidente da alcune iscrizioni presenti sui monumenti stessi. Sia quelli in
muratura, infatti, che quelli monolitici vengono indistintamente definiti con
il termine di cupa o con le varianti cupula e cupella[21].
Solo per citarne alcuni esempi, va ricordato il caso di una iscrizione di Roma
in cui si fa menzione della costruzione di una cupa in muratura D(is)
M(anibus) / Olus Publicius Polyti/mus tutor Titi Flavi A/gathangeli pupilli sui
matri / Sexctae Fortunatae defu/nctae locum emit mas[sam] / calcavit cupam
edificavit de [p. 1678] [bon]/is
eius omnibus consummat(is) X CC[XXV cur(avit)] / fac(iendum) (CIL
VI, 25144) e un’altra testimonianza epigrafica urbana in cui si fa
riferimento ad una cupula structile (CIL VI, 13236);
d’altro canto una cupa monolitica di Barcellona reca
l’iscrizione: D(is) [M](anibus) / Valerio Melippo / Caelia Quar/tula
fecit pat/ri cupa(m) bene / mer(enti) et Caelia / Saturnina / uxor m(arito)
o(ptimo) (IRC IV, 290).
Va
sottolineato che la cupa, in tutte le varianti costruttive e tipologiche
in cui appare, mantiene costante la sua funzione che non è quella di
contenere bensì di proteggere l’ambito della sepoltura ed i resti
che vi sono deposti. La sua forma arcuata e la sua cavità interna,
spesso anche essa arcuata, creano uno spazio vuoto intorno al defunto che non solo
lo salvaguarda ma che si sostituisce alla terra che altrimenti incomberebbe su
di esso con tutto il suo peso. Si tratta dunque di una scelta formale voluta
tanto che sia negli esemplari in muratura che in quelli litici oltre a
mantenere la forma esterna si riproduce talvolta anche la cavità interna[22].
In questa ottica appare assai convincente la tesi di Bacchielli secondo la
quale esiste una evoluzione tumulo di terra – cupa in muratura
– cupa monolitica, una successione che non è puramente
cronologica ma soprattutto tipologica[23].
La
scelta di una sepoltura “in cupa” sembra essere frutto di
precise valutazioni. Alcune sono probabilmente di tipo economico, ma appare
molto probabile che optando per questo genere di monumento si voglia
manifestare l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale e/o rientrare
in una ben precisa area sepolcrale; è possibile, inoltre, che tramite la
cupa si voglia esternare l’adesione ad una certa “ideologia
funeraria” o esprimere un messaggio o un augurio riguardo alla vita
dell’oltretomba implicito nella forma stessa del monumento. Per questo
può essere indicativa l’etimologia della parola cupa, con
cui già in antico la classe monumentale viene indicata. Cupa infatti
deriva dalla parola greca ku@ph che ha il significato di arcuato
“Höle” “gewölbt”, “fossa”,
“caverna” con la quale, non a caso, si designa anche una capanna di
paglia o frasche e un tipo di nave[24].
Cupa pertanto non è solo qualche cosa di tondo ed arcuato, ma
è uno spazio ben delimitato e nettamente separato dal mondo circostante
che costituisce un ambiente protetto e sicuro come può esserlo una casa,
una grotta o lo scafo di [p. 1680] una nave per chi deve affrontare le acque.
Questo accade anche con le cupae -monumento funerario che, come
già sottolineato, sia nel caso di quelle costruite che nel caso degli
esemplari monolitici, non hanno la funzione di contenere i resti del defunto
bensì quella di proteggerli, creando uno spazio vuoto intorno alla
deposizione. La cupa sembra incarnare e voler garantire quel concetto
del sit tibi terra levis, o una analoga preoccupazione per la
salvaguardia dei resti del defunto come ad esempio molliter ossa quiescant[25],
che tante volte ricorre negli epitaffi romani. La formula è presente
anche su numerose cupae probabilmente per rafforzare e sottolineare una
ideologia funeraria comunque già espressa con la scelta tipologica del
monumento. In tal senso non è più importante che la cupa mantenga
sempre le dimensioni reali del sepolcro poiché quello che conta è
la sua forma, il valore simbolico che ad essa è legato e dunque il
messaggio che vuole trasmettere[26].
Per quanto concerne il caso particolare della Lusitania
e della Sardegna, in cui le cupae assumono l’aspetto di vere e
proprie botti rese con dovizia di particolari, non si deve pensare che questi
monumenti differiscano nel loro valore dagli altri né vedere in essi
retaggi di culti dionisiaci o monumenti funerari di bottai o commercianti di
vino[27].
[p. 1681] Credo piuttosto che si tratti di un adeguamento del monumento al
termine con cui lo si designa: una sorta di interpretatio del
semicilindro cui viene conferita una forma per certi versi più concreta,
più quotidiana, più comprensibile perché legata ad un
oggetto ben definito, noto e tangibile. Si tratta certo di un fenomeno del
tutto locale e probabilmente, data l’ampia diffusione delle botti e
l’omonimia tra monumento sepolcrale e contenitore, abbastanza intuitivo e
semplice tanto da non far supporre necessariamente una interdipendenza tra il
caso lusitano e quello sardo.
Il
presente contributo non vuole e non può essere altro che una breve
presentazione delle principali questioni legate a questa classe monumentale,
cui sto dedicando un più ampio lavoro a carattere monografico. Non
è questa la sede per discutere le molte varianti tipologiche delle cupae
che riguardano la loro struttura, la forma esterna, l’apparato
iconografico scolpito o dipinto, la complessa questione dei simboli tra i
quali, ad esempio, l’ascia[28],
oltre che la natura e la posizione del corredo epigrafico[29].
È sembrato più opportuno dedicare lo spazio a disposizione per
accennare brevemente alle problematiche generali di questo materiale, quali la
sua distribuzione e l’uso, il significato e il valore simbolico. Per
quanto concerne i primi due punti si è potuta constatare una maggiore diffusione
sul territorio rispetto a quanto supposto in passato ed una utilizzazione in un
ambito sociale sinora poco considerato che è quello dei militari,
mentre, per quanto riguarda gli ultimi due, è stato possibile avanzare
delle ipotesi sul simbolismo del monumento.
[1] Sull’uso
di questo termine e sulla sua evoluzione cfr. A.
Di Vita, Una nuova testimonianza di latino “volgare”
della Sicilia sud-orientale: l’epitaffio di Zoe,
«Kokalos», vii, 1961,
pp. 207-9. Cfr.
anche J. Schmidt, Zur
lateinischen Epigraphik. Cupula, «Philologus», 46, 1888, pp.
163-7. Sul termine cupa in generale cfr. infra,
nota 21. Nella letteratura moderna questo tipo di monumento sepolcrale è
variamente definito, cfr. infra, nota 2.
[2] Tra i
lavori dedicati a questi monumenti sepolcrali vedi ad esempio: i pezzi raccolti
nei diversi volumi del CIL, in particolare ii, viii e xiii;
St. Gsell, Inscriptions
inédites de l’Algerie, «BCTH», 1896, pp. 156-220;
J. Leite de Vasconcelos, Religiões de Lusitania, iii, Lisboa 1913, rist. anastatica
Lisboa 1989, pp. 401-6 (“bahus” o cupae); i numerosi volumi
di E. Espérandieu, Recueil
général des bas-reliefs, statues et bustes de la Gaule romaine,
editi a Paris a partire dal 1916, in particolare alla definizione “bloc
de forme arrondie”; R. Cagnat, A.
Merlin, L. Chatelain, Inscriptions latines d’Afrique, Paris
1923; A. Merlin, Inscriptions
latines de Tunisie, Paris 1944; St.
Gsell, H.-G. Pflaum, Inscriptions latines de
l’Algérie, ii. Inscriptions
de la confédération cirtéenne, de Cuicul et de la tribu
Suburbures, 2 voll., Paris 1957 alla voce caisson; D. Julia, Les monuments
funéraires en forme de demicylindre dans la province romaine de
Tarragonaise, «MCV», i,
1962, pp. 29-54; G. Lugli, La
legione ii partica e il suo
sepolcreto nell’agro albano, in Gli archeologi italiani in onore
di Amedeo Maiuri, Cava dei Tirreni 1965, pp. 221-42; I. Berciu, W. Wolski, Un nouveau type de tombe mise au jour à
Apulum et le problème des sarcophages à voûte de
l’Empire romain, «Latomus», 29, 1970, pp. 919-65
(sarcophages a voûte); S. Lancel,
Tipasitana iv. La
nécropole romaine occidentale de la porte de Césarée:
Rapport préliminaire, «BAA», iv, 1970, pp. 149-266; M. Bouchenaki,
Fouilles de la nécropole occidentale de Tipasa (Matarès)
1968-1972, Alger 1975; S. Modugno,
Nuove iscrizioni dal sepolcro della legione ii partica, «Documenta Albana», iii, 1975, pp. 83-9; E. Tortorici, Castra Albana. Forma Italiae, Regio i, Roma 1975, pp. 135-57 (coperchio dalla forma a
baule); M Bendala Galàn, Las
necrópolis de Mérida, in Augusta Emerita. Actas del simposio
internacional commemorativo del bimilenario de Merida 16-20 de Noviembre de
1975, Madrid
1976, pp. 149-53; M. D. P. Caldera
de Castro, Una sepultura de cupa hallada en Mérida
(Consideraciones acerca de estos monumentos funerarios),
«Habis», 9, 1978, pp. 455-63; P.-A. Février, R. Guéry,
Les rites funéraires de la nécropole orientale de Sétif,
«AntAfr», 15, 1980, pp. 91-124; J.-N. Bonneville, Les cupae de Barcelone: les origines du type
monumental, «MCV», xvii,
1981, pp. 5-38; M. Khanoussi, Nouvelles
sépultures d’époque romaine, in A. Beschaouch et al., Recherches
archéologiques franco-tunisiennes à Bulla-Regia, i (Coll. EFR,
28/I), Rome 1983, pp. 93-106 dove sono detti “tombe à
cupule”; A. Balil, Las
cupae de Barcino. Contribución al estudio de un tipo de monumento
funerario romano, in «Arqueologia e Historia», i-ii, 1984-88, pp. 111-5; Z. Benzina Ben Abdallah, Catalogue des
inscriptions latines païennes du Musée du Bardo (Coll. EFR,
92), Rome 1986 alla voce caisson; J. d’Encarnaçaõ,
Inscrições romanas do conventus Pacensis. Subsidio para o
estudo da romanização, Coimbra 1984 alla voce cupa; L.
Bacchielli, Monumenti funerari
a forma di cupula: origine e diffusione in Italia meridionale, in L’Africa
romana iii, pp. 303-19; G. Stefani, I cippi a botte della
Provincia Sardinia, «NBAS», 3, 1986, pp. 115-60; S. Modugno Tofini, Le iscrizioni
conservate nel parco archeologico del Museo Civico di Albano,
«Documenta Albana», 9, 1987, pp. 51-64 (coperchio di sarcofago); Id., Le iscrizioni di Villa Stozzi Albani
Sita, «Documenta Albana», 10, 1988, pp. 17-27; G. Stefani, Cippi a botte nella
basilica di S. Saturnino a Cagliari, «QSACO», 5, 1988, pp.
167-75 (cippi a botte); S. Modugno
Tofini, Osservazioni su alcune iscrizioni edite di Albano,
«Documenta Albana», 11, 1989, pp. 55-61; A. M. Bejarano Osorio, Sepulturas de
incineración en la necrópolis oriental de Mérida: las
variantes de cupae monolíticas, «Anas», 9, 1996, pp.
37-58; I. Baldassarre et al.,
Necropoli di Porto. Isola Sacra, Roma 1996; IRC iv, pp. 26-7 e i pezzi corrispondenti
alla definizione cupa; M. Conceição
Lopes, P. C. Carvalho, S.
M. Gomes, Arqueologia do
Concelho de Serpa, Serpa 1998, s.v. cupa funerária; J. López Vilar, Consideraciones
sobre les cupae i altres estructures funeràries afins, «Butlletí
Arqueólogic», v,
21-22, 1999-2000, pp. 65-103; M. Chelotti,
Regio ii, Apulia et
Calabria, Venusia (Supplementa Italica, 20), Roma 2003, i pezzi
corrispondenti alla definizione arca lucana; H.-G. Pflaum, X. Dupuis, Inscriptions latines de l’Algérie. Inscriptions de la
confédération cirtéenne, de Cuicul et de la tribu des
Suburbures, Paris
2003, alla voce caisson; O. Rodríguez
Gutiérrez, A. Rodríguez Azogue, Nuevos
datos en torno al mundo funerario en la Sevilla romana: la necrópolis de
cremación de la Puerta del Osario, «Romula», 2, 2003,
pp. 161-79.
[3] Lo
attesta non solo l’evidenza archeologica ma anche l’epigrafia, cfr.
a questo proposito l’iscrizione di un esemplare di Cherchel in cui si
legge cupulam superstitem rogi (CIL viii, 9392).
[5] G. Ulbert, Römische Holzfässer aus Regensburg,
«Bayerische Vorgeschichtsblätter», 24, 1959, pp. 6-29; A. Tchernia, Le vin de l’Italie
romaine (BEFAR, 261), Rome 1986, pp. 285-92; A. Desbat, Un bouchon de bois du ier s. aprés J.-C. recueilli dans la Saône
à Lyon et la question du tonneau à l’époque romaine,
«Gallia», 48, 1991, pp. 319-36; G. Baratta, Circa Alpes ligneis vasis condunt circulisque
cingunt, «ArchClass», 46, 1994, pp. 232-60; Id., Le botti: dati e questioni,
in Techniques et économie antique et médiévales. Le temps de
l’innovation, Colloque international, Aix-en-Provence 21-23 Mai 1996,
Paris 1997, pp. 109-12; A. Desbat,
Le tonneau antique: questions techniques et problèmes d’origine,
in Techniques, cit., pp. 113-20; A. Tchernia,
Le tonneau de la bière au vin, in Techniques, cit., pp.
121-9; Id., Le tonneau en
Gaule Romaine, «Gallia», 58, 2001, pp. 181-201; Id., L’outre et le tonneau
dans l’Occident romain, Montagnac 2002; G. Baratta, Ponte itaque cupis facto (Max. 22, 4). I ponti nella Historia Augusta: il caso particolare di
Aquileia, in Historiae Augustae Colloquium
Barcinonense, Bari 2005, pp. 1-12.
[7] Sul
dio vedi più di recente G. Baratta,
Una divinità gallo-romana: Sucellus. Un’ipotesi interpretativa,
«ArchClass», xlv, 1,
1993, pp. 233-47; S. Nemeti, Cultul
lui Sucellus Dis Pater öi al Nantosueltei Proserpina în Dacia
romanà, «Ephemeris Napocensis», viii, 1988, pp. 94-121.
[8] S. Lambrino, Les cultes indigènes en Espagne sous
Trajan et Hadrien, in Les empereurs
romains d’Espagne. Actes du Colloque international CNRS Madrid-Italica
1964, édd. par A. Piganiol,
H. Terrasse, Paris 1965, p.
235.
[10] Berciu,
Wolski, Un
nouveau type de tombe, cit., pp. 950-65. L’ipotesi
di una origine orientale è ripresa successivamente da J. M.
Blázquez e M. Caldera de Castro: vedi J. M. Blázquez, Hispania desde el año 139 al 235,
«Hispania», 132, 1976, pp. 60-1; J. M. Blázquez et al., Historia de España
antigua II: Hispania Romana, Madrid 1978, pp. 478-9 e J. M. Blázquez, Historia
económica de la Hispania Romana, Madrid 1978, pp. 205-6.
[12] G. Fabre, Un affranchi impérial
à Conimbriga: P. Aelius Ianuarius, «REA», lxxv, 1973, pp. 113-4.
[13] J.-N. Bonneville, Les cupae de Barcelone: les origines du type
monumental, «MCV», xvii,
1981, p. 37.14.
[17] Bacchielli, Monumenti
funerari a forma di cupula, cit., p. 306; Lancel,
Tipasitana iv, cit., p.
179.
[19] Bacchielli, Monumenti
funerari a forma di cupula, cit., p. 305 scrive giustamente: «Questo
“sbilanciamento” a livello di documentazione ha portato alla
formulazione di teorie [...] alle quali una “corretta cartina di
distribuzione” può sottrarre più di un elemento».
[20] CIL viii, 7796;
J.-M. Lassère, Recherches
sur la chronologie des épitaphes païens, «AntAfr»,
7, 1973, p. 136.
[21] Circa
le varianti nella denominazione vedi DACL, s.v. Cupella, cupula [H.
Leclerq], vol. iii, 1914, coll. 3190-3191.
[22] Non
deve trattarsi solo di un fatto di peso perché la cupa che va a
chiudere il sepolcro rimane comunque molto pesante.
[24] E. Boisacq, Dictionnaire
étymologique de la langue grecque, ii
éd., Paris 1923, p. 536, s.v. ku@ph e J. B. Hofmann, Etymologisches
Wörterbuch des Griechischen, München 1950, p. 166, s.v. ku@ph.
[25] Cfr. a
solo titolo d’esempio un’iscrizione da Cesarea (CIL viii, 2131) dove compaiono entrambi gli
auguri sit t(ibi) t(erra) levis et molliter ossa quiesc(a)nt.
[26] Bacchielli
sosteneva un valore semantico incentrato su quello di cippo segnacolo, cfr. Bacchielli, Monumenti funerari a
forma di cupula, cit., p. 309.
[27] Contro
l’interpretazione in tal senso delle botti presenti sui sarcofagi
strigilati e sulle lastre di loculo vedi G. Baratta,
La cupa nell’ambito femminile: dalla caupona al loculus?, in F. Cenerini, A. Buonopane (a cura di), Donna e vita cittadina nella
documentazione epigrafica (Verona 25-27 marzo 2004), Faenza 2005, pp.
95-108 e Ead., La mandorla
centrale dei sarcofagi strigilati: un campo iconografico ed i suoi simboli,
in T. Hoelscher (hrsg.), Akten
des Kolloquiums “Bilderwelt-Lebenswelt im antiken Rom und im
Römischen Reich” (dai
Rom 11-12 März), in cds.
[28] Sul
significato e l’uso dell’ascia in ambiente funerario vedi di
recente M. G. Arrigoni Bertini, Il
simbolo dell’ascia nella Cisalpina romana, Faenza 2006.
[29] Oltre
che essere direttamente incise sui lati brevi o su quelli lunghi degli
esemplari monolitici non di rado le iscrizioni delle cupae sono apposte
su supporti epigrafici indipendenti dal monumento, quali steli che si applicano
alla fronte delle cupae in muratura o lastre di marmo. Spesso il loro
rinvenimento non contestuale a quello del monumento ne comporta una erronea
interpretazione.