ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana

 

Giulia Baratta

Università di Macerata

 

Alcune osservazioni sulla genesi e la diffusione delle cupae

 

 

(pubblicato in L’Africa romana. Mobilità delle persone e dei popoli, dinamiche migratorie, emigrazioni ed immigrazioni nelle province occidentali dell’Impero romano. Atti del XVI convegno di studio. Rabat, 15-19 dicembre 2004, a cura di M. Akerraz, P. Ruggeri, A. Siraj, C. Vismara, Roma, Carocci editore, 2006, III, pp. 1669-1681)

 

Con il nome cupa[1] si definisce una particolare categoria di monumenti funerari diffusa nei territori del Mediterraneo occidentale e nell’Europa continentale a partire dal I e soprattutto nel ii e iii secolo d.C. Le cupae compaiono in Africa, in particolare nella Proconsolare, nella Numidia e in Mauretania, nella Penisola Iberica, soprattutto nell’Hispania Citerior, a Barcellona e a Tarragona, nella Betica, nella Meseta centrale in Lusitania, a Merida, intorno a Lisbona e nella parte meridionale della provincia, in Sardegna, ad Ostia, a Roma e nei suoi dintorni e nell’Italia centro-meridionale, in Gallia, Mesia e Dacia[2]. Si tratta di [p. 1670] monumenti funerari caratterizzati da uno zoccolo e da una copertura dalla forma approssimativamente semicilindrica, che sono associati sia a sepolture ad incinerazione che ad inumazione[3] e che possono essere realizzati in muratura o lavorati in un blocco monolitico di pietra; in Lusitania e in Sardegna talvolta riproducono con dovizia di particolari le fattezze di una vera e propria botte .

Sull’origine delle cupae e sulla loro diffusione sono state avanzate numerose ipotesi. Tra le principali va ricordata le proposta fatta a suo tempo da J. Leite de Vasconcelos[4] secondo il quale questa tipologia [p. 1672] monumentale deriverebbe da una più antica usanza di seppellire i defunti, ovvero di deporre le loro ceneri, in botti di legno. L’ipotesi non sembra accettabile perché troppo condizionata da una interpretazione legata ai siti in cui le cupae assumono l’aspetto dei contenitori lignei e perché, di conseguenza, risulta difficilmente applicabile per regioni, come ad esempio quelle africane, in cui tra il i e il iii secolo l’uso e la produzione delle botti doveva essere, almeno stando ai dati di cui si

dispone, un fatto del tutto marginale[5].

[p. 1673] W. Deonna[6] riconducendo tutte le cupae all’idea della botte vede in queste sepolture una forma di culto reso al dio Sucellus[7] che annovera tra i suoi attributi appunto uno di questi contenitori. A prescindere dal fatto che Sucellus associato alla cupa è diffuso esclusivamente in Gallia e Germania, Deonna non tiene in considerazione la categoria monumentale delle cupae nel suo insieme, ma cerca di dare una spiegazione solo per quei tipi che ripropongono fedelmente le fattezze di una botte.

Ancora più difficilmente sostenibile appare la teoria di S. Lambrino[8] che, riprendendo quella di Deonna e cosciente della diversa diffusione tra le cupae e il culto reso a Sucellus, soprattutto quando tra i suoi attributi appare la botte, propone un legame tra questa forma monumentale e il culto tributato a Endovellicus una delle divinità più diffuse in Lusitana e in Betica meridionali.

D. Julia[9], non dando spiegazioni sull’origine del tipo monumentale e limitando la sua analisi ai soli pezzi presenti in Hispania, sostiene una sua derivazione dall’Africa, dove apparirebbe in una fase cronologica anteriore rispetto alla Penisola Iberica. L’origine africana sarebbe inoltre avvalorata dal fatto che molti monumenti dell’Hispania Citerior sono corredati da condotti per libagioni presenti anche negli esemplari africani; che, in taluni casi, l’epigrafia rivela nomi di origine africana e che nella Penisola Iberica le cupae ricorrono frequentemente in zone costiere dove spesso sono attestati contatti con le province [p. 1674] della opposta sponda mediterranea. Se questo è vero in particolare per l’Hispania Citerior la tesi non risulta però sostenibile per altre zone di diffusione di questa tipologia monumentale, in specie per quelle continentali e per l’Italia meridionale, cui, come già detto, Julia non fa riferimento.

I. Berciu e W. Wolski[10] dal canto loro cercano di trovare una spiegazione che tenga conto della tipologia monumentale nel suo insieme e sostengono, anche sulla base dei dati ricavabili dell’epigrafia associata alle cupae, una derivazione da modelli orientali, in particolare da un tipo di sarcofago diffuso in Licia che presenta una copertura arcuata. La proposta presenta soprattutto una difficoltà, ovvero voler accostare i sarcofagi alle cupae: queste ultime, infatti, sono concettualmente differenti poiché, come giustamente scrive L. Bacchielli, la cupa «non è in alcun modo un contenitore dei resti del defunto ma soltanto elemento di protezione di essi...»[11].

Qualche anno dopo G. Fabre[12], pur non tenendo conto di tutto il materiale presente in Italia, ma incentrando la sua attenzione su quello ostiense, avanza l’ipotesi di un influsso italico nella genesi e nell’evoluzione di questa tipologia monumentale, senza escludere del tutto un apporto dall’Africa che sarebbe però limitato alla Penisola Iberica.

J.-N. Bonneville[13], cui si deve un ottimo lavoro su questo materiale, rimasto però purtroppo senza gli auspicabili sviluppi per la prematura morte dello studioso, riafferma l’influsso di una corrente greco-orientale nella genesi ed evoluzione delle cupae. Al contempo però non scarta l’ipotesi dell’esistenza di un polo di diffusione di questi monumenti, che ritiene essere Ostia, e la presenza di influssi africani soprattutto per quanto riguarda il materiale dell’Hispania Citerior.

Una teoria molto attendibile, che tiene conto della tipologia monumentale nella sua totalità, è quella avanzata da L. Bacchielli[14] proprio in un suo contributo nell’ambito del convegno dell’Africa romana tenutosi [p. 1675] nel 1985 in cui esprime dei dubbi circa la derivazione africana di questa classe monumentale, sottolineando, giustamente, che non tutte le zone in cui si rinvengono le cupae sono aperte ad influssi provenienti da queste province. Bacchielli pone l’accento sulla natura, ovvero sui caratteri funzionali oltre che formali delle cupae e propone per questa tipologia monumentale una derivazione dalle tombe “a tumulo” caratterizzate da una copertura fatta con un accumulo di terra e dotate spesso di una stele posta ad una delle estremità. L’ipotesi sarebbe ampiamente avvalorata dalle testimonianze epigrafiche: infatti quasi a mantenere viva la loro origine alcune cupae, sia in muratura che monolitiche, sono dette [p. 1676] tumuli, come è il caso di un esemplare di Tipasa[15] e di diverse cupae sarde[16]. Bacchielli aggiunge che pur non essendo possibile accertare l’anteriorità della forma costruita su quella monolitica, questa sembra altamente probabile da un punto di vista dell’evoluzione tipologica. Il retaggio delle cupae in muratura e della loro origine sarebbe infatti evidente nel caso di un pezzo monolitico di Tipasa[17] che a differenza di tutti gli esemplari litici, è ricoperto di intonaco come quelli costruiti. Seppure va detto che la parola tumulus nell’epigrafia funeraria non deve indicare necessariamente la categoria di sepolture che noi definiamo “a tumulo”, ma può riferirsi anche al sepolcro in genere e addirittura al solo epitaffio[18], l’origine da una sepoltura interrata coperta da una montagnola di terra è ipotesi assai plausibile.

Come già accennato nel lavoro di Bonneville e fermamente sostenuto in quello di Bacchielli lo studio di questa classe di materiale e soprattutto delle problematiche legate alla sua genesi non può prescindere da una analisi globale delle cupae nel loro insieme tenendo conto di tutti i luoghi in cui esse sono attestate[19]. Troppo spesso, infatti, l’attenzione è stata posta su singoli gruppi e varianti locali legate a determinate botteghe e mode che comportano senza dubbio differenze nella forma e più ancora nella decorazione e negli apparati epigrafici dei monumenti, elementi nei quali possono riflettersi influssi di altre zone dell’impero, ma in cui non necessariamente va cercata l’origine di questa tipologia monumentale.

Va detto, inoltre, che per un corretto studio delle cupae è altrettanto fondamentale stabilire una buona definizione della loro cronologia. A questa, infatti, come abbiamo visto, è legata anche parte delle teorie sulla loro origine e sulla loro diffusione. Negli studi anteriori si è proposta una cronologia alta, addirittura al i secolo a.C., per alcuni esemplari africani, basata in particolare sulla datazione, effettuata su base epigrafica, di una cupa di Cirta attribuita alla fine dell’età repubblicana[20]. Questa tesi si è consolidata, è stata accolta e ripresa ed ha [p. 1677] condizionato molti degli studi successivi dedicati a questa tipologia monumentale. In effetti l’assoluta anteriorità cronologica del materiale africano è dubbia e soprattutto non appare certa la datazione dei pezzi più antichi che sembrano posteriori alla data proposta.

Il lavoro che sto conducendo sulle cupae, tenendo presenti i due summenzionati punti, ha permesso di individuare e definire i comuni denominatori di questa classe di materiale.

Le cupae rivelano un’ampia diffusione che va dalla Mesia alla Lusitania abbracciando anche l’Africa. La distribuzione di questi monumenti sul territorio non è però omogenea, ma presenta nelle singole province zone di forte concentrazione che sono da ricollegarsi sicuramente alle modalità, vie e fattori, di diffusione.

Per quanto concerne la cronologia il loro sviluppo può essere fissato nel I secolo ma il periodo di maggiore attestazione nelle diverse zone dell’impero è certo il ii e iii secolo d.C.

L’analisi del corredo epigrafico rivela che questo tipo di sepoltura, soprattutto al di fuori dell’Africa, è da ricondurre ad una precisa classe sociale, un ceto medio composto per lo più da categorie servili, schiavi e liberti, militari e loro familiari e che ricorre per lo più in ambito profano e pagano sebbene non manchino attestazioni in ambienti cristiani. Non è escluso che la diffusione e la circolazione del monumento funerario vada ricollegata in buona parte agli spostamenti e alle attività di questi ultimi.

Le cupae non costituiscono in genere una sepoltura isolata ma formano parte di veri e propri cimiteri o vie sepolcrali, come è ben evidente, ad esempio, nel caso di Albano, presso Roma, e di Barcellona nella Hispania Citerior e in molti altri posti ancora, dove accanto ai monumenti in muratura possono convivere anche gli esemplari monolitici. Il fatto che, indipendentemente dagli aspetti strutturali, da un punto di vista non solo formale ma anche concettuale si tratti del medesimo tipo di sepoltura, appare evidente da alcune iscrizioni presenti sui monumenti stessi. Sia quelli in muratura, infatti, che quelli monolitici vengono indistintamente definiti con il termine di cupa o con le varianti cupula e cupella[21]. Solo per citarne alcuni esempi, va ricordato il caso di una iscrizione di Roma in cui si fa menzione della costruzione di una cupa in muratura D(is) M(anibus) / Olus Publicius Polyti/mus tutor Titi Flavi A/gathangeli pupilli sui matri / Sexctae Fortunatae defu/nctae locum emit mas[sam] / calcavit cupam edificavit de [p. 1678] [bon]/is eius omnibus consummat(is) X CC[XXV cur(avit)] / fac(iendum) (CIL VI, 25144) e un’altra testimonianza epigrafica urbana in cui si fa riferimento ad una cupula structile (CIL VI, 13236); d’altro canto una cupa monolitica di Barcellona reca l’iscrizione: D(is) [M](anibus) / Valerio Melippo / Caelia Quar/tula fecit pat/ri cupa(m) bene / mer(enti) et Caelia / Saturnina / uxor m(arito) o(ptimo) (IRC IV, 290).

Va sottolineato che la cupa, in tutte le varianti costruttive e tipologiche in cui appare, mantiene costante la sua funzione che non è quella di contenere bensì di proteggere l’ambito della sepoltura ed i resti che vi sono deposti. La sua forma arcuata e la sua cavità interna, spesso anche essa arcuata, creano uno spazio vuoto intorno al defunto che non solo lo salvaguarda ma che si sostituisce alla terra che altrimenti incomberebbe su di esso con tutto il suo peso. Si tratta dunque di una scelta formale voluta tanto che sia negli esemplari in muratura che in quelli litici oltre a mantenere la forma esterna si riproduce talvolta anche la cavità interna[22]. In questa ottica appare assai convincente la tesi di Bacchielli secondo la quale esiste una evoluzione tumulo di terra – cupa in muratura – cupa monolitica, una successione che non è puramente cronologica ma soprattutto tipologica[23].

La scelta di una sepoltura “in cupa” sembra essere frutto di precise valutazioni. Alcune sono probabilmente di tipo economico, ma appare molto probabile che optando per questo genere di monumento si voglia manifestare l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale e/o rientrare in una ben precisa area sepolcrale; è possibile, inoltre, che tramite la cupa si voglia esternare l’adesione ad una certa “ideologia funeraria” o esprimere un messaggio o un augurio riguardo alla vita dell’oltretomba implicito nella forma stessa del monumento. Per questo può essere indicativa l’etimologia della parola cupa, con cui già in antico la classe monumentale viene indicata. Cupa infatti deriva dalla parola greca ku@ph  che ha il significato di arcuato “Höle” “gewölbt”, “fossa”, “caverna” con la quale, non a caso, si designa anche una capanna di paglia o frasche e un tipo di nave[24]. Cupa pertanto non è solo qualche cosa di tondo ed arcuato, ma è uno spazio ben delimitato e nettamente separato dal mondo circostante che costituisce un ambiente protetto e sicuro come può esserlo una casa, una grotta o lo scafo di [p. 1680] una nave per chi deve affrontare le acque. Questo accade anche con le cupae -monumento funerario che, come già sottolineato, sia nel caso di quelle costruite che nel caso degli esemplari monolitici, non hanno la funzione di contenere i resti del defunto bensì quella di proteggerli, creando uno spazio vuoto intorno alla deposizione. La cupa sembra incarnare e voler garantire quel concetto del sit tibi terra levis, o una analoga preoccupazione per la salvaguardia dei resti del defunto come ad esempio molliter ossa quiescant[25], che tante volte ricorre negli epitaffi romani. La formula è presente anche su numerose cupae probabilmente per rafforzare e sottolineare una ideologia funeraria comunque già espressa con la scelta tipologica del monumento. In tal senso non è più importante che la cupa mantenga sempre le dimensioni reali del sepolcro poiché quello che conta è la sua forma, il valore simbolico che ad essa è legato e dunque il messaggio che vuole trasmettere[26].

Per quanto concerne il caso particolare della Lusitania e della Sardegna, in cui le cupae assumono l’aspetto di vere e proprie botti rese con dovizia di particolari, non si deve pensare che questi monumenti differiscano nel loro valore dagli altri né vedere in essi retaggi di culti dionisiaci o monumenti funerari di bottai o commercianti di vino[27]. [p. 1681] Credo piuttosto che si tratti di un adeguamento del monumento al termine con cui lo si designa: una sorta di interpretatio del semicilindro cui viene conferita una forma per certi versi più concreta, più quotidiana, più comprensibile perché legata ad un oggetto ben definito, noto e tangibile. Si tratta certo di un fenomeno del tutto locale e probabilmente, data l’ampia diffusione delle botti e l’omonimia tra monumento sepolcrale e contenitore, abbastanza intuitivo e semplice tanto da non far supporre necessariamente una interdipendenza tra il caso lusitano e quello sardo.

Il presente contributo non vuole e non può essere altro che una breve presentazione delle principali questioni legate a questa classe monumentale, cui sto dedicando un più ampio lavoro a carattere monografico. Non è questa la sede per discutere le molte varianti tipologiche delle cupae che riguardano la loro struttura, la forma esterna, l’apparato iconografico scolpito o dipinto, la complessa questione dei simboli tra i quali, ad esempio, l’ascia[28], oltre che la natura e la posizione del corredo epigrafico[29]. È sembrato più opportuno dedicare lo spazio a disposizione per accennare brevemente alle problematiche generali di questo materiale, quali la sua distribuzione e l’uso, il significato e il valore simbolico. Per quanto concerne i primi due punti si è potuta constatare una maggiore diffusione sul territorio rispetto a quanto supposto in passato ed una utilizzazione in un ambito sociale sinora poco considerato che è quello dei militari, mentre, per quanto riguarda gli ultimi due, è stato possibile avanzare delle ipotesi sul simbolismo del monumento.

 

 



 

[1] Sull’uso di questo termine e sulla sua evoluzione cfr. A. Di Vita, Una nuova testimonianza di latino “volgare” della Sicilia sud-orientale: l’epitaffio di Zoe, «Kokalos», vii, 1961, pp. 207-9. Cfr. anche J. Schmidt, Zur lateinischen Epigraphik. Cupula, «Philologus», 46, 1888, pp. 163-7. Sul termine cupa in generale cfr. infra, nota 21. Nella letteratura moderna questo tipo di monumento sepolcrale è variamente definito, cfr. infra, nota 2.  

 

[2] Tra i lavori dedicati a questi monumenti sepolcrali vedi ad esempio: i pezzi raccolti nei diversi volumi del CIL, in particolare ii, viii e xiii; St. Gsell, Inscriptions inédites de l’Algerie, «BCTH», 1896, pp. 156-220; J. Leite de Vasconcelos, Religiões de Lusitania, iii, Lisboa 1913, rist. anastatica Lisboa 1989, pp. 401-6 (“bahus” o cupae); i numerosi volumi di E. Espérandieu, Recueil général des bas-reliefs, statues et bustes de la Gaule romaine, editi a Paris a partire dal 1916, in particolare alla definizione “bloc de forme arrondie”; R. Cagnat, A. Merlin, L. Chatelain, Inscriptions latines d’Afrique, Paris 1923; A. Merlin, Inscriptions latines de Tunisie, Paris 1944; St. Gsell, H.-G. Pflaum, Inscriptions latines de l’Algérie, ii. Inscriptions de la confédération cirtéenne, de Cuicul et de la tribu Suburbures, 2 voll., Paris 1957 alla voce caisson; D. Julia, Les monuments funéraires en forme de demicylindre dans la province romaine de Tarragonaise, «MCV», i, 1962, pp. 29-54; G. Lugli, La legione ii partica e il suo sepolcreto nell’agro albano, in Gli archeologi italiani in onore di Amedeo Maiuri, Cava dei Tirreni 1965, pp. 221-42; I. Berciu, W. Wolski, Un nouveau type de tombe mise au jour à Apulum et le problème des sarcophages à voûte de l’Empire romain, «Latomus», 29, 1970, pp. 919-65 (sarcophages a voûte); S. Lancel, Tipasitana iv. La nécropole romaine occidentale de la porte de Césarée: Rapport préliminaire, «BAA», iv, 1970, pp. 149-266; M. Bouchenaki, Fouilles de la nécropole occidentale de Tipasa (Matarès) 1968-1972, Alger 1975; S. Modugno, Nuove iscrizioni dal sepolcro della legione ii partica, «Documenta Albana», iii, 1975, pp. 83-9; E. Tortorici, Castra Albana. Forma Italiae, Regio i, Roma 1975, pp. 135-57 (coperchio dalla forma a baule); M Bendala Galàn, Las necrópolis de Mérida, in Augusta Emerita. Actas del simposio internacional commemorativo del bimilenario de Merida 16-20 de Noviembre de 1975, Madrid 1976, pp. 149-53; M. D. P. Caldera de Castro, Una sepultura de cupa hallada en Mérida (Consideraciones acerca de estos monumentos funerarios), «Habis», 9, 1978, pp. 455-63; P.-A. Février, R. Guéry, Les rites funéraires de la nécropole orientale de Sétif, «AntAfr», 15, 1980, pp. 91-124; J.-N. Bonneville, Les cupae de Barcelone: les origines du type monumental, «MCV», xvii, 1981, pp. 5-38; M. Khanoussi, Nouvelles sépultures d’époque romaine, in A. Beschaouch et al., Recherches archéologiques franco-tunisiennes à Bulla-Regia, i (Coll. EFR, 28/I), Rome 1983, pp. 93-106 dove sono detti “tombe à cupule”; A. Balil, Las cupae de Barcino. Contribución al estudio de un tipo de monumento funerario romano, in «Arqueologia e Historia», i-ii, 1984-88, pp. 111-5; Z. Benzina Ben Abdallah, Catalogue des inscriptions latines païennes du Musée du Bardo (Coll. EFR, 92), Rome 1986 alla voce caisson; J. d’Encarnaçaõ, Inscrições romanas do conventus Pacensis. Subsidio para o estudo da romanização, Coimbra 1984 alla voce cupa; L. Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula: origine e diffusione in Italia meridionale, in L’Africa romana iii, pp. 303-19; G. Stefani, I cippi a botte della Provincia Sardinia, «NBAS», 3, 1986, pp. 115-60; S. Modugno Tofini, Le iscrizioni conservate nel parco archeologico del Museo Civico di Albano, «Documenta Albana», 9, 1987, pp. 51-64 (coperchio di sarcofago); Id., Le iscrizioni di Villa Stozzi Albani Sita, «Documenta Albana», 10, 1988, pp. 17-27; G. Stefani, Cippi a botte nella basilica di S. Saturnino a Cagliari, «QSACO», 5, 1988, pp. 167-75 (cippi a botte); S. Modugno Tofini, Osservazioni su alcune iscrizioni edite di Albano, «Documenta Albana», 11, 1989, pp. 55-61; A. M. Bejarano Osorio, Sepulturas de incineración en la necrópolis oriental de Mérida: las variantes de cupae monolíticas, «Anas», 9, 1996, pp. 37-58; I. Baldassarre et al., Necropoli di Porto. Isola Sacra, Roma 1996; IRC iv, pp. 26-7 e i pezzi corrispondenti alla definizione cupa; M. Conceição Lopes, P. C. Carvalho, S. M. Gomes, Arqueologia do Concelho de Serpa, Serpa 1998, s.v. cupa funerária; J. López Vilar, Consideraciones sobre les cupae i altres estructures funeràries afins, «Butlletí Arqueólogic», v, 21-22, 1999-2000, pp. 65-103; M. Chelotti, Regio ii, Apulia et Calabria, Venusia (Supplementa Italica, 20), Roma 2003, i pezzi corrispondenti alla definizione arca lucana; H.-G. Pflaum, X. Dupuis, Inscriptions latines de l’Algérie. Inscriptions de la confédération cirtéenne, de Cuicul et de la tribu des Suburbures, Paris 2003, alla voce caisson; O. Rodríguez Gutiérrez, A. Rodríguez Azogue, Nuevos datos en torno al mundo funerario en la Sevilla romana: la necrópolis de cremación de la Puerta del Osario, «Romula», 2, 2003, pp. 161-79.

 

[3] Lo attesta non solo l’evidenza archeologica ma anche l’epigrafia, cfr. a questo proposito l’iscrizione di un esemplare di Cherchel in cui si legge cupulam superstitem rogi (CIL viii, 9392).

 

[4] Leite de Vasconcelos, Religiões, cit., pp. 401-6.

 

[5] G. Ulbert, Römische Holzfässer aus Regensburg, «Bayerische Vorgeschichtsblätter», 24, 1959, pp. 6-29; A. Tchernia, Le vin de l’Italie romaine (BEFAR, 261), Rome 1986, pp. 285-92; A. Desbat, Un bouchon de bois du ier s. aprés J.-C. recueilli dans la Saône à Lyon et la question du tonneau à l’époque romaine, «Gallia», 48, 1991, pp. 319-36; G. Baratta, Circa Alpes ligneis vasis condunt circulisque cingunt, «ArchClass», 46, 1994, pp. 232-60; Id., Le botti: dati e questioni, in Techniques et économie antique et médiévales. Le temps de l’innovation, Colloque international, Aix-en-Provence 21-23 Mai 1996, Paris 1997, pp. 109-12; A. Desbat, Le tonneau antique: questions techniques et problèmes d’origine, in Techniques, cit., pp. 113-20; A. Tchernia, Le tonneau de la bière au vin, in Techniques, cit., pp. 121-9; Id., Le tonneau en Gaule Romaine, «Gallia», 58, 2001, pp. 181-201; Id., L’outre et le tonneau dans l’Occident romain, Montagnac 2002; G. Baratta, Ponte itaque cupis facto (Max. 22, 4). I ponti nella Historia Augusta: il caso particolare di Aquileia, in Historiae Augustae Colloquium Barcinonense, Bari 2005, pp. 1-12.

 

[6] W. Deonna, Quand dieu roule ses tonneaux, «Genava», xxiv, 1946, p. 120.

 

[7] Sul dio vedi più di recente G. Baratta, Una divinità gallo-romana: Sucellus. Un’ipotesi interpretativa, «ArchClass», xlv, 1, 1993, pp. 233-47; S. Nemeti, Cultul lui Sucellus Dis Pater öi al Nantosueltei Proserpina în Dacia romanà, «Ephemeris Napocensis», viii, 1988, pp. 94-121.

 

[8] S. Lambrino, Les cultes indigènes en Espagne sous Trajan et Hadrien, in Les empereurs romains d’Espagne. Actes du Colloque international CNRS Madrid-Italica 1964, édd. par A. Piganiol, H. Terrasse,  Paris 1965, p. 235.

 

[9] Julia, Les monuments funéraires en forme de demi-cylindre, cit., pp. 51-4.

 

[10] Berciu, Wolski, Un nouveau type de tombe, cit., pp. 950-65. L’ipotesi di una origine orientale è ripresa successivamente da J. M. Blázquez e M. Caldera de Castro: vedi J. M. Blázquez, Hispania desde el año 139 al 235, «Hispania», 132, 1976, pp. 60-1; J. M. Blázquez et al., Historia de España antigua II: Hispania Romana, Madrid 1978, pp. 478-9 e J. M. Blázquez, Historia económica de la Hispania Romana, Madrid 1978, pp. 205-6.

 

[11] Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula, cit., p. 307.

 

[12] G. Fabre, Un affranchi impérial à Conimbriga: P. Aelius Ianuarius, «REA», lxxv, 1973, pp. 113-4.

 

[13] J.-N. Bonneville, Les cupae de Barcelone: les origines du type monumental, «MCV», xvii, 1981, p. 37.14.

 

[14] Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula, cit., pp. 303-19.

 

[15] Bouchenaki, Fouilles de la nécropole, cit., p. 158. 18.

 

[16] CIL x, 7816; 7833; 7840; 7843; 7868.

 

[17] Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula, cit., p. 306; Lancel, Tipasitana iv, cit., p. 179.

 

[18] Cfr. per esempio DACL, s.v. Tumulus [H. Leclercq], vol. vi, 1953, col. 2820.

 

[19] Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula, cit., p. 305 scrive giustamente: «Questo “sbilanciamento” a livello di documentazione ha portato alla formulazione di teorie [...] alle quali una “corretta cartina di distribuzione” può sottrarre più di un elemento».

 

[20] CIL viii, 7796; J.-M. Lassère, Recherches sur la chronologie des épitaphes païens, «AntAfr», 7, 1973, p. 136.

 

[21] Circa le varianti nella denominazione vedi DACL, s.v. Cupella, cupula [H. Leclerq], vol. iii, 1914, coll. 3190-3191.

 

[22] Non deve trattarsi solo di un fatto di peso perché la cupa che va a chiudere il sepolcro rimane comunque molto pesante.

 

[23] Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula, cit., pp. 307-9.

 

[24] E. Boisacq, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, ii éd., Paris 1923, p. 536, s.v. ku@ph e J. B. Hofmann, Etymologisches Wörterbuch des Griechischen, München 1950, p. 166, s.v. ku@ph.

 

[25] Cfr. a solo titolo d’esempio un’iscrizione da Cesarea (CIL viii, 2131) dove compaiono entrambi gli auguri sit t(ibi) t(erra) levis et molliter ossa quiesc(a)nt.  

 

[26] Bacchielli sosteneva un valore semantico incentrato su quello di cippo segnacolo, cfr. Bacchielli, Monumenti funerari a forma di cupula, cit., p. 309.

 

[27] Contro l’interpretazione in tal senso delle botti presenti sui sarcofagi strigilati e sulle lastre di loculo vedi G. Baratta, La cupa nell’ambito femminile: dalla caupona al loculus?, in F. Cenerini, A. Buonopane (a cura di), Donna e vita cittadina nella documentazione epigrafica (Verona 25-27 marzo 2004), Faenza 2005, pp. 95-108 e Ead., La mandorla centrale dei sarcofagi strigilati: un campo iconografico ed i suoi simboli, in T. Hoelscher (hrsg.), Akten des Kolloquiums “Bilderwelt-Lebenswelt im antiken Rom und im Römischen Reich” (dai Rom 11-12 März), in cds.

 

[28] Sul significato e l’uso dell’ascia in ambiente funerario vedi di recente M. G. Arrigoni Bertini, Il simbolo dell’ascia nella Cisalpina romana, Faenza 2006.

 

[29] Oltre che essere direttamente incise sui lati brevi o su quelli lunghi degli esemplari monolitici non di rado le iscrizioni delle cupae sono apposte su supporti epigrafici indipendenti dal monumento, quali steli che si applicano alla fronte delle cupae in muratura o lastre di marmo. Spesso il loro rinvenimento non contestuale a quello del monumento ne comporta una erronea interpretazione.