ds_gen N. 8 – 2009 – Contributi

 

tafaro-piccola.pngl’avvocato del popolo albanese.

le radici. proposte

 

Sebastiano Tafaro

Università di Bari

 

 

Sommario: 1. Gli Ombudsman. – 2. Le radici. – 3. Tribuni plebis. – 4. Defensores civitatum. – 5. Considerazioni finali.

 

 

1. – Gli Ombudsman

 

L’enorme e crescente fortuna delle varie figure di Ombudsman[1], le quali stanno sorgendo e si stanno diffondendo in quasi tutto il mondo in maniera rapida ed anche con caratteristiche fondamentali spesso mutuate tra loro[2], spinge operatori e studiosi ad interrogarsi sulle radici degli istituti e delle configurazioni da loro assunte[3]. Tanto più che in molti casi essi stanno andando ben oltre l’originaria veste di controllori, in nome e/o per conto del Parlamento, sugli atti dell’Esecutivo per assumere il ruolo, ben più incisivo, di difensori dei diritti dei cittadini e soprattutto di salvaguardia dei diritti fondamentali. In tal modo le figure che vengono delineate sembrano inserirsi all’interno del solco tracciato dal diritto romano (attraverso il Tribunato della plebe) della difesa efficace del popolo e della sovranità che gli appartiene, oggi più che mai di reiterata attualità.

È per questo che il termine svedese Ombudsman, il quale ha assunto un significato ampio e generale ed è diventato l’indicatore per antonomasia delle esigenze di difesa dei cittadini, ha conosciuto e conosce varianti significative.

Così mentre il termine scandinavo Ombudsman (l’uomo che fa da tramite) rinviava alla mediazione (tra Sovrano e Parlamento), in Inghilterra e nel mondo anglosassone si preferì parlare di Commissioner parliamentary per accentuare il fatto che si trattava di una istituzione fiduciaria del Parlamento. La Francia ha scelto il termine Médiateur, attraverso il quale si è voluto indicare che esso è un organo della Pubblica Amministrazione e che, pertanto, interviene per il più corretto svolgimento di essa. Anche di Mediatore si è parlato all’interno della Comunità europea[4], dove l’istituto si connota in modo del tutto particolare perché non ha un Parlamento con il quale rapportarsi.

Nei Paesi dell’America latina e dell’Est europeo (post-comunista), spesso usciti da dittature oppressive, si suole far menzione diretta già nel nome al rapporto che si deve instaurare tra l’istituzione ed il popolo: perciò si parla di Defensor del pueblo o di Avvocato del popolo.

In Polonia si è parlato di difensore dei diritti civili, mentre in Italia, dove manca un’istituzione nazionale[5] e vi sono diversi difensori civici locali o mediatori in materie specifiche (mediatore bancario, mediatore dei minori etc.), spesso la figura concorre con altre istituzioni ed in particolare con i Garanti (le Authority) sorti in diversi settori (ad es., nel campo dell’editoria, nel campo della concorrenza e del mercato, nel campo finanziario, nel campo della riservatezza personale, nel campo dei lavori pubblici) con inarrestabile propensione a moltiplicarsi[6].

Sempre (specialmente nelle terminologie che direttamente o indirettamente fanno riferimento ad un legame tra l’Ombudsman ed il popolo) si avverte il desiderio di un organo che dia voce ai cittadini e ne raccolga le lamentele e le aspirazioni: le quali sono particolarmente accentuate quando si verta intorno alla tutela dei diritti dell’uomo [7].

Proprio riguardo al potere di difesa dei singoli si sta affacciando un’esigenza nuova legata alla prepotente emersione dei diritti dell’uomo. Questi diritti, di là dal loro contenuto e dalla loro portata che talora hanno contorni non del tutto definiti[8], sollevano la questione di chi debba proteggerli, soprattutto quando a violarli sia proprio lo Stato. La soluzione finora adottata (anche in tempi recenti) è stata quella di affidare la protezione ad istanze sopranazionali (speciali[9] o generali[10]) presso le quali gli Ombudsman attualmente non hanno legittimazione diretta[11]. Di conseguenza, di fronte ai soprusi ed alle violazioni, il ruolo dell’Ombudsman è tutto da precisare, poiché egli non ha legittimazione sovranazionale e, per lo più, deve limitarsi ad elevare una protesta, nel proprio Paese, la quale non ha nessuna certezza di essere accolta.

Mi sembra che il punto evidenzi una caratteristica costante dell’Ombudsman, il quale si propone come organo di vigilanza e denuncia, ma senza la certezza di potere ottenere la soluzione delle situazioni e delle storture rese note.

In questa sede non mi posso soffermare sulle considerazioni vaste e profonde che la materia richiede. Mi limiterò ad una riflessione comparativa tra siffatte istituzioni moderne, condotta alla luce del diritto e dell’esperienza romana. Per mia scelta (probabilmente arbitraria, come ogni scelta soggettiva) e per esigenza di semplificazione, mi riferirò alle varie figure oggi esistenti utilizzando i termini Ombudsman e defensores.

 

 

2. – Le radici

 

Da più parti sia la dottrina sia gli operatori del diritto si chiedono quale sia la fonte prima a base dell’istituzione di organi di controllo dell’esercizio del potere, diretti a prevenire e/o reprimere ogni abuso ai danni del cittadino.

Al riguardo è usuale ed appare spontaneo il confronto ed il richiamo al Tribunato della plebe ed alle più tarde figure di difensores civitatum (e/o locorum).

Vi è, infatti, la tendenza a giustificare ed in qualche misura a nobilitare le moderne istituzioni con i richiami all’antico Tribunato, il cui fascino si può dire che non si sia mai sopito nello sviluppo della civiltà giuridica europea e delle Americhe[12].

Si può dire che il ricordo del Tribunato con la sua indipendenza e capacità di contrapposizione alle magistrature della civitas attrae e resta un ideale per la difesa del popolo e, quindi, per la completezza della democrazia.

Quanto poi esso sia riflesso dalle attuali figure di Ombudsman è tutto da verificare.

Mi pare che, malgrado i tentativi di risalire al Tribunato, gli Ombudsman abbiano natura e funzioni del tutto differenti rispetto ad esso.

In primo luogo è da evidenziare la difformità fondamentale tra le funzioni degli Ombudsman e quelle dei Tribuni plebis.

I primi hanno quasi costantemente lo scopo di perseguire l’eser­cizio corretto del potere, proponendosi come organi di controllo dell’operato soprattutto dell’esecutivo e senza possibilità di interferire né con il potere legislativo né con il potere giudiziario.

Questo deriva dal fatto che gli Ombudsman si confrontano con la concezione liberal-democratica dello Stato, basata sul principio della divisione dei poteri, e realizzano un momento di presa di coscienza del fallimento di quel principio[13].

Sta di fatto che gli Ombudsman, i quali spesso hanno essenzialmente compiti di denuncia e di messa in mora, normalmente non hanno il potere di imporre le proprie decisioni, ma solo la possibilità di persuadere dell’opportunità di rispettarle; di conseguenza, essi intervengono per chiedere che determinati atti siano compiuti ovvero che essi siano conformi alla legge ed ai criteri di buona amministrazione.

Gli Ombudsman nascono e si profilano come la risposta alla necessità di assicurare ai singoli una salvaguardia penetrante nei confronti degli atti delle Pubbliche Amministrazioni. Questo, per il mondo anglosassone, è riflesso persino dal nome che è quello di Parliamentary Commissioner for Administration[14].

Gli studiosi ritengono di cogliere le competenze e le caratteristiche principali degli Ombudsman proprio nella comune proiezione verso il controllo degli atti. È convinzione corrente che gli Ombudsman tendano a contenere l’eccessivo ampliamento dei poteri e dell’attività dello Stato e della pubblica amministrazione e che essi, pur nella diversità assunta dalle numerose figure di Ombudsman, abbiano caratteristiche comuni, più o meno accentuate o diversificate da Paese a Paese[15].

In questo vedo già la prima diversità rispetto ai Tribuni plebis. Infatti gli Ombudsman intervengono per far sì che il comportamento dell’esecutivo e dei suoi organi sia conforme alla legge ed ai criteri di buona amministrazione. Inoltre possono chiedere che un atto necessario per il singolo cittadino sia compiuto.

Nessuna interferenza hanno nei confronti della legge e del Parlamento, del quale nel modello svedese, anglosassone e latino-americano, sono espressione[16]. Questo si riflette nelle modalità di nomina degli Ombudsman, che salvo qualche eccezione (delle quali la più significativa, come si è detto, è quella francese) sono di nomina parlamentare[17]; inoltre essi riferiscono al Parlamento con un Rapporto annuale. Risulta perciò evidente che gli Ombudsman sono concettualmente subordinati al Parlamento, del quale rafforzano i poteri di controllo ed indirizzo.

Un altro punto, quasi generale, è la costante negazione di qualsiasi forma di controllo degli Ombudsman sull’esercizio della giurisdizione. In conformità al principio di indipendenza dei giudici gli Ombudsman non possono interferire in nessun modo sul processo di emanazione e sul contenuto delle sentenze. In alcuni casi al massimo essi possono in­tervenire riguardo alla organizzazione della Giustizia, ma mai nel merito e riguardo alla correttezza delle sentenze. Per esse sono previsti sistemi di controllo affidati ai vari gradi di giudizio o a provvedimenti speciali (appello, ricorso per Cassazione, revisione) oppure alle Corti Costituzionali o alla Corte Suprema. Perciò si ritiene quasi ovunque che le sentenze restino fuori da altre forme di controllo, come possono essere gli interventi degli Ombudsman[18].

Questo da un lato è giustificato dall’esigenza di assicurare l’autonomia di giudizio e l’indipendenza assoluta dei giudici, dall’altro crea disagio, quanto meno per due motivi:

 

perché i procedimenti di riesame processuale (costituito dai sistemi di impugnazione delle sentenze) sono normalmente costosi e lunghi e non sono in grado di assicurare l’accesso alla Giustizia ai meno abbienti ed in tempo congruo rispetto alle esigenze di chi si ritiene danneggiato da un sentenza ingiusta;

perché in molti Paesi uno dei problemi più scottanti riguardo ai quali i cittadini invocano tutela è costituito dalla estensione della corruzione dei giudici[19], la quale può essere combattuta con strumenti che necessariamente devono essere diversi dalle normali vie di emanazione delle sentenze.

 

Per questi motivi l’azione degli Ombudsman oggi appare impotente in molti casi nei quali le persone vorrebbero protezione.

 

 

3. – I Tribuni plebis

 

Ben diversi erano la configurazione ed i poteri dei Tribuni della plebe nell’esperienza della respublica romana.

Essi erano espressione diretta della plebe ed il proprio ruolo non era in nessun modo collegato o dipendente dagli organi (consoli ed altri magistrati, Senato, Comizio) della civitas. Perciò la loro autonomia era totale e si manifestava nel concorso all’esercizio del potere[20]. Essi cioè partecipavano all’esercizio dei poteri in una maniera del tutto particolare con la quale garantivano l’equilibrio all’interno della civitas[21]. Partendo dall’originario potere di intervento in aiuto al singolo plebeo vessato da un atto di qualsiasi natura (auxilii latio adversus consules) i Tribuni avevano sviluppato il potere di veto (intercessio) che era generale, contro qualsiasi atto e non richiedeva giustificazione o motivazione. L’esercizio di siffatti poteri non mirava a richiedere che un provvedimento venisse emanato o applicato correttamente, perché invece aveva come scopo quello di impedire del tutto il compimento di un atto, ponendosi come alternativa potenzialmente paralizzante di tutta la vita pubblica della Respublica.

In ciò sta la prima grande differenza tra i Tribuni plebis dell’età romana ed i moderni Ombudsman.

Sebbene entrambe le figure hanno un tratto comune, costituito dalla difesa dei singoli e dei deboli, gli Ombudsman agiscono all’interno dell’ordinamento chiedendo il corretto funzionamento delle regole di esso. I Tribuni, invece, avevano una carica rivoluzionaria perché potevano impedire anche atti che secondo l’ordinamento erano legittimi. Inoltre, nel corso dei secoli il loro intervento non era più necessariamente finalizzato alla difesa dei deboli, proprio perché non dovevano dare nessuna spiegazione riguardo a come esercitavano i loro poteri: tanto che, si ebbero «ripetuti, non sempre inani, tentativi di vari gruppi o fazioni dei ceti dominanti di blandire, influenzare o corrompere almeno uno dei tribuni dell’anno o addirittura di eleggerlo, ricorrendo, se del caso, all’espediente della transitio ad plebem di qualche proprio esponente, il quale, rinunciando alla posizione e ai privilegi di casta, entrava a far parte dell’ordine subalterno, facendosi adottare o arrogare da un plebeo (un patrizio, infatti, non poteva aspirare al tribunato). Di qui, poi, soprattutto, il verificarsi non infrequente, a tutti noto, di episodi sconcertanti»[22]; ad esempio, al tempo di Cesare, Clodio, che non era di origine plebea, fece di tutto per diventare plebeo al solo scopo di assumere influenza e potere in Roma[23].

Perciò opportunamente si è osservato che i Tribuni partecipano all’esercizio del potere e che nel II secolo a. C. «il tribunato era diventato una parte integrante dello Stato costituzionale»[24].

Senza la pretesa di una pur necessaria disamina del punto, vorrei qui ricordare soltanto che la partecipazione all’esercizio del potere assumeva una connotazione del tutto anomala, la quale giustamente ha spinto gli studiosi contemporanei a parlare di ‘potere negativo’.

Sulla configurazione e sulla natura di questo particolare potere la dottrina, specie quella più recente, ha prodotto significativi approfondimenti ai quali posso solo rinviare[25].

Qui vorrei richiamare l’attenzione sulla complessità e pluralità del potere tribunizio. Il quale si estrinsecava anche nell’esercizio di facoltà ‘positive’ e concernevano due nodi fondamentali: la potestà di proporre leggi; l’esercizio di funzioni giurisdizionali.

Dopo l’equiparazione dei plebisciti alle leggi, avvenuta al più tardi nel 287 a.C.[26], andò sempre più crescendo il numero dei provvedimenti legislativi assunti attraverso i plebisciti sino al punto che molti testi normativi che noi indichiamo come ‘legge’ in realtà erano plebisciti[27]. I plebisciti venivano adottati nel concilio della plebe che di norma era convocato e presiedete dai Tribuni, i quali formulavano la proposta di plebiscito ed avevano largo margine per influenzare l’assemblea[28]. Nel corso del III secolo conseguirono il diritto a far parte del Senato ed a presiederlo: ius senatus habendi[29].

Inoltre i Tribuni accanto ad un ius edicendi (cioè alla facoltà di esporre in pubblico disposizioni e programmi di propria competenza [30] ebbero un ampio potere di coercizione (summa coercendi potestas), in base al quale «possono ordinare l’arresto (prensio), la sua custodia in vinculis, possono promuovere processi per multa e per condanne capitali. Possono procedere anche contro ex magistrati per fatti commessi durante la loro carica»[31].

In una recente comunicazione lo Schipani ha richiamato l’attenzione sul racconto di Pomponio[32] il quale attribuisce ai Tribuni, menzionandoli addirittura «prima dei consoli, dei pretori e degli edili», il potere e la responsabilità della giurisdizione, cioè di «reggere, governare, rendere il diritto ai cittadini»[33].

Va infine ricordato che la nomina dei Tribuni avveniva per elezione diretta e che la carica del Tribuno durava solo un anno e la possibilità di rielezione, pur se non esclusa, raramente era praticata[34].

Inoltre il Tribunato prevedeva una pluralità di Tribuni, ciascuno con la possibilità di esercitare l’intercessio e le altre attribuzioni della carica[35].

I Tribuni romani avevano di conseguenza poteri negativi e positivi di ampiezza tale che è difficile riscontrarli nell’età contemporanea e certamente andavano ben di là dalle funzioni e dalle attribuzioni degli Ombudsman.

Soprattutto mancano agli Ombudsman poteri di intervento capaci di fermare un atto ritenuto lesivo di interessi. Inoltre, poiché a volte l’ingiustizia può nascere dalla stessa legge oppure i Parlamenti non provvedono su questioni che richiedono un provvedimento o la modifica della precedente disciplina, in genere manca agli Ombudsman la possibilità di far approvare normative da loro predisposte.

Il punto è all’attenzione degli Ombudsman e comincia, anche, a trovare soluzioni: ad esempio la legge di riforma della pubblica amministrazione (dcra) del 2000 [36] ha previsto un certo potere di iniziativa legislativa del Médiateur de la République de France; la legge istitutiva dell’Avvocato del popolo albanese ha previsto che egli possa rivolgere al Parlamento richieste di provvedimenti legislativi nel campo della tutela dei diritti dell’uomo[37].

Nel campo della giurisdizione gli attuali Ombudsman possono ottenere la legittimazione al processo per i diritti violati: posizione diversa e direi impensabile per i Tribuni che avevano poteri giurisdizionali e coercitivi propri e non potevano entrare in una causa come se fossero una parte qualsiasi.

 

 

4. – Defensores civitatum

 

Diversa appare la situazione dei defensores civitatum (e/o locorum), che erano diffusi con configurazioni e competenze differenti nelle due parti dell’Impero dal IV secolo e trovarono attenta disciplina nei Codici ufficiali, di Teodosio II e di Giustiniano.

Non intendo soffermarmi (qui) sulla materia, la quale peraltro ha dato luogo ad opinioni non sempre univoche[38].

Si tratta di una realtà varia, la quale ha dato luogo a figure non riconducibili, se non per approssimazione e opportunità di semplificazione, ad uno schema unico.

I nomi con i quali le varie configurazioni erano indicate erano molteplici, non diversamente con quanto oggi (come si è detto e peraltro è largamente noto e sotto gli occhi di tutti) si può dire per le diverse forme che sogliono essere raggruppate nella figura-modello dell’Ombudsman. Per lo più si parlava di defensores, di ecdici (ekdikoi), di patroni o di syndici (sundikoi). Tralascio di approfondire le differenze e di affrontare qui il problema se tutte queste figure siano state o meno difensori dei cittadini o solo difensori, nel puro senso tecnico (di coloro che assumono la difesa) delle collettività e nello specifico delle città.

Mi soffermo, invece, su alcuni caratteri che meglio delineano il ruolo e lo scopo della loro istituzione.

Una costituzione di Valentiniano III del 368 dice esplicitamente che il motivo della creazione dei patroni, che la dottrina identifica nelle finalità e nelle funzioni con i ‘difensori’[39], risiedeva nell’evidente opportunità di dare protezione ai bisognevoli (alla plebe dice il testo) contro i soprusi dei potenti: admodum utiliter edimus, ut plebs omnis Inlyrici officiis patronum contra potentium defendantur iniurias[40].

Anche se concernente l’Illirico, si può concordare con la dottrina che attribuisce alla disposizione una valenza generale, la quale pare riflettere orientamenti diffusi nell’Occidente[41].

Dunque una prima proiezione dei difensori consiste nella protezione dei deboli contro chi esercita il potere. Questa proiezione avviene per volontà espressa dell’Imperatore. Si crea così una facile equazione che dà vita ad un importante sillogismo riassumibile nei termini seguenti: sono i potenti a commettere abusi ed ingiustizie, è l’Imperatore a provvedere alla tutela dei deboli; di conseguenza, l’Imperatore è il protettore dei deboli.

Nasce in tal modo una ideologia, alimentata in vario modo, che contrappone i deboli ai potenti ma nello stesso tempo pone l’Impe­ratore, che pure è al vertice del potere, fuori dal novero dei potenti sopraffattori e anzi a fianco degli oppressi e del popolo minuto.

È una visione che rovescia totalmente le visioni repubblicane e classiche dei Romani. In esse la protezione dei Tribuni era contro il vertice del potere (contra consules) e la storiografia non era certamente ‘favorevole’ o semplicemente ‘condiscendente’ con gli Imperatori. Esemplare era la sferzante ricostruzione di Tacito; ma anche Svetonio, pur con meno acrimonia, indugia sulle nefandezze dei vari Caligola, Nerone, Comodo.

Non credo di esagerare nel dire che il modo di costruire la figura dei defensores apre una pista che porta lontano, arrivando alla saga dei Re buoni (Artù, Riccardo etc.), che lambisce l’età moderna nel contrapporre i dignitari al Sovrano e nell’attribuire a questi sentimenti di comprensione e vicinanza con gli strati più bassi della popolazione.

Siamo di fronte ad una rivoluzione concettuale che si inserisce bene nel contesto dell’Impero romano dove l’appello contro sentenze ritenute inique o delle quali comunque non si intende sopportare le conseguenze non è più al popolo (come era nella provocatio repubblicana) ma all’Imperatore. In tal modo il giudizio finale passa dalla collettività all’Imperatore e cambia il giudizio di valore: chi conta ed ha diritto all’ultima parola non è il populus romanus bensì l’Imperatore.

Rispetto al Tribunato si ha un altro capovolgimento. Esso è costituito dal fatto che non si vuole impedire l’atto, bensì si chiede che esso sia realizzato secondo giustizia ed equità.

I defensores non intervengono per vietare, ma per realizzare la buona amministrazione che è perseguita dall’Imperatore. Per questo motivo erano nominati dall’Imperatore (concretamente attraverso il prefetto del Pretorio) e non più eletti; sebbene Giustiniano cercherà di introdurre almeno la designazione da parte della città. Ciò anche perché essi non sono più, come i Tribuni, organi della Città, bensì dell’Impero e finanche quando vengono nominati per una città saranno sempre organi dell’Impero, assumendo una natura mista che può essere allo stesso tempo cittadina ma sempre imperiale[42] e che deve rispondere all’Imperatore, il quale si preoccupa della loro onestà e di evitare che potessero apparire sospetti di parzialità, ad esempio accettando donativi dai privati, mentre dovevano essere pagati preferibilmente con fondi pubblici[43].

In ciò vi è un evidente parallelismo con gli Ombudsman dell’era contemporanea, dove si pongono come strumento della buona amministrazione.

In origine questa finalità era perseguita in nome del Re. Con la perdita del potere da parte del sovrano e con l’emergere del ruolo centrale dei Parlamenti, essa fu perseguita in nome del Parlamento.

Si delineò, in tal modo, un assetto nuovo, il quale era figlio dell’ideologia che aveva visto la creazione dei defensores. Essa, però, in conseguenza della crisi di ruolo del Parlamento, oggi è in difficoltà. Tant’è che si cerca un diverso fondamento per gli Ombudsman e si tenta di giustificarli facendo riferimento diretto alla riappropriazione del proprio ruolo da parte dei cittadini e, secondo la tendenza ultima, dell’uomo con i suoi diritti insopprimibili.

Quanto ai defensores, la disamina articolata delle loro attribuzioni mostra che di là da queste connotazioni essi erano più complessi e, mi pare, anche abbastanza dissimili dagli attuali Ombudsman.

Infatti spesso ebbero ruolo attivo nell’Amministrazione, attendendo a funzioni certificative o di polizia[44] oppure con competenze di gestione della giustizia (che è ora quella, extra ordinem, dell’Imperatore) talora con potere di imporre condanne (soprattutto multe) e di im­prigionare[45]. In Oriente fu addossato ai defensores il controllo di confine o le incombenze (peraltro attribuite anche ai Vescovi) di lotta alla prostituzione e di assistenza alle donne spinte al turpe mestiere contro la propria volontà[46].

Gli Imperatori e soprattutto infine Giustiniano ebbero cura di accentuare l’indipendenza dei defensores, particolarmente nei confronti della burocrazia provinciale, ma anche nei confronti dei giudici, perché fu affidato ad essi il compito di controllo della loro moralità (in alternativa ai magistrati cittadini, cioè ai duumviri).

La complessità delle attribuzioni dei defensores era così grande che a Giustiniano apparve opportuno emanare una specie di legge quadro[47], che fu inserita all’interno di un provvedimento di riordino dell’Amministrazione. L’inserimento della normativa concernente il difensore pubblico nella legislazione di riordino della pubblica amministrazione registra ai nostri giorni un ritorno significativo nella più recente riforma del Médiateur francese, anch’essa (come si è già avuto occasione di dire) collocata nella legge di riordino della Pubblica Amministrazione (dcra)[48]. Evidentemente anche i compiti dei defensores così come oggi quelli degli Ombudsman rientrano in una visione organica della buona amministrazione, là dove questa è forte ed assorbente.

Naturalmente, sia detto per inciso, nulla di più lontano ed estraneo al Tribunato della plebe.

 

 

5. – Considerazioni finali

 

I richiami all’esperienza romana servono per risalire alle radici di soluzioni che ancora oggi sono spesso prospettate come rimedio alle ingiustizie ed in particolare all’abuso nell’esercizio del potere ed alle iniquità create dal sistema. L’aspirazione ad avere idonee forme di controllo del ‘potere’ e sui ‘potenti’ è antica[49] ed è tanto più avvertita quanto più il popolo è o si sente estraniato dal ‘potere’.

Oggi la crescente diffusione degli Ombudsman mi pare sia da mettere in relazione diretta con la sfiducia crescente nello Stato ed, in qualche modo, mi pare l’indice del fallimento della democrazia parlamentare. In essa il cittadino e più in generale la ‘persona’ non ha ‘voce’ nella organizzazione e nella gestione della società e quando si sente vittima di ingiustizie non ha fiducia nei rimedi a lui offerti dalla normale Amministrazione della Giustizia; i quali sono tecnicamente sempre più complessi, costosissimi e lentissimi.

L’introduzione degli Ombudsman crea talora l’illusione di avere strumenti efficaci e può distogliere dalla strada maestra che dovrebbe essere quella di rendere partecipativa ed effettiva la democrazia.

La forza maggiore degli Ombudsman si realizza attraverso la denuncia e il diritto alla risposta alle proprie richieste (diritto di seguito), che hanno rilievo più o meno considerevole ma denotano che nel Paese non vi è controllo adeguato da parte dell’opinione pubblica (e della stampa) e che normalmente la pubblica amministrazione neppure si preoccupa di dar conto delle proprie azioni.

La ‘storia’ dei defensores deve mettere in guardia dall’illusione che vi siano ‘poteri buoni’ i quali hanno a cuore il bene del popolo minuto. Questo va tenuto presente oggi, poiché mi sembra che la diffusione degli Ombudsman ha in sé una contraddizione. Da un lato è originata dalla sfiducia nello Stato, dall’altro si fonda nella convinzione che vi siano Organi ‘buoni’ (in particolare il Parlamento, il Presidente della Repubblica) in grado di dare ascolto alle istanze del popolo; il che è tutto da verificare.

L’esperienza romana dimostra che la democrazia ha bisogno di poteri ‘forti’ (e certamente tali erano quelli dei consoli), ma anche di idonei contrappesi che venivano offerti, tra altri, dall’intercessio dei Tribuni. Questi dovevano la loro indipendenza alla propria storia ed al fatto di non ricevere né la nomina né la giustificazioni da nessun altro se non dal popolo stesso.

Un ulteriore punto non secondario concerne la composizione dell’Ombudsman. L’esperienza romana era incentrata su un unico organo, collegiale (nel senso romano e non in quello odierno) con competenza generale. Oggi si discute se serva un unico Ombudsman, il quale potrà articolarsi al proprio interno per materie (come ha fatto il Médiateur francese) e per competenze territoriali oppure servano ‘difensori’ diversi e distinti per settori, come è per il Parliamentary Commissioner inglese. Mi pare che l’unicità dell’organo dia maggiori certezze, quanto meno perché si presenta ai cittadini come punto di riferimento unico e, di conseguenza, di facile individuazione.

Oggi è spesso sbandierata l’indipendenza degli Ombudsman. Ma sino a quando non verranno eletti direttamente dal popolo essa sarà in qualche modo vincolata alle vicende della ‘politica’ e dei suoi facitori.

I Tribuni, come si è sottolineato, non dovevano motivare i propri veti; ciò mi pare essenziale ancora oggi, non fosse altro che per sottrarre l’atto dell’Ombudsman al defatigante controllo di ‘legittimità’ che gli toglierebbe immediatezza ed efficacia.

Vorrei chiudere con un richiamo alla cautela nella valutazione delle esperienze degli Ombudsman. Esse sono certamente di grande rilevanza ma devono guardarsi dal rischio di offrire una via di evasione dai problemi reali delle società di oggi, in gravi difficoltà per la crisi della democrazia rappresentative a causa dell’inadeguatezza della teoria della divisione dei poteri sulla quale esse dicono di fondarsi.

Quanto agli Ombudsman avrei alcune proposte per dar loro effettiva indipendenza ed efficacia:

 

elezione diretta e sfasata rispetto alle elezioni parlamentari (per evitare che la loro scelta dipenda totalmente dalle logiche di maggioranza partitica)[50];

durata congrua della carica, ma limitata e non reiterabilità del mandato[51];

concessione di un particolare ‘diritto di veto’; con l’eventuale previsione di procedimenti speciali per superare il loro ‘divieto’[52], ovviamente davanti ad un organo diverso dall’organo autore del provvedimento e da chi ha nominato tale organo[53].

 

Credo che in tal modo il cittadino verrebbe rimesso nel ‘gioco politico’.

Intanto occorre porre molta attenzione alle figure di Ombudsman di più recente introduzione, le quali, attraverso l’attribuzione di poteri e prerogative penetranti, cercano di superare le difficoltà e gli ostacoli che l’istituto ha evidenziato. È questo il caso dell’Avvocato del popolo della Repubblica di Albania. Esso costituisce un’importante novità che propone una nuova configurazione del ‘modello’ giuridico di quel Paese, nell’ambito dei sistemi del Mediterraneo.

Da questa consapevolezza è nato il proposito di dedicare all’Avvocato del popolo albanese il presente volume.

 

 



 

[1] Il nome, come è noto, nacque da un decreto di Carlo XII, del 1713 con il quale venne introdotto l’Högste Ombudsman.

 

[2] Sul punto cfr., in questo volume, N. Shehu, Dall’Högste Ombudsman all’Avvocato del popolo albanese, la quale indica come prova del favore riscosso dagli Ombudsman la progressiva costituzionalizzazione di essi: v. in particolare la nt. 4, con i ragguagli sull’ultima bibliografia.

 

[3] Molti autori spiegano l’espansiva ed inarrestabile diffusione degli Ombudsman con la crescente estraniazione degli organi di potere dall’uomo e dalle sue esigenze. Questo spinge le persone ad accogliere con visibile favore una istituzione con la quale sia possibile dialogare e che sia facilmente accessibile. Sul punto cfr., per tutti, G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, 280 ss. ed ivi bibl., 289: «Il ricorso ai "difensori civici" (sempre più diffuso ai vari livelli: sovrastatuale, statuale e delle cd. 'autonomie locali' è il segno importante di una esigenza forte sebbene ancora confusamente avvertita e ancora più confusamente interpretata e tradotta nelle istituzioni: dare soluzione al problema della difesa dei governati di fronte al concorde complesso dei 'governanti' (nel senso ampio della parola)»; M.M. Padilla, La institución del Comisionado parlamentario (el Ombudsman), Buenos Aires, 1972; M. Seneviratne, "Ombudsman in the Public Sector", Buckingham: Open University Press, 1994; Id., "The European Ombudsman", in Journal of Social Welfare and Family Law- 1999 - 21(3), 1999, pp. 269-278; Id., "Ombudsmen 2000", Inaugural Lecture 17 april 2000, Nottingam, Centre for legal Research, Nottingam Law School, 2000 - versione elettronica, 1 ss.

 

[4] Cfr. L. Cominelli, Il mediatore europeo. Ombudsman dell’unione: prime osservazioni, in Sociologia del diritto, 2001/1, pp. 91 ss.

 

[5] Ciò malgrado i disegni di legge depositati in Parlamento, però senza fortuna, e a dispetto della legge nr. 127 del 15/5/1997 la quale prevedeva l’istituzione del Difensore civico nazionale e sanciva che solo sino alla sua introduzione i difensori regionali e provinciali delle Regioni autonome esercitavano il controllo degli organi periferici dell’Amministrazione centrale.

 

[6] Lo sguardo panoramico e sintetico contenuto in questo stesso volume dal contributo citato di N. Shehu, mi esime dall’analisi delle differenti configurazioni di Ombudsman e del significato legato ai nomi con i quali essi sono indicati; perciò rinvio ad esso ed, in particolare, alle ntt. 2-25. Sul punto v. anche G. Mastropasqua, Il difensore civicoProfili sistematici e operativi, Bari, 2003, 20 ss.

 

[7] Anche su questo punto, concernente il legame profondo tra Ombudsman e tutela dei diritti dell’uomo, rinvio ale riflessioni esposte da N. Shehu, op. cit. alla nt. 2, in modo specifico al nr. 8 concernente la salvaguardia dei diritti dell’uomo. L’a. ricorda che: «La preoccupazione per i diritti dell’uomo è una costante delle Organizzazioni internazionali. Già nel 1946 presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite fu esaminata una proposta tendente ad affidare la tutela e lo sviluppo dei diritti dell’uomo ad apposite istituzioni nazionali. Si innescarono vari processi per i quali fu necessario fare il punto in tempi piú recenti. Tra le vicende che e le iniziative che ne seguirono va segnalata soprattutto quella del giugno del 1990, quando i Paesi partecipanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione, riunita in Danimarca a Copenaghen, proposero, in primo luogo agli Stati partecipanti ma in generale ad ogni Paese, di “rendere possibile la creazione e il consolidamento delle istituzioni nazionali, indipendenti nel campo dei diritti dell’uomo e dello Stato del diritto”. L’anno dopo furono enunciati i “Principi di Parigi” i quali, a conclusione della Conferenza internazionale, tenutasi a Parigi, tra le istituzioni nazionali che si occupano della difesa e lo sviluppo dei diritti dell’uomo, enunciarono i punti essenziali per fare in modo che le legislazione dei singoli Stati creassero o rafforzassero attraverso la propria legislazione in maniera chiara ed esplicita le istituzioni che dovevano badare alla difesa ed allo sviluppo dei diritti dell’uomo. Questa esigenza fu confermata e sottolineata con forza nel 1993 dalla Dichiarazione di Vienna, la quale tornò a chiedere la creazione ed il rafforzamento di istituzioni nazionali dirette alla salvezza e promozione dei diritti dell’uomo. In conseguenza di queste spinte e della forza che la tutela dei diritti dell’uomo stava assumendo presso l’opinione pubblica mondiale alcuni Paesi pensarono di utilizzare gli istituti dell’Ombudsman per affidare loro la tutela dei diritti dell’uomo».

 

[8] Sul punto non mi posso fermare in questa sede, dove mi limito a ricordare che essi sono e sono stati indicati dalle note ‘Dichiarazioni’ e ‘Convenzioni’ internazionali sia delle Nazioni Unite sia dell’Unione europea e danno luogo ad un elenco il quale necessita di continuo aggiornamento. Di recente la dottrina e qualche Corte Costituzionale (ad esempio, in qualche misura, quella italiana) hanno anche affermato un principio che rivoluziona le Costituzioni materiali. Si sostiene che i diritti fondamentali fanno parte delle Costituzioni dei Paesi anche se non esplicitati nella rispettiva Carta Costituzionale.

 

[9] È il caso del Tribunale Internazionale penale per i crimini della ex Jugoslavia (tpij), istituito nel 1993, con sede a l’Aia, in conformità alla delibera dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1991, dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite nel 1993 richiamando gli artt. 39 e 40 del Capitolo VII (Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione) della Carta istitutiva delle N.U. e del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (tpir) istituito con una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’onu, la nr. 955 dell’8 novembre 1994.

 

[10] Tale è ora il Tribunale penale internazionale istituito a Roma nel 1998.

 

[11] In genere, come è per gli ultimi due Tribunali menzionati, vi è un apposito Procuratore con competenza a promuovere l’azione penale: v. l’art. 11 lett. b) dello Statuto del Tribunale per i crimini compiuti nell’ex Jugoslavia.

 

[12] Della copiosa letteratura mi limito a citare le espressioni più recenti: G. Lobrano, Dal ‘defensor del pueblo’ al Tribuno della plebe: ritorno al futuro. Un primo tentativo di interpretazione storico-sistematica, con particolare attenzione alla impostazione di Simón Bolivar, in “Da roma a Roma”. Dal Tribunato della Plebe al difensore del popolo. Dallo Jus gentium al Tribunale penale internazionale, a cura di P. Catalano-G. Lobrano-S. Schipani, in "Quaderni IILA", Serie Diritto I, Roma 2002, 67 ss.; B. Alamanni De Carrillo, El rol del Ombudsman en America latina (su tradición romana), in “Da Roma a Roma”, cit., 91 ss.; AA.VV., La difesa civica italiana tra mediazione e tribunato della plebe, Taranto 2-3 aprile 2003. In particolare il Lobrano, cui, assieme al Catalano (del quale v. Tribunato e resistenza, Torino, 1971), dobbiamo le pagine recenziori più penetranti sul Tribunato, mette in evidenza l’influenza del Tribunato nella delineazione degli assetti costituzionali contemporanei durante la rivoluzione francese e nelle elaborazioni dottrinale dal 1500 al secolo scorso. L’istituto viene spesso evocato pur dopo la caduta dell’impero romano e passa dal ‘Consiglio dei dieci’ istituito a Venezia nel secolo VI d. C., al ‘Sindicus’ dei Comuni, durante il Medio Evo; sino al Tribuno del popolo romano di Cola di Rienzo nel 1344. La reintroduzione, in varie forme, del tribunato è invocato anche da Calvino (1536), Hotmann (1567), De mariana (1599), Althusius (1586). Nel 1700 al Tribunato si rivolge l’attenzione dei padri del costituzionalismo moderno. In Francia propongono di far capo al Tribunato sia il Montesquieu sia il Rousseau, così come il Babeuf. In Germania il Tribunato viene riproposto dallo Schlegel (1795), dai cui scritti il Kant trasse ispirazione per la costruzione del sistema federale e soprattutto dal Fichte (a cavallo tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del secolo XIX). Il Tribunato è costantemente presente nel costituzionalismo latino-americano di Francisco de Miranda, di Simón Bolivar. Viene proposto (ad opera di C. Agostini e Carlo Luciano Bonaparte) nel modello di Costituzione della Repubblica romana nel 1849 e viene sostenuto negli Stati Uniti d’America dal grande costituzionalista John Caldwell Calhoun. Ultima eco del Tribunato e della sua grandezza si ha in Italia nel 1870 nell’opera (Guida alla elezione politica, Napoli, 1870) di Guido Padelletti.

 

[13] Cfr. G. Lobrano, opp. citt.

 

[14] Cfr. R. Gregory and J. Pearson, The Parliamentary Ombudsman after twentyfive years: problems and solutions, in Public Administration 70, 1992, pp. 469-498; R. Gregory and PH. Giddings, The Ombudsman, the Citizen and Parliament - A history of the Office of the Parliamentary Commissioner for Administration and the Health Service Commissioner, Politico's Publishing, London, 2002; W. Haller, The place of the Ombudsman in the world community", in Fourth International Ombudsman, Conference Papeis, Canberra, 29, 1988; M. Harris and M. Partington, Administrative Justice in the 21st Century, Chapter 8, Hart Publishing, 1999; M. Seneviratne, Ombudsmen: public services and admnistrative justice, Lexis Needs, Butterworths, 2002.

 

[15] Tra esse possiamo indicare: a) il controllo sui funzionari delle amministrazioni civili, ma non sui ministri, perché questi sono solo responsabili per l'indirizzo politico e subiscono solo il controllo del Parlamento; b) impossibilità di sindacare il merito degli atti amministrativi discrezionali. Esclusione di intervento dell'Ombudsman su questioni pendenti davanti ad un giudice di qualsiasi natura (penale, civile, amministrativa); c) possibilità di attivarsi dietro ricorso del singolo (con o senza particolari formalità), o d'ufficio; d) potere di iniziare un'azione penale nei confronti dei funzionari (giudici compresi) che abbiano compiuto atti contrari ai loro doveri o comunque illegittimi; e) presentazione di una relazione periodica, di norma annuale, al Parlamento sull'attività esplicata, con possibilità di introdurre osservazioni sul funzionamento dell'amministrazione, anche riguardo alla collaborazione da essa prestata all'Ombudsman; la relazione dopo la presentazione al Parlamento può essere approvata e resa pubblica; f) possibilità di avanzare proposte per il miglioramento della legislazione e dell'amministrazione pubblica.

 

[16] Nel rapporto con il Parlamento è nato e si è articolato l’Ombudsman del modello scandinavo: cfr. A. Di Giovine, L’Ombudsman in Scandinavia, in C. Mortati (a cura di) L’Ombudsman: (il difensore civico), Torino, 1974, 45 s. Del Commissioner parliamentary inglese si è detto; del resto già il nome sottolinea lo stretto nesso tra Ombudsman e Parlamento, del quale egli è espressione. Il Médiateur francese che pur era nato, nel 1973 (con la legge n. 73-6 del gennaio 1973), come organo del Consiglio dei Ministri perché non apparisse come un organo di controllo del Parlamento bensì come l’emanazione del vertice dell’Amministrazione, nel 2000 (con la legge n. 2000-321 del 12 aprile 2000 relativa ai diritti dei cittadini nelle loro relazioni con le amministrazioni - dcra), deve dar conto al Parlamento attraverso l’invio a ciascuna delle due Assemblee del suo Rapporto annuale. La legge istitutiva del defensor del pueblo della Repubblica Argentina (la Ley 24.284, revisionata dalla ley 24.379) al primo articolo dice espressamente «se crea en el ámbito del Poder legislativo de la Nación la Difensoria del Pueblo». L’art. 276 della Costituzione del 1992 afferma: «El Defensor del pueblo es un comisionado parlamentario cuyas funciones son la defensa de los derechos humanos, la canalización de reclamos populares y la profesión de los intereses comunitarios. En ningún caso tendrá función judicial ni competencia esecutiva».

 

[17] In tal senso dispongono spesso le Costituzioni sia latino-americane, sia di molti Paesi dell’Est europeo, come la Russia, la Slovenia, la Romania, l’Albania: sul punto v. il saggio citato di N. Shehu sull’Avvocato del popolo albanese.

 

[18] V. sul punto la letteratura richiamata alle note precedenti.

 

[19] Impressionanti, ad esempio, sono le sottolineature con le quali costantemente nei suoi Rapporti annuali l’Avvocato albanese insiste sulla vastità della corruzione dei giudici in Albania, la quale si inserisce nell’ambito di una prassi di costante corruzione dei pubblici poteri nel Paese e costituisce una delle principali emergenze: cfr. Rapporti 2000, 2001, 2002, 2003 riprodotti in sintesi in questo volume e si tengano presente le osservazioni al riguardo esposte da N. Shehu in questo libro.

 

[20] Dalla copiosissima letteratura mi limito a rinviare ai lineamenti sulla nascita e sulla posizione dei Tribuni esposti dal F. De martino, Storia della costituzione romana, partic. vol. I cap, XIII, Napoli, 1958, ed alle osservazioni di P. Catalano, Tribunato e resistenza, Torino, 1971; E. Cocchia, Il tribunato della plebe e la sua autorità giudiziaria studiata in rapporto colla procedura civile. Contributo illustrativo alle legis actiones e alle origini storiche dell'editto pretorio, Roma, 1971; G. Grosso, Sul tribunato della plebe, Labeo 20, 1974, 7-11; P. Catalano, Stato e istituzioni rivoluzionarie in Roma antica, in Index. Quaderni camerti di studi romanistici. International Survey of Roman Law 7, 1977, VII; G. Lobrano, A proposito di Stato e istituzioni rivoluzionarie in Roma antica, in Index 7, 1977, 3 ss.; G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe [Fondaz. G. Castelli, 46], Milano, 1982; S.A.B. Meira, O tribunato da plebe em face do Dereito romano, Estudios J. Iglesias II, Madrid, 1988, 829-843.

 

[21] La specificità del Tribunato come istituto essenziale per la Respublica, in assenza del quale non si sarebbe potuto parlare di Repubblica bensì di Regno camuffato, era evidenziata persino da Cicerone, il quale certamente non era sospetto di simpatie ‘popolari’: v. G. Lobrano, Dal ‘defensor del pueblo’ al Tribuno della plebe, cit., 75.

 

[22] F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, in AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano, 2a ed., Milano, 1989, 179.

 

[23] Cfr. M.A. Levi-A. Meloni, Storia romana dagli etruschi a Teodosio, Milano, 1960, 224. Più in generale si deve osservare che i Tribuni diventarono protagonisti delle lotte politiche e si servivano dei loro poteri anche per sostenere il proprio partito e non solo per scopi oggettivi e di ausilio dei deboli: tanto che, allo scopo di evitare ciò, Silla sottrasse ai tribuni il potere di intercessio svuotandone le funzioni più efficaci e riducendoli, con ciò, ad imago sine re: (secondo l’espressione degli stessi osservatori Romani del tempo: v. Velleius Paterculus, Historiae Romanae 2. 30. 4). Sul punto cfr. P. Cerami, le vicende della crisi e i tentativi di razionalizzazione dello ‘Status Rei Publicae’, in Ordinamento costituzionale e produzione del diritto in Roma antica. I fondamenti dell’esperienza giuridica occidentale, Napoli, 2001, 123. Ovviamente subito dopo la riforma sillana venne abolità ed i Tribuni riassunsero tutti i loro poteri: cfr. F. Cassola-L. Labruna, La lotta politica dopo Silla. I populares, in AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano, cit., 343. Il fatto resta uno dei tanti episodi della partecipazione dei Tribuni alle lotte per il potere e dimostra come nel corso dei secoli l’istituto si è andato trasformando e modellando profondamente.

 

[24] L. Perelli, I Gracchi, Milano, 1993, 17.

 

[25] Da ultimo, le elaborazioni più profonde sono state quelle del Catalano e del Lobrano, nei luoghi citati alle note precedenti, ai quali adde: P. Catalano, Diritti di libertà e potere negativo, in Archivio Giuridico "Filippo Serafini" 182, 1972, 321 ss.; Id, "Dai Gracchi a Bolivar. Il problema del potere negativo", in "Quaderni IILA", Serie Diritto I, vol. "Da Roma a Roma. Dal Tribuno della Plebe al Difensore del popolo. Dallo ius gentium al Tribunale penale internazionale", cit., 37 ss.

 

[26] La tradizione attribuisce la aexequatio già alle leggi Valerie Orazie del 449, ma poi richiama anche le leggi Publilia filone del 339 e Ortensia del 287 (sul punto v. A. Corbino, Il decemvirato e le leggi Valerio Orazie, in AA.VV., Ordinamento costituzionale e produzione del diritto in Roma antica, cit., pp. 42 ss.).

 

[27] Sul punto è significativa l’incisiva narrazione del giurista Pomponio, nel 2° sec. d. C.: D. 1. 2. 2. 8, Pomponius libro singulari enchiridii: ...mox cum revocata est plebs, quia multae discordiae nascebantur de his plebis scitis, pro legibus placuit et ea observari lege Hortensia: et ita factum est, ut inter plebis scita et legem species constituendi interesset, potestas autem eadem esset.

 

[28] Sul punto F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, cit., 184 affermano: «In virtù di questo ius agendi cum plebe, ogni tribuno aveva dunque il potere di convocare i concilia plebis, dirigerne i lavori, proporre agli intervenuti schemi di deliberazioni politiche o normative (plebis scita)». Esattamente L. Perelli, I Gracchi, cit., 65, afferma che il tribunato «era la sede più adatta per promuovere iniziative legislative a favore dei ceti più poveri».

 

[29] V. F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, cit., 185, anche se le notizie riferite a questa tradizione sono alquanto incerte.

 

[30] V. F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, 126, 185.

 

[31] F. De Martino, Storia, cit., 304. Osservano F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, cit., 184: «si rinvengono, senza dubbio, testimonianze non meno frequenti ed importanti di processi criminali - politici soprattutto, ma anche comuni - multatici e capitali, promossi dagli stessi tribuni contro privati ed (ex-) magistrati per fatti commessi durante la loro carica. Contro consoli, ad esempio, per aver fatto la guerra senza la necessaria autorizzazione costituzionale, per aver ingiustamente spartito il bottino, per aver impiegato soldati nel proprio interesse, per essere venuti meno ai doveri di buon generale, per aver male utilizzato o sottratto denaro pubblico loro affidato (è il caso, tra gli altri, dei celebri processi degli Scipioni); contro dittatori, per crudeltà commesse durante la leva; contro pretori, per esser fuggiti dinanzi al nemico, per aver arrecato danni patrimoniali o personali a privati; contro cittadini incaricati di pubblici servizi, per non aver assolto i propri doveri, per frode nelle forniture allo Stato; contro patrizi e plebei, per crimini comuni».

 

[32] D. 1. 2. 2. 13, Pomponius libro singulari enchiridii: post originem iuris et processum cognitum consequens est, ut de magistratuum nominibus et origine cognoscamus, quia, ut exposuimus, per eos qui iuri dicundo praesunt effectus rei accipitur: quantum est enim ius in civitate esse, nisi sint, qui iura regere possint? post hoc deinde auctorum successione dicemus, quod constare non potest ius, nisi sit aliquis iuris peritus, per quem possit cottidie in melius produci. D. 1, 2, 2, 34 Pomponius l. singoluri enchiridii: ergo ex his omnibus decem tribuni plebis, consules duo, decem et octo praetores, sex aediles in civitate iura reddebant.

 

[33] S. Schipani, Il Tribunato nel CJC di Giustiniano, in “Da Roma a Roma”, cit., 88.

 

[34] V. F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, cit., 177 ss.

 

[35] F. De Martino, Storia della costituzione romana, cit., p. 302 ss. afferma che, così come per le magistrature, anche per i Tribuni vigeva il principio fondamentale dell’unanimità.

 

[36] V. sopra nt. 16.

 

[37] V. Art. 24 L. 8454/1999: raccomandazioni concernenti le leggi. Qualora l’Avvocato del popolo riscontri che la violazione dei diritti dell’uomo riconosciuti dalla Costituzione e da altre leggi non derivi dall’applicazione delle norme, bensì da una determinata legge, ha facoltà: a) di raccomandare ai detentori del potere legislativo di modificare o migliorare la legge; b) di proporre alla P.A., che ne abbia facoltà, la modifica o il miglioramento degli atti normativi subordinati alla legge; c) di raccomandare alla Corte Costituzionale di pronunciare l’abrogazione della legge. Sui punti e sulle loro possibili proiezioni v., in questo volume, lo studio di N. Shehu, cit. alla nt. 2, particolarmente ai §§ 11-12.

 

[38] Rinvio agli studi approfonditi della dottrina ed in particolare alle analisi esposte in V. Mannino, Ricerche sul “defensor civitatis”, Milano, 1984, al quale pure rimando per la citazione dell’annosa e penetrante letteratura.

 

[39] Vedi V. Mannino, Ricerche, cit., 71 ss.

 

[40] C. Th. 1. 29. 1, Valentiniano e Valente Augusti al prefetto del pretorio Probo: «stabiliamo, perché di massima utilità, che la plebe di tutto l’Illirico venga difesa contro i soprusi dei potenti dall’intervento di appositi patroni (difensori)».

 

[41] V. Mannino, Ricerche, cit., 23 nt. 37.

 

[42] Per ciò talora venivano posti sullo stesso piano dei governatori provinciali: Cfr. C. 1. 4. 22. pr.; 1. 4. 25; cfr. V. Mannino, Ricerche, cit., 167 s.

 

[43] Emblematica è la Novella 8 emanata da Giustiniano nel 535 d.C.

 

[44] Cfr. C.I. 1. 4. 25 del 529.

 

[45] Cfr. V. Mannino, Ricerche, cit., 116 ss., 167.

 

[46] Compito di grande attualità che sembra riecheggiato dai Rapporti annuali di alcuni Ombudsman contemporanei ed in particolare dai Rapporti 200, 2001, 2002, 2003 dell’Avvocato del popolo albanese: v. N. Shehu, loc. cit.

 

[47] La definizione è del R. Bonini, Ricerche sulla legislazione giustinianea, 2a ed., 82.

 

[48] V. sopra nt. 16.

 

[49] Ad esempio in Sparta sfociò nell’Eforato, introdotto da Licurgo a somiglianza dei Cosmi esistenti a Creta: v. erodoto, I, 65; Platone, Leggi, 691de-692ab; platone, Epistola VIII, , 354ab; aristotele, Politica, 1272; Senofonte, Costituzione degli Spartani, 8 (§ 4 «Gli efori possono comminare un'ammenda a chi vogliono e hanno il potere di riscuoterla immediatamente; possono inoltre rimuovere i magistrati dalla carica, farli incarcerare e addirittura promuovere contro di essi un processo capitale. Forniti di tale potere non consentono, a differenza di quanto avviene nelle altre città, che coloro che sono stati scelti esercitino le loro funzioni durante tutto il periodo in cui sono in carica a loro assoluto piacimento, ma, come i tiranni e i giudici dei giochi, appena si accorgono che uno infrange la legge, immediatamente lo puniscono»); strabone, X, 4 , 14; Diogene Laerzio, I, 68. Già dall’antichità fu avvertito il pericolo insito nella creazione di un istituto destinato al controllo popolare: esso, invero, secondo Aristotele e Plutarco avrebbe dato al popolo l’illusione di potere intervenire riguardo all’esercizio del potere e avrebbe in realtà finito per rafforzare la gestione del potere; Aristotele, Politica, 1270b («Questa carica mantiene unito il sistema politico; il popolo resta calmo, per il fatto di poter accedere alla magistratura più alta e questa possibilità, o per caso o per scelta del legislatore, finisce per incidere positivamente sulla situazione generale. Se infatti un regime intende conservarsi, è necessario che tutti gli elementi che lo compongono siano concordi nel volere che ciò accada»); 1313a: («Per questo motivo la dinastia dei Molossi ebbe una lunga durata; allo stesso modo quella dei Lacedemoni perché, all'origine, il potere era suddiviso fra i due re, poi Teopompo lo limitò in diversi modi, in particolare ponendogli accanto la magistrature degli efori. Diminuendo il potere dei re, finì per provocarne una maggior durata nel tempo, per cui si può sostenere giustamente che quella da lui operata non fu una diminuzione ma piuttosto un ingrandimento. Per questo si dice che alla moglie, che gli chiedeva se non si vergognasse a trasmettere ai figli un potere inferiore a quello che aveva ricevuto da suo padre, rispose: “Certamente no, perché io passo a loro un potere più duraturo”»); plutarco, Vita di Licurgo, 7; 29, (§ 11 «La creazione degli efori non rappresentava un indebolimento, ma semmai un rafforzamento del sistema politico; anche se all'apparenza sembrava risultare vantaggiosa per il demo, di fatto finì per irrobustire l'aristocrazia»).

 

[50] L’importanza dell’elezione diretta è sottolineata da chi inserisce le nuove figure degli Ombudsman nel più ampio disegno di ridefinizione degli assetti costituzionali attuali. Per tutti cito la suggestiva proposta avanzata dal de Giorgi, il quale, rispolverando l’antico istituto spartano (v. nt. precedente) ha proposto l’introduzione, in Italia dell’Eforato. «1. È costituita un’Alta Corte con il nome di Eforato. Ha il compito di garantire la correttezza democratica nelle competizioni elettorali, nelle amministrazioni locali, nella vita dei partiti politici, delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, pubbliche e private, dei mezzi di comunicazione sociale e del­l’editoria. 2. Ha capacità di intervento diretto e non solo dopo ricorso da parte di terzi. 3. È eletto a suffragio universale. L’elettorato attivo è costituito da tutti i cittadini italiani che abbiano superato il quarantesimo anno di età. L’elettorato passivo è costituito da tutti i magistrati e dai professori universitari. Dura in carica quattro anni. 4. L’eforato nomina le Corti Regionale e gli Ombudsmen provinciali che da esse dipendono»: F. De Giorgi, Note per una costituzione nuova, in Il Margine, Archivio, nr. 4, aprile 1994.

 

[51] Per non perdere tuttavia le competenze acquisite si potrebbe stabilire che, successivamente, faccia parte di diritto dell’Assemblea legislativa (Parlamento) o del Consiglio dell’Organo di autonomia locale.

 

[52] Si potrebbe forse introdurre l’obbligo per l’Amministrazione di dimostrarne la fondatezza e la giustezza dell’atto, ‘vietato’, prima di procedere alla sua esecuzione È questo in parte simile a quanto avviene nell’Unione Europea in materia ambientale a seguito dell’introduzione del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale, introdotta con la Direttiva del Consiglio 85/337/cee del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, (g.u.c.e. n. L. 175 del 5 luglio 1985). brevemente ricordo che la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, comunemente detta VIA, ha lo scopo di individuare, descrivere e valutare, in via preventiva, l'impatto ambientale di determinati progetti pubblici o privati. Essa non è quindi da intendersi “strumento” necessario per verificare il rispetto di standard o per imporre nuovi vincoli, oltre quelli già operanti, ma come un “processo coordinato” per raggiungere un elevato grado di protezione ambientale, realizzando l'obiettivo di migliorare la qualità della vita, mantenere la varietà delle specie, e conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale. La VIA mira ad introdurre, nella prassi tecnica ed amministrativa ed in una fase precoce della progettazione, una valutazione sistematica degli effetti prodotti dalle opere in progetto sull'ambiente, inteso come un sistema complesso di risorse naturali e umane e delle loro interazioni.

 

[53] Non avrebbe senso affidare la detta valutazione ed il controllo sulla fondatezza ed opportunità dell’atto vietato al Parlamento o alle varie Assemblee, alle quali faccia capo l’Autore dell’atto vietato e nelle quali potrebbe prevalere la logica della ‘maggioranza’ di governo. Bisognerebbe prevedere nuovi Organi nei quali possa essere presente e ‘diretta’ la presenza e la valutazione popolare.