l’avvocato
del popolo albanese.
le radici. proposte
Università di Bari
Sommario: 1. Gli Ombudsman.
– 2. Le radici.
– 3. Tribuni plebis. – 4. Defensores civitatum. – 5. Considerazioni
finali.
L’enorme e crescente fortuna delle varie figure di Ombudsman[1],
le quali stanno sorgendo e si stanno diffondendo in quasi tutto il mondo in
maniera rapida ed anche con caratteristiche fondamentali spesso mutuate tra
loro[2],
spinge operatori e studiosi ad interrogarsi sulle radici degli istituti e delle
configurazioni da loro assunte[3].
Tanto più che in molti casi essi
stanno andando ben oltre l’originaria veste di controllori, in nome e/o
per conto del Parlamento, sugli atti dell’Esecutivo per assumere il
ruolo, ben più incisivo, di difensori dei diritti dei cittadini e soprattutto
di salvaguardia dei diritti fondamentali. In tal modo le figure che vengono
delineate sembrano inserirsi all’interno del solco tracciato dal diritto
romano (attraverso il Tribunato della plebe) della difesa efficace del popolo e
della sovranità che gli appartiene, oggi più che mai di reiterata
attualità.
È per questo che il termine svedese Ombudsman, il quale ha assunto un significato ampio e generale ed
è diventato l’indicatore per antonomasia delle esigenze di difesa
dei cittadini, ha conosciuto e conosce varianti significative.
Così mentre il termine scandinavo Ombudsman (l’uomo che
fa da tramite) rinviava alla mediazione (tra Sovrano e Parlamento), in
Inghilterra e nel mondo anglosassone si preferì parlare di Commissioner parliamentary per accentuare
il fatto che si trattava di una istituzione fiduciaria del Parlamento. La
Francia ha scelto il termine Médiateur,
attraverso il quale si è voluto indicare che esso è un organo
della Pubblica Amministrazione e che, pertanto, interviene per il più corretto
svolgimento di essa. Anche di Mediatore
si è parlato all’interno della Comunità europea[4],
dove l’istituto si connota in modo del tutto particolare perché
non ha un Parlamento con il quale rapportarsi.
Nei Paesi dell’America latina e dell’Est europeo
(post-comunista), spesso usciti da dittature oppressive, si suole far menzione
diretta già nel nome al rapporto che si deve instaurare tra
l’istituzione ed il popolo: perciò si parla di Defensor del pueblo o di Avvocato del popolo.
In Polonia si è parlato di difensore dei diritti civili, mentre in Italia, dove manca
un’istituzione nazionale[5]
e vi sono diversi difensori civici
locali o mediatori in materie
specifiche (mediatore bancario, mediatore
dei minori etc.), spesso la figura concorre con altre istituzioni ed in
particolare con i Garanti (le Authority) sorti in diversi settori (ad
es., nel campo dell’editoria, nel
campo della concorrenza e del mercato, nel campo finanziario, nel campo della
riservatezza personale, nel campo dei lavori pubblici) con inarrestabile
propensione a moltiplicarsi[6].
Sempre (specialmente nelle terminologie che direttamente o
indirettamente fanno riferimento ad un legame tra l’Ombudsman ed il popolo) si avverte il desiderio di un organo che dia voce ai cittadini e ne raccolga le
lamentele e le aspirazioni: le quali sono particolarmente accentuate quando si
verta intorno alla tutela dei diritti dell’uomo [7].
Proprio riguardo al potere di difesa dei singoli si sta
affacciando un’esigenza nuova legata alla prepotente emersione dei
diritti dell’uomo. Questi diritti, di là dal loro contenuto e
dalla loro portata che talora hanno contorni non del tutto definiti[8],
sollevano la questione di chi debba proteggerli, soprattutto quando a violarli
sia proprio lo Stato. La soluzione finora adottata (anche in tempi recenti)
è stata quella di affidare la protezione ad istanze sopranazionali
(speciali[9]
o generali[10]) presso le quali gli Ombudsman attualmente non hanno legittimazione diretta[11].
Di conseguenza, di fronte ai soprusi ed alle violazioni, il ruolo dell’Ombudsman è tutto da precisare,
poiché egli non ha legittimazione sovranazionale e, per lo più,
deve limitarsi ad elevare una protesta, nel proprio Paese, la quale non ha
nessuna certezza di essere accolta.
Mi sembra che il punto evidenzi una caratteristica costante
dell’Ombudsman, il quale si
propone come organo di vigilanza e denuncia, ma senza la certezza di potere
ottenere la soluzione delle situazioni e delle storture rese note.
In questa sede non mi posso soffermare sulle considerazioni vaste
e profonde che la materia richiede. Mi limiterò ad una riflessione
comparativa tra siffatte istituzioni moderne, condotta alla luce del diritto e
dell’esperienza romana. Per mia scelta (probabilmente arbitraria, come
ogni scelta soggettiva) e per esigenza di semplificazione, mi riferirò
alle varie figure oggi esistenti utilizzando i termini Ombudsman e defensores.
Da più parti sia la dottrina sia gli operatori del diritto
si chiedono quale sia la fonte prima a base dell’istituzione di organi di
controllo dell’esercizio del potere,
diretti a prevenire e/o reprimere ogni abuso ai danni del cittadino.
Al riguardo è usuale ed appare spontaneo il confronto ed
il richiamo al Tribunato della plebe
ed alle più tarde figure di difensores
civitatum (e/o locorum).
Vi è, infatti, la tendenza a giustificare ed in qualche
misura a nobilitare le moderne istituzioni con i richiami all’antico
Tribunato, il cui fascino si può dire che non si sia mai sopito nello
sviluppo della civiltà giuridica europea e delle Americhe[12].
Si può dire che il ricordo del Tribunato con la sua
indipendenza e capacità di contrapposizione alle magistrature della civitas attrae e resta un ideale per la
difesa del popolo e, quindi, per la completezza della democrazia.
Quanto poi esso sia riflesso dalle attuali figure di Ombudsman è tutto da verificare.
Mi pare che, malgrado i tentativi di
risalire al Tribunato, gli Ombudsman
abbiano natura e funzioni del tutto differenti rispetto ad esso.
In primo luogo è da evidenziare la difformità
fondamentale tra le funzioni degli Ombudsman
e quelle dei Tribuni plebis.
I primi hanno quasi costantemente lo scopo di perseguire l’esercizio corretto del potere,
proponendosi come organi di controllo dell’operato soprattutto
dell’esecutivo e senza possibilità di interferire né con il
potere legislativo né con il potere giudiziario.
Questo deriva dal fatto che gli Ombudsman si confrontano con la concezione liberal-democratica
dello Stato, basata sul principio della divisione
dei poteri, e realizzano un momento di presa di coscienza del fallimento di
quel principio[13].
Sta di fatto che gli Ombudsman,
i quali spesso hanno essenzialmente compiti di denuncia e di messa in mora,
normalmente non hanno il potere di imporre le proprie decisioni, ma solo la
possibilità di persuadere dell’opportunità di rispettarle;
di conseguenza, essi intervengono per chiedere che determinati atti siano
compiuti ovvero che essi siano conformi alla legge ed ai criteri di buona amministrazione.
Gli Ombudsman nascono e
si profilano come la risposta alla necessità di assicurare ai singoli
una salvaguardia penetrante nei confronti degli atti delle Pubbliche
Amministrazioni. Questo, per il mondo anglosassone, è riflesso persino
dal nome che è quello di Parliamentary
Commissioner for Administration[14].
Gli studiosi ritengono di cogliere le competenze e le
caratteristiche principali degli Ombudsman
proprio nella comune proiezione verso il controllo degli atti. È convinzione corrente che gli Ombudsman tendano a contenere l’eccessivo ampliamento dei
poteri e dell’attività dello Stato e della pubblica
amministrazione e che essi, pur nella diversità assunta dalle numerose
figure di Ombudsman, abbiano
caratteristiche comuni, più o meno accentuate o diversificate da Paese a
Paese[15].
In questo vedo già la prima diversità rispetto ai Tribuni plebis. Infatti gli Ombudsman intervengono per far sì
che il comportamento dell’esecutivo e dei suoi organi sia conforme alla
legge ed ai criteri di buona amministrazione. Inoltre possono chiedere che un
atto necessario per il singolo cittadino sia compiuto.
Nessuna interferenza hanno nei confronti della legge e del
Parlamento, del quale nel modello svedese, anglosassone e latino-americano,
sono espressione[16].
Questo si riflette nelle modalità di nomina degli Ombudsman, che salvo qualche eccezione (delle quali la più
significativa, come si è detto, è quella francese) sono di nomina
parlamentare[17];
inoltre essi riferiscono al Parlamento con un Rapporto annuale. Risulta
perciò evidente che gli Ombudsman
sono concettualmente subordinati al Parlamento, del quale rafforzano i poteri
di controllo ed indirizzo.
Un altro punto, quasi generale, è la costante negazione di
qualsiasi forma di controllo degli Ombudsman
sull’esercizio della giurisdizione. In conformità al principio di
indipendenza dei giudici gli Ombudsman
non possono interferire in nessun modo sul processo di emanazione e sul contenuto delle sentenze. In alcuni casi al
massimo essi possono intervenire riguardo alla organizzazione della
Giustizia, ma mai nel merito e riguardo alla correttezza delle sentenze. Per
esse sono previsti sistemi di controllo affidati ai vari gradi di giudizio o a
provvedimenti speciali (appello, ricorso per Cassazione, revisione) oppure alle
Corti Costituzionali o alla Corte Suprema. Perciò si ritiene quasi
ovunque che le sentenze restino fuori da altre forme di controllo, come possono
essere gli interventi degli Ombudsman[18].
Questo da un lato è giustificato dall’esigenza di
assicurare l’autonomia di giudizio e l’indipendenza assoluta dei
giudici, dall’altro crea disagio, quanto meno per due motivi:
perché i procedimenti di riesame processuale (costituito
dai sistemi di impugnazione delle
sentenze) sono normalmente costosi e lunghi e non sono in grado di assicurare
l’accesso alla Giustizia ai meno abbienti ed in tempo congruo rispetto
alle esigenze di chi si ritiene danneggiato da un sentenza ingiusta;
perché in molti Paesi uno dei problemi più
scottanti riguardo ai quali i cittadini invocano tutela è costituito
dalla estensione della corruzione dei
giudici[19],
la quale può essere combattuta con strumenti che necessariamente devono
essere diversi dalle normali vie di emanazione delle sentenze.
Per questi motivi l’azione degli Ombudsman oggi appare impotente in molti casi nei quali le persone
vorrebbero protezione.
Ben diversi erano la configurazione ed i poteri dei Tribuni della
plebe nell’esperienza della respublica
romana.
Essi erano espressione diretta della plebe ed il proprio ruolo
non era in nessun modo collegato o dipendente dagli organi (consoli ed altri
magistrati, Senato, Comizio) della civitas.
Perciò la loro autonomia era totale e si manifestava nel concorso
all’esercizio del potere[20].
Essi cioè partecipavano all’esercizio dei poteri in una maniera
del tutto particolare con la quale garantivano l’equilibrio
all’interno della civitas[21].
Partendo dall’originario potere di intervento in aiuto al singolo plebeo
vessato da un atto di qualsiasi natura (auxilii
latio adversus consules) i Tribuni avevano sviluppato il potere di veto (intercessio) che era generale, contro
qualsiasi atto e non richiedeva giustificazione o motivazione.
L’esercizio di siffatti poteri non mirava a richiedere che un
provvedimento venisse emanato o applicato correttamente,
perché invece aveva come scopo quello di impedire del tutto il
compimento di un atto, ponendosi come alternativa potenzialmente paralizzante
di tutta la vita pubblica della Respublica.
In ciò sta la prima grande differenza tra i Tribuni plebis dell’età
romana ed i moderni Ombudsman.
Sebbene entrambe le figure hanno un tratto comune, costituito
dalla difesa dei singoli e dei deboli, gli Ombudsman
agiscono all’interno dell’ordinamento chiedendo il corretto
funzionamento delle regole di esso. I Tribuni, invece, avevano una carica
rivoluzionaria perché potevano impedire anche atti che secondo
l’ordinamento erano legittimi. Inoltre, nel corso dei secoli il loro
intervento non era più necessariamente finalizzato alla difesa dei
deboli, proprio perché non dovevano dare nessuna spiegazione riguardo a
come esercitavano i loro poteri: tanto che, si ebbero «ripetuti, non sempre inani, tentativi di
vari gruppi o fazioni dei ceti
dominanti di blandire, influenzare o corrompere
almeno uno dei tribuni dell’anno o
addirittura di eleggerlo, ricorrendo, se del caso, all’espediente
della transitio ad plebem di qualche proprio esponente, il quale, rinunciando alla posizione e ai
privilegi di casta, entrava a far parte dell’ordine subalterno, facendosi
adottare o arrogare da un
plebeo (un patrizio, infatti, non poteva aspirare al tribunato). Di qui, poi,
soprattutto, il verificarsi non infrequente, a tutti noto, di episodi
sconcertanti»[22];
ad esempio, al tempo di Cesare, Clodio, che non era di origine plebea, fece di
tutto per diventare plebeo al solo scopo di assumere influenza e potere in Roma[23].
Perciò opportunamente si è osservato che i Tribuni
partecipano all’esercizio del potere e che nel II secolo a. C. «il tribunato era diventato una parte
integrante dello Stato costituzionale»[24].
Senza la pretesa di una pur necessaria disamina del punto, vorrei
qui ricordare soltanto che la partecipazione all’esercizio del potere
assumeva una connotazione del tutto anomala, la quale giustamente ha spinto gli
studiosi contemporanei a parlare di ‘potere
negativo’.
Sulla configurazione e sulla natura di questo particolare potere
la dottrina, specie quella più recente, ha prodotto significativi
approfondimenti ai quali posso solo rinviare[25].
Qui vorrei richiamare l’attenzione sulla complessità
e pluralità del potere tribunizio. Il quale si estrinsecava anche
nell’esercizio di facoltà ‘positive’ e concernevano
due nodi fondamentali: la potestà di proporre leggi; l’esercizio
di funzioni giurisdizionali.
Dopo l’equiparazione dei plebisciti alle leggi, avvenuta al
più tardi nel 287 a.C.[26], andò sempre più crescendo
il numero dei provvedimenti legislativi assunti attraverso i plebisciti sino al
punto che molti testi normativi che noi indichiamo come ‘legge’ in
realtà erano plebisciti[27].
I plebisciti venivano adottati nel concilio della plebe che di norma era
convocato e presiedete dai Tribuni, i quali formulavano la proposta di plebiscito ed avevano largo margine per
influenzare l’assemblea[28].
Nel corso del III secolo conseguirono il diritto a far parte del Senato ed a
presiederlo: ius senatus habendi[29].
Inoltre i Tribuni accanto ad un ius edicendi (cioè alla facoltà di esporre in
pubblico disposizioni e programmi di propria competenza [30]
ebbero un ampio potere di coercizione (summa
coercendi potestas), in base al quale «possono ordinare l’arresto (prensio), la sua custodia in
vinculis, possono promuovere processi per multa e per condanne capitali.
Possono procedere anche contro ex magistrati per fatti commessi durante la loro
carica»[31].
In una recente comunicazione lo Schipani ha richiamato
l’attenzione sul racconto di Pomponio[32] il quale attribuisce
ai Tribuni, menzionandoli addirittura «prima dei consoli, dei pretori e degli edili», il potere e la
responsabilità della giurisdizione, cioè di «reggere, governare, rendere il diritto ai
cittadini»[33].
Va infine ricordato che la nomina dei Tribuni avveniva per elezione diretta e che la carica del
Tribuno durava solo un anno e la possibilità di rielezione, pur se non
esclusa, raramente era praticata[34].
Inoltre il Tribunato prevedeva una pluralità di Tribuni,
ciascuno con la possibilità di esercitare l’intercessio e le altre attribuzioni della carica[35].
I Tribuni romani avevano di conseguenza
poteri negativi e positivi di ampiezza tale che è difficile riscontrarli
nell’età contemporanea e certamente andavano ben di là
dalle funzioni e dalle attribuzioni degli Ombudsman.
Soprattutto mancano agli Ombudsman
poteri di intervento capaci di fermare un atto ritenuto lesivo di interessi.
Inoltre, poiché a volte l’ingiustizia può nascere dalla
stessa legge oppure i Parlamenti non provvedono su questioni che richiedono un
provvedimento o la modifica della precedente disciplina, in genere manca agli Ombudsman la possibilità di far
approvare normative da loro predisposte.
Il punto è all’attenzione degli Ombudsman e comincia, anche, a trovare soluzioni: ad esempio la
legge di riforma della pubblica amministrazione (dcra) del 2000 [36]
ha previsto un certo potere di iniziativa legislativa del Médiateur de la République de France; la legge
istitutiva dell’Avvocato del popolo
albanese ha previsto che egli possa rivolgere al Parlamento richieste di
provvedimenti legislativi nel campo della tutela dei diritti dell’uomo[37].
Nel campo della giurisdizione gli attuali Ombudsman possono ottenere la legittimazione al processo per i
diritti violati: posizione diversa e direi impensabile per i Tribuni che
avevano poteri giurisdizionali e coercitivi propri e non potevano entrare in
una causa come se fossero una parte qualsiasi.
Diversa appare la situazione dei defensores civitatum (e/o locorum),
che erano diffusi con configurazioni e competenze differenti nelle due parti
dell’Impero dal IV secolo e trovarono attenta disciplina nei Codici
ufficiali, di Teodosio II e di Giustiniano.
Non intendo soffermarmi (qui) sulla materia, la quale peraltro ha
dato luogo ad opinioni non sempre univoche[38].
Si tratta di una realtà varia, la quale ha dato luogo a
figure non riconducibili, se non per approssimazione e opportunità di
semplificazione, ad uno schema unico.
I nomi con i quali le varie configurazioni
erano indicate erano molteplici, non diversamente con quanto oggi (come si
è detto e peraltro è largamente noto e sotto gli occhi di tutti)
si può dire per le diverse forme che sogliono essere raggruppate nella
figura-modello dell’Ombudsman. Per
lo più si parlava di defensores,
di ecdici (ekdikoi), di patroni o di syndici (sundikoi).
Tralascio di approfondire le differenze e di affrontare qui il problema se
tutte queste figure siano state o meno difensori dei cittadini o solo
difensori, nel puro senso tecnico (di coloro che assumono la difesa) delle
collettività e nello specifico delle città.
Mi soffermo, invece, su alcuni caratteri che meglio delineano il
ruolo e lo scopo della loro istituzione.
Una costituzione di Valentiniano III del 368 dice esplicitamente
che il motivo della creazione dei patroni,
che la dottrina identifica nelle finalità e nelle funzioni con i
‘difensori’[39],
risiedeva nell’evidente opportunità di dare protezione ai
bisognevoli (alla plebe dice il testo) contro i soprusi dei potenti: admodum utiliter edimus, ut plebs omnis
Inlyrici officiis patronum contra potentium defendantur iniurias[40].
Anche se concernente l’Illirico, si può concordare
con la dottrina che attribuisce alla disposizione una valenza generale, la
quale pare riflettere orientamenti diffusi nell’Occidente[41].
Dunque una prima proiezione dei difensori consiste nella
protezione dei deboli contro chi esercita il potere. Questa proiezione avviene
per volontà espressa dell’Imperatore. Si crea così una
facile equazione che dà vita ad un importante sillogismo riassumibile
nei termini seguenti: sono i potenti a commettere abusi ed ingiustizie,
è l’Imperatore a provvedere alla tutela dei deboli; di
conseguenza, l’Imperatore è il protettore dei deboli.
Nasce in tal modo una ideologia, alimentata in vario modo, che
contrappone i deboli ai potenti ma nello stesso tempo pone l’Imperatore,
che pure è al vertice del potere, fuori dal novero dei potenti
sopraffattori e anzi a fianco degli oppressi e del popolo minuto.
È una visione che rovescia totalmente
le visioni repubblicane e classiche dei Romani. In esse la protezione dei
Tribuni era contro il vertice del potere (contra
consules) e la storiografia non era certamente ‘favorevole’ o
semplicemente ‘condiscendente’ con gli Imperatori. Esemplare era la
sferzante ricostruzione di Tacito; ma anche Svetonio, pur con meno acrimonia,
indugia sulle nefandezze dei vari Caligola, Nerone, Comodo.
Non credo di esagerare nel dire che il modo di costruire la
figura dei defensores apre una pista
che porta lontano, arrivando alla saga dei Re buoni (Artù, Riccardo
etc.), che lambisce l’età moderna nel contrapporre i dignitari al
Sovrano e nell’attribuire a questi sentimenti di comprensione e vicinanza
con gli strati più bassi della popolazione.
Siamo di fronte ad una rivoluzione concettuale che si inserisce
bene nel contesto dell’Impero romano dove l’appello contro sentenze
ritenute inique o delle quali comunque non si intende sopportare le conseguenze
non è più al popolo (come era nella provocatio repubblicana) ma all’Imperatore. In tal modo il
giudizio finale passa dalla collettività all’Imperatore e cambia
il giudizio di valore: chi conta ed ha diritto all’ultima parola non
è il populus romanus
bensì l’Imperatore.
Rispetto al Tribunato si ha un altro capovolgimento. Esso
è costituito dal fatto che non si vuole impedire l’atto, bensì
si chiede che esso sia realizzato secondo giustizia ed equità.
I defensores non
intervengono per vietare, ma per realizzare la buona amministrazione che è perseguita
dall’Imperatore. Per questo motivo erano nominati dall’Imperatore
(concretamente attraverso il prefetto del
Pretorio) e non più eletti; sebbene Giustiniano cercherà di
introdurre almeno la designazione da parte della città. Ciò anche
perché essi non sono più, come i Tribuni, organi della
Città, bensì dell’Impero e finanche quando vengono nominati
per una città saranno sempre organi dell’Impero, assumendo una
natura mista che può essere allo stesso tempo cittadina ma sempre
imperiale[42]
e che deve rispondere all’Imperatore, il quale si preoccupa della loro
onestà e di evitare che potessero apparire sospetti di
parzialità, ad esempio accettando donativi dai privati, mentre dovevano
essere pagati preferibilmente con fondi pubblici[43].
In ciò vi è un evidente parallelismo con gli Ombudsman dell’era contemporanea,
dove si pongono come strumento della buona amministrazione.
In origine questa finalità era perseguita in nome del Re.
Con la perdita del potere da parte del sovrano e con l’emergere del ruolo
centrale dei Parlamenti, essa fu perseguita in nome del Parlamento.
Si delineò, in tal modo, un assetto nuovo, il quale era
figlio dell’ideologia che aveva visto la creazione dei defensores. Essa, però, in
conseguenza della crisi di ruolo del Parlamento, oggi è in
difficoltà. Tant’è che si cerca un diverso fondamento per
gli Ombudsman e si tenta di giustificarli
facendo riferimento diretto alla riappropriazione del proprio ruolo da parte
dei cittadini e, secondo la tendenza ultima, dell’uomo con i suoi diritti
insopprimibili.
Quanto ai defensores,
la disamina articolata delle loro attribuzioni mostra che di là da
queste connotazioni essi erano più complessi e, mi pare, anche
abbastanza dissimili dagli attuali Ombudsman.
Infatti spesso ebbero ruolo attivo nell’Amministrazione,
attendendo a funzioni certificative o di polizia[44] oppure con competenze
di gestione della giustizia (che è ora quella, extra ordinem, dell’Imperatore) talora con potere di imporre
condanne (soprattutto multe) e di imprigionare[45]. In Oriente fu
addossato ai defensores il controllo
di confine o le incombenze (peraltro attribuite anche ai Vescovi) di lotta alla
prostituzione e di assistenza alle donne spinte al turpe mestiere contro la
propria volontà[46].
Gli Imperatori e soprattutto infine Giustiniano ebbero cura di
accentuare l’indipendenza dei defensores,
particolarmente nei confronti della burocrazia provinciale, ma anche nei
confronti dei giudici, perché fu affidato ad essi il compito di
controllo della loro moralità (in alternativa ai magistrati cittadini,
cioè ai duumviri).
La complessità delle attribuzioni dei
defensores era così grande che
a Giustiniano apparve opportuno emanare una specie di legge quadro[47], che fu inserita all’interno di un
provvedimento di riordino dell’Amministrazione. L’inserimento della
normativa concernente il difensore pubblico nella legislazione di riordino
della pubblica amministrazione registra ai nostri giorni un ritorno
significativo nella più recente riforma del Médiateur francese, anch’essa (come si è
già avuto occasione di dire) collocata nella legge di riordino della
Pubblica Amministrazione (dcra)[48]. Evidentemente anche i compiti dei defensores così come oggi quelli
degli Ombudsman rientrano in una
visione organica della buona amministrazione, là dove questa è
forte ed assorbente.
Naturalmente, sia detto per inciso, nulla di più lontano
ed estraneo al Tribunato della plebe.
I richiami all’esperienza romana servono per risalire alle
radici di soluzioni che ancora oggi sono spesso prospettate come rimedio alle
ingiustizie ed in particolare all’abuso nell’esercizio del potere
ed alle iniquità create dal sistema.
L’aspirazione ad avere idonee forme di controllo del
‘potere’ e sui ‘potenti’ è antica[49]
ed è tanto più avvertita quanto più il popolo è o
si sente estraniato dal ‘potere’.
Oggi la crescente diffusione degli Ombudsman mi pare sia da mettere in relazione diretta con la
sfiducia crescente nello Stato ed, in qualche modo, mi pare l’indice del
fallimento della democrazia
parlamentare. In essa il cittadino e più in generale la
‘persona’ non ha ‘voce’ nella organizzazione e nella
gestione della società e quando si sente vittima di ingiustizie non ha
fiducia nei rimedi a lui offerti dalla normale Amministrazione della Giustizia;
i quali sono tecnicamente sempre più complessi, costosissimi e
lentissimi.
L’introduzione degli Ombudsman
crea talora l’illusione di avere strumenti efficaci e può
distogliere dalla strada maestra che dovrebbe essere quella di rendere
partecipativa ed effettiva la democrazia.
La forza maggiore degli Ombudsman
si realizza attraverso la denuncia e il diritto alla risposta alle proprie
richieste (diritto di seguito), che
hanno rilievo più o meno considerevole ma denotano che nel Paese non vi
è controllo adeguato da parte dell’opinione pubblica (e della
stampa) e che normalmente la pubblica amministrazione neppure si preoccupa di
dar conto delle proprie azioni.
La ‘storia’ dei defensores
deve mettere in guardia dall’illusione che vi siano ‘poteri
buoni’ i quali hanno a cuore il bene del popolo minuto. Questo va tenuto
presente oggi, poiché mi sembra che la diffusione degli Ombudsman ha in sé una
contraddizione. Da un lato è originata dalla sfiducia nello Stato,
dall’altro si fonda nella convinzione che vi siano Organi
‘buoni’ (in particolare il Parlamento, il Presidente della
Repubblica) in grado di dare ascolto alle istanze del popolo; il che è
tutto da verificare.
L’esperienza romana dimostra che la democrazia ha bisogno
di poteri ‘forti’ (e certamente tali erano quelli dei consoli), ma
anche di idonei contrappesi che venivano offerti, tra altri, dall’intercessio dei Tribuni. Questi dovevano
la loro indipendenza alla propria storia ed al fatto di non ricevere né
la nomina né la giustificazioni da nessun altro se non dal popolo
stesso.
Un ulteriore punto non secondario concerne la composizione
dell’Ombudsman.
L’esperienza romana era incentrata su un unico organo, collegiale (nel
senso romano e non in quello odierno) con competenza generale. Oggi si discute
se serva un unico Ombudsman, il quale
potrà articolarsi al proprio interno per materie (come ha fatto il Médiateur francese) e per
competenze territoriali oppure servano ‘difensori’ diversi e
distinti per settori, come è per il Parliamentary
Commissioner inglese. Mi pare che
l’unicità dell’organo dia maggiori certezze, quanto meno
perché si presenta ai cittadini come punto di riferimento unico e, di
conseguenza, di facile individuazione.
Oggi è spesso sbandierata l’indipendenza degli Ombudsman. Ma sino a quando non verranno
eletti direttamente dal popolo essa sarà in qualche modo vincolata alle
vicende della ‘politica’ e dei suoi facitori.
I Tribuni, come si è sottolineato, non dovevano motivare i
propri veti; ciò mi pare essenziale ancora oggi, non fosse altro che per
sottrarre l’atto dell’Ombudsman
al defatigante controllo di ‘legittimità’ che gli toglierebbe
immediatezza ed efficacia.
Vorrei chiudere con un richiamo alla cautela nella valutazione
delle esperienze degli Ombudsman.
Esse sono certamente di grande rilevanza ma devono guardarsi dal rischio di
offrire una via di evasione dai problemi reali delle società di oggi, in
gravi difficoltà per la crisi della democrazia rappresentative a causa
dell’inadeguatezza della teoria della divisione
dei poteri sulla quale esse dicono di fondarsi.
Quanto agli Ombudsman
avrei alcune proposte per dar loro effettiva indipendenza ed efficacia:
elezione diretta e sfasata rispetto alle
elezioni parlamentari (per evitare che la loro scelta dipenda totalmente dalle
logiche di maggioranza partitica)[50];
durata congrua della carica, ma limitata e non
reiterabilità del mandato[51];
concessione di un particolare ‘diritto di veto’; con
l’eventuale previsione di procedimenti speciali per superare il loro
‘divieto’[52],
ovviamente davanti ad un organo diverso dall’organo autore del
provvedimento e da chi ha nominato tale organo[53].
Credo che in tal modo il cittadino verrebbe
rimesso nel ‘gioco politico’.
Intanto occorre porre molta attenzione alle figure di Ombudsman di più recente
introduzione, le quali, attraverso l’attribuzione di poteri e prerogative
penetranti, cercano di superare le difficoltà e gli ostacoli che
l’istituto ha evidenziato. È questo il caso dell’Avvocato del popolo della Repubblica di
Albania. Esso costituisce un’importante novità che propone una
nuova configurazione del ‘modello’ giuridico di quel Paese,
nell’ambito dei sistemi del Mediterraneo.
Da questa consapevolezza è nato il proposito di dedicare
all’Avvocato del popolo
albanese il presente volume.
[1] Il nome, come è noto, nacque da un decreto di Carlo XII, del
1713 con il quale venne introdotto l’Högste
Ombudsman.
[2] Sul punto cfr., in questo volume, N. Shehu, Dall’Högste
Ombudsman all’Avvocato del
popolo albanese, la quale indica
come prova del favore riscosso dagli Ombudsman
la progressiva costituzionalizzazione di essi: v. in particolare la nt. 4, con
i ragguagli sull’ultima bibliografia.
[3] Molti autori spiegano l’espansiva ed inarrestabile
diffusione degli Ombudsman con la
crescente estraniazione degli organi di potere dall’uomo e dalle sue
esigenze. Questo spinge le persone ad accogliere con visibile favore una
istituzione con la quale sia possibile dialogare e che sia facilmente
accessibile. Sul punto cfr., per tutti, G.
Lobrano, Res publica res populi.
La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, 280 ss. ed ivi bibl.,
289: «Il ricorso ai "difensori
civici" (sempre più diffuso ai vari livelli: sovrastatuale,
statuale e delle cd. 'autonomie locali' è il segno importante di una
esigenza forte sebbene ancora confusamente avvertita e ancora più confusamente
interpretata e tradotta nelle istituzioni: dare soluzione al problema della
difesa dei governati di fronte al concorde complesso dei 'governanti' (nel
senso ampio della parola)»; M.M.
Padilla, La institución del
Comisionado parlamentario (el Ombudsman), Buenos Aires, 1972; M. Seneviratne,
"Ombudsman in the Public Sector",
Buckingham: Open University Press, 1994; Id.,
"The European Ombudsman", in Journal of Social Welfare and Family Law- 1999 - 21(3), 1999, pp.
269-278; Id., "Ombudsmen 2000", Inaugural Lecture 17
april 2000, Nottingam, Centre for
legal Research, Nottingam Law School, 2000 - versione elettronica, 1 ss.
[4] Cfr. L. Cominelli, Il mediatore europeo. Ombudsman dell’unione: prime osservazioni,
in Sociologia del diritto, 2001/1,
pp. 91 ss.
[5] Ciò malgrado i disegni di legge depositati in Parlamento,
però senza fortuna, e a dispetto della legge nr. 127 del 15/5/1997 la
quale prevedeva l’istituzione del Difensore civico nazionale e sanciva
che solo sino alla sua introduzione i difensori
regionali e provinciali delle Regioni autonome esercitavano il controllo degli
organi periferici dell’Amministrazione centrale.
[6] Lo sguardo panoramico e sintetico contenuto in questo stesso
volume dal contributo citato di N. Shehu, mi esime dall’analisi delle
differenti configurazioni di Ombudsman
e del significato legato ai nomi con i quali essi sono indicati; perciò
rinvio ad esso ed, in particolare, alle ntt. 2-25. Sul punto v. anche G. Mastropasqua, Il difensore civico – Profili
sistematici e operativi, Bari, 2003, 20 ss.
[7] Anche su questo punto, concernente il legame profondo tra Ombudsman e tutela dei diritti
dell’uomo, rinvio ale riflessioni esposte da N. Shehu, op. cit. alla nt. 2, in modo specifico
al nr. 8 concernente la salvaguardia dei
diritti dell’uomo. L’a. ricorda che: «La preoccupazione per i diritti
dell’uomo è una costante delle Organizzazioni internazionali.
Già nel 1946 presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite
fu esaminata una proposta tendente ad affidare la tutela e lo sviluppo dei
diritti dell’uomo ad apposite istituzioni nazionali. Si innescarono vari
processi per i quali fu necessario fare il punto in tempi piú recenti.
Tra le vicende che e le iniziative che ne seguirono va segnalata soprattutto quella
del giugno del 1990, quando i Paesi partecipanti alla Conferenza per la
Sicurezza e la Cooperazione, riunita in Danimarca a Copenaghen, proposero, in
primo luogo agli Stati partecipanti ma in generale ad ogni Paese, di “rendere
possibile la creazione e il consolidamento delle istituzioni nazionali,
indipendenti nel campo dei diritti dell’uomo e dello Stato del
diritto”. L’anno dopo furono
enunciati i “Principi di Parigi” i quali, a conclusione della
Conferenza internazionale, tenutasi a Parigi, tra le istituzioni nazionali che
si occupano della difesa e lo sviluppo dei diritti dell’uomo, enunciarono
i punti essenziali per fare in modo che le legislazione dei singoli Stati
creassero o rafforzassero attraverso la propria legislazione in maniera chiara
ed esplicita le istituzioni che dovevano badare alla difesa ed allo sviluppo
dei diritti dell’uomo. Questa esigenza fu confermata e sottolineata con
forza nel 1993 dalla Dichiarazione di Vienna, la quale tornò a chiedere la creazione ed il rafforzamento di
istituzioni nazionali dirette alla salvezza e promozione dei diritti
dell’uomo. In conseguenza di queste spinte e della forza che la tutela
dei diritti dell’uomo stava assumendo presso l’opinione pubblica
mondiale alcuni Paesi pensarono di utilizzare gli istituti dell’Ombudsman per affidare loro la tutela dei diritti
dell’uomo».
[8] Sul punto non mi posso fermare in questa sede, dove mi limito a
ricordare che essi sono e sono stati indicati dalle note
‘Dichiarazioni’ e ‘Convenzioni’ internazionali sia
delle Nazioni Unite sia dell’Unione europea e danno luogo ad un elenco il
quale necessita di continuo aggiornamento. Di recente la dottrina e qualche
Corte Costituzionale (ad esempio, in qualche misura, quella italiana) hanno
anche affermato un principio che rivoluziona le Costituzioni materiali. Si
sostiene che i diritti fondamentali fanno parte delle Costituzioni dei Paesi
anche se non esplicitati nella rispettiva Carta Costituzionale.
[9] È
il caso del Tribunale Internazionale penale per i crimini della ex Jugoslavia (tpij), istituito nel 1993, con sede a
l’Aia, in conformità alla delibera dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite del 1991, dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite
nel 1993 richiamando gli artt. 39 e 40 del Capitolo VII (Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed
agli atti di aggressione) della Carta istitutiva delle N.U. e del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (tpir) istituito con una risoluzione del Consiglio di sicurezza
dell’onu, la nr. 955
dell’8 novembre 1994.
[11] In genere, come è per gli ultimi due Tribunali menzionati,
vi è un apposito Procuratore con competenza a promuovere l’azione
penale: v. l’art. 11 lett. b) dello Statuto del Tribunale per i crimini
compiuti nell’ex Jugoslavia.
[12] Della copiosa letteratura mi limito a citare le espressioni
più recenti: G. Lobrano, Dal ‘defensor del pueblo’ al
Tribuno della plebe: ritorno al futuro. Un primo tentativo di interpretazione storico-sistematica,
con particolare attenzione alla impostazione di Simón Bolivar, in “Da roma
a Roma”. Dal Tribunato della Plebe al difensore del popolo. Dallo Jus
gentium al Tribunale penale internazionale, a cura di P. Catalano-G. Lobrano-S. Schipani, in
"Quaderni IILA", Serie
Diritto I, Roma 2002, 67 ss.; B.
Alamanni De Carrillo, El rol del
Ombudsman en America latina (su tradición romana), in “Da Roma a Roma”, cit., 91 ss.; AA.VV., La difesa civica italiana tra mediazione e tribunato della plebe,
Taranto 2-3 aprile 2003. In particolare il Lobrano, cui, assieme al Catalano
(del quale v. Tribunato e resistenza, Torino,
1971), dobbiamo le pagine recenziori più penetranti sul Tribunato, mette
in evidenza l’influenza del Tribunato nella delineazione degli assetti
costituzionali contemporanei durante la rivoluzione francese e nelle
elaborazioni dottrinale dal 1500 al secolo scorso. L’istituto viene
spesso evocato pur dopo la caduta dell’impero romano e passa dal
‘Consiglio dei dieci’ istituito a Venezia nel secolo VI d. C., al
‘Sindicus’ dei Comuni,
durante il Medio Evo; sino al Tribuno del
popolo romano di Cola di Rienzo
nel 1344. La reintroduzione, in varie forme, del tribunato è invocato
anche da Calvino (1536), Hotmann (1567), De mariana
(1599), Althusius (1586). Nel 1700 al Tribunato si rivolge l’attenzione
dei padri del costituzionalismo moderno. In Francia propongono di far capo al
Tribunato sia il Montesquieu sia il Rousseau, così come il Babeuf. In
Germania il Tribunato viene riproposto dallo Schlegel (1795), dai cui scritti
il Kant trasse ispirazione per la costruzione del sistema federale e
soprattutto dal Fichte (a cavallo tra la fine del secolo XVIII e l’inizio
del secolo XIX). Il Tribunato è costantemente presente nel
costituzionalismo latino-americano di Francisco de Miranda, di Simón
Bolivar. Viene proposto (ad opera di C. Agostini e Carlo Luciano Bonaparte) nel
modello di Costituzione della Repubblica romana nel 1849 e viene sostenuto
negli Stati Uniti d’America dal grande costituzionalista John Caldwell
Calhoun. Ultima eco del Tribunato e della sua grandezza si ha in Italia nel
1870 nell’opera (Guida alla
elezione politica, Napoli, 1870) di Guido Padelletti.
[14] Cfr. R. Gregory and J. Pearson, The Parliamentary Ombudsman after twentyfive
years: problems and solutions, in Public
Administration 70, 1992, pp. 469-498; R. Gregory
and PH. Giddings, The Ombudsman, the Citizen and Parliament -
A history of the Office of the Parliamentary Commissioner for Administration
and the Health Service Commissioner, Politico's Publishing, London, 2002; W. Haller, The place of the Ombudsman in the world community", in Fourth
International Ombudsman, Conference Papeis, Canberra, 29, 1988; M. Harris and M. Partington,
Administrative Justice in the 21st Century, Chapter 8, Hart Publishing,
1999; M. Seneviratne, Ombudsmen:
public services and admnistrative justice, Lexis Needs, Butterworths, 2002.
[15] Tra esse possiamo indicare: a) il controllo sui funzionari delle
amministrazioni civili, ma non sui ministri, perché questi sono solo
responsabili per l'indirizzo politico e subiscono solo il controllo del
Parlamento; b) impossibilità di sindacare il merito degli atti
amministrativi discrezionali. Esclusione di intervento dell'Ombudsman su questioni pendenti davanti
ad un giudice di qualsiasi natura (penale, civile, amministrativa); c)
possibilità di attivarsi dietro ricorso del singolo (con o senza
particolari formalità), o d'ufficio; d) potere di iniziare un'azione
penale nei confronti dei funzionari (giudici compresi) che abbiano compiuto
atti contrari ai loro doveri o comunque illegittimi; e) presentazione di una
relazione periodica, di norma annuale, al Parlamento sull'attività
esplicata, con possibilità di introdurre osservazioni sul funzionamento
dell'amministrazione, anche riguardo alla collaborazione da essa prestata all'Ombudsman; la relazione dopo la
presentazione al Parlamento può essere approvata e resa pubblica; f)
possibilità di avanzare proposte per il miglioramento della legislazione
e dell'amministrazione pubblica.
[16] Nel rapporto con il Parlamento è nato e si è
articolato l’Ombudsman del
modello scandinavo: cfr. A. Di Giovine,
L’Ombudsman in Scandinavia, in C. Mortati
(a cura di) L’Ombudsman: (il difensore
civico), Torino, 1974, 45 s. Del Commissioner
parliamentary inglese si è detto; del resto già il nome
sottolinea lo stretto nesso tra Ombudsman
e Parlamento, del quale egli è espressione. Il Médiateur francese che pur era nato, nel 1973 (con la legge
n. 73-6 del gennaio 1973), come organo del Consiglio dei Ministri perché
non apparisse come un organo di controllo del Parlamento bensì come
l’emanazione del vertice dell’Amministrazione, nel 2000 (con la
legge n. 2000-321 del 12 aprile 2000 relativa ai diritti dei cittadini nelle loro relazioni con le amministrazioni -
dcra), deve dar conto al
Parlamento attraverso l’invio a ciascuna delle due Assemblee del suo
Rapporto annuale. La legge istitutiva del defensor
del pueblo della Repubblica Argentina (la Ley 24.284, revisionata dalla ley
24.379) al primo articolo dice espressamente «se crea en el ámbito del Poder legislativo de la Nación
la Difensoria del Pueblo». L’art. 276 della Costituzione del
1992 afferma: «El Defensor del
pueblo es un comisionado parlamentario cuyas funciones son la defensa de los
derechos humanos, la canalización de reclamos populares y la
profesión de los intereses comunitarios. En ningún caso
tendrá función judicial ni competencia esecutiva».
[17] In tal senso dispongono spesso le Costituzioni sia
latino-americane, sia di molti Paesi dell’Est europeo, come la Russia, la
Slovenia, la Romania, l’Albania: sul punto v. il saggio citato di N.
Shehu sull’Avvocato del popolo
albanese.
[19]
Impressionanti, ad esempio, sono le sottolineature con le quali costantemente
nei suoi Rapporti annuali l’Avvocato albanese insiste sulla
vastità della corruzione dei giudici in Albania, la quale si inserisce
nell’ambito di una prassi di costante corruzione dei pubblici poteri nel
Paese e costituisce una delle principali emergenze: cfr. Rapporti 2000, 2001,
2002, 2003 riprodotti in sintesi in questo volume e si tengano presente le
osservazioni al riguardo esposte da N. Shehu in questo libro.
[20] Dalla copiosissima letteratura mi limito a rinviare ai lineamenti
sulla nascita e sulla posizione dei Tribuni esposti dal F. De martino, Storia
della costituzione romana, partic. vol. I cap, XIII, Napoli, 1958, ed alle
osservazioni di P. Catalano, Tribunato e resistenza, Torino, 1971; E.
Cocchia, Il tribunato della plebe e la sua autorità giudiziaria studiata
in rapporto colla procedura civile. Contributo illustrativo alle legis actiones
e alle origini storiche dell'editto pretorio, Roma, 1971; G. Grosso, Sul tribunato della plebe, Labeo 20, 1974, 7-11; P. Catalano, Stato e istituzioni rivoluzionarie in Roma antica, in Index. Quaderni camerti di studi
romanistici. International Survey of Roman Law 7, 1977, VII; G. Lobrano, A proposito di Stato e istituzioni rivoluzionarie in Roma antica,
in Index 7, 1977, 3 ss.; G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe [Fondaz. G. Castelli, 46],
Milano, 1982; S.A.B. Meira, O tribunato da plebe em face do Dereito romano, Estudios J. Iglesias II, Madrid, 1988,
829-843.
[21] La specificità del Tribunato come istituto essenziale per
la Respublica, in assenza del quale
non si sarebbe potuto parlare di Repubblica bensì di Regno camuffato, era evidenziata persino
da Cicerone, il quale certamente non era sospetto di simpatie ‘popolari’:
v. G. Lobrano, Dal ‘defensor del pueblo’ al
Tribuno della plebe, cit., 75.
[22] F. Càssola-L.labruna, I
tribuni della plebe, in AA.VV.,
Lineamenti di storia del diritto romano,
2a ed., Milano, 1989, 179.
[23] Cfr.
M.A. Levi-A. Meloni, Storia romana dagli etruschi a Teodosio,
Milano, 1960, 224. Più in generale si deve osservare che i Tribuni
diventarono protagonisti delle lotte politiche e si servivano dei loro poteri
anche per sostenere il proprio partito e non solo per scopi oggettivi e di
ausilio dei deboli: tanto che, allo scopo di evitare ciò, Silla
sottrasse ai tribuni il potere di intercessio
svuotandone le funzioni più efficaci e riducendoli, con ciò, ad imago sine re: (secondo
l’espressione degli stessi osservatori Romani del tempo: v. Velleius
Paterculus, Historiae Romanae 2. 30.
4). Sul punto cfr. P. Cerami, le vicende della crisi e i tentativi di razionalizzazione dello
‘Status Rei Publicae’, in Ordinamento
costituzionale e produzione del diritto in Roma antica. I fondamenti dell’esperienza
giuridica occidentale, Napoli, 2001, 123. Ovviamente subito dopo la riforma
sillana venne abolità ed i Tribuni riassunsero tutti i loro poteri: cfr.
F. Cassola-L. Labruna, La lotta politica dopo Silla. I populares,
in AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano, cit., 343. Il fatto resta
uno dei tanti episodi della partecipazione dei Tribuni alle lotte per il potere
e dimostra come nel corso dei secoli l’istituto si è andato
trasformando e modellando profondamente.
[25] Da ultimo, le elaborazioni più profonde sono state quelle
del Catalano e del Lobrano, nei luoghi citati alle note precedenti, ai quali
adde: P. Catalano, Diritti di
libertà e potere negativo, in Archivio
Giuridico "Filippo Serafini"
182, 1972, 321 ss.; Id, "Dai Gracchi a Bolivar. Il problema del
potere negativo", in "Quaderni
IILA", Serie Diritto I, vol. "Da
Roma a Roma. Dal Tribuno della Plebe al Difensore del popolo. Dallo ius gentium
al Tribunale penale internazionale", cit., 37 ss.
[26] La tradizione attribuisce la aexequatio
già alle leggi Valerie Orazie del 449, ma poi richiama anche le leggi
Publilia filone del 339 e Ortensia del 287 (sul punto v. A. Corbino, Il decemvirato e le leggi Valerio Orazie, in AA.VV., Ordinamento costituzionale e produzione del diritto in Roma antica,
cit., pp. 42 ss.).
[27] Sul punto è significativa l’incisiva narrazione del
giurista Pomponio, nel 2° sec. d. C.: D. 1. 2. 2. 8, Pomponius libro singulari enchiridii: ...mox cum
revocata est plebs, quia multae discordiae nascebantur de his plebis scitis,
pro legibus placuit et ea observari lege Hortensia: et ita factum est, ut inter
plebis scita et legem species constituendi interesset, potestas autem eadem
esset.
[28] Sul punto F.
Càssola-L.labruna, I tribuni
della plebe, cit., 184 affermano: «In virtù di questo ius agendi cum plebe, ogni tribuno aveva
dunque il potere di convocare i concilia plebis, dirigerne i lavori, proporre
agli intervenuti schemi di deliberazioni politiche o normative (plebis scita)».
Esattamente L. Perelli, I Gracchi, cit., 65, afferma che il
tribunato «era la sede più
adatta per promuovere iniziative legislative a favore dei ceti più
poveri».
[29] V. F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, cit., 185, anche se
le notizie riferite a questa tradizione sono alquanto incerte.
[31] F. De Martino, Storia, cit., 304. Osservano F. Càssola-L.labruna, I tribuni della plebe, cit., 184:
«si rinvengono, senza dubbio,
testimonianze non meno frequenti ed importanti di processi criminali - politici
soprattutto, ma anche comuni - multatici e capitali, promossi dagli stessi
tribuni contro privati ed (ex-) magistrati per fatti commessi durante la loro
carica. Contro consoli, ad esempio, per aver fatto la guerra senza la
necessaria autorizzazione costituzionale, per aver ingiustamente spartito il
bottino, per aver impiegato soldati nel proprio interesse, per essere venuti
meno ai doveri di buon generale, per aver male utilizzato o sottratto denaro
pubblico loro affidato (è il caso, tra gli altri, dei celebri processi
degli Scipioni); contro dittatori, per crudeltà commesse durante la
leva; contro pretori, per esser fuggiti dinanzi al nemico, per aver arrecato
danni patrimoniali o personali a privati; contro cittadini incaricati di
pubblici servizi, per non aver assolto i propri doveri, per frode nelle
forniture allo Stato; contro patrizi e plebei, per crimini comuni».
[32] D. 1. 2. 2. 13, Pomponius libro
singulari enchiridii: post originem iuris et processum cognitum consequens est,
ut de magistratuum nominibus et origine cognoscamus, quia, ut exposuimus, per
eos qui iuri dicundo praesunt effectus rei accipitur: quantum est enim ius in
civitate esse, nisi sint, qui iura regere possint? post hoc deinde auctorum
successione dicemus, quod constare non potest ius, nisi sit aliquis iuris
peritus, per quem possit cottidie in melius produci. D. 1, 2, 2, 34
Pomponius l. singoluri enchiridii: ergo
ex his omnibus decem tribuni plebis, consules duo, decem et octo praetores, sex
aediles in civitate iura reddebant.
[35] F. De Martino, Storia della costituzione romana, cit.,
p. 302 ss. afferma che, così come per le magistrature, anche per i
Tribuni vigeva il principio fondamentale dell’unanimità.
[37] V. Art. 24 L. 8454/1999: raccomandazioni
concernenti le leggi. Qualora
l’Avvocato del popolo riscontri che la violazione dei diritti
dell’uomo riconosciuti dalla Costituzione e da altre leggi non derivi
dall’applicazione delle norme, bensì da una determinata legge, ha
facoltà: a) di raccomandare ai detentori del potere legislativo di
modificare o migliorare la legge; b) di proporre alla P.A., che ne abbia
facoltà, la modifica o il miglioramento degli atti normativi subordinati
alla legge; c) di raccomandare alla Corte Costituzionale di pronunciare
l’abrogazione della legge. Sui punti e sulle loro possibili
proiezioni v., in questo volume, lo studio di N.
Shehu, cit. alla nt. 2, particolarmente ai §§
11-12.
[38] Rinvio agli studi approfonditi della dottrina ed in particolare
alle analisi esposte in V. Mannino,
Ricerche sul “defensor
civitatis”, Milano, 1984, al quale pure rimando per la citazione
dell’annosa e penetrante letteratura.
[40] C. Th. 1. 29. 1, Valentiniano e Valente Augusti al prefetto del
pretorio Probo: «stabiliamo, perché
di massima utilità, che la plebe di tutto l’Illirico venga difesa
contro i soprusi dei potenti dall’intervento di appositi patroni
(difensori)».
[42] Per ciò talora venivano posti sullo stesso piano dei governatori
provinciali: Cfr. C. 1. 4. 22. pr.; 1. 4. 25; cfr. V. Mannino, Ricerche,
cit., 167 s.
[46] Compito di grande attualità che sembra riecheggiato dai
Rapporti annuali di alcuni Ombudsman
contemporanei ed in particolare dai Rapporti 200, 2001, 2002, 2003 dell’Avvocato del popolo albanese: v. N. Shehu, loc. cit.
[49] Ad esempio in Sparta sfociò nell’Eforato, introdotto
da Licurgo a somiglianza dei Cosmi esistenti a Creta: v. erodoto, I, 65; Platone, Leggi, 691de-692ab; platone, Epistola VIII, , 354ab; aristotele,
Politica, 1272; Senofonte, Costituzione degli Spartani, 8 (§ 4 «Gli efori possono comminare un'ammenda a chi
vogliono e hanno il potere di riscuoterla immediatamente; possono inoltre rimuovere
i magistrati dalla carica, farli incarcerare e addirittura promuovere contro di
essi un processo capitale. Forniti di tale potere non consentono, a differenza
di quanto avviene nelle altre città, che coloro che sono stati scelti
esercitino le loro funzioni durante tutto il periodo in cui sono in carica a
loro assoluto piacimento, ma, come i tiranni e i giudici dei giochi, appena si
accorgono che uno infrange la legge, immediatamente lo puniscono»); strabone, X, 4 , 14; Diogene Laerzio, I, 68. Già dall’antichità
fu avvertito il pericolo insito nella creazione di un istituto destinato al
controllo popolare: esso, invero, secondo Aristotele e Plutarco avrebbe dato al
popolo l’illusione di potere intervenire riguardo all’esercizio del
potere e avrebbe in realtà finito per rafforzare la gestione del potere;
Aristotele, Politica, 1270b
(«Questa carica mantiene unito il
sistema politico; il popolo resta calmo, per il fatto di poter accedere alla
magistratura più alta e questa possibilità, o per caso o per scelta
del legislatore, finisce per incidere positivamente sulla situazione generale.
Se infatti un regime intende conservarsi, è necessario che tutti gli
elementi che lo compongono siano concordi nel volere che ciò accada»);
1313a: («Per questo motivo la dinastia
dei Molossi ebbe una lunga durata; allo stesso modo quella dei Lacedemoni
perché, all'origine, il potere era suddiviso fra i due re, poi Teopompo
lo limitò in diversi modi, in particolare ponendogli accanto la
magistrature degli efori. Diminuendo il potere dei re, finì per
provocarne una maggior durata nel tempo, per cui si può sostenere
giustamente che quella da lui operata non fu una diminuzione ma piuttosto un
ingrandimento. Per questo si dice che alla moglie, che gli chiedeva se non si
vergognasse a trasmettere ai figli un potere inferiore a quello che aveva
ricevuto da suo padre, rispose: “Certamente no, perché io passo a
loro un potere più duraturo”»); plutarco, Vita di
Licurgo, 7; 29, (§ 11 «La
creazione degli efori non rappresentava un indebolimento, ma semmai un
rafforzamento del sistema politico; anche se all'apparenza sembrava risultare
vantaggiosa per il demo, di fatto finì per irrobustire l'aristocrazia»).
[50] L’importanza dell’elezione diretta è
sottolineata da chi inserisce le nuove figure degli Ombudsman nel più ampio disegno di ridefinizione degli
assetti costituzionali attuali. Per tutti cito la suggestiva proposta avanzata
dal de Giorgi, il quale,
rispolverando l’antico istituto spartano (v. nt. precedente) ha proposto
l’introduzione, in Italia dell’Eforato. «1. È costituita un’Alta Corte con il nome di Eforato. Ha
il compito di garantire la correttezza democratica nelle competizioni
elettorali, nelle amministrazioni locali, nella vita dei partiti politici,
delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, pubbliche e private, dei
mezzi di comunicazione sociale e dell’editoria. 2. Ha
capacità di intervento diretto e non solo dopo ricorso da parte di
terzi. 3. È eletto a suffragio universale. L’elettorato attivo
è costituito da tutti i cittadini italiani che abbiano superato il
quarantesimo anno di età. L’elettorato passivo è costituito
da tutti i magistrati e dai professori universitari. Dura in carica quattro
anni. 4. L’eforato nomina le Corti Regionale e gli Ombudsmen provinciali
che da esse dipendono»: F. De
Giorgi, Note per una costituzione
nuova, in Il Margine, Archivio,
nr. 4, aprile 1994.
[51] Per non perdere tuttavia le competenze acquisite si potrebbe
stabilire che, successivamente, faccia parte di diritto dell’Assemblea
legislativa (Parlamento) o del Consiglio dell’Organo di autonomia locale.
[52] Si potrebbe forse introdurre l’obbligo per
l’Amministrazione di dimostrarne la fondatezza e la giustezza
dell’atto, ‘vietato’, prima di procedere alla sua esecuzione
È questo in parte simile a quanto avviene nell’Unione Europea in
materia ambientale a seguito dell’introduzione del procedimento di
valutazione dell’impatto ambientale,
introdotta con la Direttiva del Consiglio 85/337/cee del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, (g.u.c.e. n. L. 175 del 5 luglio 1985). brevemente ricordo che
la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, comunemente detta VIA, ha lo
scopo di individuare, descrivere e valutare, in via preventiva, l'impatto ambientale di determinati progetti
pubblici o privati. Essa non è quindi da intendersi
“strumento” necessario per verificare il rispetto di standard o per
imporre nuovi vincoli, oltre quelli già operanti, ma come un “processo
coordinato” per raggiungere un elevato grado di protezione ambientale,
realizzando l'obiettivo di migliorare la qualità della vita, mantenere
la varietà delle specie, e conservare la capacità di riproduzione
dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale. La VIA mira ad introdurre, nella
prassi tecnica ed amministrativa ed in una fase precoce della progettazione,
una valutazione sistematica degli effetti prodotti dalle opere in progetto
sull'ambiente, inteso come un sistema complesso di risorse naturali e umane e delle
loro interazioni.
[53] Non avrebbe senso affidare la detta valutazione ed il controllo
sulla fondatezza ed opportunità dell’atto vietato al Parlamento o
alle varie Assemblee, alle quali faccia capo l’Autore dell’atto
vietato e nelle quali potrebbe prevalere la logica della
‘maggioranza’ di governo. Bisognerebbe prevedere nuovi Organi nei
quali possa essere presente e ‘diretta’ la presenza e la
valutazione popolare.