La lettera di Aleksej Michajlovič
all’Imperatore cinese Shuhn-chih (1654). Lo scontro di due tradizioni
Università di
Venezia
Che la
modernità sia un valore è un topos
abusato nelle dispute accademiche; che la modernizzazione sia un’imprescindibile
necessità per ogni società che intenda transitare dal secondo al
terzo millennio è un dogma universalmente accettato, tranne che da
qualche gruppo la cui caratterizzazione oscilla tra due estremi: folklorismo e
terrorismo.
Per
contro, il caso che intendiamo esaminare nel presente articolo appariene ad
un’epoca in cui qualsivoglia novità puzza di eresia. Nella Rossijskaja imperija, così come
nella Rus’ che di quella
ritiene di essere l’erede esclusiva, la starina, che risale ad una indefinita antichità e che
è destinata a durare in aevum,
rappresenta l’unica fonte e garanzia di legittimazione. Curiosamente,
nell’età in esame, tanto la Russia che la Cina sono governate da
dinastie recenti, il che probabilmente spiega perché entrambe siano
tanto gelose dei rispettivi valori tradizionali e prerogative imperiali.
Entrambe le dinastie sono destinate a sopravvivere –o a
sopravviversi– sino all’inizio del XX secolo, e la trasformazione
dell’una esercita una certa influenza su quella dell’altra, in particolare
per quanto attiene alla riscoperta di aspirazioni imperiali, che sono appena
velate da un nuovo colore che simboleggia una religione atea del potere[1].
La
missione di Fedor Isakovič
Bajkov rappresenta il primo tentativo ufficiale da parte di Mosca
di attivare relazioni diplomatiche con Pechino, mentre scambi commerciali nelle
zone di confine avvenivano già da un certo tempo[2].
La
lettera che Bajkov avrebbe dovuto consegnare al Bogdychan[3]
è strutturalmente fedele al modello elaborato all’epoca di Ivan
III e codificato dal nipote Ivan IV il “minaccioso” (Groznyj), non il Terribile[4].
Come era d’uso nella corrispondenza diplomatica dell’epoca, la
lettera inizia con l’elencazione dei titoli del Sovrano, preceduta dalla
lista dei nomi di Dio, che gli ha concesso di fregiarsi di quei titoli e che
garantisce la loro inviolabilità sin alla fine dei tempi. Il modello
della lettera di Aleksej Michajlovič
all’Imperatore cinese è quello ben esemplificato nella lettera di
Ivan IV a Polubiemski[5],
modello riprodotto per un secolo e meezzo con poche e non particolarmente
significative varianti.
Riteniamo non superfluo citare
in extenso l’incipit della lettera affidata a Bajkov:
“Di Dio, uno, che non ha né principio né
fine, invisibile e non rappresentato, terribile ed inaccessibile; che è
al di sopra dei cieli, che vive in un mondo inaccessibile; che detiene le
potenze celesti e l’unico Verbo immortale, il Signore Nostro Gesù
Cristo; che ha creato tuttr le cose visibili ed invisibili e con lo Spirito
vivificante e divino ha fatto vivere ogni cosa; che con occhio sempre vigile sorveglia
la terra; che ogni cosa ha ordinata in essa ed ha offerto buone consolazzioni a
tutti gli uomini; trema e Lo teme tutto ciò che è nei cieli, in
terra e nelle viscere della terra, quel’unico Dio nostro tale da essere
in tre persone glorificato ed adorato nell’unità ha confermato la
detenzione dello scettro nell’Ortodossia, nella cura e
nell’esercizio del potere sul grande Impero russo e su molti Stati nuovamente acquisiti, da
mantenere in tranquillità e pace nei secoli. Noi , il Grande Sovrano, Imperatore e
Gran Principe Aleksej Michajlovič.
Autocrate di tutta la Grande e Bianca Russia. Autocrate di Mosca, Kiev,
Vladimir e Novgorod; Imperatore di Kazan’, Astrachan’ e
Siberia; Sovrano di Pskov e Gran Principe di Tver’,
dell’Ugrorussia, di Perm’, Vjatka, del Bul–ar e Gran Principe
di Nižnij Novgorod; Ordinario di Černigov, Rjazan’, Rostov,
Jaroslavl’, del Lago Bianco, di Udorija, Obdorija, Kondinija e di tutta
la Terra del Nord; Sovrano della terre di Iberia degli Imperatori kartalini e georgiani e delle
terre dei Circassi di pianura e di monte e di molti altri Stati e terre orientali,
occidentali e nordiche erede per via di padre e di
nonno, Sovrano e detentore del potere…”[6].
In
seguito, in base ad un cliché collaudato, la lettera continua con la
genealogia dei Sovrani della Rus’ e
di Mosca, come, in forme più o meno estese, la troviamo nelle lettere di
Ivan IV, nella lettera con cui Vasilij Šujskij[7]
annuncia la propria elezione, nel Čin izbranija na carstvo di Michail Fedorovič[8]
e nel Čin postavlenija
na carstvo di Aleksej Michajlovič[9].
Ciò
che sorprende nella lettera a Shuhn Chih è il tono ruvidamente
burocratico dell’approccio, che non sembra consentire replica:
“Ведомо
вам
Бугдыхану–царю
чиним” (Vi rendiamo noto, Bogdychan-car’…)[10].
Qualche
anno dopo, nella lettera consegnata al Papa dallo Scozzese Paul Menzies,
Ambasciatore di Aleksej Michajlovič, il
contenuto è molto simile, ma il tono è decisamente più
diplomatico:
“Non latet vos pastorem et directorem eccclesiae Romanae
…”.
Anche in questa lettera
l’elenco dei nomi di Dio e dei titoli del Sovrano precedono la genealogia
dei Sovrani moscoviti secondo lo schema tradizionale, che probabilmente a Roma
era stato considerato alquanto stravagante:
“Dei
omnipotentis et in omnibus multifaria operantis, ubique praesentis et
universa adimplentis, pia solatia
cunctis hominibus tribuentis, creatoris nostri in Trinitate gloriosi, virtute,
opere, voluntate, benevolentia confirmantis nos, et corroborantis potentia sua
pancratica electum sceptrum in orthodoxia ad providentiam magni Roxellani
imperii cum multis subjectis afjunctisque regnis avitae hereditatis et
possessionis, pacifive et inturbate novum gubernandi gratia.
Nos
magnus dominus Czar et magnus dux Alexius Michaelides totius magnae, parvae et
albae Russiae autocrator, Moscoviae, Kioviae Vlodimiriae, Novogardiae, Czar
Casani, Czar Astrachani, Czar Siberiae, dominus Plescoviae, et magnis dux
Smolensciae, Tweriae, Ingoriae [sic!],
Permiae, Viatsicae, Bolgariae, aliorumque dominus, et magnus dux Novogardiae
inferioris, terrae Cernigoviae, Resaniae, Rostoviae, Jaroslaviae, Beloseriae,
Udoriae, Obdoriae, Condiniae, ac totius septentrionalis plagae imperator,
dominus Iberiae, Cartalinensium et Grusiniensium Czarum, et Cabardiniae,
Cercassorum et Gornensium ducum, aliorumque multorum dominiorum, terrarumque
orientalium, occcidentaliam, ac septentrionalium, paternus avitusque haeres,
successor, dominus et dominator.
Clementi
Decimo Papae et Directori Ecclesiae Romanae salutem. Non latet vos pastorem et
directorem ecclesiae Romanae, quod jam a multis centenis annis in magnis et
celeberrimis Ruthenorum dominiis imperium suum tenuerunt antecessores nostri,
ex Caesaris Augusti totius orbis dominatoris origine prognati, et ex ipso, et
ex magno duce Rurico, et ex magno duce Vlodimiriio Svetoslavicio, et ex magno
domino et magno duce Vlodimirio Usceavolodicio Monomacho, qui a Graecis maximo
cum decore coronam capiti appositam accepit, magnus dominus Czar fel. mem,
proavus noster et magnus dux Johannes Basilides totius Russiae autocrator, et
filius ejus magnus Dominus avus noster felicis memoriae magnus dominus Czae et
magnus dux Theodorus Johannides totius Russiae autocrator et parens noster
pergratae memoriae, magnus dominus vere clemens, misericordia plenus, et
serenissimus Czar et magnus dux Michael Theodorides totius Russiae autocrator,
et dominus multarumque ditionumdominator et nos magnus dux nostra Czaria
Majestas cum multis vicinis nostrismagnis dominiis amica et reciprocam
correspondentiam habuerimus.
Et
quod anno a creatione mundi septies millesimo octogesimo octavo [1579/80]cum
nostri magni domini nostrae Czariae Majestatis proavo Iohanne Basilide totius
magae Russiae autocratore et cum ecclesiae Romanae pastore et directore
Gregorio Decimo Tertio Romano Pontifice legationes intercesserint ob negotia
universo christiano orbi pernecessaria …”[11].
Come
nella lettera al Papa in quella a Shuhn-chih i “progenitori” (praroditeli), Augusto, Rjurik, Vladimir
Svjatoslavič e Vladimir Monomach, sono
appena menzionati, mentre più ampio spazio è riservato al periodo
che va dal regno di Ivan IV a quello di Aleksej Michajlovič stesso, periodo nel corso del quale i Sovrani russi avevano
intrattenuto rapporti diplomatci con numerosi Stati:
“Vi rendiamo noto, Bogdychan-car’,
che da molti ed antichi anni nei grandi e gloriosi Stati dell’Impero
russo sedevano grandi sovrani, i nostri antenati dalla stirpe di Augusto
Cesare, che deteneva il potere su tutta l’ecumene, dal suo congiunto, il
Gran Principe Rjurik, e dal grande Sovrano, il Gran Principe Vladimir
Svjatoslavič, e dal grande Sovrano, il
Gran Principe egualmente Vladimir Vsevolodovi Monomach, che dai Greci ricevette
altissimi segni di stima, sino al
grande Sovrano, degno di lodi, di beata memoria, nostro bisnonno il grande
Sovrano, Imperatore e Gran Principe Ivan Vasil’evič, Autocrate di tutta
In
confronto con l’abituale prassi diplomatica moscovita il tono della
lettera, a parte il brusco inizio, è molto accattivante: Aleksej
Michajlovič riconosce ad un
Sovrano, del quale non sa nulla, il titolo di Car’, un titolo usato esclusivamente per grandi e piccoli
Sovrani ortodossi, oppure per quanti, a qualsiasi titolo, si rifacciano
all’idea romana di Impero, compresi i Sultani ottomani, che siedono nella
Nuova Roma, ed ai quali perfino i Greci attribuiscono il titolo di Basileus[13].
Ma vi
è di più: nell’ultima parte della lettera Aleksej
Michajlovič sembra scusarsi di non conoscere la
lista completa dei titoli dell’Imperatore cinese ed esprime la speranza di
poterla usare in futuri scambi diplomatici:
“… in questa lettera di Nostra Maestà
Imperiale abbiamo scritto la Vostra denominazione imperiale ed il vostro titolo
non secondo il modo in cui Voi lo descrivete nelle Vostre lettere, e Voi, Bogdychan-car’, non dovete
meravigliarVi di Noi, il Grande Sovrano, posto che a Voi stesso è
certamente noto che i nostri antenati, i grandi Sovrani, Imperatori e Gran
Principi della nostra grande Russia, e nostro padre grande Sovrano di beata
memoria con i Vostri antenati dello Stato cinese, gli Imperatori, non hanno
avuto reciproci scambi, e perciò a Noi, il grande Sovrano non è
noto come Voi, Bogdychan-car’,
nelle Vostre lettere di cortesia descriveti i Vostri titolo e denominazione. Ma
se, lo conceda Iddio, a Noi, il grande Sovrano, ordinerete di rimandare il
Nobile di Nostra Maestà Imperiale e per Noi, il grande Sovrano, ordinerete di
scrivere nella Vostra lettera di cortesia i Vostri denominazione e titolo, o
invierete i Vosri Ambasciatori o Legati a Noi, il grande Sovrano, e per mezzo
di essi allo stesso modo risponderete, Nostra Maestà Imperiale, dopo
aver ascoltato cortesemente, Bogdychan-car,
le Vostre lettere di cortesia ed averle comprese, in seguito Noi inizieremo, Bogdychan-car’, a scrivere i
Vostri titolo e denominazione imperiale
nelle nostre lettere di cortesia in tutto e per tutto secondo la Vosta
dignità imperiale con denominazione e titolo completi, come Voi stessi
nei Vostri documenti scrivete
secondo la Vostra dignità. E Noi, il grande Sovrano, vogliamo
essere con Voi, Bogdychan-car’,
in solida amicizia ed in buona armonia ed in reciprocità. E Voi, Bogdychan-car’, ordinate di
rimandare, senza trattenerlo, a Noi, il grande Sovrano, il nostro Nobile”[14].
Sforunatamente
questa inusuale dimostrazione di politesse
moscovita non ha mai raggiunto il destinatario. Le difficoltà della
missione di Bajkov sono abbastanza note, benché le fonti russe siano in
parte perdute o forniscano dettagli contrastanti[15],
mentre le fonti cinesi ignorano totalmente l’episodio, né
più dettagliate informazioni sono fornite da fonti terze. Ma il corso
degli avvenimenti sembra essere abbastanza chiaro: il problema non è se
Bajkov fosse o no un buon diplomatico[16],
ma il fatto è che egli si rifiutò di parlare con chiunque altro
che l’Imperatore, secondo le rigide regole del cerimoniale russo, e di
pronunciare il proprio discorso in ginocchio, come viceversa previsto dal non
meno rigido sistema cinese.
Un
episodio simile, anche se meno grave di conseguenze, verificatosi a Venezia
alcuni anni dopo, può aiutare a spiegare l’atteggiamento di Bajkov. Nel
1687 l’Ambasciatore I. M. Volkov, dopo aver
“recitato tutti li titoli de’ suoi Gran Duchi
[…], ripetendo l’Ablegato tutti i titoli de’ Gran Duchi”,
consegna quella che alla
Cancelleria dogale deve essere sembrata una ben strana richiesta:
“… ricercò se gli restituissero le sue
esposizioni, che aueua date in iscritto, e sottoscritte, che aurebbe restituito
quelle ricevute dal Ser.mo Principe, perché hauendole lui date con tutta
la pienezza dei titoli, e non riceuendole tali, gli soprasterebbe gran pericoli
appo li suoi Tsari”[17].
In
precedenza l’ambasciatore Čemodanov,
la cui missione è contemporanea a quella di Bajkov in Cina,
benché invitato a tenere il cappello edi restare seduto mentre leggeva
il proprio discorso, rimane testardamente in piedi, provocando così un
visibile imbarazzo nel Doge[18].
I.I. Čaadaev, la cui missione presso
l’Imperatore Leopoldo I è contemporanea a quella di Volkov a
Venezia, si impegna in una infinita discussione con i funzionari della
Cancelleria imperiale al fine di convincerli che il titolo di Carskoe Veličestvo
spettante ad Aleksej Michajlovič è equipollente a quello di Majestas attribuito all’Imperatore del Sacro Romano Impero[19].
Gli Ambasciatori russi rivendicano il diritto di ricevere
un trattamento proporzionale alla
dignità del loro sovrano al
punto di avanzare quelle che a Venezia sono sembrate “pretensioni stravaganti”[20]
e di pretendere con insistenza di avere una controparte qualificata[21].
I membri di una delegazione russa alla Corte del Sultano –come riferisce
il Bailo Tomaso Contarini in un dispaccio inviato da Adrianopoli il 28 dicembre
1519– si comportano nell’identica maniera di Bajkov e compagni un
secolo e mezzo più tardi:
“… erano zonti do oratori di moscoviti, quali il
bassà volendo darli audienzia, loro non volsero, dicendo esser
stà mandati oratori al signor e non a li bassà”[22].
Incidenti
come quello capitato a Bajkov a Pechino sono stati frequenti, a Roma come a
Venezia, a Vienna come ad Adrianopoli. Ciò che muta è
l’atteggiamento di chi riceve i Russi, ma questi si comportano in
qualsivoglia luogo visitato sempre nell’identica maniera. I diplomatici
russi possono tentare di essere “diplomatici” negli angusti limiti
entro i quali erano costretti a muoversi dalla dignità del loro Sovrano,
fissata dalla starina, e dal sentimento di timore (strach) che ogni Russo ortodosso deve
provare verso Dio e lo Car’[23].
[1] Si
potrebbe sostenere che esista una precisa linea di continuità tra il
Comunismo sovietico e l’Ortodossia russa (cf. G. Giraudo, Заметки о
политической
лексике
Московской
Руси, “Studia
Slavica Hungarica”, XLV [2000], 9-28), così come il Comunismo
cinese pare ispirarsi al Cofucianesimo; cf. W.
Pye, The Spirit of Chinese Politics,
Cambridge, MA and London, 1992, 13: «The entire structure of both
imperial and Commnist politics has rested upon self-cultivationas the ultimate rationale
for legitimizing high office and the manipulation of political power […].
Confucianism and communism in their
differentways have sustained this unique Chinese belief in authority’s
right to arrogance». V. anche: L.
K. Hsu, Under Ancestors’
Shadow, New York 1948; R. S. Elegant,
The Centre of World Communism and the
Mind of China, London 1963; Confucian
China and its Modern Fate, ed. by J. R. Levenson, Berkeley-Los Angeles
1968.
[3] Sul significato del termine Bogdychan v.: G Stary, Man-tsu ti-kuo
ti ch’an-sheng ho hsing-ch’i ti Ou-chou chien-cheng, in Ch’ing-ping yü Chung-kuo she-hui,
ed. by Sun Wen-Liang, Shen-yang 1996, 150-157.
[4]
L’epiteto грозный
(“minaccioso” <гроза “minaccia”)
sarebbe stato inizialmente attribuito ad Ivan III in senso elogiativo; cf. Н. М.
Карамзин, История
государства
российскаго,
СПб. 18192, 348-349. In seguito venne attribuito ad Ivan IV con connotazione
prevalenemente negativa (non più “minaccioso”, ma
“terribile”) soprttutto all’estero (cf. D. Tschiževskij, Storia dello spirito russo, Firenze
1965, 116, n. 1) e, probabilmente, di ritorno in Russia.
[5] Идея
Рима в
Москве,
Источники по
истории
русской
общественной
мысли,
под ред. В. Т.
Пашуто и П.
Каталано,
Рим–Москва 1989, pp. 64-65.
[6] Русско–китайские
отношения в XVIII веке,
Материалы и
документы [più oltre cit. RKO], I, М. 1969, p. 165: “Бога
единаго,
безначального
и бесконечного,
невидимаго и
неописаннаго,
страшнаго и
неприступнаго,
превыше
небес
пребывающаго,
живущаго во
свре
непристунем,
владущаго
силами небесными
и единым
безсмертным
словом премудрости
своея,
господем
нашим Иисус
Христом,
видимая и
невидимая
вся
сотвиршаго, и
животворящими
божественным
духом вся оживляющаго,
и
недреманным
оком на землю
призирающаго,
и всякая на
ней
устрошюаго, и
утешения
благая всем
человеком
подавающаго,
его же трепещут
и боятся
небесная и
земная и
преисподняя,
того единаго
бога нашего,
в триех лицех
славимагои
во единстве
поклоняемаго,
милостию и
властию и
хотением и
благоволением
утвердишаго
скифетр
держати в
православии,
во
осмотрении и
во
обдержаниивеликого
Россиского
царствия и
новых
новоприбылых
государств и
з божиею
помощью
цоблюдати
мирно и
безмятежно
на веки, мы
великии государь
царь и
великий
князь всеа
Великия и
Малыя России
смодержец
московский,
киевский,
владимерский
новогородский,
царь
казанский,
царь
астраханский,
царь
сибирский,
государь пцковский
и князь
тверский,
югорский,
пермский,
вятцкий,
бплгарский и
иных
государь, и великий
князь
Новагорода
Низовские
земли, черниговский,
резанский,
ростовский,
ярославский,
белоозерский,
удорский,
обдорский, кондинслий
и всея
Северная
страны
повелитель, и
государьИверские
земли
карталинских
и грузинских
царей и
Кабардинские
земли
черкасских
и горных
князей и иных
многих
государств и
земель
востичных и
западных и
северныхотчич
и дедич и
наследник и
государь и
облаадатель
…”.
[9] Чин
поставления
на царство царя
и великаго
князя
Алексея
Михайловича, сообщено
архиман.
Леонидом,
СПб. 1882, 12-38.
[11] A. Theiner, Monuments historiques relatifs aux règnes d’Alexis Michaélowitch, Féodor III et Pierre le Grand …, Rome 1859, 76.
[12] RKO, I, pp. 165-166:
“Ведодмо вам
богдыхану–царю,
чиним, что из
древних от
нескольских
лет на
великох и преславных
государствах
Российского
царствия
были великие
государи
прародители
наши от рода
Августа
кесаря,
облдающаго всею
вселенною, от
сродича его
князя Рюрика,
и от великого
государя
великого
князя Владимера
Святославича,
и от великого
государя и
великого
князя
Владимера ж
Всеволодовича
Манамаха, еже
от грех
высокодостойнейшую
честь
восприимшаго,
даже и до
великого
государя
хвалам
достойнаго
блаженные памяти,
прадеда
нашего,
великого
государя
царя и великого
князя Ивана
Васильевича,
всеа Русии
самодержца, и
сына его
великого
государя деда
нашего
блаженные
памяти
великого государя
и царя и
великого
князя Федора
Ивановича
всеа Русии
самодержца, и
до отца нашего
блаженные
памяти
великого
государя
царя праведнаго
и
милостивагоизрядна
и сиятельна
наипаче во
царех
пресветлейшаго
и великостльнейшаго
и неизчетные
хвалы достойаго
царя и
великого
князя
Михаила
Федоровича,
всеа Русии
самодержца и
многих
государств
сосударя и
облаадателя,
имя их,
великих
государей, предков
наших, во вх
великих
государствах
славилось, и
великие их
государства
Росийские от
года в год
аспространялись,
и многие окестные
великие
государи
христианские
и мусульманские,
с ними,
великими
государями, ссылалися,
а иные от них,
великих
государей, помощи
искали, а они,
великие
госудри цари
и великие
князи
росийские, и
отец наш
великий
государь
многим
великим
государеми
их госудаствам
способствовали
и помощ подавали.
А с предки
вашими
Китайского
государства
цари и с вами,
бугдыханом
царем, за
дальним разстоянием
пути у них,
великих
государей, предков
наших, и у
отца нашего
блаженные памяти
велыкого
государя
ссылки и
любви не бывало
и послы и
посланныки
не
посылываны. .
[13] G. Giraudo, Car’, carstvo et termes correlatifs dans les textes russes
de la deuxième moitié du XVIème siècle, in Popoli e spazio romano tra diritto e
profezia, a cura di P. Catalano e P. Siniscalco, Napoli 1986, 545-572;
eiusdem, Basileu;
“eujsebevstato" kai; novmimo", Storia di una parola e sviluppo di un’ideologia, in Le origini e lo sviluppo della
Cristianità slavo-bizantina, a cura di S. W. Świerkosz-Lenart,
Roma 1992, pp. 247-260.
[14] RKO,
I, p.168: “… в
сей нашей
царского
величества
грамоте ваше
царво
имянование и
титло писали
коротко не по
тому, как вы в
своих грамотах
описуется,
и в том бы на
нас, великого
государя,
вам,
бугдыхану–царю,
не подивить,
потому что
вам самому
про то ведомо
подлинно, что
предкам
нашим
великим
государем
царем ии великим
князем
великия
нашея Росии и
отцу нашему
блаженные
памяти
великому государю
с предки
вашими
Китайского
государства
ам, велс цары
николи
ссылох не
бывало, в
того нам,
великому
государю, как
вы, бугдыхан–царь,
в своих
любительных
грамотах в–ыменование
и в титле
своей
описуется не
ведомо. А как,
аже даст бог,
к нам,
великому
государю,
сего нашего
царского
величества
дворянина
опустить
велишь и к
нам, великому
государю, в
своей
любительной
грамоте
имянование
свое и титло
описати
велишь или
своих послов
или
посланников
к нам,
великому государю,
пришлешь, а с
ними в своей
грамоте потому
ж отпишешь, и
мы, великий
государь, наше
царское
величество,
те ваши
бугдыхана–царя
любительные
грамотывыслусав
любительно и
выразумев,
вперед к вам,
бгдыхану–царю,
учнем ваше
царево
имянованье и
титло в наших
царского
величества
грамотах
писати во
всем по
вашему
цареву
достойнству
полным вашим
имянованьем
и титлом, как
вы сами себя
в своих
грамотах и
титлах
описуете по вашему
достийбству.
И хотим мы,
великий государь,
с вами,
бугдыханом–царем,
быти в крепкой
дрижбе и в
любви и в
ссылке. И
дворенина нашего
велети вам,
бугдыхану–царю,
отпустити к
нам, великому
государю, не
задержав@.