N. 8 – 2009 – Contributi
Riciclaggio:
fenomeno “economico-criminale” e complessità di un
“percorso” normativo *
Università di Sassari
Sommario: 1. Premessa
a un “percorso normativo”. – 2. Ambito
internazionale e scelta repressiva nella lotta al riciclaggio. – 3. Direttive e D.Lgs. n. 231/2007: obiettivi di
prevenzione e criticità del
sistema. – 4. Self-laundering e punibilità. Dalla ricostruzione normativa una chiave di
lettura a “parziale” superamento di una discussa
inconciliabilità.
L’iniziativa di così alto
profilo e indubbia attualità investe una tematica che oggi si snoda tra
circuiti nazionali ed ambiti internazionali.
A fronte della complessità
dell’argomento, ritengo anzitutto doveroso puntualizzare la prospettiva
dalla quale intendo affrontare, o meglio “selezionare”, i tanti
problemi che il “riciclaggio” come tale pone, dovendo necessariamente
tralasciare taluni profili di analisi normativa, la cui trattazione
sottrarrebbe tempo prezioso alle ulteriori chiavi di lettura previste nel
contesto odierno quale oggetto di autorevoli interventi.
Mi limiterò dunque a sottolineare
la genesi di una disciplina, quale quella vigente, non certo per uno sguardo
retrospettivo, ma per proiettare nell’ ‘oggi’ profili di
criticità normativa ed interpretativa, quali emergono a fronte
dell’attuale assetto normativo.
Tre ‘piste’ d’indagine,
dunque, paiono in tal senso delinearsi: la prima attiene all’evoluzione
legislativa, nell’indefettibile confronto tra norme di sistema quale
l’art. 648 bis c.p., che
sanziona il delitto di riciclaggio, e disposizioni desunte aliunde, nel susseguirsi di sollecitazioni ad un adeguamento
normativo, richiesto da fonti, le più diverse, in ambito europeo ed
internazionale.
Una seconda ‘pista’ é
volta al conseguente richiamo alle diverse definizioni, di cui alle predette
fonti, fino ai contenuti attualmente previsti – in particolare –
nel vigente art. 2 del D.Lgs. n. 231/2007.
I necessari riscontri ad una sia pur
rapidissima esegesi in ordine agli elementi costitutivi, che tipizzano la fattispecie del riciclaggio
all’interno del codice penale, segneranno il “crinale” che
conduce alla terza delle ‘piste’ indicate, ovvero la segnalazione
di talune discrasie interne al sistema e l’apertura al susseguirsi di
riforme annunciate o proposte in materia di riciclaggio, quasi a sottolineare
la necessità di interventi volti a colmare lacune vere o presunte emergenti
nell’ordinamento.
Ma vi è una premessa a tutto
ciò, che mi permetto di sottolineare: oggi le parole, di cui è
permeato il linguaggio giuridico, paiono perdere quella pregnanza di
significato che è loro propria per assumerne di volta in volta uno
“ascritto”, così che termini e definizioni sembrano veder
confinato il proprio contenuto nello “spazio vuoto”
dell’indifferenza, ovvero di una equivalenza capace come tale di mettere
in crisi la stessa certezza del diritto.
È su questa linea infatti che si
confrontano in materia di riciclaggio, da un lato, la pluralità di
disposizioni interne al sistema, dall’altro, il dato propriamente
normativo ed il “fenomeno” del riciclaggio; ne emerge infatti la
matrice criminosa, per le sue
connessioni con le più diverse attività illecite, ma al contempo
la connotazione economica e finanziaria per il settore e le
modalità con cui opera. Il suo innesto è favorito laddove la
globalizzazione disegna la s-confinatezza
dei mercati (così Irti) e con essa – come si è avvertito
– le innumerevoli possibilità di scambio, transazioni commerciali
o finanziarie, anche fittizie, operazioni realizzate attraverso lo
“schermo” di società di comodo, frammentazione di ingenti
somme preordinata all’ostacolo di una possibile ricostruzione di flussi
finanziari provenienti da reato.
Il confronto appena accennato, ma
indefettibile per l’interprete, emerge inizialmente sul piano
“terminologico”: l’espressione riciclaggio, quale processo attraverso cui qualcuno nasconde
l’esistenza, la fonte illegale, o l’illegale utilizzo di redditi, e
poi “maschera” quei redditi per farli apparire legittimi, è
stata in sé assunta per derivazione dal Rapporto della Commissione
Presidenziale Statunitense sulla Criminalità Organizzata[1], presentato
nella metà degli anni ’80. L’iniziale suddivisione della
fenomenologia “riciclatoria” nelle due fasi: «lavaggio»
(money laundering) e
«impiego» (recycling)
è stata riprodotta nel nostro ordinamento attraverso le due fattispecie
del «Riciclaggio»
propriamente detto, oggetto dell’art. 648 bis, e «Impiego di
denaro, beni o utilità di provenienza illecita», oggetto
dell’art. 648 ter c.p.
Ma il “fenomeno” nella sua
duplice valenza segue, per così dire, l’evolversi dei tempi,
l’accelerazione dell’economia, il perfezionarsi della tecnologia informatica
e supera oggi la precedente partizione, per articolarsi nelle “tre”
fasi: placement
(«piazzamento», «collocamento» dei proventi illeciti), layering («stratificazione»,
ovvero operazioni finanziarie atte a separare il capitale dalla sua origine illecita),
integration (ovvero
l’«integrazione» dei proventi “ripuliti” nei
circuiti dell’economia lecita, attraverso investimenti e/o
attività d’impresa)[2].
Vale dunque quanto autorevolmente
affermato: «l’ingente massa di danaro liquido di cui dispongono le
organizzazioni criminali, è certamente in grado di turbare gravemente il
sistema economico attraverso l’acquisizione del controllo di interi
settori, con conseguente ampliamento della sfera di potere»; a tal punto
che – si fa notare – l’«arricchimento» diviene
« il fatto da colpire con la sanzione penale», parallelamente alla
tutela degli interessi lesi attraverso la realizzazione degli stessi illeciti
fonte dell’arricchimento[3].
Quest’ultimo, dunque, che in quanto
lecito e legittimo è in sé
“fenomeno” giuridicamente indifferente e storicamente consolidato,
presenta oggi elementi di novità per una ‘genesi’
riconducibile a forme tipiche di una vera e propria “impresa
criminale”.
I proventi cospicui provenienti dalle
più diverse attività criminose generano un arricchimento che si
traduce in flussi di denaro e investimenti capaci come tali, a seguito dei
processi di omologazione con i proventi leciti, di inserirsi ed alterare i
circuiti dell’economia legale.
Si perviene così, in una sorta di
“progressione”, a prospettare l’“arricchimento”
come tale meritevole di autonoma sanzione in quanto possibile oggetto di
incriminazione per le modalità illecite che ne costituiscono
l’offesa per il sistema economico. È in margine proprio al riciclaggio che le stesse sono state
ampiamente ed efficacemente illustrate da Masciandaro, secondo puntuali criteri
di analisi economica, volta a spiegarne la dinamica incidente su
un’economia di mercato[4].
Ma le ragioni di un “fenomeno”
nuovo si confrontano ineludibilmente con un sistema normativo codificato, da
cui emergono principi e criteri interpretativi consolidati.
Il confronto evidenzia, per così
dire, un primo e più noto ‘punto di snodo’ tra un
“arricchimento” illecito, in quanto in sé conseguente al reato commesso, ed il reato
come tale, da cui lo stesso origina e già previsto a tutela
dell’oggetto giuridico proprio, quale interesse offeso dalla condotta
criminosa. In altri termini, offesa-contenuto
del reato, ed arricchimento, quale
sua conseguenza, si porrebbero come due facce della stessa medaglia.
Conclusione non dissimile viene altresì prospettata per fatti
successivi: l’antecedente ed il posterius,
che rappresenti in capo allo stesso soggetto la realizzazione (lato sensu) del profitto conseguente al
reato commesso, troverebbero nell’ambito del sistema penale una chiave interpretativa
che impedisce di addebitare il fatto successivo al suo autore, se lo stesso,
pur configurabile in astratto come reato, costituisca il “normale”
sviluppo, ovvero la prosecuzione o il naturale sbocco della condotta precedente
penalmente rilevante[5]. In
realtà, le clausole di riserva variamente richiamate dal legislatore
all’interno dei più diversi dettati normativi ne offrirebbero
conferma, e nel caso specifico indicazione espressa, ad escludere dal novero
dei soggetti attivi del riciclaggio l’autore del precedente delitto
presupposto.
Diventa questa pertanto la diffusa chiave
di lettura, sulla quale si tornerà più oltre, dell’attuale
previsione dell’art. 648 bis c.p. , che al suo primo comma recita:
«Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce
denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero
compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare
l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con
la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro
Il fenomeno criminoso così definito
trova collocazione nel codice a chiusura dei delitti contro il patrimonio;
tuttavia la sua incidenza nei circuiti economici fa sì che – come
dianzi rilevato – la «produzione» di capitale illecito si
traduca in un «arricchimento» capace di alterare lo stesso ordine
economico, o anche – come si è ulteriormente prospettato –
quell’ambito riservato in sede costituzionale (art. 47) alla
«tutela del risparmio»[6]. Lo scenario
dunque muterebbe, rispetto al paradigma più tradizionale almeno
nell’ottica dei reati patrimoniali: da un “binomio” offesa
– danno generatore del profitto, valutabile nel rapporto inter-soggettivo
autore del reato – vittima[7], la
lesività verrebbe a delinearsi in forma “diffusa”, in una
preoccupante alterazione dei circuiti legali dell’economia, specie per
effetto della criminalità organizzata.
Si può collocare in questa frattura
tra un “ipotetico” passato ed un “oggi” complesso il
confronto tra sistema penale e spinte volte alla lotta al riciclaggio, che
oscilla anche a livello normativo tra “repressione” e
“prevenzione”.
Il codice penale non conosceva fino al 1978 tale fattispecie,
bensì unicamente quella della «Ricettazione», di cui all’art. 648 c.p., collocata
nell’ambito dei «reati contro il patrimonio» a punire la
condotta di chi «fuori dei casi di concorso nel reato, al fine di
procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta
denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto», ovvero si intromette
in tal senso. Di fronte alla più antica concezione volta a
‘parificare’ il ricettatore all’autore del delitto commesso,
il legislatore del ’30 ha voluto svincolare la condotta di ricettazione
dal concorso di persone, riferibile al reato-presupposto, per delinearne
un’autonomia, anche sotto il profilo sanzionatorio, rispetto a
quest’ultimo. Già nella promulgazione del Codice Zanardelli 1889 -
(art. 421) - si argomentava che la ricettazione di cose furtive non poteva
assumersi come «complicità nel fatto di chi prese ad agire
soltanto dopo consumato il delitto»[8].
È nel 1978, con la legge n.191 (d.l.
21.3.1978 n.59 conv. nella l. 18.5.1978), che il legislatore per la prima volta
introduce, nell’ambito dei reati contro il patrimonio, l’art. 648 bis con la rubrica «Sostituzione di denaro o valori provenienti
da rapina aggravata, estorsione aggravata, o sequestro di persona a scopo di
estorsione», fattispecie finalizzata all’incriminazione di
«fatti o atti diretti a sostituire denaro o valori provenienti» dai
predetti delitti, e volta attraverso i c.d. delitti-ostacolo a combattere
più a monte la gravità di quegli illeciti, la cui commissione
veicolava il successivo impiego di denaro “sporco”.
Tale previsione, unitamente alla ratio di tutela, arricchita dal
«fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare gli
autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto del reato», spiega
la lettura, confermata anche a seguito della riforma del ’90 di cui si
dirà, di una «progressione» tra gli artt. 648-648 bis e ter (introdotto quest’ultimo ex novo nel ’90), stante l’appartenenza delle stesse
disposizioni ad un medesimo genus[9].
Collocabili – almeno ad una prima
lettura – l’una rispetto all’altra in un rapporto di
specialità, nell’evidenza di una formulazione in qualche modo
ispirata alla ricettazione, le norme indicherebbero una «comunanza di
oggetto giuridico», tutelando rispetto al passato l’ulteriore e
definitivo pregiudizio degli interessi offesi dal reato presupposto, valutabile
peraltro non più solo in ragione della messa in circolazione del denaro
o cose di provenienza delittuosa, quanto piuttosto nel «ritorno»
dei medesimi nella disponibilità necessaria per sfociare nel successivo
«impiego» in attività economico-finanziarie[10].
Si deve peraltro rilevare come già
nel 1990 significative modifiche siano intervenute ad aprire ulteriori e
diversi orizzonti anche in ragione del bene giuridico tutelato dalle norme in
questione. Fino a quella data non figurava infatti nel nostro codice penale il
termine “riciclaggio”; piuttosto, si era introdotto con lo strumento dell’art. 648 bis un mezzo di contrasto a quei
delitti, di particolare gravità e di notevole allarme sociale,
tassativamente elencati dalla norma dianzi citata.
Parallela alla lotta in sede nazionale
alla criminalità organizzata emergeva peraltro nella dimensione
economico-criminale il «riciclaggio», come fenomeno sempre
più evidente dinanzi alla Comunità internazionale.
Al primo intervento nel merito, a livello
sovranazionale – Raccomandazione (80/10) del Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa, dal titolo «Misure contro il trasferimento e la
custodia di fondi di origine criminale», in data 27.6.1980 –
seguì nel mondo bancario, adottata dai rappresentanti delle Banche
centrali e dalle Autorità di vigilanza bancaria (Comitato Cooke della
Banca dei Regolamenti Internazionali), la «Dichiarazione di
Principi» di Basilea del 12.12.1988, effetto delle preoccupazioni per il
rischio di eventuali coinvolgimenti nel fenomeno riciclaggio del sistema
bancario medesimo.
Tuttavia la tappa che segna sul piano
internazionale una prima “interferenza” nel sistema normativo
nazionale è
Qui, il « riciclaggio»,
previsto all’art. 3, par. 1, lett. b), trovava una prima definizione
nella descrizione di una condotta di «conversione» o
«trasferimento dei beni» nella “coscienza” della loro
provenienza dai reati indicati – ivi specificati alla lett. a) – allo scopo, fra
l’altro, di dissimularne o contraffarne l’origine, ovvero, in
ordine alla «dissimulazione» o alla «alterazione» della
natura, dell’origine, del luogo, disposizione, movimento o
proprietà reale rispetto ai beni o diritti relativi, nella
“coscienza” della predetta provenienza illecita.
Obblighi internazionali segnarono dunque
un primo adeguamento interno al codice penale, mutando il nomen iuris dell’art. 648 bis
c.p. in «Riciclaggio». La
l. 19.3.1990, n. 55 ne operava la modifica anche attraverso l’elisione
della modalità della condotta, tipica di un delitto a consumazione
anticipata - «fatti o atti diretti a sostituire» - e la contestuale
soppressione della finalità di profitto o aiuto, propria di un dolo
specifico, per ridisegnare la fattispecie attraverso precise e differenti
direttive: da un lato, ampliamento dei c.d. reati presupposto a comprendere,
accanto agli altri già previsti, i delitti di produzione e traffico di
sostanze stupefacenti, o psicotrope; dall’altro, una condotta di sostituzione di denaro, beni o altre
utilità provenienti dai delitti espressamente indicati, cui si
affiancava la condotta di ostacolo
all’identificazione della loro provenienza delittuosa. La pena della
reclusione aumentava nel massimo da 10 a 12 anni, con ulteriore aumento della
pena cumulativa della multa.
Già l’avvenuta soppressione
del fine di profitto o aiuto segnava – si è detto e si può
convenire – un passo inequivocabile verso l’autonomia della
configurazione del riciclaggio dai delitti di ricettazione e favoreggiamento.
Un’ulteriore tappa nella lotta ad un
fenomeno sempre più di dimensioni mondiali rispetto all’incidenza
sugli assetti economici si era peraltro configurata nel luglio
Le 40 Raccomandazioni emanate nel
’90 (la cui revisione si è conclusa nel 2003) sottolineano un fulcro
di contrasto alla criminalità, che si sposta dall’obiettivo di una
strategia di lotta ai delitti-presupposto ad una centralità connessa al
fenomeno del riciclaggio, fonte come tale di sempre maggiori preoccupazioni per
la sua diffusione e pericolosità.
La funzione di prevenzione viene dunque ad
affiancarsi a quella più propriamente repressiva, attraverso il
coinvolgimento del sistema finanziario, anche in vista di una efficace
collaborazione internazionale.
Le misure a suo tempo adottate con
l’introduzione dell’art. 648 bis,
attraverso la previsione iniziale nel 1978 della nuova fattispecie e del severo
trattamento sanzionatorio, venivano rilette in considerazione di una pena
ritenuta per sè rispondente ad un criterio di «proporzione»
tra sanzione prevista per il reato presupposto e pena per il reato c. d.
accessorio – riciclaggio – oggetto della norma citata[11].
L’originaria struttura dell’art. 648 bis c.p. faceva col tempo
emergere – per poi superarla – un’essenziale ottica
retrospettiva, volta all’accertamento dei delitti a monte, per
fronteggiare pericolose forme di criminalità.
Si è accennato tuttavia come, anche
in ambito internazionale, i proventi criminali derivanti dai reati, segnalati
per la loro gravità negli stessi documenti internazionali, fossero al
contempo oggetto di percorsi di “ripulitura” e
“investimento”, che segnavano attività difficilmente
riconducibili tra quelle assumibili come necessarie per consentire la mera
assicurazione del profitto dei reati a monte[12].
La stessa legge n. 55/1990 introduceva ex novo l’art. 648-ter, a sanzionare l’«Impiego di denaro, beni o utilità di
provenienza illecita».
Quanto tuttavia maturava nella
Comunità internazionale portò nel 1990 ad una nuova Convenzione
promossa dal Consiglio d’Europa:
All’art. 6 nella dizione «Reati di riciclaggio»
sono descritte, fra l’altro, – par. 1, lett. a. – condotte di «conversione» o
«trasferimento di valori patrimoniali», sapendo che costituiscono proventi, «allo scopo di occultare o dissimulare»
l’illecita provenienza degli stessi «o aiutare persone coinvolte
nella commissione del reato principale a sottrarsi alle conseguenze
giuridiche»; nella previsione successiva sono ricompresi anche
l’«occultamento» o la «dissimulazione» circa la
natura, l’origine, ecc.
L’art. 1 lett. e., definendo il «reato principale», indica come tale
«qualsiasi reato in conseguenza del quale si formano proventi che possono
diventare oggetto di uno dei reati definiti all’articolo 6». La pluralità delle
condotte costitutive di reato, se il fatto è commesso intenzionalmente, costituisce oggetto di
un obbligo di previsione rimessa agli Stati firmatari.
Rimane invece inalterato, e dato comune
fra le norme citate, l’incipit
della clausola di riserva: «fuori dei casi di concorso nel reato»,
sulla quale si tornerà tra breve.
La fattispecie di riciclaggio, oggetto di
un’essenziale e necessariamente limitata analisi, contiene rilevanti
elementi di novità: viene meno l’elencazione tassativa dei
reati-presupposto del riciclaggio, per colmare quello che poteva definirsi un
“vuoto” di tutela in considerazione dell’origine delittuosa
del denaro, ora riconducibile a qualunque «delitto non colposo». La
consapevolezza della provenienza di «denaro, beni o altre
utilità», non più strettamente connessa alla
“selezione” qualitativa dei reati-presupposto, amplia la portata
della norma proprio attraverso l’estensione di questi ultimi.
Non sono mancate nel merito, in dottrina,
posizioni volte piuttosto ad una qualche puntualizzazione della tipologia di attività
illecite atte a qualificare i delitti-presupposto quale fonte di proventi ,
mentre si prospetta da altri l’ulteriore rischio di un’applicazione
della normativa tanto estesa da coprire “fatti marginali” o
“discutibili”[13].
Si ricercano in tal senso soluzioni sul
piano interpretativo, in considerazione degli elementi tipizzanti il reato di
riciclaggio, così da focalizzare il riferimento lato –
«delitto non colposo» – su reati a significato patrimoniale[14]. È vero peraltro
quanto si annota circa la suscettibilità di ogni delitto, anche lo
stesso traffico clandestino di organi umani, ad essere fonte di lucro[15].
Elemento di novità resta la
condotta tipizzata nella «sostituzione»
o «trasferimento» di
«denaro, beni o altre
utilità provenienti da delitto non colposo», ma anche nel
compimento, in relazione ad essi, di «altre
operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro
provenienza delittuosa».
L’efficacia della previsione in
termini di strumento di contrasto al fenomeno del riciclaggio parrebbe emergere
nell’ampiezza di una «dissimulazione»
della provenienza delittuosa, focalizzata in una condotta, o meglio in una
molteplicità di condotte equivalenti, comunque atte ad ostacolare
l’identificazione dei proventi illeciti nella loro origine delittuosa.
La punibilità così descritta
segna altresì quello che è stato definito un «salto
qualitativo»[16] nella
fattispecie, la cui funzione di tutela si rilegge non più o non solo in
riferimento al bene patrimoniale, ma all’amministrazione della giustizia
– data la tipologia della condotta ostativa all’accertamento della
natura dei proventi – ovvero, più propriamente all’ordine
pubblico, nel contrasto alla criminalità, od ancora lesiva
dell’ordine economico, a fronte di un fenomeno quale quello del
riciclaggio, capace di “alterare” gravemente i
“circuiti” dell’attività economica e le regole della
libera concorrenza. Si ritiene configurabile in tal senso all’art. 648 bis c.p. un reato plurioffensivo[17]; certo è
che il legislatore non pare più perseguire l’intento di
«impedire che il soggetto offeso dal reato presupposto non riesca a
rientrare in possesso del bene», di cui in vario modo è stato
privato, intende bensì evitare che patrimoni di provenienza delittuosa
vengano immessi «puliti» nei circuiti legali dell’economia.
Resterebbe così confermata la
posizione di chi riconduce l’oggetto giuridico, nel suo complesso, alla
collettività dei consociati.
La peculiarità dell’ambito di
tutela proprio dell’art. 648 bis
ne segna dunque un’ulteriore autonomia rispetto alla ricettazione come
tale, il cui elemento qualificante, in ragione della finalità del
conseguimento del lucro, trova diversamente nel riciclaggio un dolo generico
focalizzato su una condotta che per la sua modalità intrinseca concorre
a delineare l’autonomia della fattispecie e la sua diversificazione.
Si configura infatti come: «sostituzione», tale da rendere
difficile se non impossibile l’identificazione della provenienza
delittuosa, «trasferimento»,
attuabile per via negoziale, del valore corrispondente a denaro, beni o altre
utilità, dall’uno all’altro soggetto; si indica “a
chiusura” qualunque modalità di comportamento – «operazioni» – che –
quale formula di sintesi, ma “aperta” – è dotata
d’idoneità ad ostacolare l’individuazione della provenienza
delittuosa dell’oggetto materiale, facendone perdere la traccia.
Tale idoneità diventa elemento che
si riflette pur sempre nell’oggetto del dolo: quest’ultimo investe
non solo gli elementi di fatto che concorrono al riciclaggio, ma anche (cfr. art. 47, co. 3°,
c.p.) le componenti normative, in ipotesi
riguardanti la provenienza da delitto non colposo del denaro, beni, utilità.
È dalla tipizzazione, pur
sommariamente enunciata, che emergono taluni profili di criticità
– ed ecco la seconda delle ‘piste’ indicate – a fronte
dei contenuti definitori oggetto dell’art. 2 del D.Lgs. n. 231/2007 in merito alle
attuali misure antiriciclaggio.
Il confronto sul piano normativo richiede
peraltro un preliminare sguardo retrospettivo, questa volta sul fronte
comunitario: già nel 1991, quindi in epoca antecedente all’ultima
legge di modifica delle disposizioni interne al codice penale, di cui si
è detto, interveniva una prima direttiva CEE, in data 10 giugno 1991
– Direttiva 91/308/CEE – «relativa alla prevenzione
dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di
attività illecite». Già nel suo art. 1 la Direttiva
riprendeva le condotte capaci, se commesse intenzionalmente, di integrare il
riciclaggio, richiamando in tal senso la precedente Convenzione di Vienna, che
peraltro intendeva superare nei contenuti.
Nel “considerando” inerente al fenomeno del riciclaggio si
sottolineava l’origine dei «proventi» non solo da reati
connessi col traffico di stupefacenti, ma anche in riferimento ad «altre
attività criminose» (criminalità organizzata, terrorismo),
auspicando che gli Stati membri operassero in tal senso un’estensione
all’interno della loro legislazione. Il che è avvenuto nel codice
penale italiano per effetto della cit. Legge n. 328 del 1993.
L’espresso richiamo alla Direttiva
in parola, seguita altresì da una seconda del 4 dicembre 2001 (Direttiva
2001/97/CE) quale modifica della precedente, e dalla III Direttiva del 26
ottobre 2005 – di cui si dirà – mantiene un suo rilievo
anche in considerazione del Secondo Protocollo della Convenzione relativa alla
tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee stabilito in
base all’articolo K.3 del Trattato sull’U.E. del 26 luglio 1995,
fatto a Bruxelles il 19 giugno 1997, oggetto della Legge di ratifica ed
esecuzione datata 4 agosto 2008, n. 135. Al suo interno, nel rinviare per la
definizione «riciclaggio di denaro»
alla condotta a suo tempo definita «nel terzo trattino
dell’articolo 1» della Direttiva 91/308/CEE, se ne prevede
altresì il riferimento «ai proventi della frode, almeno nei casi
gravi, e della corruzione attiva o passiva».
Preme qui peraltro sottolineare, a seguito
del suo recepimento, l’ultima delle Direttive dianzi citate –
Direttiva 2005/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio –
«relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo
di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del
terrorismo». Ribadendo nel considerando
(7) l’ampliamento dei reati-presupposto, da cui derivano i proventi
oggetto del successivo riciclaggio, quale scelta che «agevola la
segnalazione delle operazioni sospette e la cooperazione internazionale»
nel settore, si riprende ancora all’art. 1 la definizione del riciclaggio, modulata in una serie di
condotte, cui segue quella del «finanziamento del terrorismo».
Resta, e non può che essere così, l’incipit: «ai fini della presente direttiva», quale
ambito della definizione stessa.
Interviene nel 2007 l’attuazione
della Direttiva in parola ad opera del D.Lgs. n. 231 (21 nov. 2007), che
dispone, questa volta
nell’obiettivo della prevenzione,
gli adempimenti ed obblighi conseguenti in capo a professionisti, banche,
intermediari finanziari ed altri soggetti ivi indicati.
Non entro evidentemente nel merito
specifico degli «obblighi di adeguata verifica della clientela» o
di registrazione o di «segnalazione di operazioni sospette» ex art. 41 ss. – oggetto
quest’oggi di autorevoli interventi –, ma a fronte del corredo di
sanzioni penali – art. 55 – e sanzioni amministrative che ne
stigmatizzano la violazione, è opportuno muovere dal più volte
citato art. 2, avente ad oggetto: «Definizioni
di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e finalità del decreto».
Il 1° comma enuncia: «Ai soli
fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente,
costituiscono riciclaggio»; ne segue l’elencazione, che mutatis mutandis riproduce, ed anche
nell’incipit, una previsione
analoga a quella dell’art. 1 della Direttiva stessa, a cui si dà
attuazione.
In particolare, alla lett. a), si prevedono quali condotte che,
commesse intenzionalmente, danno
luogo a riciclaggio «la
conversione o il trasferimento di beni effettuati essendo a conoscenza che essi
provengono da un’attività
criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare
l’origine illecita dei beni medesimi...».
Una prima notazione: il profilo soggettivo
legato alla intenzionalità esigerebbe un doveroso e preliminare
confronto con l’art. 43, co. 1°, c.p., che reca la definizione del
«dolo», quale forma di
responsabilità. La differenza terminologica che emerge rispetto al dato
codicistico porrebbe un’alternativa: o concludere in ipotesi per una
“restrizione” del dolo medesimo, oppure ritenere colmata la
differenza testuale in ragione dell’espressione ricorrente nel cit. art.
43, che pone per sè
l’equivalenza tra delitto doloso
o «secondo l’intenzione».
Accogliere tale accezione normativa eviterebbe di assumere il contenuto
dell’inciso in parola – «intenzionalmente»
– da quella “forma”, peraltro non univoca nell’interpretazione
dottrinale, che qualifica nel nostro ordinamento il «dolo intenzionale»[18].
Ragioni sistematiche depongono in tal
senso: l’avverbio in questione è desunto nell’art. 2 del
decreto legislativo n. 231/2007 da fonte comunitaria, mentre è come tale
assente dalla stessa fattispecie penalmente rilevante che sanziona il
riciclaggio. Da ciò consegue che, a differenza delle norme
incriminatrici che operano dell’inciso un ‘espresso’ richiamo, una
qualche rilevanza del dolo intenzionale potrà al più emergere per
il caso di specie nella realizzazione del fatto commesso, quale parametro di
valutazione dell’intensità del dolo, richiesta ai fini della
commisurazione della pena.
A riprova, potrebbe del resto richiamarsi
il comma 3° del cit. art. 2, che nel suo dettato parrebbe collocare su un
piano di equivalenza «la conoscenza, l’intenzione o la
finalità, che debbono costituire un elemento degli atti di cui al comma
1». Del resto, nella Raccomandazione 2 del GAFI , in margine all’«elemento
psicologico» del reato di riciclaggio emergono la volontà nel suo
significato doloso (the intent) e la
consapevolezza (the knowledge)[19].
Ma vi è di più. Il combinato
disposto della norma in esame con la trama normativa sottesa agli obblighi
facenti capo a soggetti qualificati – ad es. artt. 15 e 16 D.Lgs.
n.231/2007 – evidenzia dinanzi al «sospetto di riciclaggio»,
da cui scaturisce il conseguente obbligo di adeguata verifica della clientela,
una differenza terminologica: le
definizioni oggetto del cit. art. 2 si fondano sul ripetuto richiamo al
“dato – presupposto” del riciclaggio, individuato per
sé in una «attività
criminosa» o «partecipazione»
alla stessa, laddove il nomen iuris
dell’art. 648 bis c.p. trova al
suo interno tipizzazione nei “delitti non colposi” quale presupposto
del riciclaggio. È vero che la Direttiva come tale definisce
all’art. 3, par. 4. l’«attività
criminosa» come «qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale
nella perpetrazione di un reato grave», cui segue al par. 5.
l’indicazione dei «reati gravi»; ma è
altresì vero che la Direttiva esigerebbe per sé il recepimento in
ogni sua parte (c.d. “primo pilastro”) in un confronto a monte con
i principi interni all’ordinamento.
Di più: in materia penale il
principio di stretta legalità di rilevanza costituzionale, nel suo
corollario della tassatività, esige a sua volta nella legislazione
nazionale indicazioni normative univoche, specie se collocate a fondamento di
eventuali obblighi penalmente sanzionati. Si è, è vero, rimarcata
l’equivalenza tra l’espressione «criminosa», ex art.
2, e «delittuosa» quale desumibile dal codice penale, ma
difficilmente “precisione” e “determinatezza”
consentono in ambito penale di operare in modo certo, laddove la categoria ivi tipizzata è il reato nella
tipologia di delitti e contravvenzioni, entrambi dunque
enucleabili in una generica attività
criminosa. Di contro, quest’ultima sarebbe per sé indicativa non tanto di fatti illeciti a carattere
episodico o occasionale, quanto piuttosto di condotte penalmente rilevanti
tendenzialmente continuative o sistematiche.
Il confronto normativo tra fattispecie
incriminatrice del riciclaggio nei suoi effetti repressivi e definizione
corrispondente adottata nella terminologia dell’art.
Il dato non è privo di rilievo se
solo si riflette sulla tipologia dell’attività oggi richiesta
dalla legislazione antiriciclaggio in particolare ai Professionisti –
pensiamo agli Avvocati – sui quali “tradizionalmente”
gravano, per deontologia, obblighi di segno diverso rispetto ad un
‘controllo’ sul cliente. In tal senso, alcune notazioni diventano
doverose.
Si descrivono infatti nell’art. 2
cit. le «azioni»
‘costitutive’ di riciclaggio,
a fronte del «delitto» come tale previsto e qualificato nel codice
penale; lo stesso include quale oggetto della condotta «beni, denaro o
altre utilità», espressamente esplicitati dal legislatore a
definire la fattispecie di riciclaggio, onde indicare qualsiasi forma di
accrescimento patrimoniale attuale o potenziale. All’art. 2 si fa
diversamente riferimento espresso solo ai «beni» (la cui definizione è oggetto della Direttiva
all’art. 3, par. 3.).
Ancora: la provenienza degli stessi,
espressamente ricondotta nell’art. 648 bis c.p. ai delitti non colposi, non trova – come dianzi
rilevato – analogo riscontro nel decreto quale ambito dei reati
presupposto, con conseguente ipotizzabile estensione degli stessi ( si pensi in
tal senso alle contravvenzioni ex
art. 718 ss. c.p. in materia di giochi d’azzardo o esercizio abusivo di
gioco non d’azzardo).
Si è nel merito argomentato, in
margine all’art. 41 D.Lgs. n. 231/2007 circa la segnalazione di
operazioni sospette di “riciclaggio”, che nel decreto è
stato «attenuato il riferimento alle norme penalistiche in base agli
articoli 648-bis e 648-ter, lasciando margini di
discrezionalità (e di latente eccesso di zelo) molto più ampi
rispetto al passato. Il dubbio, insomma, legittima la segnalazione effettuata
in buona fede»[21].
La notazione, pur comprensibile,
lascerebbe per sé comunque sussistere le perplessità in
precedenza espresse in merito ad un ambito propriamente repressivo quale quello
penale, che come tale non è ‘sfuggito’ al legislatore, se:
1°) al 4° comma dell’art. 2,
sempre «ai fini del presente decreto», si rinvia per il
«finanziamento del terrorismo» alla «definizione di cui
all’articolo 1, comma 1, lettera a),
del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109», ove non è assente il riferimento al
codice penale;
2°) all’art.
Ma vi è un ulteriore e certo non
ultimo rilievo, e ad esso ci limitiamo: nella descrizione delle condotte,
oggetto del D.Lgs. n. 231/2007, costitutive di riciclaggio è prevista
altresì, sempre all’art. 2, co. 1° – lett. d) – «la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti,
l’associazione per commettere tale atto...». A parte, nel
merito, l’assoluta genericità: vi è ricompreso il semplice
«consiglio», volto a porre in essere le attività, o meglio,
l’atto, a fronte degli elementi
propri del sistema penale, alla stregua dei quali sono definibili – ex art. 110 ss. c.p. – le
modalità di realizzazione concorsuale del reato, o le stesse fattispecie
associative nella tipizzazione di reati a concorso necessario; ma pur volendone
ridimensionare la portata, valga per tutti un dato: il mancato riferimento al
codice penale, nella specifica previsione dell’art. 648 bis, consentirebbe di ricomprendere
nell’operatività della norma anche ipotesi c.d. di
«autoriciclaggio»[22].
Ovvero: in assenza di una espressa
previsione nel decreto in esame, riconducibile all’art. 648 bis c.p., verrebbe meno con esso
l’incipit della clausola di
riserva a segnare l’esclusione di una responsabilità per
riciclaggio in capo all’autore o al concorrente nel reato presupposto.
Se, ed a maggior ragione, la «conoscenza» della provenienza
illecita è evidentemente riferibile anche all’autore del reato
presupposto, ne consegue che, ex art.
2 D.Lgs. n. 231/2007, ed ai fini
dello stesso, rileverà a monte anche l’attività di
riciclaggio posta in essere da chi sia colpevole del reato presupposto,
ampliando così la portata e gli obblighi di verifica e segnalazione.
Evidenti le implicazioni riconducibili
all’ammissibilità, in ipotesi, del concorso di reati in presenza
di identico soggetto agente, a fronte della parallela esclusione codicistica in
capo all’autore del delitto presupposto, su cui si tornerà tra
breve.
La prevenzione di possibili danni al
sistema economico e finanziario giocherebbe dunque un ruolo determinante; lo
stesso tuttavia non può essere al contempo ‘totalizzante’,
se così si può dire, rispetto ad un sistema normativo e alle sue
indefettibili garanzie, anche in considerazione di un contrasto alla
criminalità da operare pur sempre, ed ancor prima, “a monte”
in ordine alla commissione di qualunque delitto fonte di profitti. Prevenzione
e repressione operano evidentemente su piani diversi ma non distanti ed
entrambe necessitano di una collocazione che tenga conto dell’intero
ordinamento nella sua complessità, non ultimi gli aspetti
costituzionali. Si innesta qui la “terza” tappa del nostro
percorso.
Quanto appena prospettato investe un
“punctum dolens”,
peraltro centrale in materia di riciclaggio: la clausola di apertura
«fuori dei casi di concorso» nel reato-presupposto delinea
nell’incriminazione del riciclaggio l’ambito dei soggetti attivi.
Se il «chiunque» ne sottolinea
la natura di reato comune, l’esclusione
- «fuori dei casi di concorso» - espressa dalla clausola e rimasta
quale elemento di contatto anche con gli artt. 648 e 648 ter c.p., varrebbe a far venire meno la punibilità per
riciclaggio in capo a chi si sia reso autore o compartecipe del reato
presupposto.
Dottrina e giurisprudenza hanno più
volte chiarito i limiti del concorso nel reato da cui derivano i proventi
illeciti, ad escludere una concorrente responsabilità tra delitto
presupposto e successivo riciclaggio, con la conseguente qualificazione
giuridica del fatto commesso nel suo corrispondente ambito di rilevanza penale.
Si può da ultimo citare la
recentissima sentenza della Cassazione, Sez. V, 10 gen. – 28 feb. 2007 n.
8432, che ribadisce l’esclusione della punibilità per il
concorrente nel reato presupposto rispetto al riciclaggio, in quanto il
medesimo soggetto «non può essere chiamato a rispondere di tale
successiva attività, fatta rientrare nel post factum non punibile attraverso la clausola di riserva
introdotta nell’articolo 648-bis
del Cp. Peraltro, al fine di distinguere il concorrente dal riciclatore non
basta il ricorso al criterio “temporale”, giacché occorre,
in più, che si proceda a verificare, caso per caso, se la preventiva
assicurazione di “lavare” il denaro abbia realmente influenzato o
rafforzato, nell’autore del reato principale, la decisione di
delinquere», così da qualificarsi come “contributo
causale”[23].
La dottrina, specie più recente,
auspica nel merito un intervento legislativo volto all’eliminazione della
clausola in esame: si argomenta, anche sulla base dell’esclusione dalla
fattispecie dell’art. 648 bis c.p.
del catalogo dei reati-presupposto, l’acquisizione in esso di un proprio
ed autonomo disvalore; del resto, la prospettata pluralità e
diversità degli interessi offesi ne costituirebbe un
‘sintomo’.
Di più, l’autonomia della
fattispecie di riciclaggio troverebbe conferma nella peculiare condotta di
sostituzione, trasferimento o qualunque altra operazione così da
ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa. Simile
tipologia, «in una parola, di “lavaggio” dei proventi»,
non si porrebbe «in rapporto di mezzo a fine con il delitto
presupposto», elemento quest’ultimo diversamente rinvenibile nel
post-fatto non punibile[24].
Del resto, ferma la clausola espressa ed
il suo contenuto interpretativo, si può qui richiamare, in riferimento
al più ampio tema inerente alla “unità e pluralità
di reati”, la posizione di chi esclude dinanzi al post-fatto l’applicabilità del principio del ne bis in idem, in quanto si tratterebbe
in ipotesi di «fatti criminosi diversi». Inoltre, i reati oggetto
di ante-fatto e post-fatto non punibili costituirebbero rispettivamente, secondo
l’id quod plerumque accidit,
«il mezzo per realizzare un reato più grave oppure per conseguire
lo scopo per cui fu commesso un primo più grave reato»[25]. La categoria
in parola – post-fatto – per sé non troverebbe dunque a suo
fondamento una configurazione normativa in termini di vero e proprio principio
di diritto positivo, ma la stessa diventa il risultato di un
«processo» d’interpretazione dell’intero sistema penale[26].
Taluni degli elementi ora enunciati
– si pensi per tutti all’indubbia diversità delle condotte
di riciclaggio rispetto ad un delitto non colposo presupposto –
parrebbero ricorrere nel caso di specie, ad argomentare le ragioni di una
auspicata eliminazione di quello che viene definito il c.d.
«privilegio» dell’autoriciclaggio.
Inoltre, in linea con quanto fin qui
accennato, si è fatto rilevare che il riciclaggio, progressivamente
distaccatosi dalla «logica propria dei “reati accessori”,
è divenuto momento dinamico di reimpiego di profitti illegali, fino al
punto di rendere discutibile l’esclusione di un intervento penale
“cumulativo” rispetto ai reati-presupposto»[27].
Tuttavia, se emerge un’effettiva
difficoltà a rileggere le operazioni che tramite
“ripulitura” consentano il successivo impiego di proventi illeciti
come «naturale prosecuzione, quasi un perfezionamento» della
condotta illecita, non manca chi al contempo paventa conseguenze preoccupanti a
seguito della punibilità per riciclaggio dell’autore del delitto-presupposto[28] (ipotesi,
quest’ultima, definita da Caraccioli, vero « mostro
giuridico»).
L’art. 648 bis infatti, stante l’ampiezza della previsione, assurgerebbe
a «pressoché automatica causa di aggravamento della
responsabilità, indipendente dal disvalore rinvenibile nell’impiego
del bene o dagli effetti ad esso ricollegabili. In tale prospettiva, quasi
tutti i reati, e in particolare quelli contro il patrimonio, andrebbero letti
come se alla cornice di pena in essi prevista si associasse inevitabilmente
l’ulteriore pena del riciclaggio: esito, questo, - si fa notare - forse
da taluni apprezzabile sul piano della prevenzione generale ma certamente
disastroso per la razionalità del sistema, anche alla luce della
severità delle pene applicabili»[29].
Nel nostro ordinamento è il reato
continuato - rectius ‘continuazione
nel reato’ - ex art. 81 cpv. c.
p., che, a fronte di condotte diverse per pluralità d’illeciti,
verrebbe a consentire, presente l’elemento soggettivo richiesto del
“medesimo disegno criminoso”, una modulazione di pena, in un ammontare complessivo elevabile fino al
triplo.
Ma ad un’attenta riflessione non
sfugge che la mitigazione sanzionatoria, rispetto al cumulo materiale delle
pene previsto per il concorso di reati, quale criterio cui è improntato
il codice penale ancora oggi, troverebbe nel cumulo giuridico – pena per
la violazione più grave aumentata fino al triplo – un ulteriore
problematico riflesso sul sistema. Stante la gravità della pena prevista
per il riciclaggio, potrebbe quest’ultimo per la sua ampia previsione
ricorrere di frequente ad integrare nella ‘continuazione’ la
violazione più grave, con una incidenza prevalente sul piano del disvalore penale rispetto
all’offesa-contenuto del delitto presupposto commesso dallo stesso autore
del riciclaggio, e ciò anche a fronte di interessi lesi particolarmente
significativi per la vittima, diversamente valutabili in funzione di mero
aumento del quantum sanzionatorio.
Si comprende dunque il richiamo a quel
“principio di offensività”, prospettato altresì nel
suo fondamento costituzionale e nella direttrice della «proporzione» tra pena e valore
tutelato[30], principio nel
merito invocato per evidenziare «l’eccessiva rigidità del
sistema», cui darebbe luogo la soppressione della clausola, tale da
integrare una «possibile violazione» del principio stesso di
offensività, a fronte di un eccessivo rigore sanzionatorio[31].
Il self-laundering,
quale termine utilizzato in ambito internazionale per indicare
l’«autoriciclaggio», è stato in altre sedi ripreso, e
ciò ne sottolinea l’evidente problematicità, per segnalare
altri profili che sollecitano un intervento nel merito. Il Governatore della
Banca d’Italia, Draghi, nella «testimonianza» alle Commissioni riunite 1a (Affari
costituzionali) e 2a (Giustizia) del Senato della Repubblica, circa le
problematiche connesse al riciclaggio, a margine dell’esame dei disegni
di legge n. 733 e collegati in materia di sicurezza pubblica, il 15 luglio 2008
affermava fra l’altro che la punibilità del c.d. autoriciclaggio (oggetto del disegno di
legge A.S./583) avrebbe dato risposta alle sollecitazioni del Fondo Monetario
Internazionale, che già nel 2005 si era così espresso. Tuttavia,
pur prospettandone una possibile adesione, sono significative le parole che
seguono: «La punizione dell’autoriciclaggio consentirebbe di
allineare la fattispecie penale alla più ampia nozione di riciclaggio
introdotta dal d.Lgs. 231 ai soli fini dell’applicazione delle
disposizioni contenute nel decreto. Andrebbero comunque ricercate misure che
favoriscano la perseguibilità del reato di riciclaggio senza aggravare
ingiustificatamente i responsabili di reati di ridotta pericolosità
sociale».
Si ricorda nel merito la testimonianza
resa dallo stesso Governatore alla Commissione Antimafia nel giugno del 2007:
«se da un lato la punibilità dell’autoriciclaggio potrebbe
garantire un più agevole accertamento probatorio delle fattispecie
criminose complesse, dall’altro, va considerato che, nell’ipotesi
di reati presupposto caratterizzati da un minore grado di offensività,
potrebbe determinare un’eccessiva punizione della condotta».
In quella sede, lo stesso Governatore (14
giugno 2007) prospettava «anche l’opportunità di qualificare
meglio l’attuale fattispecie del delitto di riciclaggio, incentrando la
condotta criminosa sul compimento di atti idonei a occultare la provenienza
illecita del denaro o dei beni». Rilevava, di contro, come la non
punibilità dell’autoriciclaggio induca per i responsabili dei
delitti presupposto, allorché la scelta si rivela conveniente,
«abili strategie di difesa processuale, basate sulla falsa ammissione del
concorso nel reato sottostante», le quali «consentono di evitare la
condanna per riciclaggio»[32].
Emerge in tutta evidenza
l’interazione di piani diversi: questioni meramente processuali in sede
di accertamento della responsabilità, come poc’anzi accennate,
verrebbero ad acquistare prevalenza su quelle proprie del diritto penale
sostanziale.
Ancora, profili di prevenzione generale
s’intersecano con quelli più propriamente inerenti
all’indagine volta all’emersione del riciclaggio, per la cui
efficienza ed efficacia in vista del risultato viene invocata
l’eliminazione dell’inciso di apertura dell’art. 648 bis c.p. (così P. Grasso,
Procuratore nazionale antimafia, nell’audizione dinanzi alla Commissione bicamerale
nella seduta del 26.6.2007).
Da altri, i rilievi critici anche in
ordine alla discussa eliminazione della clausola in parola si orientano
diversamente, ai fini del «recupero di efficacia» della
legislazione penale repressiva, secondo un intervento della stessa mirato
piuttosto a «tipologie ristrette di reati base, anziché
ricomprendere indiscriminatamente qualsiasi delitto»[33].
Si assume in tal senso come necessaria la
« concentrazione su specifiche forme delittuose, selezionate tra le
ipotesi collettore delle attività realizzate dalla criminalità
organizzata per auto-alimentarsi».
Uno sguardo all’ambito
internazionale conferma la facoltà rimessa agli Stati-Parte – v.
art. 6, par. 2 lett. b. Convenzione
di Strasburgo 1990 – di escludere dalla punibilità per riciclaggio
le «persone che hanno commesso il reato principale». Né - si
rileva in dottrina - le 40 Raccomandazioni del GAFI recano un’indicazione
in tal senso, né a suo tempo
Anche nella Convenzione ONU contro la
criminalità organizzata trasnazionale, aperta alla firma in occasione
della Conferenza internazionale svoltasi a Palermo dal 12/15 novembre del 2000,
e ratificata con la legge n. 146/2006, si evince analoga previsione. Circa gli
obblighi di penalizzazione del riciclaggio dei proventi di reato,
all’art. 6, par. 2 lett. e) si
prevede che, ove richiesto dai principi fondamentali dell’ordinamento, il
reato non trovi applicazione
«alle persone che hanno commesso il reato presupposto»[34].
Resta il fatto che una fattispecie
originariamente introdotta a rafforzare la tutela dei beni oggetto dei delitti
presupposto ha via via modificato
contenuto e portata in un’attività di contrasto non più o
non tanto rivolta alla gravità dei delitti fonte dei proventi, ma alle
garanzie richieste dal più vasto “panorama”
economico-finanziario, specie a fronte delle attività proprie della
criminalità organizzata[35].
La necessità del superamento della
vigente clausola di riserva è emersa soprattutto a fronte delle
difficoltà in sede processuale e, «in estrema sintesi,
riconducibili alla esigenza di dimostrare
sul piano probatorio, allo stesso tempo, la consapevolezza della
illecita origine del denaro “sostituito o trasferito”» e la
contestuale estraneità del soggetto agente alla commissione del reato da
cui lo stesso denaro proviene. «Il venir meno di questa seconda
condizione comporta infatti, il più delle volte, che la originaria
contestazione si traduca in ipotesi di concorso nella commissione del reato
presupposto»[36].
Se così è, il limitato
numero delle pronunce in materia di riciclaggio, oggetto di ricorrenti rilievi
critici, chiederebbe – si fa notare – «una doverosa cautela
nel misurare l’efficacia del sistema di prevenzione antiriciclaggio sulla
base del numero di condanne penali per lo specifico titolo di reato, la cui
oggettiva esiguità non tiene conto delle ben più numerose ipotesi
di concorso nella commissione di illeciti - (evidentemente “presupposto”)
-, scoperte e sanzionate penalmente proprio grazie alle segnalazioni sospette
prodotte dai soggetti tenuti ai c.d. obblighi di collaborazione attiva, loro
imposti dalla normativa antiriciclaggio».
Si è anche, da altri, dinanzi ai
nuovi obblighi di vigilanza oggetto del D.Lgs. n. 231/2007, sottolineata in via
esponenziale l’«urgenza» e la necessità di una
verifica sui legami tra codice penale e legislazione antiriciclaggio; ma vorrei
qui porre in evidenza un ultimo dato normativo che ne sottolinea, a mio
sommesso avviso, la “doverosità”.
Allorché si puntualizza la condotta
di riciclaggio nella modalità del «trasferimento» si spiega
la stessa in riferimento a quegli atti volti a «‘confondere le
acque’» - ovvero, c.d. interruzione del paper trail[37] - la cui
idoneità lesiva è dunque misurata quale «idoneità a
ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni»[38]. A titolo
esemplificativo si prospetta fra l’altro la punibilità del
cambiamento di intestazione di un immobile o titoli, così da
«dissimularne» l’origine delittuosa, difficilmente
ricostruibile; e si conclude nel senso che il termine «trasferire»,
nel contesto dell’art. 648 bis
c.p., «implichi un trasferimento ad altro
soggetto, un mutamento di intestazione, foss’anche fittizia».
Ciò premesso diventa significativa
la notazione a margine che, a fronte della lettura enunciata, individua un
difficile ambito di applicabilità per un’altra ipotesi normativa,
introdotta nella legislazione speciale[39]. Difatti, il
D.l 8.6.1992 n. 306, conv. con modif. dalla l. 7.8.1992 n. 356, che reca
«Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di
contrasto alla criminalità mafiosa», contiene all’art. 12 quinquies, la disciplina inerente al
«trasferimento fraudolento di valori»
(rubrica così modif. dall’art. 1, d.l. 20 giugno 1994 n. 399,
conv. nella l. 8 agosto 1994, n. 501).
La norma, oggetto in tempi recentissimi di
una pronuncia, di cui si dirà, a noi interessa nel suo 1° comma:
«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque
attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità
di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di
legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando,
ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648,
648-bis e 648-ter del codice penale, è punito con la reclusione da due a
sei anni».
Diventa a questo punto doveroso un
chiarimento, pur sommario, dei profili di rilevanza penale della condotta
oggetto dell’attuale previsione dell’art. 648 bis c.p. in un confronto con il dettato del cit. art. 12 quinquies, per sé – si noti
– antecedente rispetto all’attuale configurazione del riciclaggio,
oggi inclusiva del “trasferimento” (modalità introdotta come
tale nel 1993).
Il percorso giurisprudenziale offre in tal
senso notevoli spunti.
Prendiamo le mosse dal contenuto
dell’art. 648 bis c.p., quale
puntualizzato dalla sentenza della Cass., Sez. II, 6-25 ott. 2004 n. 41459,
nella quale si focalizza la condotta di riciclaggio in «un quid pluris» idoneo ad indicare
che la stessa non si limiti al «solo possesso del bene di illecita
provenienza» (condotta idonea per sé, presente il dolo specifico
richiesto, ad integrare la ricettazione); è invece disposto –
rileva la Corte – che l’attività consista nella
«alterazione o manipolazione del bene». La condotta
“dissimulatoria” della provenienza illecita dei proventi integra
dunque il quid pluris che assume di
volta in volta le modalità
della «sostituzione», «trasferimento» o «altre
operazioni... ».
Nell’esplicazione delle stesse,
arricchita da autorevoli contributi dottrinali, si configura: la sostituzione nell’acquisizione del
denaro di illecita provenienza da parte di un soggetto, cui segua il rimpiazzamento dello stesso; il trasferimento, configurabile nello
spostamento del provento delittuoso da un soggetto ad un terzo; ovvero, si
prospetta la condotta del soggetto che, ricevuta la disponibilità
materiale o giuridica dei proventi illeciti, ne effettua il trasferimento ad
altri nell’identica composizione anche qualitativa, integrando così
l’ostacolo all’identificazione circa l’origine dei proventi[41].
Le modalità ora descritte trovano
una formula di sintesi in chi afferma che il riciclaggio «è nato
come strumento per colpire ciò che sta dopo la ricezione del denaro o dei valori», per cui quando
vengono posti in essere comportamenti atti ad «un ritorno del denaro o
dei valori «ripuliti» all’autore del delitto
presupposto», allora scatterebbe l’art. 648 bis. La disponibilità «effettiva o virtuale» dei
proventi delittuosi diventa dunque necessaria premessa al «comportamento,
verso l’autore del reato-presupposto, di potenziale dazione del
tantundem»[42]. Per maggiore
completezza, ed ai fini del
prospettato confronto con il dettato dell’art. 12 quinquies, l. n. 356/1992, si può altresì indicare
l’ulteriore e più sofisticata modalità riciclatoria, che si
ritiene oggi integrata anche dalle intestazioni fittizie dei proventi illeciti
ad un prestanome, ovvero a seguito di una “ripulitura” realizzata
attraverso transazioni operate tramite società fittizie.
Proprio tali esemplificazioni verrebbero a
rimarcare il labile confine rispetto al “fittizio conferimento”
della signoria su proventi illeciti, quale elemento che concorre alla
tipizzazione del cit. art. 12 quinquies,
definito quale «delitto di interposizione fittizia», ovvero
«trasferimento fraudolento di valori».
Le più recenti pronunce nel merito
ad opera del giudice di legittimità offrono elementi di riflessione a
partire dalla sentenza delle Sezioni Unite, in data 28 feb. 2001, che ha
definito la natura dell’ipotesi in esame come «reato istantaneo con
effetti di natura permanente». Il disvalore della condotta realizzata
attraverso modelli di “simulazione” verrebbe ad esaurirsi, per il
tramite di meccanismi interpositori, nell’«attribuzione
fittizia» con gli effetti elusivi o agevolatori di cui alla norma in
esame. Si conclude: «Il permanere della situazione antigiuridica, quale
conseguenza del contegno criminoso si profila, quindi, rispetto alle
finalità di fattispecie, diretta a reprimere un effetto lato sensu «traslativo», da
iscrivere nel più ampio genus
del c.d. «riciclaggio», come dato non eccedente l’ambito di
un postfatto non punibile». La successiva sentenza della Sez. V, 2 apr.
2007 (4 luglio 2007 n. 25568), puntualizza nel merito che gli effetti
permanenti sono «potenzialmente suscettibili di interruzione nel momento
in cui l’attribuzione fittizia venga meno e la titolarità della res sia realmente , e non fittiziamente,
trasferita»[43].
Ma è la più recente sentenza
11 dic. 2008 (5 marzo 2009 n.10024), Cass. pen., Sez. VI, a confermare e
puntualizzare la portata incriminatrice dell’art.12 quinquies nel suo 1° comma. La vicenda attiene a una reiterata
fittizia intestazione, volta a «mascherare» la presenza
“criminosa” nella reale
proprietà di beni, realizzata attraverso la creazione di società
fittizie. Spiega la Corte che il permanere
dell’iniziale «situazione antigiuridica», effetto
dell’apparente attribuzione, non assume in sé rilevanza penale per
le situazioni conseguenti all’interposizione fittizia, che
«consistono in condotte meramente passive, finalizzate cioè al
semplice mantenimento dell’illecito status
quo, inteso come un passivo godimento degli effetti permanenti del
delitto». Si escluderà diversamente il post-fatto non punibile se
le operazioni simulate, anche di natura societaria, siano dirette a creare
nuove società, quali «ulteriori schermi», o ad attribuire
nuove utilità, lasciando intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione
o per conto o nell’interesse del quale l’attribuzione è
effettuata.
Tale condotta spesa per agevolare la
commissione di reati, quali indicati nella norma in esame, tra cui il
riciclaggio, e connessi alla circolazione dei proventi di origine illecita,
viene altresì a coinvolgere quanti all’operazione si prestino con
una condotta partecipativa, ai sensi dell’art. 110 c.p. L’art. 12 quinquies non prevede infatti la
punibilità per sé del soggetto che all’operazione fittizia
acconsenta, il che fa deporre per il ricorso, quale fattispecie
“monosoggettiva” e presenti gli estremi in ipotesi richiesti, alla
disciplina del concorso di persone nel reato. Ma vi è qualcosa di
più.
Emerge dalla sentenza ora citata che anche
l’apporto del terzo permarrebbe nell’ambito della fattispecie de qua, in ragione di
una condotta che a seguito dell’attribuzione fittizia mantenga
lo status quo. Ciò non
escluderebbe dunque che il quid pluris, dianzi
indicato a tipizzare una vera e propria condotta di riciclaggio, al suo
verificarsi venga a collocare la diversa attività spesa in forma
“dissimulatoria” nell’area di punibilità
dell’art. 648 bis c.p.; a tale
risultato del resto sembrerebbe indirizzare l’interprete la clausola
iniziale indicativa della sussidiarietà,
con cui si apre l’art. 12 quinquies[44].
Se i rilievi fin qui esposti valgono, con
l’ausilio della giurisprudenza, a tracciare i confini di disposizioni
coesistenti, limitiamo a tali cenni il contenuto normativo circa
l’elemento oggettivo, per collocarci su un altro piano, in questa sede di
maggior rilievo, e ad esso consequenziale.
Ferma la clausola di riserva in apertura - «salvo che il
fatto costituisca più grave reato» - i cui profili interpretativi
investono questioni prospettabili in tema di concorso apparente di norme, va
sottolineato come il modulo descrittivo della condotta, oggetto dell’art.
12 quinquies, risulti altresì qualificabile in ragione della
finalità espressamente richiesta dal legislatore, in particolare
rispetto alla «agevolazione» della commissione di uno dei delitti,
di cui agli artt. 648-648 bis e ter c.p. (evidentemente
allora nella formulazione introdotta dalla l. n. 55/1990 all’epoca
vigente).
Il dolo, tipizzato nella sua forma di
«dolo specifico», verrebbe in tal senso ad ascrivere alla condotta
dell’art. 12 quinquies, 1°
co., «i caratteri dell’agevolazione dolosa - condotta partecipativa
nel trasferimento fraudolento», che alla luce della predetta
finalità specifica è parsa ricostruibile in ragione di
«atti diretti a commettere i delitti di ricettazione, riciclaggio e reimpiego
di denaro ecc. illeciti»[45].
Ma vi è un ulteriore dato
“selezionato” dalla norma in esame, che consente di individuare uno
«spazio autonomo di efficacia qualitativa» rispetto alle ipotesi di
cui agli articoli 648, 648 bis e ter. Si può notare infatti come
destinatario della disciplina dell’art. 12 quinquies possa o debba anche essere il «soggetto che abbia
realizzato, in regime di esecuzione monosoggettiva o plurisoggettiva, il c.d.
reato-presupposto», dal quale originano i proventi oggetto dei successivi
reati di ricettazione o riciclaggio[46]. Se il divieto
penalmente sanzionato, in assenza di indicazioni testuali diverse riferibili al
“chiunque”, si estende
anche all’autore del reato-presupposto, si viene per quest’ultimo a
delineare una punibilità concorrente
con quella propria del reato commesso, fonte dei proventi illeciti.
Ciò renderebbe possibile oggi
sanzionare, unitamente alla realizzazione del delitto-presupposto a monte, una
condotta di agevolazione dolosa del
riciclaggio, commessa con le modalità prescritte dall’art. 12 quinquies dall’autore del medesimo
delitto-presupposto.
Tale lettura, supportata dal dato
normativo, collocherebbe dunque all’interno del sistema la
punibilità del soggetto autore del reato-presupposto anche per
l’ipotesi di “agevolazione dolosa” del riciclaggio, e
ciò mentre quest’ultimo come tale, ai sensi dell’art. 648 bis e per effetto della clausola di
riserva, non è addebitabile allo stesso autore del delitto-presupposto.
Un minus, nella sua condotta
agevolatrice del riciclaggio, ma ad esso necessariamente antecedente, sarebbe
così sanzionato a fronte dell’esclusione della punibilità
per il riciclaggio in senso proprio, quale più grave ipotesi.
Evidenti esigenze di tipizzazione si
pongono a questo punto, se solo si riflette che oggi - come dianzi precisato -
condotte di intestazioni fittizie di proventi illeciti vengono collocate nel
vigente art. 648 bis c. p., stante
l’idoneità delle stesse ad ostacolare l’identificazione
della provenienza delittuosa; tuttavia, analoghe modalità di «attribuzione fittizia» sono
attratte - e lo si è visto - nella sfera di punibilità
dell’art. 12 quinquies, in
quanto finalizzate ad agevolare la commissione, fra l’altro, del
riciclaggio. Rispetto a quest’ultimo, la previsione in parola, salvo attribuire
alla stessa una valenza meramente “simbolica”, potrebbe essere per sé indicativa piuttosto di
una qualche diversificazione, peraltro espressamente
richiesta dal legislatore quanto alla
condotta nella sua finalità, per il tramite di atti
“fraudolenti” o “simulati” e confermata dalla
giurisprudenza nell’interpretazione del dato normativo.
Dunque, l’art. 12 quinquies costituirebbe norma destinata
ad uno spazio residuale – come sostenuto – o non potrebbe
diversamente essere “rivalutata” nella sua operatività, in
termini di ‘apertura’ alla punibilità, già oggi
ammessa, del soggetto autore del reato-presupposto per una (forse più
‘plausibile’) condotta quanto meno volta ad agevolare il successivo
riciclaggio o a predeterminarne l’effetto ultimo[47]? Obiettivi che
la norma “intenderebbe” contrastare e come tali non lontani dallo
«scopo» attualmente indicato quale oggetto di previsione
all’art. 2, lett. a), D.Lgs.
n.231/2007.
Argomenti testuali possono del resto
trarsi, sul piano della diversità strutturale, rispetto al dettato
dell’art. 648 bis c.p., sulla
base di quella inequivocabile modalità fraudolenta, realizzata attraverso “schermi” atti a
“mascherare” la reale proprietà dei beni, che è valsa
a collocare, in un’ottica pienamente condivisibile, l’art. 12 quinquies in una prospettiva di tutela
dell’«amministrazione della giustizia». È però
altrettanto vero che identico interesse si ravvisa oggi nella sfera
dell’oggetto giuridico, ex art.
648 bis; a ciò si aggiunga una
condotta che, nella sua attuale più ampia previsione, estenderebbe il
riciclaggio a comprendervi lo stesso «trasferimento» - come dianzi rilevato - nella sua
connotazione «fittizia». Parrebbe tuttavia quest’ultima modalità
non dissimile, anche nei suoi effetti, da quella «attribuzione fittizia»
- per sé oggetto
dell’articolo 12 quinquies -
che, in modo analogo alla ratio
codicistica dell’art. 648 bis vigente, interviene a rafforzare la
repressione dei «fatti collegati con la circolazione e il possesso di
disponibilità economico-finanziarie di illecita provenienza»[48]. Attiene dunque
l’incriminazione del «trasferimento
fraudolento» a condotte atte pur sempre, presente la finalità
richiesta, ad occultare la provenienza illecita del denaro, beni o altre
utilità, la cui “signoria”, debitamente “camuffata”,
permane in capo al soggetto autore
del reato-presupposto; effetto quest’ultimo che al riciclaggio in senso
proprio conseguirebbe piuttosto
come “ritorno”, a
seguito di “ripulitura”, al medesimo soggetto.
Strumenti così previsti esigono
dunque, specie nell’ottica di “invocate” riforme, un
intervento chiarificatore volto ad una lettura sistematica unitaria, in ragione
di una tipizzazione della condotta e puntualizzazione dell’interesse
protetto, sollecitate peraltro da più parti in materia di riciclaggio.
A fronte di un “fenomeno”
tanto complesso, interventi di “prevenzione” potrebbero essere per
sé dotati di maggiore efficacia; in tal senso, il 26 febbraio 2009,
nell’ambito della riunione plenaria del FATF-GAFI (Gruppo di Azione
Finanziaria Internazionale) presso l’OCSE, l’esame di Follow- up del sistema italiano ha
trovato apprezzamento per le misure recentemente adottate (www.fatf-gafi.org).
Non mancano tuttavia, come accennato, a
livello normativo e in un’ottica repressiva, ripetuti tentativi di riforma
e più recenti proposte: già notevoli critiche aveva suscitato il
disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri in data 3 feb. 2004,
contenente disposizioni penali sulla «tutela del risparmio»[49].
Al suo interno, infatti, l’art. 49
sui «reati di riciclaggio e impiego» prevedeva la soppressione
della clausola «fuori dei casi di concorso nel reato». Si è
riletta tale previsione in collegamento con le vicende Cirio e Parmalat, in
riferimento a soggetti – pensiamo ad amministratori – che
«dopo avere proceduto o
partecipato alla sottrazione di denaro dalle casse della società,
abbiano poi con esso costituito, magari in uno Stato off-shore, disponibilità occulte».
Altri,
dinanzi alla citata riforma ed alla conseguente responsabilità per
riciclaggio unitamente alla punibilità per il delitto presupposto, ne ha
tradotto con una esemplificazione in materia societaria gli effetti
sanzionatori cumulativi: nella loro quantificazione complessiva, sono apparsi
tali da «superare ogni credibilità»[50]. La previsione
non ha peraltro avuto seguito.
L’orizzonte della legislatura si è invece
focalizzato sul disegno di legge n. 733-bis, risultante dallo
stralcio, deliberato dall’Assemblea il 14 gennaio 2009, dell’art. 1,
commi 4 e 5, del testo proposto dalle Commissioni permanenti 1a e 2a riunite
per il disegno di legge n. 733, «Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica». L’art. 1 così recita:
“All’articolo 648-bis del codice penale sono apportare le
seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le
parole: «Fuori dei casi di concorso nel reato,» sono soppresse;
b) dopo il quarto comma
è aggiunto il seguente:
«Le disposizioni di cui ai commi che
precedono si applicano anche nei confronti della persona che ha concorso nel
reato presupposto, salvo che per gli atti di godimento che non eccedano
l’uso dei beni secondo la loro naturale destinazione ovvero in caso di
utilizzo del denaro, dei beni o delle altre utilità provento del reato
presupposto per finalità non speculative, imprenditoriali o
commerciali».
All’articolo 648-ter, primo comma, del codice penale, le
parole: «dei casi di concorso nel reato e» sono soppresse”.
A fronte di una sollecitazione volta ad
una puntuale tipizzazione della condotta ed alla definizione dell’ambito
di tutela, non parrebbero certo dotate di tassatività formule del tipo
«atti di godimento che non
eccedano l’uso dei beni secondo la loro naturale destinazione», o
definibili «per finalità non
speculative, imprenditoriali o commerciali»[51].
Risposte di tipizzazione e scelte di
caratterizzazione dell’offesa diventano a questo punto estremamente
necessarie dinanzi a diffuse incertezze interpretative, domande di
coordinamento nel sistema, o al rischio, da più parti prospettato, che qualsivoglia reato valga a
“duplicare” la responsabilità penale a seguito
dell’utilizzo del profitto ad esso conseguente.
Quella che oggi viene ripetutamente
invocata come esigenza della «certezza della pena» in ragione della
perseguibilità di condotte illecite ed efficace contrasto alla
criminalità organizzata, domanda piuttosto quale sua doverosa premessa
una normativa che, lungi dall’essere «simbolica» nei suoi
effetti, ripristini, quale garanzia indefettibile e irrinunciabile, la certezza
del diritto e l’univocità del sistema.
*
È il testo riveduto, e integrato dalle note essenziali, della relazione
svolta al Convegno organizzato a Sassari dalla Banca d’Italia,
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di
Sassari e Ordini degli Avvocati, Notai e Dottori Commercialisti, il 17 aprile
2009, dal titolo: «Normativa antiriciclaggio evoluzione del quadro
regolamentare e connessi aspetti procedurali ed operativi».
[1] La definizione in parola è tratta da R.J. Kelly, Ko-Lin Chin and R. Schatzberg, Handbook of Organized Crime in the United States, Westport,
1994, 311, ed ivi ripresa da President’s Commission on Organized Crime
(1984), «The Cash Connection: Organized Crime, Financial Institutions,
and Money Laundering», Interim
Report to the President and the Attorney General, Washington, DC, Oct.
1984.
[3] Cfr.
G. Pecorella, Circolazione del denaro e riciclaggio,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1991,
1221 s.; in margine G. Azzali, Diritto penale dell’offesa e
riciclaggio, ivi, 1993, 425 ss.
[4] Per
una sintesi, F.M. Mendella, Tutti i segreti delle holding del crimine. Dal riciclaggio fino ai
paradisi finanziari . Metodologie
operative e di contrasto
all’impresa del malaffare, in D&G,
2006, n. 15, II ss.
[5] Sul
punto, per tutti, G. Marinucci,
E. Dolcini, Manuale di diritto penale, 2a ed., Milano, 2006, 394 ss. La
questione si colloca peraltro nella più ampia portata del principio del ne bis in idem sostanziale , secondo i diversi profili
autorevolmente trattati dalla dottrina.
[6] Cfr. C. Pedrazzi, Mercati finanziari (disciplina penale),
in Dig./Pen., vol. VII, Torino, 1993,
653 ss.
[7] Nello
stesso senso, A. Di Martino, Commento sub art.
[8] Nel
merito, cfr. G. Crivellari, G. Suman, Il codice penale per il regno d’Italia, vol. VIII, Torino,
1898, 271 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, P. spec., II, Delitti contro
il patrimonio, 3a ed., Padova, 2009, 239 s. e M. Zanchetti, Ricettazione,
in Dig./Pen., vol. XII, Torino, 1997,
172 ss.
[9] Azzali, Diritto penale dell’offesa, cit., 432 s., cui si rinvia anche
per le notazioni che seguono.
[10]
Così Pecorella, Circolazione, cit., 1231, ove di contro
si focalizza l’incriminazione della ricettazione
nell’“uscita” dei beni illecitamente acquisiti dalla sfera
dell’autore del reato-presupposto.
[11] Cfr.
N. Mazzacuva, Commento sub art.
[12] Nel
merito M. Toschi, Gli artt. 648 bis e ter c.p.: repressione vera o apparente?, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1997, 787 ss.
[13] Cfr. Di Martino, Commento sub art.
Profilo analogo emerge in U. Liguori, Le modifiche legislative: l’ampliamento dei reati presupposto e
delle condotte principali (panorama giurisprudenziale), in A.
Manna (a cura di), Riciclaggio e reati connessi
all’intermediazione mobiliare, Torino, 2000, 86 ss.
[14] In
altro senso parrebbe orientarsi la
recentissima sentenza Cass. pen., 27 nov. 2008 (13 gen. 2009, n. 1025).
[16] M. Angelini, Riciclaggio, in Dig./Pen.,
Agg., 3, Tomo II, Torino, 2005, 1395
ed ivi dottrina cit. Già G. Fiandaca,
E. Musco, Diritto penale, P. spec.,
vol. II, tomo II, I delitti contro il
patrimonio, 4a ed., Bologna, 2005, 247, hanno prospettato la collocazione
della fattispecie nell’ambito dei reati contro l’economia.
[17] Fra
gli altri Zanchetti, Riciclaggio, cit., 205 s.,
nonché, anche per la citazione che segue, Angelini, Riciclaggio,
cit., 1394 ss.
[18] Contra, C. Di Gregorio, G. Mainolfi, G. Rispoli, Antiriciclaggio: prevenzione e nuovi obblighi. Le
novità del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, Roma, 2008, 112.
[19] Cfr.
M. Condemi e F. De Pasquale (a cura di), Lineamenti
della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e
del finanziamento del terrorismo, in Quaderni
di Ricerca Giuridica, n. 60/2008, 116.
[20] In
senso analogo C. Ruggiero, La nuova disciplina
dell’antiriciclaggio dopo il d.lg. 21 novembre 2007, n. 231, Torino,
2008, 67 ss. Per una diversa lettura comprensiva della
“equivalenza” dianzi riportata nel testo, Di Gregorio, Mainolfi, Rispoli,
Antiriciclaggio, cit., 109 ss.
[21]
Così L. Ferrajoli, Agli ordini professionali il compito di
vigilare e filtrare le segnalazioni, in Il
Sole 24 Ore, “L’antiriciclaggio”, Doc. 2 (19 dic. 2007),
18.
[22] Ne
segnala le implicazioni S. Costa,
La nuova regolazione antiriciclaggio in
Italia: prime valutazioni e questioni aperte (Estratto dal Rapporto
ISAE-giugno 2008), 118 s.
[23] La
recente pronuncia è consultabile in Guida
al Dir., n. 15/2007, 75. La questione, tra le più dibattute in
materia di riciclaggio, si colloca tra quelle che vedono oggi un ricorrente
orientamento favorevole alla soppressione della clausola di riserva. In tal
senso di recente, E. Fisicaro, Antiriciclaggio e terza direttiva UE,
Milano, 2008, 37 ss.; P. Costanzo,
Il riciclaggio di disponibilità di
provenienza illecita. La disciplina penale italiana alla luce delle regole
internazionali comunitarie, in A. Di
Amato (a cura di), Trattato di
diritto penale dell’impresa, vol. IX, I reati del mercato finanziario, Padova, 2007, 467 ss.; S. Faiella, Riciclaggio e crimine organizzato transnazionale, Milano,
[24]
Così Angelini, Riciclaggio, cit., 1413; per un excursus, anche in considerazione del post factum, G. Donadio, Le fattispecie
incriminatrici nel diritto italiano, in E. Palombi (a cura di), Il
riciclaggio dei proventi illeciti tra politica criminale e diritto vigente,
Napoli, 1996, 149 ss., ed in part., 157 ss.
[26] Cfr.
G. Vassalli, Antefatto non punibile, post-fatto non punibile, in Enc. dir., vol. II, Milano, 1958, in
part. 517.
[27] G. De Francesco, Internazionalizzazione del diritto e della politica criminale: verso un
equilibrio di molteplici sistemi penali, in Dir. pen. proc., 2003, 7 s.
[28] S. Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e
proposte di riforma, in Dir. pen.
proc., 2005, 233 ss. L’A., peraltro, rilegge la clausola iniziale
dell’art. 648 bis c.p. quale
«causa personale di esclusione della pena», così 236, per
concludere – ivi, 242 –
nel senso di una preventiva e necessaria riformulazione della disposizione sul
riciclaggio, anche attraverso la definizione di «un elenco chiuso di
reati presupposto». Analoghe conclusioni si rinvengono in A.R. Castaldo, M. Naddeo, La normativa comunitaria e italiana sul
riciclaggio: quali correzioni per una politica criminale efficace? (Un
interessante raffronto con la legislazione argentina), in Riv. trim. dir. pen. ec., 2008, 311 ss.;
cfr. altresì in precedenza G.M. Flick,
La repressione del riciclaggio ed il
controllo della intermediazione finanziaria. Problemi attuali e prospettive,
in Riv. it. dir. proc. pen., 1990,
1262 ss.
[29] Seminara, I soggetti, cit., 236.
Merita attenzione quanto sottolineato da E. Musco,
Nasce il nocumento al risparmio una
inutile “norma spettacolo”. Costituzionalmente dubbia e applicabile
solo alle catastrofi, in D&G,
n. 6/2004, 8 s., allorché sottolinea l’inutilità della
soppressione della clausola di riserva rispetto a questioni che
sopravviverebbero in sede interpretativa. In chiave opposta E. Rosi, Ora basta: chi ricicla per sé va punito. No
all’immunità patrimoniale del reo. Self laundering e sequestro preventivo: un caso riapre il
dibattito, in D&G, n.
21/2006, 48 ss.
[31]
Così A. Pioletti,
«Le fonti internazionali del riciclaggio» (Relazione al Seminario
organizzato dal CSM), 15 (testo ined.) ed amplius,
Il riciclaggio, in AA.VV., Diritto penale europeo e ordinamento italiano,
Milano, 2006, 169 ss.
[32] Cfr.,
nel testo integrale, M. DRAGHI, «Problematiche connesse al riciclaggio
nell’ambito dell’esame dei disegni di legge n. 733 e collegati in
materia di sicurezza pubblica», (Senato della Repubblica, 15 luglio
2008), in part. 9 ed ibid., nt. 7; Id.,
Audizione alla Commissione parlamentare antimafia (seduta del 14/6/2007), 7 s.
Limitandoci ad un brevissimo
cenno comparatistico, in margine alla peculiarità della condotta punibile
a titolo di riciclaggio, sottolineata dal Governatore della Banca
d’Italia nella idoneità ad occultare la provenienza illecita del
denaro, si può qui richiamare l’art. 305 bis (Geldwäscherei) StGB, in vigore nel codice penale
svizzero dal 1990 e collocato nell’ambito dei “crimini o delitti
contro l’amministrazione della giustizia”. La fattispecie del
«riciclaggio di denaro» è infatti prevista in capo a
chiunque compie un atto capace di vanificare l’accertamento
dell’origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali,
sapendo o dovendo presumere che provengono da un crimine. La sanzione,
riferibile senza alcuna esclusione espressa a «chiunque», solo per i «casi gravi» – di cui
al 2° comma – è disposta quanto alla pena detentiva fino
a cinque anni (cumulata con una pena pecuniaria sino a 500 aliquote
giornaliere), mentre nell’ipotesi di cui al 1° comma la sanzione
è ulteriormente più mite e sempre alternativa: pena detentiva o pecuniaria.
Per un quadro normativo
riferibile ad altri ordinamenti, cfr. Seminara,
I soggetti, cit., p. 239 s. ed ivi
dottrina cit.
[35] Va in proposito
segnalata la rilevanza dell’aggravante introdotta al sesto comma
dell’art. 416 bis c.p. (c.d.
“aggravante di riciclaggio”), per la quale si rinvia a Pecorella, Circolazione, cit., 1234 s.; M. Zanchetti,
Il riciclaggio di denaro proveniente da
reato, Milano, 1997, 357 s., unitamente alla dottrina già citata.
Più in generale, sull’incidenza nel fenomeno associativo, V.B. Muscatiello, Associazione per delinquere e riciclaggio: funzione e limiti della
clausola di riserva, in Riv. trim.
dir. pen. ec., 1996, 97 ss.
[36] Anche
per la citazione (corsivo aggiunto) che segue in testo, E. Cappa e U. Morera (a cura di), Normativa
antiriciclaggio e segnalazione di operazioni sospette, Bologna, 2008, 175
ed ibid., nt. 11.
[38] Cfr. Zanchetti, Riciclaggio, cit., 208; Id.,
di recente, sub art. 648 bis, in A. Crespi, G. Forti, G. Zuccalà, Commentario breve al codice penale,
5ª ed., Padova, 2008, 1938 ss.
[39] Zanchetti, Riciclaggio, cit., 209 s., nt. 31, mentre per rilievi ulteriori Id., Il riciclaggio di denaro, cit., 291 ss.
[40] F. Mucciarelli, Commento sub art. 12
quinquies, D.l. 8/6/1992 n. 306, conv.
modif. dalla l. 7/8/1982 n. 356 – Modifiche urgenti al nuovo codice di
procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa,
in LP, 1993, 159.
[41] In
margine alla sentenza pubblicata in Guida
al dir., n. 45/2004, 53 s., cfr., ivi,
55 ss., il commento di G. Amato, È necessario provare un collegamento
tra imputato e alterazione del bene.
[42] Cfr.,
pur se in riferimento alla previsione originaria, G. Pecorella, Denaro
(sostituzione di), in Dig./Pen.,
vol. III, Torino, 1989, 369 s., e 374.
[43] Per le
pronunce di cui in testo, cfr. rispettivamente: Giur. it., 2002, II, 1920 ss., ed in margine D. Falcinelli; per l’ultima delle
sentenze cit., Riv. Pen., 2008, 834.
Per un approfondimento nel merito, E. Belfiore,
La legalità ripristinata: a
proposito del delitto di trasferimento fraudolento di valori, in Riv. pen., 2009, 21 ss. e per i
necessari riferimenti alla dottrina, Id.,
Art. 12 quinquies D.L. 8 giugno 1992, n. 306, sub
voce Criminalità organizzata – riciclaggio, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di F.C. Palazzo,
C.E. Paliero, 2a ed., Padova, 2007, 924 ss.
[44]
Diverse sono le chiavi di lettura della norma, per le quali si rinvia alla
dottrina già citata, mentre nella giurisprudenza l’analisi
è essenzialmente rivolta alla finaltà di «eludere le
disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di
contrabbando»; un recente richiamo si rinviene in G. Ruello, Sulla normativa antiriciclaggio, in Giust. pen., 2005, II, 314 ss., mentre ne sottolinea i
«problemi di coordinamento», G. Insolera,
Prevenzione e repressione del riciclaggio
e dell’accumulo di patrimoni illeciti, in LP, 1998, 153 ss., ed altresì, pur con ulteriori notazioni,
V. Manes, Delitti contro il patrimonio mediante frode, in AA.VV., Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, 4a ed., Bologna, 2006, 646.
[46] Per
una prima prospettazione in tal senso, G. Marini,
Trasferimento e possesso ingiustificato
di valori, in C.G. CorVese, V.
Santoro (a cura di), Il
riciclaggio del denaro nella legislazione civile e penale, Milano, 1996,
233 ss.; Id., Delitti, cit., 587. Analogamente A. Rossi Vannini, Il riciclaggio: doveri e responsabilità del professionista,
in Riv. trim. dir. pen.ec., 1995,
1301 ss.
[47] La
chiave di lettura volta ad estendere l’applicabilità della norma
anche all’autore del reato presupposto emerge in Cass., Sez. VI, 24
maggio 2005 (8 sett.2005 n. 33058), in Riv.
pen., 2005, 1185 ss.; nella stessa sentenza si arriva altresì a
ravvisare il concorso tra la fattispecie de
qua ed il reato di «impiego» oggetto dell’art. 648 ter c.p., assumendone conferma in forza
della finalità di «agevolazione». Significativa diventa
altresì in margine all’art. 12 quinquies,
la pronuncia (ined.) Cass., Sez. II, 18 sett. 2008, n. 35950. Non mancano
attualmente anche in dottrina interpretazioni in senso estensivo circa i
soggetti attivi: G. Donadio, sub Art. 648-bis Riciclaggio in G. Lattanzi - E. Lupo (dir.da), Codice penale-Rassegna di giurisprudenza e
di dottrina, vol. XI, I delitti
contro il patrimonio, Milano, 2000, 754 s.; Angelini, Riciclaggio,
cit., 1422.
[48]
Così Mucciarelli, Commento sub Art. 12 quinquies, cit., 158; si noti peraltro l’assenza
nella norma di un riferimento testuale alla provenienza illecita di denaro,
beni o altre utilità.
[49] Cfr., anche
per i rilievi che seguono, S. Seminara,
Considerazioni penalistiche sul disegno
di legge in tema di tutela del risparmio, in Dir. pen. proc.,
[50] A.R. Castaldo, Il reato di nocumento al risparmio: prime riflessioni critiche, (Luiss
– Ceradi, Febbraio 2004), 10.
[51] Nel
merito della normativa antiriciclaggio e del suo “percorso”
evolutivo, va segnalata oggi l’entrata in vigore del D.Lgs. 25 settembre
2009, n.151 «Disposizioni integrative e correttive del decreto
legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante attuazione della direttiva
2005/60/Ce concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema
finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e
di finanziamento del terrorismo, nonché della direttiva 2006/70/Ce che
reca misure di esecuzione» (G.U. n. 256 del 3 novembre 2009). Le
novità ultime in materia di “riordino” delle regole
antiriciclaggio attengono, in particolare, ai “controlli” e
“soggetti” tenuti agli adempimenti normativamente previsti nella
lotta al riciclaggio.