N. 7 – 2008 – Memorie//MMD-Giuramento-plebe-Monte-Sacro
Università di Firenze
Debiti e secessione della plebe
al Monte Sacro
Sommario:
1. Tradizione storiografica.
– 2. “Scioperi militari”. –
3. Natura
dell’indebitamento nel V secolo a.C. – 4. Conclusioni.
Un’analisi della tradizione
storiografica sulla prima secessione plebea ha portato a rilevare alcune
considerazioni. Livio e Dionigi di Alicarnasso riportano come causa scatenante
l’inizio della secessione sul Monte Sacro, nel
Bisogna tener presente che la dissestata
situazione economica di chi, pur essendo indebitato, veniva ugualmente
arruolato, poteva, in teoria, migliorare con la spartizione del bottino alla
fine di ogni scontro militare. Purtroppo risulta indimostrabile in che misura
la distribuzione della preda fosse realmente incisiva nella risoluzione
dell’indebitamento. Le disparità sociali avranno continuato a
permanere anche fra i soldati, alcuni dei quali, per il loro basso livello
economico e quindi per il loro semplice armamento, potrebbero non aver ricevuto
quel quantitativo necessario che avrebbe permesso loro di riscattarsi di fronte
al creditore, continuando così ad essere indebitati. La divisione della
preda era, comunque, soggetta alla discrezionalità del comandante e
proprio sulla distribuzione del bottino si saranno manifestate questioni di
disciplina, di rapporto comandante/soldati, soprattutto in conseguenza della
progressiva democratizzazione dell’esercito, dove nuovi strati sociali
affluiti nell’organizzazione militare chiedevano di partecipare ai
benefici delle ricchezze conquistate.
Ritornando alla secessione,
secondo il racconto liviano, altri cittadini indebitati avrebbero seguito
l’esempio del centurione e sarebbero giunti, creando scompiglio, nel
Foro, mostrando anch’essi sul proprio corpo i segni di una forzata
detenzione[4].
Tale episodio è del tutto assente in altre fonti[5],
che relazionano sempre la secessione sul Monte Sacro al diffuso indebitamento
dei cives romani, datandola
però al
Un aspetto interessante è il fatto
che la prima secessione plebea si inserisca nella successione cronologica degli
avvenimenti dell’alta repubblica fra due episodi di opposizione al dilectus (
In un contesto di costante attrito nei
confronti di popolazioni italiche limitrofe, dove il territorio italico subiva,
a seconda dell’esito degli scontri militari, ridimensionamenti o
ampliamenti di variabile entità, a Roma i contrasti sociali si acuirono
ed assunsero l’inusuale forma di "scioperi militari": ad dilectum nemo responderet. In tre
casi i cives indebitati si oppongono
ai continui arruolamenti, impediendo
dilectu, richiesti per far fronte agli scontri militari contro Volsci e
Latini; mentre in un caso l’arrivo improvviso dei Prenestini alle porte
di Roma impone una rapida chiamata di leva, nonostante l’opposizione dei
cittadini.
La dinamica permane la medesima: la
pressione di una guerra esterna e l’acutizzarsi di una crisi
economico-sociale interna alla città. L’invio continuo di plebei
sommersi dai debiti contro nemici sempre nuovi, ovvero il logorio di un
reclutamento prolungato spinse una parte di cives
a non entrare fra le file dei milites,
non rispondendo alla chiamata di leva. Il rifiuto all’arruolamento ha,
quindi, un significato politico, ma l’arrivo improvviso dei nemici alle
porte di Roma fuga in alcuni casi temporaneamente ogni attrito interno[10].
A tale scontento si cerca di porre rimedio
con la concessione di facilitazioni alla plebe, ricorrendo all’azione
personale di un gruppo di senatori e all’intervento più incisivo
di un console, che promulga un editto. Proroga delle scadenze dei debiti,
interruzione dei processi per insolvenza, divieto di trattenere i debitori o i
loro familiari e di venderne i beni costituiscono parte delle misure prese. E
così indipendentemente dalle motivazioni insite nel conseguimento di
questa politica, e cioè opportunismo, mire demagogiche, convinzioni
democratiche, necessità militari, tali misure ebbero sicuramente un
effetto lenitivo sulla rabbia sociale dei cittadini indebitati, che alla fine
non interposero più alcun ostacolo alla chiamata di leva, eo laxamento plebi sumpto mora dilectui non
est facta, ma optarono per
l’arruolamento.
La difficoltà maggiore che si presenta
nell’analisi di questi episodi nasce dal fatto che il problema dei debiti
è, in periodo alto-repubblicano, spesso associato alle rivendicazioni
agrarie antecedenti all’età dei Gracchi. E se quest’ultime,
presenti nella tradizione con una certa continuità cronologica fin
dall’inizio del V secolo a.C., sono considerate da taluni falsificazioni
mutuate dalla tarda annalistica graccana e sillana, e soprattutto, fra gli
annalisti del I secolo a.C., da Licinio Macro, bisogna ammettere che negli anni
successivi alla caduta della monarchia l’economia romana avrà
subito con molta probabilità una battuta di arresto[11].
Sottrattasi all’influenza etrusca, Roma avrà perso temporaneamente
la sua funzione di centro strategico fra le regioni centrali e meridionali. Chi
ne avrà risentito di più sarà stata sicuramente quella
frangia della plebe che aveva investito le sue energie nelle attività
commerciali, nell’artigianato e nell’industria. E sintomo di questo
peggioramento fu appunto l’accentuazione del nexum. In tale contesto di dissesto sociale e temporanea crisi
economica devono almeno inserirsi i primi due episodi di opposizione
all’arruolamento.
Il primo rifiuto risale al
Comunque appena venne reso pubblico il
provvedimento di Servilio, i debitori in gran numero accorsero a prestare il
giuramento militare, per combattere contro i Volsci[16].
Dalla disposizione dell’editto si deduce, quindi, la necessità di
tutelare i nexi ed il loro status libertatis, cioè i loro
diritti e doveri di cittadini, implicando con ciò soprattutto
l’obbligo di leva, dal momento che, per opposizione degli stessi
creditori, erano impossibilitati a partecipare alle attività militari
della civitas[17].
Di una forzata e terribile prigionia, dolorosa per le continue torture,
racconta il centurione indebitato comparso nel Foro a denunciare la sua misera
condizione, ductum se ab creditore non in
servitium, sed in ergastulum et carnificinam esse[18].
Nell’imminenza della guerra contro i Volsci la plebe indebitata che ha
scelto il nexum per assolvere il
proprio debito si rammarica di percepire la propria libertà più
sicura in guerra che in pace, fra i nemici piuttosto che fra concittadini a cui
erano sottoposti da un regime di restrizioni e soffocante dipendenza[19].
E così la sospensione dell’assoggettamento al creditore, garantita
dall’editto, e posta forse in termini di un’interruzione temporanea
del nexum, ebbe come conseguenza
l’immediato arruolamento dei debitori. In un passo successivo sullo scontro
contro i Volsci[20],
Livio, infatti, menziona la presenza di nexi
nelle file dell’esercito. Inoltre nel 494 a.C. il dictator Manio Valerio, di fronte al pericolo di un nuovo attacco
di Volsci insieme a Equi e Sabini, memore dei precedenti "scioperi militari"
e consapevole dei continui contrasti fra patrizi e plebei, emanò un
editto analogo a quello del console Servilio. Ed il risultato fu appunto la
completa adesione alla leva[21].
Dalla testimonianza di
Dionigi di Alicarnasso[22]
si ricava che il problema dei debiti fosse presente fin dall’età
monarchica, intorno alla metà del VI secolo a.C., e che il re Servio
Tullio avesse sentito il bisogno di ovviare al dilagante indebitamento nella
cittadinanza, pagando personalmente i debiti contratti da cives romani. Troviamo menzione di tale "regale"
generosità già in Cicerone[23], e una distribuzione di denaro da parte
di Servio Tullio alla plebs è
ricordata anche in Zonara[24].
La sola documentazione letteraria non può, però, essere ritenuta
prova sufficiente per avvalorare la storicità della notizia e pone il
quesito se è plausibile giustificare una datazione così alta del
fenomeno debiti e soprattutto rimanda alla necessità di definire
l’iniziale natura del debito[25].
Ritrovamenti di lingotti e pani di bronzo
in pianura padana, Etruria, Lazio, parte della Campania e Sicilia, risalenti al
VI secolo a.C.[26],
attestano archeologicamente la diffusione di una forma di economia premonetale,
cioè un sistema "pre-coinage",
basato su barre di bronzo, come unità monetaria di riferimento, del peso
di una libbra, il cosiddetto aes[27],
ma non possono attestare per quell’epoca la natura monetaria dei debiti.
Secondo una plausibile ricostruzione del tenore di vita arcaico,
l’indebitamento doveva essere originariamente legato a prestiti di
derrate di grano, utensili da lavoro, quantitativi di semi, bestie da soma e
forse anche lotti di terra. In una società agricola come quella romana
si contraevano debiti di questa natura, per garantire concretamente la
sopravvivenza propria e quella della famiglia. Motivazioni di natura pragmatica
spingevano la gente a chiedere in prestito tali beni; ma quando a questo tipo
di prestiti si siano affiancati i prestiti in denaro non è dato sapere.
I ritrovamenti in tutta Italia di pani di bronzo né tantomeno fonti
letterarie, che attestino l’esistenza di multe pecuniarie già nel
V secolo a.C.[28],
costituiscono prova sufficiente per datare al VI o al V secolo a.C. anche
l’inizio di prestiti monetari. Peppe[29]
non ha alcun dubbio sulla scarsa credibilità dei racconti storici sui
debiti nel 495-
L’analisi dell’aes alienum nell’alta repubblica
ha implicato, quindi, l’utilizzo di una storiografia che di per sé
rappresenta, proprio per la sua natura stratigrafica, un coacervo di filtri
interpretativi che rischiano di alterare l’oggettiva incidenza e
importanza di questa realtà economica e sociale. Si tratta, infatti, di
usare una tradizione che ha visto confluire racconti storici che si sono
succeduti nel tempo, dalla prima annalistica di età repubblicana alla
storiografia di età augustea. Tale stratigrafia di fonti ha portato alla
sedimentazione, nello sviluppo evenemenziale del racconto storico, di una serie
di giudizi deformanti sulla realtà, soprattutto sociale ed economica, di
Roma arcaica. Riuscire a liberarsi dai filtri interpretativi di una
storiografia antica così complessa, da non poter dipanare con
facilità le maglie delle distinte correnti annalistiche che in lei sono
confluite e si alternano, rappresenta uno dei compiti più ardui della
storiografia moderna[32].
L’analisi di una tradizione storiografica non omogenea, ma solcata
profondamente dalla concorrenza di varie posizioni annalistiche di segno
gentilizio e da opposte tendenze interpretative rivela il travaglio di una
storiografia che si trova a riflettere su un’esperienza arcaica con tutto
il carico di uno sviluppo istituzionale ormai compiuto.
È innegabile che certi racconti
storici che presentano la figura del centurione indebitato, che denuncia la sua
triste sorte abbiano spesso una connotazione esemplare e possano rivelare
un’effettiva trasposizione di una realtà inesistente in quei
termini nel V secolo a.C., ma presente con molta probabilità nel IV
secolo a.C. È anche vero, però, che l’indebitamento a Roma,
pur delineandosi come fenomeno di massa, senza protagonisti capaci di lasciare
alcuna traccia scritta del proprio dissesto economico, fu endemico e
generalizzato, e rappresentò una dura realtà per gran parte dei
cittadini romani soprattutto per i piccoli
proprietari terrieri. Così, pur notando criticamente alcuni elementi
anacronistici nella tradizione letteraria sugli episodi relativi al problema
dei debiti, mi pare condivisibile la posizione di studiosi come Cornell[33]
e Savunen[34]
che, nonostante i limiti della documentazione storiografica, ammettono
l’esistenza dell’indebitamento fra i cives nell’Urbe già nel V sec. a.C.
[2]
Liv., 2,23,4. Il motivo del centurione indebitato si ritrova in Livio
(6,14,3-8) anche in una vicenda del
[3] Liv., 2,23,3-7: Magno natu quidam cum omnium malorum suorum insignibus se in forum
proiecit. Obsita erat squalore vestis, foedior corporis habitus pallore ac
macie perempti; ad hoc promissa barba et capilli efferaverant speciem oris.
Noscitabatur tamen in tanta deformitate, et ordines duxisse aiebant,
aliaque militiae decora volgo miserantes eum iactabant; ipse testes honestarum
aliquot locis pugnarum cicatrices adverso pectore ostentabat. Sciscitantibus
unde ille habitus, unde deformitas, cum circumfusa turba esset prope in
contionis modum, Sabino bello ait se militantem, quia propter populationes agri
non fructu modo caruerit, sed villa incensa fuerit, direpta omnia, pecora
abacta, tributum iniquo suo tempore imperatum, aes alienum fecisse.
Id cumulatum usuris primo se agro paterno avitoque exuisse, deinde fortunis
aliis; postremo velut tabem pervenisse ad corpus; ductum se ab creditore non in
servitium sed in ergastulum et carnificinam esse. Inde ostentare tergum
foedum recentibus vestigiis verberum.
[4] Liv., 2,23,8: Nexi vincti solutique se undique in publicum proripiunt,
implorant Quiritium fidem; 2,23,10-11: At
in eos multitudo versa ostentare vincula sua deformitatemque aliam. Haec se
meritos dicere exprobrantes suam quisque alius alibi militiam...
[5] Cic., rep., 2,58; D.C., 4 fr. 17; Zonar.,
7,14; Inscriptiones Italiae XIII 3 nos. 60 (Roma); XIII 3 nos. 78 (Arezzo) = CIL XI 1826.
Cfr. Dion. Hal., 6,41,2-3; 6,45,3; 6,46,3; 6,83,4-5. Liv., 2,31,7-9: Ita trifariam re bello bene gesta, de
domesticarum rerum eventu nec patribus nec plebi cura decesserat; tanta cum
gratia tum arte praeparaverant faeneratores quae non modo plebem, sed ipsum
etiam dictatorem frustrarentur. Namque Valerius post Vetusi consulis
reditum omnium actionum in senatu primam habuit pro victore populo, rettulitque
quid de nexis fieri placeret. Quae cum reiecta relatio esset, ‘Non
placeo’ inquit ‘concordiae auctor; ...Quod ad me attinet, neque
frustrabor ultra cives meos neque ipse frustra dictator ero.
[6] Cic., rep.,
2,58: Nam cum esset ex aere alieno commota
civitas, plebs montem sacrum prius, deinde Aventinum occupavit.
[7] Inscriptiones
Italiae XIII 3 nos. 60 (Roma): [Faenore
gravi] populum sen[atus] hoc auctore l[iberavit]. Sellae curuli[s locus] ipsi posteri[sque
ad] Murciae s[pectandi] caussa pub[lice datus] est. Prin[ceps in senatum] semel
l[ectus est]. Inscriptiones Italiae XIII 3 nos. 78 (Arezzo) =
CIL XI 1826: M. Valerius Volusi f.
Maximus, dictator, augur. Primus quam ullum magistratum gereret,
dictator dictus est. Triumphavit de Sabinis et Medullinis. Plebem
de sacro monte deduxit, gratiam cum patribus reconciliavit.
Faenore gravi populum senatus hoc eius rei auctore liberavit. Sellae
curulis locus ipsi posterisque ad Murciae spectandi caussa datus est. Princeps
in senatum semel lectus est.
[8] Sall., hist. frg., I,11: ...
discessio plebis a patribus ... domi fuere iam inde a principio ... Dein servili imperio patres plebem
exercere, de vita atque tergo regio more consulere, agro pellere et ceteris
expertibus soli in imperio agere. Quibus saevitiis et maxime fenore oppressa
plebes, cum assiduis bellis tributum et militiam simul toleraret, armata
montem sacrum atque Aventinum insedit tumque tribunos plebis et alia iura
sibi paravit. Sall., Iug., 31,17: Maiores vostri parandi iuris et
maiestatis constituendae gratia bis per secessionem armati Aventinum
occupavere... Sall., hist. Frg.,
3,48,1: ... quas ob iniurias et
quotiens a patribus armata plebes secessisset utique vindices paravisset
omnis iuris sui tribunos plebis; Sall.,
ep. ad Caes., 2,5,2: Itaque saepius in
civitate secessio fuit semperque nobilitatis opes deminutae sunt et ius
populi amplificatum; Sall., Catil., 33,3: Saepe ipsa plebs, aut dominandi studio permota aut superbia
magistratuum, armata a patribus secessit. Le secessioni armate della
plebe avvennero nel
[11] Per
un’analisi critica, attraverso un corretto approccio metodologico, alla
storiografia su Roma arcaica vd. E. GABBA, Roma
arcaica. Storia e storiografia, Roma 2000, spec. il saggio Problemi di metodo per la storia di Roma
arcaica, 11-23 e la recensione al testo di U. LAFFI in Athenaeum, 90, 2002, 239-247. Cfr. D. MUSTI, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma arcaica. Studi su
Livio e Dionigi di Alicarnasso, in QUCC,
10, 1970, 1-160; G. POMA, Gli studi
recenti sull’origine della repubblica romana. Tendenze e prospettive
della ricerca 1963-73, Bologna 1974, 92.
[12]
Dion. Hal., 5,63,2; 5,64,1-2; 5,65,1; 5,69,2. In Dion. Hal., 5,66-68 viene riportato il discorso di Appio
Claudio Sabino in merito alla gravità dell’indebitamento.
L’abolizione dei debiti sarebbe stata pericolosa, perché avrebbe
implicato una rottura dell’equilibrio economico cittadino, così
come un atteggiamento permissivo nei confronti della plebe si sarebbe rivelato
infruttuoso. A tutto ciò si aggiunge la polemica verso i debitori
incapaci nella maggior parte dei casi di estinguere i propri debiti per scarsa
previdenza.
[15] L.
CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della
proprietà e la formazione dei iura praediorum nell’età repubblicana, Milano 1969, 221 ss.; ID., Alcuni problemi di storia romana arcaica: Ager
publicus, gentes e clienti, in BIDR, 83, 1980, 29-65; F. SERRAO, Diritto privato Economia e Società
nella storia di Roma, I, Napoli 1984, 226. Cfr. M. WEBER, Storia
economica e sociale dell’antichità. I rapporti agrari, Roma
1981, (Agrarverhältnisse im
Altertum, Die sozialen Gründe des Untergangs der antiken Kultur, da
Gesammelte Aufsätze zur Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, Tübingen 1924), 247 nt. 37. Sul
fatto che in realtà non si trattasse di una vendita, ma piuttosto di una
temporanea cessione quasi di un "affitto" vd. T. J. CORNELL, The Beginnings of Rome. Italy and Rome from the Bronze Age to the Punic
Wars (c.1000-264 BC), London-New
York 1995, 280-283 e A. WATSON, Rome of
the Twelve Tables, Princeton 1975, 119-120. Sulla severità
delle istituzioni romane ed il carattere imperiosus
della relazione che correva tra padre e figlio insiste M. Bettini, Antropologia
e cultura romana. Parentela, Tempo, Immagini dell’anima, Roma 1986,
18-26; sulla base di Dionigi di Alicarnasso (2,27,1 ss.) lo studioso sosteneva
che «a Roma il potere del padre sul figlio fosse superiore a quello di un
padrone sul proprio servo. Il servo, infatti, poteva riscattarsi ed essere
libero, mentre il figlio, pur "venduto", viveva sempre sotto la patria potestas e solo alla terza
vendita poteva dirsi libero». Cfr. E. PERUZZI, Origini di Roma, I, Firenze 1970, 150 ss.
[17] R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5,
[19]
Liv., 2,23,2: Fremebant se foris pro
libertate et imperio dimicantes domi a civibus captos et oppressos esse,
tutioremque in bello quam in pace et inter hostes quam inter cives libertatem
plebis esse...
[25] Per
E. GABBA, Studi su Dionigi da
Alicarnasso. II. Il regno di Servio Tullio, in Athenaeum, n.s. 39, 1961,
100 (rist. in ID., Roma arcaica. Storia e
storiografia, cit., 110), il
discorso del monarca con la promessa di risanare i debiti dei cittadini
indigenti e di proibire il nexum è
esemplato su i più celebri modelli dell’eloquenza tribunizia con
situazioni, problemi e motivi propri delle lotte sociali e dell’epoca
graccana. Contro la storicità della vicenda si schiera anche R. THOMSEN,
King Servius Tullius. A Historical
Synthesis, Copenhagen 1980, 241-242.
[26] M.
H. CRAWFORD, Coinage and Money under the
Roman Republic, London 1976, 3-16; G. COLONNA, Basi conoscitive per una storia economica dell’Etruria, in Contributi introduttivi allo studio della
monetazione etrusca, Atti del Convegno del CISN, Napoli 20-23 aprile
[27] La
circolazione nel corso del VI secolo a.C. di pesi metallici standard è
confermata dallo studio di A. J. NIJBOER, From
Household Production to Workshops. Archaeological Evidence for Economic
Transformation, Pre-monetary Exchange and Urbanisation in Central Italy from
800 to 400 BC,
[28] Le
leggi Aternia Tarpeia (
[29] L.
PEPPE, Studi sull’esecuzione
personale I. Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica romana, Milano 1981, 265.
[30] Per
fonti sul codice decemvirale, commento al testo e apparato critico vd. M. H.
CRAWFORD (ed.), Roman Statutes,
«BICS» Suppl. 64 (1996),
II, 578-581, 590-591, 652-656 (recensione di B. SANTALUCIA in AJAH, 15.2, 2001, 139-154).
[31] M.
WEBER (Storia economica e sociale
dell’antichità. I rapporti agrari, cit., 282-283) interpretò la dura normativa delle XII Tavole
come un inasprimento dell’antico diritto delle obbligazioni. Attraverso
un’actio in personam veniva
riconosciuta al creditore la possibilità di attuare in giudizio la sua
pretesa sul debitore inadempiente secondo l’opinione di W. EDER, The Political Significance of the
Codification of Law in Archaic Societies: An Unconventional Hypothesis, in
K. A. RAAFLAUB (ed.), Social Struggles in
Archaic Rome. New Perspectives on the Conflict of the Orders, Berkeley
1986, 262-300.
[32] Per
una recente rassegna bibliografica delle ultime pubblicazioni su Roma arcaica,
caratterizzate spesso da filtri interpretativi troppo radicali soprattutto su
problematiche spinose come la dicotomia nella società romana fra
patrizi/plebei vd. F. HINARD, Rome. Des origines à la fin de
[33] T. J. CORNELL, The Beginnings of
[34] L. SAVUNEN, Debt Legislation in the Fourth Century B.C., in AA. VV., Senatus Populusque Romanus. Studies in Roman
Republican Legislation,