Quanti statuti
nelle Regioni speciali?
Sul rapporto tra
legge statutaria speciale e
statuto regionale ordinario
(quoziente ≤ 1?)*
Università di Sassari
Sommario: 1. Premessa: le ragioni di un
rapporto da definire. – 2.
Il procedimento di
formazione ed il significato della minor gravosità dell’iter
della legge statutaria. – 3. L’oggetto
e la recessività del carattere “metanormativo” della legge
statutaria. – 4. I limiti: il giurista e l’immaginazione.
– 5. Brevi considerazioni
conclusive.
Oggetto di questo breve scritto è il rapporto intercorrente tra
legge statutaria speciale e statuto regionale ordinario; rapporto qui inteso in
senso matematico-algebrico di quoziente fra valori di grandezze date (o
determinate) e reciprocamente commensurabili. Il suo scopo è, invece,
quello di vagliare la bontà della tesi corrente per cui la legge
costituzionale n. 2 del 2001, nel prevedere – per il tramite della
revisione degli statuti speciali – che le Regioni ad autonomia
differenziata si dotino di una legge regionale rinforzata, approvata a
maggioranza assoluta e sottoponibile a referendum, con cui sono definiti i
principali aspetti organizzativi e funzionali dell’Ente Regione, tra cui
soprattutto la forma di governo[1],
ha introdotto nell’ordinamento una fonte «sostanzialmente
analoga» allo statuto ordinario di cui all’art. 123 Cost.[2]
ed ha, conseguentemente, dotato le Regioni speciali di due statuti: uno
statuto-legge costituzionale ed uno statuto legge-regionale[3].
Si tratta, dunque, di indagare se davvero le due fonti (legge statutaria
speciale e statuto ordinario) sono espressione del medesimo quantum
di autonomia
politica o se, invece, una delle due si connoti – in forza della sua
disciplina positiva – nel senso di una maggiore
“intensità” o “estensione”.
Naturalmente, la risposta a tale domanda presuppone – come si
avvertiva nel definire l’oggetto del presente lavoro – che le due
grandezze che si confrontano siano tra loro commensurabili, ossia che siano
omogenee quanto a natura e funzione costituzionale; il che pare argomentabile
aderendo alla constatazione già proposta in dottrina che tanto legge
statutaria speciale che statuto ordinario sono atti del processo politico
regionale che definiscono la struttura costituzionale della Regione[4].
Sul punto, però, non si può fare a meno di notare che questo
è proprio quanto la Corte costituzionale sembra aver escluso, con la
sent. n. 370 del 2006 [5],
con cui – nel giudicare dell’applicabilità dell’art.
123, u.c., Cost. alle Regioni ad autonomia speciale – ha ritenuto non
operante la clausola di adeguamento automatico di cui all’art.
Peraltro, non è, forse, privo di utilità rimarcare in
sede introduttiva che il tema affrontato è foriero di notevoli
conseguenze teoriche e pratiche, che qui si accennano rinviando ad eventuale e
futura riflessione il loro approfondimento.
Dal primo punto di vista, la ricostruzione del rapporto (nel senso
sopra chiarito) tra statuto ordinario e legge statutaria speciale è di
estrema utilità per capire fino a che punto la decostituzionalizzazione
della disciplina statutaria delle Regioni speciali, operata con la sottrazione
della forma di governo allo statuto-legge costituzionale, corrisponde alla
devoluzione della materia statutaria al processo politico delle Regioni
ordinarie, determinata dalla soppressione dell’approvazione parlamentare
e, quindi, in che misura può parlarsi di un progressivo superamento
della tesi tradizionale che affida al rango costituzionale dello statuto ed al
rapporto singolare con lo Stato la tutela della specialità[6].
Infatti, affinché si possa comprendere quanto tale linea di tendenza
stia davvero traducendo in aspetti ordinamentali il condivisibilissimo auspicio
della dottrina è necessario verificare la portata della
decostituzionalizzazione in esame. E ciò per l’evidente ragione
che il favore e l’entusiasmo nei confronti della legge cost. n. 2 del
2001 si ridurrebbero notevolmente ove tale decostituzionalizzazione dovesse
risultare inferiore alla “regionalizzazione” dello statuto
ordinario.
Dal secondo punto di vista, non può sottacersi che
l’individuazione del maggior o minor grado di autonomia di cui ciascuna
delle due fonti è espressione rappresenta un importante elemento
interpretativo per la risoluzione di alcune questioni ermeneutiche
particolarmente rilevanti che investono singoli aspetti della disciplina della
nuova fonte introdotta dalla legge di revisione degli statuti speciali.
Si pensi, ad esempio, al problema del carattere preventivo
o successivo del controllo di legittimità costituzionale delle leggi
statutarie speciali, nell’affrontare il quale si potrebbe addivenire a
soluzioni opposte rispetto a quelle cui la Corte è pervenuta con la
notissima sentenza n. 304 del 2002 [7],
ove dovesse risultare che la legge statutaria speciale è espressione di
minor autonomia rispetto allo statuto ordinario e risultino, quindi, attenuate
le esigenze sistematiche che avevano consigliato l’opzione per la natura
preventiva del controllo. Si ricorderà, infatti, che, richiamando il
«ponderato equilibrio delle scelte»
definito con la riforma dell’art. 123 Cost., la sentenza in esame
sostiene che il pieno soddisfacimento delle istanze autonomistiche, attraverso
l’attribuzione allo statuto di «un
valore giuridico che lo colloca al vertice delle fonti regionali» e
la regionalizzazione integrale del procedimento di formazione, può
conciliarsi con il doveroso rispetto della legalità costituzionale solo
attraverso la previsione di un controllo di costituzionalità da
effettuarsi in via preventiva, essendo questa l’unica soluzione in grado
di «impedire che eventuali vizi di
legittimità dello statuto si riversino a cascata
sull’attività legislativa e amministrativa della Regione, per la
parte in cui queste siano destinate a trovare nello statuto medesimo il proprio
fondamento esclusivo o concorrente»[8].
È chiaro, dunque, che l’attenuazione di queste esigenze aprirebbe
la via alla possibile riconsiderazione del problema, ove naturalmente non si
ritenga sul punto preclusivo il rigetto nel merito della questione di
legittimità costituzionale promossa in via preventiva dal Governo
avverso la legge statutaria speciale con cui la Regione Valle d’Aosta
aveva inteso disciplinare il sistema elettorale regionale[9];
preclusione che potrebbe apparire non sussistente in forza della mancata
prospettazione dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso
da parte della resistente e dell’omessa considerazione del quando del controllo di
costituzionalità da parte della Corte.
Oppure si pensi, più sinteticamente, alle questioni
interpretative che si sarebbero poste – se la Corte, come visto, non
avesse negato l’omogeneità di legge statutaria speciale e statuto
ordinario – o che si potranno porre – se essa giungerà sul
punto a diversa conclusione in futuro – in ordine
all’applicabilità della disciplina costituzionale dello statuto
ordinario introdotta dalla l. cost. n. 3 del 2001 alla legge statutaria
speciale in forza della clausola di adeguamento automatico. Appare evidente,
infatti, che qui il rapporto tra le due fonti è addirittura
imprescindibile perché la “trasfusione” di tale disciplina
presuppone un giudizio sul maggior grado di autonomia che l’art. 123,
ultimo comma, Cost. riconosce alle Regioni ordinarie rispetto a quanto fanno le
leggi statutarie nelle Regioni speciali. E così, per questa, si potrebbe
capire se la legge statutaria speciale è competente a disciplinare il
C.d.a.l.
Chiarita
la rilevanza di un’indagine che investa il dimensionamento delle sfere di
autonomia di cui legge statutaria speciale e statuto ordinario sono
rispettivamente espressione, non resta che procedere all’analisi dei
parametri da cui è possibile misurare il loro rapporto, inteso –
giova ribadirlo – nel senso di quoziente tra valori commensurabili.
Una
prima spia disvelatrice di tale rapporto è il procedimento di formazione
delle due fonti. Tra la disciplina introdotta dalla legge cost. n. 2 del 2001 e
quella dell’art. 123 Cost. esistono senza ombra di dubbio forti analogie,
legate fondamentalmente al carattere endoregionale
delle due fonti, alla loro atipicità ed al loro procedimento aggravato[10].
Ciò non di meno è dato riscontrare alcune rilevanti differenze:
1) la
legge statutaria speciale deve ottenere il voto favorevole della maggioranza
assoluta dei componenti del Consiglio regionale ma è sufficiente una
sola deliberazione anziché le due necessarie per l’approvazione
dello statuto ordinario;
2) la legge statutaria speciale può essere
sottoposta a referendum confermativo, ove ne facciano richiesta, entro tre mesi
dalla pubblicazione, un cinquantesimo del corpo elettorale regionale o un
quinto dei componenti del Consiglio regionale, ma il procedimento referendario
si aggrava – a differenza di quanto avviene nel caso dello statuto
ordinario – se il Consiglio approva la legge a maggioranza dei due terzi
perché, in tal caso, si prevede un innalzamento del numero dei
richiedenti[11]
e l’esclusione dell’attivazione contromaggioritaria da parte della
minoranza consiliare.
In merito a queste differenze è stato
osservato che «in ogni caso, per quanto riguarda il procedimento
formativo le due leggi sono essenzialmente eguali: nonostante la legge
statutaria della Regione speciale si formi con un procedimento meno gravoso,
essa è tuttavia una legge rinforzata, come lo Statuto della Regione
ordinaria»[12].
Pur non intendendo in alcun modo sottostimare la significativa assonanza
derivante dal carattere rinforzato ed atipico delle due fonti in questione,
è forse possibile portare qualche ulteriore elemento di riflessione in
grado di orientare l’interprete verso una conclusione parzialmente
diversa.
In particolare, si tratta – a sommesso avviso
di chi scrive – di analizzare in cosa consiste quella minor
gravosità che contraddistingue il procedimento di formazione delle
leggi statutarie speciali. E ciò per l’evidente ragione che ove i
fattori di tale minor gravosità potessero essere considerati
sintomatici di una diversa “forma di espressione”
dell’autonomia politica regionale, ne potrebbero derivare importanti conseguenze
sul piano ricostruttivo. Detto altrimenti, ove tali differenze fossero
interpretabili come segni di una diversa percezione della fonte normativa da
parte del legislatore di revisione costituzionale, ciò potrebbe fornire
qualche argomento da spendere sul terreno della non piena assimilabilità
delle leggi statutarie speciali agli statuti ordinari in merito al quantum di
autonomia espressa.
D’altro canto, sul piano della prassi, il
quale dovrebbe essere consequenziale rispetto a quello della teoria o,
comunque, spiegabile alla luce di esso[13],
le diversità esistenti tra i due procedimenti di formazione hanno
determinato – o per lo meno concorso a determinare – una tempistica
profondamente differenziata in ordine all’esercizio dell’autonomia
statutaria. Infatti, mentre è noto e frequentemente ricordato che nelle
Regioni ordinarie l’attuazione della novella costituzionale del
Ciò potrebbe essere vero soprattutto per la
prima delle due peculiarità dell’iter formativo delle leggi
statutarie speciali, quella relativa alla mancanza dell’obbligo di doppia
deliberazione conforme. Peraltro, tale assenza pare significativa sotto il
profilo della funzione che normalmente la doppia deliberazione conforme assume
nei procedimenti di formazione delle fonti super-legislative. Non a
caso, infatti, la dottrina, proprio sulla base di quest’aspetto della
previsione di cui all’art. 123, comma 2, Cost., ha evidenziato nelle
immediatezze della novella del 1999 una contiguità di disciplina tra gli
statuti ordinari e le leggi costituzionali e di revisione costituzionale[18].
L’unicità della deliberazione approvativa della legge statutaria
speciale pare, allora, denotare l’assenza di quelle specifiche ragioni di
garanzia contromaggioritaria e di stabilità della decisione politica
fondamentale che tradizionalmente vengono considerate la ratio del
doppio passaggio assembleare a distanza temporale prestabilita nel minimo[19].
Quanto alla seconda differenza, quella relativa
all’aggravamento dell’accesso allo strumento referendario in caso
di approvazione della legge statutaria speciale a maggioranza dei due terzi,
è dato innanzitutto notare che qui la disciplina introdotta dalla legge
cost. n. 2 del 2001 si pone “a metà strada” tra quella delle
leggi di revisione costituzionale e quella degli statuti ordinari: il
raggiungimento di un più ampio compromesso politico-assembleare sul
testo, infatti, non preclude del tutto la via referendaria ma la limita ad
un’iniziativa popolare maggiormente qualificata. Difficile
l’interpretazione di questa previsione normativa: rispetto all’art.
138 Cost. essa si connota per la mancata esclusione del controllo referendario
di iniziativa popolare in caso di maggioranze particolarmente qualificate;
rispetto all’art. 123 Cost. per la limitazione soggettiva
dell’accesso (corpo elettorale ulteriormente qualificato ma non minoranze
consiliari).
Il paragone “dissociato” e
“trilatero” appena proposto sembra suggerire che l’istituto
del referendum confermativo si connota nel caso delle leggi statutarie
speciali, da un lato (quello che viene in risalto nel confronto con le leggi
costituzionali), per l’accentuazione del ruolo del controllo popolare[20],
possibile anche in caso di approvazione a maggioranza dei due terzi,
dall’altro (quello che si apprezza maggiormente nel paragone con gli
statuti ordinari), per l’attenuazione della sua classica funzione di
tutela delle minoranze parlamentari; tutela non attivabile in caso di
raggiungimento da parte dell’Assemblea di un consenso partitico ampio.
Entrambi gli elementi appena evidenziati inducono a
ritenere non del tutto azzardata la conclusione che anche sotto questo secondo
profilo il procedimento di formazione della legge statutaria speciale si
caratterizzi nei confronti di quello dello statuto regionale di cui
all’art. 123 Cost. per una più piena
“ordinarietà” del processo politico-legislativo. Come,
infatti, non è richiesta la doppia deliberazione conforme a distanza non
inferiore di due mesi, così (nel caso di approvazione a maggioranza
qualificata) risultano attenuate le esigenze di tutela della minoranza
consiliare ed il referendum si colora più come strumento esterno di
verifica della corrispondenza tra volontà popolare e volontà
assembleare maggioritaria.
Un
secondo elemento fondamentale del rapporto tra legge statutaria speciale e
statuto ordinario è l’ambito materiale affidato alla fonte.
Come
noto, l’art. 123, comma 1, Cost. attribuisce allo statuto regionale
ordinario la disciplina della forma di governo, dei principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento, del diritto di iniziativa, del referendum su
leggi e provvedimenti amministrativi della Regione, nonché la
pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. A tale ambito materiale
va, poi, naturalmente aggiunta la disciplina del Consiglio delle autonomie
locali, ai sensi del comma 4, aggiunto dalla legge cost. n. 3 del 2001. La
legge cost. n. 2 del 2001, nell’affidare alla legge statutaria speciale
la regolamentazione della forma di governo, precisa che essa contiene le
modalità di elezione del Consiglio regionale, del Presidente della Regione
e dei componenti della Giunta regionale, i rapporti tra gli organi della
Regione, la presentazione e l’approvazione della mozione motivata di
sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, i casi di
ineleggibilità ed incompatibilità con le cariche in questione. La
novella degli statuti speciali, inoltre, affida alla legge statutaria la
disciplina dell’esercizio del diritto di iniziativa legislativa popolare
e dei referendum regionali (abrogativi, propositivi e consultivi).
Questo
il dato normativo. Se si prescinde dalla controversia teorica relativa alla
natura delle leggi statutarie speciali come fonti a competenza solo riservata[21]
o come fonti a competenza materiale riservata ed anche limitata[22]
e ci si concentra sull’ampiezza assunta dagli oggetti
“nominati” delle due fonti in forza della prassi e della
giurisprudenza costituzionale, è possibile osservare che tra di essi
esistono significative differenze.
Un primo elemento da rilevare è
quello inerente la materia elettorale. Qui pare indubitabile che la legge
statutaria speciale abbia un ambito materiale più esteso dello statuto
ordinario, non solo perché nelle Regioni di diritto comune il sistema di
elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità sono
disciplinati – ai sensi dell’art. 122, comma 1, Cost. – con
legge regionale nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della
Repubblica ma anche perché la competenza statutaria in materia
elettorale è stata interpretata in maniera fondamentalmente riduttiva
dalla Corte costituzionale. Si fa riferimento, nel dettaglio, ad alcune
argomentazioni svolte dal Giudice delle leggi nelle sentt. nn. 196 del 2003 [23]
e, soprattutto, 2, 378 e 379 del 2004 [24],
dalle quali pare potersi desumere un’interpretazione della materia in
esame che lascia davvero poco spazio all’autonomia statutaria[25].
Come la stessa Corte afferma, con particolare chiarezza, nella seconda delle
sentenze richiamate[26],
infatti, il ruolo che lo statuto ordinario è chiamato a svolgere in
materia elettorale è «necessariamente
ridotto, seppur significativo» e deve intendersi limitato: 1) agli
aspetti del funzionamento degli organi che non incidono direttamente sulle
materie di cui all’art. 122, comma I, Cost., come la disciplina
dell’eventuale prorogatio degli
organi elettivi regionali dopo la scadenza, lo scioglimento o le dimissioni
(che, secondo la sent. n. 196 del 2003, «riguarda solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la
scadenza naturale o anticipata […] e l’entrata in carica del nuovo
organo eletto»[27]);
2) alle «scelte statutarie in tema
di fonti normative», attraverso cui è possibile far carico
alla legge regionale di cui all’art. 122, comma I, Cost. di particolari
adempimenti procedurali come la necessità di maggioranze qualificate; 3)
alle «scelte statutarie in materia
di forma di governo regionale».
Tenuto
conto, poi, che nella materia elettorale è necessario ed opportuno
immaginare, per una pluralità di aspetti, anche l’intervento della
fonte legislativa[28]
e che, pertanto, la riserva a vantaggio della legge statutaria speciale deve
essere interpretata come relativa, pare condivisibile l’affermazione che
in quest’ambito la legge statutaria svolge «una funzione analoga a quella assegnata dall’art. 122 Cost. alla
legge statale»[29].
A
fronte di un ambito materiale, quello elettorale, in cui risulta netta la
maggior ampiezza della fonte statutaria speciale, vi sono, però,
numerosi profili che sembrano testimoniare una più significativa
estensione della fonte statutaria delle Regioni di diritto comune.
Ciò
è vero, in primo luogo, per quanto riguarda la competenza a disciplinare
il Consiglio delle autonomie locali, che – come detto – viene
riservata allo statuto ordinario dall’art. 123, comma 4, Cost. e che,
invece, viene considerata dalla Corte non esclusiva nel caso della legge
statutaria speciale. Con la già citata sent. n. 370 del 2006, infatti,
seppur con un iter argomentativo per
più aspetti criticato in dottrina[30],
la Consulta ha chiarito che il fondamentale momento di raccordo istituzionale
tra Regione ed Enti locali può essere disciplinato anche dalla fonte
legislativa e non necessariamente dalla legge statutaria. Il C.d.a.l., dunque,
non rientra nel suo contenuto necessario.
Analoga
osservazione deve proporsi in relazione al diritto di iniziativa legislativa.
La legge cost. n. 2 del 2001, infatti, a differenza del testo dell’art.
123 Cost., limita la competenza della legge statutaria speciale
all’iniziativa legislativa popolare, lasciando quindi presagire che debbano
restare escluse dall’ambito materiale della fonte le iniziative
consiliari, quelle presidenziali, quelle di Province e Comuni, etc. Sul punto
è stato osservato[31]
che la conclusione appare scongiurabile in forza della competenza in tema di
forma di governo, la quale potrebbe legittimamente attrarre la previsione di
iniziative legislative diverse da quella popolare. A tale tesi, però, si
potrebbe forse obiettare, da un lato, che stante l’interpretazione
restrittiva della forma di governo data dalla giurisprudenza costituzionale
apparirebbe una forzatura utilizzare l’argomento sistematico contro
quello per cui ubi lex volutit, dixit;
ubi noluit, tacuit (la revisione degli statuti speciali, infatti, ha
espressamente aggettivato l’iniziativa disciplinata dalla legge statutaria
come popolare), dall’altro, che, in ogni caso, tale attrazione di
competenza potrebbe funzionare solo per l’iniziativa del Presidente,
della Giunta e dei consiglieri ma non per quella, ad esempio, di Province e
Comuni oppure del C.d.a.l., perché qui verrebbe in considerazione
più la “forma di stato” che la forma di governo della
Regione.
Ancora,
nell’oggetto dello statuto ordinario rientra la disciplina del referendum
su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione, mentre – nel caso
della legge statutaria – la legge cost. n. 2 del 2001 parla di referendum
regionali abrogativi, propositivi e consultivi ed affida espressamente ad
apposita legge regionale la regolamentazione del referendum confermativo sulla
legge statutaria. Sotto quest’ulteriore angolo visuale, esistono, quindi,
due differenze tra le due fonti. In primo luogo, non è escluso che lo
statuto ordinario possa disciplinare il referendum confermativo[32].
In secondo luogo, la disciplina contenuta nello statuto delle Regioni di
diritto comune si riferisce espressamente anche ai provvedimenti
amministrativi, i quali, non solo non sono menzionati dalle corrispondenti
norme degli statuti speciali[33],
ma potrebbero sembrare addirittura esclusi dal richiamo alle classiche
tipologie referendarie (referendum abrogativi, propositivi e consultivi)
correntemente praticate con riguardo agli atti legislativi o comunque normativi
regionali[34].
Come
noto, altra differenza in ordine alle materie “nominate” dalle due
discipline costituzionali è quella che attiene ai “principi di
organizzazione e funzionamento”, che l’art. 123 Cost. considera
contenuto necessario dello statuto ordinario e che la legge cost. n. 2 del
2001, invece, non menziona espressamente tra gli oggetti della legge statutaria
speciale. A tal proposito, sulla base dell’assunto che la legge
statutaria è fonte a competenza generale, si è ritenuto che
anch’essa – come lo statuto ordinario – possa contenere tali
principi in quanto i medesimi dovrebbero essere interpretati «in funzione non solo dell’esercizio
delle competenze regionali, ma anche dei compiti che la Regione assume come
propri in quanto istituzione politica, ente a fini generali, ente esponenziale
della comunità regionale»[35].
Tale tesi, però, sembra presentare l’inconveniente di svalutare la
dimensione procedurale dei “principi di organizzazione e
funzionamento” e di farli, in definitiva, coincidere con le c.d.
“norme programmatiche”, laddove – come noto – la prassi
e la giurisprudenza costituzionale hanno assegnato a queste ultime uno statuto
a se stante e fortemente riduttivo dal punto di vista prescrittivo[36].
L’argomento, inoltre, da un lato, pare provare troppo perché la
qualificazione della legge statutaria speciale come fonte a competenza generale
consente di ricondurre al suo ambito materiale qualsivoglia aspetto
dell’ordinamento regionale, anche il più minuzioso o di dettaglio[37],
dall’altro, sembra provare troppo poco perché non dice nulla sulle
ragioni per cui dovrebbe essere la legge statutaria, e non altre fonti, a
disciplinare tali principi.
Da
ultimo, deve essere osservato come manchi tra gli oggetti della legge
statutaria speciale la disciplina della pubblicazione delle leggi e dei
regolamenti. È noto che l’espressa previsione in tal senso
contenuta nell’art. 123 Cost., unitamente alla giurisprudenza
costituzionale che ha avvallato l’introduzione negli statuti ordinari di
norme sulla produzione giuridica ed in alcuni casi – come quello del
riparto della potestà regolamentare – ha addirittura chiamato lo
statuto ad effettuare le scelte qualificanti in materia[38],
ha orientato la prassi statutaria verso la disciplina del sistema delle fonti
regionali[39].
Ad ammettere l’esistenza di un’analoga (per natura ed estensione)
competenza della legge statutaria speciale ostano diversi fattori, ulteriori
rispetto alla mancanza di espressa attribuzione di competenza in materia di
“pubblicazione delle leggi e dei regolamenti”. Innanzitutto si deve
tener presente che non tutti i profili della regolamentazione del sistema delle
fonti si possono ricondurre alla competenza in materia di forma di governo[40]
e che questi profili ulteriori sono in gran parte riportabili – secondo
la giurisprudenza della Corte – alla disciplina dei “principi di
organizzazione e funzionamento”[41].
Inoltre, non si deve sottovalutare che anche l’aspetto più
qualificante del sistema delle fonti che attiene alla forma di governo
regionale, e cioè la distribuzione del potere regolamentare tra Giunta e
Consiglio, deve considerarsi sottratta alla competenza della legge statutaria
in quanto disciplinata direttamente dallo statuto-legge costituzionale[42].
In
forza delle considerazioni sin qui svolte, pare allora di poter dire, in
estrema sintesi, che se si guarda all’oggetto tipico e
“nominato” delle due fonti, ci si avvede che gran parte dei profili
che hanno indotto la dottrina a parlare dello statuto ordinario come di una
“metanorma”[43]
risultano nel caso della legge statutaria speciale fortemente attenuati.
Il
discorso sugli ambiti materiali delle due fonti conduce direttamente a quello
sui limiti dai quali le medesime sono astrette e ciò per
l’evidente ragione che gli oggetti affidati alla competenza di una fonte
vanno guardati alla luce del margine di libertà di cui gode il nomoteta,
perché a nulla vale un oggetto più ampio se esso soffre limiti di
disciplina più intensi.
Come
noto, dopo la novella dell’art. 123 Cost. da parte della l. cost. n. 1
del 1999, gli statuti ordinari soffrono il solo limite rappresentato dalla
necessaria “armonia con la Costituzione”. Per le leggi statutarie
speciali valgono, invece, due limiti ulteriori, identificati dai principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica e dalla disciplina che lo
statuto riserva agli organi della Regione. Poiché non vi è motivo
di ritenere che il limite dell’“armonia con la Costituzione”
possa atteggiarsi nei confronti delle leggi statutarie in maniera diversa da
come, per costante giurisprudenza costituzionale[44],
si atteggia nel caso degli statuti ordinari, è opportuno centrare
l’attenzione sui limiti ulteriori che il legislatore costituzionale ha
inteso dettare per le sole leggi statutarie. Ciò, infatti, da un lato,
consente di non cadere nella paludosa questione di cosa sia
l’“armonia con la Costituzione”[45],
dall’altro, permette di evidenziare le differenze che intercorrono tra i
regimi normativi delle due fonti.
Quanto al limite dei principi
dell’ordinamento giuridico la dottrina ha osservato che esso deve essere
considerato privo di un’autonoma portata precettiva perché «non
si riesce veramente ad immaginare principi dell’ordinamento giuridico
inerenti alla forma di governo diversi ed ulteriori rispetto a quelli
costituzionali». L’apposizione di tale limite viene
conseguentemente spiegata come un lapsus del legislatore di revisione
costituzionale, il quale avrebbe inquadrato la legge statutaria
nell’ambito della potestà legislativa esclusiva piuttosto che in
quella statutaria «in base alla convinzione lo Statuto della Regione
speciale è quello previsto dall’art. 116 Cost.»[46].
Tale tesi si muove evidentemente tutta nel solco
della ricordata premessa che la potestà statutaria si estrinseca nelle
Regioni speciali in due statuti, di cui uno solo è legge costituzionale
mentre l’altro è legge regionale. Anche se si lascia per ora
sospeso il giudizio su tale premessa[47],
non si può non apprezzare che essa fornisce una spiegazione convincente
del perché si è giunti ad introdurre per le leggi statutarie
speciali un limite ulteriore rispetto a quanto previsto per gli statuti ordinari.
Ciò nondimeno, tale condivisibile ricostruzione non può non
essere accompagnata da una riflessione di carattere più generale che investe il
rapporto tra effetti voluti ed inintenzionali degli interventi normativi. Anche
le revisioni costituzionali, infatti, come tutti gli altri
“comportamenti” che incidono sulle forme instaurative della
convivenza sociale e politica, non si sottraggono alla dialettica fondamentale
di quella che è stata efficacemente definita la “costituzione spontanea”,
ossia quell’immagine della costituzione che scaturisce dal rilievo che i
tratti qualificanti dell’ordine costituito solo in parte possono essere
considerati il frutto di uno specifico atto di volontà dei soggetti che
animano l’ordinamento e, spesso, invece sono piuttosto il risultato di
una ricostruzione effettuata a posteriori
dall’osservatore[48].
Così pure per la novella dell’autonomia statutaria speciale, i cui
effetti complessivi non possono essere valutati pienamente se si ha riguardo
solo alle intenzioni del legislatore della revisione costituzionale (oppure ai
suoi equivoci), poiché esse, come quelle che stanno alla base di ogni
intervento normativo, riflettono e spiegano solo una parte delle interazioni
che si producono all’interno dell’ordinamento, quelle relative all’oggetto
principale, a ciò che è stato effettivamente
“voluto”. Se per un verso, dunque, è più che
verosimile che l’introduzione del limite in questione sia il frutto di un
lapsus costituzionale, per
l’altro, si deve sempre e comunque consentire all’interprete di
apprezzarne in piena libertà tutti i risvolti, financo quelli più
reconditi ed inaspettati.
E
così, se si ritiene che la bislacca genesi del limite dei principi
dell’ordinamento giuridico non debba frustrare la ricerca della sua
autonoma portata precettiva, ci si avvede che, con uno sforzo di immaginazione, è forse possibile
individuare dei principi
dell’ordinamento giuridico inerenti la materia statutaria diversi ed
ulteriori rispetto a quelli direttamente imposti dalla Costituzione o dalle
norme costituzionali.
Così, ad esempio, il principio della
separazione tra politica e amministrazione, sorto dalla crisi del modello della
responsabilità ministeriale[49],
nella misura in cui presuppone la determinazione di cosa sia funzione di
indirizzo politico e del confine che separa quest’ultima dalla funzione
di gestione o amministrazione attiva, incide direttamente sulla competenza
della legge statutaria in materia di forma di governo perché definisce
proprio in cosa consiste quella funzione di “direzionamento” delle
politiche regionali che deve essere ripartita tra gli organi della Regione. E
non v’è dubbio – proprio per la ricordata genesi
dell’istituto – che si tratti di principio generale
dell’ordinamento giuridico e non di principio costituzionalmente imposto.
Ad analoga conclusione può giungersi per quanto riguarda il principio
dello spoil system, il quale – come noto – estende la
dotazione strumentale della funzione di indirizzo politico attraverso la
distinzione tra uffici di staff ed uffici di line[50].
Di recente, la Consulta ha chiarito che l’istituto non solo non è
dotato di rango costituzionale ma addirittura si pone in contrasto con i
principi di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97
Cost. se la previsione di un’anticipata cessazione dall’incarico
dirigenziale è disposta ex lege e
non in base ad una valutazione di merito dei risultati raggiunti dal dirigente,
con la conseguenza che la revoca delle funzioni legittimamente conferite
può essere il frutto soltanto di un’accertata responsabilità
dirigenziale in presenza di determinati presupposti ed all’esito di un
procedimento di garanzia puntualmente disciplinato[51].
Ove, però, risultino soddisfatti i requisiti richiesti dalla
giurisprudenza della Corte il principio in questione sarebbe costituzionalmente
legittimo e, pertanto, vincolante.
A ben vedere, principi dell’ordinamento
giuridico in grado di vincolare la legge statutaria speciale sono reperibili
anche con riguardo alla competenza che quest’ultima possiede in materia
di cause di ineleggibilità ed incompatibilità. Ad esempio, questo
potrebbe essere il caso del principio, di derivazione comunitaria, della
separazione tra proprietà/gestione delle reti e gestione/erogazione dei
servizi nei monopoli naturali[52],
il quale orienta la disciplina del conflitto di interessi consentendo le
limitazioni all’accesso alle cariche elettive solo con riferimento ai
gestori dei servizi a rete ma non ai proprietari delle infrastrutture non
riproducibili perché per essi non si pongono quei problemi di tutela
della neutralità delle reti che possono minare la libertà delle
competizioni elettorali.
Ancora, è possibile individuare dei principi
che potrebbero limitare la discrezionalità della legge statutaria nel
già angusto ambito che le può essere riconosciuto in materia di
sistema delle fonti regionali[53].
Si pensi, ad esempio, al principio – anch’esso di origine
comunitaria – del contraddittorio nel procedimento di formazione delle
norme tecniche[54]
oppure ai principi sottesi al modello di delegificazione di cui all’art.
17, comma
Considerazioni non dissimili varrebbero, del resto,
anche per la competenza in materia di principi di organizzazione e
funzionamento[56].
Anche in quest’ambito materiale, infatti, è possibile reperire
principi generali dell’ordinamento non direttamente coperti da previsioni
costituzionali, come – ad esempio – il principio del giusto
procedimento amministrativo, in relazione al quale, come noto, la
giurisprudenza costituzionale parla di “principio generale
dell’ordinamento giuridico dello Stato”[57]
e nega che si tratti di principio costituzionale[58].
Si diceva, inoltre, che le leggi statutarie
speciali soffrono – rispetto agli statuti ordinari – anche il
limite ulteriore rappresentato dalla disciplina che lo statuto riserva agli
organi della Regione. Per maggior precisione, tale limite viene individuato
mediante il richiamo all’apposito Titolo o Capo nel caso delle Regioni
Friuli Venezia-Giulia[59],
Valle d’Aosta[60],
Sardegna[61]
e Trentino Alto Adige[62],
mentre nel caso della Regione Sicilia alla legge statutaria è imposto
più genericamente il rispetto di tutto lo statuto[63].
In definitiva, l’ampiezza di tale limite è rimessa alle scelte del
legislatore della revisione costituzionale-statutaria. Si è già
detto che la principale manifestazione del limite rappresentato dalla
disciplina degli organi consiste nell’attribuzione del potere
regolamentare ma si pensi anche alla determinazione del numero dei consiglieri[64].
Inoltre, non deve essere sottovalutato che sono immaginabili ulteriori restrizioni del potere confermativo della
legge statutaria in materia di forma di governo o di organizzazione in grado di
affermarsi per tale via, come – ad esempio – la disciplina della prorogatio[65] o l’introduzione di limiti al
numero dei mandati presidenziali ammissibili[66]
(come nel caso della Regione Sicilia[67]).
L’appena
considerata disciplina dei limiti consente di mettere in evidenza che il
legislatore statutario ordinario risulta dotato di una libertà maggiore di
quella riconosciuta al legislatore statutario speciale. Il che – sempre
nell’ottica del rapporto tra le due fonti – si traduce nella
più fitta trama di parametri di costituzionalità attraverso cui
le leggi statutarie speciali possono essere scrutinate quando disciplinano gli
stessi oggetti affidati alla competenza degli statuti ordinari. Ma
v’è di più: tutti i possibili principi generali
dell’ordinamento giuridico che dovessero in futuro affermarsi per via
legislativa varrebbero, ove pertinenti ratione
materiae, a limitare le leggi statutarie speciali ma non gli statuti
regionali ordinari. Se poi, capovolgendo l’ordine di trattazione fin qui
seguito, si richiamano sinteticamente le conclusioni maturate con riguardo
all’oggetto ed al procedimento di formazione delle due fonti, ci si
avvede che l’impressione del maggior grado di autonomia riconosciuto allo
statuto ordinario risulta confermata. Da un lato, infatti, gli ambiti
“nominati” che sono stati affidati alla competenza della legge statutaria
– fatta eccezione per la materia elettorale – sono inferiori di
numero e di ampiezza rispetto a quelli di pertinenza dello statuto ordinario
(ed anche ove si ammette una competenza generale della prima essa incontra
limiti più stringenti del secondo), dall’altro, il procedimento di
formazione della legge statutaria è contraddistinto da una minor gravosità che pare
testimoniare l’attenuazione delle garanzie tipiche delle norme fondamentali.
In
estrema sintesi, pare, allora, di poter dire, riprendendo la metafora algebrica
proposta, che il rapporto tra legge statutaria speciale e statuto ordinario
genera un quoziente inferiore ad uno, il quale fornisce la cifra di come la
devoluzione della competenza statutaria all’autonomia politica delle
Regioni speciali, operata dalla l. cost. n. 2 del 2001, sia quantitativamente inferiore alla
“destatalizzazione” del processo statutario delle Regioni
ordinarie, avvenuta per effetto della l. cost. n. 3 del 2001. Come visto,
infatti, per più versi la legge statutaria speciale si connota
essenzialmente come una fonte di organizzazione interna ma appare priva di quel
carattere di fondamentalità che
contraddistingue lo statuto ordinario. Tale carattere sembra continuare ad
inerire solo allo statuto-legge costituzionale, il quale conserva – salva
la decostituzionalizzazione della forma di governo – le
peculiarità di Grundnorm degli
ordinamenti regionali speciali. Tale circostanza, peraltro, non può non
gettare qualche ombra sull’effettivo superamento dell’originaria
concezione che affida al rango costituzionale dello statuto ed al rapporto
singolare con lo Stato la tutela della specialità regionale. Sotto
quest’angolo visuale, dunque, la strada da percorrere sembra ancora lunga
e l’entusiasmo generato dalla l. cost. n. 2 del 2001, forse, eccessivo.
* Il presente contributo
è stato pubblicato nel volume La
riforma della regione speciale. Dalla legge statutaria al nuovo statuto
speciale, a cura di O. Chessa
e P. Pinna, Torino, 2008.
[1] Cfr.
artt. 15 statuto Regione Valle d’Aosta; 15 statuto Regione Sardegna; 12
statuto Regione Friuli Venezia-Giulia; 47 statuto Regione Trentino Alto Adige;
3, comma 1, 8-bis, 9, comma 3, 13-bis, 17-bis statuto Regione Sicilia.
[2]
L’espressione virgolettata appartiene a P.
Pinna, Il diritto costituzionale
della Sardegna, Torino, 2006, 125. Nello stesso senso si era già
espresso anche A. Ruggeri, Elezione diretta dei Presidenti regionali,
riforma degli statuti, prospettive della «specialità»,
in Itinerari di una ricerca sul sistema
delle fonti, IV, Torino, 2000, 213, ragionando di “leggi
statutarie” tanto per le Regioni ordinarie che per quelle speciali.
[4] Cfr. P. Pinna, ult. cit., 144-5; L. Buffoni,
Il Consiglio delle Autonomie
locali nelle Regioni speciali tra concezione garantistica e concezione democratica dell’autonomia, in questo stesso
volume, la quale opportunamente nota che il tema del quantum di autonomia espressa dalle due fonti è ulteriore
rispetto a quello della loro commensurabilità, che ne rappresenta
– infatti – un prius logico.
[5] Corte
cost., sent. n. 370 del
[7] Corte
cost., sent. n. 304 del
Naturalmente,
la possibilità teorica di una soluzione diversa presuppone che non sia
lo statuto-legge costituzionale ad imporre il carattere preventivo del
sindacato di costituzionalità, come avviene – ad esempio –
nel caso dell’art. 49 dello statuto Regione Friuli Venezia-Giulia [su cui
cfr. S. Pajno, G. Verde, Gli statuti-leggi costituzionali delle
Regioni speciali, in P. Caretti (a
cura di), Osservatorio sulle fonti 2005, Torino, 2006, 327].
[8] Su
questo e sugli altri argomenti utilizzati dalla Corte sia consentito un rinvio
al nostro La “terza via” al
giudizio di legittimità costituzionale. Contributo allo studio del
controllo di costituzionalità degli statuti regionali, Milano, 2007,
120 ss.
[11] Pari ad un trentesimo degli elettori
regionali per le Regioni Sicilia (art. 17-bis), Sardegna (art. 15) e Friuli
Venezia-Giulia (art. 12) ed a un quindicesimo per la Regione Valle
d’Aosta (art. 14) e le Province autonome di Trento e Bolzano (art. 47
statuto Trentino Alto Adige).
[13] I. Kant, Über den Gemeinspruch: Das
mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis, “Berlinische
Monatsschrift”, XXII, 1793, trad. it. Filippo
Gonnelli, Sul detto comune: questo
può essere giusto in teoria, ma non vale per la prassi, in Id., Kant.
Scritti di storia, politica e diritto, Roma-Bari, 1995.
[14] Un
tentativo di fare il punto sui tempi e sul contenuto delle scelte regionali
relative ai principali ambiti dell’autonomia statutaria (forma di
governo, sistema delle fonti, norme di principio, etc.) si può trovare
nei volumi collettanei curati da Paolo Caretti (Osservatorio sulle fonti 2005, cit.), Raffaele Bifulco (Gli statuti di seconda generazione. Le
Regioni alla prova della nuova autonomia, Torino, 2006), Massimo Carli,
Guido Carpani, Arturo Siniscalchi (I
nuovi statuti delle regioni ordinarie. Problemi e prospettive, Bologna,
2006) e Giovanni Di Cosimo (Statuti atto
II. Le regioni e la nuova stagione statutaria, Macerata, 2007),
nonché – volendo – nei miei Gli statuti regionali e la città di Zenobia. I limiti
procedurali e sostanziali all’autonomia statutaria delle regioni
ordinarie alla luce della prassi e della giurisprudenza costituzionale, in Nuove Autonomie, 2005, 49 ss. e Vecchie e nuove questioni nella
giurisprudenza costituzionale sui profili procedimentali e sostanziali
dell’autonomia statutaria (a partire da Corte cost., sentt. nn. 469 del
2005 e 12 del 2006), ivi, 2006, 429 ss.
[15] Per
una dettagliata analisi delle prime esperienze statutarie delle Regioni
speciali, cfr. l’accurato lavoro di G.
Scala, Le leggi statutarie delle
Regioni speciali, in P. Caretti, Osservatorio sulle fonti 2005, cit., 336
ss.
[17] R. Bin, La nuova stagione statutaria delle Regioni, in www.issirfa-cnr.it, 2.
[18] Sui
punti di contatto tra il procedimento di formazione degli statuti regionali ordinari
e l’iter formativo previsto per
le leggi costituzionali dall’art. 138 Cost., vedi A. Ruggeri, In tema di
elezione diretta dei Presidenti regionali e di altri profili attinenti
all’organizzazione regionale (prime notazioni), in Le Regioni, 1999, 1067 ss.
[20] Si
aderisce qui implicitamente all’idea che il referendum popolare
confermativo abbia natura di controllo esterno sulla formazione
dell’atto; idea già affermata dalla dottrina maggioritaria con
riferimento al referendum di cui all’art. 123, comma III, Cost. Ma vedi
la tesi, minoritaria in dottrina, di E.
Lamarque, Il referendum nel
procedimento di formazione dello statuto regionale, in AA. VV., I nuovi statuti delle Regioni, Milano, 2000, 140, secondo la quale
lo statuto sarebbe un atto “a complessità eventuale”,
proprio per la circostanza che l’eventuale celebrazione del referendum
“aggiungerebbe” la volontà del corpo elettorale a quella
dell’organo rappresentativo. Nella stessa direzione, commentando la
sentenza n. 445 del 2005, argomenta anche F.
Cuocolo, Ancora sulla procedura di
approvazione degli Statuti regionali, in Giur. cost., 2005, 4807 ss., il quale nega che il referendum possa
essere considerato tanto condizione di efficacia della legge regionale
approvativa dello statuto quanto forma di controllo sulla medesima.
[21]
Questa la posizione che pare maggioritaria. Per tutti, cfr. P. Pinna, ult. cit., 144.
[22] Come
sostiene G. Scala, ult. cit., 337.
[24] Corte
cost., sentt. nn. 2 del
[25] Cfr.,
ex plurimis, S. Grassi, Gli statuti
tra armonia e continuità nella Costituzione, in Federalismi.it, 2/2004; M.
Volpi, Quale autonomie statutarie
dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2004?, ivi, 4/2004; S. Gambino, La forma di governo
regionale (fra “chiusure”
del giudice costituzionale, “incertezze” degli statuenti regionali
e “serrato” confronto della dottrina), ivi, 5/2004; A. Ruggeri,
Autonomia statutaria e forma di
governo regionale: i “paletti” della Consulta (e una riflessione
finale), ivi, 6/2004; Id., L’autonomia
statutaria al banco della Consulta (nota a Corte cost. n. 2 del 2004), in Forum
dei Quaderni costituzionali, cit.; M.
Olivetti, Requiem per l’autonomia statutaria delle
Regioni ordinarie, ivi; Id., Lo “spirito della Costituzione”:
un concetto giuridicamente inutile, in Giur.
cost., 2004, 38 ss.; N. Vizioli, Prime osservazioni su una sentenza con poche
luci e molte ombre (nota a Corte cost. n. 2/2004), in Forum dei Quaderni
costituzionali, cit.; Id., Sugli
statuti regionali la Consulta ha “integrato” la Costituzione. Quali
poteri alle Regioni su elezioni e regolamenti?, in Diritto e Giustizia, 4/2004, 38 ss.; E. Balboni, Quel che
resta dell’autonomia statutaria dopo il “caso Calabria”,
in Le Istituzioni del federalismo, 2004, 467 ss.; L. Carlassare, La sent. n. 2 del 2004 tra forma di governo e forma di stato, in Forum
dei Quaderni costituzionali, cit.
ed in Le Regioni, 2004; S. Parisi, Il sistema delle competenze in
materia elettorale: per una lettura “congiunta” di due pronunce
della Corte costituzionale, in Foro
it., 2004, I, 1998 e ss. Più di recente, cfr. B. Caravita, Lineamenti di diritto costituzionale, federale e regionale, Torino,
2006, 218-9. Di tenore opposto, invece, i commenti di S. Ceccanti, La sentenza sullo Statuto Calabria: chiara,
convincente, federalista, in Forum dei Quaderni costituzionali, cit. e R. Bin, Un passo
avanti verso i nuovi Statuti regionali, ivi ed in Le Regioni, 2004; Id., Autonomia statutaria e “spirito della
Costituzione”, in Le Istituzioni del federalismo, 2004, 419
ss.
[27] A
commento di tale sentenza cfr. A.
Morrone, Sistema elettorale e prorogatio
degli organi regionali, in Le Regioni, 2003, 1269 ss.; G. Rosa, Prime note alla sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 5 giugno
[28] Ma si
tenga presente che, nella prassi, le leggi statutarie speciali sulla forma di
governo si sono spinte fino alla disciplina di aspetti minuziosissimi del
procedimento elettorale come le modalità di costituzione degli uffici di
sezione, di deposito dei contrassegni, di compilazione dei verbali oppure le
caratteristiche della scheda elettorale. Sul punto, cfr. G. Scala, ult. cit., 346-7, cui si rinvia adesivamente quanto alle
considerazioni svolte sulla censurabilità di tale prassi.
[30] Si
vedano, in particolare, le considerazioni di L.
Buffoni, ult. cit.; A. Ruggeri, La Corte, la clausola di “maggior favore”, cit.; P. Pinna, ult. cit., 149 ss.
[32] In
particolare hanno sostenuto la competenza dello statuto R. Romboli, Il sistema dei controlli sullo statuto e
sulle leggi regionali, in G. F. Ferrari, G. Parodi (a cura di), La
revisione costituzionale del Titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo.
Problemi applicativi e linee evolutive, Padova, 2003, 249; E. Lamarque, Art.
È
altrettanto noto che sulla costituzionalità di tale legislazione si
è consumato un intenso dibattito dottrinario. Secondo una parte della
dottrina (R. Tosi, I nuovi statuti delle Regioni ordinarie:
procedimento e limiti, in Le Regioni,
2000, 534; G. D’amico, Il giudizio in via principale: con
riferimento all’impugnazione degli statuti regionali, in A. Pizzorusso, R. Romboli (a cura di), Le norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale dopo quasi mezzo secolo di applicazione, Torino,
2002, 44 ss.; P. Giangaspero, La Corte costituzionale e il regime formale
dello statuto regionale ordinario: alcuni “frammenti” di un mosaico
da completare, in Le Regioni,
2002, 1505, nota 38; M. D’Amico,
Le modifiche al processo costituzionale
nell’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n.
[33]
Prevedono, invece, referendum su atti amministrativi gli artt. 45, comma 1,
legge regionale Valle d’Aosta, n. 19 del 2003 e 21, comma 1, legge
regionale Friuli Venezia-Giulia, n. 5 del 2003.
[34] Sulla
conformazione assunta dall’istituto referendario nei nuovi statuti cfr. G. L. Conti, I referendum nei nuovi statuti regionali, in P. Caretti (a cura di), Osservatorio
sulle fonti 2005, cit., 248 ss.
[36] Vedi,
anche per ulteriori riferimenti bibliografici, L.
Bianchi, Le norme di principio
negli statuti, in P. Caretti (a
cura di), Osservatorio sulle fonti 2005,
cit., 45 ss.; M. Benvenuti, Le enunciazioni statutarie di principio
nella prospettiva attuale, in R.
Bifulco (a cura di), Gli statuti di seconda generazione,
cit., 21 e ss.; M. Rosini, Le norme programmatiche dei nuovi statuti,
in M. Carli, G. Carpani, A. Siniscalchi
(a cura di), I nuovi statuti delle
regioni ordinarie, cit., 7 ss.; E.
Longo, Il ruolo dei diritti negli
statuti e nelle istituzioni regionali, in G.
Di Cosimo, Statuti atto II,
cit., 50 ss.
[37] Del
rischio, d’altro canto, si avvede anche la dottrina in questione, la
quale ovvia all’inconveniente proponendo di interpretare la riserva di
legge statutaria come relativa e non assoluta, privilegiando – quindi
– la devoluzione degli aspetti non ordinamentali alla legge ed ai
regolamenti regionali (P. Pinna, ult. cit., 143-4).
[38] Per
uno sguardo d’insieme sulla giurisprudenza in materia di previsioni
statutarie sulle fonti, anche al fine di reperire ulteriori indicazioni sulla
dottrina, ormai vastissima sul punto, si veda per tutti G. Tarli Barbieri, Le fonti del diritto regionale nella
giurisprudenza costituzionale sugli statuti regionali, in Le Regioni, 2005, 581 ss.
[39] Per
una ricostruzione dettagliata di tale prassi si vedano i contributi raccolti in
E. Rossi (a cura di), Le
fonti del diritto nei nuovi statuti regionali, Padova, 2007.
[41] Come
noto, infatti, è questa la scelta di inquadramento sistematico
dell’istituto della Consulta statutaria effettuata dalla Corte costituzionale
con la sent. n. 12 del
[42] Cfr.
artt. 26 statuto Regione Valle d’Aosta; 27 statuto Regione Sardegna; 44
statuto Regione Trentino Alto Adige; 12 statuto Regione Sicilia. La legge cost.
n. 2 del
[43]
Questa la celebre espressione utilizzata da M.
Ainis, Lo statuto come fonte sulla
produzione regionale, in Le Regioni,
2000, 814 ss.
[44] Ci si
riferisce, ovviamente, alla notissima giurisprudenza sullo “spirito della
Costituzione”, su cui sia consentito un rinvio, anche a fini meramente
ricostruttivi, al nostro già citato La
“terza via” al giudizio di legittimità costituzionale,
cit., 187 ss.
[45] Una
ricognizione tendenzialmente esaustiva delle posizioni prospettate in dottrina
si trova – si tolleri per l’ultima volta – in A. Cardone, La “terza via” al giudizio di legittimità
costituzionale, cit., 179 ss.
[47] La
corrispondente riserva, infatti, potrà essere sciolta solo
all’esito della riflessione che si sta conducendo in queste pagine.
[48] G. Volpe, Il costituzionalismo del Novecento, Roma-Bari, 2000, 214 ss., part.
[49]
Sull’evoluzione ordinamentale che ha portato all’affermazione della
separazione tra politica e amministrazione cfr., anche al fine di reperire una
prima bibliografia sul tema, i lavori monografici di A. Patroni Griffi, Dimensione
costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica: contributo ad
uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e
amministrazione, Napoli, 2002 e P. Forte, Il principio di distinzione tra politica e amministrazione, Torino,
2005.
[50]
È noto che il principio in questione ha assunto rango di principio
generale dell’ordinamento per effetto della riforma della dirigenza
statale operata con la l. n. 145 del 2002 su cui – come si
ricorderà di qui a poco – si è pronunciata la Corte costituzionale.
Per alcuni primi ragguagli sulla disciplina dello spoil system cfr., in dottrina, S.
Cassese, Il nuovo regime dei
dirigenti pubblici italiani: una modificazione costituzionale, in Giorn. dir. amm., 2002, 1341 ss.;
A. Corpaci, Il
nuovo regime del conferimento degli incarichi dirigenziali e la giurisdizione
sugli incarichi dirigenziali, in Il
lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2003, 217 ss.
[51] Corte
cost., sent. n. 103 del 2007, su cui
vedi I. Federico Jorio, Lo spoil system viene nuovamente ridisegnato
dal Giudice delle leggi con le sentenze nn. 103 e 104 del
[52] Nella
letteratura ormai sterminata sul punto, cfr. N.
Rangone, I servizi pubblici,
Bologna, 1999, 221 ss. e, più di recente, A. De Vita, La
disciplina interna dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in Servizi pubblici e appalti, 2006, 411
ss.
[54] Su
cui si veda, di recente, anche per un’originale impostazione teorica
delle questioni inerenti le norme tecniche e la loro legittimazione, L. Buffoni, La “dottrina” dello sviluppo sostenibile e della
solidarietà generazionale. Il giusto procedimento di normazione
ambientale, in Federalismi.it,
8/2007.
[55] Come
noto, invece, alcuni autori ritengono che tale modello sia derogabile da parte
degli statuti ordinari. Una ricognizione di tale dottrina si può
trovare, volendo, in A. Cardone, Gli statuti regionali e la città di
Zenobia, cit., 89, nota n. 115.
[56] Ove
se ne ammetta l’esistenza qualificando la legge statutaria come fonte a
competenza generale e, comunque, con tutte le riserva del caso (vedi supra, § 3).
[57] A
partire dalla celebre sent. n. 13 del
[58] Cfr.
Corte cost., pronunce nn. 59 del 1965; 212 del 1972; 23 del 1978; 5 del 1980;
7, 91, 148 del 1982; 301 del 1983; 234 del 1985; 48 del 1986; 344 del 1990; 346
del 1991; 103 del 1993; 57 del 1995; 210 del 1995; 312 del 1995; 68 del 1998.
Criticano l’idea, sottesa a questa giurisprudenza, che la qualificazione
del principio del giusto procedimento come principio generale
dell’ordinamento sia automaticamente ostativa al conferimento di
dignità costituzionale, M. C.
Cavallaro, Il giusto procedimento come principio costituzionale,
in Il Foro amministrativo, 2001, 1837 e, più di recente, L. Buffoni, Il rango costituzionale del “giusto procedimento” e
l’archetipo del processo, in corso di pubblicazione in Quaderni costituzionali, 4/2007.
[64] Cfr.
artt. 16 statuto Regione Valle d’Aosta; 16 statuto Regione Sardegna; 13
statuto Regione Friuli Venezia-Giulia; 19 statuto Regione Trentino Alto Adige;
3 statuto Regione Sicilia.
[66]
È noto che nel caso degli statuti ordinari la Corte costituzionale, con
la celebre sent. n. 2 del