N. 6 – 2007 – Tradizione Romana
Università
di Sassari
Fraternitas
e societas: i termini di un connubio*
SOMMARIO: 1. Diritto e fraternità: un connubio
ancora possibile. – 2. Resistenza
e oblio del principio di fraternità. – 3. Effetti della fraternità ed
estensione del vincolo naturale. – 4. Fraternitas e unità del consortium ercto
non cito. – 5. Fraternitas e causa del contratto di societas. – 6. La fraternitas oltre la societas:
una prospettiva di sistema.
Il riferimento alla fraternità, quale elemento proprio del
diritto, può stupire chi si avvicini, ancora oggi, alla comprensione dei
fenomeni giuridici con un approccio positivistico, soprattutto allorché esso si
esprima in una teoria normativistica[1].
In effetti, quando si ritenga che la dimensione della coattività e specialmente
della sanzione siano sempre una componente essenziale del diritto[2]
è quasi impossibile trovare in esso uno spazio per la fraternità[3].
Una critica fondamentale all’approccio normativistico, nella
identificazione della nozione di diritto, è giunto, come è noto, dalla teoria
istituzionale del diritto[4].
Non vi è dubbio che un approccio istituzionalistico, in cui la dimensione
giuridica è naturalmente connessa alla analisi concreta del vivere del gruppo
organizzato, rende più agevole riconoscere alla fraternità uno spazio in quanto
componente della società che esprime quello stesso diritto[5].
Come si vedrà, sul piano del diritto privato romano, la fraternitas era una componente
essenziale anzitutto della societas,
attraverso il tramite antichissimo del consortium
ercto non cito, e, sul piano del diritto pubblico, un elemento importante
delle relazioni del popolo romano con popoli alleati.
La natura degli studi giuridici degli ultimi decenni,
caratterizzati dalla necessità di un ripensamento della rigida distinzione fra
diritto e morale, propria di un certo positivismo, in ragione di una apertura
verso i valori etico-politici, ha gettato le basi per un ritorno alla
considerazione della fraternità come componente essenziale del diritto[6].
La relazione tra fraternità e diritto è oggi quindi di nuovo avvertita fino al
punto che vi è chi ha sostenuto che la «fraternità allora non è altra cosa
rispetto al diritto, né assume le vesti di un altro diritto, ma ne è forse il
cuore segreto, tanto più centrale quanto più la soluzione dei problemi appare
legata a dimensioni planetarie»[7].
Nella età odierna, in cui appare sempre più chiaro che le grandi
questioni giuridiche devono essere affrontate in una dimensione locale e
sovranazionale, allo stesso tempo[8],
la fraternità costituisce una chiave di lettura che favorisce l’equilibrio e la
sintesi tra libertà e uguaglianza, in modo che l’una e l’altra si alimentino
vicendevolmente[9].
Non è molto distante da questa idea chi oggi ritiene che la fraternità sia un
ambiente di composizione dei conflitti tra i diritti[10].
Nonostante un filo rosso che ne attesta nei secoli la importanza
nelle relazioni giuridiche, dalla giurisprudenza romana fino ai nostri giorni, resta
il fatto che agli occhi di chi si accosti allo studio della fraternità colpisce
anzitutto l’oblio al quale essa è stata sottoposta. Non a caso, di recente, si
è parlato, con riferimento alla fraternità, di un «principio dimenticato»[11]
e di una «eclissi»[12].
Stupisce soprattutto che al principio di fraternità sia stato
dedicato negli studi giuridici in generale, e in specie in quelli del diritto
pubblico, uno spazio risibile se confrontato con quello ricoperto dagli studi
sul principio di libertà e di uguaglianza e che solo negli ultimi anni esso sia
stato di nuovo oggetto di attenzione[13].
Eppure, come è noto, nella Rivoluzione Francese, la fraternità è posta in
connessione con i principi della libertà e della uguaglianza[14].
Tuttavia, nonostante tale connessione, si direbbe che soprattutto i cultori del
diritto pubblico abbiano dimenticato la fraternità e ne abbiano disconosciuto
il valore giuridico a favore degli altri due principi della libertà e della
uguaglianza.
Fatto ancora più esecrabile e per certi aspetti incomprensibile
se si considera che già prima della Rivoluzione Francese l’idea della
fraternità, centrale nel pensiero cristiano, attraverso il tramite delle opere
dei Padri della Chiesa era stata oggetto di una certa attenzione da parte di
autori cristiani, i quali ponevano in evidenza la rilevanza sul piano
politico-giuridico del legame fra libertà, uguaglianza e fraternità. Così, ad
esempio, come è stato già messo in evidenza, nel 1644, Antoine Arnauld
proponeva una traduzione del De moribus
ecclesiae catholicae di Agostino, in cui si osservava che grazie alla
Chiesa gli uomini vivono in fraternità, i religiosi in condizione di
uguaglianza, i fedeli in carità, santità e libertà[15].
Qualche decennio dopo, François Fénelon, nelle Avventure di Telemaco, una opera destinata ad avere un grande
riscontro nel ’700, descriveva gli abitanti della immaginaria Bétique
osservando che essi hanno tutti i beni in comune, non hanno interessi
contrapposti e «si amano tutti di un amore fraterno. È la soppressione delle
vane ricchezze e dei piaceri fallaci, che conserva loro questa pace, questa
unione e questa libertà. Essi sono tutti liberi e tutti uguali»[16].
Con gli illuministi francesi il richiamo al concetto della
fraternità diviene sempre più labile fino ad offuscarne il valore giuridico. Si
fa sempre più deciso, invece, il riferimento alla solidarietà, dando inizio a
un processo che conduce a far diventare quest’ultimo concetto uno dei valori
costituzionali oggi fondamentali[17].
In un certo senso, è stato osservato, la solidarietà si è
trasformata in una «versione secolare e attualizzata della fraternità»[18].
Assieme quindi al ricordo si offusca il significato della fraternità. E solo di
recente si segnalano tentativi in dottrina volti ad evitare facili e distorte
assimilazioni fra i due concetti[19].
A tacer d’altro, la fraternità implica sempre uguaglianza essendo i fratelli diversi ma uguali. La solidarietà,
invece, può riguardare anche il caso di coloro in cui uno è solidale con
l’altro proprio in quanto più forte[20].
Il termine fraternitas,
nel linguaggio giuridico romano, è in stretta connessione con la uguaglianza[21].
Così, anzitutto, appare il rapporto che si instaurava tra i fratres, nell’ambito del consortium ercto non cito, alla morte
del pater familias[22].
I fratres, stretti da un vincolo
naturale di sangue, decidevano di stare uniti in modo da realizzare una
comunità domestica in cui il patrimonio familiare rimaneva non diviso. Ogni frater, nell’antico consortium ercto non cito, poteva utilizzare e persino disporre
dell’intero patrimonio, salvo, si ritiene in dottrina, da parte dei più[23],
un ius prohibendi in capo agli altri fratres con cui eventualmente impedire
il compimento di quell’atto i cui effetti si sarebbero riprodotti sulla
comunità stessa.
Gai. 3.154: Item si cuius ex sociis bona publice aut privatim venierint,
solvitur societas. sed ea quidem societas,
de qua loquimur, id est, quae nudo consensu contrahitur, iuris
gentium est; itaque inter omnes homines naturali ratione consistit.
154a Est autem aliud genus societatis proprium civium Romanorum. olim enim mortuo patre familias inter suos heredes quaedam erat legitima simul et naturalis societas quae appellabatur
ercto non cito, id est dominio non diviso: erctum enim dominium est, unde erus dominus dicitur: ciere autem dividere est: unde caedere et secare [et dividere] dicimus. 154b
Alii quoque qui volebant eandem habere societatem, poterant id consequi apud praetorem certa legis actione. in hac autem societate fratrum ceterorumve,
qui ad exemplum fratrum suorum societatem
coierint, illud proprium erat,
[unus] quod vel unus ex sociis communem servum manumittendo liberum faciebat
et omnibus libertum
adquirebat: item unus rem communem mancipando eius faciebat, qui mancipio accipiebat.
Non si tratta di una uguaglianza che tende ad escludere in quanto
la fraternità che la anima si riferisce potenzialmente a tutti coloro che a
quel modello di relazioni, originatesi all’interno della famiglia, si ispirano.
La storia del valore della fraternità è, in effetti, in larga parte, la storia
di come questo valore fu esteso da coloro che erano uniti da un vincolo di
sangue a coloro che erano estranei a tale vincolo e che ad esso, come fosse un
modello, si ispiravano per le loro reciproche relazioni. In questo senso, anzi,
si può dire che la fraternità, come valore giuridico, assume una pregnanza più
significativa, proprio quando dal piano del vincolo naturale, della legge di
natura che costringe alcune persone a un legame di parentela e dunque di
relazioni anche forzose, ci si sposta in quello del vincolo positivo, della
legge umana che si fonda sul consenso di alcune persone a trattarsi
reciprocamente come fratelli.
La fraternità inoltre è sempre relazionale. Fra i linguisti si è
posto l’accento su questo carattere della fraternità osservando che il termine
greco «phrātēr non esiste
quasi al singolare; solo il plurale è nell’uso. Al contrario adelphós è frequente al singolare,
poiché si riferisce a una parentela individuale»[24].
È in forza anche del carattere relazionale della fraternità che tale vincolo ha
potuto innestarsi dal piano naturale, legato al rapporto di sangue, del consortium, al piano artificiale, legato
al rapporto consensuale, della societas.
In particolare, nel sistema parentale romano, si verifica una
prima estensione della fraternitas
dall’ambito del rapporto di sangue tra fratres
all’ambito di rapporti tra persone non necessariamente unite da consanguineità.
Nel sistema giuridico-religioso romano il passaggio da una nozione di fraternitas come rapporto di
consanguineità ad un rapporto diverso e più esteso è attestato, già sul piano
sacrale, con riferimento all’antico collegio dei Fratres Arvales, i cui componenti erano deputati a proteggere i
campi coltivati anche attraverso sacrifici cruenti[25].
Se si guarda alla origine del contratto di societas nel diritto romano[26],
al di là delle diverse componenti nomogenetiche che hanno spinto verso la
costruzione di tale forma giuridica nella quale confluiscono esperienze
giuridiche anche fortemente differenziate[27],
un passo fondamentale nello sviluppo del consortium
verso forme societarie, basate quindi non sul vincolo di sangue ma sul
consenso, è segnato dal diffondersi di prassi imitative dell’antico consortium ercto non cito.
Stando al racconto di Gaio, nel brano delle Institutiones sopra richiamato, anche soggetti estranei, non legati
da un vincolo di sangue, potevano dare vita a un consortium, mediante una certa legis
actio, da identificare con una in
iure cessio[28].
In questo caso, la costituzione del consortium
si fondava su un negozio giuridico, la in
iure cessio, modellato su un processo che però presupponeva di norma
l’accordo delle parti finalizzato, per l’occasione, alla costituzione di una
comunione evidentemente non solo patrimoniale[29].
Gaio
definisce il consortium ercto non cito, che nasceva
fra i sui heredes quando moriva il pater familias, come una forma di societas
legitima e naturalis. Si tratta di una qualificazione con la
quale il giurista intende indicare che il consortium,
regolato nelle XII Tavole, risponde ad «esigenze ed effetti di natura» senza
che per la sua costituzione sia necessario un atto specifico, «ravvisando in
ciò una certa analogia (ben lontana dalla identificazione) con quella naturalis ratio a cui s’ispira il contratto consensuale»[30].
In questo contesto, la fraternitas
che giustifica il permanere della unità del gruppo rende il rapporto non
semplicemente di natura economica. È in forza di tale vincolo che si può
spiegare l’ampiezza di poteri riconosciuti a ciascuno dei fratres in relazione al patrimonio familiare[31].
Il vincolo di fraternitas, da presupposto naturale,
è quindi parte essenziale della soluzione giuridica che consente il
funzionamento del consortium e giustifica l’accostamento tra esso e la societas
consensuale[32].
È alla fraternitas che i giuristi romani si richiamano per consentire
anche a soggetti non legati da tale vincolo naturale di perseguire comuni
obiettivi, corrispondenti a quelli a cui si poteva mirare nell’originario consortium
ercto non cito[33].
La forza del modello dell’antico consortium, per il tramite
della fraternitas che ne anima il vincolo
fra i fratres, comportava che anche
il corrispondente vincolo che si
instaurava, in forza di una certa legis
actio, tra soggetti che non erano sui
heredes, fosse ispirato a tale valore.
Nel
passaggio dal consortium tra fratres al consortium imitativo tra estranei si costruisce quindi uno snodo
fondamentale che, all’interno del rapporto sociale, conduce dal momento della
prevalenza del vincolo di sangue al momento della prevalenza del consenso[34].
Nel consortium tra estranei è proprio
l’assenza del vincolo di sangue che induce alcune persone a cercare di
costruire con il consenso un vincolo altrettanto forte, se non più forte,
perché totalmente voluto non solo nella fase della conservazione del rapporto
ma ancor prima nel momento di costituzione di esso.
È a
questo legame della fraternitas,
veramente voluto e perseguito con la manifestazione a ciò diretta del consenso,
che si deve riconnettere il richiamo della societas
come contratto consensuale lungo la scia dell’antico consortium ercto non cito. Ulpiano riconosce il legame tra la societas come contratto consensuale e
l’antico consortium ercto non cito
quando, sulla base di esso, giustifica il fatto che nell’ambito della societas consensuale è stabilito il
divieto di ottenere una condanna superiore all’attivo patrimoniale di ciascuno
dei soci, motivandolo, sulle tracce di Sabino, sulla base di un ius quodammodo fraternitatis[35]:
D. 17.2.63 pr. (Ulpianus libro
trigensimo primo ad edictum):
Verum est quod Sabino videtur, etiamsi non universorum bonorum socii sunt, sed
unius rei, attamen in id quod facere possunt quodve dolo malo fecerint quo
minus possint, condemnari oportere. hoc enim summam rationem habet, cum
societas ius quodammodo fraternitatis in se habeat[36].
Nella
causa del contratto di societas, in
cui si evidenzia l’impegno dei soci «a mettere in comune beni ed attività allo
scopo di dividerne secondo una proporzione prestabilita i profitti e le
perdite»[37],
come già nell’assetto di interessi connesso all’antico consortium, il riferimento alla fraternitas
si carica di un significato diverso e più fecondo in connessione al
perseguimento da parte dei contraenti del bene comune. Il fatto che, come
correttamente è stato osservato in dottrina, la costituzione di un patrimonio
comune all’interno della società, per la realizzazione degli obiettivi
societari, non fosse un elemento naturale delle diverse esperienze societarie[38]
può essere spiegato anche in connessione alla fraternità: ciò che viene in
rilievo all’interno della societas
non è un rapporto tra soggetti estranei, i quali attraverso il consenso
manifestino semplicemente il proposito di gestire beni in comune, ma il
perseguimento di un obiettivo comune, il raggiungimento del quale è possibile
attraverso la sintesi delle utilità individuali. In tale sintesi, in
definitiva, sta la concreta realizzazione degli interessi delle parti, e dunque
il funzionamento della causa[39].
Nel
contratto di societas si realizza sulla base della fraternitas un rapporto la caratteristica fondamentale del quale è
la persecuzione della utilità da parte di ciascun socius attraverso il raggiungimento di un interesse comune[40].
Emilio Betti ha posto in luce l’importanza della fraternitas quando ha rilevato, con riferimento alla forma societas omnium bonorum, che la «comunione di tutti i beni dei partecipanti
derivava non tanto dal fatto meramente patrimoniale di una messa in comune di
beni, quanto dal riconoscersi reciprocamente lo status, la qualità di fratelli»[41].
È in
forza del richiamo allo speciale rapporto che si crea tra i soci, nel rinviare esso alla fraternitas, che si esprime e allo
stesso tempo comprende il rilievo della esistenza di un obiettivo comune
all’interno della societas. Il
riferimento alle fonti ci svela persino la inammissibilità di un rapporto
societario nella ipotesi in cui il fine sociale non sia comune alle parti[42]:
D. 17.2.52 pr. (Ulpianus
libro trigensimo primo ad edictum): Cum duobus vicinis fundus coniunctus
venalis esset, alter ex his petit ab altero, ut eum fundum emeret, ita ut ea
pars, quae suo fundo iuncta esset, sibi cederetur: mox ipse eum fundum
ignorante vicino emit: quaeritur, an aliquam actionem cum eo vicinus habeat.
Iulianus scripsit implicitam esse facti quaestionem: nam si hoc solum actum
est, ut fundum Lucii Titii vicinus emeret et mecum communicaret, adversus me
qui emi nullam actionem vicino competere: si vero id actum est, ut quasi
commune negotium gereretur. societatis iudicio tenebor, ut tibi deducta parte
quam mandaveram reliquas partes praestem.
L’ipotesi
prospettata nel testo concerneva il caso di due individui ai quali si era
offerta la possibilità di acquistare da un terzo un fondo contiguo ai loro.
L’accordo fra i due era che uno acquistasse il fondo e poi ne cedesse la parte
contigua all’altro. Tuttavia, colui che aveva acquistato non aveva mantenuto
fede all’impegno tenendo per sé tutto il fondo. Secondo il parere di Giuliano
era necessario valutare se i due si erano accordati perché semplicemente uno
acquistasse e poi cedesse all’altro oppure perché l’acquisto fosse fatto
in comune. Solo in quest’ultima possibilità sarebbe stato possibile ammettere
il ricorso all’actio pro socio in
quanto il proposito di un acquisto in comune poteva essere ricondotto alla societas[43].
L’idea della fraternitas,
una volta traspositata nel diritto romano per il tramite della società
consensuale, costituisce una componente fondamentale anche di altre situazioni
giuridiche. Qui vorrei richiamare due soli esempi significativi sul piano del ius privatum e del ius publicum.
Il primo esempio è tratto da un brano assai famoso del giurista
Fiorentino, riportato in D. 1.1.3, ove il giurista richiamava la legittimità
della difesa contro la violenza e le ingiurie altrui, sia, specularmente, il
divieto, in forza di una sorta di parentela naturale fra tutti gli uomini, di
tendere insidie a danno di altri[44]:
D. 1.1.3 (Florentinus
libro primo institutionum):
ut vim atque iniuriam propulsemus: nam iure hoc evenit, ut quod
quisque ob tutelam corporis sui fecerit, iure fecisse existimetur, et cum inter
nos cognationem quandam natura constituit, consequens est hominem homini
insidiari nefas esse.
L’idea della ammissibilità della legittima difesa, sul piano del ius naturale, era un motivo ricorrente
nella giurisprudenza romana[45].
Fiorentino sembra distaccarsi da questi precedenti che si limitavano ad
ammettere, sulla base della naturalis
ratio, il ricorso alla difesa fino alla uccisione dell’autore della
violenza. Egli, d’altro canto, non sembra neanche volere semplicemente
richiamare il divieto di tendere insidie al solo fine di mitigare il ricorso
alla legittima difesa. L’andamento del frammento, diviso in due parti evidenti,
depone a favore di un principio generale da applicare anche in assenza di una
specifica questione sulla legittima difesa.
Il giurista non fa espresso riferimento alla fraternitas ma è certo che il richiamo al nefas tradisce l’intento di ammonire sulla necessità di
comportamenti corretti e leali. Che tale necessità fosse da Fiorentino
avvertita è attestato in un frammento tratto dall’VIII libro delle sue Institutiones, in cui egli prende in
esame i presupposti per la esistenza del dolus
malus. Tale comportamento, precisa il giurista, non consiste solo
nell’azione di colui che non parli chiaro, ma anche nell’azione di colui che
tenda con insidie a dissimulare: qui
fallendi causa obscure loquitur, sed etiam qui insidiose obscure dissimulat.
D. 18.1.43 (Florentinus
libro octavo institutionum): Ea quae commendandi causa in
venditionibus dicuntur, si palam appareant, venditorem non obligant, veluti si
dicat servum speciosum, domum bene aedificatam: at si dixerit hominem
litteratum vel artificem, praestare debet: nam hoc ipso pluris vendit. 1
Quaedam etiam pollicitationes venditorem non obligant, si ita in promptu res
sit, ut eam emptor non ignoraverit, veluti si quis hominem luminibus effossis
emat et de sanitate stipuletur: nam de cetera parte corporis potius stipulatus
videtur quam de eo, in quo se ipse decipiebat. Dolum malum a se abesse
praestare venditor debet, qui non tantum in eo est, qui fallendi causa obscure
loquitur, sed etiam qui insidiose obscure dissimulat.
Il secondo esempio ci porta dall’ambito del ius privatum a quello del ius
publicum. Abbiamo notizia di rapporti giuridici fra il popolo romano e
altri popoli improntati alla fraternitas.
In particolare Cesare, nella Guerra
Gallica, 1.33.1, mette in rilievo la circostanza che gli Edui avevano
ricevuto dal Senato il titolo di fratelli e consanguinei: «quod Haeduos fratres consanguineosque saepe numero a senatu appellatos
in servitute»[46].
E Cicerone conferma l’attribuzione di tale riconoscimento[47].
In questa sede non è possibile soffermarsi sul valore di tali testimonianze se
non per la parte in cui esse sembrano richiamare, sul piano costituzionale, il
valore giuridico del termine societas
nella configurazione dei rapporti tra il populus
Romanus e gli altri popoli, in una visione quindi in cui le relazioni che
si andavano determinandosi ci appaiono il prodotto di una applicazione del
concetto legato alla civitas augescens,
di cui parla Pomponio[48]:
D. 1.2.2.7 (Pomponius
libro singulari enchiridii): Postea cum Appius Claudius proposuisset
et ad formam redegisset has actiones, Gnaeus Flavius scriba eius libertini
filius subreptum librum populo tradidit, et adeo gratum fuit id munus populo,
ut tribunus plebis fieret et senator et aedilis curulis. hic liber, qui
actiones continet, appellatur ius civile Flavianum, sicut ille ius civile
Papirianum: nam nec Gnaeus Flavius de suo quicquam adiecit libro. augescente
civitate quia deerant quaedam genera agendi, non post multum temporis spatium
Sextus Aelius alias actiones composuit et librum populo dedit, qui appellatur
ius Aelianum.
La rilevanza della fraternitas,
attraverso il tramite della societas
e oltre la societas, continua nel
Medioevo ad esprimersi in una dinamica aperta fra ius privatum e ius publicum.
Si diffonde, anzitutto, l’istituto dell’affratellamento con cui due o più
persone, lungo la scia dell’antico consortium,
possono dar vita a forme di collaborazione e di aiuto reciproco[49].
Sulla spinta del messaggio cristiano prendono vita le confraternite,
associazioni laicali, in cui è presente l’intento di trasformare la fraternità
da elemento esclusivo legato ai soli membri della associazione a un elemento
attorno al quale costruire un modello al quale uniformare le relazioni umane,
aperto anche alle persone estranee alla associazione, con risultati molto
importanti, prima ancora che per la persona giuridica, per la nozione stessa di
societas. Lo spirito di fraternità
anima, come è noto, il messaggio cristiano di San Francesco in cui l’amore per
tutti gli uomini è parte fondamentale di una visione più ampia di rispetto per
tutto il Creato e quindi anche per l’ambiente[50].
Non è difficile rintracciare nel diritto positivo tracce di
rilevanza della fraternità. Basti pensare per il diritto italiano alla norma
che impone al creditore di cooperare col debitore per non rendere disagevole
l’adempimento della prestazione[51].
Oppure ancora alla norma che vieta il compimento di atti emulativi[52].
O ancora al principio che impone nel diritto penale di perseguire la
rieducazione del condannato[53].
Una ricognizione di tali norme non solo servirebbe per rintracciare elementi di
persistenza della fraternità nel diritto ma anche per interpretare in senso
fraterno queste e altre disposizioni del diritto positivo. E se non ci si vuole
innamorare delle parole, sebbene una certa precisione terminologica sia sempre
necessaria alla storia dei concetti giuridici, si potrebbe qui osservare che
non solo la solidarietà, ma anche la fraternità ha finito per trovare un
riconoscimento generale negli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana[54]:
art. 2:
art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.
Dobbiamo chiederci oggi se la fraternità sia ancora un valore
fondamentale del diritto. E dobbiamo anche chiederci se un ritorno alla
fraternità possa costituire una occasione per un ritorno al diritto come mezzo
per la soluzione dei problemi fondamentali del vivere in società. Nella
Dichiarazione universale dei diritti umani del 10 dicembre 1948 si legge che
«Tutti gli esseri umani … sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire
gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Se il secolo scorso è
stato, nel clima di guerre e di violenza, che ancora oggi peraltro viviamo, il
secolo della ricerca della uguaglianza e della libertà, il nostro secolo può
essere finalmente quello della fraternità.
[1] Con
riferimento alla concezione normativistica del diritto si vedano le opere
fondamentali del suo rappresentante più autorevole: H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, tr. it. di
M.G. Losano, Torino 1966; Id., Teoria generale del diritto e dello Stato,
tr. it. di S. Cotta e G. Treves, Milano
[2] Per un
quadro sintetico sulla concezione della coattività e della sanzione come
componente essenziale del diritto si vedano: R.
Sacco, “Coazione e coercibilità”, in Enciclopedia
del diritto, VII, Milano 1960, 219 ss.; R.
Marra, “Sanzione”, in Digesto
delle Discipline Privatistiche, Sezione civile, XVIII, Torino 1998, 153 ss.
[3] Si
veda, con riferimento specifico alla rilevanza giuridica della fraternità,
l’impostazione critica, in tema di riduzione del diritto all’aspetto della
coattività, di F. Goria,
“Riflessioni su fraternità e diritto”, in Aa.Vv.,
Relazionalità nel diritto: quale spazio
per la fraternità, Atti del Convegno, Castelgandolfo, 18-20 novembre 2005,
Roma 2006, 31 ss.
[4] Il
riferimento è naturalmente alla opera fondamentale di colui che in Italia è stato
il teorizzatore più importante della concezione istituzionale del diritto:
Santi Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze 1918,
sulla cui influenza, nell’ambito della dottrina romanistica, si vedano: G. Pugliese, “S. Romano e la sua
influenza sui civilisti e gli storici del diritto nella dottrina italiana”, in Aa.Vv., Le dottrine giuridiche di oggi e l’insegnamento di Santi Romano (a
cura di P. Biscaretti di Ruffia),
Milano 1977, 219 ss.; M. Brutti,
“Ordinamento giuridico (storia)”, in Enciclopedia
del diritto, XXX, Milano 1980, 657 ss. Per limitarci alle reazioni critiche
al positivismo normativistico, formulate nell’ambito della dottrina
romanistica, si devono citare almeno gli studi essenziali di Riccardo Orestano,
Giuseppe Grosso e Pierangelo Catalano, tra i quali: R. Orestano, I fatti di
normazione nell’esperienza romana arcaica, Torino 1967, 10 ss.; Id., Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, 343 ss.;
G. Grosso, “Problemi generali del
diritto attraverso il diritto romano”, in Atti
del congresso internazionale di diritto romano e di storia del diritto, Verona
27-28-29-IX-1948, II, Milano 1951, 1 ss. (=Id., Scritti storico
giuridici, I, Storia Diritto Società,
Torino 2000, 257 ss.); Id., Problemi generali del diritto attuale
attraverso il diritto romano, 2ª ed., Torino 1967, 1 ss.; P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale romano, I, Torino 1965, pp. 30
ss.; Id., Diritto e persone, I, Torino 1990, pp. 53 ss.; 96 ss.
[6]
Sull’interesse per i valori etico-politici da parte della scienza giuridica
degli ultimi decenni, legata al neocostituzionalismo e alla riflessione sul
diritto naturale, si veda il quadro offerto da C. Faralli, La
filosofia del diritto contemporanea cit., 15 ss.
[7] E. Resta, Il diritto fraterno, nuova ed. accresciuta, Roma-Bari 2005, V,
citato in F. Goria, “Riflessioni
su fraternità e diritto” cit., 33.
[8] Sulla
dimensione sovranazionale della fraternità si vedano: A. Bernhard, “Elementi del concetto di fraternità e diritto
costituzionale”, in Aa.Vv., Relazionalità nel diritto: quale spazio per
la fraternità, Atti del Convegno, Castelgandolfo, 18-20 novembre 2005 cit.,
53 ss.; V. Buonomo, “Alla ricerca
della fraternità nel diritto della comunità internazionale”, ibidem, 83 ss.
[9] Cfr.
per tutti A. Bernhard, “Elementi
del concetto di fraternità e diritto costituzionale” cit., 49 ss.
[10] Cfr. G. Berti, Interpretazione costituzionale, 3ª ed., Padova 1994, 505 ss.,
citato in E. Pizzolato, “Appunti
sul principio di fraternità nell’ordinamento giuridico italiano”, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo,
14 (2001), 745 ss. (ora ripubblicato in una versione sintetica in Aa.Vv., Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica
contemporanea, a cura di A.M. Baggio,
Roma 2007, 211 ss.).
[12] Si
veda R. Pezzimenti, “Fraternità: il
perché di una eclissi”, in Aa.Vv.,
Il principio dimenticato. La fraternità
nella riflessione politologica contemporanea cit., 57 ss.
[13] Per lo
stato della letteratura sulla nozione giuridica della fraternità si rinvia al
volume recentissimo: Aa.Vv., La fraternità come principio del diritto
pubblico (a cura di A. Marzanati-A.
Mattioni), Roma 2007.
[14] Cfr.,
da ultimo, A.M. Baggio, “L’idea
di ‘fraternità’ tra due Rivoluzioni: Parigi 1789 - Haiti 1791. Piste di ricerca
per una comprensione della fraternità come categoria politica”, in Aa.Vv., Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica
contemporanea cit., 25 ss.
[15] Antoine Arnauld, Œuvres de Messire Antoine Arnauld, XI, Paris 1977, 577 ss., su cui
hanno richiamato l’attenzione: J.-L.
Quantin, “Liberté, égalité, fraternité. Alle origini religiose del motto
repubblicano: alcuni fondamenti da Fénelon a Condorcet”, in
[16] François Fénelon, Les aventures de Télémaque, in Œuvres
de Fénelon, XX, Paris 1824, 120, su cui si veda A.M. Baggio, “L’idea di ‘fraternità’ tra due Rivoluzioni:
Parigi 1789 - Haiti 1791. Piste di ricerca per una comprensione della
fraternità come categoria politica” cit., 39.
[17] Nella
vasta letteratura sul valore giuridico della solidarietà, nei rapporti con la
fraternità, si vedano: F. Giuffrè,
La solidarietà nell’ordinamento
costituzionale, Milano 2002; A.
Mattioni, “Solidarietà giuridicizzante della fraternità”, in Aa.Vv., La fraternità come principio del diritto pubblico cit., 7 ss.; F. Pizzolato, “Dal personalismo alla
fraternità: fondamenti e condizioni per una solidarietà pubblica”, ibidem, 45 ss.; E. Rossi-A. Bonomi, “La fraternità fra ‘obbligo’ e ‘libertà’.
Alcune riflessioni sul principio di solidarietà nell’ordinamento costituzionale”,
ibidem, 61 ss.; F. Giuffrè, “Il rilievo giuridico della
fraternità nel rinnovamento dello Stato sociale”, ibidem, 101 ss.
[19] Cfr. E. Pizzolato, “Appunti sul principio di
fraternità nell’ordinamento giuridico italiano” cit., 745 ss., il quale
osserva: «Non sembra però che tra i due concetti, solidarietà e fraternità,
possa esistere una piena fungibilità».
[20] Cfr.,
in tal senso, A.M. Baggio, “La riscoperta
della fraternità”, in Aa.Vv., Il principio dimenticato. La fraternità
nella riflessione politologica contemporanea cit., 21 ss.
[21] Sulla
concezione della uguaglianza nel diritto romano si vedano per un primo esame: G. Crifò, Libertà e uguaglianza in Roma antica. L’emersione di una vicenda
istituzionale, Roma 1984; G. Negri,
“Personalità ed eguaglianza nel diritto giurisprudenziale romano (Appunti
metodologici)”, in Studi in onore
di Arnaldo Biscardi, VI, Milano 1987, 17 ss.
[22] Nella
vasta letteratura sul consortium si
vedano: V. Arangio-Ruiz, La
società in diritto romano, Napoli 1950 (rist. an. 1982), 3 ss.; M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘Communio’”, in Labeo, 6 (1960), 163 ss.; A. Torrent, “Consortium ercto non cito”,
in Anuario de historia del derecho
español, 34 (1964), 479 ss.; M.
Bianchini, Studi sulla “societas”, Milano
1967, 45 ss.; P. Voci, Diritto ereditario romano, I,
2ª ed., Milano 1967, 59 ss.; A.
Guarino, La società in diritto
romano, Napoli 1972 (rist. 1988), 13 ss.; S.
Tondo, “Il consorzio domestico
nella Roma antica”, in Atti e Memorie dell’Accademia toscana
di scienze e lettere “
[23] Per la
letteratura sul ius prohibendi in
tema di consortium si veda M. Kaser, Das römische Privatrecht, 2ª ed., I, München 1971, 100 nt. 40. È
invece rimasta pressoché isolata la tesi di S.
Solazzi, “Glosse a Gaio II”, in Aa.Vv.,
Per il XIV Centenario della Codificazione giustinianea (a cura di P.
Ciapessoni), Pavia 1934, 448, secondo il quale la gestione sarebbe
spettata ad uno solo dei fratelli. La tesi di un “amministratore unico” del consortium ha però incontrato un qualche
favore in A. Guarino, “Comunione
(Diritto romano)”, in Enciclopedia del
diritto, VIII, Milano 1961, 237 nt. 25; P.
Voci, Diritto ereditario romano
cit., 64.
[24] Così é. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee,
I, Economia, parentela, società, tr.
it. di M. Liborio, Torino 1976, 164 ss.
[25] Sui Fratres Arvales si vedano: I. Paladino, Fratres Arvales. Storia di un collegio sacerdotale romano, Roma 1988; J. Scheid, Romulus et ses frères. Le collège des frères arvales, modèle du culte public
dans
[26] Sulla societas, nel sistema giuridico romano, la letteratura è vastissima. Per
un primo esame, oltre alla
dottrina sopra riportata, alla nt. 22, si vedano: F. Cancelli, “Società” (Diritto romano), in Novissimo Digesto
Italiano, XVII, Torino 1970, 495 ss.; F.
Bona, Studi sulla società
consensuale in diritto romano, Milano 1973; M.R. Cimma, Ricerche sulla società di
pubblicani, Milano 1981; C.
Velasco, “La sociedad”, in Aa.Vv.,
Derecho romano de obligaciones. Homenaje
al profesor José Luis Murga Gener (coordinación y presentación J. Paricio), Madrid 1994, 611 ss.; G. Santucci, Il socio d’opera in diritto romano. Conferimenti e responsabilità,
Padova 1997.
[29] Di
«comunità domestica e patrimoniale» parla B.
Albanese, Le persone nel diritto
privato romano, Palermo 1979, 211.
[30] Così V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 7 e nt. 2, il quale osserva che
Gaio «si compiace di un gioco di parole». Sulla definizione del consortium come societas legitima
e naturalis si vedano anche: C.A.
Maschi, La concezione
naturalistica del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano 1937,
310 nt. 4; M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’” cit., 173 ss.
[31] Cfr. E. Betti, Istituzioni di diritto romano, I, 2ª ed., Padova 1942, 426 ss.: «Il
vincolo personale di fraternità fra consorti, che giustifica e governa la
comunione, rende ragione, nella concezione romana, della pienezza di poteri
riconosciuti a ciascuno nei rapporti esterni, allorché si tratta di disporre
di una cosa comune, o di assumerne la difesa in giudizio … Ma non è da credere
che di questa legittimazione indipendente e concorrente fosse fatto in pratica
un uso arbitrario e lesivo degli interessi comuni, senza riguardo al modo di
vedere degli altri consorti. La concezione romana è probabilmente … che il
fratello non può tradire il fratello, come il tutore non può tradire il pupillo
…, ma deve apprezzare e sentire l’interesse comune od altrui come interesse suo
proprio e assumere verso l’altro la responsabilità dell’apprezzamento fatto …
Il vincolo di fraternità fra consorti, come legittima tanto estesi poteri
d’iniziativa, così giustifica una piena fiducia reciproca».
[32] Si
vedano: M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’” cit., 165 ss.; G.
Grosso, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato romano. Dall’epoca arcaica alla giurisprudenza classica: diritti reali e obbligazioni, Torino 1970, 406, il quale rileva: «Lo sviluppo
storico, che portava al concetto contenutistico ed economicistico del dominium, giunse da un lato a far
configurare sui beni la comproprietà per quote e dall’altro lato a individuare
un atto per cui si dovevano mettere in comune tutti i beni e gli acquisti (societas omnium bonorum), di cui venne a
risaltare il carattere contrattuale. E questa società universale, societas
omnium bonorum, si presentava storicamente con una continuità rispetto
all’antico consortium; i giuristi
mettevano in evidenza un ius quodammodo
fraternitatis che esisteva nei rapporti fra i soci, e questo elemento non
poteva che significare l’accentuazione di tale continuità; d’altra parte la
posizione sistematica di primo piano che, al di là della sua portata pratica,
la giurisprudenza del principato dava ancora alla societas omnium bonorum, richiamava a tale posizione storica»; M. Talamanca, “Società (Diritto
romano)” cit., 817, il quale osserva che «il suo regime è profondamente
influenzato dalla fraternitas tra i consortes che traluce ancora dalle fonti
classiche relative alla societas».
[34] È
appena il caso di mettere in rilievo che anche nell’ambito dell’antico consortium ercto non cito tra fratres vi è naturalmente la presenza di
un consenso, il quale è dato per presupposto nella rinuncia da parte dei fratres alla divisione della comunità
domestica. La importanza del consenso, nel consortium
tra i fratres, è però posta in ombra,
per così dire, rispetto al vincolo di sangue, che da solo sembra spingere i fratres, prima ancora che a evitare di dividere il patrimonio, a non
dividere le proprie vite.
[35] Sul
punto, in tema di beneficium competentiae,
si vedano: V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 122
ss.; M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’” cit., 177 ss.; W.
Litewski, “Das ‘beneficium
competentiae’ im römischen Recht”, in Studi
in onore di Edoardo Volterra, 4, Milano 1971, 469 ss.; A. Guarino, La società in diritto romano, Napoli 1972 (rist. an. 1988), 8 ss.; Id., La condanna nei limiti del possibile, 2ª ed., Napoli 1978, 26 ss.; J. Gildemeister, Das beneficium competentiae
im klassischen römischen Recht, Göttingen 1986, 27 ss.
[36] Sugli
aspetti legati alle mende formali del frammento, anche in relazione al rapporto
con D. 42.1.16, si veda per tutti A. Guarino,
La condanna nei limiti del possibile
cit., 26 ss.
[38] Si
vedano: A. Guarino, La società in diritto romano cit., 35
ss.; M. Talamanca, “Società
(Diritto romano)” cit., 820.
[39] Sul
tema del perseguimento del bene comune all’interno della societas si vedano: G.
Lobrano, “Dell’homo artificialis – deus mortalis
dei Moderni comparato alla societas
degli Antichi”, in Aa.Vv., Giovanni Paolo II. Le vie
della giustizia. Itinerari per il terzo millennio (a cura di A. Loiodice-M. Vari), Roma 2003, 161
ss.; P.P. Onida, “La causa della societas
fra diritto romano e diritto europeo”, in Diritto @ Storia. Rivista
internazionale di Scienze giuridiche e Tradizione romana, 5 (2006) = http://www.dirittoestoria.it/5/Diritto-romano-pubblico-e-privato.htm.
[40] Sulla
necessità di perseguire uno scopo comune come carattere fondamentale della societas si vedano per tutti: E. Betti, Istituzioni di diritto romano cit., 252 ss.; M. Bianchini, Studi sulla societas cit., 22; A.
Guarino, La società in diritto
romano cit., 59 ss.
[42] Cfr. A. Guarino, La società in diritto romano cit., 59 ss., il quale osserva: «Nella
concezione della giurisprudenza preclassica e classica, il contratto
consensuale di societas aveva la funzione tipica di impegnare le parti
ad impiegare direttamente e lecitamente, nell’interesse comune, beni o attività
che le parti stesse dovevano apprestare secondo l’occorrenza, ripartendo tra
loro i vantaggi ed eventualmente gli svantaggi conseguiti agli impieghi».
[43] Si
vedano: V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 51
nt. 3; A. Guarino, La società in diritto romano cit., 69
ss.; G. Santucci, Il socio d’opera in diritto romano.
Conferimenti e responsabilità cit., 12 nt. 21, con rinvii alla dottrina.
[44] Il
riferimento della fraternità al divieto di tendere insidie a danno di altro si
trova, in termini sfumati e molto prudenti, in F. Goria, “Riflessioni su fraternità e diritto” cit., 38.
[45] Si
veda ad esempio: D. 43.16.27 (Ulp. 69 ad
ed.) e D. 9.2.4 pr. (Gai. 7 ad ed.
prov.) su cui ha richiamato l’attenzione S.
Querzoli, Il sapere di Fiorentino,
etica, natura e logica nelle Institutiones, Napoli 1996, 132 ss.
[47] Cic. Att., 1.19.2: nam Haedui, fratres nostri, pugnam nuper malam pugnarunt et
<Helvetii> sine dubio sunt in armis excursionesque in provinciam faciunt.
Cic. epist., 7.10.4: una mehercule nostra vel severa vel iocosa
congressio pluris erit quam non modo hostes sed etiam fratres nostri Haedui.
[48] Sul
punto si veda: M.P. Baccari, “Il
concetto giuridico di civitas augescens:
origine e continuità”, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris, 41 (1995), 759 ss.; Ead., Cittadini popoli
e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 55 ss.
[49]
Sull’affratellamento per un primo orientamento si vedano: N. Tamassia, L'affratellamento. Studio storico-giuridico, Torino 1886; M.A. Benedetto, “Affratellamento”, in Novissimo
Digesto Italiano, I, Torino 1957, 391 ss.; A. Marongiu, “L’affratellamento come
negozio giuridico”, in Studi di storia e
diritto in onore di Arrigo Solmi, II, Milano 1941, 261 ss.; M. Penta,
“Il diritto societario nel diritto romano e nel diritto intermedio” cit.
[50] Si
veda F. Goria, “Riflessioni su
fraternità e diritto” cit., 33 ss.
[51] Codice
Civile art. 1175 (Comportamento secondo
correttezza): «Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le
regole della correttezza». Art. 1337 (Trattative
e responsabilità precontrattuale): «Le parti, nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona
fede». Art. 1358 (Comportamento delle
parti nello stato di pendenza): «Colui che si è obbligato o che ha
alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto
condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo
buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte».
[52] Codice
Civile art. 833 (Atti d’emulazione): «Il
proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di
nuocere o recare molestia ad altri».
[53]
Costituzione italiana art. 27, comma 3: «Le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato». Sulla rilevanza del principio di fraternità nell’ambito del diritto
penale si veda ora A. Cosseddu,
“Diritto penale e ‘spazi’ di fraternità”, in Aa.Vv.,
Relazionalità nel diritto: quale spazio
per la fraternità, Atti del Convegno, Castelgandolfo, 18-20 novembre 2005
cit., pp. 205 ss.
[54] Il riferimento
sociale alla fraternità induce a sgomberare il campo da un possibile equivoco
legato alla tentazione di ricondurre tale valore a un ambito individualistico
svuotando così esso di rilevanza sul piano giuridico. In questo senso si può
distinguere, sul piano giuridico, la fraternità da altri caratteri delle
relazioni sociali, in particolare dalla compassione e dal perdono.