N. 6 – 2007
– Memorie//Tribunato-plebe
Università di Sassari
Osservazioni sullo sviluppo della
potestà tribunicia durante l’età imperiale: contenuti e
sistemi di computo
Le radici rivoluzionarie del potere di
Augusto spiegano l’adozione da parte del princeps nel 23 a.C. della tribunicia
potestas, tradizionale strumento dei
populares nella lotta contro l’aristocrazia senatoria, espressione di
una forma di patronato nei confronti della plebe urbana e dei provinciali che
richiama esplicitamente il precedente Cesariano. Per Tacito la tribunicia potestas fu la formula
inventata da Augusto per designare l’autorità suprema summi fastigii vocabulum, con lo scopo
di non assumere l’odiato titolo di re o di dittatore ed innalzarsi
tuttavia con qualche appellativo al di sopra di tutti gli altri poteri e
magistrati.
Cinquanta anni dopo, in occasione della
seduta senatoria del 22 d.C. convocata per discutere la richiesta di Tiberio
per l’attribuzione della tribunicia
potestas al figlio Druso, designato come particeps imperii, Tacito infatti osserva
(ann. III.56):… potestatem tribuniciam Druso petebat. Id summi
fastigii vocabulum Augustus repperit, ne regis aut dictatoris nomen adsumeret
ac tamen appellatione aliqua cetera imperia praemineret,
dove è chiaro che l’assunzione
un contro-potere o un potere negativo specifico da parte di Augusto, poi di
Tiberio e di Druso era finalizzato al controllo dei titolari delle antiche
magistrature repubblicane ed era pienamente avvertito come di livello superiore
e di grado più elevato sia per la qualità del potere sia per i
contenuti e l’ambito della sfera di applicazione. Tiberio si augurava
nella lettera al Senato che gli dei volgessero i suoi disegni a vantaggio della
res publica, ut consilia sua rei publicae
prosperarent, e ricordava di esser stato chiamato lui stesso un tempo dal
divo Augusto ad assumersi quell’alta funzione, ipse quondam a divo Augusto ad capessendum hoc munus vocatus sit. Un munus che si sovrapponeva e in qualche modo coincideva con quel
tribunato che per il Mommsen era stata la magistratura “più alta,
più santa, più libera di tutte le magistrature repubblicane”.
Nella visione tacitiana il nomen di tribunus plebis ed il munus
relativo erano capaci di dare al principe una preminenza sugli altri imperia: per Tacito doveva passare
dunque in secondo piano quell’imperiuim
proconsulare maius et infinitum che per Dione Cassio costituì invece
l’ossatura fondamentale del principato, venendo assegnato sempre nel 23 a
distanza di 4 anni dalla solenne cerimonia nella quale Ottaviano aveva
restituito al Senato ed al popolo romano gli eserciti, ta opla, le province, ta eqnh, le rendite pubbliche taj te
prosodouj e le leggi kai touj nomouj, ottenendo il potere assoluto e l’imperium decennale senza nome sulle
province non pacificate, rinnovato puntualmente a tutte le scadenze quinquennali. Ottenuto il titolo di
Augusto, egli aveva assunto la cura e l’intera amministrazione degli
affari della comunità, thn men frontida thn te prostasian twn koinwn pasan, perché se a parole lasciava al
Senato ed al popolo romano la gestione della parte migliore dell’impero
mentre il princeps si addossava le
difficoltà ed i pericoli, di fatto il suo obiettivo era quello di non
lasciare ai senatori la disponibilità degli eserciti e quindi di muovere
guerra, in modo tale da poter avere solo lui delle legioni e mantenere dei
soldati. Dione osserva che allo scadere del primo decennio gli vennero votati
altri cinque anni, poi altri cinque, dopo i quali ancora dieci più altri
dieci e, per la quinta volta, altri dieci anni, cosicché per successione
di dieci anni in dieci anni giunse ad assumere il ruolo di monarca per tutta la
vita, dia biou auton monarcesai. Ed effettivamente nella Storia romana di Dione è possibile
individuare la puntuale registrazione dell’imperium del 27 alle scadenze quinquennali o decennali, a
differenza dell’imperium maius et
infinitum del 23 che a quanto pare fu assegnato a vita.
Appare subito evidente l’accostamento
del rinnovo decennale dell’imperium
del 27 al rinnovo annuale delle potestà tribunizie, assunte a vita come
l’imperium proconsulare a
quanto pare da Augusto a partire da una data vicina al I luglio del 23, anche
se Dione tenendo presente la situazione dell’età Severiana pensa
ad un primo rinnovo col 10 dicembre, una data che sottolinea la ripresa delle
tradizioni repubblicane voluta da Nerva, Traiano o più probabilmente Antonino
Pio. L’errore di Dione è evidentissimo ed è stata segnalata
l’ambiguità di un potere vitalizio che però doveva essere
rinnovato annualmente, per un rispetto formale della tradizione repubblicana:
De Visscher osserva che la t.p. fu perpetua in quanto prerogativa personale del
principe, annuale in quanto funzione pubblica. Dione presenta con queste parole
il potere tribunizio degli imperatori: «La così detta
potestà tribunizia, h th ecousia h demarxikh kaloumenh, che un tempo assumevano solo gli uomini
di particolare prestigio, concede agli imperatori la facoltà di
annullare le misure decise da un altro magistrato, nel caso in cui non
l’approvino [dunque lo ius
intercessionis], e l’inviolabilità della persona, [dunque la sacrosantitas]; inoltre qualora appaia
che subiscano un’ingiuria anche di lieve entità non solo in caso
di aggressione fisica ma anche verbale, hanno il potere di mandare a morte
senza processo l’aggressore con l’accusa di empietà».
Dione presenta poi la distinzione tra la
magistratura di tribuno ed il potere tribunizio assegnato al princeps: «Ma se da un lato gli
imperatori ritengono che non sia giusto da parte loro rivestire la
potestà tribunizia (thn de dh dunamin thn twn dhmarcwn pasan) per il semplice fatto che appartengono al
patriziato, dall’altro tuttavia, ne assumono totalmente il potere, con le
stesse funzioni di quando raggiunse la sua massima influenza».
Ottaviano in realtà apparteneva ad
una famiglia equestre plebea, tanto che suo padre C. Octavius C.f., C.n. C. pronepos, pater Augusti compare in una
dedica postuma urbana come aedilis
plebeianus (CIL VI 1311).
Divenuto patrizio dopo l’adozione da parte di Cesare e l’ingresso
nella gens Iulia che si vantava di
discendere da Iulo-Ascanio e da Venere Genitrice, Ottavio effettivamente non
poté più aspirare a ricoprire il tribunato plebeo.
Fondamentale appare l’uso della
titolatura tribunizia per stabilire la cronologia e fissare il computo degli
anni dei singoli imperatori, un aspetto tecnico del problema che mi è
caro ed al quale ho dedicato in passato vari studi soprattutto per
l’età severiana: dice Dione che questo potere tribunizio viene
utilizzato anche per fare il calcolo degli anni dal momento in cui è
stato assunto l’impero, poiché gli imperatori la ricevono
annualmente insieme ai tribuni regolarmente eletti, dunque il 10 dicembre di
ogni anno.
Anche la potestà tribunicia viene
inserita da Dione nel quadro dei poteri che Augusto ha adottato assumendoli
dalla res publica, ek thj
demokratiaj, mantenendoli
sostanzialmente con le loro funzioni originarie, e di cui gli imperatori
utilizzarono anche i nomi delle magistrature per dare l’apparenza di non
mantenere il possesso di alcuna carica senza che fosse stata loro
precedentemente concessa.
Più oltre Dione precisa che il Senato
decretò ad Augusto nel 23 a.C. il tribunato a vita, dia biou, e gli concesse l’autorità di
portare davanti a qualsiasi seduta senatoriale qualunque questione egli
desiderasse, anche quando non fosse in carica come console, dunque lo ius agendi cum senatu. Dopo aver
illustrato i contenuti dell’imperium
proconsulare assegnato contemporaneamente a vita, Dione precisa: «da
quel momento in poi sia Augusto sia gli imperatori che gli succedettero
godettero per una sorta di autorità garantita dalla legge di esercitare
il potere tribunizio insieme agli altri poteri: infatti il titolo di tribuno in
sé non venne assunto né da Augusto né da alcun altro
imperatore».
La potestà tribunicia fu dunque una
creazione di Augusto, come suggerito dall’Hammond che per primo
definì una gradualità ed una successione cronologica nelle
attribuzioni e prerogative tribunicie di Augusto, seguito dal De Visscher e dal
Last e più tardi dal De Francisci, dal Siber, dal Grant, dal De Martino
e dal Guizzi. Le fonti letterarie
sulla cronologia e la natura giuridica del nuovo potere sono estremamente
ampie, anche se discordanti tra loro, in particolare per quanto riguarda i
contenuti della potestà tribunicia a partire dall’anno 36 fino ad
arrivare al 23, anno in cui il principe iniziò formalmente a contare il
suo potere anno per anno. Lo sviluppo del nuovo strumento di governo, alla base
delle successive evoluzioni di età imperiale, appare particolarmente
rallentato, anche per il rispetto formale che Ottaviano volle garantire alle
tradizionali forme di potere. Dopo un ventennio di incertezza, fu solo
l’esigenza di una profonda riforma sociale ed amministrativa a suggerire
ed infine ad imporre il potere tribunizio come esclusivo e quello che meglio si
adattava alla funzione nuova che Augusto ed i correggenti intendevano assumere
al vertice dell’impero.
Il carattere rivoluzionario del potere
tribunizio emerge anche da due passi di Appiano e Svetonio, che fanno intendere
come già dall’anno 44, dunque proprio all’indomani dei disordini
successivi alla morte di Cesare che costarono la vita al tribuno Elvio Cinna e
durante i giochi funebri del dittatore, Ottaviano appena rientrato da Apollonia
avesse individuato nel tribunato della plebe lo strumento per imporsi come capo
di una fazione: dice Svetonio che per meglio assicurare la continuità
dei suoi disegni, essendosi reso vacante il posto di uno dei tribuni della
plebe per morte del titolare si presentò candidato, quantunque fosse
patrizio e non ancora senatore (Aug.
X.3). Appiano (III.31) sostiene che Ottaviano fu frainteso perché in
realtà proponeva un altro candidato: il popolo, ritenendo che egli
effettivamente aspirasse a quella carica, ma non presentasse la sua candidatura
per la giovane età, pensò di eleggerlo ugualmente tribuno con i
suoi voti. Da ciò la preoccupazione dei senatori timorosi che Ottaviano
potesse chiamare in giudizio gli uccisori del padre e l’ostilità
del console Antonio che diffidò Ottaviano ed addirittura annullò
la convocazione dei comizi elettorali, accontentandosi dei 9 tribuni rimasti
per il resto dell’anno, mentre Ottaviano diffondeva il malcontento tra i
soldati.
Fu comunque solo otto anni più tardi
nel 36 o nel 35 che il problema della potestà tribunizia di Ottaviano fu
posto con chiarezza per la prima volta. All’indomani della sconfitta di
Sesto Pompeo a Nauloco e dopo la caduta in disgrazia del triumviro Lepido che
mantenne il solo sacerdozio del pontificato massimo, Appiano (V.132, 548 s.)
afferma che Ottaviano dichiarò concluse le guerre civili e annunciò
che avrebbe restituito al popolo l’intero governo quando Antonio fosse
tornato dalla spedizione partica. In seguito a ciò i senatori per
acclamazione lo elessero tribuno a vita, sollecitandolo con una magistratura
perpetua a deporre la precedente, cioè il triumvirato. Si è fin
qui ritenuto che non si sarebbe trattato di una legge approvata dal comizio
tributo ma di un senatoconsulto, che a quanto pare avrebbe riguardato soltanto
una componente del potere tribunizio, la sacrosantitas:
siamo dopo l’ovatio concessa
dal Senato ad Ottaviano il 13 novembre
Si osservi innanzi tutto che in Appiano
l’uso della parola dhmarcoj
cioè tribuno è evidentemente inesatta; Ottaviano non
accettò la carica di tribuno della plebe, improponibile per un consolare
come lui, ma solo alcuni dei poteri e delle funzioni: Orosio precisa
ovans urbem ingressus ut in
perpetuum tribuniciae potestatis esset a senatu decretum est,
dove si noti la conferma che si tratta di una decisione del Senato
per l’assegnazione della potestà tribunizia a vita ma non della
magistratura di tribuno. Dal confronto tra le diverse versioni di Appiano ed Orosio,
sarei piuttosto dell’opinione che la concessione del nuovo potere avvenne
per plebiscito: la legge doveva contenere da un lato disposizioni intorno alla sacrosantitas del princeps e dall’altro lato alla concessione a vita di una
parte delle prerogative dei tribuni (come ad esempio la possibilità di
occupare i sedili dei tribuni in senato e nei comizi), sulla base di un
richiamo al precedente Cesariano, come supposto dal De Visscher, che ritiene
inoltre che la lex de imperio Vespasiani potrebbe
essere ricalcata sul modello augusteo. Nelle RGDA del resto al cap. 10.1,
ammesso che ci si riferisca al 36, si precisa, distinguendo i due momenti:
et sacrosanctus in perpetuum ut essem et quoad viverem tribunicia potestas
mihi esset, per legem sanctum est,
dove si noti la sanctio comiziale.
La notizia di Appiano e di Orosio è
stata accolta e giudicata esatta da alcuni studiosi, come Mommsen e Von
Premerstein, che insistono nell’affermare che Ottaviano ebbe fin dal 36
la potestà tribunicia nella sua interezza, compresi gli onori, la sacrosantitas ed il diritto di sedere
sui seggi dei tribuni, prerogative alle quali avrebbe successivamente
rinunciato nel 27. Tale posizione è ormai abbandonata e solo Grosso si
colloca a metà strada tra le nuove ipotesi sulla gradualità
progressiva dei poteri tribunizi di Ottaviano, basata sulla testimonianza di
Dione Cassio e l’idea della pienezza dei poteri fin dal
Va osservato che una parte delle
prerogative di cui Ottaviano godeva furono estese dopo il trionfo su Sesto
Pompeo alla sorella Ottavia ed alla moglie Livia, per le quali furono erette
statue e, scrive Dione, alle quali fu concesso il diritto di amministrare
direttamente i propri beni nonché la sicurezza e
l’inviolabilità di cui godevano di tribuni (49,38,1). Iniziò allora quella mitizzazione
della figura del principe associato al culto di Apollo e di Venere, che
più tardi sarebbe sfociata nella nascita del culto di Roma e di Augusto
ed in seguito nel culto imperiale.
Esclusa una rinuncia ai poteri tribunizi
che sarebbero stati offerti ad Ottaviano in cambio della rinuncia ai poteri
triumvirali come supposto sulla base di un’interpretazione letterale di un
passo di Appiano, ammesso che Ottaviano non assunse nella sua interezza nel 36
l’insieme dei poteri, debbo rimandare al testo scritto per la discussione
sulle altre tappe di un percorso che nel 30 dopo Azio mentre Ottaviano si
trovava ancora in Egitto lo vide assumere lo ius auxilii ferendi se Tacito registra un incremento dello ius tribunicium di Ottaviano dopo la
morte di Antonio, come ammesso da De Martino e Syme:
posito triumviri nomine,
consulem se ferens ed ad tuendam plebem tribunizio iure contentus (Ann. I. 2.1).
Dione precisa che il Senato concedendo
l’onore del trionfo sugli Egiziani stabilì una nuova era per la
provincia dell’Egitto e attribuì ad Ottaviano il potere dei
tribuni a vita, più precisamente il diritto di salvare tutti coloro che
avrebbero invocato il suo aiuto dentro il pomerio e fuori Roma fino alla
distanza di 7 stadi e mezzo,
Il fatto che Ottaviano abbia rivestito
ininterrottamente fino al 23 il consolato potrebbe spiegare la delimitazione
iniziale dello ius tribunicium, dal
momento che per Cicerone il tribunato era nato fin dalle origini in opposizione
al consolato, contra consularem imperium
(de re p. II, 58), dunque la pienezza
della potestà tribunicia non era compatibile con il consolato. I tribuni
erano il contraltare dei magistrati repubblicani e di conseguenza è
ammissibile pensare che l’intera titolarità dei poteri tribunizi
fu legalmente concessa solo dopo che Ottaviano nel giugno 23 rinunciò al
consolato dopo la congiura del collega Terenzio Marrone Murena, anche se
occasionalmente sarebbe tornato ad assumere il consolato in due occasioni nei
37 anni successivi.
L’anno decisivo ma certo non
conclusivo per lo sviluppo della tribunicia
potestas di Ottaviano fu dunque il 23 a.C., quando probabilmente il I
luglio, vedendo la sua posizione particolarmente indebolita, Augusto
rinunciò a metà anno al suo XI consolato, con una abdicatio registrata nei Fasti consolari
capitolini in una data compresa tra il 14 giugno ed il 15 luglio 23: egli
ottenne in cambio dal Senato e poi dal popolo riunito nel Comizio tributo la
potestà tribunizia, il libero diritto di relatio in senato, l’imperium
procnsulare libero dal vincolo del pomerium
ed infinitum e superiore a quello dei
governatori provinciali, in quanto maius.
Dione Cassio così si esprime: per queste ragioni il Senato
decretò ad Augusto il tribunato a vita, dhmarcon te auton dia biou einai, e gli concesse l’autorità di
portare davanti a qualsiasi seduta senatoriale qualunque questione egli
desiderasse, anche quando non fosse in carica come console, inoltre gli permise
di assumere l’imperium proconsulare
a vita, in modo che non dovesse deporlo ogni volta che entrava nel pomerium per poi riassumerlo nuovamente
ed infine gli attribuì anche un potere sulle province superiore a quello
dei magistrati ordinari di stanza in quelle regioni.
La rinuncia al consolato non
comportò dunque una riduzione ma semmai un ampliamento dei poteri
precedenti, per cui va abbandonata l’interpretazione mommseniana che ci
porterebbe ad ipotizzare che si sia passati da un potere tribunizio già
posseduto a vita dal
Dione come si è visto afferma che
due furono i pilastri del nuovo potere imperiale, la potestà tribunizia
a vita o perpetua e l’imperium
proconsulare, ma la prima, collocata a partire da Tiberio nella titolatura
in prima posizione, rimanda certamente ad un potere civile, ereditato dai
tribuni repubblicani e perciò rinnovato annualmente: dunque strumento
propagandistico di democrazia ed espressione di una forma di garantismo
costituzionale.
Dal IV cap. delle RGDA sappiamo che al
momento della morte Ottaviano era nel 37 anno della sua potestas tribunizia,
consul fueram terdeciens cum scribebam haec et eram septimum et tricensimum
tribuniciae potestatis,
il che tornando indietro dal 19 agosto 14 d.C. ci porta al 23 a.C.,
anno iniziale del computo. Anche Tacito conferma: continuata per septem et triginta annos tribunicia protestate, nomen
imperatoris semel atque vicies partum aliaque honorum moltiplicata aut nova. Le
iscrizioni arrivano fino alla 37° potestà tribunizia, documentata
col XIII consolato e
I colleghi di Augusto nella potestà
tribunizia furono Agrippa e Tiberio, che ebbero concessioni di potere limitate
da periodi quinquennali: Agrippa dal 26 giugno 18 (nella stessa ricorrenza di
Augusto) e poi dal
In sintesi si può concordare che nel
23 a.C. Ottaviano raggiunse la pienezza dello ius tribunicium articolato in ius
intercessionis (diritto di veto sulle decisioni di alcuni organi della
repubblica), ius coercitionis
(possibilità di comminare pene), ius
agendi cum plebe (capacità di convocare e difficilmente presiedere
il comizio tributo); lo ius auxilii ferendi plebi o populo (possibilità
di rispondere alle richieste di aiuto da parte dei cittadini), ius agendi cum senatu, (la
possibilità di convocare e presiedere come princeps senatus il Senato), la sacrosantitas,
attribuita nelle RGDA per legem, in
perpetuum. Svincolato dal veto tribunizio, Augusto non si considerava
collega dei tribuni, mentre ebbe due colleghi nella tribunicia postestas,
come scrive nelle RDGA 6:
quae tum per me geri senatus
voluit, per tribuniciam potestatem perfeci, cuius potestatis conlegam et ipse
ultro quinquens a senatu depoposci et accepi,
dove si richiamano i due senatoconsulti relativi ad Agrippa ed i
tre per Tiberio. Superiore ad entrambi per auctoritas,
Augusto fornì ai successori il modello per associare dei Cesari
destinati all’impero.
Un allontanamento dalla costituzione
repubblicana appare marcato dall’abbandono del consolato, annunzio di un nuovo passo in
avanti verso un maggior potere del principe: la tribunicia potestas rinnovata annualmente fu una forma nuova di
potere, che aveva il vantaggio di poter garantire proprio per l’assenza
di precedenti una posizione di
vertice per Augusto. Lo ius tribunicium
di cui Ottaviano aveva goduto da oltre un decennio conteneva in realtà
solo alcune prerogative personali puramente onorifiche, come la
sacrosantità e il diritto di sedere nei banchi dei tribuni. Con la
riforma cessava il contrasto tra il potere del console e quello del tribuno e
il principe iniziava a rivestire un potere non fondato su una magistratura ma
che era originale per il carattere nuovo della funzione pubblica ricoperta:
richiamandosi all’antica legalità repubblicana, di fatto Ottaviano
la tradiva e la trasformava radicalmente.
Il 23 fu solo una tappa, per quanto
decisiva, nella definizione del nuovo potere, che continuò ad arricchirsi
di contenuti fino alla morte di
Augusto: nel 19 egli ottenne per Svetonio et
morum legumque regimen aeque perpetuum, mentre Dione parla di una nomina
del princeps ad epimelethj twn
tropwn, per cinque anni, con
un rinnovo nel 12. Si tratterebbe della cura
legum et morum del Monumento Ancyrano, dove Augusto precisa come
l’offerta del senato prevedesse una nomina sine collega (solus crearer)
con una summa potestas perpetua, alla quale il principe contrappose la
t.p., attraverso la quale egli poté svolgere le funzioni che gli erano
state delegate dal Senato e dal popolo. Rinunciando alla maxima potestas, in quanto contraria agli exempla mariorum, Augusto svolse un’intesa attività
legislativa utilizzando le competenze di Agrippa collega nella t.p.: l’ampliamento della sfera del suo
potere tribunizio consentì allora ad Augusto di far approvare attraverso
altrettanti plebisciti le sue leggi moralizzatici, la lex Iulia sumptuaria, la lex Iulia de adulteriis et de pudicitia,
la lex Iulia de maritandis ordinibus,
ecc.
E’ noto che il Mommsen ha sostenuto
l’ipotesi, certamente interessante, secondo cui tutte le monete e le
iscrizioni nelle quali compare la t.p., non iterata, cioè senza la
numerazione per indicare il rinnovo, volessero alludere ai difficili compiti
disimpegnati grazie al potere tribunizio, senza ricorrere ad un ufficio
straordinario, soprattutto in materia di legislazione moralizzatrice della vita
sociale. Rimangono evidenti difficoltà di inquadramento cronologico, ma
va osservato come le monete in esame siano provenienti in genere da emissioni
ufficiali della zecca di Roma, mentre di norma le zecche provinciali portano
l’iterazione della potestà tribunicia Con ciò potrebbe
immaginarsi dimostrata secondo il Grant la volontà propagandistica del princeps di segnalare esplicitamente
l’uso della t.p. in sé e per sé, non iterata, per attuare
provvedimenti legislativi specifici. Successivamente altre operazioni furono
compiute da Augusto in forza della tribunicia
potestas.
L’indirizzo tracciato da Augusto si
trova esplicitato con i suoi successori: gli imperatori giulio claudii misero
in sordina il titolo di proconsoli e preferirono utilizzate la potestà
tribunicia, intesa propagandisticamente come strumento di tutela delle
rivendicazioni popolari, che faceva del princeps
il vero campione degli interessi rappresentati dai tribuni in età
repubblicana. La potestà tribunicia dunque è una vera e propria
delega concessa dal popolo al principe, perché i diritti ed i privilegi
degli strati più bassi della popolazione possano essere adeguatamente
difesi. In questo senso, se la potestà tribunicia ha mantenuto
l’espressione fondamentale della magistratura repubblicana, cioè
quella della garanzia e della tutela dei cives,
è anche vero che le mutate nuove condizioni politiche l’hanno via
via trasformata al punto da sembrare quasi una creazione completamente
originale del nuovo regime, che si sviluppò attraverso la combinazione
di imperium e potere tribunizio.
Nel testo scritto mi soffermerò
sulla documentazione epigrafica, numismatica e papirologica, che documenta
concordemente l’adozione di un solo computo, per quanto sia possibile
ipotizzare una scelta propagandistica dietro le monete e le iscrizioni che
hanno la potestà tribunicia non iterata.
Le iscrizioni datate con giorno mese ed
anno consolare, il rapporto tra potestà tribunizie e consolati da una
parte ed acclamazioni imperiali dall’altra, il computo raggiunto alla
morte di Augusto, le monete del I anno, le monete datate con i nomi dei magistrati,
il confronto con il computo di Agrippa e di Tiberio, concordano per
l’avvio del computo dal 26 giugno 23, anche se si è pensato pure
al 27 giugno, al I luglio, al I agosto ed al 10 dicembre: di qualche interesse
è l’intervallo di 17 anni tra Augusto e Tiberio dal 6 al I a.C. e
di 21 anni dal 4 d.C., con un dies
imperii uguale o forse abbastanza vicino, 26 giugno per Agrippa e Tiberio,
data considerata erroneamente come solstizio d’estate, che potrebbe
essere collegato con la religione solare apollinea di Augusto.
Occorre però arrivare alla lex de imperio Vespasiani per vedere
definiti i contenuti della tribunicia
potestas dopo l’età giulio-claudia: l’iscrizione
scoperta da Cola di Rienzo conserva il testo di un senatoconsulto, anche se si
tratta formalmente di una lex rogata
con sanctio finale, evidentemente
sottoposta all’approvazione formale dei comizi : in essa il nuovo
imperatore si vede attribuire i poteri dei suoi predecessori, con una ratifica
a posteriori degli atti precedenti all’approvazione comiziale che dà
contenuto e sostanza alla titolatura imperiale. Il principe ottiene il
riconoscimento di un’auctoritas
che gli consente di convocare e riunire il Senato, stipulare accordi
internazionali, estendere il pomerium,
occuparsi dei culti. Gli viene riconosciuto il diritto di commendatio, di sostenere i propri candidati per le magistrature e
cariche che abbiano potestas, imperium o cura. Gli viene infine riconosciuto un vero e proprio potere
legislativo.
Vespasiano conta i suoi anni tribunizi, che
decorrono dal 21 dicembre 69 e dalla morte di Vitellio, retroattivamente a
partire dall’acclamazione imperiale del I luglio 69, una ricorrenza
vicina a quella di Augusto, senza tener conto del dies comitialis : acclamato in oriente, egli arrivò a
Roma solo a dicembre e fece legalizzare retroattivamente le sue misure, come
è possibile vedere attraverso la lex
de imperio.
Il problema più controverso che
riguarda le potestà tribunizie degli imperatori è rappresentato
dall’anno di inizio del computo e dalla data di rinnovo annuale. E’
impressionante il quadro della serie di computi alternativi ipotizzati dagli
studiosi per spiegare le irregolarità che la documentazione epigrafica
ed in parte quella numismatica presentano.
Gli strumenti per evidenziare queste
eccezioni e per ipotizzare un computo anziché un altro sono stati
già lucidamente suggeriti dallo Snyder:
1- rapporto tra il numero delle
potestà tribunizie attribuite all’imperatore dall’iscrizione
e la datazione con giorno, mese ed anno consolare;
2-rapporto tra la cifra delle
potestà tribunizie e quella dei consolati e delle acclamazioni
imperiali;
3- intervallo tra le potestà
tribunizie dell’Augusto e quelle del correggente (tra Settimio Severo e
Caracalla 5 unità);
4- numero delle iterazioni raggiunto al
momento della morte
dell’imperatore.
Si tratta di strumenti certamente utili
anche se non sempre sufficienti, dato che ci lasciano completamente
all’oscuro per alcuni periodi. Il materiale da esaminare è
amplissimo e spiega il notevole numero di ipotesi di computi varianti proposti
dagli studiosi soprattutto per alcuni imperatori. Questa situazione deve
ovviamente suggerire la massima prudenza nella ricostruzione cronologica e
nella definizione di nuovi computi: una verifica delle varie tesi non
può prescindere dalla constatazione della fragilità della
documentazione che possediamo. La presenza di banali errori, dovuti soprattutto
alla trasmissione in provincia della titolatura ufficiale del principe, oltre
ad essere attestata da una serie di esempi certissimi, è spiegabilissima
se si pon mente alle difficoltà nelle comunicazioni, al numero
estremamente elevato che la notizia di modifica della titolatura imperiale ogni
anno doveva superare per raggiungere le diverse province, alla serie di
burocrati attraverso le cui mani il nuovo nome dell’imperatore doveva
passare prima di giungere a destinazione. Anche se non si vogliono attribuire
sempre ai lapicidi degli errori e delle distrazioni, comunque possibili e talora anche sicuramente
documentabili, è chiaro che le occasioni per il prodursi di errori,
più o meno vistosi, erano infinite, come del resto è dimostrato
dalla presenza di irregolarità simili per gruppi di iscrizioni dedicate
in uno stesso periodo ed in una stessa località. Gli errori
paleograficamente più spiegabili e più banali sono proprio quelli
meno vistosi, i quali, per differire di poco dal compito ufficialmente
adottato, sono invece paradossalmente entrati in blocco nella serie dei computi
varianti ipotizzati da alcuni studiosi.
Fatta questa premessa e con la riserva di
approfondire in futuro il tema della documentazione epigrafica relativa ad
Augusto che presenta alcune irregolarità, si osserverà che nelle
iscrizioni la potestà tribunizia compare tra gli honores imperiali in genere dopo il pontificato massimo e prima
delle acclamazioni in ablativo o in genitivo, seguita da un numerale ordinale.
Secondo Lassère il computo delle potestà tribunizie incomincia
con riferimento al dies comitialis,
che si distingue in modo variabile dal dies
imperii. Per Augusto non conosciamo il dies
imperii, che potrebbe essere come il dies
comitialis il 26 giugno o I luglio del 23 (non 33) a.C., dopo che Augusto
rinunciò al suoconsolato.
Tra i successori di Augusto, a parte
Tiberio, si ricorderà la tribunicia
potestas attribuita a Druso Minore nel marzo-aprile
Otone ha come dies imperii il 15 gennaio, mentre assunse la potestà
tribunicia 45 gg. dopo, dal momento che il dies
comitialis è fissato al 28 febbraio (28 gennaio per Kienast). Per
Vitellio le due date sono rispettivamente del 19 aprile del 69 e del 30 aprile,
con una distanza di soli 12 gg. Per Vespasiano dies imperii e dies
comitialis coincidono, se la potestà tribunicia fu assunta lo stesso
giorno dell’acclamazione da parte dell’esercito il I luglio del 69,
forse nella ricorrenza del 93° anniversario del dies comitialis di Augusto.
Tito ebbe 11 potestà tribunicia tra il I luglio 71, due anni dopo
la nomina del padre, ed il 13 settembre 81, sommando 9 anni di correggenza.
Domiziano lasciò passare 17 gg. tra il 14 settembre 81 dopo la morte di
Tito ed il 30 settembre, data dell’assunzione del potere tribunizio. Alla
morte il 18 settembre 86 era arrivato al suo XVI anno tribunizio.
Da un punto di vista cronologico e
giuridico occorre distinguere l’acclamazione imperiale da parte
dell’esercito nel dies imperii
dalla ratifica senatoria con l’apposito senatoconsulto per
l’attribuzione della potestà tribunicia e dell’imperium proconsulare e
dall’approvazione comiziale (nel campo marzio) in occasione del dies comitialis, quando il principe
riceveva formalmente i poteri ed i sacerdozi. A queste tre date se ne aggiunse
nel corso del II secolo una quarta, quella del 10 dicembre, la stessa
dell’ingresso dei tribuni. Si tratterebbe di una modifica introdotta non
da Nerva o da Traiano ma da
Antonino Pio (ma immaginata già da Nerone, Scheid), con un recondito
significato politico, un richiamo all’entrata in carica dei tribuni della
plebe che effettivamente avveniva il 10 dicembre già in età
repubblicana. Nella sostanza, il dies imperii continua a distinguersi per
un numero variabile di giorni dal dies
comitialis, che a partire dal II rinnovo cade il 10 dicembre, ma in prima
applicazione è variabile e vicino al dies
imperii.
Dopo l’esperienza di Domiziano, Nerva
avrebbe rinnovato le potestà tribunicie a partire dal 18 settembre 96,
giorno della morte di Domiziano, ma nel suo terzo anno avrebbe modificato il
computo a partire dal 10 dicembre 97. Traiano lo avrebbe seguito per il
Kienast, rinnovando le potestà tribunicia non il 28 ottobre ma il 10
dicembre. Lassère pensa che Traiano per ragioni che non ci sono note
abbia accresciuto di due unità il numero delle sue potestà
tribunicie, nell’autunno 98, quando sarebbe passato dalla I alla IIII (Di
Vita Evrard) : Le Roux ha espresso l’ipotesi che abbia voluto
rafforzare i suoi legami con il suo padre adottivo Nerva riprendendo il suo
computo, ma la questione rimane molto oscura.
Per Adriano abbiamo un quadro più
complesso perché la monetazione ignora il numero delle potestà
tribunicia : per i primi due anni una certa incoerenza sembra possa essere
spiegata dalle circostanze della proclamazione in Cilicia l’11 agosto
117. Non se ne conosce però il dies
comitialis ed oltretutto la
circostanza che il III consoltato del 119 fu l’ultimo ricoperto non ci
consente fino al 138 di precisare la cronologia (L. Perret). Il Kienast
attribuisce anche ad Adriano il rinnovo al 10 dicembre, data dalla quale parte
nel 136 il computo di L. Elio Cesare, morto il I gennaio 138.
Fu il Mattingly che sulla base della
documentazione numismatica dimostrò che tale schema presentava ulteriori
problemi e costringeva ad ipotizzare un’innovazione od una vera e propria
riforma che sarebbe intervenuta nel
Dunque in sintesi per Lassère la
data del 10 dicembre non serve se non a partire dal 147, fino a quella data gli
anni tribunizi sono calcolati a die in
diem, il dies essendo quello dei
comizi (Le Roux): con le eccezioni,
commentate in precedenza di Vespasiano, Traiano ed Adriano.
Mi sembra vada sottolineata la circostanza
della riforma, che sarebbe avvenuta in occasione del 21 aprile 147 durante le
celebrazioni per i 900 anni di Roma: in quei giorni Elio Aristide nell'Encomio
”A Roma", esaltava l'impero degli Antonini, sostenendo che era
superiore a qualunque altro precedente storico; non reggevano al confronto
né l'impero persiano, né quello di Alessandro ed a maggior
ragione neppure la modesta arch fondata dalle città greche, in particolare da Sparta e da
Atene. I Romani erano infatti riusciti a stabilire una «koinh thj ghj
dhmokratia, uf’eni tw aristw arconti kai kosmhth», che era caratterizzata dal fatto che un'unica
città si era estesa fino a comprendere tutto il mondo.
Lucio Vero ebbe le potestà
tribunicie tra il 7 marzo 161 ed il febbraio 169, quando morì nel suo IX
anno tribunizio, con rinnovo al 10 dicembre. Commodo parte dalla metà
del 177, rinnova al 10 dicembre, fino al 31 dicembre 192 (XVIII).
In conclusione mi si permetterà un
cenno al complesso problema del rinnovo delle potestà tribunicie di
Caracalla, sollevato dal Manni e da me discusso in passato. In sintesi possiamo
dire che il rinnovo ufficiale di Caracalla avveniva annualmente al 10 dicembre,
con inizio dal dies imperii del 28
gennaio 198 dopo la presa di Ctesifonte e il raccordo con l’impero
partico. Sono da respingere, allo stato attuale della documentazione
letteraria, epigrafica, numismatica e papirologia, le teorie che prevedono
-
il
rinnovo al I gennaio, come proposto
dal Mattingly per un periodo successivo al
-
il
rinnovo al 7 gennaio proposto dallo Stobbe
-
il
rinnovo al dies imperii dal 28
gennaio
-
il
rinnovo al dies imperii dal maggio
198 (dopo il 9 aprile, dies imperii
di Severo), un computo sostenuto da numerose testimonianze forse erronee come
le 6 potestà tribunicia di differenza tra Severo e Caracalla
-
il
rinnovo tradizionale con inizio dal 10 dicembre 197 come proposto dal
Manni
-
il
rinnovo al 199-200, che sarebbe collegato ad un ritardo da parte del Senato nel
riconoscere l’acclamazione dell’esercito
Infondata è l’ipotesi di un
rinnovo di tipo Severiano, con la numerazione ripresa da quella di Settimio
Severo.
E’ invece probabile l’esistenza
di un computo, sempre con rinnovo al 10 dicembrre, con inizio dal 4 febbraio
211, dunque dalla morte di Settimio Severo, adottato dopo la morte di Geta e
collegato forse all’emanazione della Constitutio
Antoniniana ed al titolo di Magnus.
Sulla base di una lista di
irregolarità documentate dalle iscrizioni sembra necessario ampliare
l’area dei possibili errori già ammessi dallo Snyder, con una o
due cifre di differenza rispetto alla numerazione ufficiale. Non si può
partire dagli errori per ammettere l’esistenza di computi varianti. Esiste poi un gruppo di iscrizioni con
errori ancor più macroscopici, che non possono essere razionalizzati
neppure con possibili computi ufficiosi. A parte una serie di iscrizioni che
potrebbero ricordare come già ricoperto un consolato per il quale l’imperatore
era stato semplicemente designato, va osservato che solo una minima parte delle
irregolarità segnalate può sicuramente attestare
l’esistenza di un computo variante, quello che avrebbe inizio dalla morte
di Severo, con rinnovo al 10 dicembre di ogni anno. Le liste degli errori veri
e propri all’interno di questa serie di irregolarità proposte
dallo Snyder e dal Manni e le percentuali indicate dallo Snyder paiono
perciò troppo ottimistiche e dovrebbero essere modificate sulla base di
queste risultanze.
Come dimostrano le fonti, il computo
ufficiale della potestà tribunizia dell’imperatore prevedeva
dunque il rinnovo annuale al 10 dicembre, come i tribuni della plebe
repubblicani, a partire dal 28 gennaio 198, quando iniziò nelle intenzioni
di Settimio Severo secondo il Guey quel secolo dei Severi, che avrebbe dovuto
ripetere l’età dell’oro degli Antonini. Le iscrizioni datate
con giorno, mese ed anno consolare; la differenza di cinque tra le
potestà tribunicie di Severo e quelle di Caracalla; il numero di XX
raggiunto il 10 dicembre 216, poco prima della morte dell’imperatore. Il
rapporto quasi sempre esatto che esiste tra le potestà tribunicie ed i
consolati sono sostanzialmente tutte prove a favore di un computo ufficialmente adottato dal 198, con
rinnovo al 10 dicembre.
L’utilizzazione delle potestà
tribunicie come elemento cronologico continua per tutto il III secolo fino a
Diocleziano, ma viene meno progressivamente nel IV secolo, quando cessano
definitivamente le attestazioni con Valentiniano II e Teodosio.
Nota
bibliografica minima
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