N. 6 – 2007 –
Memorie//Tribunato-plebe
Pierangelo Catalano
Università di Roma “La Sapienza”
Postilla al “promemoria”*
Sommario:
1. Da Machiavelli alla Repubblica Romana del 1849. – 2. Romanisti italiani del Novecento:
Pietro Bonfante, Giorgio La Pira, Giuseppe Grosso. – 3. L’aspetto “negativo”
della sovranità dei cittadini. Il Monte Sacro. – 4. La
potestà tribunizia non è una forma di “controllo della
costituzionalità”. – 5. Altre precisazioni dogmatiche.
La riflessione sul “tribunato”,
iniziata da Machiavelli e perfezionata da Rousseau, si sviluppò, dopo
gli avvenimenti del Termidoro, particolarmente in Fichte, in Babeuf e in
Buonarroti, quindi all’Assemblea Costituente della Repubblica Romana del
1849 e fino a Lenin (il quale nel 1918 eliminò la proposta di istituire un
“tribuno dei soviet”). Essa costituisce uno degli aspetti
più originali e maggiormente ignorati del pensiero giuridico moderno e
contemporaneo[1].
Sul piano costituzionale, l’idea del grand juré national, che derivava dal tribunat rousseauiano, non ebbe successo nella Rivoluzione francese. D’altra parte, la vertu del popolo, che secondo l’ideale di Robespierre avrebbe dovuto sostenere il governo rivoluzionario, rimase inerte. Ma il tradimento degli storici e dei giuristi è stato peggiore: essi hanno cancellato la memoria stessa del modello repubblicano e democratico, vale a dire del modello costituzionale romano ridisegnato da Rousseau e dai Giacobini[2]. A partire dalla metà del XIX secolo, nelle dottrine giuridiche e politiche l’idea di un potere tribunizio è stata (più o meno consciamente) eliminata.
Sappiamo che lo Stato di diritto liberale ha tentato di assorbire il diritto di resistenza assoggettando il suo esercizio a forme legali (secondo un modello che si può far risalire al progetto costituzionale dei Girondini); d’altra parte ogni istituzionalizzazione di un potere tribunizio è stata rifiutata (lo Stato si organizza sulla base dei principi della rappresentanza e della “divisione dei poteri”). L’idea del tribunato come strumento della sovranità popolare resta non sufficientemente elaborata; tuttavia essa emerge ancora nelle discussioni svoltesi all’Assemblea Costituente della Repubblica Romana tra il 26 maggio e il 30 giugno 1849, sulla base del Progetto del mazziniano Cesare Agostini.
II concetto di potere negativo, che si trovava chiaramente già in Rousseau e in Fichte, grazie appunto ad una riflessione sul diritto pubblico romano, in particolare sul tribunato, è stato “dimenticato” dal costituzionalismo della seconda metà del XIX secolo e sopravvive, in qualche modo, solo in alcuni scritti di romanisti[3].
La dottrina romanistica, anche nel secolo
XX, ha usato in vario modo il termine “potere negativo” per
descrivere i caratteri della tribunicia potestas. Non mancano spunti di grande
interesse dogmatico: Pietro Bonfante distingueva il “lato positivo”
e il “lato negativo” della sovranità; egli affermava che il
lato negativo «si svolge con logica naturale» nel “potere
negativo” dei tribuni, di cui l’intercessio è
«strumento ed espressione», e che il tribunato è «nato
dalla secessione e ordinato quasi per conservarla come un legale e stabile
regime»[4]. Da un punto di vista democratico, oggi
è necessario sviluppare questi elementi del pensiero antico e moderno.
Le dottrine liberali hanno tentato di
frenare, per mezzo della nozione di “economico”, il potere negativo
diretto riconosciuto positivamente (ad es. nella Costituzione della Repubblica
Italiana) con il riconoscimento del diritto di sciopero. Si tratta di
ristabilire innanzitutto la memoria storica dei giuristi. Inequivocabile
è la dichiarazione del romanista Giorgio La Pira all’Assemblea
costituente della Repubblica italiana (Commissione per la Costituzione, I
Sottocommissione, 15 ottobre 1946): « Lo sciopero è un atto di
rivendicazione, non soltanto economica ma politica»[5].
E’ utile qui riportare, in parte, il contenuto di due delle lettere,
tuttora inedite, indirizzatemi nel 1970 da Giorgio La Pira, sul “potere
negativo” (20 giugno) e sullo sciopero (15 settembre): «[il potere
negativo] è l’emergenza nuova tanto caratteristica, di un diritto
costituzionale visto “dall’altra faccia”: l’altro lato
della Costituzione»; «[…] il fine politico è il fine
ultimo, inevitabile di ogni fine intermedio (economico, rivendicativo, etc.):
ogni sciopero è, in ultima analisi, un (grande) atto politico (di
pressione politica): tende alla trasformazione della società e della
civiltà di cui manifesta le carenze; è “iuris civilis
corrigendi gratia”»[6].
Fondamentale, per l’inizio della
ricostruzione storico-dogmatica, è un articolo pubblicato da Giuseppe
Grosso nel 1953, nella rivista della Facoltà giuridica romana[7].
Tramite l’assimilazione del diritto sciopero al potere tribunizio (e
soprattutto al suo aspetto “negativo”, l’intercessio), il Grosso sottolineò che era difficile fare
una distinzione tra “sciopero politico” e “sciopero
economico”; egli affermava che, nel quadro di un ordine democratico, vi
sono «sempre più larghe implicazioni politiche» del diritto
di sciopero e del potere sindacale[8].
L’esilio, la secessione, la
resistenza, lo sciopero generale sono stati espressioni, storicamente
determinate, dell’aspetto “negativo” della sovranità
dei cittadini[9].
Si può parlare del “potere
negativo” (che «ne
pouvant rien faire peut tout empêcher», secondo
le parole del Rousseau) a proposito della secessione e dello sciopero. Ma
bisogna distinguere, a mio avviso, tra “potere negativo diretto”,
ossia esercitato direttamente dai cittadini (appunto: secessione, sciopero
generale), e “potere negativo indiretto”[10],
esercitato attraverso strumenti designati genericamente come
“tribunato” (tribuni
plebis, tribunal d’éphores, grand juré
national, e via dicendo).
Jean-Jacques Rousseau affermò il
diritto di resistenza e propose nel suo modello istituzionale un potere
negativo indiretto (che chiamava dei tribuns du peuple); ma egli non precisava
(nonostante il riferimento all’esilio) il problema del potere negativo
diretto, esercitato direttamente dal popolo. Questo problema emerse però
in seguito, nel pensiero di Gracchus Babeuf, a cui si collega appunto l’inizio
della teorizzazione sullo sciopero generale. Ricordiamo il Manifeste
des plébéiens (Le
Tribun du peuple, n. 35, 9 frimaio anno IV [30 novembre 1795]): «Que le Mont Sacré ou la
Vendée plébéienne se forme sur un seul point ou dans
chacun des 86 départemens»[11].
È facile distinguere, da un punto di
vista giuridico, il “Tribunat” secondo il modello rousseauiano, dal
“Tribunato” della Costituzione della Repubblica Romana del 1798 e
dal “Tribunat” della Costituzione francese dell’Anno VIII[12].
Appare invece più complesso (ma non
meno necessario per giungere a conclusioni storico-dogmatiche corrette) evitare
di sovrapporre al diritto d’insurrezione (o di resistenza) e al
“grand juré national” 1’idea di “controllo della
costituzionalità”.
Le dottrine giuridiche e politiche liberali
hanno tentato di integrare nello Stato sia il potere negativo sia la
resistenza: attraverso i concetti di “controllo di costituzionalità”,
per un lato, e di “disobbedienza civile” e “obiezione di
coscienza” per l’altro lato.
Purtroppo, persino lo specialista della
storia del pensiero politico, che meglio ha capito l’importanza del
“modello romano” nel IV libro del Contrat social, vuole vedere nel Tribunat secondo Rousseau il
«garante della correttezza costituzionale»[13].
Egli confonde così il concetto contemporaneo di
“costituzione” con il concetto antico repubblicano (ma anche
imperiale) di “legge” come “volontà di tutti i
cittadini”, la cui validità giuridica è definita, secondo
il diritto romano (e secondo il “modello” che ne deriva), dalle Dodici
Tavole: fissando il principio «ut
quodcumque postremum populus iussisset id ius ratumque esset»[14].
Repetita
iuvant: a) la distinzione
del “potere negativo” (sia “diretto” sia
“indiretto”) dalla “resistenza” come forma di garanzia
costituzionale non giurisdizionale[15];
b) la distinzione del “potere negativo” dal potere positivo (anche
popolare) di abrogare in tutto o in parte le leggi[16];
c) la distinzione del “potere negativo” dal generico concetto di
“veto”[17].
*
Comunicazione scritta presentata al Seminario di Studi Conflitto e costituzione romana,
organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Sassari e dalla Sezione di Roma “Giorgio La Pira”
dell’ITTIG-CNR (Sassari, 11-12 dicembre 2006), in occasione del MMD Anniversario della Secessione della
plebe al Monte Sacro.
[1] Vedi P. Catalano,
Tribunato e resistenza, Paravia,
Torino, 1971; cfr. A. Galante Garrone, Filippo Buonarroti, II ed., Torino, 1972, 496
s.; W. Markov, in Deutsche
Literaturzeitung, 97,
1973, c. 193-194; J. Godechot, in
Revue historique, 507,
juillet-septembre 1973, 152 s.; 164; M. Stolleis,
in Zeitschrift der Savigny Stiftung für Rechtsgeschichte, Rom. Abt., 93,1976, 549 s. Vedi
anche G. Lobrano, Lenin e il
tribuno dei soviet, in
Dittatura degli antichi e dittatura dei moderni, a cura di G. Meloni, con “Introduzione” di
C. Nicolet, Editori Riuniti, Roma, 1983, 47-52.
[2] Vedi P. Catalano,
Revolutionsauffassungen und römische Institutionen, in Klio, 61,
Berlin 1979, 175-187; Postilla,
in Dittatura degli antichi e dittatura dei moderni cit., 235
ss.; Alcuni principii e concetti del diritto pubblico romano da Rousseau a
Bolívar e oltre, in
Studia Iuridica, XII,
Varsavia, 1985, 93 ss.; Le concept de dictature de Rousseau à
Bolívar: essai pour une mise au point politique sur la base du droit
romain, in Dictatures.
Actes de
[3] Vedi P.
Catalano, Diritti di libertà e potere negativo. Note per
l’interpretazione dell’art. 40 Cost., nella prospettiva storica, in Studi in
memoria di C. Esposito, III,
Padova, 1972, 1955 ss. (estratto, Padova, 1969), riedito in Archivio giuridico “F.
Serafini”, 182, 1972, 1, 321 ss. Vedi già
l’intervento in I cattolici
italiani nei tempi nuovi della cristianità, a cura di G. Rossini, Roma, 1967, 824-830; Potere
negativo e sovranità dei cittadini nell’età tecnologica, in Engagement et
responsabilité des anciens élèves dans un monde en
transformation. II Congressus Unionis Mundialis Antiquorum Societatis Jesu
Alumnorum. Romae, 26-30 Augusti
1967, Napoli s.a., 91-106 (cfr. 8-10; 74-76; 147); e anche Nuove
note sul potere negativo, estr.
da Autonomia cronache, 7
(Sassari, giugno 1969), e ora Sovranità
della multitudo e potere negativo: un
aggiornamento, in Scritti in onore di Giovanni
Ferrara, G. Giappichelli Editore, Torino, 2005, I, 641-661.
[4] Vedi P. Bonfante,
Storia del diritto romano,
quarta edizione riveduta dall’autore (Roma, Istituto di
Diritto romano - R. Università), Torino, 1934, I, 104 ss. cfr. in
generale G. Lobrano, Il potere
dei tribuni della plebe,
Milano, 1982; A. Viñas,
Función del tribunado de la plebe: reforma política o
revolución social?, Madrid,
1983. Cfr. la rapida intuizione di Franco Cordero: F. Cordero, Riti e sapienza del diritto, Laterza, Bari, 1981, 518 (il
libro è dedicato a Giuseppe Grosso).
[6] Testi riportati in P. Catalano, Alcuni concetti e principi giuridici romani secondo Giorgio La Pira,
in Il ruolo della buona fede oggettiva
nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno
internazionale di studi in onore di Alberto Burdese, Padova - Venezia - Treviso, 14
- 15 - 16 giugno 2001, a cura di L. Garofalo, Cedam, Padova, 2003, I,. 99 s.
Sulle “contestazioni” dei popoli “attraverso le loro
organizzazioni di base”, cioè città, nazioni, regioni, vedi
anche la lettera di Giorgio La Pira del 9 settembre 1971, pubblicata in Studi Sassaresi, serie III, vol. III (anno accademico 1970-71), Giuffrè,
Milano, 1973, 7 s.; cfr. P. Catalano,
op. ult. cit., 112-116; id., Alcuni principi costituzionali alla luce della dottrina di Giorgio La
Pira, in AA.VV. Tradizione romanistica e Costituzione, dir. L. Labruna (Collana “Cinquanta anni della Corte
costituzionale della Repubblica italiana”), Esi, Napoli,
2006, I, 117 ss.
[7] G.
Grosso,
Il diritto di sciopero e l’“intercessio” dei tribuni
della plebe, in Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche, 1952-1953, scritto ripubblicato nel volume postumo G.
Grosso, Tradizione e misura umana del diritto, Edizioni di Comunità, Milano,
1976, 267 ss. (cfr. l’osservazione di G. Pugliese, ibid., 14
s.), e ora in G. Grosso, Scritti storico giuridici, I, Storia diritto società, Giappichelli, Torino, 2000, 303 ss. Si
veda inoltre l’intervento al Convegno Sassarese su “Autonomia e diritto di resistenza”, in Studi Sassaresi, serie III, vol. III, 1970-71,
Giuffrè, Milano, 1973, 412 ss., ripubblicato in G. Grosso, Scritti, cit., I, 955 ss. Cfr. M. Vari,
Alcuni principi costituzionali secondo
Giuseppe Grosso. Antologia, in
AA.VV., Tradizione romanistica e
Costituzione, cit., 266-272.
[8] Il parallelo storico tra la plebe ed il
movimento sindacale era stato evidenziato, alcuni anni prima, da P.F. Drucker, The New Society. The Anatomy of the
Industrial Order, 1949 (trad. it. Milano 1953, 146 ss.). Di
questo autore si vedano ora le acute osservazioni sul concetto di
“impero”, in riferimento all’Impero romano: P.F. Drucker, Post–Capitalist Society,
New York 1993, capitolo VI.
[10] Si
veda l’intervento di N. Bobbio,
in Studi Sassaresi, serie III, vol. III (a.a. 1970-71), Autonomia
e diritto di resistenza, Giuffrè, Milano, 1973, 244 ss.; cfr.
contra, ibid., 25 ss.
[11] Vedi P. Catalano,
Tribunato e resistenza, cit.,
21 ss.; cfr. F.N. Babeuf, Il tribuno del popolo, a cura di C. Mazauric, Editori Riuniti,
Roma, 1969, 228 ss. Anche nel 1795, il giacobino tedesco Johann Benjamin
Erhard, nell'opera Über
das Recht des Volks zu einer Revolution, considerò
la cacciata dei Tarquini da Roma come l'esempio di una delle due specie di
rivoluzione, cioè di quella “scoppiata all’improvviso”
(vedi J.B. Erhard, Sul
diritto del popolo a una rivoluzione, a cura di H.G. Haasis, Guaraldi, Bologna,
1971, 83 s.) e in uno scritto dell'anno seguente sostenne: «che a Roma il
governo era strettamente aristocratico e che i diritti conquistati dal popolo
erano in contraddizione con la costituzione e destinati pertanto a provocare la
decadenza dello Stato» (ibid. 163). Una concezione, dunque, opposta a quella di
origine machiavelliana, che vedeva nel potere tribunizio il perfezionamento
della repubblica. Si deve tenere conto che lo Erhard mirava, filosoficamente,
alla «soppressione dell'antagonismo su cui si fonda la società
borghese» (così H.G. Haasis,
Introduzione, ibid., 30).
[13] Così A. Postigliola, Roma in Rousseau. L’esercizio della
sovranità nel IV Libro del Contratto sociale, in Studi filosofici. Annali dell’I.U.O. III,
1980, 153 ss.; cf. 55; Id., La
città della ragione. Per una storia filosofica del settecento francese, Bulzoni, Roma, 1992, 227 ss.
[14] Sull’antico (e rousseauiano)
concetto di “legge” vedi G. Lobrano,
Dalla “lex publica populi Romani” alla “loi” della
Costituzione del 1793, in
In memoria di Ginevra Zanetti (Archivio storico e giuridico sardo di
Sassari. Studi e memorie), Sassari, 1994, 263 ss. Un riflesso o un residuo
dell'antico principio si può trovare oggi, nonostante il mutamento del
concetto di “legge”: vedi M. Esposito,
L'art. 20 della L. 7 gennaio 1929 n. 4. Un vincolo tuttora
costituzionalmente valido, alla
“vis abrogans” della legge ordinaria?, in Giurisprudenza
costituzionale, 40, 1995,
2, 1196 s.
[15] Vedi P. Catalano,
Diritti di libertà e potere
negativo, cit., 95 ss. dell’estratto ( Sez. V “Precisazioni
concettuali” ) con rinvio a C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova 1967, 977 s.; cfr. Id.; Istituzioni di diritto pubblico, II,
nona edizione rielaborata e aggiornata, Padova 1976, 1245 s.; R. Casarini, Il diritto di resistenza collettiva, in Giust. Pen. 1978, Parte prima, c. 125 ss. Sul diritto di resistenza
si vedano le recenti raccolte di testi e studi: Le droit de résistance,
XII-XX siècle, a cura di J.-C. Zancarini, ENS
Editions, 1999; Resistenza e diritto di
resistenza, a cura di A. De
Benedictis e V. Marchetti, ed.CLUEB,Bologna
[16] Vedi P. Catalano,
Diritti di libertà e potere
negativo, cit., 46 n. 33; 56 n.
3, e, con maggior precisione, in riferimento all’istituto del referendum,
M. Luciani, Art. 75. Il referendum
abrogativo, in Commentario della Costituzione, a cura
di G. Branca e A. Pizzorusso, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, 2005, 7
ss. n. 13-14; 130 n. 22.
[17] Un uso generico del termine
“veto” si ha in E. Rodrigues,
O veto no direito comparado, Editora Revista dos Tribunais,
São Paulo, 1993; ma anche in C. Mortati, Le forme del governo. Lezioni, Padova, 1973, 83, su cui cfr. C. Pinelli, L’esperienza costituzionale degli Stati Uniti d’America e
la teoria delle forme di governo di Mortati, in Diritto pubblico, 1996, 2, 324; 327. Ma vedi già
le osservazioni critiche da me formulate in Diritti
di libertà e potere negativo, cit.,
56 n.