N. 5 – 2006 – Tradizione Romana

 

Attilio MastinoAttilio Mastino

Università di Sassari

 

Antonio Ibba

Università di Cagliari

 

L’imperatore pacator orbis*

 

 

Sommario: 1. E„r»nh e Pax nel mondo greco e romano. – 2. La Pax Augusta. – 3. La pace universale nel I secolo dell’impero. – 4. L’imperatore pacator orbis. – 5. Il problema della pace durante il III secolo. – 6. Dalla Pax Romana alla Pax Christiana. Ultime testimonianze del titolo pacator.

 

 

1. – E„r»nh e Pax nel mondo greco e romano

 

Nel mondo greco il concetto di pace non si limitava alla semplice cessazione o interruzione di una guerra esterna ma coinvolgeva i rapporti interni fra i cittadini della  pÒlij, abbracciando valori che trascendevano la sfera politica per arrivare a quella etica e morale. Sin dall’età arcaica E„r»nh, dono degli dei ed essa stessa divinità, era associata a EÙnom…a (buon governo) e a D…kh (giustizia); la sua presenza portava ordine e benessere, gioia e prosperità[1]; è interessante l’originale interpretazione che della divinità diede lo scultore Cefisodoto il Vecchio, padre di Prassitele[2]: la dea maestosa tiene in braccio un bimbo, identificato come Ploàtoj (la ricchezza), che le accarezza teneramente il volto. Il quadro familiare materializzava quelle che erano le speranze degli Ateniesi nel primo scorcio del IV secolo a.C.: la pace quale fondamento della ricchezza economica, in particolare del commercio. In questo solco, liberata dagli orpelli mitologici della tradizione, maturava la tesi di Aristotele che nel VII libro della Politik£ faceva della pace il fine ultimo della pÒlij ideale e conseguentemente fondava sul raggiungimento di questo obiettivo l’educazione del cittadino[3].

Sempre nel IV secolo, il contatto fra le pÒleij greche e l’impero persiano portò a maturare l’idea di una koin¾ e„r»nh, una pace universale, eterna (almeno nelle intenzioni) e multilaterale, che coinvolgeva non solo i contraenti immediati ma, a prescindere alla partecipazione della guerra, tutte le comunità di un determinato territorio; essa si fondava sui principi condivisi dell’™leuqer…a e dell’aÙtonom…a (la libertà interna ed esterna) e rappresentava una sorta di dichiarazione dii diritti validi per tutte le città al di là dei singoli interessi, imposta e garantita da un organismo supremo con la forza delle armi[4].

Differente invece l’atteggiamento nei confronti della pace nel mondo romano, con un significativo slittamento semantico. Il concetto di pax investiva originariamente la sfera sacrale della Roma arcaica e rappresentava l’atto di riconciliazione fra gli uomini e le divinità[5], fondamentale per la felice riuscita di qualsiasi impresa umana[6]; successivamente pax indicò la riconciliazione fra gli uomini, sancita da un foedus che richiedeva particolari condizioni preliminari. Se l’e„r»nh stipulata fra i Greci presupponeva un reciproco impegno garantito con un giuramento, la pace romana era imposta unilateralmente al vinto dal vincitore, che, solo dopo aver ricevuto armi, ostaggi ed altre garanzie o indennità dallo sconfitto, si impegnava a imperio in eum tamquam pacatum uti[7].

Sin dalle fasi più antiche pax era dunque associata ad imperium e priva di quelle caratteristiche civili e crematistiche tipiche dell’e„r»nh (era d’altronde ben chiaro ai Romani che la guerra era fonte di ricchezza immediata ancor più della pace). L’idea della pace non riscosse inoltre popolarità tale da suscitare un culto specifico fra i cives-soldati[8], pure inclini a prestare attenzione a concetti astratti come concordia, fides, honos, pietas, victoria[9] ma curiosamente dimentichi di Pax e quindi dell’epiteto pacator: unica rappresentazione sembrerebbe quella sul verso di un denario anonimo del 128 a.C., dove una divinità, forse Pax alla guida di una biga, stringe nella mano destra un ramo d’olivo e nella sinistra lo scettro e le redini; in basso è visibile la testa di un elefante con campanaccio appeso e la legenda in esergo ROMA[10]. Se l’interpretazione fosse esatta, ci troveremmo di fronte ad una Pax che aveva assunto le fattezze della vittoria trionfante sul nemico (dunque molto distante dall’E„r»nh di Cefisodoto), ad una Pace conquistatrice, nata da una guerra vittoriosa condotta sotto l’egida di Roma, ad un evento politico piuttosto che ad un’esigenza primaria della natura umana[11]. D’altronde la tradizione ricordava che la porta del tempio di Giano (Porta Ianualis) era stata chiusa prima di Augusto solo una o due volte, conseguenza diretta di uno stato di belligeranza quasi permanente[12].

I temi di Pax e Concordia ebbero invece larga risonanza nei proclami dei vari comandanti durante le guerre civili che funestarono il I secolo a.C.[13]. Silla per primo ne fece uso nella sua propaganda[14]: sul recto di un denario dell’anno 81, accanto ad un volto femminile, fu raffigurato per la prima volta il caduceo, antichissimo simbolo della Pax, una pace tuttavia cruenta, conquistata in una guerra contro i concittadini[15]. È invece animata dallo spirito di riconciliazione la propaganda di Cesare negli anni dello scontro con i Pompeiani[16]: probabilmente sono da rapportare a questo clima il quinario coniato da Lucio Emilio Buca nel 44 a.C. (sul recto una testa femminile con diadema e la legenda PAXS)[17], ed il denario coniato da Lucio Flaminio Chilone nel 43 a.C. (nel verso Pax con scettro e caduceo nell’atto di porre offerte)[18].

Dalla seconda metà del II secolo a.C. cominciava intanto a diffondersi nella classe dirigente romana un nuovo concetto di pace, di matrice aristotelica o epicurea, collegato all’otium[19]; al tempo di Cicerone l’ideale della pace nelle sue varie sfumature era chiaro ad un numero vastissimo di Romani colti, provati dalle guerre esterne ed interne[20]: come per Aristotele anche per il senatore di Arpinum la pace era condizione migliore della guerra e l’unica guerra accettabile era quella che conduceva alla pace[21]. In questo clima non stupisce che il termine pax appaia per la prima volta su un’iscrizione, una sententia del senato databile al 58 a.C.:

 

[re publica pulcer]rume adm[i]nistrata, imperio am[pli]ficato, [p]ace per orbe[m terrarum confecta], dopo che erano stati sgominati i praedon[es q]uei orbem [ter]rarum complureis [annos vastarint et fa]na delubra simul[a]cra deorum inmor[t]alium loca religi[osissuma --- compil]arint[22].

 

2. – La Pax Augusta

 

Il culto ufficiale della Pace fu introdotto in Roma solo da Augusto con la decisione di edificare nel 13 a.C. in Campo Martio l’Ara Pacis Augusti (inaugurata poi nel 9 a.C.)[23], ma il tema della fine delle guerre interne ed esterne fu ben presente nel corso di tutta la sua attività politica[24]. Pur non utilizzando apertamente il termine pacator, Ottaviano si mostrava un “creatore di pace” già dopo la vittoria a Nauloco nel 36 a.C. su Sesto Pompeo[25]; dopo Azio, il concetto ritornava nella memoria innalzata a Nicopolis in Acaia, nel 29 a.C., per celebrare la sconfitta di Cleopatra[26]. Un tetradramma d’argento dell’anno 28 a.C., coniato a Efeso e destinato alle comunità orientali[27], raffigurava sul rovescio la Pax e sul diritto il busto di Ottaviano laureato e la legenda IMP. CAESAR DIVI F. COS. VI LIBERTATIS P. R. VINDEX, in altre parole l’imperator veniva esaltato come colui che aveva saputo restituire al popolo romano la pace, eliminando quella fazione che ne aveva posto in pericolo la libertas; l’ambivalenza del termine vindex (“il difensore, il garante” ma anche “il vendicatore”), frequente nel linguaggio corrente, gli permetteva inoltre di redimere la figura di Cesare, il tiranno nella nuova fase presentato come simbolo della libertà[28].

Ottaviano evitava in quest’ultimo caso di accennare alle sue vittorie (unico indizio la corona di alloro che cinge l’icona della dea), poiché il riferimento sarebbe stato evidentemente alle guerre civili. I successi militari venivano invece celebrati in maniera più esplicita quando il riferimento era alle guerre esterne:

 

[Ianum] Quirin[um quem cl]aussum ess[e maiores nostri voluer]unt [cum p]er totum i[mperium po]puli Roma[ni terra marique es]set parta vic[torii]s pax, cum priu[s qua]m nascerer a condita urbe bis omnino clausum [f]uisse prodatur m[emori]ae, ter me princi[pe senat]us claudendum esse censui[t][29].

 

La chiusura del tempio di Giano prima nel 29 a.C., quindi nel 25 a.C., forse nel 10 a.C. acquistava un significato epocale nel suo esplicito legame con i rari episodi del passato[30] e si è addirittura ipotizzato che Ottaviano «non tanto riesumasse o credesse di riesumare un antico uso quanto volesse far credere di riesumarlo, attribuendogli un significato assai più vicino ai suoi interessi propagandistici che non a quello che esso un tempo aveva avuto»[31].

Si trattava di una pace tradizionale imposta e conservata con le armi[32], alla quale alludevano fra gli altri un denario emesso forse fra il 30-27 a.C.[33], le statue auree delle province e dei popoli sconfitti (esposte nel foro di Augusto e nel tempio di Marte Ultore)[34], probabilmente l’aggettivo Quirinus riferito a Giano[35], forse uno dei rilievi sull’ara del Campo Marzio (una divinità armata assisa in trono)[36], l’iscrizione di Myrina Caesarea[37] ed infine l’altare di Narbo in Gallia Narbonensis[38]. In questi ultimi esempi gli epiteti Sebasth@ e Augusta permettevano di qualificare inequivocabilmente la pace come una divinità[39] e ne delimitavano il campo d’azione nell’ambito delle attività del princeps: la Pax era Augusta non tanto perché creata da Augusto ma in quanto inerente alle funzioni dell’imperatore ed ottenuta in virtù di auspicia particolari mai concessi ad altro uomo[40]. Et vos orate, coloni, perpetuam pacem pacificumque ducem, scriveva Ovidio[41], evidenziando non solo la commistione fra pax e imperium ma anche il costante sforzo del princeps, pacificus dux, nel creare e preservare la pace[42].

Accanto ad una Pax trionfante l’imperatore cominciò ben presto a pubblicizzare una “pace civile”, una nuova età dell’oro contrassegnata dalla provvidenziale presenza del princeps[43] che aveva ripristinato la pax deorum infranta dalle guerre civili, che apparentemente garantiva la libertas[44], la salus publica e la concordia civium[45], la securitas[46], la certezza del diritto, la ripresa delle attività produttive[47]. Pacato orbe terrarum res[titut]a re publica quieta deinde n[obis et felicia] tempora contingerunt, poteva affermare un sopravvissuto alle proscrizioni[48] ma testimoniano il nuovo clima di fiducia anche un semiasse coniato a Pella (nel verso è raffigurato un colono che conduce due buoi al lavoro)[49], la dedica alla Pace posta dagli abitanti di Praeneste[50], alcuni rilievi dell’Ara Pacis[51] e sopratutto numerosi passi dei poeti augustei[52].

La Pax di Augusto era inoltre eterna e mondiale, terra marique parta, non limitata alla sola Roma, come ribadito in più occasioni, quasi uno slogan del suo principato[53]. Per Virgilio destino dei Romani era governare il mondo con la forza delle armi: solo in questo modo avrebbero potuto diffondere una superiore civiltà su tutta la terra; le guerre esterne venivano intraprese solo per assicurare stabilità ai confini dell’impero, per debellare superbos, quindi per garantire la pace universale senza velleità di conquista (pacisque imponere morem)[54]. Sullo sfondo di questa concezione vi era il contrastato atteggiamento nei confronti del mito di Alessandro e del suo ecumenismo[55], già ampiamente diffuso fra i comandanti militari della media e tarda repubblica[56]: il legame con il mondo italico, l’esaltazione della “vittoria diplomatica sui Parti”[57], lo scomodo confronto con la politica di Antonio, la necessità di frenare comandanti troppo ambiziosi anche all’interno della propria famiglia, un diffuso desiderio di pace costringevano Augusto a rinunciare in parte alla figura di Alessandro (sfruttata invece dalla propaganda avversa per sminuire i successi dell’imperatore). Nello stesso tempo il ricordo del Macedone, perpetuato attraverso opere d’arte esposte nei centri del potere, legittimava il sogno cosmocratico di Roma (erede del progetto di Alessandro) e ne dimostrava la superiorità, giacché questo non era legato ad un controllo politico ma all’imposizione di un modello culturale, non alla forza delle armi ma ad una superiore capacità organizzativa.

Nella propaganda ufficiale la pax appariva come un dono delle divinità o ancor meglio dell’unico uomo che godeva di un imperituro favore divino. Ovidio definiva l’imperatore auctorem pacis[58] e pregava: Iane, fac aeternos pacem pacisque ministros[59], dove questi ministri erano il princeps ed i suoi eredi[60]. Non fu quindi casuale che la divinizzazione di Pax coincidesse con la divinizzazione di fatto dell’imperatore[61]: in un sesterzio del 22-23 d.C. il divus Augustus pater viene rappresentato nelle vesti del fundator pacis, radiato e togato, assiso in trono, nella mano destra il ramo d’olivo, nella sinistra lo scettro[62], simboli questi ultimi già presenti nel denario del 128 a.C.[63].

 

3. – La pace universale nel I secolo dell’impero

 

Gli effetti della Pax Augusta assicurarono per circa due secoli una sostanziale convivenza pacifica nel Mediterraneo, il libero movimento di merci e uomini, la progressiva integrazione dei provinciali, la possibilità per i ceti elevati di partecipare al governo di Roma e per le classi inferiori di godere di una giustizia equanime, la prospettiva di un’eventuale promozione sociale[64]. Pur essendo questi benefici ben chiari ad una parte importante dell’opinione pubblica[65], la celebrazione della pace non ebbe grande rilievo sulle monete dei primi imperatori e, salvo rare eccezioni, fu scarsissima sulle iscrizioni: ignorata da Tiberio[66] e Caligola[67], ripresa da Claudio in maniera ripetitiva[68], ritornò al centro della propaganda politica solo nella seconda parte del principato di Nerone, in relazione agli eventi che portarono alla temporanea rottura con il re dei Parti Vologese e alla spedizione orientale di Domizio Corbulone[69].

Nel 66, infatti, presumibilmente in occasione del pomposo viaggio in Occidente di Tiridate, incoronato a Roma re d’Armenia, fu coniata una serie di monete che nel verso, con legenda PACE P. R. TERRA MARIQ. PARTA IANVM CLVSIT, davano una rappresentazione piatta e frontale del tempio di Giano Gemino con una delle porte (alternativamente la destra o la sinistra) chiuse[70]. In questo contesto la Pace non era la forza generante ma lo strumento che autorizzava la chiusura del tempio[71]; grazie a questo evento epocale, Nerone poteva accostare la propria figura a quella di Augusto[72] e poteva proclamare la nascita di una nuova era, la costituzione di un nuovo ordine mondiale[73] realizzato solo grazie al c£risma di un princeps che si presentava agli occhi dei Romani come l’imperator “portatore di pace”[74].

Pur fra grandi contraddizioni, il messaggio di Nerone fu favorevolmente recepito dall’opinione pubblica e da una parte della classe di governo; non fu quindi un caso che l’idea alessandrina di impero universale e sopratutto di pace ecumenica diventasse il manifesto dell’effimero principato di uno degli uomini dell’entourage neroniano, quel Salvio Otone che anche per questa via manifestava il suo distacco dalla linea tradizionalista seguita da Galba[75]. Le poche monete d’oro e d’argento emesse durante il suo governo[76], oltre alla Securitas p(opuli) R(omani), promettevano significativamente la Pax orbis terrarum[77], riferibile forse non tanto ad una presunta vittoria dei suoi legati sui Rossolani in Mesia[78] quanto ad un preciso programma etico-politico, ribadito dal princeps anche negli istanti ultimi della sua vita[79]: la guerra civile era un male inevitabile, uno strumento che tuttavia si doveva avere il coraggio di abbandonare quando il prezzo da pagare diveniva troppo elevato[80].

La pace di Otone era più una promessa che un fatto compiuto; la pace di Vitellio, un altro neroniano, era invece drammaticamente concreta: è significativo un sesterzio con legenda PAX GER. ROM.[81], dove il signore degli eserciti renani riceve dalla dea Roma, in abiti militari, una statua di Victoria mentre alle sue spalle sorveglia la scena una divinità che potrebbe essere intesa come Pax. Era il manifesto della soggezione dell’Italia agli eserciti provinciali, il trionfo della pace armata in questo caso non su popolazioni straniere ma sugli stessi concittadini; era in un certo qual modo la rappresentazione edulcorata delle violenze che i partigiani di Vitellio perpetuarono nelle province, nella penisola e nell’Urbe stessa, arrivando ad incendiare il tempio capitolino[82].

Anche la propaganda di Vespasiano mirava alla pacificazione dell’orbis terrarum[83] e alla restaurazione dell’ordine mondiale, dopo i disastri delle guerre civili che avevano leso la credibilità del principato fondato, come già detto, sulla Pax e sulle victoriae[84]. Nel 71 la zecca di Roma emise dei sesterzi con legenda PAX AVG. e rappresentazione della Pace nell’atto di bruciare una catasta di armi[85], una divinità quindi non statica come in precedenti raffigurazioni ma dinamica e liberatrice, espressione del genius principis (quindi Augusta) e della volontà imperiale tutta tesa alla distruzione degli strumenti della discordia[86] per inaugurare un’epoca nuova all’insegna della firmitas (la stabilità di governo)[87].

Vespasiano si preoccupò di ristabilire le basi giuridiche ed ideologiche del suo potere[88] e di sottolineare i vantaggi procurati dal principato[89]: in questo contesto furono coniate, probabilmente sempre nel 71, delle monete che, riprendendo alcuni tipi augustei[90], identificavano nell’imperatore il “portatore della pace”, assiso in trono con in mano un ramo d’olivo e lo scettro[91], iconografia estesa significativamente anche ai figli Tito e Domiziano, destinati a perpetuare la dinastia, Caesares principes iuventis raffigurati togati e seduti fianco a fianco, ciascuno con ramo d’olivo nella mano destra protesa[92].

Nello stesso anno, in connessione alla nuova chiusura del tempio di Giano[93] e nell’ambito forse di un ampio progetto volto a riorganizzare tutta l’area fra il Foro ed il Colosseo[94], l’imperatore decideva di dedicare per la prima volta e al centro di Roma un tempio alla Pax riconquistata[95]. L’edificio, che ospitava i trofei della spedizione giudaica di Tito[96], era dotato di un’ampia porticus, di una serie di aule (fra le quali la celebre bibliotheca Pacis) e di un tšmenoj  grandissimo con giardini e pregevoli statue spesso provenienti dalla domus Aurea. Il monumento fu inaugurato nel 75[97] e nelle intenzioni di Vespasiano rappresentava una sorta di nuova Ara Pacis[98], in risposta ad un sentimento diffuso nell’Urbe[99] e nelle province[100], la pietra angolare di un governo nato sulle ceneri di una guerra combattuta da Romani contro Romani e che ora mirava a ricomporre l’unità dell’impero[101].

Come Vespasiano, anche Nerva volle in seguito rimarcare il suo impegno nel costruire la pace: in un raro denario dell’anno 97 l’anziano princeps veniva rappresentato nell’atto di stringere la mano ad una figura virile in abiti militari con in capo un elmo[102], identificata dagli studiosi con Marte (pace con gli eserciti), con Traiano (adozione del successore), con un pretoriano[103]. Qualunque sia la corretta interpretazione, è comunque evidente la volontà di Nerva di dialogare con le forze in campo, perdonandole errori o simpatie del passato; la dextrarum iunctio fra le due figure garantiva la stabilità del regime e la Pax civile, materializzava la concordia sociale e la fides, prometteva il reciproco rispetto delle regole civiche, del diritto, della giustizia[104].

 

4. – L’imperatore pacator orbis

 

Il motivo della pace nelle sue varie sfumature occupò fra alterne fortune un posto importante nell’iconografia monetale dei vari imperatori[105]. Se in numerose rappresentazioni la scena era dominata dalla dea Pax, idealmente collegata al princeps dall’aggettivo Augusta o dal genitivo Augusti[106] o da attributi che inequivocabilmente rimandavano alla figura imperiale (lo scettro, il parazonium)[107], non mancano i tipi monetali nei quali l’imperator viene tratteggiato come “portatore di pace”, con lo scettro nella sinistra ed il ramo d’olivo o la cornucopia nella destra: sono interessanti in questo contesto delle emissioni che accanto alla Pax (busto o figura intera, stante o assisa in trono, con caduceo, cornucopia, ramoscello d’olivo) associano una legenda che rimandava alla titolatura ufficiale del princeps[108], quasi a sottolineare che la Pace era uno degli elementi qualificanti del mandato imperiale, non legata a particolari eventi politici ma connaturata nella persona stessa dell’imperatore[109].

L’immagine dell’augusto “creatore di pace” era d’altronde ben radicata nell’opinione pubblica romana, tanto da interessare anche i primi scrittori cristiani[110]. In età neroniana già Seneca teorizzava un princeps incarnazione del sapiente, che si poneva al servizio dell’intera umanità per indicarle la via verso la felicità e per restaurare la pace tra gli uomini: solo dall’imperatore dipendeva la realizzazione della pax Romana o universale; la malaugurata scomparsa del primo avrebbe portato alla generale rovina del popolo[111]. Negli anni seguenti Plinio il Giovane lodava l’opera di Traiano che con le sue virtù (auctoritas, consilium, fides) aveva realizzato una nuova e concreta età dell’oro[112], rifuggendo la guerra se non strettamente necessaria al raggiungimento della pace[113]. Sulla stessa linea l’autore dell’E„j Basile…a  poteva celebrare le virtutes militari del princeps, dalle quali era scaturito un periodo di pace generale senza riscontri nel passato[114] e la propaganda senatoria descriveva Adriano impegnato nella conservazione della pace per orbem terrarum[115]: non a caso sulle sue monete si celebrava per la prima volta la Tranquillitas Augusti (la sicurezza militare lungo i confini)[116].

Con una certa frequenza in età antonina l’imperatore veniva raffigurato come “portatore di pace”, assiso sulla sedia curule[117] o stante[118], con gli attributi della pace (il ramo d’olivo) e della regalità (lo scettro)[119]. Per Elio Aristide l’impero romano, superiore a quello persiano e macedone, aveva senso solo in quanto realtà ecumenica, capace di porre termine ai conflitti per il primato e alle ingiustizie e di garantire un governo equilibrato e ordinato, fonte di pace e benessere per tutti gli uomini senza distinzione di classe sociale o etnia[120]. Alcuni anni dopo il cristiano Atenagora si augurava una compiuta realizzazione di questa universalità, auspicando la sottomissione delle gentes externae, ed identificava in Marco Aurelio e Lucio Vero i principes che avevano saputo porre termine alle guerre[121]. Proprio con Marco Aurelio si ripropose con urgenza il tema della pace, che gli assalti dei Barbari alle frontiere rendevano precaria[122]: per la prima volta furono coniate monete con legenda PAX AETERNA[123], che materializzavano le generali angosce della società romana. Forse in questo difficile frangente riapparvero le dediche alla Pace, ottenuta grazie alle vittorie dell’imperatore[124] ed ormai in età severiana, Tertulliano ricordava le preghiere dei suoi confratelli affinché ai principes fossero concessi

 

vitam ... prolixam, imperium securum, domum tutam, exercitus fortes, senatum fidelem, populum probum, orbem quietum[125].

 

In questo scenario di incertezza politica e militare nella titolatura imperiale fu introdotto ufficialmente l’epiteto pacator orbis[126], attribuito per la prima volta a Commodo da un senatoconsulto del 192, ricordato da Dione Cassio[127] e confermato dalle iscrizioni[128] e dai papiri[129]: pacator orbis, (felix), invictus, Romanus Hercules, in greco e„rhnopoiÕj tÁj o„koum»nhj, eÙtuc»j, ¢n…khtoj, Rwma‹oj HraklÁj. É noto come, succeduto al padre, Commodo si affrettasse a concludere le guerre con i Barbari per assicurare all’impero una tranquillità apparente[130] che gli consentiva di rilanciare nella sua propaganda i consueti slogans relativi alla felicitas temporum[131]. L’imperatore cominciò ben presto a presentarsi come una reincarnazione di Ercole sino a diventare, nel 191, il Rwma‹oj HraklÁj[132], assimilando la sua figura a quella dell’eroe divinizzato, personificazione della forza, del coraggio fisico (non a caso era patrono degli atleti e di quanti gareggiavano nell’anfiteatro) e, grazie all’elaborazione dei filosofi cinici e stoici, della libertà dalle passioni e dalle paure[133]: per questo il senato gli aveva attribuito nel 192 il programmatico titolo di pacator giacché come Ercole anche Commodo aveva saputo cacciare dalla terra i mostri ancestrali (identificati con i Barbari) e garantire nell’ecumene pace, prosperità, progresso[134].

Seguendo l’esempio di Commodo, il titolo si diffuse già nei primi anni del principato di Settimio Severo[135]. Fra il 198-201 l’imperatore fu acclamato Fundator Pacis in numerose monete che lo rappresentavano con capo velato ed in mano un ramoscello d’olivo ed un rotolo di pergamena (la pace intesa dunque come un dono delle divinità, ottenuta grazie all’insostituibile intermediazione dell’imperatore)[136]; la titolatura era ripresa dai denarii di Caracalla (in questo caso l’imperatore aveva uno scettro e un ramo d’olivo)[137]. Alla base di entrambe le rappresentazioni vi era la concezione del princeps fondatore e ideatore della pace[138].

Sono riconducibili invece al particolare rapporto che legava i Severi alla divinità venerata nel santuario di Emesa gli aurei ed i denarii coniati a Roma fra il 203-210 per i singoli membri del collegio imperiale, con legenda PACATOR ORBIS e raffigurazione del busto del dio Sole radiato e drappeggiato[139]. Il culto della pace ebbe in ogni caso un notevole peso durante tutto il principato di Settimio Severo[140] come prova ora anche una dedica da Al Batra in Arabia[141].

La documentazione epigrafica di Caracalla pacator orbis è sicuramente più cospicua sopratutto grazie ad una serie di miliari del 213 provenienti dall’Europa Settentrionale (Gallia Belgica[142] e Germania Superior[143], probabilmente in relazione all’imminente expeditio Germanica[144]) e ad alcune dediche dalla Baetica[145] e dalla Numidia[146]: la frequente associazione del titolo Magnus princeps lascia intravedere l’emulazione di Alessandro Magno e di Commodo, il culto zelante di Ercole perseguito dal figlio di Settimio Severo[147], sicuramente lo spirito ecumenico che animava la corte imperiale e che aveva portato alla promulgazione della constitutio Antoniniana[148]. D’altro canto nell’immaginario popolare Caracalla, già durante la correggenza con Geta e a discapito del fratello, era osannato come una divinità (deus imperator, sideribus in terra delapsus, tonitrator Augustus)[149] per aver ampliato l’impero (orbis terrarum propagator) ed averne esteso la gloria già grande con l’imposizione di una pace (in riferimento probabilmente al termine della campagna britannica): mai[estatem finesque eius] ampliavit, largam gloriam pac[e data auxit][150].

È curioso osservare che questa titolatura con esplicito riferimento alla Pace non pare aver avuto grande successo nelle iscrizioni greche[151], né con questi imperatori né con i loro successori, forse per il valore introspettivo, personale, apolitico che E„r»nh aveva nella parte orientale dell’impero[152].

 

5. – Il problema della pace durante il III secolo

 

La morte di Caracalla, più in generale la fine della dinastia severiana coincisero con la perdita della tranquillitas e della securitas dell’impero e conseguentemente con un diffuso desiderio di pace e di sicurezza militare: un’iscrizione da Eumenia in Frigia attestava, verosimilmente in questo periodo, il sacerdozio [Se]basth^v Eièrh@nhv, collegato al culto imperiale e ad una divinità a tutti gli effetti romana, lontana dalle elucubrazioni filosofiche dell’età precedente[153]. Una dedica alla Pace fu innalzata nel foro di Giufi in Africa Proconsolare forse fra i principati di Severo Alessandro e Gordiano III[154]; sono invece di difficile cronologia i testi provenienti dal museo di Pest in Ungheria[155], da Thuburbo Maius in Africa Proconsolare[156], da Cirta[157] e Thamugadi[158] in Numidia, da Sitifis[159] in Mauretania Caesariensis, che comunque testimoniano come il tema della pace trovava ormai ampio spazio anche nelle comunità provinciali e come la sua conservazione era divenuta una delle preoccupazioni principali degli abitanti dell’impero[160].

La Pax celebrata in questi anni era drammaticamente concreta e dipendeva in maniera ancor più marcata dalle vittorie dell’esercito[161] e dall’abilità del princeps nel guidare le truppe in battaglia[162] o comunque nel captare quegli auspicia divini che ne avrebbero garantito i successi[163]: solo l’augusto, per il suo privilegiato rapporto con le divinità, poteva costruire e mantenere la pace, garantire la sicurezza lungo i confini e la concordia interna[164]. Mutava conseguentemente l’iconografia dell’imperatore “portatore di pace”, raffigurato nelle monete sempre con il ramo d’olivo nella destra e lo scettro o il parazonium nella sinistra ma alla guida di una quadriga trionfale[165]. Il messaggio era ancor più esplicito su un sesterzio di Massimino il Trace: uno dei cavalli della quadriga è montato da un soldato con elmo, a sottolineare come l’imperatore fosse “portatore di pax solo in virtù della sua stretta collaborazione con le legioni[166]. Qualche anno dopo il medesimo concetto veniva ribadito in un medaglione di Filippo l’Arabo: l’imperatore e suo figlio sono rappresentati in piedi di fronte ad una quadriga, mentre ai loro lati si trovano due militari; il padre regge un ramo d’olivo e viene incoronato dalla Victoria, Filippo il Giovane tende invece la mano in segno di pace[167].

In questo contesto l’impegno per il raggiungimento della pace diventava quotidiano ma con prospettive di realizzazione solo future e probabilmente questa consapevolezza spiega l’assenza del titolo pacator orbis da monete ed iscrizioni dei successori di Caracalla. La legenda in dativo, quasi un’invocazione, fu ripresa su un antoniniano coniato a Mediolanum nel 253-254[168]: sulla moneta è rappresentato Giove assiso in trono, con in mano lo scettro ed una patera, mentre ai suoi piedi è visibile l’aquila. Si trattava di un’efficace rappresentazione del programma politico di Valeriano, per il quale la pace universale si sarebbe potuta ottenere solo con la cooperazioni dei vari elementi della società: il potere civile (Giove e lo scettro), il rispetto delle divinità (la patera e il sacrificio), la forza degli eserciti (l’aquila). Nello stesso periodo Gallieno continuava ad essere rappresentato saltuariamente sul recto delle monete con il caduceo, altro simbolo della pace, mentre nel verso si faceva riferimento al suo valore in battaglia e alla sua capacità di mantenere il controllo sulle truppe[169]. L’umiliante esito della guerra contro i Persiani[170] suggerirono probabilmente un nuovo abbandono dell’ideologia del pacator per ribadire quello della Pax Augusti, raffigurata per esempio con ramo d’olivo e scettro (pax “civile”)[171] o con lancia e scudo (pace armata)[172]; una pace comunque mondiale, fondata sui trionfi dell’imperatore[173] che ispiravano fiducia nell’inizio di una nuova età dell’oro[174].

È curioso osservare che anche l’usurpatore delle Gallie Postumo abbia utilizzato la legenda PACATOR ORBIS (con la raffigurazione del busto radiato del dio Sole), sproporzionata alle sue mire politiche ma probabilmente finalizzata a legalizzare di fronte ai sudditi la sua posizione[175]; la legenda fu ripresa con il medesimo scopo da Tetrico[176] e da Carausio[177] ma nel caso di Postumo potrebbe aver influito nella scelta anche il tentativo di legare le sue sorti alla figura di Ercole, divinità molto popolare nella tradizione celtica[178].

Negli antoniniani di Aureliano coniati a Lugdunum dopo la definitiva sconfitta di Tetrico nell’estate del 274, dunque al termine di un laborioso processo di ricomposizione dell’impero[179], il pacator orbis era il dio Sole, cardine della religione imperiale riformata[180], raffigurato con la destra sollevata e con lo scudiscio stretto nella mano sinistra[181], un’immagine già sfruttata dal suo rivale nelle Gallie[182]; l’imperatore non rinunciava tuttavia a sottolineare il suo protagonismo ed in un’altra serie evidenziava come i favori della divinità erano stati conquistati grazie alla sua devozione, meritando quindi egli stesso l’appellativo di pacator orbis[183], titolo non a caso attestato in alcuni miliari della Gallia Narbonensis, verosimilmente sempre del 274 (pacator et restitutor orbis)[184].

Non vi sono invece dubbi riguardo al ruolo di Aureliano in una moneta di Siscia che celebrava la vittoria su Zenobia del 273[185]: l’augusto, Pacator Orientis, è raffigurato in piedi con in mano lo scettro ed un pugnale mentre ai suoi piedi vi è un prigioniero. Altre monete, sempre posteriori al 273, associano al busto drappeggiato di Aureliano il caduceo[186] mentre alcuni miliari della strada che in Africa Proconsolare da Cartagine conduceva a Theveste[187] gli attribuivano per la prima volta il titolo pacatissimus, “amante della pace, dedito alla pace”[188].

Sulla scia di Aureliano, anche Tacito fu acclamato pacator orbis[189] e pacatissimus[190] su alcuni miliari sempre dell’Africa Proconsolare e tuttavia per la critica questi epiteti non avevano particolare significato, certamente erano ispirati dalla propaganda filo-senatoria ed erano privi di riscontro in reali campagne militari compiute dall’imperatore[191]. Di identico tenore erano probabilmente le emissioni della zecca di Lugdunum per Floriano, con ripresa dell’iconografia aurelianea del Sole pacator orbis[192]; in Aquitania, infine, lo stesso imperatore veniva curiosamente onorato “signore dell’universo e della pace” in un miliario posto dalla civitas Petrucoriorum libera[193].

Pacator orbis si definiva Probo al termine delle lotte che lo portarono a ricomporre l’unità dell’impero[194]: in alcuni aurei di incerta datazione, forse coniati in occasione del trionfo (anno 281) su Germani e Blemmi[195], l’imperatore si mostrava in piedi, con lancia e ramoscello, mentre a lui si rivolgevano quattro supplici[196].

Sempre la zecca di Lugdunum in Gallia celebrava su un aureo Numeriano pacator orbis: il giovane imperatore, brandendo lancia e scudo, è raffigurato nell’atto di attaccare un nemico ormai ai suoi piedi[197]. Ancor più mirabolante il titolo che al padre e il fratello attribuirono gli abitanti della colonia di Thuburbo Maius (Africa Proconsularis): pacatores orbis gentium nationumque omnium[198]: il riferimento era verosimilmente alla quarta presa di Ctesifonte, nell’anno 283[199].

Il motivo del pacator era ancora produttivo durante l’età tetrarchica: già nell’anno 289 il retore Mamertino, tramite il parallelo con Ercole, definiva in un panegirico Massimiano pacator terrarum[200]; successivamente i tetrarchi venivano celebrati pacatores gentium in un’iscrizione da Cirta in Numidia (Diocleziano e Massimiano)[201] ed in una serie di aurei coniati a Treveri per Diocleziano, Massimiano e Costanzo Cloro[202]. L’augusto Iovius veniva quindi acclamato fundator pacis aeternae dal governatore della Raetia[203], epiteto attestato a Roma per Costanzo Cloro cesare[204]; nel preambolo dell’edictum de maximis praetiis dell’anno 301 gli imperatori si felicitavano per la raggiunta sicurezza militare dell’ecumene[205], per la sua altissima quies e per i frutti della pace, per mezzo dei quali sarebbe stato possibile dedicarsi a quelle opere dettate dalla dignitas e dalla maiestas Romana[206]. Alla pax aeterna si riferiva una dedica della seconda o della terza Tetrarchia da Cuicul in Numidia[207]; negli stessi anni Galerio e Costantino erano infine celebrati come “diffusori” o “difensori” della pace in due dediche provenienti dal tempio di Ammone, nell’accampamento romano di Louqsor in Egitto[208].

 

6. – Dalla Pax Romana alla Pax Christiana. Ultime testimonianze del titolo pacator

 

Riverberi dell’ideologia dell’imperatore “creatore di pace” erano ancora molto forti al tempo di Costantino, anche lui giunto al potere al termine di una complessa guerra civile. Come già Augusto, Vespasiano, Settimio Severo, il primato del figlio di Costanzo di Cloro trovava legittimazione nelle vittorie ottenute sul campo[209], che gli permettevano di fregiarsi fra gli altri dei titoli di restitutor libertatis[210] e di fundator pacis[211]: è esemplificativa a questo proposito una serie monetale nella quale Marte (o la Virtus) era raffigurato nell’atto di trascinare per i capelli un nemico sconfitto[212]. La pax era dunque ancora una volta conseguenza del c£risma dell’imperatore che aveva liberato Roma e l’impero dai tiranni, un concetto ripetutamente sottolineato nei panegirici[213] e sopratutto nelle statue, nei rilievi[214] e nelle iscrizioni dell’Arco di Costantino[215], monumento che doveva celebrare il ritorno della libertas a Roma. Su un solido la Pax e la personificazione della Res publica offrono una corona all’imperatore, significativamente in abiti civili, per ricompensarlo di quanto compiuto nei loro riguardi: la legenda PAX AETERNA AVG. N.[216] sottolineava l’inizio di una nuova fase di governo all’insegna della securitas e della felicitas, come ricordato in dediche e legende monetali[217].

Accanto a questa concezione tradizionale della pace[218], nel prosieguo del suo dominato Costantino ne affiancava una nuova, più marcatamente cristiana, che lo impegnava come “servo di Dio” a salvare, insegnare, diffondere la pace fra i sudditi dell’impero[219]: e„r»nh, dono di Dio, con p…stij (fides) ed ÑmÒnoia (concordia) considerata uno dei pilastri della vita spirituale e politica del Cristiano, andava per questi motivi preservata a qualsiasi costo da pericoli interni o esterni che ne avrebbero potuto minare la stabilità[220]: non fu quindi un caso se nella nuova “Roma cristiana”, inaugurata nel maggio del 330, Costantino decise di affiancare alla chiesa di Sof…a quella di E„r»nh, individuando nelle due virtù le fondamenta per il neonato soggetto politico[221], e se sulle sue monete la personificazione di Costantinopoli mostra talora il ramoscello d’olivo[222].

Il contemporaneo Eusebio di Cesarea riteneva da parte sua che l’impero universale e monocratico, immagine del regno celeste[223], fosse la sola istituzione capace di garantire la pace, in opposizione alla po@liv, politeista, divisa fra diversi poteri, profondamente legata alle peculiari tradizioni, di conseguenza votata alla guerra e alla schiavitù[224]. La pax Romana coincideva a suo giudizio con la pax Christiana, realizzatasi con l’avvento del Cristo sulla terra[225] ma perfettamente compiuta solo con Costantino, grazie alla definitiva scomparsa dei tiranni e dei persecutori, alla fine delle divisioni politiche dell’impero, alla sconfitta dei Barbari[226]. Per il vescovo di Cesarea il potere dell’imperatore era di origine divina, a lui trasmesso tramite il LÒgoj: di conseguenza il princeps si trovava in un rapporto nuovamente privilegiato con la divinità e costituiva con il Padre ed il Figlio quasi una nuova Trinità[227]. In questo contesto l’imperatore superava i nemici in battaglia solo nel segno della croce[228] e le sue vittorie dovevano considerarsi più un dono di Dio che il frutto di qualità personali[229].

Questa nuova impostazione politico-filosofica potrebbe aver inciso sull’immagine dell’imperatore pacator, che lentamente perse vigore negli anni seguenti. Nonostante, infatti, le Vitae Taciti e Probi nella Historia Augusta fossero ancora animate dall’utopia senatoria del princeps che estendeva sull’ecumene il potere di Roma e stabiliva una pace eterna ed incontrastata[230], solo alcuni medaglioni della tradizionalista zecca di Roma attribuivano ancora le insegne del “portatore di pace” a Costante[231], Magnenzio e Costanzo II[232], Giuliano[233]. Lo stesso Costanzo II era acclamato in alcune iscrizioni defensor pacis[234] e pacator orbis[235], mentre Valentiniano I e Valente erano riconosciuti fundatores pacis et conservatores imperii Romani su due miliari opistografi della via Flaminia[236]; infine Teodosio era ancora lodato fundator aeternae pacis in una dedica da Corinto[237]. Sono le ultime sicure testimonianze del concetto[238], mentre lentamente prendeva piede nella titolatura imperiale il termine pacificus (attestato per Costante[239], Graziano[240] e Arcadio[241]), nel senso di “amante della pace”[242], nel significato quindi che ad eièrhnopoio@v davano gli scrittori cristiani sulla scia del cosiddetto “Discorso della Montagna” riportato nel Vangelo di Matteo[243], certo non riferendosi al potere degli augusti ma alla Pax Christi, il cui messaggio salvifico permeava sin dalle origini la vita delle comunità cristiane[244].

È quindi probabile che il connubio strettissimo fra politica e religione cristiana introdotto da Costantino abbia determinato il progressivo abbandono della figura dell’imperatore “creatore di pace”, forse troppo legata al mito di Ercole e alla visione pagana degli aurea Saturnia[245], forse stridente con una concezione che vedeva il dominus impegnato a realizzare e a proteggere una pace comunque imperfetta ed incommensurabilmente inferiore a quella realizzata da Dio nella Gerusalemme celeste[246]: può essere indicativa a questo proposito l’evoluzione del pensiero di Agostino, passato da una pax che, sulla scia dei filosofi antichi, poteva realizzarsi compiutamente nella civitas terrena[247] ad una pax generata dalle sofferenze del Cristo e superiore a qualsiasi decisione umana[248]. Questa visione della storia trovava ampio riscontro in Orosio, per il quale la Pax Christiana era indubbiamente più ampia e duratura della Pax Romana giacché basata sul consenso e meno influenzabile dalle vicende umane[249].

Sarebbe tuttavia errato supporre che gli imperatori del IV secolo “subissero” impotenti e rassegnati il progetto divino: al contrario, per realizzare in se stesso e nel mondo la pace, l’uomo doveva rispondere positivamente agli insegnamenti di Dio ed impegnarsi nella loro diffusione[250] e non a caso solo in virtù dei suoi vota il grande Teodosio, triumphator gentium barbararum[251] e ubique victor, poté pacare tutto l’universo romano e realizzare una nuova pace ecumenica[252].

Un esponente del mondo pagano, Rutilio Namaziano, ancora nel V secolo, osservando le rovine della guerra gotica di Alarico e sognando nuovi trionfi per Roma, l’urbs che ancora si identificava con l’orbis, poteva augurarsi una nuova età dell’oro, una «prosperità economica che compete a colei che unifica e nutre il mondo», fondata sulla pace apportatrice di tributi dalla Germania fino alla lontana Africa:

 

Ditia pacatae dent vectigalia terrae, / impleat augustos barbara praeda sinus; / aeternum tibi Rhenus aret, tibi Nilus inundet, / altricemque suam fertilis orbis alat; / quin et fecundas tibi conferat Africa messes, / sole suo dives, sed magis imbre tuo. / Interea et Latiis consurgant horrea sulcis / pinguiaque Hesperio nectare prela fluant. / Ipse triumphali redimitus arundine Thybris / Romuleis famulas usibuis aptet aquas, / atque opulenta tibi placidis commercia ripis / devehat hinc ruris, subvehat inde maris[253].

 

Come ai tempi di Augusto e Traiano, la pax era assicurata sul mare e consentiva il libero transito alle navi guidate dai gemelli Castore e Polluce e dalla stessa Venere, la dea venerata ad Ostia:

 

Pande, precor, gemino pacatum Castore pontum, / temperet aequoream dux Cytherea viam, / si non displicui, regerem cum iura Quirini, / si colui sanctos consuluique patres[254].

 

Sono purtroppo gli accenti di chi rimpiange un tempo perduto, lontanissimo da una realtà drammaticamente segnata dalla fine di ogni certezza[255].

 

 



 

* Pur concepiti unitariamente, i §§ 1-2 sono di Attilio Mastino, 3-5 di Antonio Ibba. I due autori hanno presentato una sintesi del presente lavoro il 21 aprile 2006 (Natale di Roma), durante il XXVI Seminario internazionale di studi storici: Da Roma alla terza Roma. Pace e impero da Roma a Costantinopoli a Mosca. Diritto e Religione, nel corso della seduta conclusiva tenutasi presso la sala “Il Carroccio” del Campidoglio in Roma, presieduta dal prof. Mario Mazza, al quale ora abbiamo il piacere di dedicare questo lavoro. In questa sede si ringraziano per i preziosi suggerimenti i proff. Pierangelo Catalano, Paolo Siniscalco, Attilio Mastrocinque e lo stesso Mario Mazza, intervenuti nel corso del successivo dibattito, i proff. Marcella Bonello Lai, Elisabetta Poddighe e Marco Rendeli, il dott. Stefano Novelli per le preziose consulenze epigrafiche, archeologiche, storiche e linguistiche.

 

[1] M. Sordi, Introduzione: dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, in M. Sordi (a cura di), La pace nel mondo antico, CISA 11, 1985, 3-4; R. Turcan, Images et idées de la Paix, in P. Catalano-P. Siniscalco (a cura di), Concezioni della Pace. Da Roma alla Terza Roma. Documenti e studi 6, Roma 2006, 51; si vedano inoltre le riflessioni di P. Siniscalco, Su termini e su nozioni concernenti la pace in età antica, in ibid. XXIV-XXV.

 

[2] G.G. Belloni, Espressioni iconografiche di ‘Eirene’ e di ‘Pax’, in Pace nel mondo antico, 1985, cit. 128-132: la statua era posta (forse già nel 371 d.C.) nell’aègora@ di Atene, accanto all’altare consacrato nel 412 a.C. Sul particolare periodo storico, cfr. J.K. Davies, La Grecia classica, Bologna 1983, 200, 252-255; D. Musti, Storia greca. Linee di sviluppo dall’età micenea a quella romana, Milano 1991, 553; Turcan, Images de Paix, cit. 51.

 

[3] Arist. Pol. 7, 1330 a 30 – 1333 b 5, 1334 a 17-39; cfr. I. Lana, Studi sull’idea della pace nel mondo antico, MAT ser. 5, 13, 1-2, 1989, 13, 39-45; Id., Rapporto sullo stato degli studi intorno all’idea della Pace a Roma e proposta di alcune linee di ricerca, in Concezioni della Pace, cit. 17.

 

[4] Il primo esempio di koinh# eièrh@nh è la cosiddetta “Pace del Re” del 386 (Davies, Grecia classica, cit. 179-180; Musti, Storia greca, cit. 526-528). Si osservi tuttavia che i prodromi di questi trattati possono forse identificarsi nelle convenzioni stipulate fra i membri delle anfizionie sin dal secolo VIII a.C. Il sistema, compatibile con la concezione romana dell’accipere in fidem (infra, nota nr. 7), fu ampiamente sfruttato da Roma sin dalla Pace di Fenice (205 a.C.) per imporre la propria volontà nel mondo greco-ellenistico. Sul tema, cfr. Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 5-12.

 

[5] M. SORDI, ‘Pax deorum’ e libertà religiosa nella storia di Roma, in Pace nel mondo antico, 1985, cit. 147-148; E. Montanari, Il concetto originario di ‘Pax’ e la ‘Pax deorum’, in Concezioni della Pace, cit. 39-45; Turcan, Images de Paix, cit. 48-50: per questi studiosi la ricomposizione del rapporto con le divinità potrebbe esser stata sancita dalla pratica espiatoria, risalente alla tradizione etrusca, del pangere clavum (Liv. 7.3.3-9), conficcare un chiodo su una parete del tempio di Giove Capitolino. Da pangere > pactum > pax. Garantita dalle divinità, la pax era associata già in età repubblicana ai concetti di pietas, fides, aeternitas.

 

[6] Cic. Rab. perd. 2.5, cfr. Liv. 5.51.

 

[7] Liv. 1.38.2 (cfr. Plb. 20.9.12). Si vedano inoltre P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale romano, Roma 1965, 15-30; Ch. Saulnier, Le rôle des prêtres fétiaux et l’application du «ius fetiale» à Rome, RD 58, 1980, 171-199; Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 12-13; A. Valvo, Istituti di pace in Roma repubblicana, in Pace nel mondo antico 1985, cit. 157-174; Th. Wiedemann, The fetiales: a reconsideration, CQ 36, 1986, 478-490; Fr. Blaive, Indictio belli. Recherches sur l’origine su droit fécial romain, RIDA 40, 1993, 185-207; Lana, Idea della pace, cit. 24; F. De Martino, L’idea della Pace a Roma dall’età arcaica all’impero, in Concezioni della Pace, cit. 30-31; Turcan, Images de Paix, cit. 49-50.

 

[8] Belloni, Eirene e Pax, cit. 133-134; Valvo, Istituti di pace, cit. 155: le prime attestazioni di un culto sarebbero posteriori alla fine della guerra civile fra Cesariani e Pompeiani. Si veda inoltre infra, nota nr. 11.

 

[9] Le singole virtutes erano spesso associate ad un condottiero; i primi esempi si ebbero con Quinto Fabio Massimo - Mens, Publio Cornelio Scipione l’Africano - Pietas; al tempo dei Gracchi e negli anni seguenti le monete celebravano le famiglie più in vista attraverso la raffigurazione di una virtus, attribuita ad un antenato ed entrata a far parte stabilmente del patrimonio “onorario” della gens. Silla ed il suo contemporaneo Quinto Cecilio Metello furono i primi ad attribuirsi, come i sovrani ellenistici, un cognomen supplementare ricavato da una virtus (rispettivamente Felix e Pius). Si osservi tuttavia che anche fra i sovrani ellenistici mancava qualsiasi epiteto con riferimento a Eièrh@nh, come se nell’immaginario greco (nonostante l’insegnamento aristotelico) la divinità fosse più legata alla sfera privata che politica; l’imitatio potrebbe quindi aver condizionato gli imperatores romani di età repubblicana nel trascurare il titolo di pacator. Sul problema, cfr. J.P.V.D. Balsdon, Sulla Felix, JRS 41, 1951, 1-10; J. Carcopino, Silla o la monarchia mancata, Milano 19812, 89-92; J.R. Fears, The Cult of Virtues and Roman Imperial Ideology, ANRW II 17.2, 1981, 877-879, 884; Belloni, Eirene e Pax, cit. 136.

 

[10] E.A. Sydenham, The coinage of the Roman Republic, London 1952, nr. 496 = M.H. Crawford, Roman Republican Coinage, Cambridge 19915, nr. 262,1, cfr. G.G. Belloni, Significati storico-politici delle figurazioni e delle scritte delle monete da Augusto a Traiano (Zecche di Roma e ‘imperatorie’), ANRW II 1, 1974, 1034 (che data la moneta al 120); Fr.A. Muñoz-E. Díez Jorge, Pax Orbis Terrarum. La pax en la moneda romana, Flor.Il. 10, 1999, 214; R. Pera, Ramus felicis olivae: da attributo di Pax ad attributo imperiale, NAC 32, 2003, 185-186. La moneta fu probabilmente coniata da un membro della gens Caecilia, forse L. Cecilio Metello Delmatico che in questo modo avrebbe commemorato la vittoria di Lucio Cecilio Metello a Panormus nel 250 sui Cartaginesi di Asdrubale; secondo W.V. Harris, War and Imperialism in Republican Rome, 320-70 B.C., Oxford 1979, 35 e nota nr. 3 e Crawford, Republican Coinage, cit. 287 la divinità potrebbe identificarsi anche con Iuno Regina alla quale Q. Cecilio Metello Macedonico dedicò un tempio; per altri potrebbe essere una Victoria; per Martin, Genèse, cit. 74 la moneta sarebbe stata coniata attorno al 110 per celebrare la vittoria giugurtina di L. Cecilio Metello e rappresenterebbe la dea Roma apportatrice di pax con la forza delle armi (l’impostazione sarebbe in ogni caso prossima alla rappresentazione dei trionfi). Si osservi che al contrario sin dal 220 erano frequenti le monete che raffiguravano Giano (J.-Cl. Richard, Pax, Concordia et la religion officielle de Janus à la fin de la république romaine, MEFR 75, 1963, 305-306); ancor più solida la tradizione relativa a Concordia (ibid., 307-310). Sullo stretto legame fra Pax e Concordia, si vedano P. Jal, “Pax civilis” - “concordia”, REL 39, 1961, 210-231; M. Amit, Concordia. Idéal politique et instrument de propagande, «Iura» 13, 1962, 135-145; Richard, Pax, Concordia, cit. 311-338; J. Béranger, Principatus. Études de notions et d’histoire politique dans l’antiquité gréco-romaine, Genève 1973, 367-370; Martin, Genèse, cit. 76-78.

 

[11] Harris, Imperialism, cit. 35; Belloni, Eirene e Pax, cit. 135-136; PeRA, Ramus, cit. 187. La scarsa diffusione delle statuette votive e delle iscrizioni fra gli strati inferiori della società farebbero supporre che l’iconografia della Pax fosse stata elaborata dalla classe di governo e finalizzata più alle sue promesse politiche che alle reali esigenze della plebe.

 

[12] Richard, Pax, Concordia, cit. 305-306, 368-369; Harris, Imperialism, cit. 190-191; G. Vitucci, L’idea di pace nella Historia Augusta, in Atti del convegno Internazionale “Passaggio dal mondo antico al medio evo. Da Teodosio a San Gregorio Magno” (Roma, 25-28 maggio 1977), Roma 1980, 29-30; Valvo, Istituti di pace, cit. 155: rispettivamente al tempo di Numa Pompilio e nel 241 o nel 235, in corrispondenza della fine della I guerra punica o in relazione alla vittoria di Tito Manlio Torquato sui Sardi (P. Ruggeri, Africa ipsa parens illa Sardiniae. Studi di storia antica e di epigrafia, Sassari 1999, 120-122; A. Mastino, Roma in Sardegna: l’occupazione e la guerra di Hampsicora, in A. Mastino (a cura di), Storia della Sardegna antica, Nuoro 2005, 71).

 

[13] Un elenco di queste rappresentazioni in Richard, Pax, Concordia, cit. 313-338: con l’eccezione di Silla (infra), questi personaggi furono protagonisti dello scontro fra Cesariani e Pompeiani (S. Weinstock, Divus Julius, Oxford 1971, 268-269) o fra Cesariani e Cesaricidi.

 

[14] Richard, Pax, Concordia, cit. 311-313, 341; Weinstock, Julius, cit. 267; Harris, Imperialism, cit. 36, cfr. anche Carcopino, Silla, cit. 90, 93-96.

 

[15] Sydenham, Coinage Roman Republic, cit. nr. 748 = Crawford, Republican Coinage, cit. nr. 366,1 a (nel verso appare una Vittoria su quadriga, che brandisce la palma della vittoria: la scena richiamava i trionfi sui nemici); la moneta faceva riferimento alle operazioni condotte nella penisola iberica contro Sertorio. Sul caduceo, simbolo della pace, cfr. Gell. 10.27.3; G. Wissowa, s.v. Pax, in W.H. Roscher, Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, Leipzig 1902-1909, col. 1722; C. Koch, s.v. Pax, RE 18.4, 1949, coll. 2430, 2342; Richard, Pax, Concordia, cit. 311; Weinstock, Julius, cit. 267 (per l’autore la donna raffigurata accanto al caduceo potrebbe essere la prima rappresentazione della Pax; più cauto Crawford, cfr. infra).

 

[16] Richard, Pax, Concordia, cit. 326-330; Weinstock, Julius, cit. 269; E. Cocchi Ercolani, La propaganda di pace attraverso la monetazione nell'ultimo secolo della Repubblica, RIN 74, 1972, 76-78; Crawford, Republican Coinage, cit. 494; Turcan, Images de Paix, cit. 51-52. Il Pseudo-Sallustio (rep. 1.6.5) esortava il dittatore a ristabilire pax e concordia; secondo Dione Cassio (44.4.5) il senato avrebbe decretato nel 44 a.C. la costruzione di un tempio della Concordia Nova (in previsione di una nuova età dell’oro) per glorificare Cesare: l’edificio, mai realizzato, potrebbe connettersi ad un primo tentativo di creare un culto ufficiale della pace (cfr. infra, nota nr. 23). Nell’elogio funebre Antonio celebrava il dittatore come eièrhnopoio@v (D.C. 44.49.2), termine utilizzato anche per i feziali (infra, nota nr. 126) ma in questo caso si deve pensare forse all’uso anacronistico da parte dello storico greco di un termine utilizzato per la prima volta da Commodo (infra, § 4).

 

[17] Sydenham, Coinage Roman Republic, cit. nr. 1065 = Crawford, Republican Coinage, cit. nr. 480,24 cfr. Wissowa, Pax, cit. col. 1719; Koch, Pax, cit. col. 2430; Richard, Pax, Concordia, cit. 327; Cocchi Ercolani, Propaganda di pace, cit. 78-79: nel verso è raffigurata la iunctio dextrarum, simbolo della concordia raggiunta fra le varie fazioni grazie all’opera di Cesare (Richard, Pax, Concordia, cit. 311; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 234; Pera, Ramus, cit. 187). Per una parte della critica questa sarebbe la prima rappresentazione della Pace.

 

[18] Sydenham, Coinage Roman Republic, cit. nr. 1089 = Crawford, Republican Coinage, cit. nr. 485,1: nel recto è raffigurato il ritratto di Cesare laureato. Per Sydenham e Belloni, Significati, cit. 1034 la moneta sarebbe del 42 a.C.; per Richard, Pax, Concordia, cit. 328-329 e Turcan, Images de Paix, cit. 51 nota nr. 33, la figura femminile potrebbe essere quella di Venus, osannata da Lucrezio (1.1-43; cfr. infra, note nrr. 20, 36; il denario per Turcan sarebbe del 44 a.C.; per Cocchi Ercolani, Propaganda di pace, cit. 79, alluderebbe alla costituzione del secondo triumvirato.

 

[19] Harris, Imperialism, cit. 36; Valvo, Istituti di pace, cit. 156. L’otium potrebbe essere associato alla scolh@ di Aristotele, la possibilità di usare il proprio tempo in attività contemplative (Lana, Idea della pace, cit. 41).

 

[20] Harris, Imperialism, cit. 35; si vedano a questo proposito le puntuali analisi di Lana, Idea della pace, cit. 21-29; Id. La concezione ciceroniana della pace, in Atti del Convegno su “Cicerone e la politica” (Varsavia, 11-14 maggio 1989), Roma 1990, 45-59; Id., Il pensiero di Sallustio sulla pace, AAST 125.2, 1991, 15-29; G. Picone, “Pacatumque reget orbem”. Età dell’oro e tema della pace nei poeti augustei, in R. Uglione (a cura di), Atti del convegno nazionale di Studi su “La pace nel mondo antico” (Torino 9-10-11 Aprile 1990), Torino 1991, 191-193; Fr.A. Muñoz, Los significados de la paz en Cicerón, Flor.Il. 7, 1996, 217-227; De Martino, Pace a Roma, cit. 34-35; Turcan, Images de Paix, cit. 52-53; si osservi l’importanza data al tema della pace da Lucrezio nel De rerum natura (1.29-40) e da Virgilio nella IV egloga (in particolare ecl. 4.17). A questa temperie culturale si potrebbe attribuire il Pius de Pace di Varrone, forse modello per la trattazione sulla pace del De civitate dei di Agostino (G. Zecchini, Il “Pius de pace” di M. Terenzio Varrone, in Pace nel mondo antico 1985, cit. 190-202, cfr. Richard, Pax, Concordia, cit. 334; scettico Lana, Idea della pace, cit. 12; Id., Rapporto, cit. 16), in particolare agli anni che portarono al trattato del Miseno e alla speranza posta da molti senatori in Sesto Pompeo. Si osservi come tutti questi autori siano influenzati dal dettato aristotelico (supra, nota nr. 3) e dalla scuola stoica.

 

[21] Lana, Idea della pace, cit. 23-24, 42-43; Id., Rapporto, cit. 22-23; Muñoz, Significados de la paz, cit. 224.

 

[22] CIL, I2, 2500 = AE, 1923, 19 = 1974, 615 = 1980, 858. Si tratta di una lex Gabinia Calpurnia del 58 a.C., rinvenuta a Delo e relativa ad una serie di misure che assicuravano agli abitanti dell’isola un’immunità generale e dei risarcimenti per i danni subiti dai pirati.

 

[23] Wissowa, Pax, cit. col. 1720; Koch, Pax, cit. coll. 2431-2432; Fr. Taeger, Charisma. Studien zur Geschichte des antiken Herrscherkultes, vol. II, Stuttugart 1960, 123, 128: la data della constitutio è il 4 luglio 13 a.C. (Fasti Amiternini, CIL, IX, 4192 = I.It., XIII,2, 25; Fasti Antiates ministrorum, CIL, X, 6630 = I.It., XIII,2, 26, tav. LXV), quella della dedicatio è il 30 gennaio 9 a.C. (Fasti Praenestini, I.It., XIII,2, 17; Fasti Caeretani, CIL, XI, 3592 = I.It., XIII,2, 8; Fasti Verulani, AE, 1924, 100 = I.It., XIII,2, 22). Si vedano inoltre gli Acta fratrum Arvalium, CIL, VI, 2028, b 10.

 

[24] M. Amit, Propagande de succès et d’euphorie dans l’empire romain, «Iura» 16, 1965, 54-55; Vitucci, Pace nella Historia Augusta, cit. 29; Valvo, Istituti di pace, cit. 155; Cocchi Ercolani, Propaganda di pace, cit. 83-84; Pera, Ramus, cit. 188-189.

 

[25] R. Syme, La rivoluzione romana, Torino 1962, 234; Richard, Pax, Concordia, cit. 338-340; E. Gabba, L’impero di Augusto, in A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, II. L’impero Mediterraneo, 2: I principi e il mondo, Torino 1991, 12. Il senato gli dedicò una statua d’oro ed un’iscrizione in cui si leggeva t¾n e„r»nhn ™stasiasmšnhn ™k polloà sunšshse kat£ te gÁn kaˆ q£lassan (App. BC 5.130 e 540), un’ovatio (ibid.), il privilegio di portare in perpetuo la corona di alloro e una festa annuale per celebrare i suoi successi (D.C. 44.15.1).

 

[26] AE, 1937, 114 = 1977, 778 = 1992, 1534 = 1999, 1448 = 2002, 1297. Accennano al monumento, che ospitava la maggior parte dei rostra sottratti alle navi di Antonio, Svetonio (Aug. 18) e Dione Cassio (51.1.3). Il testo, giunto in maniera frammentaria, era inciso verosimilmente sul podio; la ricostruzione proposta in questa sede è quella di J.M. Carter, A new fragment of Octavian’s inscription at Nicopolis, ZPE 24, 1977, 227-230: [Nep]tuno [et Ma]rt[i. Imp(erator) Caesa]r div[i Iuli] f(ilius) vict[oriam ma]rit[imam consecutus bell]o quod pro [re pu]blic[a] ges[si]t in hac region[e c]astra [ex] quibu[s ad hostem in]seq[uendum egr]essu[s est spoli]is [ornat]a [dedicavit cons]ul [quintum i]mperat[or se]ptimum pace [.] parta terra [marique].... Si vedano inoltre J. Gagé, Actiaca, MEFR 53, 1936, 42-46, 57-66, 76-82; G.Ch. Picard, Les trophées romains. Contribution à l’histoire de la Religion et de l’Art triomphal de Rome, Rome 1957, 254-262.

 

[27] RIC, I2, p. 79 nr. 476. La Pace è rappresentata stante, con il caduceo nella destra, nell’atto di calpestare una torcia accesa o il parazonium; sulla sinistra è visibile una cista mistica, legata la culto di Bacco, dalla quale emerge un serpente; il bordo è ornato da una corona d’alloro, simbolo della vittoria; legenda: PAX, cfr. Pera, Ramus, cit. 188.

 

[28] G. Walser, Die Kaiser als Vindex Libertatis, «Historia» 4, 1955, 353-362; Richard, Pax, Concordia, cit. 351-352; Cocchi Ercolani, Propaganda di pace, cit. 83; Belloni, Significati, cit. 1031-1032; Id., Eirene e Pax, cit. 137-138; Fr. Guizzi, Il principato tra “res publica” e potere assoluto, Napoli 1974, 28-29; Id., Augusto, la politica della memoria, Roma 1999, 45; Vitucci, Pace nella Historia Augusta, cit. 29; L. Polverini, L’utopia della pace nella “Vita Probi”, in Pace nel mondo antico 1985, cit. 239-241; per alcune considerazioni generali Béranger, Principatus, cit. 275; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 238. In precedenza il tema della libertas dal tiranno era stato ampiamente utilizzato dai Cesaricidi nelle monete coniate in Grecia e in Asia (Syme, Rivoluzione, cit. 204; M.A. Levi, Augusto e il suo tempo, Milano 1994, 111-115), dove tuttavia le finanze civiche dovettero sopportare il pesante fardello delle spese di guerra. Ad una libertà ideale e non realizzata nei fatti, Ottaviano ora opponeva polemicamente una libertà concreta e attuale, fondata sulla pace. La legenda monetale era ripresa nelle Res Gestae 1.1: rem publicam [a do]minatione factionis oppressam in libertatem vindica[vi] (in riferimento agli episodi del 43 a.C. che portarono Ottaviano a raccogliere a sue spese un esercito privato).

 

[29] Res Gestae 13, cfr. Svet. Aug. 22,1: Ianum Quirinum, semel atque iterum a condita urbe ante memoriam suam clausum in multo breviore temporis spatio terra marique pace parta ter clusit.

 

[30] Supra, nota nr. 12. Si veda Richard, Pax, Concordia, cit. 360-368 con ampia bibliografia; Amit, Propagande, cit. 55; R. Turcan, Janus à l’époque impériale, ANRW II 17.1, 1981, 377-378: per la terza apertura si è proposto in alternativa il 13 a.C., in contemporanea alla decisione di realizzare l’Ara Pacis Augusti.

 

[31] Vitucci, Pace nella Historia Augusta, cit. 30. Osserva tuttavia Turcan, Janus, cit. 378-380 che Giano non fu mai ricordato nella monetazione augustea, forse per i legami troppo forti con la tradizione pompeiana. Si potrebbe supporre che la decisione di chiudere per tre volte il tempio di Giano fosse un tentativo di Augusto di stupire i contemporanei e di dimostrare la superiorità di questa età dell’oro rispetto a quelle passate (Richard, Pax, Concordia, cit. 368).

 

[32] Res Gestae 29.1-2: Signa militaria complur[a per] alios d[u]ces am[issa] devicti[s ho]stibus re[cepi] ex Hispania et [Gallia et a Dalm]ateis.... Ea autem si[gn]a in penetrali, quod e[s]t in templo Martis Ultoris, reposui. Significativo un verso di Ovidio (fast. 1.711): frondibus Actiacis comptos redimita capillos Pax ades. Si veda inoltre l’incipit delle Historiae di Tacito (1.1.2): postquam bellatum apud Actiacum atque omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit. Vedi Guizzi, Augusto, cit. 48-49.

 

[33] RIC, I2, p. 59 nr. 253, cfr. Cocchi Ercolani, Propaganda di pace, cit. 83; Turcan, Images de Paix, cit. 53: sul recto la testa con diadema di Pax fra un ramo d’olivo (simbolo del nemico sconfitto che chiede remissione al vinto, cfr. Pera, Ramus, cit. 186-189) ed una cornucopia (simbolo dell’abbondanza); sul verso il princeps in abiti militari, la mano destra sollevata nel gesto dell’adlocutio alle truppe, la sinistra stringe una lancia appoggiata alla spalla; legenda: CAESAR DIVI F.

 

[34] Una delle dediche fu rinvenuta nel foro di Augusto, CIL, VI, 31267 (pp. 3778, 4340-4341) = ILS, 103: Imp(eratori) Caesari / Augusto p(atri) p(atriae) / Hispania Ulterior / Baetica quod / beneficio eius et / perpetua cura / provincia pacata / est. Auri / p(ondo) C. Il testo è sicuramente posteriore al 2 a.C. per il titolo pater patriae (D. Kienast, Römische Kaisertabelle. Grundzüge einer römischen Kaiserchronologie, Darmstadt 1996, 64); l’iscrizione alludeva alla separazione della Baetica dalla Lusitania e all’attribuzione della prima provincia ad un proconsole di rango senatorio.

 

[35] Turcan, Janus, cit. 377-378; De Martino, Pace a Roma, cit. 30, 35: l’attributo Quirinus, altrimenti ignoto per Giano, farebbe riferimento ad una pace conquistata dai Quirites, i cittadini-soldati arruolati nelle legioni, quindi ottenuta grazie alle armi. Quirino inoltre rievocava Romolo, instauratore della Pax Romana e di conseguenza la nascita di una nuova era.

 

[36] M.A. Levi, ‘Pax romana’ e imperialismo, in Pace nel mondo antico 1985, cit. 204-208 interpreta la figura femminile seduta su un trofeo d’armi (pannello destro della fronte orientale) come la Pax, affiancata presumibilmente dal Genius Populi Romani e dal Genius Senatus (dunque l’icona della pace “civile”, frutto della concordia ordinum). Più tradizionali le letture di P. Zanker, Augustus und die Macht der Bilder, München 1987, 179 e S. Settis, Die Ara Pacis, in Kaiser Augustus und die verlorene Republik. Ein Ausstellung im Martin-Gropius-Bau (Berlin, 7.Juni – 14.August 1988), Berlin 1988, 411 fig. 191, 413-414, che identificano la divinità con la dea Roma in base ai confronti con l’iconografia monetale e con l’altare della gens Augusta a Cartagine (su quest’ultimo monumento cfr. L. Poinssot, L’autel de la Gens Augusta à Carthage, «Notes et documents publiés par la Direction des Antiquités et Arts» 10, 1929, 13-19, 36). Per Turcan, Images de Paix, cit. 52-53 si tratterebbe, invece, di una delle rappresentazioni del potere di Afrodite sulla terra, come preconizzato nel poema di Lucrezio (1.1-43), assunta dalla propaganda augustea per dimostrare i due aspetti, “militare e civile”, della Pax Augusti: non si dimentichi l’importanza del culto di Venere nella famiglia Iulia.

 

[37] IGRRP, IV, 1174 da Earinos nella provincia d’Asia:  éO dh^mov / oé Kaisare@wn Mureinai@wn / Auètokra@tori Kai@sari qew^j / uiéw^j Qeou^ Sebastw^j uépe#r / Eièrh@nhv Sebasth^v / kaqie@rwsen. Gli editori pongono l’iscrizione in rapporto alla dedicatio dell’Ara Pacis nel 9. a.C. Sottolinea Taeger, Charisma, cit. 187, che per gli abitanti di Myrina Caesarea la Pax era opera dell’imperatore (quindi pacator) e non emanazione del potere imperiale: Augusto quindi veniva posto sulla scia dei comandanti romani che avevano operato in precedenza in Oriente. Potrebbe essere coeva una dedica da Antiochia di Pisidia (AE, 1926, 76): [Pa]ci{s} August(ae) / sacrum. / C(aius) Pepius M(arci) f(ilius) aed(ilis) / d(e) s(uo) p(osuit). L’assenza del cognomen del dedicante sembrerebbe suggerire in ogni caso una cronologia anteriore alla metà del I secolo d.C. (cfr. J.-M. Lassère, Manuel d’épigraphie romaine, Paris 2005, 92-93).

 

[38] CIL, XII, 4335 = ILS, 3789: Paci Aug(ustae) / T(itus) Domitius Romulus / votum posuit quod / fidecommissum Phoebum liberu(m) / recepit. L’apparato decorativo e la paleografia farebbero propendere per una cronologia al principato di Augusto, forse contemporanea all’inaugurazione dell’Ara Pacis; il ramo di alloro unito ai bucrani (visibili sulle facce destra e sinistra del dado centrale) e la corona di foglie di quercia attorno alla l. 1 (Paci Aug.) sarebbero segni inequivocabili di una Pace trionfante (Richard, Pax, Concordia, cit. 350). Secondo Taeger, Charisma, cit. 146, l’origine dei committenti avrebbe portato a fondere nella dedica le concezioni orientale ed occidentale del principato. Avendo Augusto rifiutato gli onori divini, la dedica ad una Virtus Augusta era in Occidente un espediente per mostrare all’imperatore la gratitudine di una comunità (Fears, Virtues, cit. 886-888).

 

[39] Un utile confronto in CIL, V, 4087 del 59 a.C.: dedica agli Aug. Laribus (Koch, Pax, cit. col. 2432).

 

[40] Fears, Virtues, cit. 886-888; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 232-233. Sull’alternanza Pax Augusta / Pax Augusti, cfr. infra, nota nr. 106.

 

[41] Ov. fast. 4.407-408.

 

[42] J. Béranger, Recherches sur l’aspect idéologique du principat, Basel 1954, 254-255; Richard, Pax, Concordia, cit. 352-357; Vitucci, Pace nella Historia Augusta, cit. 31; Lana, Idea della pace, cit. 35; Id., L’idea della pace di Orazio, in Mnemosynum. Studi in onore di Alfredo Ghiselli, Bologna 1989, 330; Turcan, Images de Paix, cit. 53-54. Sullo stretto rapporto pax-imperium, cfr. inoltre supra, nota nr. 7; su pacificus, si veda infra, nota nr. 242.

 

[43] RIC, I2, p. 59 nr. 252: denario non databile, raffigurante sul recto la testa di Ottaviano, sul verso la Pax stante con ramo d’olivo e cornucopia e legenda CAESAR DIVI F. La filiazione divina legittimava la vittoria dell’imperatore e lo associava indissolubilmente alla pace (Turcan, Images de Paix, cit. 53).

 

[44] Supra, nota nr. 28. Si veda inoltre Lana, Rapporto, cit. 21-22.

 

[45] Dione Cassio (54.35.2) ricorda che nel 10 a.C., avendo il senato ed popolo versato delle somme per realizzare statue dell’imperatore, Augusto decise di sostituirle con quelle di Salus Publica, Pax et Concordia: l’atto si inseriva in un preciso programma ideologico che vide dapprima la chiusura del tempio di Giano (supra, nota nr. 30), quindi l’inaugurazione dell’Ara Pacis (supra, nota nr. 23), cfr. Taeger, Charisma, cit. 123; L. Winkler, Salus. Vom Staatkult zur politischen Ideen. Ein archäologische Untersuchung, Heidelberg 1995, 37-39; S. De Angeli, Le Basi Farnese CIL, VI 198 e 200 e l’altare del Quirinale CIL, VI 199 a Roma. Temi e luoghi della propaganda di Vespasiano al momento del suo adventus a Roma, NAC 28, 1999, 263-266; Pera, Ramus, cit. 189 nota nr. 22.

 

[46] Per esempio Res Gestae 25.1: Mare pacavi a praedonibus; 26.2-3: Gallias et Hispanias provi(n)cias, [item Germaniam qua clau]dit Oceanum a Gadibus ad ostium Albis flumin[is pacavi. Alpes a re]gione ea, quae proxima est Hadriano mari, [ad Tuscum pacari fec]i nulli genti bello per iniuriam inlato.

 

[47] Taeger, Charisma, cit. 115-116; Amit, Propagande, cit. 55; Guizzi, Principato, cit. 50, 86-87; Id. Augusto, cit. 45, 57-58; De Martino, Pace a Roma, cit. 35-36; Turcan, Images de Paix, cit. 53.

 

[48] Si tratta della celebre Laudatio Turiae, componimento funebre di età augustea: CIL, VI, 1527 (pp. 3142, 3444, 3805) = 31670 = 37053 = 41062 = ILS, 8393, cfr. Guizzi, Principato, cit. 50.

 

[49] Richard, Pax, Concordia, cit. 350; vedi inoltre Pera, Ramus, cit. 188: la moneta (legenda: PACIS) mostra nel recto la divinità con corona d’olivo, dunque senza alcun riferimento alla “pace trionfale”.

 

[50] CIL, XIV, 2898 (p. 494) = ILS, 3787: Paci August(i) / sacrum / decuriones populusque / coloniae Praenestin(ae) // Paci August(i) / sacrum / decurion(es) populusque / coloniae Praenest(inae). L’altare finemente decorato ed inscritto nelle facce anteriore e posteriore, presenta delle teste di ariete agli angoli; nella stessa occasione i decurioni ed il popolo della colonia dedicarono alla Securitas Augusta una base gemella (CIL, XIV, 2899 = ILS, 3788). I due testi sono sicuramente databili al principato augusteo (Tiberio, infatti, avrebbe “retrocesso” Praeneste al rango di municipium, cfr. Gell. 16.13.5) e rappresentano una delle prime rare testimonianze della diffusione del culto imperiale nel Lazio (Taeger, Charisma, cit. 142). Sul rapporto Pax-Securitas, cfr. Amit, Propagande, cit. 59-61.

 

[51] Taeger, Charisma, cit. 123; Richard, Pax, Concordia, cit. 349; Fears, Virtues, cit. 885-886; E. La Rocca, Ara Pacis Augustae in occasione del restauro della fronte orientale, Roma 1983, 55-57; Zanker, Augustus, cit. 177-180; Martin, Genèse, cit. 80-81; Turcan, Images de Paix, cit. 52-53. La rappresentazione delle scene sull’altare giocava su due piani: la processione della famiglia imperiale da un lato avrebbe fotografato un evento storico preciso, ben noto ai contemporanei, dall’altra avrebbe materializzato l’epifania di Pax, Felicitas, Concordia e Pietas nella persona di Augusto e dei suoi familiari (esempio vivente di Concordia) e la restaurazione dell’ordine universale; La Rocca si è inoltre soffermato sui complessi aspetti astrologici dell’Ara (scettico in proposito M. Torelli, Topografia e iconologia. Arco di Portogallo, Ara Pacis, Ara Providentiae, Templum Solis, «Ostraka» 1, 1992, 106-107) e sui costanti riferimenti ad Apollo, nume tutelare dell’imperatore. Come visto (supra, nota nr. 36) Levi interpreta l’Ara Pacis come il monumento che sanciva la fine delle guerre civili.

 

[52] Syme, Rivoluzione, cit. 253-256, 521-523; A. La Penna, Orazio e l’Ideologia del principato, Torino 1963, 72-95; Richard, Pax, Concordia, cit. 354; Lana, Orazio, cit. 331-334; Id. Rapporto, cit. 11-13 (su Virgilio); Gabba, Augusto, cit. 12-13; Picone, Età dell’oro, cit. 193-209 (su Virgilio bucolico e Orazio); LEVI, Augusto, cit. 447; A. LUISI, L’idea della guerra nei poeti elegiaci di età augustea, in M. Sordi (a cura di), Il pensiero sulla guerra nel mondo antico, CISA 27, 2001, 173-193 (sui poeti elegiaci e le loro critiche alla guerra, alla vita politica, alla brama di ricchezze); Pera, Ramus, cit. 189; De Martino, Pace a Roma, cit. 36-37; Turcan, Images de Paix, cit. 54. Emblematico l’omaggio reso all’imperatore da alcuni marinai alessandrini: per illum se vivere, per illum navigare, libertate atque fortunis per illum frui (Svet. Aug. 98.2); si osservi che Orazio nel Carmen saeculare pregava per la grandezza dell’impero ma non ricordava le legioni, come se ormai si fosse concluso il ciclo delle guerre e ad Augusto si domandasse solo la custodia dell’impero.

 

[53] A. Momigliano, Terra marique, JRS 32, 1942, 62-64 (con ampia bibliografia); C. Cogrossi, Gli onori a Cesare nella tradizione storiografica e nelle monete del 44 a.C., in M. Sordi (a cura di), Storiografia e propaganda, CISA 3, 1975, 147-149; A. Mastino, Orbis, ko@smov, oiékoume@nh: aspetti spaziali dell'idea di impero universale da Augusto a Teodosio, in P. Catalano-P. Siniscalco (a cura di), Popoli e spazio romano tra diritto e profezia, Da Roma alla Terza Roma, Studi 3, Napoli 1986, 70-73; Martin, Genèse, cit. 78-79. La formula, presente anche sulla dedica del 36 a.C., nel monumento di Nicopolis, nelle Res Gestae, nei Fasti di Ovidio, nella laudatio Turiae (supra), riecheggiava probabilmente dei motivi presenti nei trattati di pace dei Greci, poi mutuati nel mondo ellenistico (cfr. supra, nota nr. 4), infine entrati nella propaganda di Pompeo (Cic. Balb. 6.16; IG, XII,2, 202 = ILS, 8776 da Mitilene; ILS, 9459 da Miletopolis presso Cizico) e sviluppati in quella di Cesare. Con questa espressione si ribadiva la realtà non geografica ma ideologica dell’impero e la vocazione di Roma a governare il mondo. Nel Feriale cumanum (CIL, X, 3682 = 8375 = ILS, 108 = I.It., XIII,2, 44): in occasione dell’anniversario della dedicatio dell’Ara Pacis (30 gennaio) si ricorda una Supplicatio imperio Caesaris Augusti custo[dis / i(mperii) R(omani) Pacisque orbis terraru]m (?), cfr. J.R. Fears, The Theology of Victory at Rome: Approaches and Problems, ANRW II 17.2, 1981, 822 (si tratta della sola testimonianza di un sacrificio compiuto per la conservazione dell’imperium di Augusto). Si vedano, inoltre, Richard, Pax, Concordia, cit. 338-340, 355-356; Fears, Virtues, cit. 908; Vitucci, Pace nella Historia Augusta, cit. 31-32; Martin, Genèse, cit. 74-75; per gli antecedenti in Cicerone cfr. Muñoz, Significados de la paz, cit. 217-218.

 

[54] Verg., Aen. 6,851-853: tu regere imperio populos, Romane, memento. / Hae tibi erunt artes, pacisque inponere morem, / parcere subiectis et debellare superbos; è evidente in Virgilio un tentativo di “moralizzare” l’imperialismo romano; si osservi tuttavia la presenza del verbo debellare, tipico del vocabolario trionfale, che ben chiarisce l’ambiguità della pax Romana. Un utile confronto con la posizione tradizionale di Livio, 1,16,7: nuntia ... Romanis caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem colant sciantque, et ita posteris tradant, nulla opes humanas armis Romanis resistere posse. Sul problema, si vedano Richard, Pax, Concordia, cit. 353; L. Braccesi, Livio e la tematica d’Alessandro in età augustea, in M. Sordi (a cura di), I canali della propaganda nel mondo antico, CISA 4, 1976, 198-199; Guizzi, Augusto, cit. 47-48; Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 14; Lana, Idea della pace, cit. 6-9; Id., Rapporto, cit. 10-11; Picone, Età dell’oro, cit. 203; Luisi, Idea della guerra, cit. 173.

 

[55] A. Bruhl, Souvenir d’Alexandre le Grand et les Romains, MEFR 47, 1930, 208-209, 212; P. Treves, Il mito di Alessandro e la Roma d’Augusto, Milano-Napoli 1953, passim, in particolare 13-24, 65-66, 81-84; A.R. Bellinger, The Immortality of Alexander and Augustus, YClS 15, 1957, 93-100; H.J. Mette, ‘Roma’ (Augustus) und Alexander, «Hermes» 88, 1960, 458-462; D. Kienast, Augustus und Alexander, «Gymnasium» 76, 1969, 430-456; J.-Cl. Richard, Alexandre et Pompée. À propos de Tite-Live IX, 16, 19-19, 17, in Mélanges de philosophie, de littèrature et d’histoire ancienne offerts à Pierre Boyancé, Rome 1974, 659-660; Braccesi, Alessandro in età augustea, cit. 182-199; Mastino, Orbis, cit. 66-67, 70-71; Levi, Augusto, cit. 526-527; Guizzi, Augusto, cit. 50.

 

[56] Bruhl, Alexandre et les Romains, cit. 204-208; O. Weippert, Alexander-Imitatio und römische Politik in republikanischer Zeit, Augsburg 1972, passim; Richard, Alexandre et Pompée, cit. 653-669; Mastino, Orbis, cit. 68-70; contraria ad una imitatio del Macedone da parte di Pompeo, D.J. Martin, Did Pompey engage in imitatio Alexandri?, in C. Deroux (a cura di), Studies in Latin Literature and Roman History. 10, Bruxelles 1998, 23-51; sul mito di Alessandro cfr. fra gli altri F. De Polignac, Alessandro, o la genesi di un mito universale, in S. Settis (a cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società, II. Una storia greca, 3: Trasformazioni, Torino 1998, 271-292; S. Cagnazzi, Il Grande Alessandro, «Historia» 54, 2005, 132-143, in particolare 141.

 

[57] Res Gestae 29.2: Parthos trium exercitum Roman[o]rum spolia et signa re[ddere] mihi supplicesque amicitiam populi Romani petere coegi. Sul foedus stipulato fra Augusto e Fraate IV nel 20 a.C. si vedano per esempio A. Barzanò, Roma e i Parti tra pace e guerra fredda nel I secolo dell’impero, in Pace nel mondo antico 1985, cit. 212-214; Levi, Augusto, cit. 525-529. P. Baldassarri, Augusto soter: ipotesi sul monopteros dell’acropoli ateniese, «Ostraka» 4, 1995, 69-84, in particolare 77-78; Ead., Sebastù SotÁri. Edilizia monumentale ad Atene durante il saeculum augustum, Roma 1998, 51, 53-61 suppone che Augusto in persona abbia ricevuto le insegne perdute dai Romani nel 53, nel 40 e nel 36 a.C.: per questo motivo gli Ateniesi avrebbero dedicato alla dea Roma e ad Augusto Soter un piccolo sacello nei pressi del Partenone, probabilmente nel 19 a.C., quando l’imperatore sostò temporaneamente nella città.

 

[58] Ov. Pont. 1.1.23.

 

[59] Ov. fast. 1.287.

 

[60] Pera, Ramus, cit. 189- 190; TURCAN, Images de Paix, cit. 54.

 

[61] Turcan, Images de Paix, cit. 53.

 

[62] RIC, I2, p. 96 nr. 49: per l’interpretazione, cfr. Pera, Ramus, cit. 190; al contrario gli autori del Roman Imperial Coinage identificavano il ramoscello con l’alloro. Nel verso: TI CAESAR DIVI AVG F AVGVST P M TR POT XXIII SC. Utile un confronto con RIC, I2, p. 98 nrr. 56, 62, 68 (sesterzi del 34-37): nel recto, con legenda DIVO AVGVSTO SPQR, è rappresentata una quadriga di elefanti, con conducenti e portantina in cui si intravede un’immagine di Augusto radiato, con ramo d’olivo nella destra e scettro nella sinistra.

 

[63] Supra, nota nr. 10.

 

[64] M. Mazza, Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel III secolo d.C., Bari 1973, 125-255; G. Alföldy, Storia sociale dell'antica Roma, Bologna 1982, 249-258; Th. Pekáry, Storia economica del mondo antico, Bologna 1986, 190-196; Fr. Jacques–J. Scheid, Roma ed il suo Impero. Istituzioni, economia, religione, Roma-Bari 1992, 403-406, 416-424, 436-441, 496-499; C. Panella, Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico, in A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, III. L’età tardoantica, 2: I luoghi e le culture, Torino 1993, 613-614.

 

[65] Taeger, Charisma, cit. 481; Turcan, Images de Paix, cit. 58-60. Si possono citare a titolo di esempio alcuni passi di Velleio Patercolo: circumferens terrarum orbi praesentia sua pacis suae bona (2.92.2); diffusa in Orientis Occidentisque tractus et quicquid meridiano aut septentrione finitur, Pax Augusta [per] omnis terrarum orbis a latrociniorum metu servat immunes (2.126.3). Questo quadro positivo non deve però far dimenticare le amare riflessioni di uomini come Lucano, Giovenale, Tacito sul prezzo di questa pax, in nome della quale i cives avevano dovuto rinunciare alla libertas e le popolazioni esterne erano state costrette a foedera che limitavano le capacità politiche e corrompevano i mores (Tac. Agr. 11.5; 21.2; 30.4); lo stesso Tacito (Agr. 30.4) non si nascondeva che i Romani auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant (cfr. Lana, Rapporto, cit. 23-24; Id., Tacito: l’idea della pace, in Pace nel mondo antico, 1990, cit. 229-241; Turcan, Images de Paix, cit. 60-64).

 

[66] Non si possono tuttavia scordare:

- il breve elogium inciso sull’arco di Druso a Roma (AE, 1992, 165), del 19 d.C., ricostruito grazie ai confronti con un passo di Tacito (ann. 2.64.19): [Senatus populu]sque [Romanus / Druso Caesari Ti(beri) Caesaris Aug]usti [f(ilio) divi Augusti nepoti / Divi Iuli pron]ep[oti co(n)s(uli) pontifici auguri sodali Augustali / hunc f]iliu[m Ti(berius) Caesa]r d[ivi Augusti f(ilius) Augustus / in Illyricum misit ubi virtute e]ius [pax imperii ita confirmata est / ut ei una cum Germanico C]aesa[re fratre ovatio decerneretur].

- una dedica alla Pax da Corinto in Achaia (AE, 1923, 10): Paci Lucife/[rae Aug]ustae sacrum. / [Pro salut]e Ti(beri) Caesaris / P(ublius) Licinius P(ubli) l(ibertus) / Philosebastos / f(aciendum) c(uravit).

- l’iscrizione posta dal proconsole Dolabella per celebrare la vittoria su Tacfarinas (AE, 1961, 108 da Oea in Tripolitania): Dolabella Rom(anus) proco(nsul) / Tacfa(rinate) debel(lato) civitas (!) Oeam rest(ituit) / pac(e) conserv(ata) POP APHR PROT / [---] et consec(ravit); per un commento, cfr. R. Bartoccini, Dolabella e Tacfarinas in una iscrizione di Leptis Magna, «Epigraphica» 20, 1958, 9-12.

È inoltre incerto che la figura femminile assisa con un ramoscello d’olivo, rappresentata su alcune monete di Lugdunum del 36-37 d.C., fosse Livia o la Pace (RIC, I, p. 103, nr. 3 = I2, p. 95, nrr. 25-30; cfr. T. Mikocki, Sub specie deae. Les impératrices et princesses romaines assimilées à des déesses. Étude iconologique, Rome 1995, 18-30; L. Morelli, La rappresentazione di Livia nella monetazione di Galba, RSA 31, 2001, 93-113; Pera, Ramus, cit. 189-190; l’immagine è già presente nelle monete di Augusto del 13-14 d.C., RIC, I2, p. 56, nrr. 219-220).

 

[67] Si registrano tuttavia delle celebrazioni per la Pace nell’anno 38 (A. Degrassi, I fasti consolari dell'impero romano dal 30 avanti Cristo al 613 dopo Cristo, Roma 1952, 11) in CIL, VI, 811 (pp. 3007, 3757) = ILS, 192: M(arco) Aquila Iuliano / P(ublio) Nonio Asprenate co(n)s(ulibus) / VII K(alendas) Iunias / pro salute et Pace et / Victoria et Genio / Caesaris Augusti / ------ e in un frammento degli Acta fratrum Arvalium (CIL, VI, 2028, b 10), cfr. (Taeger, Charisma, cit. 233, 291).

 

[68] RIC, I2, pp. 122-124 nrr. 9-10, 21-22, 27-28, 38-39, 46-47, 51-52, 57-58, 61-62: PACI AVGVSTAE (aurei e denari coniati fra il 43 ed il 51) e rappresentazione di una figura alata e drappeggiata con in mano un caduceo, preceduta da un serpente. Secondo Belloni (Eirene e Pax, cit. 138) la divinità sarebbe Nemesis e vorrebbe sottolineare la rottura fra la linea politica di Claudio e quella di Caligola, con il ritorno alla tradizione augustea e alla collaborazione con il senato: Nemesis sarebbe la custode dell’ordine divino, assicurato fra gli uomini dall’imperatore pacator; per Koch (Pax, cit. col. 2433) la serie si riferirebbe alla spedizione in Britannia (sulla quale, cfr. P. Salway, Roman Britain, Oxford 1984, 65-99); per Fears (Virtues, cit. 893-895) sarebbe rappresentata la Salus dell’impero; per Turcan (Images de Paix, cit. 54-55) la dea avrebbe le ali di Victoria ed il caduceo di Pax e Felicitas mentre il serpente potrebbe far pensare a Minerva Victrix o alle discordie dominanti fra le varie fazioni: in ogni caso l’atteggiamento della divinità potrebbe ricordare quello di Pudicitia e quindi alludere alla volontà dell’imperatore di non abusare della vittoria e di far rispettare la giustizia. Cfr. alcune riflessioni di M.B. Hornum, Nemesis, the Roman State, and the games, Leiden-New York-Köln 1993, 15-19; Turcan, Janus, cit. 381. Un Claudio “portatore di pace” potrebbe essere quello raffigurato seduto su una sella curule, con ramo d’olivo nella destra, circondato da elmo, corazza, scudi, armi (RIC, I2, pp. 127 nr. 93 del 41-50, 129 nr. 109 del 50-54, cfr. Pera, Ramus, cit. 191). Si devono inoltre ricordare la statua d’oro dell’Eièrh@nh Sebasth# Klaudianh@, menzionata in una lettera di Claudio agli abitanti di Alessandria d’Egitto posteriore al 29 agosto 41 (P. Lond. 1912) ed un’iscrizione bilingue da Amastris nella provincia del Pontus - Bithynia, CIL, III, 321 (p. 976) = 6983 = ILS, 5883 = IGRRP, IV, 83: Pro Pace A[ug(usti) i]n honorem Ti(berii) Claudi(i) / Germanic[i Au]g(usti) divi Aug(usti) perpetuus sacer/dos G(aius!) Iulius [Aquila pr]aef(ectus) fabr(um) bis in aerar(io) delatus / a co(n)s(ulibus) A(ulo) Gabin[io Secundo Ta]uro Statilio Corvino mon/tem cecidit et [viam et s]essionem d(e) s(ua) p(ecunia) f(ecit) // ‘Upe#r th^v Seba[sth^v eièrh@nhv eièv] th#n teimh#n Tiberi@ou Klau/di@ou German[ikou^ Sebastou^] tou^ eèpourani@ou qeou^ / Sebastou^ aèrc[iereu#v Ga@iov]  èIou@liov  èAkui@lav eòparkov / di#v eièv to# aièr[a@rion fero@men]ov uépo# uépa@twn  òWlou Ga/beini@ou Seko[u@ndou Tau@rou Sta]teili@ou Koroui@nou to#n lo@fon / ko@yav th#n oéd[o#n kai# to# ba@qron?] eèk tw^n ièdi@wn uéparco@ntwn eèpoi@hsen (il testo non è anteriore al 45 d.C., cfr. Degrassi, Fasti, cit. 12-13).

 

[69] Fears, Virtues, cit. 896. Sugli avvenimenti cfr. A. Garzetti, L’impero da Tiberio agli Antonini, Bologna 1960, 179-186; M.A. Levi, Nerone e i suoi tempi, Milano 19732, 168-187; A. Galimberti, Seneca e la guerra, in Guerra nel mondo antico, cit. 199-200; E. Champlin, Nerone, Milano 20063, 277-278. Sul trattato di pace si veda per esempio Barzanò, Roma e i Parti, cit. 215-216. Le operazioni, iniziate in Oriente da Cn. Domizio Corbulone nella primavera del 55, videro uno scontro diretto con i Parti solo nel 61-63, quando fu raggiunto un compromesso diplomatico (cfr. per esempio Tac. ann. 15,27,2).

 

[70] RIC, I2, pp. 166 nrr. 263-271, 167 nrr. 283-288, 168 nrr. 300-305, 169 nrr. 323-328, 170 nrr. 337-338, 171 nrr. 353-355, 176 nr. 421, 177 nrr. 438-439, 181 nrr. 510-512, 182 nrr. 537-539, 184 nrr. 583-585. Una variante è data dalla legenda PACE P. R. VBIQ. PARTA IANVM CLVSIT (RIC, I2, pp. 167 nrr. 289-291, 168 nrr. 306-311, 170 nrr. 339-342, 171 nrr. 347-350, 172 nrr. 362, 366-367) con identica iconografia. La rappresentazione era un’assoluta novità nel panorama numismatico romano (Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 238-239).

 

[71] Belloni, Eirene e Pax, cit. 137. Testimonia l’impressione suscitata nei contemporanei il passo di Svetonio (Nero 13): ob quae imperator consalutatus, laurea in Capitolium lata, Ianum Geminum clausit, tam quam nullo residuo bello. Turcan (Janus, cit. 381-384) ipotizza che Nerone avesse ritardato di due anni i festeggiamenti per il terzo centenario della chiusura del tempio di Giano in età repubblicana, facendo coincidere di proposito l’evento con la visita di Tiridate; Pera (Ramus, cit. 191) al contrario non esclude che la cerimonia si fosse regolarmente svolta nel 64 per poi essere reiterata nel 66.

 

[72] Si osservi nella legenda monetale la ripresa quasi letterale del passo di Res Gestae 13 (supra, nota nr. 29); sul frequente riuso dei temi augustei da parte di Nerone, cfr. W. Huss, Die Propaganda Neros, AC 47, 1978, 130-139, in particolare 137-138.

 

[73] Tac. ann. 16.28.3. L’ecumenismo di Nerone era sicuramente influenzato dal mito di Alessandro (Bruhl, Alexandre et les Romains, cit. 211-212; Mastino, Orbis, cit. 75-77).

 

[74] Fra il 64 ed il 65 furono coniati una serie di aurei e denari (RIC, I2, p. 153 nrr. 46-47), in cui Nerone, stante, radiato e togato, tiene un ramo di olivo nella destra (simbolo della pace) ed una Victoria su globo (simbolo dell’impero universale). Presso il tempio di Giove Capitolino fu eretto un arco con i trofei della guerra partica, sovrastato da una statua dell’imperatore alla guida del carro trionfale e accompagnato dalla Vittoria con ramo di palma e dalla Pace con cornucopia (Picard, Trophées, cit. 337-338; E. La Rocca, Disiecta membra Neroniana. L’arco partico di Nerone sul Campidoglio, in H. Fronig-T. Hölscher-H. Mielsch (a cura di), Kotinos. Festschrift für Erika Simon, Mainz 1992, 400-414, cfr. Tac. ann. 13.41; 15.18; RIC, I2, pp. 161 nrr. 143-150, 175 nrr. 392-393, 177 nrr. 432-433, 180 nrr. 498-500, 183 nrr. 573-575). Nerone, infine, assunse stabilmente nel 66 il titolo di imperator, rifiutato da Tiberio e dai suoi successori (E. Cizek, L’époque de Néron et ses controverses idéologiques, Leiden 1972, 209-213; Levi, Nerone, cit. 207-208; M. Pani, Lotte per il potere e vicende dinastiche. Il principato fra Tiberio e Nerone, in Schiavone, Storia di Roma, II.2, cit. 247; Champlin, Nerone, cit. 285-289).

 

[75] Sulla politica di Otone, cfr. la panoramica di Garzetti, Impero, cit. 209-221. Nelle monete di Galba viene frequentemente osannata la libertas (RIC, I2, pp. 233 nrr. 7-9, 22-23, 234 nrr. 37-39, 235-236 nrr. 68-76, 239 nrr. 136-137, 139, 241 nrr. 157-159, 244 nr. 237, 246 nrr. 275-276, 293-296, 247 nrr. 309-310, 318, 248 nrr. 327-329, 346-349, 249 nrr. 363-367, 372, 250 nrr. 387-391, 251 nrr. 422-425, 252 nrr. 479-480), raggiunta grazie all’eliminazione del tiranno Nerone (AMIT, Propagande, cit. 57, 59; M.L. Palladini, A proposito di ‘pax Flavia’, in Pace nel mondo antico 1985, cit. 225); il tema della libertas, uno degli slogans cari ad Augusto (supra, nota nr. 28), è presente anche nel discorso di adozione di Pisone (Tac. hist. 1.15-16); vedi inoltre Taeger, Charisma, cit. 327; Amit, Concordia, cit. 148-149; Pera, Ramus, cit. 192.

 

[76] RIC, I2, pp. 260-261. Dell’imperatore si registrano appena 24 tipi monetali. Un denario (RIC, I2, p. 260 nrr. 1-2) è dedicato a CERES AVG.

 

[77] RIC, I2, p. 260 nrr. 3-6: la Pace con in mano il caduceo brandisce un ramoscello (olivo?). Si osservi che la securitas era uno degli attributi della dea Pax (Amit, Propagande, cit. 59).

 

[78] Garzetti, Impero, cit. 213; della stessa opinione anche Fears, Theology of Victory, cit. 813: le monete con legenda VICTORIA OTHONIS (RIC, I2, p. 260 nrr. 13-17) ribadivano che il fondamento del principato di Otone era la vittoria in battaglia, dalla quale conseguivano securitas e pace universale (Taeger, Charisma, cit. 328).

 

[79] Tac. hist. 2.47; si vedano inoltre 1.84 e 2.48.

 

[80] Belloni, Significati, cit. 1009, 1059. Non si dimentichi che Otone era stato riconosciuto solo in una parte dell’impero e di conseguenza le monete miravano anche a legittimare la sua aspirazione “ecumenica” nei confronti degli avversari (Amit, Propagande, cit. 58).

 

[81] RIC, I2, p. 274 nr. 119.

 

[82] Garzetti, Impero, cit. 215-224. Sull’incendio della maggior parte degli edifici pubblici sul Campidoglio, cfr. T.P. Wiseman, Flavians on the Capitol, AJAH 3, 1978, 163-178; K. Wellesley, What happened on the Capitol in December A.D. 69?, AJAH 6, 1981, 166-190; A. Barzanò, La distruzione del Campidoglio nell’anno 69 d.C., CISA 10, 1984, 107-120. Si vedano inoltre Amit, Propagande, cit. 57-58; Fears, Theology of Victory, cit. 813.

 

[83] RIC, II, pp. 52 nrr. 317-318 (denari del 69-70), 53 nrr. 324 (denario del 70) e 327 (denario del 71), 54 nrr. 334 (aureo e denario del 71) e 338 (denario del 74). A queste monete si devono aggiungere RIC, II, p. 55 nr. 343 (denario di Tito Cesare del 71) e RIC, II, p. 56 nr. 350 (denario di Domiziano Cesare del 71). La forma in dativo potrebbe far supporre la speranza in una pace futura piuttosto che la certezza di una pace compiuta: non è forse un caso che terminate le controversie in Oriente il tipo monetale sia stato abbandonato. L’ecumenismo di Vespasiano si fondava tuttavia su una imitatio Augusti piuttosto che Alexandri (Bruhl, Alexandre et les Romains, cit. 213; cfr. infra).

 

[84] Garzetti, Impero, cit. 248-249; Belloni, Significati, cit. 1060, 1062; Fears, Virtues, cit. 899; Palladini, Pax Flavia, cit. 223-224; De Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 247-251; Turcan, Images de Paix, cit. 57. Per l’ideologia augustea si veda supra, § 2.

 

[85] RIC, II, pp. 68 nrr. 434, 69 nr. 439 (alle spalle della pira, domina la scena una statua di Minerva, probabile riferimento ad una pace “politica”, che poneva termine alle lotte fra cittadini Romani, cfr. Bianco, Monetazione di Vespasiano, cit. 191; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 234-235). In precedenza un’immagine simile era stata utilizzata da Galba (RIC, I2, p. 256 nrr. 496-498: un asse della zecca di Roma con legenda nel rovescio PAXS AVGVSTI S. C. e rappresentazione della Pace con cornucopia nella sinistra e torcia nella destra, sempre nell’atto di incendiare una catasta d’armi) e da Vitellio (RIC, I2, pp. 276 nr. 164 cfr. nrr. 147-149, 277 nr. 172 da Roma).

 

[86] Belloni, Eirene e Pax, cit. 139; Palladini, Pax Flavia, cit. 226. Per Turcan, Images de Paix, cit. 58 questa immagine era sinonimo di una concezione semplicistica della pace intesa come fine delle guerre, una visione estranea alla tradizione romana e mutuata da Aristotele (Pol. 6.15: te@lov ga#r .... eièrh@nh me#n pole@mou).

 

[87] Svet. Vesp. 1,1: Rebellione trium principum et caede incertum diu et quasi vagum imperium suscepit firmavitque tandem gens Flavia. Alla stabilità di governo alludono anche le dediche alla Pax aeterna o perpetua delle iscrizioni e alcune legende monetali (infra); Vespasiano avrebbe inoltre ripreso le monete con la raffigurazione della divinità alata (Nemesis?) con caduceo, preceduta da un serpente (RIC, II, pp. 21 nr. 64, 32 nr. 150; vedi inoltre pp. 31 nrr. 141-142, 33 nr. 153, 50 nr. 302), cfr. Turcan, Images de Paix, cit. 57. Sugli avvenimenti del periodo è ancora utile la panoramica di Garzetti, Impero, cit. 201-235.

 

[88] Pur con differenti posizioni, si vedano fra gli altri M.A. Levi, La legge dell’iscrizione CIL VI, 930, «Athenaeum» 16, 1938, 85-93; P.A. Brunt, Lex de imperio Vespasiani, JRS 67, 1977, 95-116; V. Facchetti, La “lex de imperio”: struttura giuridica, ragioni politiche, significato storico, in Atti del Congresso Internazionale di Studi vespasianei, Rieti, settembre 1979, Rieti 1981, II, 399-410; M. Pani, Il principato dai Flavi ad Adriano, in Schiavone, Storia di Roma, II.2, cit. 269; Fr. Hurlet, La Lex de imperio Vespasiani et la légimité augustéenne, «Latomus» 52, 1993, 261-280, Fr. Lucrezi, Aspetti giuridici del principato di Vespasiano, Napoli 1995, 89-144.

 

[89] Taeger, Charisma, cit. 325; Fears, Virtues, cit. 899-900, cfr. E. Bianco, Indirizzi programmatici e propagandistici nella monetazione di Vespasiano, RIN 70, 1968, 145-158, 168-212; R. Pera, Cultura e politica di Vespasiano riflesse nelle sue monete, in Studi vespasianei, cit. II 505-514; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 236, 239. Oltre ai numerosi riferimenti alla Pax, nelle legende e/o nelle raffigurazioni, le monete alludevano per esempio a Aequitas Augusti, Aeternitas, Annona Aug(usti), Fides publ(ica), Fortuna Augusti, Libertas publica, Libertas restituta, Roma resurgens, Salus Aug(usta), Securitas p(opuli) R(omani), naturalmente alla Victoria Augusti. In totale si contano ben 81 emissioni in dieci anni di principato, con l’introduzione di numerose novità iconografiche; particolare importanza fu data da Vespasiano alla Concordia (Amit, Concordia, cit. 150). Un aureo coniato a Tiro nel 69 mostra nel verso (RIC, II, p. 59 nr. 371: legenda PONT MAX TRIB POT), la Pace assisa in trono con in mano in ramoscello e lo scettro: il regno della Pace verrà realizzato attraverso il nuovo imperatore (vedi inoltre RIC, II, pp. 19 nr. 39, 24 nr. 90, 26 nrr. 101-101 a, 36 nr. 185, 37 nr. 193, 38 nr. 200, 45 nrr. 263-264, 123 nr. 65). In un’iscrizione dall’isola di Lesbo, Vespasiano veniva proclamato oé euèerge@tav ta^v oièkhme@nav (IG, XII,2, 543). Limitati alla spedizione giudaica i riferimenti a guerre esterne (RIC, II, p. 57 nr. 356: l’imperatore stringe le mani della personificazione della Giudea in segno di fides e clementia), cfr. Turcan, Images de Paix, cit. 57.

 

[90] Supra.

 

[91] RIC, II, p. 17 nr. 22, legenda: PONTIF MAXIM (che completa la titolatura sul recto), cfr. Pera, Ramus, cit. 193-194. Lo stesso tipo monetale fu ripreso negli anni seguenti: RIC, II, pp. 20 nr. 48 (anni 72-73), 21 nr. 65 (73), 23 nrr. 76-77, 83 (74), 25 nr. 94 (75); significativamente monete identiche furono dedicate a Tito nel 73-74 (RIC, II, p. 35 nrr. 169, 174). Nelle monete della consacrazione, il divo Vespasiano fu raffigurato radiato e togato, seduto sulla sedia curule, con ramo d’olivo nella destra e scettro nella sinistra (RIC, II, p. 133 nrr. 145-146), come nell’iconografia augustea (supra); stesso tipo verrà adottato anche per i divi Traiano (RIC, II, p. 422 nrr. 627 a-b) e Adriano (RIC, II, p. 471).

 

[92] RIC, II, pp. 17 nrr. 23-26 a, 49 nr. 293. Si osservi che la nuova politica dinastica veniva considerata uno dei cardini della firmitas promessa da Vespasiano (De Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 255-257).

 

[93] Oros. hist. 7.9.9.

 

[94] F. Castagnoli, Politica urbanistica di Vespasiano in Roma, in Studi vespasianei, cit. I 261-275.

 

[95] Per la cronologia del tempio, cfr. Joseph BJ 6.158. L’edificio con le relative basi (infra, nota nr. 99) si trovava all’interno del pomerio mentre l’Ara Pacis Augustae era stata collocata nel Campo Marzio; il tempio della Concordia inaugurato da Tiberio nel 10 d.C. e l’aedes omonima dedicata più tardi da Livia in memoria di Augusto alludevano solo alla concordia della famiglia imperiale, senza alcun riferimento alle guerre civili (Béranger, Principatus, cit. 371-372; vedi inoltre Amit, Concordia, cit. 145-146).

 

[96] Joseph BJ 7.5.7.161-162: aène@qhke d’eèntau^qa kai# ta# eèk tou^ iéerou^ tw^n  èIoudai@wn crusa^ kataskeua@smata semnuno@menov eèp’auètoi^v. To@n de# no@mon auètw^n kai# ta# porfura^ tou^ shkou^ katapeta@smata prose@taxen eèn toi^v Basilei@oiv aèpoqeme@nouv fula@ttein. La celebrazione della riconciliazione fra Romani passava quindi attraverso il trionfo sui Giudei in rivolta (sulla guerra cfr. Garzetti, Impero, cit. 243-244; Bianco, Monetazione di Vespasiano, cit. 158-165), come in passato la vittoria su Cleopatra aveva legittimato l’eliminazione di Antonio (Turcan, Images de Paix, cit. 57; vedi inoltre Belloni, Eirene e Pax, cit. 133-134).

 

[97] Svet. Vesp. 9.1: Fecit et nova opera templum Pacis foro proximum; Plin. nat. 36.38: in templo Pacis ab imperatore Vespasiano Augusto dicato; Joseph BJ 7.5.7, cfr. Koch, Pax, cit. coll. 2435-2436; J. Isager, Vespasiano e Augusto, in K. Ascani-T. Fischer-Hansen-Fl. Johansen-S. Skovgaard Jensen-J.E. Skydsgaard (a cura di) Studia romana in honorem Petri Krarup septuagenarii, Odense 1978, 66-67; Castagnoli, Politica urbanistica, cit. 271-273. Si è giustamente sottolineato come anche attraverso il tempio e le opere d’arte ivi conservate Vespasiano mirasse a porre a disposizione del popolo oggetti e spazi che in passato erano stati privati (vedi anche P. Sommella-L. Migliorati, Il segno urbano, in Schiavone, Storia di Roma, II.2, cit. 305-307).

 

[98] Bianco, Monetazione di Vespasiano, cit. 168-184; Isager, Vespasiano e Augusto, cit. 64-71; Palladini, Pax Flavia, cit. 224-225; R. Günther, Politische Herrschaftskonzeptionen der Flavier unter besonderer Berücksichtigung Vespasians, SIFC ser. 3, 10, 1992, 940-945, in particolare 941-942; Hurlet, Lex de imperio, cit. 264-265, 268, 279-280; Turcan, Images de Paix, cit. 57. La fine delle guerre civili rappresentava un naturale parallelo con il principato di Augusto ed i richiami alla propaganda augustea non erano rari nelle monete e nella politica monumentale di Vespasiano (p.e. Svet. Vesp. 9.1).

 

[99] - CIL, VI, 199 (pp. 3004, 3755) = 30712 d = 36747 d = ILS, 6050 = AE, 1999, 192 (del 71): Paci August(ae) / sacrum. / L(ucius) Caesilius Tauriscus Tarquinie(n)s(is), / C(aius) Portumius Phoebus II, / L(ucius) Silius Carpus, / L(ucius) Statius Patroclus II, / D(ecimus) Novius Priscus, / P(ublius) Suillius Celer, / Ti(berius) Claudius Hermetis l(ibertus) Helius, / P(ublius) Agrasius P(ubli) f(ilius) Marcellus, / curatores trib(us) Suc(usanae) iunior(is) s(ua) p(ecunia) d(onum) d(ederunt) / permissu M(arci) Arricini Clementis. // Ponend(um) cur(avit) / L(ucius) Faenius Evanthes iunior. Per la cronologia del testo si veda De Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 243-244.

- CIL, VI, 200 (pp. 3004, 3755) = 30712 e = 36747 e = ILS, 6049 (del 70-71): Paci Aeternae / domus / Imp(eratoris) Vespasiani / Caesaris Aug(usti) / liberorumq(ue) eius / sacrum / trib(us) Suc(usana) iunior(um) / [------]. Nello specchio della faccia laterale destra si legge: Dedic(atum) XV K(alendas) Dec(embres) / L(ucio) Annio Basso / C(aio) Caecina Paet(o) / co(n)s(ulibus); la data del consolato oscilla fra il 70 ed il 71 d.C. (De Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 240-241 e note nrr. 22 e 29); negli specchi posteriore e laterale sinistro sono riportati su otto colonne (corrispondenti al numero delle centurie) i nomi in ordine alfabetico dei 727 iuniores della tribù, che avevano forse attivamente partecipato alla guerra civile nelle file di Vespasiano. Il riferimento alla Pace eterna non trova precedenti significativi secondo De Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 252-253.

Quest’ultimo (ibid. 244-246, 262-263, 266-267) ritiene che le due basi e CIL, VI, 198 (dedica alla Victoria Augusti) fossero commissionate dai membri della tribù Sucusana per celebrare l’adventus in Roma di Vespasiano e che fossero collocate nell’area antistante il Tabularium, successivamente occupata dal tempio del Divus Vespasianus.

 

[100] Tre testimonianze giungono dalla penisola iberica:

- CIL, II, 3349 (p. 951) = II,7, 3 = ILS, 3786 da Ossigi Latonium in Baetica: Augusto. / Paci perpetuae et Concordiae / Augustae / Q(uintus) Vibius Felicio sevir et / Vibia Felicula ministra Tutelae / Augustae / d(e) s(ua) p(ecunia) d(ederunt) d(edicaverunt). Paleograficamente il testo sembrerebbe del principato di Vespasiano; l’iscrizione si riferirebbe al fondatore della dinastia Flavia, l’unico a poter esser indicato in questa fase come Augustus senza ulteriori specificazioni (R. Étienne, Le cult impérial dans la péninsule ibérique d’Auguste à Dioclétien, Paris 1958, 270, 289; Pera, Ramus, cit. 193). Meno bene Taeger, Charisma, cit. 147; Amit, Concordia, cit. 145; Fears, Theology of Victory, cit. 822; Id., Virtues, cit. 908 che attribuiscono l’iscrizione al principato di Augusto, in relazione alle celebrazioni ricordate da Dione Cassio nel 10 a.C. (54.35.2), cfr. supra, nota nr. 45; in ogni caso la dedica farebbe riferimento alla pace sia con le popolazioni straniere sia all’interno dell’impero.

- CIL, II, 3732 = II,14, 13 = ILS, 259 da Valentia in Hispania Tarraconensis: [Ca]es(ari) T(ito) Imp(eratori) / Vespasiano Aug(usto) / Vespasiani f(ilio) conser/[v]atori pacis Aug(ustae). Pur riconoscendo che in questo caso la figura centrale è quella di Tito, è tuttavia difficile non inserire anche questa iscrizione nel filone propagandistico di Vespasiano (su posizioni in parte differenti Taeger, Charisma, cit. 334-336).

- Probabilmente di età vespasianea (ÉTIENNE, Cult impérial, cit. 270) anche CIL, II, 1061 da Arva, in Baetica: Paci Aug(ustae) / sacrum. / L(ucius) Licinius / Crescentis / lib(ertus) Hermes / VIvir Augustalis / d(e) s(ua) p(ecunia) d(onum) d(edit).

 

[101] Turcan, Images de Paix, cit. 57.

 

[102] RIC, II, p. 225 nr. 32: legenda PAX AVGVSTI.

 

[103] Belloni, Significati, cit. 1072-1074; dello stesso parere Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 239; Turcan, Images de Paix, cit. 56; alla Concordia exercituum pensa Amit, Concordia, cit. 151.

 

[104] Turcan, Images de Paix, cit. 56-57. Sugli avvenimenti di quegli anni cfr. Garzetti, Impero, cit. 37-42, 46-51; R. Syme, Tacitus, Oxford 1963, 10-11; Pani, Dai Flavi ad Adriano, cit. 275; G. Migliorati, L’idea della guerra nella propaganda di Traiano, in Guerra nel mondo antico, cit. 226-227.

 

[105] Può essere utile a questo proposito consultare gli indici dei volumi del Roman Imperial Coinage per avere un’idea della diffusione del tema della Pax: RIC, I2, pp. 285, 291 (monete di Augusto, Claudio, Nerone, imperatore anonimo durante le guerre civili, Galba, Otone Vitellio); RIC, II, pp. 505-506, 548-549 (Vespasiano, Tito, Domiziano, Nerva, Traiano, Adriano); RIC, III, pp. 461, 492-493 (Antonino Pio, Marco Aurelio, Lucio Vero, Commodo); RIC, IV,1 pp. 358, 384 (Settimio Severo, Clodio Albino, Caracalla); RIC, IV,2, pp. 192, 204 (Elagabalo, Severo Alessandro, Massimino il Trace, Gordiano I, Gordiano II, Balbino, Pupieno); RIC, IV,3, pp. 215, 228-229 (Gordiano III, Filippo l’Arabo, Filippo il Giovane, Decio, Ostiliano, Treboniano Gallo, Volusiano, Emiliano); RIC, V,1, pp. 384, 410 (Valeriano, Gallieno, Claudio II, Quintillo, Aureliano, Tacito, Floriano); RIC, V,2, pp. 636-637, 678-679 (Postumo, Leliano, Vittorino, Tetrico, Tetrico II, Probo, Caro, Carino, Numeriano, Diocleziano, Massimiano, Carausio, Galerio, Alletto); RIC, VI, pp. 703, 711 (Costanzo Cloro, Massenzio, Costantino); RIC, VII, p. 744 (Costantino e Licinio); RIC, VIII, pp. 564, 568, 584 (Costantino II, Costante, Costanzo II); RIC, IX, p. 320 (Valentiniano, Valente); una rassegna delle differenti iconografie e legende in Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 217-228, 238-250. Sinonimo della pace potrebbero essere i riferimenti numismatici alla Tranquillitas (cfr. infra, nota nr. 116) e alla Securitas (Amit, Propagande, cit. 60-61; A. Arnaldi, Motivi di celebrazione imperiale su monete ed epigrafi, RIN 82, 1980, 93-94; Lana, Rapporto, cit. 24).

 

[106] Secondo Amit, Propagande, cit. 57 e Béranger, Principatus, cit. 372 l’uso delle due forme non avrebbe una reale distinzione di significato; per A. Wallace-Hadrill, The emperors and his virtues, «Historia» 30, 1981, 309, Winkler, Salus, cit. 95 e Turcan, Images de Paix, cit. 56, invece, PAX AVGVSTI (legenda apparsa per la prima volta con Claudio) sottolineerebbe un impegno diretto dell’imperatore nella realizzazione della pace e sancirebbe una sorta di contratto fra il princeps regnante ed i Romani.

 

[107] Si veda per esempio la serie monetale dell’anno 71 (supra, nota nr. 85) con la Pax (identificabile con Vespasiano) nell’atto di bruciare una catasta d’armi; identica iconografia ma con Pax che nella sinistra stringe uno scettro nel 183-184 (RIC, III, p. 374 nr. 77), forse in relazione al felice esito della spedizione di Lucio Ulpio Marcello in Britannia contro i Caledoni (F. Grosso, La lotta politica al tempo di Commodo, Torino 1964, 450-451; Salway, Roman Britain, cit. 210-211), nel 210 (RIC, IV,1, p. 121 nr. 235) da collegare alla conclusione della prima campagna di Settimio Severo in Britannia o all’inizio della seconda spedizione (A.R. Birley, Septimius Severus, the African emperor, London 1971, 255-264, 267-268; Salway, Roman Britain, cit. 230; C. Letta, La dinastia dei Severi, in Schiavone, Storia di Roma, II.2, cit. 672), infine nel 215 (RIC, IV,1, p. 251 nr. 268) connessa ai primi successi diplomatici in Oriente di Caracalla (Letta, Severi, cit. 679-680). Una raro denario di Domiziano (RIC, II, p. 121 nr. 39: anno 80) con legenda PRINCEPS IVVENTVTIS, mostra la Pax assisa in trono con un supplice ai suoi piedi. Nella monetazione di Traiano degli anni 98-99 (RIC, II, pp. 245 nrr. 6-7, 246 nrr. 16-17, 272 nrr. 383-384, 389-391, 273 nr. 401) la Pax è assisa con ramoscello d’olivo e scettro o in piedi con ramoscello d’olivo e cornucopia o con una piccola Vittoria e ramo d’olivo; in una serie di denari coniati fra il 103 ed il 111 (RIC, II, pp. 257 nr. 190 a, 280 nrr. 503-506, 286 nr. 592) Pax con ramo d’olivo e cornucopia preme il piede sul collo di un barbaro identificato con il demone della guerra (Belloni, Significati, cit. 1105; Id., Eirene e Pax, cit. 141) o con lo stesso Decebalo (O. Richier, Les thèmes militaires dans le monnayage de Trajan, «Latomus» 56, 1997, 600); nello stesso periodo una seconda serie (RIC, II, pp. 256-257 nrr. 187-190, 281 nrr. 510-512) mostra Pax assisa in trono e con il caduceo in mano nell’atto di offrire un ramo d’olivo ad un Dace supplice e non legato; intermedie le emissioni RIC, II, pp. 257 nr. 190 a (Pax in piedi con ramoscello d’olivo e cornucopia, ai piedi un Dace seduto), 280 nrr. 503-506 (Pax assisa in trono con ramoscello d’olivo e cornucopia mentre ai suoi piedi si trova un Dace).

 

[108] Cfr. supra per alcune raffigurazioni di Augusto e Claudio. Per Vespasiano e i suoi figli, cfr. RIC, II, pp. 16 nrr. 9-10 (Vespasiano: anni 69-71), 19 nr. 39 (anni 70-72), 24 nr. 90 (anno 75), 26 nrr. 101-101 a (anno 76), 36 nr. 185 (anno 75), 37 nr. 193 (anno 75), 38 nr. 200 (anno 78), 45 nrr. 263-264 (anni 69-70), 59 nr. 371 (anno 69), 121 nr. 39 (Domiziano: anno 80), 123 nr. 65 e 148 nr. 249 (Tito: anni 80-81), 186 nr. 254 (Domiziano: anno 85); per Nerva RIC, II, 230 nr. 107 (anno 98); per Traiano RIC, II, pp. 245-246 nrr. 6-7 e 16-17 (anni 98-99), 247 nr. 38 (anno 100), 252 nrr. 125-125 (anni 103-111), 256-257 nrr. 186-190 a (anni 103-111), 280-281 nrr. 503-513 (anni 103-111), 286 nr. 592 (anni 112-117); per Adriano, RIC, II, pp. 342 nr. 22 d (anno 117), 351 nrr. 94-95 (anni 119-122), 402 nr. 514 (138), 420 nrr. 616 a-c (anni 121-122); per Antonino Pio, RIC, II, pp. 483-484 nrr. 1079-1081 (anno 138), 485 nr. 1094 (anno 138) e RIC, III, pp. 28 nr. 23 (anno 139), 30-31 nrr. 35 e 51 (anno 139), 36 nr. 86 (anni 140-143), 40 nr. 117 (anno 144), 42 nr. 130 e 45 nr. 153 (anni 145-161), 46 nr. 165 (anni 147-148), 56 nrr. 246, 252 (anni 155-156), 96-97 nrr. 521, 526 (anno 138), 98 nrr. 531-532 (anno 139), 101 nr. 547 (anno 139), 103 nrr. 567, 569 a-b (anno 139), 117 nr. 701 (anni 140-144), 143-144 nr. 945, 952 (anni 155-156), 170 nr. 1203 (anni 141-161); per Marco Aurelio, RIC, III, pp. 221 nr. 114 (anni 163-164), 226 nr. 164 (anno 166), 309 nrr. 1215-1216 (anno 177), 310 nr. 1229 (anni 177-178); per Commodo, RIC, III, pp. 368-369 nrr. 17-18, 30 (anni 181-182), 373 nr. 64 (anno 183), 374 nr. 77 (anni 183-184), 389 nr. 210 (anno 190), 410-411 nrr. 362-363, 373 (anno 183), 413 nrr. 404-405 (anni 183-184), 414 e 416 nrr. 415, 434-435 (anni 183-184), 430 nr. 556 (anno 190). Si vedano inoltre RIC, IV,1, pp. 101 nrr. 85, 88 a-b (Settimio Severo: anni 196-197), 121 nr. 235 (anno 210), 157 nrr. 490 a-b e 190 nrr. 724, 727 (anni 196-197), 191 nr. 739 (anno 197), 238 nr. 184 (Caracalla: anno 211), 251 nr. 268 (anno 215); RIC, IV,2, pp. 29 nr. 21 (Elagabalo: anno 219), 30 nr. 29 (anno 220), 73 nrr. 26-27, 38-40 (Severo Alessandro: anni 223-224), 75 nrr. 66-67 (anno 227), 76 nrr. 79-80 (anno 228), 104 nrr. 402-403 (anno 223), 105 nrr. 417-418 (anno 224), 106 nr. 445 (anno 226), 108 nrr. 465-466 (anno 227), 109 nrr. 479-480 (anno 228), 160 nr. 2 (Gordiano I: anno 238; l’identificazione è incerta); RIC, IV,3, pp. 17 nrr. 17, 22 (Gordiano III: anno 239), 150 nr. 222 (Ostiliano augusto: anno 251). L’uso scompare definitivamente nella seconda metà del III secolo (per il periodo, cfr. infra, § 5).

 

[109] Questo aspetto è ancor più evidente in alcune rappresentazioni in cui la Pax tiene in mano lo scettro, simbolo del potere imperiale: RIC, II, pp. 230 nr. 107 di Nerva; RIC, II, pp. 256-257 nrr. 187-190, 280 nr. 508, 281 nrr. 510-512 di Traiano; RIC, II, p. 351 nr. 94 di Adriano; RIC, II, pp. 483-484 nrr. 1079-1081 di Antonino Pio cesare; RIC, III, pp. 98 nr. 531 a di Antonino Pio; RIC, III, pp. 368-369 nrr. 18, 30, 374 nr. 77 di Commodo; RIC, IV,1, pp. 101 nrr. 85, 88 a-b, 121 nr. 235, 157 nrr. 490 a-b, 190 nrr. 724, 727, 191 nr. 739 di Settimio Severo; RIC, IV,1, pp. 238 nr. 184, 251 nr. 268 di Caracalla; RIC, IV,2 p. 29 nr. 21 di Elagabalo; RIC, IV,2 pp. 73 nrr. 26-27, 38-40, 75 nrr. 66-67, 76 nrr. 79-80, 104 nrr. 402-403, 105, nrr. 417-418, 106 nr. 445, 108 nrr. 465-466, 109 nrr. 479-480 di Severo Alessandro; forse RIC, IV,2 p. 160 nr. 2 di Gordiano I; RIC, IV,3, p. 17 nrr. 17, 22 di Gordiano III; RIC, IV,3, p. 150 nr. 222 di Ostiliano.

 

[110] Belloni, Significati, cit. 1106; Arnaldi, Celebrazione imperiale, cit. 88-89; Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 14; Lana, Idea della pace, cit. 34-35; Id., Rapporto, cit. 24-25; G. Mazzoli, Guerra e pace in Seneca, in Pace nel mondo antico 1990, cit. 212, 215-216; Mastino, Orbis, cit. 82-83; Galimberti, Seneca, cit. 200-201; Turcan, Images de Paix, cit. 58-60; P. Siniscalco, L’uomo e la pace in scritti cristiani del II e del III secolo, in Concezioni della Pace, cit. 260.

 

[111] Mazzoli, Seneca, cit. 216; Lana, Rapporto, cit. 24-25; De Martino, Pace a Roma, cit. 37. In maniera ancor più esplicita Seneca riteneva che all’esterno dell’impero romano, dunque fra i Barbari, non vi fosse possibilità di pace e che questa fosse frutto di persuasione e condivisione, quindi Pax non Augusta ma Romana. Su posizioni più tradizionali Tacito (hist. 4.74), per il quale la pace veniva imposta dalle armi di Roma, ridimensionando conseguentemente l’apporto dei vari principes alla sua realizzazione (Turcan, Images de Paix, cit. 60).

 

[112] Plin. paneg. 29.2: ... parens noster auctoritate, consilio, fide reclusit vias, portus patefecit, itinera terris, litoribus mare, litora mari reddidit, diversasque gentes ita commercio miscuit, ut, quod genitum esset usquam, id apud omnes natum videretur. Espressioni simili si trovavano nell’ E„j Basile…a (Aristid. Or. 9 D, 67 cfr. infra, nota nr. 114): ouè pa^sa aòdeia pa^sin me#n oçph bou@letai@ tiv, pa@ntev de# oié pantacou^ lime@nev eènergoi#, ouè ta# me#n oòrh th#n auèth#n eòcei toi^v oédeu@ousin hçnper aié po@leiv toi^v oièkou^sin auèta#v aèsfa@leian, ca@riv de# pa@nta eèpe@cei pedi@a, pa^v de# dia# pa@ntwn le@lutai fo@bov; poi^oi me#n ga#r po@roi potamw^n kekw@luntai dielqei^n; ti@nev de# qala@tthv aèpoke@kleintai porqmoi@; nu^n kai# panhgu@reiv faidro@terai kai# eéortai# qeofile@sterai; nu^n kai# to# Dh@mhtrov pu^r lampro@teron kai# iéerw@teron. Sull’età dell’oro, cfr. Turcan, Janus, cit. 388-389; Id., Images de Paix, cit. 58-59; Mastino, Orbis, cit. 78-85.

 

[113] Plin. paneg. 16.1-5: Traiano viene lodato per non aver ceduto alla tentazione di attaccare battaglia anche quando la vittoria era certa, conscio dei danni che provocava la guerra e del valore della vita dei propri soldati, cfr. Belloni, Significati, cit. 1105-1106.

 

[114] Aristid. Or. 9 D, 66-67. Sono oggetto di discussione l’attribuzione dell’orazione al retore Elio Aristide e la cronologia del testo (C.P. Jones, Aelius Aristides, E„j Basile…a, JRS 62, 1972, 134-152 propende ad esempio per un discorso autentico di Elio Aristide scritto in onore di Antonino Pio; confuta puntualmente le sue conclusioni Ch.A. Behr, Studies on the Biography of Aelis Aristides, ANRW II 34.2, 1994, 1219-1223); recentemente D. Librale, L’Eièv Basilei@adello pseudo-Aristide e l’ideologia traianea, ibid., 1271-1313 (con ampia panoramica sulle teorie precedenti), ritiene si tratti di un testo contemporaneo del panegirico di Plinio il Giovane (supra, nota nr. 112) e dei discorsi “Peri# basilei@av” di Dione Crisostomo, redatto forse dal sofista Iseo durante il suo soggiorno nell’Urbe.

 

[115] Hist. Aug. Hadr. 5.1: ... tenendae per orbem terrarum paci operam impendit. A questo tema alludevano certamente alcune monete (RIC, II, pp. 342 nr. 22 d, 351 nrr. 94-95, 402 nr. 514, 420 nr. 616) che associano la rappresentazione della pace alla titolatura dell’imperatore. Una panoramica sui temi della pace nella propaganda adrianea in M.P. González-Conde, La guerra y la pax bajo Trajano y Adriano, Madrid 1991, 53-55.

 

[116] Il legame fra Pax e Tranquillitas era già chiaro a Cicerone (Phil. 2.113): Pax est tranquilla libertas. La Tranquillitas, intesa verosimilmente come rinuncia all’espansione militare, è raramente ricordata dagli imperatori: ad essa accenna Plinio il Giovane in una lettera a Traiano (Plin. epist. 3,2: tranquillitas saeculi tui); nelle monete la troviamo in RIC, II, p. 559 (Adriano), RIC, III, p. 504 (Antonino Pio), RIC, IV,3, p. 231 (Filippo l’Arabo), RIC, V,1, p. 414 (Tacito), RIC, VII, p. 729 (Costantino); a questi esempi si possono aggiungere tre iscrizioni della Moesia Inferior, databili fra il 300 ed il 305 (cfr. Kienast, Kaisertabelle, cit. 275; fra il 298 ed il 299 per J. Kolendo, Une inscription inconnue de Sexaginta Prista et la fortification du Bas-Danube sous la Tétrarchie, «Eirene» 5, 1966, 148-149, 152) e relative all’ampliamento dei praesidia sul limes danubiano: AE, 1936, 10 da Durostorum (... [post debella]tas hosti(u)m [gentes confirmata orbi su]o tr[anquillitate ...]); CIL, III, 6151 (p. 1349) = ILS, 641 da Transmarisca (... post debellat[a]s hostium gent[e]s confirmata orbi suo tranquillitate); AE, 1966, 357 da Sexaginta Prista (... post debellat(as) hostium gent(es) confirmata [or]bi s[u]o tranquillitate ...); nell’edictum de maximis praetiis (IAphrodisias, 231, l. 9, vedi infra, nota nr. 206) del 301 si legge: [... tranquillo orbi]s sta[t]u ... Parlando di Costantino, Lattanzio (mort. pers. 1.2) riferisce: ecce adtritis omnibus adversariis, restituta per orbem tranquillitate, profligata nuper ecclesia rursus resurgit. Si ricordi, infine, la dedica votiva di Antium, Regio I (CIL, X, 6643 = ILS, 3278: 36 a.C.) con riferimento alla tranquillità del mare, liberato dai pirati di Sesto Pompeo: Ara Tranquillitatis // Ara Tranquillita(tis), cfr. AMIT, Propagande, cit. 59-60; Kolendo, Fortification, cit. 153-154; Arnaldi, Celebrazione imperiale, cit. 85-95; Fears, Virtues, cit. 903, 905; Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 15.

 

[117] RIC, III, pp. 242 nr. 379 (Marco Aurelio: anni 176-177), 389 nr. 212 (Commodo), 430 nr. 557 (anno 190); contemporanea la rappresentazione di Pax, seduta, con ramo d’olivo e scettro (RIC, III, p. 430 nr. 556).

 

[118] RIC, III, pp. 156 nr. 1059 (Antonino Pio), 233 nr. 263 (Marco Aurelio, anni 172-173), 235 nrr. 282-283 (172-173), 236 nrr. 296-297 (173-174), 237 nr. 307 (174), 383 nrr. 156-157 (Commodo: anni 187-188), 424 nr. 502 (186-187).

 

[119] Pera, Ramus, cit. 194.

 

[120] M. Pavan, Sul significato storico dell’Encomio di Roma di Elio Aristide, PP 17, 1962, 81-95, in particolare 87-89; A. Mastino, Antonino Magno, la cittadinanza e l'impero universale, in P. Catalano-P. Siniscalco (a cura di), La nozione di «Romano» tra cittadinanza e universalità, Da Roma alla Terza Roma, Studi 2, Napoli 1984, 562-563: l’encomio fu forse pronunciato a Roma il 21 aprile 148 in occasione dei festeggiamenti per i 900 anni di Roma. Alcuni rilievi da Villa Medici a Roma sembrerebbero pertinenti ad un monumento costruito in occasione dei decennalia (10 luglio 148) o dei vicennalia (10 luglio 158) di Antonino Pio per celebrare i suoi successi nella politica orientale, in particolare nel conflitto fra Parti e Armeni (P. Veyne, Vénus, l'univers et les vœux décennaux sur les reliefs Médicis, REL 38, 1960, 306-322, in particolare 317-318; P. Claudia, Sulla presunta raffigurazione del tempio di Spes Vetus su un denario di Antonino Pio, «Aevum» 66, 1992, 79-86).

 

[121] Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 15; J. Irmscher, La concezione della Pace nei Padri della Chiesa e l’ideologia imperiale, in Concezioni della Pace, cit. 134.

 

[122] Amit, Propagande, cit. 58; una sintesi sul periodo in Mazza, Lotte sociali, cit. 228-239; P. Grimal, Marco Aurelio, Milano 1991, 137-191.

 

[123] RIC, III, p. 308 nrr. 1202-1204: anno 177.

 

[124] IGRRP, III, 1117 da Phaenae in Syria: éUpe#r swthri@av kai# nei@khv [tw^n] kuri@wn auètok[rato@rwn] L(ou@kiov) Auèrh@liov Ma@ximov eékato@ntarcov leg(iw^nov) iv’ [Fl(abi@av) Fi@r(mhv) / th#n Eièrh@nhn ane@qhken. Per la cronologia cfr. D. Vaglieri, s.v. Flavia (legio), DE 3, 1922, 159 (Marco Aurelio e Commodo); E. Ritterling, s.v. legio, RE 12.2, 1925, col. 1767 (principato di Marco Aurelio e Lucio Vero); non si può tuttavia escludere che il testo si riferisse ad una coppia imperiale del III secolo (per esempio Settimio Severo e Caracalla, Valeriano e Gallieno): la legione era accasermata a Samosata in Commagene fra il principato di Traiano e l’età tarda.

 

[125] Tert. apol. 30.4; cfr. Irmscher, Pace nei Padri della Chiesa, cit. 135; espressioni simili erano già state utilizzate da Clemente Romano (ad. Cor. 60.4 – 61.1); nelle tradizioni liturgiche più antiche si chiedeva a Dio di donare agli imperatori la pace e la vittoria sulle nazioni barbare, cfr. Siniscalco, L’uomo e la pace, cit. 256-259.

 

[126] Su pacator, cfr. Fröhlke, s.v. pacator, ThLL, X,1, 1982, col. 11: le prime testimonianze sono in Seneca (benef. 1.13.3; 5.15.6; Herc. O. 1990). Il corrispondente termine greco eièrhnopoio@v (H. Stephanus, Thesaurus Graecae Linguae, ed. an. Graz 1954, IV, coll. 279-270; H.G. Liddell-R. Scott, A Greek-English Lexicon, revised and augmented throughout by H. Stuart Jones with R. McKenzie, Oxford 1996, 490; cfr. Turcan, Images de Paix, cit. 49), pur già attestato in Senofonte (HG 6.3.4), non sembra aver avuto un grande successo fra gli scrittori greci, con l’eccezione degli autori cristiani. Si osservi che in Plutarco (Moralia, QR 62.279 b) con eièrhnopoi@oi, “coloro che fanno la pace”, si indicavano i feziali, in alternativa a eièrhnofu@lakev, “i custodi della pace” (Num. 12.4.5; cfr. Cam. 18.2). Si deve osservare che lo stesso Dione Cassio (44.49.2: discorso funebre di Cesare, pronunciato da Antonio nel 44 a.C.; cfr. Zonara 2.374.7 e supra, nota nr. 16), nell’elencare i pregi del dittatore, gli attribuiva l’espressione gumno#v oé eièrhnopoio@v, qui usata probabilmente in maniera anacronistica dallo storico greco (Richard, Pax, Concordia, cit. 329-330; Weinstock, Julius, cit. 269).

 

[127] D.C. 72.15.5: auètokra@twr Kai^sar Lou@kiov Aiòliov Auèrh@liov Ko@mmodov Auògoustov, euèsebh@v, euètuch@v, Sarmatiko#v Germaniko#v me@gistov, Bretanniko@v, eièrhnopoio#v th^v oièkoumh@nhv, [euètuch@v], aèni@khtov, éRwmai^ov  éHraklh^v, aèrciereu@v, dhmarcikh^v eèxousi@av to# oèktokaide@katon, auètokra@twr to# oògdoon, uçpatov to# eçbdomon, path#r patri@dov, uépa@toiv strathgoi^v dhma@rcoiv, gerousi@aj Kommodianh^j euètucei^ cai@rein. Il confronto con iscrizioni e papiri (infra, note nrr. 128-129) convince P.J. Sijpesteijn, Commodus’ titulature in Cassius Dio LXXII.15.5, «Mnemosyne» 41, 1988, 123-124 a reintegrare nel testo dioneo euètuch@v, espunto dall’editore.

 

[128] Le testimonianze epigrafiche dimostrano una diffusione dei titoli pacator orbis Romanus, Felix, Invictus, Herculis = eièrhnopoio#v th^v oièkoumh@nhv, euètuch@v, aèni@khtov, éRwmai^ov  éHraklh^v in tutto l’impero:

- CIL, XIV, 3449 = ILS, 400 da Treba nella Regio I (fine anno 192, cfr. Kienast, Kaisertabelle, cit. 148-149): Imp(eratori) Caes(ari) L(ucio) Aelio Aurelio Commodo Aug(usto) / Sa[rmatico] Germanico maximo Brittannico / [p]aca[t]or[i] orbis Felici Invicto Romano Herculi / pontifici maximo tribuniciae potest(atis) X[V]III / imp(eratori) VIII co(n)s(uli) VII patri patriae / omnium virtutum exsuperant(issimo) / ordo decurionum Commodianor(um) IIIC / C(ai) Papi Capitonis [et L(uci)] Volcei Max(imi); si osservi il rarissimo attributo exsuperant(issimus), attestato per Iuppiter ed una volta per Caracalla (CIL, XI, 1066 = XIV, 2073), con il quale Commodo poteva associare la sua figura a quella della suprema divinità del pantheon romano (J. Beaujeu, La religion romaine à l’apogée de l’empire. I, La politique religieuse des Antonins (96-102), Paris 1955, 400-401, 408-409; N. Méthy, Deus exsuperantissimus: une divinité nouvelle? À propos de quelques passages d’Apulée, AC 68, 1999, 99-117. Commodo, in quanto reincarnazione di Ercole, infra, note nrr. 132-134, era conseguentemente “consanguineo” di Giove).

- IANice, 12 da Cimiez (Cemenelum) nelle Alpes Maritimae: [Im]p(eratori) Caesar[i L(ucio) Aelio Aurelio Commodo Aug(usto) Sarmatico Germanico maxi/mo] Britann(ico) p[acatori orbis Felici Invicto Romano Herculi pontifici maximo / trib(unicia)] pot(estate) XVIII i[mp(eratori) VIII ---: ricostruzione e cronologia si basano sostanzialmente sul testo precedente.

- AE, 1928, 86 = 2002, 1501 da Dura-Europos in Mesopotamia: Pro salu/te Com(modi) / Aug(usti) Pii F(elicis) / et Victoria{m} d(omini) n(ostri) / Imp(eratoris) pac(atoris) / orb(is) Invict(i) Rom(ani) Her[c(ulis)] / Ael(ius) Tittia/nus dec(urio) coh(ortis) / II Ulp(iae) eq(uitatae) Com(modianae) / Genio Dura / votum solv(it) / XVI Ka(lendas) Piis / F(a)l{ac}co et Claro / co(n)s(ulibus). L’iscrizione è databile in base alla menzione dei consoli ordinari (Degrassi, Fasti, cit. 53) e del mese Pius = Aprilis (D.C. 72.15.3) al 17/18 marzo del 193: è verosimile che in questa data non fosse ancora giunta nella lontana provincia la notizia della morte dell’imperatore (M.P. Speidel, Commodus the god-emperor and the army, JRS 83, 1993, 109-114).

- Forse il titolo è ricostruibile in AE, 1977, 772 dal foro sud-orientale di Corinto in Achaia: Im[p(eratori) Caesari divi Marci Antonini Pii Germanici] / Sarm[atici f(ilio) L(ucio) Aelio Aurelio Commodo Aug(usto) Pio Sarmatico] / Germa[nico Britannico Felici pacatori (?) orbis (?)] / pontif[ici maximo tribuniciae potestatis] / XVII i[mp(eratori) VIII co(n)s(uli) VII] / p(atri) p(atriae) [---] (1 gennaio – 9 dicembre 192, cfr. Kienast, Kaisertabelle, cit. 148-149).

Si deve molto probabilmente espungere dall’elenco CIL, V, 137*: Imp(eratori) Caes(ari) / L(ucio) Ael(io) Aur(elio) M(arco) Commodo / Ant(onino) P(io) F(elici) Max(imo) Aug(usto) Sar(matico) / Ger(manico) Brit(annico) pacat(ori) orb(is) / terr(arum) Herc(uli) Rom(ano) Amaz(onio) / super(---) Invicto / pont(ifici) m(aximo) tr(ibunicia) p(otestate) XVIII / imp(eratori) VIII co(n)s(uli) VII p(atri) p(atriae) / s(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus posuit). Il testo, inciso su un basamento un tempo conservato a Venezia che sorreggeva una statua di Commodo Erculeo, fu redatto verosimilmente in età rinascimentale in base al passo di Dione Cassio (72.15.5, supra, nota nr. 127) e ad un altro riportato dallo stesso storico greco (72.15.4, anno 191 o 192:  èAmazo@niov Aiòliov Auèrh@liov Ko@mmodov Auògoustov  éHera@kleiov Rwmai^ov  éUperai@rwn) in riferimento alle acclamazioni fatte all’imperatore dal pubblico dell’anfiteatro durante un munus gladiatorio offerto dallo stesso Commodo (J. Gagé, La mystique impériale et l’épreuve des “jeux”. Commode-Hercule et l’”anthopologie” héracléenne, ANRW II 17.2, 1981, 667-668, 672-673; Mastino, Orbis, cit. 85 nota nr. 154). Super allude forse ad exsuperant(issimus) dell’iscrizione di Treba (supra).

 

[129] Per la precisione P. Oxy., XXXI, 2611; SB, XVI, 12239; PSI, IX, 1036. Tutti i testi sono del XXXIII anno di Commodo (quindi del 192) ma solo PSI, IX, 1036 è databile con precisione al mese di Ottobre (11?). Sijpesteijn, Commodus’ titulature, cit. 123-124 rileva la quasi perfetta aderenza del testo dioneo alla titolatura riportata nei papiri, con trascurabili differenze (p.e. eièrhnopoio#v tou^ ko@smou per eièrhnopoio#v th^v oièkoumh@nhv).

 

[130] Grosso, Commodo, cit. 99-102; Mazza, Lotte sociali, cit. 234; G. Clemente, La riorganizzazione politico-istituzionale da Antonino a Commodo, in Schiavone, Storia di Roma, II.2, cit. 636-637.

 

[131] Beaujeu, Religion romaine, cit. 394-397; Turcan, Janus, cit. 383. Nel 185 Commodo assunse per primo ufficialmente il titolo Felix (in passato adottato da Silla, cfr. Carcopino, Silla, cit. 88-92) in parallelo alla celebrazione dei decennalia; nelle monete del 185-186 la rappresentazione della Felicitas non porta la cornucopia ma una statuetta della Vittoria (RIC, III, pp. 377 nr. 109, 380 nrr. 128-129) e dunque era fondata sul ca@risma dell’imperatore, trionfante su tutti i nemici di Roma; dello stesso periodo è la legenda SAEC. FEL. (RIC, III, pp. 378 nr. 113, 381 nr. 136, 417 nrr. 449 a-b, 421 nr. 472, 422 nr. 482) e altri manifesti propagandistici come Felicitas perpetua, temporum felicitas, felicitas publica, Fortuna Felix, Votis Felicibus. Sono infine interessanti le emissioni MARTI PACATORI (RIC, III, pp. 385 nrr. 174-175 del 188-189, 386 nrr. 188-188 a del 189, 427 nr. 527, 428 nr. 543), apparse per la prima volta negli anni 188-189, sintesi estrema della concezione del bellum iustum, della pace che giustificava la guerra (Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 240; per gli antecedenti aristotelici di questa visione, cfr. Lana, Idea della pace, cit. 41-42).

 

[132] Beaujeu, Religion romaine, cit. 401-406; Grosso, Commodo, cit. 326-344; P. Kneissel, Die Siegestitulatur der römischen Kaiser, Göttingen 1969, 119; Gagé, Commode-Hercule, cit. 662-665; M. Jaczynowska, Le culte de l’Hercule romain au temps du Haut-Empire, ANRW II 17.2, 1981, 638-640; Mastino, Orbis, cit. 84-86.

 

[133] R. Schilling, L’Hercule Romain en face de la réforme religieuse d’Auguste, RPh 16, 1942, 31-57; Beaujeu, Religion romaine, cit. 86-87; Grosso, Commodo, cit. 331-334; Gagé, Commode-Hercule, cit. 668-670; Jaczynowska, Culte de Hercule, cit. 634-638; Grimal, Marco Aurelio, cit. 104-105; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 233-234: Ercole era l’eroe che aveva liberato il mondo dai mostri che lo infestavano (Sen. Herc. O. 1990: Hercules, domitor magne ferarum orbisque simul pacator), era il modello del re buono e virtuoso, che riusciva a trionfare sulle sue passioni; era il figlio caro a Giove, giunto dalla penisola iberica per liberare la valle del Tevere dal brigante Caco; era infine il semidio che aveva soggiornato sulla terra prima di essere assunto nell’Olimpo, dunque un esempio di apoteosi molto utile per il culto dei divi Augusti. Si osservi inoltre che grazie a Traiano e Adriano il culto di Ercole aveva assunto un carattere “universale”, fondendo tradizioni greche, romane ed orientali, e che ben presto era divenuto il protettore della dinastia antonina (Mastino, Orbis, cit. 78-79).

 

[134] Gagé, Commode-Hercule, cit. 668.

 

[135] Cfr. Taeger, Charisma, cit. 408, 424; Kneissel, Siegestitulatur, cit. 172; sul rapporto Commodo-Settimio Severo, si veda inoltre Birley, Severus, cit. 198-199. Per la documentazione epigrafica:

- CIL, II, 1969 (pp. XLIII, LXXIX) da Malaca in Baetica: ------ / Imp(eratoris) Caesar(is) L(uci) Sept(imi) Severi / Pii Pertinacis Aug(usti) / Parthici Arabici Adiabenici / pacatoris orbis / et fundatoris / imperii Romani [f]ilio / r(es) p(ublica) Malaci[t(ana)] d(onum) d(at). Per Mastino, Orbis, cit. 136, il testo è dell’anno 197.

- CIL, II, 1669 = II,5, 74 base marmorea da Tucci sempre in Baetica: Imp(eratori) Caesari M(arco) Aurelio / Antonino Aug(usto) L(uci) Septimi / Severi Pii Pertinacis / Aug(usti) Arabici Adiabenici / Parthici maximi pa/catoris orbis filio / d(ecreto) d(ecurionum) res publica / Tuccitanorum. Mastino, Orbis, cit. 136 pone l’iscrizione negli anni 198-209.

- CIL, II, 1670 = II,5, 75 sempre da Tucci: [[P(ublio) Septimi[o Getae nob(ilissimo)]]] / [[C[a]esari]] L(uci) Septimii / Severi Pii Pertinacis / Aug(usti) Arabici Adiabe/nici Parthici maxi/mi pacatoris orbis fi/lio et M(arci) Aureli Anto/nini Imp(eratoris) fratri res / publica Tuccitanorum / d(atum) d(ecreto) d(ecurionum); probabilmente una base gemella alla precedente; il terminus ante quem è il settembre / ottobre del 209 quando Geta divenne augusto (A. Mastino, Le titolature di Caracalla e Geta attraverso le iscrizioni (Indici), Bologna 1981, 37-38; Id., Orbis, cit. 136).

- CIL, II,5, 76 ancora una base da Tucci: Imp(eratori) Caes(ari) / Getae Severo Aug(usto) divi Septi/mi Severi Pii Pertinacis Aug(usti) / Arabici Adiabenici Parthi(ci) / m(aximi) pacatoris orbis f(ilio) / et M(arci) Aurelii Antonini Imper(atoris) frat(ri) / res publica Tuccit(anorum) / d(atum) d(ecreto) d(ecurionum); l’iscrizione è da porre fra il 4 febbraio 211 ed il 19/26 dicembre del 211 (Kienast, Kaisertabelle, cit. 157, 166).

- CIL, II, 2124 = II,7, 60 da Isturgi in Baetica: Imp(eratori) Caes(ari) L(ucio) Septi/mio Severo Pio / Pertinaci Aug(usto) / Arabico Adiabenico pontif(ici) / maximo imp(eratori) X trib(unicia) potest(ate) / VI co(n)s(uli) II pacatori orbis / res publica Isturgitanorum / d(ecreto) d(ecurionum) d(edit). Cr. González Román, editore di CIL, II,7, 60, data questa base di statua al 197, forse al mese di novembre; propende invece per il 198 Mastino, Orbis, cit. 136 supponendo un errore nel computo delle acclamazioni imperiali.

- AE, 1999, 1844 da Mustis in Africa Proconsolare (4 febbraio 211- fine settembre 213): Divo L(ucio) Septimio Seve/ro Pio Pertinaci patri / Imp(eratoris) Caes(aris) M(arci) Aureli Severi / Antonini Pii Felicis / Augusti Parthici Ara/bici maximi Britanni/ci maximi pontificis / max(imi) patris patriae / ordo Mustitanus paca/tori deo d(ecreto) d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica). Secondo A. Mastino, I Severi nel Nord Africa, in XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina (Roma, 18-24 settembre 1997), Roma 1999, 381-382 il divo Settimio Severo fu ricordato in questo modo dai Mustitani per il lungo periodo di pace goduto dalla provincia.

- AE, 1894, 15 = CIL, VIII, 21613 da Portus Magnus in Mauretania Caesariensis: [[[P(ublio) Septimio Getae]]] / [[Caes(ari)]] L(uci) Septimi / Severi Pertina/cis Aug(usti) Parthi/ci Adiabenici / pacatoris orbis / et fundatoris / imperi Romani / [[f[i]l(io)]] res pub(lica) Port(i) / Mag(ni). Per Mastino, Caracalla e Geta, cit. 165; Id. Orbis, cit. 136 il testo è del 198-209.

 

[136] RIC, IV,1, pp. 106 nrr. 128-129 (denarii del 198-200), 112 nr. 160 (aurei e denari del 200-201). Una variante (Settimio Severo senza libro e a capo scoperto) su alcuni denari di Giulia Domna (RIC, IV,1, p. 172 nr. 593). Vale la pena ricordare che siamo alla fine della campagna partica, prima del rientro a Roma dell’imperatore (Birley, Severus, cit. 202-211). Il concetto è ribadito anche nella Historia Augusta (Sept. Sev. 22.4): non solum victor sed etiam in aeternum pace fundata vol<v>ens animo (l’episodio si riferisce alla fase finale della campagna britannica, cfr. Birley, Severus, cit. 265-266; Salway, Roman Britain, cit. 228-231).

 

[137] RIC, IV,1, p. 231 nr. 129 (anni 201-206): non è tuttavia certo che la figura rappresentata nel recto della moneta sia realmente il figlio di Settimio Severo. Una variante coeva in RIC, IV,1, p. 234 nr. 154 a (Caracalla, togato, tiene in mano un ramoscello d’olivo), successivamente ripresa in RIC, IV,1, p. 261 nr. 318 a (anni 213-217). Caracalla e Geta furono raffigurati inoltre stanti, con ramo d’olivo e scettro o lancia rovesciata e con alle spalle un trofeo al quale è appoggiato uno scudo e legenda princeps iuventutis variamente abbreviata (RIC, IV,1, pp. 218 nr. 38 a, Caracalla: anni 199-200; 316 nrr. 16-18, 331 nrr. 113 a, Geta: anni 200-202).

 

[138] Belloni, Eirene e Pax, cit. 143.

 

[139] RIC, IV,1, p. 126 nr. 282, databile fra il 203 ed il 209; identiche monete furono coniate da Caracalla fra il 206 ed il 210 (RIC, IV,1, p. 235 nr. 163) e da Geta fra il 203 ed il 208 (RIC, IV,1, p. 320 nr. 50: solo aurei). Il culto di Sol Invictus è attestato a Roma sin dal 158 d.C. (CIL, VI, 715) per opera di reparti scelti della cavalleria imperiale ma già Adriano ne aveva cominciato la raffigurazione sulle monete, avvicinandone l’iconografia a quella di Ercole; una dedica del 16 giugno 184 (CIL, VI, 740) dimostra che durante il principato di Commodo esisteva una festa religiosa ufficiale; con Settimio Severo, infine, fra il 193 ed il 194, il culto ebbe una grande diffusione, favorita dagli interessi astrologici dell’imperatore e dal suo matrimonio con Giulia Domna, figlia del gran sacerdote del santuario di Emesa dedicato a Sol invictus (G.H. Halsberghe, Le culte de Deus Sol Invictus à Rome au 3e siècle après J.C., ANRW II 17.4, 1984, 2182-2184; Mastino, Orbis, cit. 80-81; cfr. inoltre Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 224).

 

[140] RIC, IV,1, pp. 96 nr. 37 (PACI AVGVSTI del 194), 97 nr. 54 (PACI AVGVSTI del 194-195), 101 nr. 89 (PACI AVGVSTI del 196-97), 105 nrr. 118-118 a (PACI AETERNAE del 197-198), 127 nr. 283 (PAX AETERNA del 202-210), 173 nr. 601 (PACI VAETERNAE ! di Giulia Domna), 192 nr. 744 (PACI AET. del 197-198), 232 nr. 138 (PACI AETERNAE del 201-206 di Caracalla). In una base dedicata a Giulia Domna nel foro di Thagaste in Africa Proconsolare (CIL, VIII, 17214 = ILAlg., I, 869 = ILS, 443) Settimio Severo è indicato come pacis publ(icae) restitutor (anno 198, cfr. KIENAST, Kaisertabelle, cit. 156). Questa abbondante documentazione era probabilmente influenzata dalla fine delle guerre civili (Turcan, Images de Paix, cit. 57).

 

[141] AE, 1968, 520: Paci // Pro salute Imp(eratorum) Caes(arum) L(uci) Septimi / [Se]veri Pii [Per]tinacis Aug(usti) Arabici / [Adiabenici Parthici m]aximi et I[mp(eratoris) ----]. L’altare di granito rosa fu realizzato nel 204, in occasione dei Ludi saeculares; identiche dediche furono commissionate per Liber Pater (AE, 1968, 519) e Spes Temperantiae (521) dal governatore Q. Aiacius Modestus che con questi monumenti voleva ricordare anche nella sua provincia i temi della renovatio temporum, cfr. M. Christol, Un écho des jeux séculaires de 204 après Jésus-Christ, en Arabie, sous le gouvernement de Q. Aiacius Modestus, REA 73, 1971, 124-140.

 

[142] - CIL, XIII, 9034 = XVII,2, 513 = ILTG, 487 da Juvigny: [Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius) An/t]oninus Pius Fe[l(ix) / A]u[gustus) P]arth(icus) [max(imus) / Brit(annicus)] m[ax(imus) ponti(ifex) / max(imus) tr]i[b(unicia) pot(estate) XVI (?) / [imp(erator) --- / pr]in[c(eps) iuv]en[t(utis) / fo]rti[ss]imu[s fe/licissimusq(ue) magnus] / prin[c]ep[s p]a[cator / o]rbi[s] vias / [et] pont(es) vetust(ate) / conlabsas (!) res/[ti]tuit / ab Aug(usta Suessionum) l(eugas) [---]. La cronologia del 213 è verosimile ma non sicura (Mastino, Orbis, cit. 137).

- AE, 1924, 19 = H. FINKE, Neue Inschriften und Nachträge zu C.I.L. XIII, BRGK 17, 1927, nr. 318 = CIL, XVII,2, 548 da Niederemmel (Treveri): [Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius) / Antoninus Pius Felix] / Aug(ustus) Parthic[us maximus] / Britannicus maxim[us] / pontifex maximus trib(unicia) / potest(ate) XVI imp(erator) II co(n)s(ul) IIII / proco(n)s(ul) fortissimus / felicissimusque magnus / princeps pacator / orbis ponte[s e]t vias / vetust[ate coll]ap[sas] / rest[itu]it [ab Aug(usta) Trev(erorum) leug(as) ---]. Forse l’ultima linea è integrabile con il numero XVIIII.

 

[143] - AE, 1996, 1141, frammento da Augusta Rauricorum, del 1 gennaio – settembre 213: [Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius)] / [Antoninus Pius Fe]l(ix) / [Au]g(ustus) [P]a[rth]i/[cus maximus B]ritan/[nicus maximus pontifex] maximus / [trib(unicia) pot(estate) XVI imp(erator) II c]o(n)s(ul) IIII / [proco(n)s(ul) fortissimus fe]licissimusq(ue) / [magn(us) princeps pacato]r orbis / [vias et pontes vetustate] conlab[s]a[s / [restituit]. L’attribuzione a Caracalla si deve grazie agli epiteti [fe]licissimus e [pacato]r orbis.

- CIL, XIII, 9061 = XVII,2, 126 da Saint-Prex, nel cantone di Vaud in Svizzera: [Imp(erator) Caes(ar)] / M(arcus) Aur[elius Antoninus] / Pius Fel(ix) [Aug(ustus) Parthicus)] max(imus) Brit(annicus) / max(imus) pont(ifex) max(imus) trib(unicia) pot(estate) XVI / imp(erator) II co(n)s(ul) IIII proco(n)s(ul) / fortissimus felici[s]s[i]musq(ue) / ma[g]nus [princ(eps)] pacator / orbis vias et pontes vetustate / collabs(os) restitui[t].

- CIL, XVII,2, 501 da Bossaye, sempre nel cantone di Vaud: [Imp(erator) Caes(ar) / M(arcus) Aur(elius) Antoninus / Pius Fel(ix) Aug(ustus) Parth(icus) max(imus) Brit(annicus) / max(imus) pont(ifex) max(imus) trib(unicia) pot(estate) XVI / imp(erator) II co(n)s(ul)] IIII p[roco(n)s(ul) / fortissim(us) f]eliciss(imus) m[agn(us) / princeps] pac(ator) orb(is) [vias / et pon]t(es) vetust[ate / collaps(os)] restit[uit] / ------. Il testo è integrato e datato al 213 per le assonanze con il miliario precedente.

- CIL, XIII, 9072 = XVII,2, 666 da Solothurn (Salodurum): Imp(erator) [Caes(ar) M(arcus) Aur(elius)] An/ton[inus Pius F]el(ix) A/ug(ustus) P[arth(icus) max(imus)] Bri(tannicus) / ma[x(imus)] pont(ifex) max(imus) trib(unicia) / pot(estate) XVI imp(erator) II co(n)s(ul) IIII / proco(n)s(ul) princ(eps) iuven(tutis) / fortis(s)[i]m(us) felicis(s)im/usq(ue) magn(us) princeps / pacator orb(is) vias et / pont(es) vetustate col/laps(os) restituit / Avent(ico) / XXVI.

- CIL, XIII, 9068 = XVII,2, 674 da Montagny: Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius) A[ntoni]/nus Pius Felix [Au]g(ustus) P[arth(icus)] / max(imus) Britannic(us) [ma]x(imus) [pont(ifex)] / max(imus) trib(unicia) pot(estate) XVI imp(erator) I[I co(n)s(ul) IIII / proco(n)s(ul) fort(issimus) feliciss(imus) [magnus] / pr(inceps) pac(ator) orb(is) vias et pont(es) v[etust(ate)] / colla[psos res]tituit.

- H. Nesselhauf-H. Lieb, Dritter Nachtrag zu CIL XIII: Inschriften aus den germanischen Provinzen und dem Treverergebiet, BRGK 40, 1959, nr. 264 da Orbe (Urba): [Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius) Antoninus Pius F(elix) Aug(ustus) Parth(icus) max(imus) Brit(annicus) max(imus) pont(ifex) max(imus) trib(unicia) pot(estate) XVI / imp(erator) II co(n)s(ul)] IIII p[roco(n)s(ul) / fort(issimus) f]eliciss(imus) m[agn(us) / princ(eps)] pac(ator) orb(is) [vias / et pon]t(es) vetust[ate / collaps(os)] restit[uit Avent(ico) / (leugas) XXII]. La ricostruzione del testo è probabile ma non certa.

L’epiteto pacator orbis è ricostruito in maniera assolutamente ipotetica in CIL, XIII, 6803 da Mogontiacum (testo verosimilmente databile fra il 213 ed il 217).

 

[144] Per una cronologia dei cippi, cfr. Mastino, Caracalla e Geta, cit. 53-54; Id., Orbis, cit. 137; Kienast, Kaisertabelle, cit. 163. Sulla campagna contro gli Alamanni da ultimo Letta, Severi, cit. 676-677; A. Mastino-A. Teatini, Ancora sul discusso «trionfo» di Costantino dopo la battaglia del Ponte Milvio. Nota a proposito di CIL, VIII,9356 = 20941 (Caesarea), in G. Angeli Bertinelli-A. Donati (a cura di), Varia Epigraphica. Atti del Colloquio Internazionale di Epigrafia (Bertinoro, 8-10 giugno 2000), Faenza 2001, 320-321.

 

[145] - CIL, II, 1671 = II,5, 77 da Tucci: Imp(eratori) Caes(ari) divi Sep/timii Severi Pii / Arab(ici) Adiab(enici) Part(hici) max(imi) / Brit(annici) max(imi) filio divi M(arci) / Antonini Pii Ger(manici) Sarm(atici) / Nepoti divi Antonini / Pii pronepoti divi Hadria/ni abnepoti divi Traia/ni Part(hici) et divi Nervae / adnepoti / M(arco) Aurelio Antonino / Pio Aug(usto) / Parthic(o) max(imo) Brit(annico) / max(imo) pont(ifici) max(imo) tribunicia) pot(estate) / XV imp(eratori) bis co(n)s(uli) IIII p(atri) p(atriae) pacatori orbis / res pub(lica) Tuccitanor(um) / d(ecreto) d(ecurionum). Il testo è databile fra il 10 dicembre 211 ed il 9 dicembre 212 (Mastino, Caracalla e Geta, cit. 71; Id., Orbis, cit. 137: errore nel computo dei consolati), o fra il 10 dicembre 212 ed il 9 dicembre 213 (ipotesi di Cr. González Román, editore di CIL II,5, 77: errore nel computo delle potestà tribunizie).

- CIL, II,5, 1028 da Urso: [Imp(eratori) Caes(ari) Divi Severi Pii fil(io) / M(arco) Au]relio An[tonino Pio Aug(usto) / Parthi]co maximo B[ritannico / maxi]mo Germanico m[aximo / pontifi]ci maximo trib[unicia / potesta]te XVIII imp(eratori) III [co(n)s(uli) IIII / patri p]atriae pacator[i orbis / r(es) p(ublica) Ursonen]sis publice [decrevit]. Databile al 10 dicembre 214 – 9 dicembre 215 (Kienast, Kaisertabelle, cit. 163).

 

[146] AE, 1894, 139 da El Aouinet (databile fra il 212 ed il 217 secondo Mastino, Caracalla e Geta, cit. 132): M(arco) Aurelio / Severo An/tonino Aug(usto) / Pio Felici B/ritan(n)ico maximo pa/catori colo/ni [fun]di (?) / Thavagel[--- / ---] feceru[nt].

 

[147] Bruhl, Alexandre et les Romains, cit. 214-216; Gagé, Commode-Hercule, cit. 670, 681, 683; Jaczynowska, Culte de Hercule, cit. 640; Mastino, Orbis, cit. 89, 91-93; Letta, Severi, cit. 675-676. La devozione verso Alessandro Magno risaliva probabilmente alle campagne partiche, al termine delle quali Caracalla fu proclamato augusto (BIRLEY, Severus, cit. 202; Mastino, Caracalla e Geta, cit. 31; Kienast, Kaisertabelle, cit. 162). Si osservi che anche il Macedone si era presentato come un novello Ercole, portando la clava e la pelle di leone (De Polignac, Alessandro, cit. 279) e che il culto di Ercole (uno degli dii patrii di Lepcis Magna, città d’origine della gens Septimia, cfr. IRT, 286-289) permetteva di fare di Caracalla un semidio capace di ampliare i confini del mondo e di assicurare pace perpetua (C.C. Vermeule, Commodus, Caracalla and the Tetrarchs. Roman Emperors as Hercules, in U. Hoeckmann, A. Krug (a cura di) Festschrift für Frank Brommer, Mainz von Zabern 1977, 289-294; sul mito di Alessandro cfr. supra, note nrr. 55-56; su Ercole, cfr. supra, nota nr. 133). Nel discorso tenuto dall’imperatore alla morte di Geta (Hdn. 4.5.7) si affermava il principio di una monarci@a estesa a tutta l’oiékoume@nh e capace di garantire una generale pace e felicità.

 

[148] Sulle motivazioni economiche, politiche, filosofiche, religiose del provvedimento esiste una bibliografia sterminata: si vedano fra gli altri Bruhl, Alexandre et les Romains, cit. 216-217; F. De Visscher, La Constitution Antonine et la dynastie africaine des Sévères, RIDA sér. 3, 8, 1961, 231; F. Millar, The date of the Constitutio Antoniniana, JEA 48, 1963, 224-231; G. De Sensi, Problemi della Constitutio Antoniniana, «Helikon» 9-10, 1969-1970, 251-254; A.N. Sherwin-White, The Roman Citizenship, Oxford 19732, 280-282; Mastino, Antonino Magno, cit. 561-562; Id. Orbis, cit. 91-92; M.V. Giangrieco Pessi, Situazione economico-sociale e politica finanziaria sotto i Severi, Napoli 1988, 116-117; Jacques-Scheid, Roma, cit. 368-369.

 

[149] G. Alföldy, Nox dea fit lux! Caracallas Geburstag, in G. Bonamente, M. Mayer (a cura di), Historiae Augustae. Colloquium Barcinonense, Bari 1996, 9-36. in particolare 23-31. Lo stile iperbolico si adattava alla cultura dei dedicanti, membri della corporazione dei piscatores e degli urinatores del Tevere, spesso reclutati fra le classi inferiori e gli schiavi: per questi individui, frequentemente degli Orientali, Caracalla era veramente una divinità e a lui, pur essendo ancora in vita Geta, veniva assegnato il primato nel collegio degli augusti.

 

[150] CIL, VI, 1080 (pp. 2879, 3071, 3777) = 31236 = 40638 = CLE, 274 = AE, 1966, 15 = 1996, 90: [Pro salute et v]i[cto]ria deo Imp(eratori) Caes(ari) M(arco) Aurel[io divi / Septimi Severi f(ilio) O]ptimo Antonino Pio sideribu[s in / terram delapso T]onitratori Aug(usto) orbis terrarum [pro/pagatori domino] maximo providens imperi sui mai[esta/tem finesque eius] ampliavit largam gloriam pac[e data / auxit coronavit la]urea dextra manu signum Victor[iae / quae loco veneratu]r curiae sacro urbis ut in aeternum [illi / laus esset alia f]elicia tempora quatt(u)or in[se/quantur ex hoc s]ancto die nativitatis tuae ga[udi/um omnium in locis s]uscipias sanctis manibusque suis o[mnes / exornent aras l]anugin(e)i flores digna sunt vota [fecit / verba numinis s]ui nox dea fit lux sic dic mea v[ota / corpus piscatorum] et urinatorum sua p(ecunia) p(osuit) primiceri[o --- / --- hoc loco] urbis qui Nymphas accipit omnes e[t est / sacerrimus corpo]ri toto octie(n)s denis circundatus (!) annis grate m[erito]. Il testo fu redatto per il compleanno di Caracalla, il 4 aprile del 211, al rientro dell’imperatore dalla campagna in Britannia (sull’epilogo della spedizione, cfr. Birley, Severus, cit. 270; Letta, Severi, cit. 672). Secondo Alföldy, Caracallas Geburstag, cit. 31-36 Caracalla avrebbe spostato il suo genetliaco dal 188 al 186 per aumentare la differenza d’anni che lo separava da Geta (nato il 7 marzo 189) e per potersi porre sotto la protezione della Luna, alla quale era particolarmente devoto (per la cronologia, cfr. Kienast, Kaisertabelle, cit. 162, 166). In precedenza R.E.A. Palmer, Severan Ruler-Cult and the Moon in the City of Rome, ANRW II 16.2, 1978, 1097-113 aveva datato l’iscrizione al 4 aprile 204: Caracalla avrebbe in questo caso leggermente anticipato i festeggiamenti per i Ludi Saeculares, svoltisi nei mesi di maggio-giugno di quell’anno.

 

[151] Un’utile rassegna in Mastino, Orbis, cit. 147-156.

 

[152] Cfr. supra, § 1.

 

[153] IGRRP, IV, 739. Poiché il personaggio onorato è eènlogisteu@sav (curator) della città di origine, è facile supporre che il testo sia posteriore all’età severiana, forse già della metà del III secolo (per un confronto con la situazione africana, cfr. Cl. Lepelley, Les cités de l'Afrique romaine au Bas-Empire. I. La permanence d'une civilisation municipale, Paris 1979, 168-193; ID., Vers la fin du “privilège de liberté”: l’amoindrissement de l’autonomie des cités à l’aube du Bas-Empire, in A. Chastagnol, S. Demougin, Cl. Lepelley (a cura di), Splendidissima civitas. Études d’histoire romaine en hommage à François Jacques, Paris 1996, 215-218).

 

[154] CIL, VIII, 12378: dedica alla Pace da parte degli edili locali. Il testo fu redatto forse fra il 230 ed il 240 secondo Fr. Jacques, Le privilege de la liberté. Politique impériale dans les cités de l'Occident romain (161-244), Rome 1984, 731, 734-736; la scelta di una divinità come Pax proverebbe il tentativo della comunità di abbandonare le tradizioni indigene per uniformarsi ai costumi romani, in vista o in conseguenza di una promozione municipale.

 

[155] CIL, III, 3670 da località incerta della Pannonia Inferior: Paci / deae / Avitus. Le lettere erano rubricate.

 

[156] AE, 1914, 56 = 1923, 106 = ILAfr., 252: Paci Augg(ustorum) nn(ostrorum) [---]. Si trattava del frammento di un architrave reimpiegato nella scala di un edificio più tardo. Il testo è databile fra il principato di Marco Aurelio e Lucio Vero ed il IV secolo.

 

[157] CIL, VIII, 6957 (p. 1847) = ILAlg., II, 500: Pac[i Aug(usti) sacrum] / P(ublius) Gavi[us --- Pala]/tina (?) I[---] / equo p[ublico exorn(ato)] / aedilis [q(uaestoriae?) potesta]/tis pr[aef(ectus) pro IIIviris?] / st[atuam. L’iscrizione si pone in un momento fra il II secolo e lo scioglimento della Confederazione cirtense (J. Gascou, Les magistratures de la Confédération cirtéenne, B.C.T.H. n. s. 17 B, 1981, 323-335; ID., La politique municipale de Rome en Afrique du Nord. II. Après la mort de Septime- Sévère, ANRW II 10.2, 1982, 262-264).

 

[158] CIL, VIII, 17833 = ILS, 3790: Gen(io) Pacis.

 

[159] CIL, VIII, 8441: [Pa]ci aeternae Aug(ustae) / [C]ol(onia) Nervian(a) Aug(usta) / [M]artialis Sitif p(osuit) d(ecreto) d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica). Il documento è databile ad un momento posteriore la fondazione della colonia, avvenuta durante il principato di Nerva (J. Gascou, La politique municipale de Rome en Afrique du Nord. I. De la mort d'Auguste au début du III siècle, ANRW II 10.2, 1982, 166-167).

 

[160] AE, 1996, 1600 da Gerasa in Arabia ricorda nella prima metà del III secolo G(a@ion) èIou@lion Ouèi@ktora / presb(euth#n) Seb(astw^n) aèn/tistr(a@thgon) uçpaton / açma sumbi@wj / to#n swth^ra kai# kti@/sthn aégno#n kai# / eièrhnopoio#n / èAntw@niov Ma@ximov / iéppiko#v tw^n prw@twn / tou#v pa@trwnav. Il titolo eièrhnopoio@v alludeva probabilmente ai frequenti disordini che animavano la vita politica della comunità di Gerasa (P.L. Gatier, Gouverneurs et procurateurs à Gérasa, «Syria» 73, 1996, 49-51). Ad una pace concreta alludono per esempio alcune iscrizioni africane del principato di Gordiano III (CIL, VIII, 20487; 20602; AE, 1903, 94, da Aïn-Melloul, Kherbet Zembia e Kherbet Ksar-Tir, tutte del 239-240, cfr. B.E. Thomasson, Fasti africani. Senatorische und ritterliche Amtsträger in den römischen Provinzen Nordafrikas von Augustus bis Diokletian, Stockholm 1996, 217-218 nr. 41 C) che ricordano ... quod antehac angusto spatio cinctum muro continebatur nunc reparatis ac fortis viribus fiducia pacis hortante ad faciem maioris loci prolatum est (una ripresa delle attività edilizie, militari o civili, grazie alla fiducia pacis: su queste iscrizioni cfr. le considerazioni di P.A. Février, À propos des troubles de Mauretanie (villes et conflits du III siécle), ZPE 43, 1981, 145-148; H. Jouffroy, La construction publique en Italie et dans l'Afrique romaine, Strasbourg 1986, 239-241). Espressioni di questo tenore sono già attestate nella seconda metà del II secolo (CIL, II, 1120 (p. 838) = ILS, 1354 = AE, 1961, 339: ... caesis hostibus paci pristinae restituerit; per una cronologia, cfr. Thomasson, Fasti africani, cit. 232-233, nr. 29 T). Una pax foederata fu stipulata fra il re dei Baquati ed il governatore della Mauretania Tingitana nel 277 (IAM 2, 360, cfr. Thomasson, Fasti africani, cit. 238-239, nr. 36 T): le numerose arae pacis innalzate nel foro di Volubilis fra il II ed il III secolo (IAM 2, 348-350, 356-359, 361, 384, 402) non devono tuttavia far pensare ad un perenne stato di conflittualità nella provincia (E. Frézouls, Les Baquates et la province romaine de Tingitane, BAM 2, 1957, 65-116; P. Romanelli, Le iscrizioni volubilitane dei Baquati e i rapporti di Roma con le tribù indigene dell'Africa, in M. Renard (a cura di), Hommages à Albert Grenier, Bruxelles 1962, 1347-1366; A. Mastino, La ricerca epigrafica in Marocco (1973-1986), in A. Mastino (a cura di), L’Africa Romana. Atti del IV convegno di studio, Sassari, 12-14 dicembre 1986, Ozieri 1987, 358).

 

[161] Amit, Propagande, cit. 59; Belloni, Eirene e Pax, cit. 142; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 233. Nel 253 un tribuno pose una dedica alla Vittoria e alla Pace in Britannia (RIB, 1273 = AE, 1982, 654 da High Rochester, antica Bremenium): Victoriae / et Paci Iul(ius) / Melanio tr(i)b(unus) / [[Imp(eratore) Volusian]]o e[t] / Publicola co(n)s(ulibus) v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito), cfr. A.R. BIRLEY, An altar from Bremenium, ZPE 43, 1981, 13-23. Per la cronologia, vedi Degrassi, Fasti, cit. 69. Si osservi con Birley la rarità delle dediche congiunte a Vittoria e Pace; un confronto ad esempio in CIL, XIII, 8812 = ILS, 3094 (probabilmente fra il 171 ed il 172, cfr. W. Eck, Die Statthalter der germanischen Provinzen von 1.-3. Jahrhundert, «Epigraphische Studien» 14, 1985, 180-181): Iovi o(ptimo) m(aximo) summo exsuperantissimo Soli invicto Apollini Lunae Dianae Fortunae Marti Victoriae Paci [Q(uintus)] Antistius Adventus leg(atus) leg(ionis) Aug(usti) pr(o) pr(aetore) dat(um). La dedica di Bremenium si giustificava con le generali speranze di Pace nel clima di confusione dell’impero, senza tuttavia escludere una vittoria del reparto comandato dal tribuno sui Vardulli, con il conseguente ripristino della pace. Alla PAX EXERCITI (la dea reca un ramo d’olivo ed un’insegna militare) facevano riferimento alcune monete di Caro (RIC, V,2, p. 143 nrr. 72-75), Carino (p. 175 nr. 301) e Carausio (p. 519 nr. 650); una variante (Pax stante con scettro e ramo d’olivo) con simili legende si trova sulle monete di Claudio II (RIC, IV,1, pp. 221 nr. 131, 224 nrr. 159-160, 225 nr. 176). Alla PAX EQVITVM la Pace con ramo d’olivo e scettro) allude una moneta di Postumo (RIC, V,2, p. 368 nr. 381): la cavalleria in questa fase aveva acquistato un ruolo importante in battaglia (cfr. le differenti opinioni di A. Alföldi, Studien zur Geschichte des Weltkrise des 3. Jahrhunderts nach Christus, Darmstadt 1967, 11-14; L. De Blois, The policy of the emperor Gallienus, Leiden 1976, 26-33, 84; H.-G. Simon, Die Reform der Reiterei unter Kaiser Gallien, in W. Eck, H. Galsterer, H. Wolff (a cura di), Studien zur Antiken Sozialgeschichte. Festschrift Frederich Vittinghoff, Köln-Wien 1980, 435-452; H.-G. Springer, Die angebliche Heeresreform des Kaisers Gallienus, in Krise - Krisenbewußtsein - Krisenbewältigung, Wittemberg 1988, 97-100; J.-M. Carrié, Eserciti e strategie, in A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, III. L'Età Tardoantica, 1: Crisi e trasformazioni, Torino 1993, 102-103).

 

[162] RIC, IV,3, p. 51 nr. 326, asse coniato a Roma nel 240, con legenda VIRTVS AVGVSTI S. C. Gordiano III, in abiti militari e seduto su una corazza, stringe una lancia mentre la Victoria, in piedi di fronte a lui e con una palma in mano, lo incorona; di fronte a questa una Virtus, con elmo sul capo, mostra un ramo (d’olivo); al centro uno stendardo.

 

[163] RIC, IV,2, p. 93 nr. 297, denario della zecca di Antiochia, con legenda SACERDOS VRBIS. Severo Alessandro sta in abiti militari di fronte ad un altare, mentre stringe fra le mani un ramo (d’olivo?) e lo scettro. La moneta fu forse coniata nell’imminenza della spedizione persiana (Mazza, Lotte sociali, cit. 242-244; Letta, Severi, cit. 696-698).

 

[164] F. Burdeau, L’empereur d’après les panégyriques latins, in F. Burdeau, N. Charbonnel, M. Humbert (a cura di), Aspects de l’empire romaine, Paris 1964, 37-38, 46-47; Fears, Virtues, cit. 908-909; Belloni, Eirene e Pax, cit. 143. Su alcuni antoniani (RIC, IV,3, pp. 21 nr. 500 dell’anno 238 da Roma, 33 nr. 175 fra il 238 ed il 239 da Antiochia), Gordiano III assiso su una sella curule riceve dalla Pax un ramo d’olivo ed è incoronato dalla Victoria, che nelle mani stringe una palma, premio per aver ristabilito la pace all’interno dell’impero ed auspicio per le future imprese militari alle quali il giovane princeps doveva esser chiamato.

 

[165] RIC, IV,2, pp. 8 nr. 36 (Macrino, anno 217: l’imperatore viene incoronato dalla Victoria e regge uno scettro sormontato dall’aquila imperiale), 9 nr. 48 (anno 218: senza scettro), 18 nrr. 152-153 (anno 217: lo scettro è classico); RIC, IV,2, pp. 30 nrr. 35 (Elagabalo, anno 220: l’imperatore regge uno scettro; talora è accompagnato da una stella) 36 (anno 220: lo scettro è sormontato da un’aquila imperiale e davanti ad Elagabalo si trova la Victoria), 32 nrr. 54-55 (anno 222: come al nr. 35), 40-41 nrr. 170-171, 174-175 a (anni 218-219: lo scettro è sormontato da un’aquila imperiale), 41 nr. 180 (anno 221: come al nr. 170), 42 nrr. 182-183 (anno 222: stessa iconografia), 53 nrr. 296-298 (anno 219: l’imperatore regge uno scettro ed è incoronato dalla Victoria), 54 nrr. 308-313, 316-317 (anno 220: come al nr. 35), 55 nrr. 331, 337-338 (anni 221-222: stessa iconografia); RIC, IV,2, pp. 72 nrr. 15-17 (Severo Alessandro, anno 222: l’imperatore regge uno scettro sormontato da un’aquila imperiale), 75 nrr. 56-56 a (anno 226: lo scettro è classico), 102 nrr. 384-385 (anno 221: come ai nrr. 15-17); RIC, IV,2, p. 143 nrr. 27 e 29 (Massimino il Trace, anno 235: l’imperatore regge uno scettro classico ed è incoronato dalla Victoria); RIC, IV,3, pp. 30 nr. 139 (Gordiano III, anni 242-243: Gordiano regge uno scettro classico ed è incoronato dalla Victoria), 50 nr. 320 (anno 240: identica iconografia ma lo scettro è sormontato da un’aquila); RIC, V,1, p. 143 nr. 150 (Gallieno, anno 261: senza scettro); RIC, V,2, pp. 20 nr. 1 (Probo, anno 276 da Lione: senza scettro), 118 nr. 914 (anno 281 da Antiochia: l’imperatore regge il ramo d’olivo e lo scettro classico); RIC, V,2, p. 168 nr. 226 (Carino, anno 283 da Roma: senza lo scettro); RIC, V,2, p. 358 nrr. 256-257 (Postumo, anno 267 da Colonia: senza lo scettro); RIC, VI, pp. 478 nr. 195 (Licinio, anni 308-309 da Siscia: senza lo scettro e legenda SECVRITAS AVGG), 482 nr. 218 a (anni 311-313, da Siscia: medesima iconografia e legenda). Sostituiscono allo scettro il parazonium RIC, IV,2, pp. 160-161 nrr. 1, 7 (Gordiano I); RIC, IV,2, p. 164 nrr. 9-10 (Gordiano II); RIC, IV,2, pp. 169 nr. 5, 171 nrr. 16-17 (Balbino); RIC, IV,2, pp. 173 nr. 5, 175 nr. 15 (Pupieno): in tutti questi esempi l’imperatore è significativamente togato, dunque in abiti civili, probabilmente per accentuare un’opposizione alle origini e al potere di Massimino il Trace (infra, nota nr. 166). Sono decisamente più rare e concentrate nella seconda metà del III secolo le rappresentazioni “classiche” dell’imperatore “portatore di pace” con ramoscello d’olivo, senza quadriga o parazonium (RIC, IV,3, pp. 159 nrr. 1-2, 170 nr. 99, 175 nr. 140 di Treboniano Gallo: anno 253; RIC, V,1, p. 212 nrr. 10-11 di Claudio II da Roma: anno 269; RIC, V,2, p. 402 nrr. 2-5 di Tetrico: anni 271-272; RIC, V,2, p. 423 nr. 260 di Tetrico II: talora al posto del ramoscello d’olivo un’insegna o il bastone del comando o una patera).

 

[166] RIC, IV,2, p. 143 nr. 28: anno 235, da Roma. Sul rapporto fra Massimino il Trace e le sue truppe, cfr. A. Bellezza, Massimino il Trace, Genova 1964, 55-58, 65, 73, 97-101; X. Loriot, Les premières années de la grande crise du IIIe siècle: De l'avènement de Maximin le Thrace (235) à la mort de Gordien III (244), ANRW II 2, 1975, 669-670, 673-674.

 

[167] RIC, IV,3, p. 70 nr. 11 da Roma: anno 248.

 

[168] RIC, V,1, p. 55 nr. 218. Identica legenda e rappresentazione su un antoniano di Gallieno del 256 da Viminacium (RIC, V,1, p. 91 nr. 294), cfr. A.S. Robertson, Roman Imperial Coins in the Hunter Coins Cabinet, University of Glasgow, IV, Valerian I to Allectus, Oxford 1978, nr. 64. Sulla politica “tradizionalista” di Valeriano, cfr. De Blois, Gallienus, cit. 24, 175-177.

 

[169] RIC, V,1, p. 77 nr. 107, medaglione d’argento coniato a Roma: sul recto il busto di Gallieno cinto d’alloro è accompagnato dal caduceo, nel verso (legenda: ADLOCVTIO AVGVSTI) l’imperatore dal tribunal arringa tre soldati che portano l’insegna, mentre alle spalle di Gallieno veglia il prefetto del pretorio. Sul caduceo, cfr. supra, nota nr. 15.

 

[170] A. Alföldi, The crisis of the empire (A.D. 249-270), in S.A. Cook, F.E. Adcock, M.P. Charlesworth, N.H. Baynes (a cura di), The Cambridge Ancient History, 12: The imperial crisis and recovery A.D. (193-324), Cambridge 1939, 170-171; L. De Regibus, La monarchia militare di Gallieno, Recco 1939, 24-25; A. Calderini, I Severi. La crisi dell’impero nel III secolo, Bologna 1949, 165-166; Mazza, Lotte sociali, cit. 258-259; M. Christol, Les règnes de Valérien et de Gallien (253-268): travaux d’ensemble, questions chronologiques, ANRW II 2, 1975, 818-819; De Blois, Gallienus, cit. 2-3.

 

[171] RIC, V,1, p. 175 nr. 502 da Mediolanum, cfr. p. 174 nrr. 499-501 (identica rappresentazione ma legenda PAX AVG.).

 

[172] RIC, V,1, p. 175 nr. 503.

 

[173] La missione pacificatrice dell’imperatore è sottolineata da due emissioni urbane: nella prima (RIC, V,1, p. 132 nr. 17, medaglione d’oro), nel recto il busto di Gallieno è associato al caduceo mentre nel verso l’imperatore in marcia sorregge in ogni mano un’insegna militare (legenda: VIRTVS GALLIENI AVGVSTI); nella seconda (RIC, V,1, p. 143 nr. 150, antoniniano del 261), nel verso l’imperatore su una quadriga trionfale porta il ramo d’olivo come altri imperatori del III secolo (supra, nota nr. 165): l’allusione in questo caso era forse alla vittoria di Aureolo su Macriano in Tracia (Alföldi, Crisis, cit. 185; Calderini, Crisi dell’impero, cit. 171). CIL, VI, 31378 a (pp. 3778, 4344) = ILS, 549 celebrava probabilmente la Virtus dell’imperatore per mezzo della quale universum orbem suum defendit ac protegit. Un antoniniano, coniato in Oriente verosimilmente fra il 263 ed il 264 (RIC, V,1, p. 188 nr. 652) mostra nel verso un trofeo fra due prigionieri e la legenda PAX FVNDATA.

 

[174] Alföldi, Studien, cit. 39-43; De Blois, Gallienus, cit. 26-34, 121-128; Turcan, Janus, cit. 397-398. L’ottimismo generale era espresso per esempio in un medaglione d’oro coniato a Roma (RIC, V,1, p. 131 nr. 15): sul recto la testa dell’imperatore con corona e legenda CONSERVATORI ORBIS; nel verso la Vittoria trionfante su una biga e la legenda VBIQVE PAX.

 

[175] RIC, V,2, p. 362 nr. 317: antoniniano coniato a Colonia (vedi inoltre Robertson, Hunter Coins Cabinet, cit. nrr. 68-69); allo stesso modo si possono interpretare ad esempio le monete ORIENS AVG. (RIC, V,2, p. 362 nr. 316), RESTITVTOR ORBIS (RIC, V,2, p. 363 nr. 324). La legenda DEFENSOR ORBIS è invece propria di Vittorino (RIC, V,2, p. 394 nr. 90: due soldati con lancia e scudo e tre donne; nel recto il busto dell’usurpatore in armi). Sul contesto politico e sociale di queste emissioni cfr. Taeger, Charisma, cit. 444; J. Lafaurie, L'Empire Gaulois. Apport de la numismatique, ANRW II 2, 1975, 919-925; I. König, Die gallischen Usurpatoren von Postumus bis Tetrycus, München 1981, 56-57, 66-67, 75-86; N. Biffi, Per una rilettura dei fermenti antiromani in Gallia nel terzo secolo. II: Da Postumo ai Bagaudi, InvLuc 12, 1990, 6-7, 16-17. Secondo König queste legende seguivano parte di un cliché consolidato della propaganda imperiale e non corrispondevano ad un preciso programma politico-militare.

 

[176] RIC, V,2, p. 414 nr. 183: quinario d’argento che mostra il dio Sole con la mano sollevata e nella sinistra uno scudiscio (cfr. Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 224). Anche Tetrico emise una moneta con legenda ORIENS AVG. (RIC, V,2, p. 414 nr. 182).

 

[177] RIC, V,2, pp. 471 nr. 97, 535 nrr. 872-874: antoniniani e denarii, coniati a Londinium con identica iconografia di Tetrico. Anche in questo caso compare la legenda ORIENS AVG. (RIC, V,2, pp. 471 nrr. 94-95, 534-535 nrr. 868-871). Altre monete ricordano la RENOVAT. ROMA (RIC, V,2, p. 540 nr. 968) e la RESTVT. ORB. (nrr. 970, 972). Sempre a Carausio si devono due denarii coniati in Britannia con legenda VLTO PAX AVG. (RIC, V,2, p. 526 nr. 729) o VLTORA AVG. (nr. 730): la Pax, in piedi con una patera, stringe la mano dell’usurpatore sull’altare. Sul verso di un sigillo di bronzo di Carausio, ritrovato a Brockworth in Britannia (AE, 1996, 950), con legenda: Imp(erator) Carausiu[s---] // Pax Aug(usti), la Pace è raffigurata con in mano il ramoscello d’olivo.

 

[178] MAZZA, Lotte sociali, cit. 260; JACZYNOWSKA, Culte de Hercule, cit. 641, 653-657; KÖNIG, Gallischen Usurpatoren, cit. 79-80; MASTINO, Orbis, cit. 100. L’Ercole delle Gallie risentiva in ogni caso delle tradizioni greco-italiche. Sempre a Postumo si deve l’introduzione nelle monete della legenda MERCVRIO PACIFERO, cfr. MUÑOZ - DÍEZ JORGE, Pax en la moneda, cit. 241; in un antoniniano del 268 coniato a Colonia, di fronte all’usurpatore con in mano il ramo d’olivo, quindi pacifer, si trova la Vittoria con in mano la palma e una corona d’alloro (RIC, V,2, p. 361 nr. 294).

 

[179] Naturalmente sono frequentissime in questo contesto le titolature restitutor orbis / patriae o simili, attestate esclusivamente negli anni 274-275 dopo la celebrazione del trionfo, cfr. L. Homo, Essai sur le règne de l'empereur Aurélien, Paris 1904, 122-130; G. Sotgiu, Studi su Aureliano, Sassari 1961, 27-29; Ead., Aureliano (1960- 1972), ANRW II 2, 1975, 1043; Mazza, Lotte sociali, cit. 268; Mastino, Orbis, cit. 100-101; E. Cizek, L’empereur Aurélien et son temps, Paris 1994, 153-155; sulla resa di Tetrico si vedano le considerazioni di Homo, Aurélien, cit. 116-121; Biffi, Fermenti antiromani, cit. 52-53; Cizek, Aurélien, cit. 119-122.

 

[180] Halsberghe, Sol Invictus, cit. 2195-2199.

 

[181] RIC, V, 1, p. 265 nrr. 6-7: legenda PACATOR ORBIS.

 

[182] Supra, nota nr. 176.

 

[183] RIC, V,1, p. 265 nr. 4: legenda PACATOR ORBIS. L’iconografia mostra l’imperatore con scettro in piedi davanti ad un altare. Si deve rilevare inoltre un parallelo fra Aureliano ed Ercole, Consors domini nostri Aureliani Invicti Augusti (CIL, XI, 6308), cfr. Taeger, Charisma, cit. 444; R. Turcan, Le culte impérial au III siècle, ANRW II 16.2, 1978, 1024; Mastino, Orbis, cit. 101: d’altronde anche Ercole era un restitutor (p.e. CIL, III, 6867 = ILS, 3441 da Tymandus di Pisidia); si veda inoltre supra, nota nr. 133.

 

[184] - CIL, XII, 5549 = XVII,2, 160 da Valentia: Imp(erator) Caesar L(ucius) Domit[ius] / Aurelianu[s] P(ius) F(elix) Inv[i]ct[us] / [Au]g(ustus) p(ontifex) m(aximus) Ger[manic(us) max(imus)] / [Go]thic(us) ma[x(imus) Carpic(us) max(imus)] / [Par]thic(us) ma[x(imus) trib(unicia) pot(estate) VI co(n)s(ul) / III] p(ater) p(atriae) proco(n)[s(ul) pacator et res/[titut]or orb[is refecit et] / [r]estituit [---] / milia [passuum] / III. Il testo è del 274-275 (Homo, Aurélien, cit. 126 nota nr. 1; Sotgiu, Aureliano, cit. 36; sono incompatibili nella titolatura il numero delle iterazioni della potestà tribunizia e del consolato, cfr. Kienast, Kaisertabelle, cit. 235); più genericamente pensa al 273-275 Mastino, Orbis, cit. 143; una panoramica degli studi in Sotgiu, Aureliano (1960- 1972), cit. 1044-1045.

- CIL, XII, 5561 = XVII,2, 172 da Arras-sur-Rhone: Pacatori / et risti(tu)to/ri (sic!) orbis / Imp(eratori) Caes(a)ri / L(ucio) Domi/tio / Aureliano / P(io) Feli(ci) (I)nvi(c)to / Aug(usto) Ger(manico) / max(imo) Goth(ico) max(imo) / Carp(ico) max(imo) / Pers(ico) max(imo) pont(ifici) / [max(imo) ---]. Il testo è datato al 274-275 proprio in base ai titoli pacator e restitutor orbis (Homo, Aurélien, cit. 126 nota nr. 1; Sotgiu, Aureliano, cit. 36).

Ad Aureliano (273-275), a Claudio II o a Probo potrebbe attribuirsi un miliario frammentario rinvenuto nel territorio di Sicca Veneria in Africa Proconsularis (cfr. Mastino, Orbis, cit. 100, 137), EE, VIII 638 = CIL, VIII, 22185: ------ / [Au]relio / [--- pac]atori / [tr(ibunicia) p]ot(estate) p(atri) p(atriae) / [---] co(n)s(uli) / ------.

 

[185] RIC, V,1, p. 290 nr. 231 (antoniniano). Alla stessa serie si possono riallacciare i nrr. 233-234: legenda RESTITVTOR ORIENTIS. Per le date e gli sviluppi delle campagne contro Zenobia, cfr. Homo, Aurélien, cit. 84-115; E. Equini Schneider, Septimia Zenobia Sebaste, Roma 1993, 78-86; Cizek, Aurélien, cit. 105-117.

 

[186] RIC, V,1, pp. 289 nr. 221 (nel verso la Fortuna assisa, con timone e cornucopia e legenda FORTVNA REDVX), 290 nr. 228 (nel verso, legenda IOVI CONSERVATORI: l’imperatore in piedi sulla destra, talora con lancia o scettro, riceve il globo, simbolo del potere universale, da Giove a sinistra, anch’egli con scettro) entrambe da Siscia; 295 nr. 264 da Serdica e 310 nr. 394 da Tripolis con identica iconografia. Una variante in un secondo antoniniano da Tripolis (RIC, V,1, p. 311 nr. 408): nel recto il busto radiato dell’imperatore mostra il caduceo, nel verso (legenda VIRTVS MILITVM), l’imperatore in piedi a destra, con globo e scettro, si trova di fronte ad un soldato con in mano una Victoria ed una lancia. Sul caduceo, simbolo della pace, cfr. supra, nota nr. 15. Il caduceo è presente anche nelle monete di Gallieno (supra, nota nr. 169).

 

[187] I testi furono probabilmente ordinati in una medesima occasione:

- CIL, VIII, 10088 = 22096 ad Aïn el-Gharsa fra Mustis e Thacia: Pacatissimo / Imp(eratori) L(ucio) Domi/tio Aurelia/no Invicto / Pio Fel(ici) / Aug(usto) n(ostro) / LXXXXIIII.

- CIL, VIII, 22103 a Henchir Nadja, fra Thacia e Sicca Veneria: Pacatissimo / Imp(eratori) Dom/itio Aurel/iano Pio Fe/lici Invic/tissimo / (Augusto) n(ostro) CI.

- CIL, VIII, 22113, presso il ponte romano, non distante da Thacia: Pacatissimo / Imp(eratori) L(ucio) Domitio / Aureliano Pio / Felici Invicto / Aug(usto) nostro / CVIIII.

- CIL, VIII, 22175, a circa 7 km da Ucubi, sulla deviazione per Sicca Veneria: Pacatissi[mo] / L(ucio) Domitio / Aure/liano Pio / Felici Aug(usto) / nostro / CXV.

 

[188] Fröhlke, s.v. paco, ThLL, X,1, 1982, coll. 22-23, in particolare ll. 22,51-53, 23,54-56. L’epiteto fu ripreso dal solo Tacito (infra, nota nr. 190) ed è attestato esclusivamente in Africa Proconsolare.

 

[189] La forma in dativo potrebbe far pensare a dei miliari onorari (S. Soproni, Römische Meilensteine aus Százhalombatta, «Folia Archeologica» 21, 1970, 95; M. Silvestrini, Epigraphica: testi inediti dall'agro di Lucera e un nuovo miliare di Massenzio della via Herculia, in C. Stella, A. Valvo (a cura di), Studi in onore di A. Garzetti, Brescia 1996, 462):

- CIL, VIII, 10072 (p. 2094) da Thichilla: Fortissi/mo Imp(eratori) et / pacatori / orbis M(arco) Cla/udio Taci/to Pio Fel(ici) / Aug(usto).

- CIL, VIII, 22083 = ILS, 589 da Aïn Ghar Salah, non distante da Mustis : Fortissimo / Imp(eratori) et Paca/tori urbis / M(arco) Claudio / Tacito Pio / Felice Aug(usto) / n(ostro) / LXXXVIIII.

- CIL, VIII, 22106 da Henchir Sebaa Regoud, sempre nei pressi di Mustis: [Fortissimo / Imp(eratori) et paca]/tori urbis / M(arco) Claudio / Tacito Pio / Felici Aug(usto) / n(ostro) / CI.

- CIL, VIII, 22122 da Henchir Meyala: Fortissimo / Imp(eratori) et Pacat/ori orbi[s] M(arco) / Claudio Taci/[to] Pio Felici / Au[g(usto)] n(ostro).

Si osservi il gioco di fondo orbis/urbis. M. Peachin, Roman Imperial Titulature and Chronology, A.D. 235-284, Amsterdam 1990 411 ritiene che la forma urbis vada emendata in orbis nei miliari 2/3, come proverebbero i testi 1/4; Mastino, Orbis, cit. 87-88 e nota nrr. 163-164 si chiede invece se la confusione fra i due termini fosse voluta o casuale, forse per richiamare la «centralità di Roma, caput mundi» ed il concetto della capitale dell’impero quale fulcro dell’universo.

 

[190] CIL, VIII, 10089 = 22177 = ILS, 590, miliario della Karthago-Sicca Veneria: Pacatissimo / Imp(eratori) Caes(ari) M(arco) / Claudio / Tacito Pio / Felici Aug(usto) / nostro / CXVII. È facile notare come l’impaginato ricalchi quello dei cippi dedicati ad Aureliano (supra, nota nr. 187). Cfr. inoltre Hist. Aug. Tac. 16.6: orbemque terrarum pacatissimum gubernavit.

 

[191] Taeger, Charisma, cit. 444; G. Kreucher, Der Kaiser Marcus Aurelius Probus und seine Zeit, Stuttgart 2003, 115-117.

 

[192] RIC, V,1, p. 350 nrr. 7-9. Anche in questo caso si tratta di antoniniani. L’emissione con altre provenienti dalla stessa zecca era destinata a coprire le spese di un donativo ai soldati delle Gallie (Kreucher, Probus, cit. 124).

 

[193] CIL, XIII, 8895 = XVII,2, 369, rinvenuto a Periguex, sulla strada per Lugdunum: Domino orbis / et pacis Imp(eratori) C(aesari) / M(arco) Annio Flo/riano P(io) F(elici) / Inv(icto) Aug(usto) p(ontifici) m(aximo) / t(ribunicia) p(otestate) p(atri) p(atriae) proco(n)s(uli) / c(ivitas) P(etrucoriorum) l(ibera). Il titolo di dominus orbis è qui attestato per la prima volta (Mastino, Orbis, cit. 102).

 

[194] Una sintesi in G. Vitucci, L’imperatore Probo, Roma 1952, 33-37; Kreucher, Probus, cit. 133-177.

 

[195] Hist. Aug. Prob. 19.2-8, cfr. Vitucci, Probo, cit. 76-77; secondo Mastino, Orbis, cit. 102 il trionfo sottolineerebbe un’ammirazione dell’imperatore per Alessandro Magno e per Ercole; per Kreucher, Probus, cit. 177-179 il trionfo sarebbe stato celebrato solo in maniera fittizia.

 

[196] RIC, V,2, pp. 32 nr. 136 (Roma), 80 nr. 591 (Siscia); cfr. Kreucher, Probus, cit. 87. S. Merten, Probus als pacator orbis: eine unbekannte Büste des Probus mit Friedenszweig auf einem Antoninian, NNB 43, 1994, 200 segnala inoltre un antoniniano coniato nel 280 per celebrare la spedizione contro gli Isauri (Kreucher, Probus, cit. 150-155: anno 278; vedi inoltre H. Brandt, Probus, pacator Pamphyliae et Isauriae ? : historisch-epigraphische Notizen zu SHA Probus 16, 4-17, 1, in G. Bonamente, N. Duval (a cura di), Historiae Augustae colloquium Parisinum, Macerata–Parigi 1992, 83-92).

 

[197] RIC, V,2, p. 193 nr. 390, cfr. P. Meloni, Il regno di Caro Numeriano e Carino, Cagliari 1948, 205.

 

[198] ILTun., 719: Imp(eratori) Caes(ari) M(arco) Aure/lio Caro Pio Fel(ici) Aug(usto) / Invicto p(ontifici) m(aximo) trib(unicia) pot(estate) / co(n)s(uli) p(atri) p(atriae) proco(n)s(uli) et / M(arco) Aurelio Carino / nobilissimo Caes(ari) / Aug(usto) pacatores (!) orbis / gentium nationum/que omnium / col(onia) Iul(ia) Aurel(ia) Com(moda) Thu/burbo maius / devota numini maies/tatique eorum. Il testo si pone fra il 282 ed il 283 (Mastino, Orbis, cit. 137).

 

[199] Mastino, Orbis, cit. 102. Un aureo del 283 (RIC, V,2, p. 168 nr. 226 da Roma) raffigura nel verso Carino su una piccola quadriga (simbolo del trionfo), mentre sorregge un ramoscello (d’olivo?). Sulla guerra contro i Parti, cfr. Meloni, Caro, cit. 97-105.

 

[200] Paneg. 10.11.6: Ut enim omnia commoda caelo terraque parta ... a summis tamen auctoribus manant, Iove rectore caeli et Hercule pacatore terrarum, sic omnibus pulcherrimis rebus, ... Diocletianus facem, tu (Massimiano) tribuis effectum.

 

[201] CIL, VIII, 7003 = ILAlg., II, 579: [Imp(eratoribus) d(ominis) n(ostris?) fortissim]is et piis[si]mis ac pacatoribus / [orbis C(aio) Valerio Diocl]etiano [et [[M(arco) Aurelio] Maximi[a]/no]]] Aug(ustis) Germanicis Par]thicis Persicis Sarmati/[cis maximis, Aurelius M]aximianus v(ir) p(erfectissimus) p(raeses) p(rovinciae) Numi(diae) / [numini maiestatiq(ue)] [[eorum]] dicatissimus. L’editore delle ILAlg., H.-G. Pflaum, data il testo agli anni 289-293, fra il 290 ed il 293 secondo PLRE, I, 572-573, Maximianus nr. 4; H.G. Kolbe, Die Statthalter Numidiens von Gallien bis Konstantin (268-320), München 1962, 40-43; Cl. Lepelley, Les cités de l'Afrique romaine au Bas- Empire. II. Notices d'histoire municipale, Paris 1981, 389.

 

[202] RIC, VI, p. 171 nrr. 65-68, del 295-305: l’imperatore è in piedi con un ramo d’olivo, di fronte una quadriga condotta da un soldato, cfr. Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 225. Si osservi che l’iconografia ricorda quella dell’imperatore “portatore di pace” (supra, nota nr. 165).

 

[203] CIL, III, 5810 (p. 1853) = ILS, 618 = AE, 1972, 358 da Augusta Vindelicorum: Providentissimo / principi rectori / orbis ac domino / fundatori pacis / aeternae / Diocletiano P(io) F(elici) / Invicto Aug(usto) pont(ifici) / max(imo) Ger(manico) max(imo) Pers(ico) / max(imo) trib(unicia) pot(estate) VII / co(n)s(uli) IIII patri pat(riae) / proco(n)s(uli) Sept(imius) / [Vale]ntio v(ir) p(erfectissimus) p(raeses) p(rovinciae) R(aetiae) / d(evotus) n(umini) m(aiestati)que eius d(ecreto) d(ecurionum). Il testo è datato fra il 1 gennaio ed il 17 novembre 290 (KIENAST, Kaisertabelle, cit. 267-268; cfr. PLRE, I, 937, Valentio). Titolatura simile si può ricostruire forse in AE, 1987, 896 da Istros in Moesia Inferior: [Paci]s (?) fund[atori / liberta]tis res[titu/tori te]rrae ma[risque / defen]sori pii[ssimo / maxi]mo indu[lgenti/ssimoq]ue d(omino) n(ostro) I[mp(eratori) C(aio) Aur(elio) / Val(erio) Di]ocle[tiano P(io) F(elici) / Aug(usto) ---]TE[---]. Una dedica Paci Perpetuae (AE, 1986, 699 = 1987, 961 = 2002, 1563) del 20 novembre 303 (?) proviene dall’accampamento di Yotvata nella provincia di Syria Palaestina.

 

[204] CIL, VI, 1132 (pp. 3071, 3778, 4327) = ILS, 648: Piissimo ac fortissimo / fundatori pacis / ac publicae / libertatis / auctori / d(omino) n(ostro) Flavio Val(erio) / Constantio / nobilissimo Caes(ari) / Val(erius) Honoratus v(ir) p(erfectissimus) / rat(ionalis) s(ummae) r(ationis) d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius. L’iscrizione è del 293-305 (PLRE, I, 441, Honoratus nr. 15).

 

[205] Alla tranquillitas facevano esplicito riferimento anche le tre dediche provenienti dalla Moesia Inferior e databili fra il 298 ed il 305 (supra, nota nr. 116), cfr. Kolendo, Fortification, cit. 139-154.

 

[206] IAphrodisias, 231, ll. 9-11 ... gra[tula]ri [li]ce[t tranquillo orbi]s sta[t]u et in gremio altissimae quietis loca/[to etiam pacis] bon[is propter quam] s[udore la]rgo lab[o]ratum est disponi fideliter adque [ornari decente]r ho[nestum publi]cum [et Roma]na dig[nitas] maiestasque desiderant ...

 

[207] ILAlg., II, 7687 = AE, 1967, 594: Paci / aeternae / Augggg(ustorum) / nnnn(ostrorum). L’iscrizione è databile fra il 305 ed il 306 o fra il 308 ed il 311.

 

[208] - AE, 1934, 7: Pacis aeternae propagatorem / et publicae securitatis con/servatorem d(ominum) n(ostrum) Gal(erium) Valerium / Maximianum P(ium) F(elicem) Invictum Aug(ustum) / Aurel(ius) Max[im]inus v(ir) [p(erfectissimus)] dux / Aeg(ypti) et Theb(aidos) [u]trarumq(ue) Libb(yarum) / devotus n(umini) m(aiestati)que eorum.

- AE, 1934, 8: Iuventutis auctorem et pacis / aeternae conservatorem / d(ominum) n(ostrum) Fl(avium) Val(erium) Constantinum nob(ilissimum) / Caesarem Aur(elius) Maximinu[s] / v(ir) p(erfectissimus) dux Aeg(ypti) et Theb(aidos) utrarum[q(ue)] / Libb(yarum) devotus n(umini) m(aiestati)q(ue) eorum.

I due testi si pongono fra la fine del 308 ed il maggio 311 (PLRE, I, 579, Maximinus nr. 10; T. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der Zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, 258).

 

[209] VITUCCI, Pace nella Historia Augusta, cit. 32; Fears, Theology of Victory, cit. 751-752. Sulla politica di legittimazione di Costantino esiste una copiosa letteratura: in questa sede si ricorderanno le osservazioni di A. Piganiol, L'Empereur Constantin, Paris 1932, 45-48; M.-Cl. L’Huillier, La figure de l’empereurs et les vertus impériales. Crise et modele d’identité dans les Panégyriques Latins, in Les grandes figures religieuses. Fonctionnement pratique et symbolique dans l’Antiquité (Besançon 25-26 avril 1984), Paris 1986, 553-561; A. Lippold, Kaiser Claudius II. (Gothicus), Vorfahr Konstantins d. Gr., und der römische Senat, «Klio» 74, 1992, 380-394; W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie. Das römische Reich zwischen Krisenbewältigung und Neuaufbau (284-313 n. Chr.), Frankfurt am Mainz 2001, 796-802, 824-825, 841-863.

 

[210] - CIL, XIV, 131 da Ostia (Regio I): Restitutori publicae / libertatis defensori / urbis Romae communis / omnium salutis auctori / d(omino) n(ostro) Imp(eratori) Fl(avio) Val(erio) Constantino / Pio Felici Invicto semper Aug(usto) / codicari(i) nabiculari(i!) / infernates devoti n(umini) m(aiestati)q(ue) eius / curante Aur(elio) Victoriano v(iro) p(erfectissimo) / praef(ecto) ann(onae); la dedica fu posta nel 312-313 (PLRE, I, 962, Victorianus nr. 1; H. Pavis d’Escurac, La préfecture de l’annone. Service administratif impérial d’Auguste à Constantin, Rome 1976, 371).

- AE, 1984, 367 da Saepinum (Regio IV): Restitutori / p(ublicae) libertatis / dis genito d(omino) n(ostro) / Imp(eratori) Caes(ari) Flavio / Val(erio) Constantino / Pio Felici Inv(icto) Aug(usto) / d(ecreto) d(ecurionum).

- ILTun., 813 da Tubernuc in Zeugitania: Restitutori / public(a)e libe[r]/tatis d(omino) n(ostro) Fla/vio / Constanti/no Pio Felici.

Lo stesso tema è presente in quattro iscrizioni da Cirta in Numidia, basi di statua databili fra il 313 ed il 315 secondo H.-G. Pflaum, editore delle ILAlg., II (cfr. Lepelley, Notices, cit. 389-390 nota nr. 29):

- CIL, VIII, 7010 (p. 1847) = ILAlg., II, 581: Restitutori lib[ertatis] / et conservatori t[otius orbis] / d(omino) n(ostro) Flavio Val(erio) Cons[tantino] / victoriosissimo et m[aximo] / Aug(usto) Iulius Iuvenal[is v(ir) p(erfectissimus] / rat(ionalis) Numidiae et Mau[reta]/niarum d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) ei[us]; l’iscrizione è del 313 secondo Pflaum, del 315 per gli autori della PLRE, I, 491, Iuvenalis).

- CIL, VIII, 7007 (p. 1847) = ILAlg., II, 583: [Triumphatori omnium gentium ac] domitor[i un]ive[rsarum] / [factionum qui libertatem tenebris] servitut[is op]pre[ssam sua] / [felici victoria nova luce inluminavit et re]vocavit [d(omino) n(ostro) Flavio Valerio] / [Constantino Maximo Pio Felici ac semper Invict[o Aug(usto)] / [--- rationa]lis Numidiae et Maur[etaniarum] / [numini maiestatique eius dev]ota mente semper dicatissi[mus]; le integrazioni sono proposte in base al testo successivo.

- CIL, VIII, 7006 (p. 1847) = ILAlg., II, 582 = ILS, 688: Triumphatori omnium gentium ac domitori universaru[m factionum] / q[u]i libertatem tenebris servitutis oppressam sua felici vi[ctoria (?)] / [nova] luce inluminavit [d(omino)] n(ostro) Flavio Valerio Constant[ino] / Maximo Pio Felici Invicto Aug(usto) / [---] Va[l(erius?) Paulus v(ir) p(erfectissimus)] p(raeses) p(rovinciae) N(umidiae) numini maiestatique eius devota [mente dicatus (?)]; la dedica fu posta nel 313 per PLRE, I, 685, Paulus nr. 12, nel 314 per Kolbe, Statthalter Numidiens, cit. 59-60.

- CIL, VIII, 7005 (p. 1847) = ILAlg., II, 584: Perpetuae securitatis / ac libertatis auctori / domino nostro / Flavio Valerio / Constantino / Pio Felici Invicto ac semper Aug(usto) / Iallius Antiochus v(ir) p(erfectissimus) praeses / prov(inciae) Numid(iae) devotus / numini maiestatique eius. L’iscrizione si pone fra il 315 ed il 316 secondo Kolbe, Statthalter Numidiens, cit. 60-61, fra il 314 ed il 317 per PLRE, I, 73, Antiochus nr. 14.

 

[211] - CIL, VI, 1145 (pp. 3071, 4329): Piissimo ac fortissimo / fundatori pacis / et restitutori publicae / libertatis victoriosissimo / d(omino) n(ostro) Fl(avio) Val(erio) / Constantino maximo / Pio Felici Invicto Aug(usto) / Val(erius) Rusticus v(ir) p(erfectissimus) rat(ionalis) s(ummae) r(ei) / d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius / curante Val(erio) Pelagio v(iro) e(gregio) proc(uratore) / s(acrae) m(onetae) u(rbis) una cum p(rae)p(ostitis) et officinatoribus. Il testo si pone fra il 312 ed il 324 (PLRE, I, 787, Rusticus nr. 4).

- CIL, VI, 1146 (pp. 3071, 4329): Fundatori pacis / et restitutori / rei publicae / d(omino) n(ostro) Fl(avio) Constantino / maximo victori / ac triumphatori / semper Aug(usto). In alternativa un testo da Ravenna (CIL, XI, 9 = ILS, 699) lo indica come f[u]ndato[r] quietis publicae.

A Costantino viene attribuita in base alla paleografia e alla titolatura anche CIL, VI, 30562,2 = 40764 a: ------ / [---]++[--- / [felicit]atis resta[uratori / fundato]ri et propa[gatori / pacis auct]orique [quietis / d(omino) n(ostro) Fl(avio) Val(erio) Consta]ntin[o P(io) F(elici) Aug(usto)] / ------. L’iscrizione si daterebbe fra il 324 ed il 337. Dubbia invece la titolatura di un testo da Cirta in Numidia, sicuramente di Costantino (CIL, VIII, 7008 = ILAlg., II, 585, forse dell’anno 317): ... et fun[dato]ri [pacis?].

 

[212] RIC, VII, pp. 169 nr. 61 da Treveri del 313-315, 297 nr. 12 da Roma nel 313: legenda FVNDAT. PACIS. Concetto identico è espresso in RIC, VII p. 331 nr. 297, da Roma nel 327-333 e legenda RESTITVTOR REI PVBLICAE; l’imperatore in armi è affiancato dalla personificazione turrita della res publica in ginocchio e da un prigioniero.

 

[213] D. Lassandro, La demonizzazione del nemico politico nei Panegyrici Latini, CISA 12, 1981, 244-247; L’Huillier, Panégyriques, cit. 571-573; Grünewald, Constantinus, cit. 63-71, 73-77; G. D'ALESSANDRO, Sulla contrapposizione tra Costantino e Massenzio nei «Panegyrici Latini», InvLuc 18-19, 1996-1997, 131-138. Alla vittoria sui tiranni alludeva anche Eusebio di Cesarea (h.e. 9.9.1-2); per quest’ultimo Costantino era stato apportatore (v.C., 1.13.3; oé de# eièrh@nhv baquta@thv toi^v uép’auètou^ basileuome@noiv eèxa@rcwn) e difensore della pace (h.e. 9.9 a12: oié th^v eièrh@nhv kai# euèsebei@av proh@goroi; i proh@goroi erano Costantino e Licinio, opposti al “crudele” Massimino).

 

[214] P. Liverani, L’arco di Costantino, in A. Donati, G. Gentili (a cura di), Costantino il Grande. La civiltà al bivio fra Occidente e Oriente, Milano 2005, 65.

 

[215] CIL, VI, 1139 + 31245 = ILS, 694: Imp(eratori) Caes(ari) Fl(avio) Constantino maximo / p(io) f(elici) Augusto s(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus) / quod instinctu divinitatis mentis / magnitudine cum exercitu suo / tam de tyranno quam de omni eius / factione uno tempore iustis / rempublicam ultus est armis / arcus triumphis insignem dedicavit. Il testo si data al 315 (Grünewald, Constantinus, cit. 217).

 

[216] RIC, VII, p. 165 nr. 16 da Treveri, solido del 313-315; una variante al nr. 17 e a 363 nr. 29 da Ticinum nel 315, in cui Pax offre una vittoria su un globo (simbolo del potere universale).

 

[217] Su felicitas, cfr. RIC, VII, pp. 736-737 (felicia tempora, felicitas Augusta, felicitas perpetua, felicitas perpetua saeculi, felicitas publica, felicitas Romanorum, felicitas saeculi), 744 (perpetua felicitas). Fra le iscrizioni: CIL, VI, 30562,2 = 40764 a (supra, nota nr. 211); 40768; XIII, 3255 (da Reims nella Gallia Belgica); CIL, VIII, 7005 (p. 1847) = ILAlg., II, 584 (da Cirta in Numidia, cfr. supra, nota nr. 211). Su securitas, cfr. RIC, VII, pp. 750-751 (Securitas Augusti N., Securitas Augg., Securitas perpetua, Securitas publica, Securitas reipublicae, Securitas Romae). Costantino era acclamato restitutor humani generis, propagator imperii dicionisq(ue) Romanae, fundator etiam securitatis aeternae in CIL, VI, 1140 = ILS, 692 del 314 (GRÜNEWALD, Constantinus, cit. 217). Sulla securitas in genere, cfr. supra, nota nr. 105.

 

[218] Oltre alle iscrizioni (supra, nota nr. 211) si possono ricordare alcune emissioni monetali, con evidenti rimandi all’iconografia utilizzata dai predecessori di Costantino: la Pace in piedi, in posizione frontale, regge un ramo d’olivo nella destra ed uno scettro nella sinistra, mentre si appoggia ad una colonna (RIC, VII, p. 314 nr. 143 da Roma, del 318-319: legenda PAX PERPETVA); Pace ed una divinità femminile turrita stanno di fronte all’imperatore e gli offrono rispettivamente una corona d’alloro ed una Vittoria su globo (RIC, VII, p. 363 nr. 29 da Ticinum, autunno 315: legenda PAX AETERNA AVG. N..); per la Pax Publica, cfr. RIC, VII, p. 568.

 

[219] H. Dörries, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, Göttingen 1954, 243, 256-259; R. Farina, Concezioni della pace: a proposito di Costantino il Grande ed Eusebio di Cesarea, in Concezioni della Pace, cit. 124-127.

 

[220] B. Paradisi, L’organisation de la paix aux IVe et Ve siècle, Rec. Soc. Jean Bodin 14, La Paix, 1, Bruxelles 1962, 339; Farina, Costantino ed Eusebio, cit. 125, cfr. v.C. 3,12 e 3,20,2. Per la propaganda monetale sulla concordia, cfr. RIC, VII, p. 730.

 

[221] Socr. h.e. 2.6 e 16, cfr. A.H.M. Jones, The later roman empire (284-602), Oxford 1964, 83-84, 90; E. Stein, Histoire du Bas-Empire, Amsterdam 19682, 126-128; Farina, Costantino ed Eusebio, cit. 126; E. Horst, Costantino il Grande, Milano 1987, 275-284, in particolare 279; al contrario per A. Piganiol, L’empire chrétien (325-395), Paris 19722, 54, Costantinopoli non si sarebbe presentata come una città cristiana ma piuttosto come una capitale “filosofica”, una sorta di Plotinopoli in cui le chiese si giustapponevano ai templi e ai luoghi di divertimento pagani.

 

[222] RIC, VII, p. 340 nr. 356 da Roma: medaglione (legenda CONSTANTINOPOLIS) del 335-337 con la personificazione turrita ed alata della città, seduta su un seggio, con un ramo d’olivo nella destra, una cornucopia nel braccio sinistro; identica iconografia ma con legenda VICTORIA AVGVSTI ai nrr. 357-358 (solidi). In RIC, VII, pp. 332 nr. 303, 342 nr. 337 (legenda VICTORIA AVGVSTI, solidi da Roma degli anni 327-333 e 333-335) Costantinopoli turrita e alata ha un piede sulla prua di una nave, mentre regge un ramo d’olivo ed una cornucopia; pp. 332-333 nrr. 304-305, 337 nr. 343, identica legenda e iconografia ma Costantinopoli è incoronata da Vittoria che avanza con un ramo di palma. Non deve tuttavia sfuggire che il ramoscello d’olivo era simbolo della Pax pagana, cfr. supra.

 

[223] R. Farina, L’impero e l’imperatore cristiano di Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del Cristianesimo, Zürich 1966, 113-123, in particolare 122-123.

 

[224] Farina, Impero e imperatore di Eusebio, cit. 141-142, 151, 159; ID., Costantino ed Eusebio, cit. 127-128, 131-132; Irmscher, Pace nei Padri della Chiesa, cit. 134-135; Siniscalco, L’uomo e la pace, cit. 260, cfr. 265 (a proposito di Agostino). Come per gli scrittori pagani del I-II secolo, anche per il vescovo di Cesarea il principato augusteo aveva segnato la fine delle lotte intestine ed aveva permesso il raggiungimento della pace politica e spirituale; esso realizzava quel regno di pace e giustizia del quale parlava il Vecchio Testamento (in particolare psalm. 71.7; Is. 2.4). In precedenza già Melitone di Sardi e Origene avevano notato la coincidenza fra l’avvento della pax Augusta e la nascita del Cristo e nell’impero universale vedevano la condizione per una rapida diffusione del Cristianesimo.

 

[225] Eus. l.C. 6.20: kai# oé tou^ Qeou^ Uiéo#v eièrhnopoih@sav ta# pa@nta di’eèautou^, ta@ te eèn ouèranwj^ kai# ta# eèpi# th^v gh^v, cfr. Farina, Impero e imperatore di Eusebio, cit. 92.

 

[226] Farina, Impero e imperatore di Eusebio, cit. 141, 143, 160-161, 199-200; Id., Costantino ed Eusebio, cit. 128-132; Siniscalco, Pace in età antica, cit. XXVII; si vedano in particolare Eus. h.e. 9.9.1-2; v.C. 3.1.6; 4.5.1-2. Si osservi che solo durante la lotta per il primato di Roma su Costantinopoli, Leone Magno oppose la Pax Romana (o imperiale) alla Pax Christiana (del successore di Pietro), cfr. Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 15-16.

 

[227] Eus. v.C. 1.5, cfr. Farina, Impero e imperatore di Eusebio, cit. 122-123, 170. Eusebio utilizzò l’aggettivo eièrhnopoio@v solo in due circostanze (h.e. 5.24.18.1, con riferimento ad Ireneo di Lione; fr. Lc. 24.537.7, riprendendo il “Discorso della montagna” di Matteo) e senza alcuna relazione con l’imperatore (FARINA, Impero e imperatore di Eusebio, cit. 33-35, 72-73, 171-172, 198, 211-224: lo studioso nota la coincidenza fra gli epiteti del princeps e quelli attribuiti a Dio e a Cristo).

 

[228] Eus. l.C. 9.8: oé d’euèsebei@av qw@raki pefragme@nov to# swth@rion kai# zwopoio#n shmei^on wçsper ti fo@bhtron kai# kakw^n aèmunth@rion twj^ plh@qei tw^n eènanti@wn aèntiparata@xav, oémou^ th#n kat’eècqrw^n kai# kata# daimo@nwn ni@khn aèphne@gkato ... Non stupisce quindi che con i successori di Costantino le imprese del dominus fossero poste spesso sotto la protezione del labarum (R. Grosse, s.v. labarum, RE 12.1, 1924, coll. 241-242; cfr. RIC, VIII, pp. 576-577; RIC, IX, pp. 312-313, 324): il chirismon è rappresentato su corone offerte agli imperatori o su vessilli o sul globo, mentre le legende inneggiano alle vittorie degli imperatori, alla gloria della res publica, alla virtus exercitus; nelle monete più tarde il labarum è frequentemente associato al princeps armato di lancia, accanto ad un prigioniero seduto o in ginocchio o trascinato dal dominus.

 

[229] Eus. v.C. 2.19.2: th^v eèk qeou^ dedome@nhv auètwj^ kata# pa@ntwn eècqrw^n te kai# polemi@wn ni@khv eiçneka.

 

[230] Hist. Aug. Tac. 15.2; Prob. 20.2-6; 23.1-4, cfr. Alföldi, Studien, cit. 42-43; Vitucci, Pace nella Historia Augusta, cit. 36-38. Secondo Polverini, Utopia della pace, cit. 230-245, la descrizione di una pace possibile ma irrealizzata, dunque utopistica e anacronistica, presente nei due passi, sarebbe un prodotto delle riflessioni compiute da esponenti dell’ordine senatorio sui problemi militari, politici, economici, sociali che affliggevano l’impero in età teodosiana. Non è questa la sede per entrare nel dibattito sulla data della redazione finale della Historia Augusta: se per A. Enmann, Eine verlorene Geschichte der römischen Kaiser und das Buch de Viris Illustribus Urbis Romae, «Philologus» 4, 1884, 335-501 il testo era di età costantiniana, la maggior parte degli studiosi propende per l’ultimo decennio del IV secolo (H. Dessau, Über Zeit und Pesonlichkeit der «Scriptores Historiae Augustae», «Hermes» 24, 1889, 337-392; A. Chastagnol, Le problème dell'Histoire Auguste: état de la question, in Bonner Historia-Augusta-Colloquium 1963, Bonn 1964, 63-66; J. Schwartz, Arguments philologiques pour dater l'Historie Auguste, «Historia» 15, 1966, 454-465; T.D. Barnes, The sources of the «Historia Augusta», Bruxelles 1978, 13-22; R. Syme, Historia Augusta Papers, Oxford 1983, 120, 165-166); pensa al periodo fra il 395 ed il 405 K.-P. Johne, Kaiserbiographie und Senatsaristokratie. Untersuchungen zur Datierung und sozialen Herkunft der Historia Augusta, Berlin 1976, 177-178.

 

[231] RIC, VIII, pp. 284 nr. 350, 285 nr. 355, del 337-340, legenda GLORIA ROMANORVM: l’imperatore stante ed in abiti consolari mostra lo scettro ed il ramo d’olivo, secondo un’iconografia documentata nel III secolo (supra, nota nr. 165).

 

[232] RIC, VIII, p. 295 nrr. 439-440, del 352-354, legenda VIRTVS AVG. N.: Costanzo II a capo scoperto e in abiti militari, stringe una lancia ed un ramo d’olivo. Si osservi che nella prima metà del 350 la stessa zecca aveva dedicato un identico medaglione a Magnenzio (RIC, VIII, p. 291 nr. 411: legenda VIRTVS AVGVSTORVM). Contemporaneamente sempre la zecca urbana coniava un altro medaglione per il figlio di Costantino (RIC, VIII, p. 263 nrr. 175-176: legenda VICTORIA AVG. LIB. ROMANORVM): l’imperatore, a capo scoperto ed in abiti militari, porta nella destra uno stendardo con raffigurata un’aquila, nella sinistra un ramo d’olivo, e poggia il piede destro sulla spalla di un prigioniero a capo scoperto. Rispetto alle monete di Costante II veniva in questi casi sottolineata la Pax ottenuta con la forza delle armi.

 

[233] RIC, VIII, pp. 296, nrr. 446-447, 298 nrr. 463-465, fra il 354 ed il 361 (legenda VIRTVS AVGVSTI NOSTRI variamente abbreviata) per Costanzo II e Giuliano: l’imperatore, in abiti militari e a capo scoperto, stringe nelle mani un ramoscello d’olivo e lo stendardo o una lancia, mentre ai piedi si trova un prigioniero. I medaglioni evidenziavano il rapporto fra la pace e l’abilità dell’imperatore in battaglia.

 

[234] Si tratta di alcuni miliari dall’Italia Centrale:

- CIL, XI, 6632 a = ILS, 5827 presso Pisaurum: Defensori pacis / et conservatori / imperii Romani / d(omino) n(ostro) Constantio / maximo victori / ac triumfatori / semper Aug(usto) / [---] b(ono) r(ei) p(ublicae) n(atus) / CLXXXII.

- CIL, XI, 6625, non distante da Fanum Fortunae: Defensori pacis / et conservatori / imperii Romani / d(omino) n(ostro) Cons(vacat)tantio / maximo victori ac / triumfatori semper Aug(usto) / [---] b(ono) r(ei) p(ublicae) n(atus) / ------.

- CIL, IX, 5942 presso Falerio: Conservatori / pacis et conservatoris (!) / inperii (!) Romani d(omino) n(ostro) / Constantio maximo / victo[r]i ac triump(h)a/tori semper Aug(usto). La variante conservator pacis potrebbe esser dovuta a cattiva tradizione manoscritta.

- AE, 1975, 358 = 1978, 290 = 1980, 380 da San Ginesio: Defensori pac(is) ac con/servatori imperii Roma/ni d(omino) n(ostro) Co(n)stantio maximo / victori ac triumphato/ri semper Aug(usto) Fl(avius?) Romu/lus v(ir) c(larissimus) consularis Fla(miniae) / et Piceni d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius / bono r(ei) p(ublicae) natus / II.

Secondo G. Camodeca, Per la redazione dei fasti delle province italiche. Fl. Romulus, consularis Flaminiae et Piceni nel 352(-3), ZPE 28, 1978, 151-158 questi testi sarebbero dell’autunno 352: le entusiastiche espressioni elogiative servirebbero ad allontanare da Romulus il ricordo della sua ipotizzata collusione con Magnenzio. Al contrario L. Gasperini, Un miliario delle Macchie di S. Ginesio, in Fili@av ca@rin. Miscellanea di studi classici in onore di Eugenio Manni, Roma 1980, 1045, 1048-1053 ritiene che la titolatura imitasse quella di Costantino; le pietre, commissionate da un Pi(sidius) Romulus, sarebbero invece connesse al viaggio a Roma di Costanzo II nel 357, ipotesi contro le quali si schierano apertamente gli editori di AE, 1980, 380.

 

[235] CIL, VIII, 1579 da Mustis in Africa Proconsolare, testo noto solo attraverso la tradizione manoscritta: Invictissimo felicissimoque / Imperatori Tiberio Iulio / Augusto Caesari orbis / pacatori Musticensium / d(ecreto) d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica). L’iscrizione coronava forse uno degli archi onorari alle porte della città; per la sua ricostruzione i viaggiatori del XVII-XVIII secolo si servirono probabilmente di conci pertinenti ad altri monumenti; l’attribuzione della dedica a Costanzo II si deve a G. Wilmanns, editore del volume del CIL (Flavius Iulius Constantius), seguito da Lepelley, Notices, cit. 149 e Mastino, Orbis, cit. 112, 137; in ogni caso la formula invictissimo felicissimoque imperatori orbis pacatori si deve necessariamente associare ad un imperatore del Basso Impero (A. CHASTAGNOL, Le formulaire de l'épigraphie latine officielle dans l'antiquité tardive, in A. Donati (a cura di), La terza via dell'epigrafia, Colloquio AEIGL, Borghesi nr. 86, Bologna 1986, Bologna 1988, 19; tuttavia già Elagabalo era acclamato felicissimus atque invictissimus, cfr. AE, 1971, 335).

 

[236] I testi riprendevano quasi alla lettera i formulari dei miliari redatti nella stessa regione, talora sulla stessa pietra, per Costanzo II (supra, nota nr. 234):

- CIL, XI, 6627 a, da Fanum Fortunae: [Fundat]orib(us) pacis / [ac conserv]atorib(us) /[imperii R]omani / d(ominis duobus) n(ostris duobus) [Valentini]ano et Valenti / [principib(us) max]imis / [ac triumfatorib(us)] semper / [Aug(ustis duobus) impera]ntibus.

- CIL, XI, 6632 b, presso Pisaurum: Fundatorib(us) pacis / et conservatorib(us) / imperii Romani / d(ominis duobus) n(ostris duobus) Valentiniano / Valenti principib(us) / maximis ac tri/umfatorib(us) semper / Aug(ustis duobus) [---] b(ono) r(ei) p(ublicae) [n(atus)] / imperantib(us) (?).

 

[237] AE, 1986, 631 = ICorinth, 26 da Corinto in Achaia: Reparatori R[o]manae rei f[undatori] / aeternae [p]acis aucto[ri humani] / generis d(omino) n(ostro) [F]l(avio) Theodos[io Augusto] / Arcadio et H[onorio] im[peratoribus] / [---]tius AC[---] / ------. Il testo è databile fra il 23 gennaio 393 (ascesa al trono di Onorio) ed il 17 gennaio 395 (morte di Teodosio, cfr. KIENAST, Kaisertabelle, cit. 340).

 

[238] Non è databile un miliario di Thamugadi in Numidia (L. Leschi, Milliaires et épitaphes de Timgad, B.C.T.H. 1946-1949, 231 nr. 3), integrabile in [pacator or]bis o [restitutor or]bis. Non può più prendersi in considerazione CIL, VI, 37017 (p. 4358): la nuova lettura di G. Alföldy restituisce con sicurezza [pr]opagato[r(-)] in luogo del supposto [pa]cato[r(-)]; la paleografia suggerirebbe una datazione al IV secolo. Dei [funda]tores ... [aet]ernae pacis ... [c]onservatores sono ricordati in CIL, VI, 40823 (formula e paleografia suggeriscono una datazione al IV secolo); CIL, II, 4765 da Bracara nella penisola iberica, alludeva forse a Magnenzio [pacat]ori (?) or[bis] trimphatori semper Augusto (la pietra potrebbe esser stata reincisa per ospitare l’iscrizione dell’usurpatore). Alle testimonianze epigrafiche si potrebbe aggiungere il verso di Claudiano, 24.13: riferendosi a Stilicone in occasione del suo secondo consolato, il poeta lo definisce felix bellator ubique, defensor Libyae, Rheni pacator et Histri.

 

[239] CIL, III, 12330 = ILS, 8944 da Traiana in Thracia: [P]acifico piissimo[q]ue p[ri]ncip[i] / d(omino) n(ostro) Fl(avio) Cl(audio) Constanti victor[i / e]t [t]riumfatori [p]erpetuo Au[g(usto)] / Ant(onius) Marcellinus [et] Dom(itius) Leonti[us / e]t Fab(ius) Titianus vv(iri) cc(larissimi) praeff(ecti) praet(orio) / n(umini) m(aiestati)[q(ue)] eorum semper dev[o]tissim[i / p]rocurante Palladio v(iro) p(erfectissimo) praesi[de / p]rovinciae Thraciae / consecraverunt. L’iscrizione fu posta nel febbraio-giugno 341 (Marcellinus fu, infatti, prefetto del pretorio di Italia, Illirico e Africa fra il 29 aprile 340 ed il giugno 341, cfr. PLRE, I, 548-549, Marcellinus nr. 16; Leontius fu prefetto del pretorio d’Oriente nel 340-344, cfr. PLRE, I, 502-503, Leontius nr. 20; Titianus fu prefetto del pretorio delle Gallie sicuramente fra il 25 febbraio 341 ed il 12 novembre 349, cfr. PLRE, I, 918-919, Titianus nr. 6; vedi inoltre PLRE, I, 661-662, Palladius nr. 17).

 

[240] CIL, VIII, 995 = 12455 = ILS, 778, dedica di una statua eretta a Carpis in Zeugitania dal proconsole Sesto Rustico Giuliano, al comando della provincia fra il settembre 371 ed il febbraio 373 (PLRE, I, 479, Iulianus nr. 37; Lepelley, Notices, cit. 104): Virtute inclyto / pietate pacifico / d(omino) n(ostro) Gratiano feli/ci semper Augusto / [S]extius Rusticus / Iulianus v(ir) c(larissimus) procon/sule (sic!) p(rovinciae) A(fricae) numini eius / dicatissimus sac/[r]ae maiestati cons/tituit.

 

[241] IRT, 478 base di statua da Lepcis Magna in Tripolitania: Toto orbe / pacifico / consuli / d(omino) n(ostro) Flavio / Arcadio / Pio Felici / victori ac / triumfato/ri semper / Augusto / Lepcitani devoti num(ini) / maiestatiq(ue) eius. Il testo è databile al 383-408, tuttavia non è escluso che sia stato posto anteriormente al 395 (cfr. Mastino, Orbis, cit. 116 nota nr. 429): se una dedica ad Onorio (IRT, 479) potesse essere considerata gemella a quella di Arcadio, si potrebbe supporre che le due iscrizioni fossero state commissionate in occasione del primo consolato dei due fratelli (rispettivamente nel 385 e nel 386, cfr. Degrassi, Fasti, cit. 85).

 

[242] Fröhlke, s.v. pacificus, ThLL, X,1, 1982, coll. 14-17, in particolare ll. 14,45-46: l’aggettivo significava pacem facere studens > pacis particeps, pacis plenus.

 

[243] Mt. 5.9.1: maka@rioi oié eièrhnopoioi@, oçti [auètoi#] uiéoi# qeou^ klhqh@sontai. Per la comprensione di eièrhnopoio@v può essere utile il commento di Girolamo allo stesso passo (Hier. in Matth. 5.9): ‘beati pacifici’ qui priumum in corde suo, deinde inter fratres disaidentes pacem faciunt.

 

[244] Siniscalco, Pace in età antica, cit. XXVI; Id., L’uomo e la pace, cit. 253-256; si vedano inoltre Stephanus, Thesaurus Graecae Linguae, cit. IV coll. 279-270; Liddle-Scott, Greek Lexicon, cit. 490; Momigliano, Terra marique, cit. 64. Già per Isaia (9.5-6) il Messia sarà “Principe della pace, grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine”; secondo Paolo (Ef. 2.14-17) Cristo “... è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo ... l’inimicizia, ... facendo la pace, e ... per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunciare la pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini (cfr. Is. 57.19)”; per Origene (Cels. 5.33) i Cristiani, figli della pace (cfr. Lc. 10,6), non avrebbero più dovuto impugnare le armi; per Tertulliano i Cristiani erano sacerdotes pacis (spect. 16.4).

 

[245] Supra, nota nr. 133.

 

[246] Si vedano in proposito alcune riflessioni di Lana, Idea della pace, cit. 9, 47, 56-61; Id., Rapporto, cit. 17; Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 15; Zecchini 1985, 191-192; Siniscalco, Pace in età antica, cit. XXV-XXVII; Id. L’uomo e la pace, cit. 253-254, 265; Irmscher, Pace nei Padri della Chiesa, cit. 136-137.

 

[247] Aug. de serm. dom. 1.4.11, databile al 393.

 

[248] Irmscher, Pace nei Padri della Chiesa, cit. 136. La base del pensiero agostiniano è Paolo, Phil. 4.7: “la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza”.

 

[249] Oros. hist. 5.1.10-13: maiores nostri bella gesserunt, bellis fatigati pacem petens tributa obtulerunt: tributum pretium pacis est. Nos tributa dependimus, ne bella patiamur, ac per hoc in portu, ad quem illi tandem pro evadendis malorum tempestatibus confugerunt, nos consistimus et manemus. Igitur nostra tempora viderim utrum felicia; certe feliciora illis ducimus, qui quod illi ultime delegerunt nos continue possidemus. Inquietudo enim bellorum, qua illi attriti sunt, nobis ignota est. In otio autem, quod illi post imperium Caesaris nativitatem Christi tenuiter gustaverunt, nos nascimur et senescimus; quod illis erat debita pensio servitutis nobis est libera conlatio defensionis, tantumque interest inter praeterita praesentiaque tempora, ut quod Roma in usum luxuriae suae ferro extorquebat a nostris, nunc in usum communis reipublicae conferat ipsa nobiscum. Aut si ab aliquo dicitur tolerabiliores parentibus nostris Romanos hostes fuisse, quam nobis Gothos esse, audiat et intellegat, quanto aliter quam circa se ipsum agitur sibi esse videatur. Cfr. B. Lacroix, Orose et ses idées, Montréal - Paris 1965, 164-166; si veda inoltre F. Fabbrini, Paolo Orosio, uno storico, Roma 1979, 389-390, 392.

 

[250] Siniscalco, L’uomo e la pace, cit. 265.

 

[251] Il titolo è ripreso anche in RIC, IX, p. 129 nrr. 52 a-b: multipli d’argento coniati a Roma fra il 25 agosto 383 e l’estate del 387 rispettivamente per Teodosio e Arcadio augusto.

 

[252] AE, 1947, 185 da Hebdomon in Thracia: D(ominus) n(oster) Theodos[ius Pius Felix August]us / Imperator et [fortissimus triumfato]r / [gentium barbararum pere]nnis [et ubiqu]e / [victor pro] votis suororum pacato / [orbe Rom]ano celsus exultat.

 

[253] Rut.Nam. 1.143-154.

 

[254] Rut.Nam. 1.155-158.

 

[255] A. Fo (a cura di), Rutilio Namaziano, il ritorno, Torino 1992, 72-73.