N. 5 – 2006 – Tradizione Romana
Università di Sassari
Università di Cagliari
L’imperatore pacator
orbis*
Sommario: 1. E„r»nh e Pax
nel mondo greco e romano. – 2. La Pax Augusta. – 3. La pace universale nel I secolo
dell’impero. – 4. L’imperatore pacator orbis. – 5. Il
problema della pace durante il III secolo. – 6. Dalla Pax Romana alla Pax Christiana.
Ultime testimonianze del titolo pacator.
Nel mondo greco il concetto di pace non si
limitava alla semplice cessazione o interruzione di una guerra esterna ma
coinvolgeva i rapporti interni fra i cittadini della pÒlij, abbracciando valori che trascendevano la
sfera politica per arrivare a quella etica e morale. Sin dall’età arcaica E„r»nh, dono degli dei ed
essa stessa divinità, era associata a EÙnom…a (buon governo) e a D…kh (giustizia); la sua
presenza portava ordine e benessere, gioia e prosperità[1]; è interessante
l’originale interpretazione che della divinità diede lo scultore Cefisodoto il
Vecchio, padre di Prassitele[2]: la dea maestosa tiene in
braccio un bimbo, identificato come Ploàtoj (la ricchezza), che le accarezza teneramente
il volto. Il quadro familiare materializzava quelle che erano le speranze degli
Ateniesi nel primo scorcio del IV secolo a.C.: la pace quale fondamento della
ricchezza economica, in particolare del commercio. In questo solco, liberata
dagli orpelli mitologici della tradizione, maturava la tesi di Aristotele che
nel VII libro della Politik£ faceva della pace il fine ultimo della pÒlij ideale e
conseguentemente fondava sul raggiungimento di questo obiettivo l’educazione
del cittadino[3].
Sempre nel IV secolo, il contatto fra le pÒleij greche e l’impero
persiano portò a maturare l’idea di una koin¾ e„r»nh, una pace universale, eterna (almeno nelle
intenzioni) e multilaterale, che coinvolgeva non solo i contraenti immediati
ma, a prescindere alla partecipazione della guerra, tutte le comunità di un
determinato territorio; essa si fondava sui principi condivisi dell’™leuqer…a e dell’aÙtonom…a (la libertà interna
ed esterna) e rappresentava una sorta di dichiarazione dii diritti validi
per tutte le città al di là dei singoli interessi, imposta e garantita da un
organismo supremo con la forza delle armi[4].
Differente invece l’atteggiamento nei
confronti della pace nel mondo romano, con un significativo slittamento
semantico. Il concetto di pax investiva originariamente la sfera sacrale
della Roma arcaica e rappresentava l’atto di riconciliazione fra gli uomini e
le divinità[5],
fondamentale per la felice riuscita di qualsiasi impresa umana[6]; successivamente pax
indicò la riconciliazione fra gli uomini, sancita da un foedus che
richiedeva particolari condizioni preliminari. Se l’e„r»nh stipulata fra i
Greci presupponeva un reciproco impegno garantito con un giuramento, la pace
romana era imposta unilateralmente al vinto dal vincitore, che, solo dopo aver
ricevuto armi, ostaggi ed altre garanzie o indennità dallo sconfitto, si
impegnava a imperio in eum tamquam pacatum uti[7].
Sin dalle fasi più antiche pax era
dunque associata ad imperium e priva di quelle caratteristiche civili e
crematistiche tipiche dell’e„r»nh (era d’altronde ben chiaro ai Romani che la guerra era
fonte di ricchezza immediata ancor più della pace). L’idea della pace non
riscosse inoltre popolarità tale da suscitare un culto specifico fra i cives-soldati[8], pure inclini a prestare
attenzione a concetti astratti come concordia, fides, honos,
pietas, victoria[9] ma curiosamente dimentichi
di Pax e quindi dell’epiteto pacator: unica rappresentazione
sembrerebbe quella sul verso di un denario anonimo del
I temi di Pax e Concordia
ebbero invece larga risonanza nei proclami dei vari comandanti durante le
guerre civili che funestarono il I secolo a.C.[13]. Silla per primo ne fece
uso nella sua propaganda[14]: sul recto di un
denario dell’anno 81, accanto ad un volto femminile, fu raffigurato per la
prima volta il caduceo, antichissimo simbolo della Pax, una pace
tuttavia cruenta, conquistata in una guerra contro i concittadini[15]. È invece animata
dallo spirito di riconciliazione la propaganda di Cesare negli anni dello
scontro con i Pompeiani[16]: probabilmente sono da
rapportare a questo clima il quinario coniato da Lucio Emilio Buca nel
Dalla seconda metà del II secolo a.C.
cominciava intanto a diffondersi nella classe dirigente romana un nuovo
concetto di pace, di matrice aristotelica o epicurea, collegato all’otium[19]; al tempo di Cicerone
l’ideale della pace nelle sue varie sfumature era chiaro ad un numero
vastissimo di Romani colti, provati dalle guerre esterne ed interne[20]: come per Aristotele
anche per il senatore di Arpinum la pace era condizione migliore della
guerra e l’unica guerra accettabile era quella che conduceva alla pace[21]. In questo clima non
stupisce che il termine pax appaia per la prima volta su un’iscrizione,
una sententia del senato databile al
[re publica pulcer]rume adm[i]nistrata, imperio am[pli]ficato,
[p]ace per orbe[m terrarum confecta], dopo che erano stati sgominati i praedon[es q]uei orbem [ter]rarum complureis
[annos vastarint et fa]na delubra simul[a]cra deorum inmor[t]alium loca religi[osissuma
--- compil]arint[22].
Il culto ufficiale della Pace fu introdotto
in Roma solo da Augusto con la decisione di edificare nel
Ottaviano evitava
in quest’ultimo caso di accennare alle sue vittorie (unico indizio la corona di
alloro che cinge l’icona della dea), poiché il riferimento sarebbe stato
evidentemente alle guerre civili. I successi militari venivano invece celebrati
in maniera più esplicita quando il riferimento era alle guerre esterne:
[Ianum] Quirin[um
quem cl]aussum ess[e maiores nostri voluer]unt [cum p]er totum i[mperium
po]puli Roma[ni terra marique es]set parta vic[torii]s pax, cum priu[s qua]m
nascerer a condita urbe bis omnino clausum [f]uisse prodatur m[emori]ae, ter me
princi[pe senat]us claudendum esse censui[t][29].
La chiusura del tempio di Giano prima nel
Si trattava di una
pace tradizionale imposta e conservata con le armi[32],
alla quale alludevano fra gli altri un denario emesso forse fra il 30-
Accanto ad una Pax trionfante l’imperatore
cominciò ben presto a pubblicizzare una “pace civile”, una nuova età dell’oro
contrassegnata dalla provvidenziale presenza del princeps[43] che aveva ripristinato la
pax deorum infranta dalle guerre civili, che apparentemente garantiva la
libertas[44],
la salus publica e la concordia civium[45], la securitas[46], la certezza del diritto,
la ripresa delle attività produttive[47]. Pacato orbe terrarum
res[titut]a re publica quieta deinde n[obis et felicia] tempora contingerunt,
poteva affermare un sopravvissuto alle proscrizioni[48] ma testimoniano il nuovo
clima di fiducia anche un semiasse coniato a Pella (nel verso è
raffigurato un colono che conduce due buoi al lavoro)[49], la dedica alla Pace
posta dagli abitanti di Praeneste[50], alcuni rilievi dell’Ara Pacis[51] e sopratutto numerosi
passi dei poeti augustei[52].
Nella propaganda ufficiale la pax
appariva come un dono delle divinità o ancor meglio dell’unico uomo che godeva
di un imperituro favore divino. Ovidio definiva l’imperatore auctorem pacis[58] e pregava: Iane, fac
aeternos pacem pacisque ministros[59], dove questi ministri
erano il princeps ed i suoi eredi[60]. Non fu quindi casuale
che la divinizzazione di Pax coincidesse con la divinizzazione di fatto
dell’imperatore[61]:
in un sesterzio del 22-23 d.C. il divus Augustus pater viene
rappresentato nelle vesti del fundator pacis, radiato e togato, assiso
in trono, nella mano destra il ramo d’olivo, nella sinistra lo scettro[62], simboli questi ultimi
già presenti nel denario del
Gli effetti della Pax Augusta assicurarono
per circa due secoli una sostanziale convivenza pacifica nel Mediterraneo, il
libero movimento di merci e uomini, la progressiva integrazione dei provinciali,
la possibilità per i ceti elevati di partecipare al governo di Roma e per le
classi inferiori di godere di una giustizia equanime, la prospettiva di
un’eventuale promozione sociale[64]. Pur essendo
questi benefici ben chiari ad una parte importante dell’opinione pubblica[65], la celebrazione della
pace non ebbe grande rilievo sulle monete dei primi imperatori e, salvo rare
eccezioni, fu scarsissima sulle iscrizioni: ignorata da Tiberio[66] e Caligola[67], ripresa da Claudio in
maniera ripetitiva[68], ritornò al centro della
propaganda politica solo nella seconda parte del principato di Nerone, in
relazione agli eventi che portarono alla temporanea rottura con il re dei Parti
Vologese e alla spedizione orientale di Domizio Corbulone[69].
Nel 66, infatti, presumibilmente in occasione
del pomposo viaggio in Occidente di Tiridate, incoronato a Roma re d’Armenia,
fu coniata una serie di monete che nel verso, con legenda PACE P. R.
TERRA MARIQ. PARTA IANVM CLVSIT,
davano una rappresentazione piatta e frontale del tempio di Giano Gemino con
una delle porte (alternativamente la destra o la sinistra) chiuse[70]. In questo contesto
Pur fra grandi contraddizioni, il messaggio
di Nerone fu favorevolmente recepito dall’opinione pubblica e da una parte
della classe di governo; non fu quindi un caso che l’idea alessandrina di
impero universale e sopratutto di pace ecumenica diventasse il manifesto
dell’effimero principato di uno degli uomini dell’entourage neroniano, quel Salvio Otone che anche per questa via
manifestava il suo distacco dalla linea tradizionalista seguita da Galba[75]. Le poche monete d’oro e
d’argento emesse durante il suo governo[76], oltre alla Securitas
p(opuli) R(omani), promettevano significativamente
La pace di Otone era più una promessa che un
fatto compiuto; la pace di Vitellio, un altro neroniano, era invece
drammaticamente concreta: è significativo un sesterzio con legenda PAX GER.
ROM.[81],
dove il signore degli eserciti renani riceve dalla dea Roma, in abiti
militari, una statua di Victoria mentre alle sue spalle sorveglia la
scena una divinità che potrebbe essere intesa come Pax. Era il manifesto
della soggezione dell’Italia agli eserciti provinciali, il trionfo della pace
armata in questo caso non su popolazioni straniere ma sugli stessi
concittadini; era in un certo qual modo la rappresentazione edulcorata delle
violenze che i partigiani di Vitellio perpetuarono nelle province, nella
penisola e nell’Urbe stessa, arrivando ad incendiare il tempio capitolino[82].
Anche la propaganda di Vespasiano mirava alla
pacificazione dell’orbis terrarum[83] e alla restaurazione
dell’ordine mondiale, dopo i disastri delle guerre civili che avevano leso la
credibilità del principato fondato, come già detto, sulla Pax e sulle victoriae[84]. Nel 71 la zecca di Roma
emise dei sesterzi con legenda PAX AVG. e rappresentazione della Pace
nell’atto di bruciare una catasta di armi[85], una divinità quindi non
statica come in precedenti raffigurazioni ma dinamica e liberatrice,
espressione del genius principis (quindi Augusta) e della volontà
imperiale tutta tesa alla distruzione degli strumenti della discordia[86] per inaugurare un’epoca
nuova all’insegna della firmitas (la stabilità di governo)[87].
Vespasiano si preoccupò di ristabilire le
basi giuridiche ed ideologiche del suo potere[88] e di sottolineare i
vantaggi procurati dal principato[89]: in questo contesto
furono coniate, probabilmente sempre nel 71, delle monete che, riprendendo
alcuni tipi augustei[90], identificavano
nell’imperatore il “portatore della pace”, assiso in trono con in mano un ramo
d’olivo e lo scettro[91], iconografia estesa
significativamente anche ai figli Tito e Domiziano, destinati a perpetuare la
dinastia, Caesares principes iuventis raffigurati togati e seduti fianco
a fianco, ciascuno con ramo d’olivo nella mano destra protesa[92].
Nello stesso anno, in connessione alla nuova
chiusura del tempio di Giano[93] e nell’ambito forse di un
ampio progetto volto a riorganizzare tutta l’area fra il Foro ed il Colosseo[94], l’imperatore decideva di
dedicare per la prima volta e al centro di Roma un tempio alla Pax
riconquistata[95].
L’edificio, che ospitava i trofei della spedizione giudaica di Tito[96], era dotato di un’ampia porticus,
di una serie di aule (fra le quali la celebre bibliotheca Pacis) e di un
tšmenoj grandissimo con giardini e pregevoli statue
spesso provenienti dalla domus Aurea. Il monumento fu inaugurato nel 75[97] e nelle intenzioni
di Vespasiano rappresentava una sorta di nuova Ara Pacis[98], in risposta ad un
sentimento diffuso nell’Urbe[99] e nelle province[100], la pietra angolare di
un governo nato sulle ceneri di una guerra combattuta da Romani contro Romani e
che ora mirava a ricomporre l’unità dell’impero[101].
Come Vespasiano, anche Nerva volle in seguito
rimarcare il suo impegno nel costruire la pace: in un raro denario dell’anno 97
l’anziano princeps veniva rappresentato nell’atto di stringere la mano
ad una figura virile in abiti militari con in capo un elmo[102], identificata dagli
studiosi con Marte (pace con gli eserciti), con Traiano (adozione del
successore), con un pretoriano[103]. Qualunque sia la
corretta interpretazione, è comunque evidente la volontà di Nerva di dialogare
con le forze in campo, perdonandole errori o simpatie del passato; la dextrarum
iunctio fra le due figure garantiva la stabilità del regime e
Il motivo della pace nelle sue varie
sfumature occupò fra alterne fortune un posto importante nell’iconografia
monetale dei vari imperatori[105]. Se in numerose
rappresentazioni la scena era dominata dalla dea Pax, idealmente
collegata al princeps dall’aggettivo Augusta o dal genitivo
Augusti[106]
o da attributi che inequivocabilmente rimandavano alla figura imperiale (lo
scettro, il parazonium)[107], non mancano i tipi
monetali nei quali l’imperator viene tratteggiato come “portatore di
pace”, con lo scettro nella sinistra ed il ramo d’olivo o la cornucopia nella
destra: sono interessanti in questo contesto delle emissioni che accanto alla Pax
(busto o figura intera, stante o assisa in trono, con caduceo, cornucopia,
ramoscello d’olivo) associano una legenda che rimandava alla titolatura
ufficiale del princeps[108], quasi a sottolineare
che
L’immagine dell’augusto “creatore di pace”
era d’altronde ben radicata nell’opinione pubblica romana, tanto da interessare
anche i primi scrittori cristiani[110]. In età neroniana già
Seneca teorizzava un princeps incarnazione del sapiente, che si poneva
al servizio dell’intera umanità per indicarle la via verso la felicità e per
restaurare la pace tra gli uomini: solo dall’imperatore dipendeva la
realizzazione della pax Romana o universale; la malaugurata scomparsa
del primo avrebbe portato alla generale rovina del popolo[111]. Negli anni seguenti
Plinio il Giovane lodava l’opera di Traiano che con le sue virtù (auctoritas,
consilium, fides) aveva realizzato una nuova e concreta età
dell’oro[112],
rifuggendo la guerra se non strettamente necessaria al raggiungimento della
pace[113]. Sulla stessa linea
l’autore dell’E„j Basile…a poteva celebrare le virtutes militari
del princeps, dalle quali era scaturito un periodo di pace generale
senza riscontri nel passato[114] e la propaganda
senatoria descriveva Adriano impegnato nella conservazione della pace per
orbem terrarum[115]: non a caso sulle sue
monete si celebrava per la prima volta
Con una certa frequenza in età antonina
l’imperatore veniva raffigurato come “portatore di pace”, assiso sulla sedia
curule[117]
o stante[118],
con gli attributi della pace (il ramo d’olivo) e della regalità (lo scettro)[119]. Per Elio Aristide
l’impero romano, superiore a quello persiano e macedone, aveva senso solo in
quanto realtà ecumenica, capace di porre termine ai conflitti per il primato e
alle ingiustizie e di garantire un governo equilibrato e ordinato, fonte di
pace e benessere per tutti gli uomini senza distinzione di classe sociale o
etnia[120].
Alcuni anni dopo il cristiano Atenagora si augurava una compiuta realizzazione
di questa universalità, auspicando la sottomissione delle gentes externae,
ed identificava in Marco Aurelio e Lucio Vero i principes che avevano
saputo porre termine alle guerre[121]. Proprio con Marco
Aurelio si ripropose con urgenza il tema della pace, che gli assalti dei
Barbari alle frontiere rendevano precaria[122]: per la prima volta
furono coniate monete con legenda PAX AETERNA[123], che materializzavano le
generali angosce della società romana. Forse in questo difficile frangente riapparvero
le dediche alla Pace, ottenuta grazie alle vittorie dell’imperatore[124] ed ormai in età
severiana, Tertulliano ricordava le preghiere dei suoi confratelli affinché ai principes
fossero concessi
vitam ... prolixam, imperium securum, domum tutam, exercitus fortes,
senatum fidelem, populum probum, orbem quietum[125].
In questo scenario di incertezza politica e
militare nella titolatura imperiale fu introdotto ufficialmente l’epiteto pacator
orbis[126],
attribuito per la prima volta a Commodo da un senatoconsulto del 192, ricordato
da Dione Cassio[127] e confermato dalle
iscrizioni[128]
e dai papiri[129]:
pacator orbis, (felix), invictus, Romanus Hercules,
in greco e„rhnopoiÕj
tÁj o„koum»nhj, eÙtuc»j, ¢n…khtoj, Rwma‹oj HraklÁj. É noto come, succeduto
al padre, Commodo si affrettasse a concludere le guerre con i Barbari per
assicurare all’impero una tranquillità apparente[130] che gli consentiva di
rilanciare nella sua propaganda i consueti slogans relativi alla felicitas
temporum[131].
L’imperatore cominciò ben presto a presentarsi come una reincarnazione di
Ercole sino a diventare, nel 191, il Rwma‹oj HraklÁj[132], assimilando la sua
figura a quella dell’eroe divinizzato, personificazione della forza, del
coraggio fisico (non a caso era patrono degli atleti e di quanti gareggiavano
nell’anfiteatro) e, grazie all’elaborazione dei filosofi cinici e stoici, della
libertà dalle passioni e dalle paure[133]: per questo il senato
gli aveva attribuito nel 192 il programmatico titolo di pacator giacché
come Ercole anche Commodo aveva saputo cacciare dalla terra i mostri ancestrali
(identificati con i Barbari) e garantire nell’ecumene pace, prosperità,
progresso[134].
Seguendo l’esempio di Commodo, il titolo si
diffuse già nei primi anni del principato di Settimio Severo[135]. Fra il 198-201
l’imperatore fu acclamato Fundator Pacis in numerose monete che lo
rappresentavano con capo velato ed in mano un ramoscello d’olivo ed un rotolo
di pergamena (la pace intesa dunque come un dono delle divinità, ottenuta
grazie all’insostituibile intermediazione dell’imperatore)[136]; la titolatura era
ripresa dai denarii di Caracalla (in questo caso l’imperatore aveva uno scettro
e un ramo d’olivo)[137]. Alla base di entrambe
le rappresentazioni vi era la concezione del princeps fondatore e
ideatore della pace[138].
Sono riconducibili invece al particolare
rapporto che legava i Severi alla divinità venerata nel santuario di Emesa gli
aurei ed i denarii coniati a Roma fra il 203-210 per i singoli membri del
collegio imperiale, con legenda PACATOR
ORBIS e raffigurazione del busto del dio Sole radiato e drappeggiato[139]. Il culto della pace
ebbe in ogni caso un notevole peso durante tutto il principato di Settimio
Severo[140]
come prova ora anche una dedica da Al Batra in Arabia[141].
La documentazione epigrafica di Caracalla pacator
orbis è sicuramente più cospicua sopratutto grazie ad una serie di miliari
del 213 provenienti dall’Europa Settentrionale (Gallia Belgica[142] e Germania Superior[143], probabilmente in
relazione all’imminente expeditio Germanica[144]) e ad alcune
dediche dalla Baetica[145] e dalla Numidia[146]: la frequente
associazione del titolo Magnus princeps
lascia intravedere l’emulazione di Alessandro Magno e di Commodo, il culto
zelante di Ercole perseguito dal figlio di Settimio Severo[147], sicuramente lo spirito
ecumenico che animava la corte imperiale e che aveva portato alla promulgazione
della constitutio Antoniniana[148]. D’altro canto
nell’immaginario popolare Caracalla, già durante la correggenza con Geta e a
discapito del fratello, era osannato come una divinità (deus imperator, sideribus
in terra delapsus, tonitrator Augustus)[149] per aver ampliato
l’impero (orbis terrarum propagator) ed averne esteso la gloria già
grande con l’imposizione di una pace (in riferimento probabilmente al termine
della campagna britannica): mai[estatem finesque eius] ampliavit, largam
gloriam pac[e data auxit][150].
È curioso osservare che questa titolatura con
esplicito riferimento alla Pace non pare aver avuto grande successo nelle
iscrizioni greche[151], né con questi
imperatori né con i loro successori, forse per il valore introspettivo,
personale, apolitico che E„r»nh aveva nella parte orientale dell’impero[152].
La morte di Caracalla, più in generale la
fine della dinastia severiana coincisero con la perdita della tranquillitas e
della securitas dell’impero e conseguentemente con un diffuso desiderio
di pace e di sicurezza militare: un’iscrizione da Eumenia in Frigia
attestava, verosimilmente in questo periodo, il sacerdozio [Se]basth^v Eièrh@nhv, collegato al culto
imperiale e ad una divinità a tutti gli effetti romana, lontana dalle
elucubrazioni filosofiche dell’età precedente[153]. Una dedica alla Pace fu
innalzata nel foro di Giufi in Africa Proconsolare forse fra i
principati di Severo Alessandro e Gordiano III[154]; sono invece di
difficile cronologia i testi provenienti dal museo di Pest in Ungheria[155], da Thuburbo Maius in
Africa Proconsolare[156], da Cirta[157] e Thamugadi[158] in Numidia, da Sitifis[159] in Mauretania
Caesariensis, che comunque testimoniano come il tema della pace trovava
ormai ampio spazio anche nelle comunità provinciali e come la sua conservazione
era divenuta una delle preoccupazioni principali degli abitanti dell’impero[160].
In questo contesto l’impegno per il
raggiungimento della pace diventava quotidiano ma con prospettive di
realizzazione solo future e probabilmente questa consapevolezza spiega
l’assenza del titolo pacator orbis da monete ed iscrizioni dei
successori di Caracalla. La legenda in dativo, quasi un’invocazione, fu ripresa
su un antoniniano coniato a Mediolanum nel 253-254[168]: sulla moneta è
rappresentato Giove assiso in trono, con in mano lo scettro ed una patera,
mentre ai suoi piedi è visibile l’aquila. Si trattava di un’efficace
rappresentazione del programma politico di Valeriano, per il quale la pace
universale si sarebbe potuta ottenere solo con la cooperazioni dei vari
elementi della società: il potere civile (Giove e lo scettro), il rispetto
delle divinità (la patera e il sacrificio), la forza degli eserciti
(l’aquila). Nello stesso periodo Gallieno continuava ad essere rappresentato
saltuariamente sul recto delle monete con il caduceo, altro simbolo
della pace, mentre nel verso si faceva riferimento al suo valore in
battaglia e alla sua capacità di mantenere il controllo sulle truppe[169]. L’umiliante esito della
guerra contro i Persiani[170] suggerirono
probabilmente un nuovo abbandono dell’ideologia del pacator per ribadire
quello della Pax Augusti, raffigurata per esempio con ramo d’olivo e
scettro (pax “civile”)[171] o con lancia e scudo
(pace armata)[172];
una pace comunque mondiale, fondata sui trionfi dell’imperatore[173] che ispiravano fiducia
nell’inizio di una nuova età dell’oro[174].
È curioso osservare che anche l’usurpatore delle
Gallie Postumo abbia utilizzato la legenda PACATOR ORBIS (con la
raffigurazione del busto radiato del dio Sole), sproporzionata alle sue mire
politiche ma probabilmente finalizzata a legalizzare di fronte ai sudditi la
sua posizione[175];
la legenda fu ripresa con il medesimo scopo da Tetrico[176] e da Carausio[177] ma nel caso di Postumo
potrebbe aver influito nella scelta anche il tentativo di legare le sue sorti
alla figura di Ercole, divinità molto popolare nella tradizione celtica[178].
Negli antoniniani di Aureliano coniati a Lugdunum
dopo la definitiva sconfitta di Tetrico nell’estate del 274, dunque al termine
di un laborioso processo di ricomposizione dell’impero[179], il pacator orbis
era il dio Sole, cardine della religione imperiale riformata[180], raffigurato con la
destra sollevata e con lo scudiscio stretto nella mano sinistra[181], un’immagine già
sfruttata dal suo rivale nelle Gallie[182]; l’imperatore non
rinunciava tuttavia a sottolineare il suo protagonismo ed in un’altra serie
evidenziava come i favori della divinità erano stati conquistati grazie alla
sua devozione, meritando quindi egli stesso l’appellativo di pacator orbis[183], titolo non a caso
attestato in alcuni miliari della Gallia Narbonensis, verosimilmente
sempre del 274 (pacator et restitutor orbis)[184].
Non vi sono invece dubbi riguardo al ruolo di
Aureliano in una moneta di Siscia che celebrava la vittoria su Zenobia
del 273[185]:
l’augusto, Pacator Orientis, è raffigurato in piedi con in mano lo
scettro ed un pugnale mentre ai suoi piedi vi è un prigioniero. Altre monete,
sempre posteriori al 273, associano al busto drappeggiato di Aureliano il
caduceo[186]
mentre alcuni miliari della strada che in Africa Proconsolare da Cartagine
conduceva a Theveste[187] gli attribuivano
per la prima volta il titolo pacatissimus, “amante della pace, dedito
alla pace”[188].
Sulla scia di Aureliano, anche Tacito fu
acclamato pacator orbis[189] e pacatissimus[190] su alcuni miliari
sempre dell’Africa Proconsolare e tuttavia per la critica questi epiteti non
avevano particolare significato, certamente erano ispirati dalla propaganda
filo-senatoria ed erano privi di riscontro in reali campagne militari compiute
dall’imperatore[191]. Di identico tenore
erano probabilmente le emissioni della zecca di Lugdunum per Floriano,
con ripresa dell’iconografia aurelianea del Sole pacator orbis[192]; in Aquitania,
infine, lo stesso imperatore veniva curiosamente onorato “signore dell’universo
e della pace” in un miliario posto dalla civitas Petrucoriorum libera[193].
Pacator orbis si definiva Probo al
termine delle lotte che lo portarono a ricomporre l’unità dell’impero[194]: in alcuni aurei di
incerta datazione, forse coniati in occasione del trionfo (anno 281) su Germani
e Blemmi[195],
l’imperatore si mostrava in piedi, con lancia e ramoscello, mentre a lui si
rivolgevano quattro supplici[196].
Sempre la zecca di Lugdunum in Gallia
celebrava su un aureo Numeriano pacator orbis: il giovane
imperatore, brandendo lancia e scudo, è raffigurato nell’atto di attaccare un
nemico ormai ai suoi piedi[197]. Ancor più mirabolante
il titolo che al padre e il fratello attribuirono gli abitanti della colonia di
Thuburbo Maius (Africa Proconsularis): pacatores orbis gentium
nationumque omnium[198]: il riferimento era
verosimilmente alla quarta presa di Ctesifonte, nell’anno 283[199].
Il motivo del pacator era ancora
produttivo durante l’età tetrarchica: già nell’anno 289 il retore Mamertino,
tramite il parallelo con Ercole, definiva in un panegirico Massimiano pacator
terrarum[200];
successivamente i tetrarchi venivano celebrati pacatores gentium in
un’iscrizione da Cirta in Numidia (Diocleziano e Massimiano)[201] ed in una serie di aurei
coniati a Treveri per Diocleziano, Massimiano e Costanzo Cloro[202]. L’augusto Iovius veniva
quindi acclamato fundator pacis aeternae dal governatore della Raetia[203], epiteto attestato a
Roma per Costanzo Cloro cesare[204]; nel preambolo dell’edictum
de maximis praetiis dell’anno 301 gli imperatori si felicitavano per la
raggiunta sicurezza militare dell’ecumene[205], per la sua altissima
quies e per i frutti della pace, per mezzo dei quali sarebbe stato
possibile dedicarsi a quelle opere dettate dalla dignitas e dalla maiestas
Romana[206].
Alla pax aeterna si riferiva una dedica della seconda o della terza
Tetrarchia da Cuicul in Numidia[207]; negli stessi anni
Galerio e Costantino erano infine celebrati come “diffusori” o “difensori”
della pace in due dediche provenienti dal tempio di Ammone, nell’accampamento
romano di Louqsor in Egitto[208].
Riverberi dell’ideologia dell’imperatore
“creatore di pace” erano ancora molto forti al tempo di Costantino, anche lui
giunto al potere al termine di una complessa guerra civile. Come già Augusto, Vespasiano,
Settimio Severo, il primato del figlio di Costanzo di Cloro trovava
legittimazione nelle vittorie ottenute sul campo[209], che gli permettevano di
fregiarsi fra gli altri dei titoli di restitutor libertatis[210] e di fundator
pacis[211]:
è esemplificativa a questo proposito una serie monetale nella quale Marte (o
Accanto a questa concezione tradizionale
della pace[218],
nel prosieguo del suo dominato Costantino ne affiancava una nuova, più
marcatamente cristiana, che lo impegnava come “servo di Dio” a salvare,
insegnare, diffondere la pace fra i sudditi dell’impero[219]: e„r»nh, dono di Dio, con p…stij (fides) ed ÑmÒnoia (concordia)
considerata uno dei pilastri della vita spirituale e politica del Cristiano,
andava per questi motivi preservata a qualsiasi costo da pericoli interni o
esterni che ne avrebbero potuto minare la stabilità[220]: non fu quindi un caso
se nella nuova “Roma cristiana”, inaugurata nel maggio del 330, Costantino
decise di affiancare alla chiesa di Sof…a quella di E„r»nh, individuando nelle due virtù le
fondamenta per il neonato soggetto politico[221], e se sulle sue monete
la personificazione di Costantinopoli mostra talora il ramoscello d’olivo[222].
Il contemporaneo Eusebio di Cesarea riteneva
da parte sua che l’impero universale e monocratico, immagine del regno celeste[223], fosse la sola
istituzione capace di garantire la pace, in opposizione alla po@liv, politeista, divisa
fra diversi poteri, profondamente legata alle peculiari tradizioni, di
conseguenza votata alla guerra e alla schiavitù[224]. La pax Romana
coincideva a suo giudizio con la pax Christiana, realizzatasi con
l’avvento del Cristo sulla terra[225] ma perfettamente
compiuta solo con Costantino, grazie alla definitiva scomparsa dei tiranni e
dei persecutori, alla fine delle divisioni politiche dell’impero, alla
sconfitta dei Barbari[226]. Per il vescovo di
Cesarea il potere dell’imperatore era di origine divina, a lui trasmesso
tramite il LÒgoj: di conseguenza il princeps
si trovava in un rapporto nuovamente privilegiato con la divinità e
costituiva con il Padre ed il Figlio quasi una nuova Trinità[227]. In questo contesto
l’imperatore superava i nemici in battaglia solo nel segno della croce[228] e le sue vittorie
dovevano considerarsi più un dono di Dio che il frutto di qualità personali[229].
Questa nuova impostazione
politico-filosofica potrebbe aver inciso sull’immagine dell’imperatore pacator,
che lentamente perse vigore negli anni seguenti. Nonostante, infatti, le Vitae Taciti e Probi nella Historia Augusta
fossero ancora animate dall’utopia senatoria del princeps che estendeva
sull’ecumene il potere di Roma e stabiliva una pace eterna ed incontrastata[230], solo alcuni medaglioni
della tradizionalista zecca di Roma attribuivano ancora le insegne del
“portatore di pace” a Costante[231], Magnenzio e Costanzo II[232], Giuliano[233]. Lo stesso Costanzo II
era acclamato in alcune iscrizioni defensor pacis[234] e pacator orbis[235], mentre Valentiniano I e
Valente erano riconosciuti fundatores pacis et conservatores imperii Romani su
due miliari opistografi della via Flaminia[236]; infine Teodosio era
ancora lodato fundator aeternae pacis in una dedica da Corinto[237]. Sono le ultime
sicure testimonianze del concetto[238], mentre lentamente
prendeva piede nella titolatura imperiale il termine pacificus
(attestato per Costante[239], Graziano[240] e Arcadio[241]), nel senso di “amante
della pace”[242],
nel significato quindi che ad eièrhnopoio@v davano gli scrittori cristiani sulla
scia del cosiddetto “Discorso della Montagna” riportato nel Vangelo di Matteo[243], certo non riferendosi
al potere degli augusti ma alla Pax Christi, il cui messaggio salvifico
permeava sin dalle origini la vita delle comunità cristiane[244].
È quindi probabile che il connubio
strettissimo fra politica e religione cristiana introdotto da Costantino abbia
determinato il progressivo abbandono della figura dell’imperatore “creatore di
pace”, forse troppo legata al mito di Ercole e alla visione pagana degli aurea
Saturnia[245],
forse stridente con una concezione che vedeva il dominus impegnato a
realizzare e a proteggere una pace comunque imperfetta ed incommensurabilmente
inferiore a quella realizzata da Dio nella Gerusalemme celeste[246]: può essere indicativa a
questo proposito l’evoluzione del pensiero di Agostino, passato da una pax che,
sulla scia dei filosofi antichi, poteva realizzarsi compiutamente nella civitas
terrena[247]
ad una pax generata dalle sofferenze del Cristo e superiore a qualsiasi
decisione umana[248]. Questa visione della
storia trovava ampio riscontro in Orosio, per il quale
Sarebbe tuttavia errato supporre che gli
imperatori del IV secolo “subissero” impotenti e rassegnati il progetto divino:
al contrario, per realizzare in se stesso e nel mondo la pace, l’uomo doveva
rispondere positivamente agli insegnamenti di Dio ed impegnarsi nella loro
diffusione[250]
e non a caso solo in virtù dei suoi vota il grande Teodosio, triumphator
gentium barbararum[251] e ubique victor,
poté pacare tutto l’universo romano e realizzare una nuova pace
ecumenica[252].
Un esponente del mondo pagano, Rutilio
Namaziano, ancora nel V secolo, osservando le rovine della guerra gotica di
Alarico e sognando nuovi trionfi per Roma, l’urbs che ancora si
identificava con l’orbis, poteva augurarsi una nuova età dell’oro, una
«prosperità economica che compete a colei che unifica e nutre il mondo»,
fondata sulla pace apportatrice di tributi dalla Germania fino alla
lontana Africa:
Ditia pacatae dent
vectigalia terrae, / impleat augustos barbara praeda sinus; / aeternum tibi
Rhenus aret, tibi Nilus inundet, / altricemque suam fertilis orbis alat; / quin
et fecundas tibi conferat Africa messes, / sole suo dives, sed magis imbre tuo.
/ Interea et Latiis consurgant horrea sulcis / pinguiaque Hesperio nectare
prela fluant. / Ipse triumphali redimitus arundine Thybris / Romuleis famulas
usibuis aptet aquas, / atque opulenta tibi placidis commercia ripis / devehat
hinc ruris, subvehat inde maris[253].
Come ai tempi di Augusto e Traiano, la pax
era assicurata sul mare e consentiva il libero transito alle navi guidate
dai gemelli Castore e Polluce e dalla stessa Venere, la dea venerata ad Ostia:
Pande, precor, gemino
pacatum Castore pontum, / temperet aequoream dux Cytherea viam, / si non displicui,
regerem cum iura Quirini, / si colui sanctos consuluique patres[254].
Sono purtroppo gli accenti di chi rimpiange
un tempo perduto, lontanissimo da una realtà drammaticamente segnata dalla fine
di ogni certezza[255].
* Pur concepiti unitariamente, i §§ 1-2 sono di Attilio Mastino,
3-5 di Antonio Ibba. I due autori hanno presentato una sintesi del presente
lavoro il 21 aprile 2006 (Natale di Roma), durante il XXVI Seminario
internazionale di studi storici: Da Roma alla terza Roma. Pace e
impero da Roma a Costantinopoli a Mosca. Diritto e Religione, nel
corso della seduta conclusiva tenutasi presso la sala “Il Carroccio” del
Campidoglio in Roma, presieduta dal prof. Mario Mazza, al quale ora abbiamo il
piacere di dedicare questo lavoro. In questa sede si ringraziano per i preziosi
suggerimenti i proff. Pierangelo Catalano, Paolo Siniscalco, Attilio
Mastrocinque e lo stesso Mario Mazza, intervenuti nel corso del successivo
dibattito, i proff. Marcella Bonello Lai, Elisabetta Poddighe e Marco Rendeli,
il dott. Stefano Novelli per le preziose consulenze epigrafiche, archeologiche,
storiche e linguistiche.
[1] M.
Sordi, Introduzione: dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, in M. Sordi (a cura di), La pace nel
mondo antico, CISA 11, 1985, 3-4; R.
Turcan, Images et idées de
[2] G.G.
Belloni, Espressioni iconografiche di ‘Eirene’ e di ‘Pax’, in Pace
nel mondo antico, 1985,
cit. 128-132: la statua era posta (forse già nel 371 d.C.) nell’aègora@ di Atene, accanto
all’altare consacrato nel
[3] Arist. Pol. 7,
[4] Il primo esempio di koinh# eièrh@nh è la cosiddetta “Pace del Re” del 386 (Davies, Grecia classica, cit. 179-180; Musti, Storia greca, cit. 526-528).
Si osservi tuttavia che i prodromi di questi trattati possono forse
identificarsi nelle convenzioni stipulate fra i membri delle anfizionie sin dal
secolo VIII a.C. Il sistema, compatibile con la concezione romana dell’accipere
in fidem (infra, nota nr. 7), fu ampiamente sfruttato da Roma sin
dalla Pace di Fenice (
[5] M. SORDI, ‘Pax deorum’ e libertà
religiosa nella storia di Roma, in Pace nel mondo antico, 1985, cit. 147-148; E. Montanari, Il concetto originario
di ‘Pax’ e la ‘Pax deorum’, in Concezioni della Pace, cit. 39-45; Turcan, Images de Paix, cit.
48-50: per questi studiosi la ricomposizione del rapporto con le divinità
potrebbe esser stata sancita dalla pratica espiatoria, risalente alla
tradizione etrusca, del pangere clavum (Liv. 7.3.3-9), conficcare un
chiodo su una parete del tempio di Giove Capitolino. Da pangere > pactum
> pax. Garantita dalle divinità, la pax era associata già in età
repubblicana ai concetti di pietas, fides, aeternitas.
[7]
Liv. 1.38.2 (cfr. Plb. 20.9.12). Si vedano inoltre P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale romano,
Roma 1965, 15-30; Ch. Saulnier,
Le rôle des prêtres fétiaux et l’application du «ius fetiale» à Rome, RD
58, 1980, 171-199; Sordi, Dalla
‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 12-13; A. Valvo, Istituti di pace in Roma repubblicana, in Pace
nel mondo antico 1985, cit. 157-174; Th.
Wiedemann, The fetiales: a reconsideration, CQ 36, 1986, 478-490; Fr. Blaive, Indictio belli. Recherches sur
l’origine su droit fécial romain, RIDA 40, 1993, 185-207; Lana, Idea della pace, cit. 24; F. De Martino, L’idea della Pace a
Roma dall’età arcaica all’impero, in Concezioni della Pace, cit.
30-31; Turcan, Images de Paix,
cit. 49-50.
[8] Belloni,
Eirene e Pax, cit. 133-134; Valvo,
Istituti di pace, cit. 155: le prime attestazioni di un culto sarebbero
posteriori alla fine della guerra civile fra Cesariani e Pompeiani. Si veda
inoltre infra, nota nr. 11.
[9] Le singole virtutes erano
spesso associate ad un condottiero; i primi esempi si ebbero con Quinto Fabio
Massimo - Mens, Publio Cornelio Scipione l’Africano - Pietas; al
tempo dei Gracchi e negli anni seguenti le monete celebravano le famiglie più
in vista attraverso la raffigurazione di una virtus, attribuita ad un
antenato ed entrata a far parte stabilmente del patrimonio “onorario” della gens.
Silla ed il suo contemporaneo Quinto Cecilio Metello furono i primi ad
attribuirsi, come i sovrani ellenistici, un cognomen supplementare
ricavato da una virtus (rispettivamente Felix e Pius). Si osservi
tuttavia che anche fra i sovrani ellenistici mancava qualsiasi epiteto con
riferimento a Eièrh@nh, come se nell’immaginario greco
(nonostante l’insegnamento aristotelico) la divinità fosse più legata alla
sfera privata che politica; l’imitatio potrebbe quindi aver condizionato
gli imperatores romani di età repubblicana nel trascurare il titolo di pacator.
Sul problema, cfr. J.P.V.D. Balsdon,
Sulla Felix, JRS 41, 1951, 1-10; J.
Carcopino, Silla o la monarchia mancata, Milano 19812,
89-92; J.R. Fears, The Cult of Virtues and Roman Imperial
Ideology, ANRW II 17.2,
1981, 877-879, 884; Belloni, Eirene
e Pax, cit. 136.
[10] E.A. Sydenham, The coinage of the
Roman Republic, London 1952, nr. 496 = M.H.
Crawford, Roman Republican Coinage, Cambridge 19915,
nr. 262,1, cfr. G.G. Belloni, Significati
storico-politici delle figurazioni e delle scritte delle monete da Augusto a
Traiano (Zecche di Roma e ‘imperatorie’), ANRW II 1, 1974, 1034 (che data
la moneta al 120); Fr.A. Muñoz-E. Díez
Jorge, Pax Orbis Terrarum. La pax en la moneda romana,
Flor.Il. 10, 1999, 214; R. Pera,
Ramus felicis olivae: da attributo di Pax ad attributo imperiale, NAC
32, 2003, 185-186. La moneta fu probabilmente coniata da un membro della gens
Caecilia, forse L. Cecilio Metello Delmatico che in questo modo avrebbe
commemorato la vittoria di Lucio Cecilio Metello a Panormus nel 250 sui
Cartaginesi di Asdrubale; secondo W.V.
Harris, War and Imperialism in Republican Rome, 320-70 B.C.,
Oxford 1979, 35 e nota nr. 3 e Crawford,
Republican Coinage, cit. 287 la divinità potrebbe identificarsi anche
con Iuno Regina alla quale Q. Cecilio Metello Macedonico dedicò un
tempio; per altri potrebbe essere una Victoria; per Martin, Genèse, cit. 74 la
moneta sarebbe stata coniata attorno al 110 per celebrare la vittoria
giugurtina di L. Cecilio Metello e rappresenterebbe la dea Roma
apportatrice di pax con la forza delle armi (l’impostazione sarebbe in
ogni caso prossima alla rappresentazione dei trionfi). Si osservi che al
contrario sin dal 220 erano frequenti le monete che raffiguravano Giano (J.-Cl. Richard, Pax, Concordia et
la religion officielle de Janus à la fin de la république romaine, MEFR 75,
1963, 305-306); ancor più solida la tradizione relativa a Concordia (ibid.,
307-310). Sullo
stretto legame fra Pax e Concordia, si vedano P. Jal, “Pax civilis” - “concordia”,
REL 39, 1961, 210-231; M. Amit,
Concordia. Idéal politique et instrument de propagande, «Iura» 13, 1962, 135-145; Richard,
Pax, Concordia, cit. 311-338; J.
Béranger, Principatus. Études de notions et d’histoire politique dans
l’antiquité gréco-romaine, Genève 1973, 367-370; Martin, Genèse, cit. 76-78.
[11] Harris,
Imperialism, cit. 35; Belloni,
Eirene e Pax, cit. 135-136; PeRA,
Ramus, cit. 187. La scarsa diffusione delle statuette votive e delle iscrizioni
fra gli strati inferiori della società farebbero supporre che l’iconografia
della Pax fosse stata elaborata dalla classe di governo e finalizzata
più alle sue promesse politiche che alle reali esigenze della plebe.
[12] Richard,
Pax, Concordia, cit. 305-306, 368-369; Harris,
Imperialism, cit. 190-191; G.
Vitucci, L’idea di pace nella Historia Augusta, in Atti del
convegno Internazionale “Passaggio dal mondo antico al medio evo. Da Teodosio a
San Gregorio Magno” (Roma, 25-28 maggio 1977), Roma 1980, 29-30; Valvo, Istituti di pace, cit.
155: rispettivamente al tempo di Numa Pompilio e nel 241 o nel
[13] Un elenco di queste rappresentazioni
in Richard, Pax, Concordia,
cit. 313-338: con l’eccezione di Silla (infra), questi personaggi furono
protagonisti dello scontro fra Cesariani e Pompeiani (S. Weinstock, Divus Julius, Oxford 1971, 268-269) o
fra Cesariani e Cesaricidi.
[14] Richard,
Pax, Concordia, cit. 311-313, 341; Weinstock,
Julius, cit. 267; Harris, Imperialism,
cit. 36, cfr. anche Carcopino, Silla,
cit. 90, 93-96.
[15] Sydenham,
Coinage Roman Republic, cit. nr. 748 = Crawford,
Republican Coinage, cit. nr.
[16] Richard,
Pax, Concordia, cit. 326-330; Weinstock,
Julius, cit. 269; E. Cocchi Ercolani,
La propaganda di pace attraverso la monetazione nell'ultimo secolo della
Repubblica, RIN 74, 1972, 76-78; Crawford,
Republican Coinage, cit. 494; Turcan,
Images de Paix, cit. 51-52. Il Pseudo-Sallustio (rep. 1.6.5)
esortava il dittatore a ristabilire pax e concordia; secondo
Dione Cassio (44.4.5) il senato avrebbe decretato nel
[17] Sydenham,
Coinage Roman Republic, cit. nr. 1065 = Crawford, Republican Coinage, cit. nr. 480,24 cfr. Wissowa, Pax, cit. col. 1719; Koch, Pax, cit. col. 2430; Richard, Pax, Concordia, cit.
327; Cocchi Ercolani, Propaganda
di pace, cit. 78-79: nel verso è raffigurata la iunctio dextrarum,
simbolo della concordia raggiunta fra le varie fazioni grazie all’opera
di Cesare (Richard, Pax,
Concordia, cit. 311; Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 234; Pera, Ramus, cit. 187). Per una parte della critica questa
sarebbe la prima rappresentazione della Pace.
[18] Sydenham,
Coinage Roman Republic, cit. nr. 1089 = Crawford, Republican Coinage, cit. nr. 485,1: nel recto
è raffigurato il ritratto di Cesare laureato. Per Sydenham e Belloni, Significati, cit. 1034
la moneta sarebbe del
[19] Harris,
Imperialism, cit. 36; Valvo,
Istituti di pace, cit. 156. L’otium potrebbe essere associato
alla scolh@ di Aristotele, la
possibilità di usare il proprio tempo in attività contemplative (Lana, Idea della pace, cit. 41).
[20] Harris,
Imperialism, cit. 35; si vedano a questo proposito le puntuali analisi
di Lana, Idea della pace,
cit. 21-29; Id. La concezione
ciceroniana della pace, in Atti del Convegno su “Cicerone e la politica”
(Varsavia, 11-14 maggio 1989), Roma 1990, 45-59; Id., Il pensiero di Sallustio sulla pace, AAST 125.2,
1991, 15-29; G. Picone, “Pacatumque
reget orbem”. Età dell’oro e tema della pace nei poeti augustei, in R. Uglione (a cura di), Atti del
convegno nazionale di Studi su “La pace nel mondo antico” (Torino 9-10-11
Aprile 1990), Torino 1991, 191-193; Fr.A.
Muñoz, Los significados de la paz en Cicerón, Flor.Il. 7, 1996,
217-227; De Martino, Pace a
Roma, cit. 34-35; Turcan, Images
de Paix, cit. 52-53; si osservi l’importanza data al tema della pace da Lucrezio
nel De rerum natura (1.29-40) e da Virgilio nella IV egloga (in
particolare ecl. 4.17). A questa temperie culturale si potrebbe
attribuire il Pius de Pace di Varrone, forse modello per la trattazione
sulla pace del De civitate dei di Agostino (G. Zecchini, Il “Pius de pace” di M. Terenzio Varrone,
in Pace nel mondo antico 1985, cit. 190-202, cfr. Richard, Pax, Concordia, cit.
334; scettico Lana, Idea della
pace, cit. 12; Id., Rapporto,
cit. 16), in particolare agli anni che portarono al trattato del Miseno e alla
speranza posta da molti senatori in Sesto Pompeo. Si osservi come tutti questi
autori siano influenzati dal dettato aristotelico (supra, nota nr. 3) e
dalla scuola stoica.
[21] Lana, Idea della pace,
cit. 23-24, 42-43; Id., Rapporto,
cit. 22-23; Muñoz, Significados
de la paz, cit. 224.
[22] CIL, I2, 2500 = AE,
1923, 19 = 1974, 615 = 1980, 858. Si tratta di una lex Gabinia Calpurnia
del
[23] Wissowa, Pax,
cit. col. 1720; Koch, Pax,
cit. coll. 2431-2432; Fr.
Taeger, Charisma. Studien zur Geschichte des antiken Herrscherkultes,
vol. II,
Stuttugart 1960, 123, 128: la data della constitutio è il 4 luglio
[24] M.
Amit, Propagande de succès et d’euphorie dans l’empire romain,
«Iura» 16, 1965, 54-55; Vitucci, Pace
nella Historia Augusta, cit. 29; Valvo,
Istituti di pace, cit. 155; Cocchi
Ercolani, Propaganda di pace, cit. 83-84; Pera, Ramus, cit. 188-189.
[25] R.
Syme, La rivoluzione romana, Torino 1962, 234; Richard, Pax, Concordia, cit.
338-340; E. Gabba, L’impero di
Augusto, in A. Schiavone (a
cura di), Storia di Roma, II. L’impero Mediterraneo, 2: I
principi e il mondo, Torino 1991, 12. Il senato gli dedicò una statua d’oro
ed un’iscrizione in cui si leggeva t¾n e„r»nhn ™stasiasmšnhn ™k polloà sunšshse
kat£ te gÁn kaˆ q£lassan (App. BC 5.130 e 540), un’ovatio (ibid.), il
privilegio di portare in perpetuo la corona di alloro e una festa annuale per
celebrare i suoi successi (D.C. 44.15.1).
[26] AE, 1937, 114 = 1977, 778 =
1992, 1534 = 1999, 1448 = 2002, 1297. Accennano al monumento, che ospitava la
maggior parte dei rostra sottratti alle navi di Antonio, Svetonio (Aug.
18) e Dione Cassio (51.1.3). Il testo, giunto in maniera frammentaria, era
inciso verosimilmente sul podio; la ricostruzione proposta in questa sede è
quella di J.M. Carter, A new
fragment of Octavian’s inscription at Nicopolis, ZPE 24, 1977, 227-230: [Nep]tuno
[et Ma]rt[i. Imp(erator) Caesa]r div[i Iuli] f(ilius) vict[oriam ma]rit[imam
consecutus bell]o quod pro [re pu]blic[a] ges[si]t in hac region[e c]astra [ex]
quibu[s ad hostem in]seq[uendum egr]essu[s est spoli]is [ornat]a [dedicavit
cons]ul [quintum i]mperat[or se]ptimum pace [.] parta terra [marique].... Si vedano inoltre J. Gagé, Actiaca,
MEFR 53, 1936, 42-46, 57-66, 76-82; G.Ch.
Picard, Les trophées romains. Contribution à l’histoire de
[27] RIC, I2, p. 79 nr. 476.
[28] G.
Walser, Die Kaiser als Vindex Libertatis, «Historia» 4, 1955,
353-362; Richard, Pax,
Concordia, cit. 351-352; Cocchi
Ercolani, Propaganda di pace, cit. 83; Belloni, Significati, cit. 1031-1032; Id., Eirene e Pax, cit. 137-138;
Fr. Guizzi, Il principato tra “res
publica” e potere assoluto, Napoli 1974, 28-29; Id., Augusto, la politica della memoria, Roma 1999,
45; Vitucci, Pace nella Historia
Augusta, cit. 29; L. Polverini, L’utopia
della pace nella “Vita Probi”, in Pace nel mondo antico 1985, cit.
239-241; per alcune considerazioni generali Béranger,
Principatus, cit. 275; Muñoz-Díez Jorge,
Pax en la moneda, cit.
[29] Res Gestae 13, cfr. Svet. Aug.
22,1: Ianum Quirinum, semel atque iterum a condita urbe ante memoriam suam
clausum in multo breviore temporis spatio terra marique pace parta ter clusit.
[30] Supra, nota nr. 12. Si
veda Richard, Pax, Concordia,
cit. 360-368 con ampia bibliografia; Amit,
Propagande, cit. 55; R. Turcan,
Janus à l’époque impériale, ANRW II 17.1, 1981, 377-378: per la terza
apertura si è proposto in alternativa il
[31] Vitucci,
Pace nella Historia Augusta, cit. 30. Osserva tuttavia Turcan, Janus, cit. 378-380 che
Giano non fu mai ricordato nella monetazione augustea, forse per i legami
troppo forti con la tradizione pompeiana. Si potrebbe supporre che la decisione
di chiudere per tre volte il tempio di Giano fosse un tentativo di Augusto di
stupire i contemporanei e di dimostrare la superiorità di questa età dell’oro rispetto
a quelle passate (Richard, Pax,
Concordia, cit. 368).
[32] Res Gestae 29.1-2: Signa
militaria complur[a per] alios d[u]ces am[issa] devicti[s ho]stibus re[cepi] ex
Hispania et [Gallia et a Dalm]ateis.... Ea autem si[gn]a in penetrali, quod
e[s]t in templo Martis Ultoris, reposui. Significativo un verso di Ovidio (fast.
1.711): frondibus Actiacis comptos redimita capillos Pax ades. Si veda
inoltre l’incipit delle Historiae di Tacito (1.1.2): postquam
bellatum apud Actiacum atque omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit. Vedi
Guizzi, Augusto, cit.
48-49.
[33] RIC, I2, p. 59 nr. 253, cfr. Cocchi Ercolani, Propaganda di pace,
cit. 83; Turcan, Images
de Paix, cit. 53: sul recto la testa con diadema di Pax fra
un ramo d’olivo (simbolo del nemico sconfitto che chiede remissione al vinto,
cfr. Pera, Ramus, cit. 186-189)
ed una cornucopia (simbolo dell’abbondanza); sul verso il princeps
in abiti militari, la mano destra sollevata nel gesto dell’adlocutio
alle truppe, la sinistra stringe una lancia appoggiata alla spalla; legenda: CAESAR
DIVI F.
[34] Una delle dediche fu rinvenuta nel
foro di Augusto, CIL, VI, 31267 (pp. 3778, 4340-4341) = ILS, 103:
Imp(eratori) Caesari / Augusto p(atri) p(atriae) / Hispania Ulterior /
Baetica quod / beneficio eius et / perpetua cura / provincia pacata / est. Auri
/ p(ondo) C. Il testo è sicuramente posteriore al
[35] Turcan,
Janus, cit. 377-378; De Martino,
Pace a Roma, cit. 30, 35: l’attributo Quirinus, altrimenti ignoto
per Giano, farebbe riferimento ad una pace conquistata dai Quirites, i
cittadini-soldati arruolati nelle legioni, quindi ottenuta grazie alle armi.
Quirino inoltre rievocava Romolo, instauratore della Pax Romana e di
conseguenza la nascita di una nuova era.
[36] M.A.
Levi, ‘Pax romana’ e imperialismo, in Pace nel mondo antico
1985, cit. 204-208 interpreta la figura femminile seduta su un trofeo
d’armi (pannello destro della fronte orientale) come
[37] IGRRP, IV, 1174 da Earinos
nella provincia d’Asia: éO dh^mov / oé
Kaisare@wn Mureinai@wn / Auètokra@tori Kai@sari qew^j / uiéw^j Qeou^ Sebastw^j
uépe#r / Eièrh@nhv Sebasth^v / kaqie@rwsen. Gli editori pongono l’iscrizione in
rapporto alla dedicatio dell’Ara Pacis nel
[38] CIL, XII, 4335 = ILS, 3789: Paci Aug(ustae) / T(itus) Domitius
Romulus / votum posuit quod / fidecommissum Phoebum liberu(m) / recepit. L’apparato decorativo
e la paleografia farebbero propendere per una cronologia al principato di
Augusto, forse contemporanea all’inaugurazione dell’Ara Pacis; il ramo
di alloro unito ai bucrani (visibili sulle facce destra e sinistra del dado
centrale) e la corona di foglie di quercia attorno alla l. 1 (Paci Aug.)
sarebbero segni inequivocabili di una Pace trionfante (Richard, Pax, Concordia, cit. 350). Secondo Taeger, Charisma, cit. 146,
l’origine dei committenti avrebbe portato a fondere nella dedica le concezioni
orientale ed occidentale del principato. Avendo Augusto rifiutato gli onori
divini, la dedica ad una Virtus Augusta era in Occidente un
espediente per mostrare all’imperatore la gratitudine di una comunità (Fears, Virtues, cit.
886-888).
[39] Un utile confronto in CIL, V,
4087 del
[40] Fears,
Virtues, cit. 886-888; Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 232-233. Sull’alternanza Pax
Augusta / Pax Augusti, cfr. infra, nota nr. 106.
[42] J.
Béranger, Recherches sur l’aspect idéologique du principat, Basel
1954, 254-255; Richard, Pax,
Concordia, cit. 352-357; Vitucci,
Pace nella Historia Augusta, cit. 31; Lana,
Idea della pace, cit. 35; Id., L’idea della pace di Orazio,
in Mnemosynum. Studi in onore di Alfredo Ghiselli, Bologna 1989, 330; Turcan, Images de Paix, cit.
53-54. Sullo stretto rapporto pax-imperium, cfr. inoltre supra, nota
nr. 7; su pacificus, si veda infra, nota nr. 242.
[43] RIC, I2, p. 59 nr. 252: denario
non databile, raffigurante sul recto la testa di Ottaviano, sul verso
[45] Dione Cassio (54.35.2) ricorda che nel
[46] Per esempio Res Gestae 25.1: Mare
pacavi a praedonibus; 26.2-3: Gallias et Hispanias provi(n)cias, [item
Germaniam qua clau]dit Oceanum a Gadibus ad ostium Albis flumin[is pacavi.
Alpes a re]gione ea, quae proxima est Hadriano mari, [ad Tuscum pacari fec]i
nulli genti bello per iniuriam inlato.
[47] Taeger,
Charisma, cit. 115-116; Amit,
Propagande, cit. 55; Guizzi,
Principato, cit. 50, 86-87; Id.
Augusto, cit. 45, 57-58; De
Martino, Pace a Roma, cit. 35-36; Turcan, Images de Paix, cit. 53.
[48] Si tratta della celebre Laudatio
Turiae, componimento funebre di età augustea: CIL, VI, 1527 (pp.
3142, 3444, 3805) = 31670 = 37053 = 41062 = ILS, 8393, cfr. Guizzi, Principato, cit. 50.
[49] Richard,
Pax, Concordia, cit. 350; vedi inoltre Pera,
Ramus, cit. 188: la moneta (legenda: PACIS) mostra nel recto la
divinità con corona d’olivo, dunque senza alcun riferimento alla “pace
trionfale”.
[50] CIL, XIV, 2898 (p. 494) = ILS,
3787: Paci August(i) / sacrum / decuriones populusque / coloniae
Praenestin(ae) // Paci August(i) / sacrum / decurion(es) populusque / coloniae
Praenest(inae). L’altare finemente decorato ed inscritto nelle facce
anteriore e posteriore, presenta delle teste di ariete agli angoli; nella
stessa occasione i decurioni ed il popolo della colonia dedicarono alla Securitas
Augusta una base gemella (CIL, XIV, 2899 = ILS, 3788). I due
testi sono sicuramente databili al principato augusteo (Tiberio, infatti,
avrebbe “retrocesso” Praeneste al rango di municipium, cfr. Gell.
16.13.5) e rappresentano una delle prime rare testimonianze della diffusione
del culto imperiale nel Lazio (Taeger,
Charisma, cit. 142). Sul rapporto Pax-Securitas, cfr. Amit, Propagande, cit. 59-61.
[51] Taeger,
Charisma, cit. 123; Richard,
Pax, Concordia, cit. 349; Fears,
Virtues, cit. 885-886; E.
[52] Syme,
Rivoluzione, cit. 253-256, 521-523; A.
[53] A.
Momigliano, Terra marique, JRS 32, 1942, 62-64 (con ampia
bibliografia); C.
Cogrossi, Gli onori a Cesare nella tradizione
storiografica e nelle monete del
[54] Verg., Aen. 6,851-853: tu
regere imperio populos, Romane, memento. / Hae tibi erunt artes, pacisque
inponere morem, / parcere subiectis et debellare superbos; è evidente in
Virgilio un tentativo di “moralizzare” l’imperialismo romano; si osservi
tuttavia la presenza del verbo debellare, tipico del vocabolario
trionfale, che ben chiarisce l’ambiguità della pax Romana. Un utile
confronto con la posizione tradizionale di Livio, 1,16,7: nuntia ... Romanis
caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem
colant sciantque, et ita posteris tradant, nulla opes humanas armis Romanis
resistere posse. Sul problema, si vedano Richard,
Pax, Concordia, cit. 353; L.
Braccesi, Livio e la tematica d’Alessandro in età augustea, in M. Sordi (a cura di), I canali della
propaganda nel mondo antico, CISA 4, 1976, 198-199; Guizzi, Augusto, cit. 47-48; Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit.
14; Lana, Idea della pace,
cit. 6-9; Id., Rapporto,
cit. 10-11; Picone, Età
dell’oro, cit. 203; Luisi, Idea
della guerra, cit. 173.
[55] A.
Bruhl, Souvenir d’Alexandre le Grand et les Romains, MEFR 47,
1930, 208-209, 212; P. Treves, Il
mito di Alessandro e
[56] Bruhl, Alexandre et
les Romains, cit. 204-208; O.
Weippert, Alexander-Imitatio und römische Politik in republikanischer
Zeit, Augsburg 1972, passim; Richard,
Alexandre et Pompée, cit. 653-669; Mastino,
Orbis, cit. 68-70; contraria ad una imitatio del Macedone da
parte di Pompeo, D.J. Martin, Did
Pompey engage in imitatio Alexandri?, in C. Deroux (a cura di), Studies in Latin
Literature and Roman History. 10, Bruxelles 1998, 23-51; sul mito di
Alessandro cfr. fra gli altri F. De
Polignac, Alessandro, o la genesi di un mito universale, in S. Settis (a cura di), I Greci.
Storia Cultura Arte Società, II. Una storia greca, 3: Trasformazioni,
Torino 1998, 271-292; S. Cagnazzi,
Il Grande Alessandro, «Historia» 54, 2005, 132-
[57] Res Gestae 29.2: Parthos
trium exercitum Roman[o]rum spolia et signa re[ddere] mihi supplicesque
amicitiam populi Romani petere coegi. Sul foedus stipulato fra
Augusto e Fraate IV nel
[62] RIC, I2, p. 96 nr. 49: per
l’interpretazione, cfr. Pera, Ramus,
cit. 190; al contrario gli autori del Roman Imperial Coinage
identificavano il ramoscello con l’alloro. Nel verso: TI CAESAR DIVI
AVG F AVGVST P M TR POT XXIII SC. Utile un confronto con RIC, I2, p.
98 nrr. 56, 62, 68 (sesterzi del 34-37): nel recto, con legenda DIVO
AVGVSTO SPQR, è rappresentata una quadriga di elefanti, con conducenti e
portantina in cui si intravede un’immagine di Augusto radiato, con ramo d’olivo
nella destra e scettro nella sinistra.
[64] M. Mazza, Lotte sociali e
restaurazione autoritaria nel III secolo d.C., Bari 1973, 125-255; G. Alföldy, Storia sociale dell'antica Roma, Bologna 1982, 249-258; Th. Pekáry, Storia economica del mondo antico, Bologna 1986, 190-196; Fr. Jacques–J. Scheid, Roma ed il
suo Impero. Istituzioni, economia, religione, Roma-Bari 1992, 403-406,
416-424, 436-441, 496-499; C. Panella,
Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico, in A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, III. L’età
tardoantica, 2: I luoghi e le culture, Torino 1993, 613-614.
[65] Taeger,
Charisma, cit. 481; Turcan,
Images de Paix, cit. 58-60. Si possono citare a titolo di esempio alcuni
passi di Velleio Patercolo: circumferens terrarum orbi praesentia sua pacis
suae bona (2.92.2); diffusa in Orientis Occidentisque tractus et
quicquid meridiano aut septentrione finitur, Pax Augusta [per] omnis terrarum
orbis a latrociniorum metu servat immunes (2.126.3). Questo quadro positivo
non deve però far dimenticare le amare riflessioni di uomini come Lucano,
Giovenale, Tacito sul prezzo di questa pax, in nome della quale i cives
avevano dovuto rinunciare alla libertas e le popolazioni esterne
erano state costrette a foedera che limitavano le capacità politiche e
corrompevano i mores (Tac. Agr. 11.5; 21.2; 30.4); lo stesso Tacito
(Agr. 30.4) non si nascondeva che i Romani auferre, trucidare,
rapere, falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem
appellant (cfr. Lana, Rapporto,
cit. 23-24; Id., Tacito:
l’idea della pace, in Pace nel mondo antico, 1990, cit. 229-241; Turcan,
Images de Paix, cit. 60-64).
[66] Non si possono tuttavia scordare:
- il breve elogium inciso
sull’arco di Druso a Roma (AE, 1992, 165), del 19 d.C., ricostruito
grazie ai confronti con un passo di Tacito (ann. 2.64.19): [Senatus
populu]sque [Romanus / Druso Caesari Ti(beri) Caesaris Aug]usti [f(ilio) divi
Augusti nepoti / Divi Iuli pron]ep[oti co(n)s(uli) pontifici auguri sodali
Augustali / hunc f]iliu[m Ti(berius) Caesa]r d[ivi Augusti f(ilius) Augustus /
in Illyricum misit ubi virtute e]ius [pax imperii ita confirmata est / ut ei
una cum Germanico C]aesa[re fratre ovatio decerneretur].
- una dedica alla Pax da Corinto
in Achaia (AE, 1923, 10): Paci Lucife/[rae Aug]ustae sacrum. /
[Pro salut]e Ti(beri) Caesaris / P(ublius) Licinius P(ubli) l(ibertus) /
Philosebastos / f(aciendum) c(uravit).
- l’iscrizione posta dal proconsole
Dolabella per celebrare la vittoria su Tacfarinas (AE, 1961, 108
da Oea in Tripolitania): Dolabella Rom(anus) proco(nsul) /
Tacfa(rinate) debel(lato) civitas (!) Oeam rest(ituit) / pac(e)
conserv(ata) POP APHR PROT / [---] et consec(ravit); per un commento, cfr. R. Bartoccini, Dolabella e
Tacfarinas in una iscrizione di Leptis Magna, «Epigraphica» 20, 1958, 9-12.
È inoltre incerto che la figura
femminile assisa con un ramoscello d’olivo, rappresentata su alcune monete di Lugdunum
del 36-37 d.C., fosse Livia o
[67] Si registrano tuttavia delle
celebrazioni per
[68] RIC, I2, pp. 122-124 nrr. 9-10,
21-22, 27-28, 38-39, 46-47, 51-52, 57-58, 61-62: PACI AVGVSTAE (aurei e
denari coniati fra il 43 ed il 51) e rappresentazione di una figura alata e
drappeggiata con in mano un caduceo, preceduta da un serpente. Secondo Belloni
(Eirene e Pax, cit. 138) la divinità sarebbe Nemesis e vorrebbe
sottolineare la rottura fra la linea politica di Claudio e quella di Caligola,
con il ritorno alla tradizione augustea e alla collaborazione con il senato: Nemesis
sarebbe la custode dell’ordine divino, assicurato fra gli uomini
dall’imperatore pacator; per Koch
(Pax, cit. col. 2433) la serie si riferirebbe alla spedizione in Britannia
(sulla quale, cfr. P. Salway, Roman
Britain, Oxford 1984, 65-99); per Fears
(Virtues, cit. 893-895) sarebbe rappresentata
[69] Fears,
Virtues, cit. 896. Sugli avvenimenti cfr. A. Garzetti, L’impero da Tiberio agli Antonini,
Bologna 1960, 179-186; M.A. Levi,
Nerone e i suoi tempi, Milano 19732, 168-187; A. Galimberti, Seneca e la guerra,
in Guerra nel mondo antico, cit. 199-200; E. Champlin, Nerone, Milano 20063, 277-278.
Sul trattato di pace si veda per esempio Barzanò,
Roma e i Parti, cit. 215-216. Le operazioni, iniziate in Oriente da Cn.
Domizio Corbulone nella primavera del 55, videro uno scontro diretto con i
Parti solo nel 61-63, quando fu raggiunto un compromesso diplomatico (cfr. per
esempio Tac. ann. 15,27,2).
[70] RIC, I2, pp. 166 nrr. 263-271,
167 nrr. 283-288, 168 nrr. 300-305, 169 nrr. 323-328, 170 nrr. 337-338, 171
nrr. 353-355, 176 nr. 421, 177 nrr. 438-439, 181 nrr. 510-512, 182 nrr.
537-539, 184 nrr. 583-585. Una variante è data dalla legenda PACE P. R.
VBIQ. PARTA IANVM CLVSIT (RIC, I2, pp. 167 nrr. 289-291, 168 nrr.
306-311, 170 nrr. 339-342, 171 nrr. 347-350, 172 nrr. 362, 366-367) con
identica iconografia. La rappresentazione era un’assoluta novità nel panorama numismatico
romano (Muñoz-Díez Jorge, Pax en
la moneda, cit. 238-239).
[71] Belloni,
Eirene e Pax, cit. 137. Testimonia l’impressione suscitata nei
contemporanei il passo di Svetonio (Nero 13): ob quae imperator
consalutatus, laurea in Capitolium lata, Ianum Geminum clausit, tam quam nullo
residuo bello. Turcan (Janus,
cit. 381-384) ipotizza che Nerone avesse ritardato di due anni i festeggiamenti
per il terzo centenario della chiusura del tempio di Giano in età repubblicana,
facendo coincidere di proposito l’evento con la visita di Tiridate; Pera (Ramus, cit. 191) al contrario non
esclude che la cerimonia si fosse regolarmente svolta nel 64 per poi essere
reiterata nel 66.
[72] Si osservi nella legenda monetale la
ripresa quasi letterale del passo di Res Gestae 13 (supra, nota
nr. 29); sul frequente riuso dei temi augustei da parte di Nerone, cfr. W. Huss, Die Propaganda Neros,
AC 47, 1978, 130-
[73] Tac. ann. 16.28.3. L’ecumenismo
di Nerone era sicuramente influenzato dal mito di Alessandro (Bruhl, Alexandre et les Romains,
cit. 211-212; Mastino, Orbis,
cit. 75-77).
[74] Fra il 64 ed il 65 furono coniati una
serie di aurei e denari (RIC, I2, p. 153 nrr. 46-47), in cui
Nerone, stante, radiato e togato, tiene un ramo di olivo nella destra (simbolo
della pace) ed una Victoria su globo (simbolo dell’impero universale).
Presso il tempio di Giove Capitolino fu eretto un arco con i trofei della
guerra partica, sovrastato da una statua dell’imperatore alla guida del carro
trionfale e accompagnato dalla Vittoria con ramo di palma e dalla Pace con
cornucopia (Picard, Trophées,
cit. 337-338; E.
[75] Sulla politica di Otone, cfr. la
panoramica di Garzetti, Impero,
cit. 209-221. Nelle monete di Galba viene frequentemente osannata la libertas
(RIC, I2, pp. 233 nrr. 7-9, 22-23, 234 nrr. 37-39, 235-236 nrr. 68-76,
239 nrr. 136-137, 139, 241 nrr. 157-159, 244 nr. 237, 246 nrr. 275-276,
293-296, 247 nrr. 309-310, 318, 248 nrr. 327-329, 346-349, 249 nrr. 363-367,
372, 250 nrr. 387-391, 251 nrr. 422-425, 252 nrr. 479-480), raggiunta grazie
all’eliminazione del tiranno Nerone (AMIT, Propagande, cit. 57, 59; M.L. Palladini, A proposito di ‘pax
Flavia’, in Pace nel mondo antico 1985, cit. 225); il tema della libertas,
uno degli slogans cari ad Augusto (supra, nota nr. 28), è
presente anche nel discorso di adozione di Pisone (Tac. hist. 1.15-16);
vedi inoltre Taeger, Charisma,
cit. 327; Amit, Concordia, cit.
148-149; Pera, Ramus, cit. 192.
[76] RIC, I2, pp. 260-261.
Dell’imperatore si registrano appena 24 tipi monetali. Un denario (RIC,
I2, p. 260 nrr. 1-2) è dedicato a CERES AVG.
[77] RIC, I2, p. 260 nrr. 3-6:
[78] Garzetti,
Impero, cit. 213; della stessa opinione anche Fears, Theology of Victory, cit. 813: le monete con
legenda VICTORIA OTHONIS (RIC, I2, p. 260 nrr. 13-17) ribadivano
che il fondamento del principato di Otone era la vittoria in battaglia, dalla
quale conseguivano securitas e pace universale (Taeger, Charisma, cit. 328).
[80] Belloni,
Significati, cit. 1009, 1059. Non si dimentichi che Otone era stato
riconosciuto solo in una parte dell’impero e di conseguenza le monete miravano anche
a legittimare la sua aspirazione “ecumenica” nei confronti degli avversari (Amit, Propagande, cit. 58).
[82] Garzetti,
Impero, cit. 215-224. Sull’incendio della maggior parte degli edifici
pubblici sul Campidoglio, cfr. T.P.
Wiseman, Flavians on the Capitol, AJAH 3, 1978, 163-178; K. Wellesley, What happened on the
Capitol in December A.D. 69?, AJAH 6, 1981, 166-190; A. Barzanò, La distruzione del
Campidoglio nell’anno 69 d.C., CISA 10, 1984, 107-120. Si vedano
inoltre Amit, Propagande,
cit. 57-58; Fears, Theology of
Victory, cit. 813.
[83] RIC, II, pp. 52 nrr. 317-318
(denari del 69-70), 53 nrr. 324 (denario del 70) e 327 (denario del 71), 54
nrr. 334 (aureo e denario del 71) e 338 (denario del 74). A queste monete si
devono aggiungere RIC, II, p. 55 nr. 343 (denario di Tito Cesare del 71)
e RIC, II, p. 56 nr. 350 (denario di Domiziano Cesare del 71). La forma
in dativo potrebbe far supporre la speranza in una pace futura piuttosto che la
certezza di una pace compiuta: non è forse un caso che terminate le
controversie in Oriente il tipo monetale sia stato abbandonato. L’ecumenismo di Vespasiano si fondava tuttavia
su una imitatio Augusti piuttosto che Alexandri (Bruhl, Alexandre et les Romains,
cit. 213; cfr. infra).
[84] Garzetti,
Impero, cit. 248-249; Belloni,
Significati, cit. 1060, 1062; Fears,
Virtues, cit. 899; Palladini,
Pax Flavia, cit. 223-224; De
Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 247-251; Turcan, Images de Paix, cit. 57.
Per l’ideologia augustea si veda supra, § 2.
[85] RIC, II, pp. 68 nrr. 434, 69
nr. 439 (alle spalle della pira, domina la scena una statua di Minerva,
probabile riferimento ad una pace “politica”, che poneva termine alle lotte fra
cittadini Romani, cfr. Bianco, Monetazione
di Vespasiano, cit. 191; Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 234-235). In precedenza un’immagine
simile era stata utilizzata da Galba (RIC, I2, p. 256 nrr. 496-498: un
asse della zecca di Roma con legenda nel rovescio PAXS AVGVSTI S. C. e rappresentazione
della Pace con cornucopia nella sinistra e torcia nella destra, sempre
nell’atto di incendiare una catasta d’armi) e da Vitellio (RIC, I2, pp.
276 nr. 164 cfr. nrr. 147-149, 277 nr. 172 da Roma).
[86] Belloni,
Eirene e Pax, cit. 139; Palladini,
Pax Flavia, cit. 226. Per Turcan,
Images de Paix, cit. 58 questa immagine era sinonimo di una concezione
semplicistica della pace intesa come fine delle guerre, una visione estranea
alla tradizione romana e mutuata da Aristotele (Pol. 6.15: te@lov ga#r
.... eièrh@nh me#n pole@mou).
[87] Svet. Vesp. 1,1: Rebellione
trium principum et caede incertum diu et quasi vagum imperium suscepit
firmavitque tandem gens Flavia. Alla stabilità di governo alludono anche le
dediche alla Pax aeterna o perpetua delle iscrizioni e alcune
legende monetali (infra); Vespasiano avrebbe inoltre ripreso le monete
con la raffigurazione della divinità alata (Nemesis?) con caduceo,
preceduta da un serpente (RIC, II, pp. 21 nr. 64, 32 nr. 150; vedi
inoltre pp. 31 nrr. 141-142, 33 nr. 153, 50 nr. 302), cfr. Turcan, Images de Paix, cit. 57.
Sugli avvenimenti del periodo è ancora utile la panoramica di Garzetti, Impero, cit. 201-235.
[88] Pur con differenti posizioni, si
vedano fra gli altri M.A. Levi, La
legge dell’iscrizione CIL VI, 930, «Athenaeum» 16, 1938, 85-93; P.A. Brunt, Lex de imperio
Vespasiani, JRS 67, 1977, 95-116; V.
Facchetti, La “lex de imperio”: struttura giuridica, ragioni
politiche, significato storico, in Atti del Congresso Internazionale di
Studi vespasianei, Rieti, settembre 1979, Rieti 1981, II, 399-410; M. Pani, Il principato dai Flavi ad
Adriano, in Schiavone, Storia
di Roma, II.2, cit. 269; Fr. Hurlet,
[89] Taeger,
Charisma, cit. 325; Fears,
Virtues, cit. 899-900, cfr. E.
Bianco, Indirizzi programmatici e propagandistici nella monetazione
di Vespasiano, RIN 70, 1968, 145-158, 168-212; R. Pera, Cultura e politica di Vespasiano riflesse nelle
sue monete, in Studi vespasianei, cit. II 505-514; Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda,
cit. 236, 239. Oltre ai numerosi riferimenti alla Pax, nelle legende e/o
nelle raffigurazioni, le monete alludevano per esempio a Aequitas Augusti,
Aeternitas, Annona Aug(usti), Fides publ(ica), Fortuna
Augusti, Libertas publica, Libertas restituta, Roma
resurgens, Salus Aug(usta), Securitas p(opuli) R(omani),
naturalmente alla Victoria Augusti. In totale si contano ben 81
emissioni in dieci anni di principato, con l’introduzione di numerose novità
iconografiche; particolare importanza fu data da Vespasiano alla Concordia
(Amit, Concordia, cit. 150). Un
aureo coniato a Tiro nel 69 mostra nel verso (RIC, II, p. 59 nr.
371: legenda PONT MAX TRIB POT),
[91] RIC, II, p. 17 nr. 22, legenda:
PONTIF MAXIM (che completa la titolatura sul recto), cfr. Pera,
Ramus, cit. 193-194. Lo stesso tipo monetale fu ripreso negli anni seguenti: RIC,
II, pp. 20 nr. 48 (anni 72-73), 21 nr. 65 (73), 23 nrr. 76-77, 83 (74), 25 nr.
94 (75); significativamente monete identiche furono dedicate a Tito nel 73-74 (RIC,
II, p. 35 nrr. 169, 174). Nelle monete della consacrazione, il divo Vespasiano
fu raffigurato radiato e togato, seduto sulla sedia curule, con ramo d’olivo
nella destra e scettro nella sinistra (RIC, II, p. 133 nrr. 145-146),
come nell’iconografia augustea (supra); stesso tipo verrà adottato anche
per i divi Traiano (RIC, II, p. 422 nrr. 627 a-b) e Adriano (RIC,
II, p. 471).
[92] RIC, II, pp. 17 nrr. 23-
[93] Oros. hist. 7.9.9.
[94] F.
Castagnoli, Politica urbanistica di Vespasiano in Roma, in Studi
vespasianei, cit. I 261-275.
[95] Per la cronologia del tempio, cfr.
Joseph BJ 6.158. L’edificio con le relative basi (infra, nota nr.
99) si trovava all’interno del pomerio mentre l’Ara Pacis Augustae era
stata collocata nel Campo Marzio; il tempio della Concordia inaugurato
da Tiberio nel 10 d.C. e l’aedes omonima dedicata più tardi da Livia in
memoria di Augusto alludevano solo alla concordia della famiglia
imperiale, senza alcun riferimento alle guerre civili (Béranger, Principatus, cit. 371-372; vedi inoltre Amit, Concordia, cit. 145-146).
[96] Joseph BJ 7.5.7.161-162: aène@qhke d’eèntau^qa
kai# ta# eèk tou^ iéerou^ tw^n
èIoudai@wn crusa^ kataskeua@smata semnuno@menov eèp’auètoi^v. To@n de#
no@mon auètw^n kai# ta# porfura^ tou^ shkou^ katapeta@smata prose@taxen eèn
toi^v Basilei@oiv aèpoqeme@nouv fula@ttein. La celebrazione della riconciliazione fra
Romani passava quindi attraverso il trionfo sui Giudei in rivolta (sulla guerra
cfr. Garzetti, Impero,
cit. 243-244; Bianco, Monetazione
di Vespasiano, cit. 158-165), come in passato la vittoria su Cleopatra
aveva legittimato l’eliminazione di Antonio (Turcan,
Images de Paix, cit. 57; vedi inoltre Belloni,
Eirene e Pax, cit. 133-134).
[97] Svet. Vesp. 9.1: Fecit et
nova opera templum Pacis foro proximum; Plin. nat. 36.38: in
templo Pacis ab imperatore Vespasiano Augusto dicato; Joseph BJ 7.5.7,
cfr. Koch, Pax, cit. coll.
2435-2436; J. Isager, Vespasiano
e Augusto, in K. Ascani-T.
Fischer-Hansen-Fl. Johansen-S. Skovgaard Jensen-J.E. Skydsgaard (a cura
di) Studia romana in honorem Petri Krarup septuagenarii, Odense 1978,
66-67; Castagnoli, Politica
urbanistica, cit. 271-273. Si è giustamente sottolineato come anche
attraverso il tempio e le opere d’arte ivi conservate Vespasiano mirasse a
porre a disposizione del popolo oggetti e spazi che in passato erano stati
privati (vedi anche P. Sommella-L.
Migliorati, Il segno urbano, in Schiavone,
Storia di Roma, II.2, cit. 305-307).
[98] Bianco,
Monetazione di Vespasiano, cit. 168-184; Isager, Vespasiano e Augusto, cit. 64-71; Palladini, Pax Flavia, cit.
224-225; R. Günther, Politische
Herrschaftskonzeptionen der Flavier unter besonderer Berücksichtigung
Vespasians, SIFC ser. 3, 10, 1992, 940-
[99] - CIL, VI, 199 (pp. 3004, 3755)
= 30712 d = 36747 d = ILS, 6050 = AE, 1999, 192
(del 71): Paci August(ae) / sacrum. / L(ucius) Caesilius Tauriscus
Tarquinie(n)s(is), / C(aius) Portumius Phoebus II, / L(ucius) Silius Carpus, /
L(ucius) Statius Patroclus II, / D(ecimus) Novius Priscus, / P(ublius)
Suillius Celer, / Ti(berius) Claudius Hermetis l(ibertus) Helius,
/ P(ublius) Agrasius P(ubli) f(ilius) Marcellus, / curatores trib(us)
Suc(usanae) iunior(is) s(ua) p(ecunia) d(onum) d(ederunt) / permissu M(arci)
Arricini Clementis. // Ponend(um) cur(avit) / L(ucius) Faenius Evanthes iunior.
Per la cronologia del testo si veda De
Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 243-244.
- CIL, VI, 200 (pp. 3004, 3755) = 30712 e
= 36747 e = ILS, 6049 (del 70-71): Paci Aeternae / domus /
Imp(eratoris) Vespasiani / Caesaris Aug(usti) / liberorumq(ue) eius / sacrum /
trib(us) Suc(usana) iunior(um) / [------]. Nello specchio della faccia
laterale destra si legge: Dedic(atum) XV K(alendas) Dec(embres) / L(ucio)
Annio Basso / C(aio) Caecina Paet(o) / co(n)s(ulibus); la data del
consolato oscilla fra il 70 ed il 71 d.C. (De
Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 240-241 e note nrr. 22 e
29); negli specchi posteriore e laterale sinistro sono riportati su otto
colonne (corrispondenti al numero delle centurie) i nomi in ordine alfabetico
dei 727 iuniores della tribù, che avevano forse attivamente partecipato
alla guerra civile nelle file di Vespasiano. Il riferimento alla Pace eterna
non trova precedenti significativi secondo De
Angeli, Propaganda di Vespasiano, cit. 252-253.
Quest’ultimo (ibid. 244-246,
262-263, 266-267) ritiene che le due basi e CIL, VI, 198 (dedica alla Victoria
Augusti) fossero commissionate dai membri della tribù Sucusana per
celebrare l’adventus in Roma di Vespasiano e che fossero collocate
nell’area antistante il Tabularium, successivamente occupata dal tempio
del Divus Vespasianus.
[100] Tre testimonianze
giungono dalla penisola iberica:
- CIL, II, 3349 (p. 951) = II,7, 3 = ILS,
3786 da Ossigi Latonium in Baetica: Augusto. / Paci perpetuae
et Concordiae / Augustae / Q(uintus) Vibius Felicio sevir et / Vibia Felicula
ministra Tutelae / Augustae / d(e) s(ua) p(ecunia) d(ederunt) d(edicaverunt). Paleograficamente
il testo sembrerebbe del principato di Vespasiano; l’iscrizione si riferirebbe
al fondatore della dinastia Flavia, l’unico a poter esser indicato in
questa fase come Augustus senza ulteriori specificazioni (R. Étienne, Le cult impérial dans la péninsule ibérique d’Auguste à Dioclétien,
Paris 1958, 270, 289; Pera,
Ramus, cit. 193). Meno bene Taeger,
Charisma, cit. 147; Amit,
Concordia, cit. 145; Fears, Theology
of Victory, cit. 822; Id., Virtues, cit. 908 che attribuiscono l’iscrizione al principato di
Augusto, in relazione alle celebrazioni ricordate da Dione Cassio nel
- CIL, II, 3732 = II,14, 13 = ILS,
259 da Valentia in Hispania Tarraconensis: [Ca]es(ari) T(ito) Imp(eratori)
/ Vespasiano Aug(usto) / Vespasiani f(ilio) conser/[v]atori pacis Aug(ustae).
Pur riconoscendo che in questo caso la figura centrale è quella di Tito, è
tuttavia difficile non inserire anche questa iscrizione nel filone
propagandistico di Vespasiano (su posizioni in parte differenti Taeger, Charisma, cit. 334-336).
- Probabilmente di età vespasianea (ÉTIENNE,
Cult impérial, cit. 270) anche CIL, II, 1061 da Arva, in Baetica:
Paci Aug(ustae) / sacrum. / L(ucius) Licinius / Crescentis / lib(ertus)
Hermes / VIvir Augustalis / d(e) s(ua) p(ecunia) d(onum) d(edit).
[103] Belloni, Significati, cit.
1072-1074; dello stesso parere Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 239; Turcan, Images de Paix, cit. 56; alla Concordia exercituum pensa Amit, Concordia, cit. 151.
[104] Turcan, Images
de Paix, cit. 56-57. Sugli avvenimenti di quegli anni cfr. Garzetti, Impero, cit. 37-42,
46-51; R. Syme, Tacitus, Oxford 1963, 10-11; Pani, Dai Flavi ad Adriano, cit.
275; G. Migliorati, L’idea
della guerra nella propaganda di Traiano, in Guerra nel mondo antico,
cit. 226-227.
[105] Può essere utile a
questo proposito consultare gli indici dei volumi del Roman Imperial Coinage
per avere un’idea della diffusione del tema della Pax: RIC, I2,
pp. 285, 291 (monete di Augusto, Claudio, Nerone, imperatore anonimo durante le
guerre civili, Galba, Otone Vitellio); RIC, II, pp. 505-506, 548-549
(Vespasiano, Tito, Domiziano, Nerva, Traiano, Adriano); RIC, III, pp.
461, 492-493 (Antonino Pio, Marco Aurelio, Lucio Vero, Commodo); RIC,
IV,1 pp. 358, 384 (Settimio Severo, Clodio Albino, Caracalla); RIC,
IV,2, pp. 192, 204 (Elagabalo, Severo Alessandro, Massimino il Trace, Gordiano
I, Gordiano II, Balbino, Pupieno); RIC, IV,3, pp. 215, 228-229 (Gordiano
III, Filippo l’Arabo, Filippo il Giovane, Decio, Ostiliano, Treboniano Gallo,
Volusiano, Emiliano); RIC, V,1, pp. 384, 410 (Valeriano, Gallieno,
Claudio II, Quintillo, Aureliano, Tacito, Floriano); RIC, V,2, pp.
636-637, 678-679 (Postumo, Leliano, Vittorino, Tetrico, Tetrico II, Probo,
Caro, Carino, Numeriano, Diocleziano, Massimiano, Carausio, Galerio, Alletto); RIC,
VI, pp. 703, 711 (Costanzo Cloro, Massenzio, Costantino); RIC, VII, p.
744 (Costantino e Licinio); RIC, VIII, pp. 564, 568, 584 (Costantino II,
Costante, Costanzo II); RIC, IX, p. 320 (Valentiniano, Valente); una
rassegna delle differenti iconografie e legende in Muñoz-Díez Jorge, Pax en la moneda, cit. 217-228,
238-250. Sinonimo della pace potrebbero essere i riferimenti numismatici alla Tranquillitas
(cfr. infra, nota nr. 116) e alla Securitas (Amit, Propagande, cit. 60-61; A. Arnaldi, Motivi di celebrazione
imperiale su monete ed epigrafi, RIN 82, 1980, 93-94; Lana, Rapporto, cit. 24).
[106] Secondo Amit, Propagande, cit. 57 e Béranger, Principatus, cit. 372 l’uso
delle due forme non avrebbe una reale distinzione di significato; per A. Wallace-Hadrill, The emperors and
his virtues, «Historia» 30, 1981, 309, Winkler,
Salus, cit. 95 e Turcan, Images
de Paix, cit. 56, invece, PAX AVGVSTI (legenda apparsa per la prima
volta con Claudio) sottolineerebbe un impegno diretto dell’imperatore nella
realizzazione della pace e sancirebbe una sorta di contratto fra il princeps
regnante ed i Romani.
[107] Si veda per esempio
la serie monetale dell’anno 71 (supra, nota nr. 85) con
[108] Cfr. supra per
alcune raffigurazioni di Augusto e Claudio. Per Vespasiano e i suoi figli, cfr.
RIC, II, pp. 16 nrr. 9-10 (Vespasiano: anni 69-71), 19 nr. 39 (anni
70-72), 24 nr. 90 (anno 75), 26 nrr. 101-
[109] Questo aspetto è
ancor più evidente in alcune rappresentazioni in cui
[110] Belloni, Significati, cit. 1106;
Arnaldi, Celebrazione
imperiale, cit. 88-89; Sordi,
Dalla ‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 14; Lana, Idea della pace, cit. 34-35; Id., Rapporto, cit. 24-25; G. Mazzoli, Guerra e pace in Seneca,
in Pace nel mondo antico 1990, cit. 212, 215-216; Mastino, Orbis, cit. 82-83; Galimberti, Seneca, cit.
200-201; Turcan, Images de
Paix, cit. 58-60; P. Siniscalco,
L’uomo e la pace in scritti cristiani del II e del III secolo, in Concezioni
della Pace, cit. 260.
[111] Mazzoli, Seneca, cit. 216; Lana, Rapporto, cit. 24-25; De Martino, Pace a Roma, cit.
[112] Plin. paneg.
29.2: ... parens noster auctoritate, consilio, fide reclusit vias, portus
patefecit, itinera terris, litoribus mare, litora mari reddidit, diversasque
gentes ita commercio miscuit, ut, quod genitum esset usquam, id apud omnes
natum videretur. Espressioni simili si trovavano nell’ E„j Basile…a (Aristid. Or. 9
D, 67 cfr. infra, nota nr. 114): ouè pa^sa aòdeia pa^sin me#n oçph
bou@letai@ tiv, pa@ntev de# oié pantacou^ lime@nev eènergoi#, ouè ta# me#n oòrh
th#n auèth#n eòcei toi^v oédeu@ousin hçnper aié po@leiv toi^v oièkou^sin
auèta#v aèsfa@leian, ca@riv de# pa@nta eèpe@cei pedi@a, pa^v de# dia# pa@ntwn
le@lutai fo@bov; poi^oi me#n ga#r po@roi potamw^n kekw@luntai dielqei^n; ti@nev
de# qala@tthv aèpoke@kleintai porqmoi@; nu^n kai# panhgu@reiv faidro@terai kai#
eéortai# qeofile@sterai; nu^n kai# to# Dh@mhtrov pu^r lampro@teron kai#
iéerw@teron.
Sull’età dell’oro, cfr. Turcan, Janus,
cit. 388-389; Id., Images de
Paix, cit. 58-59; Mastino, Orbis,
cit. 78-85.
[113] Plin. paneg.
16.1-5: Traiano viene lodato per non aver ceduto alla tentazione di attaccare
battaglia anche quando la vittoria era certa, conscio dei danni che provocava
la guerra e del valore della vita dei propri soldati, cfr. Belloni, Significati, cit.
1105-1106.
[114] Aristid. Or. 9
D, 66-67. Sono oggetto di discussione l’attribuzione dell’orazione al retore
Elio Aristide e la cronologia del testo (C.P.
Jones, Aelius Aristides, E„j Basile…a, JRS 62, 1972, 134-152 propende ad esempio
per un discorso autentico di Elio Aristide scritto in onore di Antonino Pio;
confuta puntualmente le sue conclusioni Ch.A.
Behr, Studies on the Biography of Aelis Aristides, ANRW II 34.2, 1994, 1219-1223);
recentemente D. Librale, L’‘Eièv Basilei@a’
dello
pseudo-Aristide e l’ideologia traianea, ibid., 1271-1313 (con ampia
panoramica sulle teorie precedenti), ritiene si tratti di un testo
contemporaneo del panegirico di Plinio il Giovane (supra, nota nr. 112)
e dei discorsi “Peri# basilei@av” di Dione Crisostomo, redatto forse dal sofista Iseo
durante il suo soggiorno nell’Urbe.
[115] Hist. Aug. Hadr.
5.1: ... tenendae per orbem terrarum paci operam impendit. A questo tema
alludevano certamente alcune monete (RIC, II, pp. 342 nr. 22 d,
351 nrr. 94-95, 402 nr. 514, 420 nr. 616) che associano la rappresentazione
della pace alla titolatura dell’imperatore. Una panoramica sui temi della pace
nella propaganda adrianea in M.P.
González-Conde, La guerra y la pax bajo Trajano y Adriano, Madrid
1991, 53-55.
[116] Il legame fra Pax e
Tranquillitas era già chiaro a Cicerone (Phil. 2.113): Pax
est tranquilla libertas.
[117] RIC, III, pp.
242 nr. 379 (Marco Aurelio: anni 176-177), 389 nr. 212 (Commodo), 430 nr. 557
(anno 190); contemporanea la rappresentazione di Pax, seduta, con ramo
d’olivo e scettro (RIC, III, p. 430 nr. 556).
[118] RIC, III, pp.
156 nr. 1059 (Antonino Pio), 233 nr. 263 (Marco Aurelio, anni 172-173), 235
nrr. 282-283 (172-173), 236 nrr. 296-297 (173-174), 237 nr. 307 (174), 383 nrr.
156-157 (Commodo: anni 187-188), 424 nr. 502 (186-187).
[120] M. Pavan, Sul significato storico
dell’Encomio di Roma di Elio Aristide, PP 17, 1962, 81-
[121] Sordi, Dalla ‘koinè eirene’ alla
‘pax romana’, cit. 15; J. Irmscher,
La concezione della Pace nei Padri della Chiesa e l’ideologia imperiale,
in Concezioni della Pace, cit. 134.
[122] Amit, Propagande, cit. 58; una
sintesi sul periodo in Mazza, Lotte sociali, cit. 228-239; P. Grimal, Marco Aurelio, Milano
1991, 137-191.
[124] IGRRP, III,
1117 da Phaenae in Syria: éUpe#r swthri@av kai# nei@khv [tw^n]
kuri@wn auètok[rato@rwn] L(ou@kiov) Auèrh@liov Ma@ximov eékato@ntarcov
leg(iw^nov) iv’ [Fl(abi@av) Fi@r(mhv) / th#n Eièrh@nhn ane@qhken. Per la cronologia
cfr. D. Vaglieri, s.v. Flavia
(legio), DE 3, 1922, 159 (Marco Aurelio e Commodo); E. Ritterling, s.v. legio, RE 12.2, 1925, col. 1767
(principato di Marco Aurelio e Lucio Vero); non si può tuttavia escludere che
il testo si riferisse ad una coppia imperiale del III secolo (per esempio
Settimio Severo e Caracalla, Valeriano e Gallieno): la legione era accasermata
a Samosata in Commagene fra il principato di Traiano e l’età tarda.
[125] Tert. apol. 30.4;
cfr. Irmscher, Pace nei Padri
della Chiesa, cit. 135; espressioni simili erano già state utilizzate da
Clemente Romano (ad. Cor. 60.4 – 61.1); nelle tradizioni liturgiche più
antiche si chiedeva a Dio di donare agli imperatori la pace e la vittoria sulle
nazioni barbare, cfr. Siniscalco,
L’uomo e la pace, cit. 256-259.
[126] Su pacator,
cfr. Fröhlke, s.v. pacator,
ThLL, X,1, 1982, col. 11: le prime testimonianze sono in Seneca (benef. 1.13.3; 5.15.6; Herc. O. 1990). Il corrispondente
termine greco eièrhnopoio@v (H. Stephanus,
Thesaurus Graecae Linguae, ed. an. Graz 1954, IV, coll. 279-270; H.G. Liddell-R. Scott, A
Greek-English Lexicon, revised and augmented throughout by H. Stuart Jones
with R. McKenzie, Oxford 1996, 490; cfr. Turcan,
Images de Paix, cit. 49), pur già attestato in Senofonte (HG 6.3.4),
non sembra aver avuto un grande successo fra gli scrittori greci, con
l’eccezione degli autori cristiani. Si osservi che in Plutarco (Moralia,
QR 62.279 b) con eièrhnopoi@oi, “coloro che fanno la
pace”, si indicavano i feziali, in alternativa a eièrhnofu@lakev, “i custodi della
pace” (Num. 12.4.5; cfr. Cam. 18.2). Si deve osservare che lo
stesso Dione Cassio (44.49.2: discorso funebre di Cesare, pronunciato da
Antonio nel
[127] D.C. 72.15.5: auètokra@twr
Kai^sar Lou@kiov Aiòliov Auèrh@liov Ko@mmodov Auògoustov, euèsebh@v, euètuch@v,
Sarmatiko#v Germaniko#v me@gistov, Bretanniko@v, eièrhnopoio#v th^v
oièkoumh@nhv, [euètuch@v], aèni@khtov, éRwmai^ov éHraklh^v, aèrciereu@v, dhmarcikh^v
eèxousi@av to# oèktokaide@katon, auètokra@twr to# oògdoon, uçpatov to#
eçbdomon, path#r patri@dov, uépa@toiv strathgoi^v dhma@rcoiv, gerousi@aj
Kommodianh^j euètucei^ cai@rein. Il confronto con iscrizioni e papiri (infra,
note nrr. 128-129) convince P.J.
Sijpesteijn, Commodus’ titulature in Cassius Dio LXXII.15.5,
«Mnemosyne» 41, 1988, 123-
[128] Le testimonianze
epigrafiche dimostrano una diffusione dei titoli pacator orbis Romanus, Felix,
Invictus, Herculis = eièrhnopoio#v th^v oièkoumh@nhv, euètuch@v,
aèni@khtov, éRwmai^ov éHraklh^v in tutto l’impero:
- CIL, XIV, 3449 = ILS, 400 da Treba
nella Regio I (fine anno 192, cfr. Kienast,
Kaisertabelle, cit. 148-149):
Imp(eratori) Caes(ari) L(ucio) Aelio Aurelio Commodo Aug(usto) / Sa[rmatico]
Germanico maximo Brittannico / [p]aca[t]or[i] orbis Felici Invicto Romano
Herculi / pontifici maximo tribuniciae potest(atis) X[V]III / imp(eratori) VIII
co(n)s(uli) VII patri patriae / omnium virtutum exsuperant(issimo) / ordo
decurionum Commodianor(um) IIIC / C(ai) Papi Capitonis [et L(uci)] Volcei
Max(imi); si osservi il rarissimo attributo exsuperant(issimus),
attestato per Iuppiter ed una volta per Caracalla (CIL, XI, 1066 = XIV, 2073), con il quale
Commodo poteva associare la sua figura a quella della suprema divinità del pantheon romano (J. Beaujeu,
La religion romaine à l’apogée de l’empire. I,
La politique religieuse des Antonins (96-102), Paris 1955, 400-401, 408-409; N. Méthy, Deus
exsuperantissimus: une divinité nouvelle? À propos
de quelques passages d’Apulée, AC 68, 1999,
99-117. Commodo, in quanto reincarnazione di Ercole, infra, note nrr. 132-134, era
conseguentemente “consanguineo” di Giove).
- IANice, 12 da Cimiez (Cemenelum)
nelle Alpes Maritimae: [Im]p(eratori) Caesar[i L(ucio) Aelio Aurelio
Commodo Aug(usto) Sarmatico Germanico maxi/mo] Britann(ico) p[acatori orbis
Felici Invicto Romano Herculi pontifici maximo / trib(unicia)] pot(estate)
XVIII i[mp(eratori) VIII ---: ricostruzione e cronologia si basano
sostanzialmente sul testo precedente.
- AE, 1928, 86 = 2002, 1501 da Dura-Europos
in Mesopotamia: Pro salu/te Com(modi) / Aug(usti) Pii F(elicis) / et
Victoria{m} d(omini) n(ostri) / Imp(eratoris) pac(atoris) / orb(is) Invict(i)
Rom(ani) Her[c(ulis)] / Ael(ius) Tittia/nus dec(urio) coh(ortis) / II Ulp(iae)
eq(uitatae) Com(modianae) / Genio Dura / votum solv(it) / XVI Ka(lendas) Piis /
F(a)l{ac}co et Claro / co(n)s(ulibus). L’iscrizione è databile in base alla
menzione dei consoli ordinari (Degrassi, Fasti, cit. 53) e del mese Pius
= Aprilis (D.C. 72.15.3) al 17/18 marzo del 193: è verosimile che in questa
data non fosse ancora giunta nella lontana provincia la notizia della morte
dell’imperatore (M.P. Speidel, Commodus
the god-emperor and the army, JRS 83, 1993, 109-114).
- Forse il titolo è ricostruibile in AE,
1977, 772 dal foro sud-orientale di Corinto in Achaia: Im[p(eratori)
Caesari divi Marci Antonini Pii Germanici] / Sarm[atici f(ilio) L(ucio) Aelio Aurelio
Commodo Aug(usto) Pio Sarmatico] / Germa[nico Britannico Felici pacatori (?)
orbis (?)] / pontif[ici maximo tribuniciae potestatis] / XVII
i[mp(eratori) VIII co(n)s(uli) VII] / p(atri) p(atriae) [---] (1 gennaio –
9 dicembre 192, cfr. Kienast, Kaisertabelle,
cit. 148-149).
Si deve molto probabilmente espungere
dall’elenco CIL, V, 137*: Imp(eratori) Caes(ari) / L(ucio) Ael(io)
Aur(elio) M(arco) Commodo / Ant(onino) P(io) F(elici) Max(imo) Aug(usto)
Sar(matico) / Ger(manico) Brit(annico) pacat(ori) orb(is) / terr(arum)
Herc(uli) Rom(ano) Amaz(onio) / super(---) Invicto / pont(ifici) m(aximo)
tr(ibunicia) p(otestate) XVIII / imp(eratori) VIII co(n)s(uli) VII p(atri)
p(atriae) / s(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus posuit). Il testo, inciso su
un basamento un tempo conservato a Venezia che sorreggeva una statua di Commodo
Erculeo, fu redatto verosimilmente in età rinascimentale in base al passo di
Dione Cassio (72.15.5, supra, nota nr. 127) e ad un altro riportato
dallo stesso storico greco (72.15.4, anno 191 o 192: èAmazo@niov Aiòliov Auèrh@liov Ko@mmodov
Auògoustov éHera@kleiov Rwmai^ov éUperai@rwn) in riferimento alle acclamazioni
fatte all’imperatore dal pubblico dell’anfiteatro durante un munus
gladiatorio offerto dallo stesso Commodo (J.
Gagé, La mystique impériale et l’épreuve des “jeux”. Commode-Hercule et l’”anthopologie” héracléenne,
ANRW II 17.2, 1981, 667-668,
672-673; Mastino, Orbis,
cit. 85 nota nr. 154). Super allude forse ad exsuperant(issimus) dell’iscrizione di Treba
(supra).
[129] Per la precisione P.
Oxy., XXXI, 2611; SB, XVI, 12239; PSI, IX, 1036. Tutti i
testi sono del XXXIII anno di Commodo (quindi del 192) ma solo PSI, IX,
1036 è databile con precisione al mese di Ottobre (11?). Sijpesteijn, Commodus’
titulature, cit. 123-124 rileva la quasi perfetta aderenza del testo dioneo
alla titolatura riportata nei papiri, con trascurabili differenze (p.e. eièrhnopoio#v
tou^ ko@smou per eièrhnopoio#v th^v oièkoumh@nhv).
[130] Grosso,
Commodo, cit. 99-102; Mazza, Lotte sociali, cit. 234; G. Clemente, La riorganizzazione
politico-istituzionale da Antonino a Commodo, in Schiavone, Storia di Roma, II.2, cit. 636-637.
[131] Beaujeu, Religion
romaine, cit. 394-397; Turcan,
Janus, cit. 383. Nel 185 Commodo assunse per primo ufficialmente il titolo
Felix (in passato adottato da Silla, cfr. Carcopino, Silla, cit. 88-92) in parallelo alla
celebrazione dei decennalia; nelle monete del 185-186 la
rappresentazione della Felicitas non porta la cornucopia ma una
statuetta della Vittoria (RIC, III, pp. 377 nr. 109, 380 nrr. 128-129) e
dunque era fondata sul ca@risma dell’imperatore, trionfante su tutti i nemici di Roma; dello
stesso periodo è la legenda SAEC. FEL. (RIC, III, pp. 378 nr.
113, 381 nr. 136, 417 nrr. 449 a-b, 421 nr. 472, 422 nr. 482) e altri
manifesti propagandistici come Felicitas perpetua, temporum felicitas,
felicitas publica, Fortuna Felix, Votis Felicibus. Sono
infine interessanti le emissioni MARTI PACATORI (RIC, III, pp.
385 nrr. 174-175 del 188-189, 386 nrr. 188-
[132] Beaujeu, Religion romaine, cit.
401-406; Grosso, Commodo, cit. 326-344; P.
Kneissel, Die Siegestitulatur der römischen Kaiser, Göttingen
1969, 119; Gagé, Commode-Hercule,
cit. 662-665; M. Jaczynowska, Le
culte de l’Hercule romain au temps du Haut-Empire, ANRW II 17.2, 1981, 638-640; Mastino,
Orbis, cit. 84-86.
[133] R. Schilling, L’Hercule Romain en
face de la réforme religieuse d’Auguste, RPh 16, 1942, 31-57; Beaujeu, Religion romaine, cit.
86-87; Grosso, Commodo, cit. 331-334; Gagé,
Commode-Hercule, cit. 668-670; Jaczynowska,
Culte de Hercule, cit. 634-638; Grimal,
Marco Aurelio, cit. 104-105; Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 233-234: Ercole era l’eroe che aveva
liberato il mondo dai mostri che lo infestavano (Sen. Herc. O. 1990: Hercules, domitor magne ferarum orbisque simul pacator), era il modello del
re buono e virtuoso, che riusciva a trionfare sulle sue passioni; era il figlio
caro a Giove, giunto dalla penisola iberica per liberare la valle del Tevere
dal brigante Caco; era infine il semidio che aveva soggiornato sulla terra
prima di essere assunto nell’Olimpo, dunque un esempio di apoteosi molto utile
per il culto dei divi Augusti. Si osservi inoltre che grazie a Traiano e
Adriano il culto di Ercole aveva assunto un carattere “universale”, fondendo
tradizioni greche, romane ed orientali, e che ben presto era divenuto il
protettore della dinastia antonina (Mastino,
Orbis, cit. 78-79).
[135] Cfr. Taeger, Charisma, cit. 408, 424;
Kneissel, Siegestitulatur,
cit. 172; sul rapporto Commodo-Settimio Severo, si veda inoltre Birley, Severus, cit. 198-199.
Per la documentazione epigrafica:
- CIL, II, 1969 (pp. XLIII, LXXIX) da Malaca
in Baetica: ------ / Imp(eratoris) Caesar(is) L(uci) Sept(imi) Severi
/ Pii Pertinacis Aug(usti) / Parthici Arabici Adiabenici / pacatoris orbis / et
fundatoris / imperii Romani [f]ilio / r(es) p(ublica) Malaci[t(ana)] d(onum)
d(at). Per Mastino, Orbis,
cit. 136, il testo è dell’anno 197.
- CIL, II, 1669 = II,5, 74 base marmorea da Tucci
sempre in Baetica: Imp(eratori) Caesari M(arco) Aurelio / Antonino
Aug(usto) L(uci) Septimi / Severi Pii Pertinacis / Aug(usti) Arabici Adiabenici
/ Parthici maximi pa/catoris orbis filio / d(ecreto) d(ecurionum) res publica /
Tuccitanorum. Mastino, Orbis,
cit. 136 pone l’iscrizione negli anni 198-209.
- CIL, II, 1670 = II,5, 75 sempre da Tucci:
[[P(ublio) Septimi[o Getae nob(ilissimo)]]] / [[C[a]esari]] L(uci) Septimii
/ Severi Pii Pertinacis / Aug(usti) Arabici Adiabe/nici Parthici maxi/mi
pacatoris orbis fi/lio et M(arci) Aureli Anto/nini Imp(eratoris) fratri res /
publica Tuccitanorum / d(atum) d(ecreto) d(ecurionum); probabilmente una
base gemella alla precedente; il terminus ante quem è il settembre /
ottobre del 209 quando Geta divenne augusto (A. Mastino, Le
titolature di Caracalla e Geta attraverso le iscrizioni (Indici), Bologna
1981, 37-38; Id., Orbis,
cit. 136).
- CIL, II,5, 76 ancora una base da Tucci:
Imp(eratori) Caes(ari) / Getae Severo Aug(usto) divi Septi/mi Severi Pii
Pertinacis Aug(usti) / Arabici Adiabenici Parthi(ci) / m(aximi) pacatoris orbis
f(ilio) / et M(arci) Aurelii Antonini Imper(atoris) frat(ri) / res publica
Tuccit(anorum) / d(atum) d(ecreto) d(ecurionum); l’iscrizione è da porre
fra il 4 febbraio 211 ed il 19/26 dicembre del 211 (Kienast, Kaisertabelle, cit. 157, 166).
- CIL, II, 2124 = II,7, 60 da Isturgi in
Baetica: Imp(eratori) Caes(ari) L(ucio) Septi/mio Severo Pio /
Pertinaci Aug(usto) / Arabico Adiabenico pontif(ici) / maximo imp(eratori) X
trib(unicia) potest(ate) / VI co(n)s(uli) II pacatori orbis / res publica
Isturgitanorum / d(ecreto) d(ecurionum) d(edit). Cr. González Román, editore di CIL, II,7, 60, data
questa base di statua al 197, forse al mese di novembre; propende invece per il
198 Mastino, Orbis, cit.
136 supponendo un errore nel computo delle acclamazioni imperiali.
- AE, 1999, 1844 da Mustis in Africa
Proconsolare (4 febbraio 211- fine settembre 213): Divo L(ucio) Septimio
Seve/ro Pio Pertinaci patri / Imp(eratoris) Caes(aris) M(arci) Aureli Severi /
Antonini Pii Felicis / Augusti Parthici Ara/bici maximi Britanni/ci maximi
pontificis / max(imi) patris patriae / ordo Mustitanus paca/tori deo d(ecreto)
d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica). Secondo A. Mastino, I Severi nel Nord Africa, in XI
Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina (Roma, 18-24 settembre
1997), Roma 1999, 381-382 il divo Settimio Severo fu ricordato in
questo modo dai Mustitani per il lungo periodo di pace goduto dalla
provincia.
- AE, 1894, 15 = CIL, VIII, 21613 da
Portus Magnus in Mauretania Caesariensis: [[[P(ublio) Septimio
Getae]]] / [[Caes(ari)]] L(uci) Septimi / Severi Pertina/cis Aug(usti)
Parthi/ci Adiabenici / pacatoris orbis / et fundatoris / imperi Romani /
[[f[i]l(io)]] res pub(lica) Port(i) / Mag(ni). Per Mastino, Caracalla e Geta,
cit. 165; Id. Orbis, cit.
136 il testo è del 198-209.
[136] RIC, IV,1, pp.
106 nrr. 128-129 (denarii del 198-200), 112 nr. 160 (aurei e denari del
200-201). Una variante (Settimio Severo senza libro e a capo scoperto) su
alcuni denari di Giulia Domna (RIC, IV,1, p. 172 nr. 593). Vale la pena ricordare
che siamo alla fine della campagna partica, prima del rientro a Roma
dell’imperatore (Birley, Severus,
cit. 202-211). Il concetto è ribadito anche nella Historia Augusta (Sept.
Sev. 22.4): non solum victor sed etiam in aeternum pace fundata vol<v>ens
animo (l’episodio si riferisce alla fase finale della campagna britannica,
cfr. Birley, Severus, cit.
265-266; Salway, Roman Britain,
cit. 228-231).
[137] RIC, IV,1, p. 231
nr. 129 (anni 201-206): non è tuttavia certo che la figura rappresentata nel recto
della moneta sia realmente il figlio di Settimio Severo. Una variante coeva in RIC,
IV,1, p. 234 nr.
[139] RIC, IV,1, p. 126
nr. 282, databile fra il 203 ed il 209; identiche monete furono coniate da
Caracalla fra il 206 ed il 210 (RIC, IV,1, p. 235 nr. 163) e da Geta fra
il 203 ed il 208 (RIC, IV,1, p. 320 nr. 50: solo aurei). Il culto di Sol
Invictus è attestato a Roma sin dal 158 d.C. (CIL, VI, 715) per
opera di reparti scelti della cavalleria imperiale ma già Adriano ne aveva
cominciato la raffigurazione sulle monete, avvicinandone l’iconografia a quella
di Ercole; una dedica del 16 giugno 184 (CIL, VI, 740) dimostra che durante
il principato di Commodo esisteva una festa religiosa ufficiale; con Settimio
Severo, infine, fra il 193 ed il 194, il culto ebbe una grande diffusione,
favorita dagli interessi astrologici dell’imperatore e dal suo matrimonio con
Giulia Domna, figlia del gran sacerdote del santuario di Emesa dedicato a Sol
invictus (G.H. Halsberghe, Le
culte de Deus Sol Invictus à Rome au 3e siècle après J.C., ANRW II 17.4,
1984, 2182-2184; Mastino, Orbis,
cit. 80-81; cfr. inoltre Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 224).
[140] RIC, IV,1, pp.
96 nr. 37 (PACI AVGVSTI del 194), 97 nr. 54 (PACI AVGVSTI del
194-195), 101 nr. 89 (PACI AVGVSTI del 196-97), 105 nrr. 118-
[141] AE, 1968, 520:
Paci // Pro salute Imp(eratorum) Caes(arum) L(uci) Septimi / [Se]veri Pii
[Per]tinacis Aug(usti) Arabici / [Adiabenici Parthici m]aximi et I[mp(eratoris)
----]. L’altare di granito rosa fu realizzato nel
[142] - CIL, XIII,
9034 = XVII,2, 513 = ILTG, 487 da Juvigny: [Imp(erator) Caes(ar)
M(arcus) Aur(elius) An/t]oninus Pius Fe[l(ix) / A]u[gustus) P]arth(icus)
[max(imus) / Brit(annicus)] m[ax(imus) ponti(ifex) / max(imus) tr]i[b(unicia)
pot(estate) XVI (?) / [imp(erator) --- / pr]in[c(eps) iuv]en[t(utis) /
fo]rti[ss]imu[s fe/licissimusq(ue) magnus] / prin[c]ep[s p]a[cator / o]rbi[s]
vias / [et] pont(es) vetust(ate) / conlabsas (!) res/[ti]tuit / ab
Aug(usta Suessionum) l(eugas) [---]. La cronologia del 213 è verosimile ma
non sicura (Mastino, Orbis,
cit. 137).
- AE, 1924, 19 = H. FINKE, Neue
Inschriften und Nachträge zu C.I.L. XIII, BRGK 17, 1927, nr. 318 = CIL,
XVII,2, 548 da Niederemmel (Treveri): [Imp(erator) Caes(ar) M(arcus)
Aur(elius) / Antoninus Pius Felix] / Aug(ustus) Parthic[us maximus] /
Britannicus maxim[us] / pontifex maximus trib(unicia) / potest(ate) XVI
imp(erator) II co(n)s(ul) IIII / proco(n)s(ul) fortissimus / felicissimusque
magnus / princeps pacator / orbis ponte[s e]t vias / vetust[ate coll]ap[sas] /
rest[itu]it [ab Aug(usta) Trev(erorum) leug(as) ---]. Forse l’ultima linea
è integrabile con il numero XVIIII.
[143] - AE, 1996,
1141, frammento da Augusta
Rauricorum, del 1 gennaio –
settembre 213: [Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius)] /
[Antoninus Pius Fe]l(ix) / [Au]g(ustus) [P]a[rth]i/[cus maximus B]ritan/[nicus
maximus pontifex] maximus / [trib(unicia) pot(estate) XVI imp(erator) II
c]o(n)s(ul) IIII / [proco(n)s(ul) fortissimus fe]licissimusq(ue) / [magn(us)
princeps pacato]r orbis / [vias et pontes vetustate] conlab[s]a[s /
[restituit]. L’attribuzione a Caracalla si deve grazie agli epiteti [fe]licissimus
e [pacato]r orbis.
- CIL, XIII, 9061 = XVII,2, 126 da
Saint-Prex, nel cantone di Vaud in Svizzera: [Imp(erator) Caes(ar)] /
M(arcus) Aur[elius Antoninus] / Pius Fel(ix) [Aug(ustus) Parthicus)] max(imus)
Brit(annicus) / max(imus) pont(ifex) max(imus) trib(unicia) pot(estate) XVI /
imp(erator) II co(n)s(ul) IIII proco(n)s(ul) / fortissimus
felici[s]s[i]musq(ue) / ma[g]nus [princ(eps)] pacator / orbis vias et pontes
vetustate / collabs(os) restitui[t].
- CIL, XVII,2, 501 da Bossaye, sempre nel
cantone di Vaud: [Imp(erator) Caes(ar) / M(arcus) Aur(elius) Antoninus /
Pius Fel(ix) Aug(ustus) Parth(icus) max(imus) Brit(annicus) / max(imus)
pont(ifex) max(imus) trib(unicia) pot(estate) XVI / imp(erator) II co(n)s(ul)]
IIII p[roco(n)s(ul) / fortissim(us) f]eliciss(imus) m[agn(us) / princeps]
pac(ator) orb(is) [vias / et pon]t(es) vetust[ate / collaps(os)] restit[uit] /
------. Il testo è integrato e datato al 213 per le assonanze con il
miliario precedente.
- CIL, XIII, 9072 = XVII,2, 666 da Solothurn
(Salodurum): Imp(erator) [Caes(ar) M(arcus) Aur(elius)]
An/ton[inus Pius F]el(ix) A/ug(ustus) P[arth(icus) max(imus)] Bri(tannicus) /
ma[x(imus)] pont(ifex) max(imus) trib(unicia) / pot(estate) XVI imp(erator) II
co(n)s(ul) IIII / proco(n)s(ul) princ(eps) iuven(tutis) / fortis(s)[i]m(us)
felicis(s)im/usq(ue) magn(us) princeps / pacator orb(is) vias et / pont(es)
vetustate col/laps(os) restituit / Avent(ico) / XXVI.
- CIL, XIII, 9068 = XVII,2, 674 da Montagny:
Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius) A[ntoni]/nus Pius Felix [Au]g(ustus)
P[arth(icus)] / max(imus) Britannic(us) [ma]x(imus) [pont(ifex)] / max(imus)
trib(unicia) pot(estate) XVI imp(erator) I[I co(n)s(ul) IIII / proco(n)s(ul)
fort(issimus) feliciss(imus) [magnus] / pr(inceps) pac(ator) orb(is) vias et
pont(es) v[etust(ate)] / colla[psos res]tituit.
- H.
Nesselhauf-H. Lieb, Dritter Nachtrag zu CIL XIII: Inschriften aus den
germanischen Provinzen und dem Treverergebiet, BRGK 40, 1959, nr. 264 da
Orbe (Urba): [Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aur(elius) Antoninus Pius
F(elix) Aug(ustus) Parth(icus) max(imus) Brit(annicus) max(imus) pont(ifex)
max(imus) trib(unicia) pot(estate) XVI / imp(erator) II co(n)s(ul)] IIII
p[roco(n)s(ul) / fort(issimus) f]eliciss(imus) m[agn(us) / princ(eps)]
pac(ator) orb(is) [vias / et pon]t(es) vetust[ate / collaps(os)] restit[uit
Avent(ico) / (leugas) XXII]. La ricostruzione del testo è probabile ma non
certa.
L’epiteto pacator orbis è
ricostruito in maniera assolutamente ipotetica in CIL, XIII, 6803 da Mogontiacum
(testo verosimilmente databile fra il 213 ed il 217).
[144] Per una cronologia dei
cippi, cfr. Mastino, Caracalla e Geta, cit. 53-54; Id.,
Orbis, cit. 137; Kienast, Kaisertabelle,
cit. 163. Sulla campagna contro gli Alamanni da ultimo Letta, Severi, cit. 676-677; A. Mastino-A. Teatini, Ancora sul
discusso «trionfo» di Costantino dopo la battaglia del Ponte Milvio. Nota a
proposito di CIL, VIII,9356 = 20941 (Caesarea), in G. Angeli Bertinelli-A. Donati (a cura
di), Varia Epigraphica. Atti del Colloquio Internazionale di Epigrafia
(Bertinoro, 8-10 giugno 2000), Faenza 2001, 320-321.
[145] - CIL, II,
1671 = II,5, 77 da Tucci: Imp(eratori) Caes(ari) divi Sep/timii
Severi Pii / Arab(ici) Adiab(enici) Part(hici) max(imi) / Brit(annici) max(imi)
filio divi M(arci) / Antonini Pii Ger(manici) Sarm(atici) / Nepoti divi
Antonini / Pii pronepoti divi Hadria/ni abnepoti divi Traia/ni Part(hici) et
divi Nervae / adnepoti / M(arco) Aurelio Antonino / Pio Aug(usto) / Parthic(o)
max(imo) Brit(annico) / max(imo) pont(ifici) max(imo) tribunicia) pot(estate) /
XV imp(eratori) bis co(n)s(uli) IIII p(atri) p(atriae) pacatori orbis / res
pub(lica) Tuccitanor(um) / d(ecreto) d(ecurionum). Il testo è databile fra
il 10 dicembre 211 ed il 9 dicembre 212 (Mastino, Caracalla e Geta,
cit. 71; Id., Orbis, cit.
137: errore nel computo dei consolati), o fra il 10 dicembre 212 ed il 9
dicembre 213 (ipotesi di Cr. González
Román, editore di CIL II,5, 77: errore nel computo delle potestà
tribunizie).
- CIL, II,5, 1028 da Urso: [Imp(eratori)
Caes(ari) Divi Severi Pii fil(io) / M(arco) Au]relio An[tonino Pio Aug(usto) /
Parthi]co maximo B[ritannico / maxi]mo Germanico m[aximo / pontifi]ci maximo
trib[unicia / potesta]te XVIII imp(eratori) III [co(n)s(uli) IIII / patri
p]atriae pacator[i orbis / r(es) p(ublica) Ursonen]sis publice [decrevit].
Databile al 10 dicembre 214 – 9 dicembre 215 (Kienast,
Kaisertabelle, cit. 163).
[146] AE, 1894, 139
da El Aouinet (databile fra il 212 ed il 217 secondo Mastino, Caracalla
e Geta, cit. 132): M(arco) Aurelio / Severo An/tonino Aug(usto) / Pio
Felici B/ritan(n)ico maximo pa/catori colo/ni [fun]di (?) / Thavagel[---
/ ---] feceru[nt].
[147] Bruhl, Alexandre
et les Romains, cit. 214-216; Gagé,
Commode-Hercule, cit. 670, 681, 683; Jaczynowska,
Culte de Hercule, cit. 640; Mastino,
Orbis, cit. 89, 91-93; Letta,
Severi, cit. 675-676. La devozione verso Alessandro Magno risaliva
probabilmente alle campagne partiche, al termine delle quali Caracalla fu
proclamato augusto (BIRLEY, Severus, cit. 202; Mastino, Caracalla e Geta,
cit. 31; Kienast, Kaisertabelle,
cit. 162). Si osservi che anche il Macedone si era presentato come un novello
Ercole, portando la clava e la pelle di leone (De Polignac, Alessandro, cit. 279) e che il culto di
Ercole (uno degli dii patrii di Lepcis Magna, città d’origine
della gens Septimia, cfr. IRT, 286-289) permetteva di fare di
Caracalla un semidio capace di ampliare i confini del mondo e di assicurare
pace perpetua (C.C. Vermeule, Commodus,
Caracalla and the Tetrarchs. Roman Emperors as Hercules, in U. Hoeckmann, A. Krug (a cura di) Festschrift
für Frank Brommer, Mainz von Zabern 1977, 289-294; sul mito di Alessandro
cfr. supra, note nrr. 55-56; su Ercole, cfr. supra, nota nr.
133). Nel discorso tenuto dall’imperatore alla morte di Geta (Hdn. 4.5.7) si
affermava il principio di una monarci@a estesa a tutta l’oiékoume@nh e capace di garantire
una generale pace e felicità.
[148] Sulle motivazioni
economiche, politiche, filosofiche, religiose del provvedimento esiste una bibliografia
sterminata: si vedano fra gli altri Bruhl,
Alexandre et les Romains, cit. 216-217; F. De Visscher,
[149] G. Alföldy, Nox dea fit lux!
Caracallas Geburstag, in G.
Bonamente, M. Mayer (a cura di), Historiae Augustae. Colloquium Barcinonense,
Bari 1996, 9-
[150] CIL, VI, 1080
(pp. 2879, 3071, 3777) = 31236 = 40638 = CLE, 274 = AE, 1966, 15
= 1996, 90: [Pro salute et v]i[cto]ria deo Imp(eratori) Caes(ari) M(arco)
Aurel[io divi / Septimi Severi f(ilio) O]ptimo Antonino Pio sideribu[s in /
terram delapso T]onitratori Aug(usto) orbis terrarum [pro/pagatori domino]
maximo providens imperi sui mai[esta/tem finesque eius] ampliavit largam
gloriam pac[e data / auxit coronavit la]urea dextra manu signum Victor[iae /
quae loco veneratu]r curiae sacro urbis ut in aeternum [illi / laus esset alia
f]elicia tempora quatt(u)or in[se/quantur ex hoc s]ancto die nativitatis tuae
ga[udi/um omnium in locis s]uscipias sanctis manibusque suis o[mnes / exornent
aras l]anugin(e)i flores digna sunt vota [fecit / verba numinis s]ui nox dea
fit lux sic dic mea v[ota / corpus piscatorum] et urinatorum sua p(ecunia) p(osuit)
primiceri[o --- / --- hoc loco] urbis qui Nymphas accipit omnes e[t est /
sacerrimus corpo]ri toto octie(n)s denis circundatus (!) annis grate
m[erito]. Il testo fu redatto per il compleanno di Caracalla, il 4 aprile
del 211, al rientro dell’imperatore dalla campagna in Britannia
(sull’epilogo della spedizione, cfr. Birley,
Severus, cit. 270; Letta, Severi,
cit. 672). Secondo Alföldy, Caracallas
Geburstag, cit. 31-36 Caracalla avrebbe spostato il suo genetliaco dal 188
al 186 per aumentare la differenza d’anni che lo separava da Geta (nato il 7
marzo 189) e per potersi porre sotto la protezione della Luna, alla
quale era particolarmente devoto (per la cronologia, cfr. Kienast, Kaisertabelle, cit.
162, 166). In precedenza R.E.A. Palmer,
Severan Ruler-Cult and the Moon in the City of Rome, ANRW II 16.2, 1978,
1097-113 aveva datato l’iscrizione al 4 aprile 204: Caracalla avrebbe in questo
caso leggermente anticipato i festeggiamenti per i Ludi Saeculares,
svoltisi nei mesi di maggio-giugno di quell’anno.
[153] IGRRP, IV,
739. Poiché il personaggio onorato è eènlogisteu@sav (curator) della
città di origine, è facile supporre che il testo sia posteriore all’età
severiana, forse già della metà del III secolo (per un confronto con la
situazione africana, cfr. Cl. Lepelley, Les cités de
l'Afrique romaine au Bas-Empire. I. La permanence d'une civilisation
municipale, Paris 1979, 168-193; ID., Vers la fin du “privilège de liberté”:
l’amoindrissement de l’autonomie des cités à l’aube du Bas-Empire, in A. Chastagnol, S. Demougin, Cl. Lepelley (a cura di), Splendidissima civitas. Études
d’histoire romaine en hommage à François Jacques, Paris 1996, 215-218).
[154] CIL, VIII,
12378: dedica alla Pace da parte degli edili locali. Il testo fu redatto forse
fra il 230 ed il 240 secondo Fr. Jacques,
Le privilege de la liberté. Politique impériale dans les cités de l'Occident
romain (161-244), Rome 1984, 731, 734-736; la scelta di una divinità come Pax
proverebbe il tentativo della comunità di abbandonare le tradizioni
indigene per uniformarsi ai costumi romani, in vista o in conseguenza di una
promozione municipale.
[155] CIL, III, 3670
da località incerta della Pannonia Inferior: Paci / deae / Avitus.
Le lettere erano rubricate.
[156] AE, 1914, 56 =
1923, 106 = ILAfr., 252: Paci Augg(ustorum) nn(ostrorum) [---].
Si trattava del frammento di un architrave reimpiegato nella scala di un edificio
più tardo. Il testo è databile fra il principato di Marco Aurelio e Lucio Vero
ed il IV secolo.
[157] CIL, VIII,
6957 (p. 1847) = ILAlg., II, 500: Pac[i Aug(usti) sacrum] / P(ublius)
Gavi[us --- Pala]/tina (?) I[---] / equo p[ublico exorn(ato)] / aedilis
[q(uaestoriae?) potesta]/tis pr[aef(ectus) pro IIIviris?] /
st[atuam. L’iscrizione si pone in un momento fra il II secolo e lo
scioglimento della Confederazione cirtense (J.
Gascou, Les magistratures de
[159] CIL, VIII, 8441: [Pa]ci aeternae Aug(ustae)
/ [C]ol(onia) Nervian(a) Aug(usta) / [M]artialis Sitif p(osuit) d(ecreto)
d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica). Il documento è databile ad un momento
posteriore la fondazione della colonia, avvenuta durante il principato
di Nerva (J. Gascou, La
politique municipale de Rome en Afrique du Nord. I. De la mort d'Auguste
au début du III siècle, ANRW II 10.2, 1982, 166-167).
[160] AE, 1996, 1600 da Gerasa in Arabia
ricorda nella prima metà del III secolo G(a@ion) èIou@lion Ouèi@ktora / presb(euth#n) Seb(astw^n) aèn/tistr(a@thgon)
uçpaton / açma sumbi@wj / to#n swth^ra kai# kti@/sthn aégno#n kai# /
eièrhnopoio#n / èAntw@niov Ma@ximov / iéppiko#v tw^n prw@twn / tou#v pa@trwnav. Il
titolo eièrhnopoio@v alludeva probabilmente ai frequenti disordini che
animavano la vita politica della comunità di Gerasa (P.L. Gatier, Gouverneurs et
procurateurs à Gérasa, «Syria» 73, 1996, 49-51). Ad una pace
concreta alludono per esempio alcune iscrizioni africane del principato di
Gordiano III (CIL, VIII, 20487;
20602; AE, 1903, 94, da Aïn-Melloul,
Kherbet Zembia e Kherbet Ksar-Tir, tutte del 239-240, cfr. B.E. Thomasson, Fasti africani.
Senatorische und ritterliche Amtsträger in den römischen Provinzen Nordafrikas
von Augustus bis Diokletian, Stockholm 1996, 217-218 nr.
[161] Amit, Propagande, cit. 59; Belloni, Eirene e Pax, cit. 142;
Muñoz-Díez Jorge, Pax en la
moneda, cit. 233. Nel 253 un tribuno pose una dedica alla Vittoria e alla
Pace in Britannia (RIB, 1273 = AE, 1982, 654 da High
Rochester, antica Bremenium): Victoriae / et Paci Iul(ius) / Melanio
tr(i)b(unus) / [[Imp(eratore) Volusian]]o e[t] / Publicola co(n)s(ulibus)
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito), cfr. A.R. BIRLEY, An altar from
Bremenium, ZPE 43, 1981, 13-23. Per la cronologia, vedi Degrassi,
Fasti, cit. 69. Si osservi con Birley la rarità delle dediche congiunte a
Vittoria e Pace; un confronto ad esempio in CIL, XIII, 8812 = ILS,
3094 (probabilmente fra il 171 ed il 172, cfr. W. Eck, Die Statthalter der germanischen Provinzen von
1.-3. Jahrhundert, «Epigraphische Studien» 14, 1985, 180-181): Iovi
o(ptimo) m(aximo) summo exsuperantissimo Soli invicto Apollini Lunae Dianae
Fortunae Marti Victoriae Paci [Q(uintus)] Antistius Adventus leg(atus)
leg(ionis) Aug(usti) pr(o) pr(aetore) dat(um). La dedica di Bremenium si
giustificava con le generali speranze di Pace nel clima di confusione
dell’impero, senza tuttavia escludere una vittoria del reparto comandato dal
tribuno sui Vardulli, con il conseguente ripristino della pace. Alla PAX
EXERCITI (la dea reca un ramo d’olivo ed un’insegna militare) facevano
riferimento alcune monete di Caro (RIC, V,2, p. 143 nrr. 72-75), Carino
(p. 175 nr. 301) e Carausio (p. 519 nr. 650); una variante (Pax stante
con scettro e ramo d’olivo) con simili legende si trova sulle monete di Claudio
II (RIC, IV,1, pp. 221 nr. 131, 224 nrr. 159-160, 225 nr. 176). Alla PAX
EQVITVM
[162] RIC, IV,3, p.
51 nr. 326, asse coniato a Roma nel 240, con legenda VIRTVS AVGVSTI S. C.
Gordiano III, in abiti militari e seduto su una corazza, stringe una lancia
mentre
[163] RIC, IV,2, p.
93 nr. 297, denario della zecca di Antiochia, con legenda SACERDOS
VRBIS. Severo Alessandro sta in abiti militari di fronte ad un altare,
mentre stringe fra le mani un ramo (d’olivo?) e lo scettro. La moneta fu forse
coniata nell’imminenza della spedizione persiana (Mazza, Lotte sociali,
cit.
242-244; Letta, Severi, cit.
696-698).
[164] F. Burdeau, L’empereur
d’après les panégyriques latins, in F.
Burdeau, N. Charbonnel, M. Humbert (a cura di), Aspects de l’empire
romaine, Paris 1964, 37-38, 46-47; Fears,
Virtues, cit. 908-909; Belloni,
Eirene e Pax, cit. 143. Su alcuni antoniani (RIC, IV,3, pp. 21
nr. 500 dell’anno 238 da Roma, 33 nr. 175 fra il 238 ed il 239 da Antiochia),
Gordiano III assiso su una sella curule riceve dalla Pax un ramo
d’olivo ed è incoronato dalla Victoria, che nelle mani stringe una
palma, premio per aver ristabilito la pace all’interno dell’impero ed auspicio
per le future imprese militari alle quali il giovane princeps doveva
esser chiamato.
[165] RIC, IV,2, pp.
8 nr. 36 (Macrino, anno 217: l’imperatore viene incoronato dalla Victoria
e regge uno scettro sormontato dall’aquila imperiale), 9 nr. 48 (anno 218:
senza scettro), 18 nrr. 152-153 (anno 217: lo scettro è classico); RIC,
IV,2, pp. 30 nrr. 35 (Elagabalo, anno 220: l’imperatore regge uno scettro;
talora è accompagnato da una stella) 36 (anno 220: lo scettro è sormontato da
un’aquila imperiale e davanti ad Elagabalo si trova
[166] RIC, IV,2, p.
143 nr. 28: anno 235, da Roma. Sul rapporto fra
Massimino il Trace e le sue truppe, cfr. A.
Bellezza, Massimino il Trace, Genova 1964, 55-58, 65, 73, 97-101;
X. Loriot, Les premières années de la grande crise du IIIe
siècle: De l'avènement de Maximin le Thrace (235) à la mort de Gordien III
(244), ANRW II 2, 1975, 669-670, 673-674.
[168] RIC, V,1, p.
55 nr. 218. Identica legenda e rappresentazione su un antoniano di Gallieno del
256 da Viminacium (RIC, V,1, p. 91 nr. 294), cfr. A.S. Robertson, Roman Imperial Coins
in the Hunter Coins Cabinet, University of Glasgow, IV, Valerian I to
Allectus, Oxford 1978, nr. 64. Sulla politica “tradizionalista” di
Valeriano, cfr. De Blois, Gallienus, cit. 24, 175-177.
[169] RIC, V,1, p.
77 nr. 107, medaglione d’argento coniato a Roma: sul recto il busto di
Gallieno cinto d’alloro è accompagnato dal caduceo, nel verso (legenda: ADLOCVTIO
AVGVSTI) l’imperatore dal tribunal arringa tre soldati che portano
l’insegna, mentre alle spalle di Gallieno veglia il prefetto del pretorio. Sul
caduceo, cfr. supra, nota nr. 15.
[170] A. Alföldi, The crisis of the empire
(A.D. 249-270), in S.A. Cook, F.E. Adcock,
M.P. Charlesworth, N.H. Baynes (a cura di), The Cambridge Ancient
History, 12: The imperial crisis and recovery A.D. (193-324),
Cambridge 1939, 170-171; L. De Regibus,
La monarchia militare di Gallieno, Recco 1939, 24-25; A. Calderini, I Severi. La crisi dell’impero nel III secolo,
Bologna 1949, 165-166; Mazza, Lotte sociali, cit. 258-259; M. Christol, Les règnes de Valérien
et de Gallien (253-268): travaux d’ensemble, questions chronologiques, ANRW
II 2, 1975, 818-819; De Blois, Gallienus, cit. 2-3.
[171] RIC, V,1, p.
175 nr. 502 da Mediolanum, cfr. p. 174 nrr. 499-501 (identica
rappresentazione ma legenda PAX AVG.).
[173] La missione
pacificatrice dell’imperatore è sottolineata da due emissioni urbane: nella
prima (RIC, V,1, p. 132 nr. 17, medaglione d’oro), nel recto il
busto di Gallieno è associato al caduceo mentre nel verso l’imperatore
in marcia sorregge in ogni mano un’insegna militare (legenda: VIRTVS
GALLIENI AVGVSTI); nella seconda (RIC, V,1, p. 143 nr. 150,
antoniniano del 261), nel verso l’imperatore su una quadriga trionfale
porta il ramo d’olivo come altri imperatori del III secolo (supra, nota
nr. 165): l’allusione in questo caso era forse alla vittoria di Aureolo su
Macriano in Tracia (Alföldi, Crisis,
cit. 185; Calderini, Crisi
dell’impero, cit. 171). CIL, VI,
[174] Alföldi, Studien,
cit. 39-43; De Blois, Gallienus, cit. 26-34, 121-128; Turcan,
Janus, cit. 397-398. L’ottimismo generale era espresso per esempio
in un medaglione d’oro coniato a Roma (RIC, V,1, p. 131 nr. 15): sul recto
la testa dell’imperatore con corona e legenda CONSERVATORI ORBIS; nel verso
[175] RIC, V,2, p. 362
nr. 317: antoniniano coniato a Colonia (vedi inoltre Robertson, Hunter Coins Cabinet, cit. nrr. 68-69);
allo stesso modo si possono interpretare ad esempio le monete ORIENS AVG.
(RIC, V,2, p. 362 nr. 316), RESTITVTOR ORBIS
(RIC, V,2, p. 363 nr. 324). La legenda DEFENSOR ORBIS è invece
propria di Vittorino (RIC, V,2, p. 394 nr. 90: due soldati con lancia e
scudo e tre donne; nel recto il busto dell’usurpatore in armi). Sul
contesto politico e sociale di queste emissioni cfr. Taeger, Charisma, cit. 444; J. Lafaurie, L'Empire
Gaulois. Apport de la numismatique,
ANRW II 2, 1975, 919-925; I. König, Die gallischen Usurpatoren von Postumus bis
Tetrycus, München 1981, 56-57,
66-67, 75-86; N. Biffi, Per una rilettura dei fermenti antiromani in
Gallia nel terzo secolo. II: Da Postumo ai Bagaudi, InvLuc 12, 1990, 6-7, 16-17. Secondo König queste
legende seguivano parte di un cliché consolidato della propaganda imperiale e
non corrispondevano ad un preciso programma politico-militare.
[176] RIC, V,2, p. 414
nr. 183: quinario d’argento che mostra il dio Sole con la mano sollevata e
nella sinistra uno scudiscio (cfr. Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 224). Anche Tetrico emise una
moneta con legenda ORIENS AVG. (RIC, V,2, p. 414 nr. 182).
[177] RIC, V,2, pp.
471 nr. 97, 535 nrr. 872-874: antoniniani e denarii, coniati a Londinium
con identica iconografia di Tetrico. Anche in questo caso compare la legenda ORIENS
AVG. (RIC, V,2, pp. 471 nrr. 94-95, 534-535 nrr. 868-871). Altre
monete ricordano
[178] MAZZA, Lotte sociali, cit. 260; JACZYNOWSKA, Culte de Hercule,
cit. 641, 653-657; KÖNIG, Gallischen
Usurpatoren, cit. 79-80; MASTINO,
Orbis, cit. 100. L’Ercole delle Gallie risentiva in ogni caso delle
tradizioni greco-italiche. Sempre a Postumo si deve l’introduzione nelle monete
della legenda MERCVRIO PACIFERO, cfr. MUÑOZ - DÍEZ JORGE, Pax en la
moneda, cit. 241; in un antoniniano del 268 coniato a Colonia, di fronte
all’usurpatore con in mano il ramo d’olivo, quindi pacifer, si trova
[179] Naturalmente sono
frequentissime in questo contesto le titolature restitutor orbis /
patriae o simili, attestate esclusivamente negli anni 274-275 dopo la
celebrazione del trionfo, cfr. L. Homo,
Essai sur le règne de l'empereur Aurélien,
Paris 1904, 122-130; G. Sotgiu, Studi su Aureliano, Sassari 1961,
27-29; Ead., Aureliano (1960- 1972), ANRW II 2, 1975, 1043; Mazza,
Lotte sociali, cit. 268; Mastino,
Orbis, cit. 100-101; E. Cizek,
L’empereur Aurélien et son temps, Paris 1994, 153-155; sulla resa di
Tetrico si vedano le considerazioni di Homo,
Aurélien, cit. 116-121; Biffi, Fermenti antiromani, cit. 52-53; Cizek,
Aurélien, cit. 119-122.
[183] RIC, V,1, p.
265 nr. 4: legenda PACATOR ORBIS. L’iconografia mostra l’imperatore con
scettro in piedi davanti ad un altare. Si deve rilevare inoltre un parallelo
fra Aureliano ed Ercole, Consors domini
nostri Aureliani Invicti Augusti (CIL, XI, 6308),
cfr. Taeger, Charisma,
cit. 444; R. Turcan, Le culte impérial au III siècle, ANRW II
16.2, 1978, 1024; Mastino, Orbis,
cit. 101: d’altronde anche Ercole era un restitutor (p.e. CIL,
III, 6867 = ILS, 3441 da Tymandus di Pisidia); si veda inoltre supra,
nota nr. 133.
[184] - CIL, XII,
5549 = XVII,2, 160 da Valentia: Imp(erator) Caesar L(ucius)
Domit[ius] / Aurelianu[s] P(ius) F(elix) Inv[i]ct[us] / [Au]g(ustus) p(ontifex)
m(aximus) Ger[manic(us) max(imus)] / [Go]thic(us) ma[x(imus) Carpic(us)
max(imus)] / [Par]thic(us) ma[x(imus) trib(unicia) pot(estate) VI co(n)s(ul) /
III] p(ater) p(atriae) proco(n)[s(ul) pacator et res/[titut]or orb[is refecit
et] / [r]estituit [---] / milia [passuum] / III. Il testo è del 274-275 (Homo, Aurélien, cit. 126 nota nr. 1; Sotgiu, Aureliano, cit. 36; sono incompatibili
nella titolatura il numero delle iterazioni della potestà tribunizia e del
consolato, cfr. Kienast, Kaisertabelle,
cit. 235); più genericamente pensa al 273-275 Mastino,
Orbis, cit. 143; una panoramica degli studi in Sotgiu, Aureliano
(1960- 1972), cit. 1044-1045.
- CIL, XII, 5561 = XVII,2, 172 da
Arras-sur-Rhone: Pacatori / et risti(tu)to/ri (sic!) orbis /
Imp(eratori) Caes(a)ri / L(ucio) Domi/tio / Aureliano / P(io) Feli(ci)
(I)nvi(c)to / Aug(usto) Ger(manico) / max(imo) Goth(ico) max(imo) / Carp(ico)
max(imo) / Pers(ico) max(imo) pont(ifici) / [max(imo) ---]. Il testo è
datato al 274-275 proprio in base ai titoli pacator e restitutor
orbis (Homo, Aurélien, cit. 126 nota nr. 1; Sotgiu, Aureliano, cit. 36).
Ad Aureliano (273-275), a Claudio II o
a Probo potrebbe attribuirsi un miliario frammentario rinvenuto nel territorio
di Sicca Veneria in Africa Proconsularis (cfr. Mastino, Orbis, cit. 100, 137), EE,
VIII 638 = CIL, VIII, 22185: ------ / [Au]relio / [--- pac]atori /
[tr(ibunicia) p]ot(estate) p(atri) p(atriae) / [---] co(n)s(uli) / ------.
[185] RIC, V,1, p.
290 nr. 231 (antoniniano). Alla stessa serie si possono riallacciare i nrr.
233-234: legenda RESTITVTOR ORIENTIS. Per le date e gli sviluppi delle
campagne contro Zenobia, cfr. Homo,
Aurélien, cit. 84-115; E. Equini Schneider, Septimia Zenobia Sebaste, Roma 1993,
78-86; Cizek, Aurélien,
cit. 105-117.
[186] RIC, V,1, pp. 289
nr. 221 (nel verso
[187] I testi furono
probabilmente ordinati in una medesima occasione:
- CIL, VIII, 10088 = 22096 ad Aïn el-Gharsa
fra Mustis e Thacia: Pacatissimo / Imp(eratori) L(ucio)
Domi/tio Aurelia/no Invicto / Pio Fel(ici) / Aug(usto) n(ostro) / LXXXXIIII.
- CIL, VIII,
- CIL, VIII, 22113, presso il ponte romano,
non distante da Thacia: Pacatissimo / Imp(eratori) L(ucio) Domitio /
Aureliano Pio / Felici Invicto / Aug(usto) nostro / CVIIII.
- CIL, VIII,
[188]
Fröhlke, s.v. paco, ThLL, X,1, 1982, coll. 22-
[189] La forma in dativo
potrebbe far pensare a dei miliari onorari (S.
Soproni, Römische Meilensteine aus Százhalombatta, «Folia
Archeologica» 21, 1970, 95; M. Silvestrini, Epigraphica: testi inediti
dall'agro di Lucera e un nuovo miliare di Massenzio della via Herculia, in C. Stella, A. Valvo (a cura di), Studi
in onore di A. Garzetti, Brescia 1996, 462):
- CIL, VIII, 10072 (p. 2094) da Thichilla:
Fortissi/mo Imp(eratori) et / pacatori / orbis M(arco) Cla/udio Taci/to Pio
Fel(ici) / Aug(usto).
- CIL, VIII, 22083 = ILS, 589 da Aïn
Ghar Salah, non distante da Mustis : Fortissimo / Imp(eratori) et
Paca/tori urbis / M(arco) Claudio / Tacito Pio / Felice Aug(usto) / n(ostro) /
LXXXVIIII.
- CIL, VIII, 22106 da Henchir Sebaa Regoud,
sempre nei pressi di Mustis: [Fortissimo / Imp(eratori) et paca]/tori
urbis / M(arco) Claudio / Tacito Pio / Felici Aug(usto) / n(ostro) / CI.
- CIL, VIII, 22122 da Henchir Meyala: Fortissimo
/ Imp(eratori) et Pacat/ori orbi[s] M(arco) / Claudio Taci/[to] Pio Felici /
Au[g(usto)] n(ostro).
Si osservi il gioco di fondo orbis/urbis.
M. Peachin, Roman Imperial
Titulature and Chronology, A.D. 235-284, Amsterdam 1990 411 ritiene che la
forma urbis vada emendata in orbis nei miliari 2/3, come
proverebbero i testi 1/4; Mastino,
Orbis, cit. 87-88 e nota nrr. 163-164 si chiede invece se la confusione
fra i due termini fosse voluta o casuale, forse per richiamare la «centralità
di Roma, caput mundi» ed il concetto della capitale dell’impero quale
fulcro dell’universo.
[190] CIL, VIII, 10089 = 22177
= ILS, 590, miliario della Karthago-Sicca Veneria: Pacatissimo
/ Imp(eratori) Caes(ari) M(arco) / Claudio / Tacito Pio / Felici Aug(usto) /
nostro / CXVII. È facile notare come l’impaginato ricalchi quello dei cippi
dedicati ad Aureliano (supra, nota nr. 187). Cfr. inoltre Hist. Aug.
Tac. 16.6: orbemque terrarum pacatissimum gubernavit.
[191] Taeger, Charisma, cit. 444; G. Kreucher, Der Kaiser Marcus Aurelius
Probus und seine Zeit, Stuttgart 2003, 115-117.
[192] RIC, V,1, p.
350 nrr. 7-9. Anche in questo caso si tratta di antoniniani. L’emissione con
altre provenienti dalla stessa zecca era destinata a coprire le spese di un
donativo ai soldati delle Gallie (Kreucher,
Probus, cit. 124).
[193] CIL, XIII,
8895 = XVII,2, 369, rinvenuto a Periguex, sulla strada per Lugdunum: Domino
orbis / et pacis Imp(eratori) C(aesari) / M(arco) Annio Flo/riano P(io)
F(elici) / Inv(icto) Aug(usto) p(ontifici) m(aximo) / t(ribunicia) p(otestate)
p(atri) p(atriae) proco(n)s(uli) / c(ivitas) P(etrucoriorum) l(ibera). Il
titolo di dominus orbis è qui attestato per la prima volta (Mastino, Orbis, cit. 102).
[194] Una sintesi in G. Vitucci, L’imperatore Probo,
Roma 1952, 33-37; Kreucher, Probus,
cit. 133-177.
[195] Hist. Aug. Prob.
19.2-8, cfr. Vitucci, Probo,
cit. 76-77; secondo Mastino, Orbis,
cit. 102 il trionfo sottolineerebbe un’ammirazione dell’imperatore per
Alessandro Magno e per Ercole; per Kreucher,
Probus, cit. 177-179 il trionfo sarebbe stato celebrato solo in maniera
fittizia.
[196] RIC, V,2, pp.
32 nr. 136 (Roma), 80 nr. 591 (Siscia); cfr. Kreucher,
Probus, cit. 87. S. Merten,
Probus als pacator orbis: eine unbekannte Büste des Probus mit
Friedenszweig auf einem Antoninian, NNB 43, 1994, 200 segnala inoltre un
antoniniano coniato nel 280 per celebrare la spedizione contro gli Isauri (Kreucher, Probus, cit. 150-155:
anno 278; vedi inoltre H. Brandt,
Probus, pacator Pamphyliae et Isauriae ? : historisch-epigraphische Notizen
zu SHA Probus 16, 4-17,
[197] RIC, V,2, p.
193 nr. 390, cfr. P. Meloni, Il
regno di Caro Numeriano e Carino, Cagliari 1948, 205.
[198] ILTun., 719: Imp(eratori)
Caes(ari) M(arco) Aure/lio Caro Pio Fel(ici) Aug(usto) / Invicto p(ontifici)
m(aximo) trib(unicia) pot(estate) / co(n)s(uli) p(atri) p(atriae)
proco(n)s(uli) et / M(arco) Aurelio Carino / nobilissimo Caes(ari) / Aug(usto)
pacatores (!) orbis / gentium nationum/que omnium / col(onia) Iul(ia)
Aurel(ia) Com(moda) Thu/burbo maius / devota numini maies/tatique eorum. Il
testo si pone fra il 282 ed il 283 (Mastino,
Orbis, cit. 137).
[199] Mastino, Orbis, cit. 102. Un
aureo del 283 (RIC, V,2, p. 168 nr. 226 da Roma) raffigura nel verso
Carino su una piccola quadriga (simbolo del trionfo), mentre sorregge un
ramoscello (d’olivo?). Sulla guerra contro i Parti, cfr. Meloni, Caro, cit. 97-105.
[200] Paneg. 10.11.6:
Ut enim omnia commoda caelo terraque parta ... a summis tamen auctoribus
manant, Iove rectore caeli et Hercule pacatore terrarum, sic omnibus
pulcherrimis rebus, ... Diocletianus facem, tu (Massimiano) tribuis
effectum.
[201] CIL, VIII,
7003 = ILAlg., II, 579: [Imp(eratoribus) d(ominis) n(ostris?)
fortissim]is et piis[si]mis ac pacatoribus / [orbis C(aio) Valerio Diocl]etiano
[et [[M(arco) Aurelio] Maximi[a]/no]]] Aug(ustis) Germanicis Par]thicis
Persicis Sarmati/[cis maximis, Aurelius M]aximianus v(ir) p(erfectissimus)
p(raeses) p(rovinciae) Numi(diae) / [numini maiestatiq(ue)] [[eorum]]
dicatissimus. L’editore delle ILAlg., H.-G. Pflaum, data il testo agli anni 289-293, fra il 290 ed
il 293 secondo PLRE, I, 572-573, Maximianus nr. 4; H.G. Kolbe, Die Statthalter Numidiens von Gallien bis Konstantin (268-320),
München 1962, 40-43; Cl. Lepelley, Les cités de
l'Afrique romaine au Bas- Empire. II. Notices d'histoire municipale,
Paris 1981, 389.
[202] RIC, VI, p. 171
nrr. 65-68, del 295-305: l’imperatore è in piedi con un ramo d’olivo, di fronte
una quadriga condotta da un soldato, cfr. Muñoz-Díez
Jorge, Pax en la moneda, cit. 225. Si osservi che l’iconografia
ricorda quella dell’imperatore “portatore di pace” (supra, nota nr.
165).
[203] CIL, III, 5810 (p. 1853) =
ILS, 618 = AE, 1972, 358 da Augusta Vindelicorum: Providentissimo
/ principi rectori / orbis ac domino / fundatori pacis / aeternae / Diocletiano
P(io) F(elici) / Invicto Aug(usto) pont(ifici) / max(imo) Ger(manico) max(imo)
Pers(ico) / max(imo) trib(unicia) pot(estate) VII / co(n)s(uli) IIII patri
pat(riae) / proco(n)s(uli) Sept(imius) / [Vale]ntio v(ir) p(erfectissimus)
p(raeses) p(rovinciae) R(aetiae) / d(evotus) n(umini) m(aiestati)que eius
d(ecreto) d(ecurionum). Il testo è datato fra il 1 gennaio ed il 17
novembre 290 (KIENAST, Kaisertabelle, cit. 267-268; cfr. PLRE, I,
937, Valentio). Titolatura simile si può ricostruire forse in AE,
1987, 896 da Istros in Moesia Inferior: [Paci]s (?) fund[atori
/ liberta]tis res[titu/tori te]rrae ma[risque / defen]sori pii[ssimo / maxi]mo
indu[lgenti/ssimoq]ue d(omino) n(ostro) I[mp(eratori) C(aio) Aur(elio) /
Val(erio) Di]ocle[tiano P(io) F(elici) / Aug(usto) ---]TE[---]. Una dedica Paci
Perpetuae (AE, 1986, 699 = 1987, 961 = 2002, 1563) del 20 novembre
303 (?) proviene dall’accampamento di Yotvata nella provincia di Syria
Palaestina.
[204] CIL, VI, 1132
(pp. 3071, 3778, 4327) = ILS, 648: Piissimo ac fortissimo / fundatori
pacis / ac publicae / libertatis / auctori / d(omino) n(ostro) Flavio Val(erio)
/ Constantio / nobilissimo Caes(ari) / Val(erius) Honoratus v(ir)
p(erfectissimus) / rat(ionalis) s(ummae) r(ationis) d(evotus) n(umini)
m(aiestati)q(ue) eius. L’iscrizione è del 293-305 (PLRE, I, 441, Honoratus
nr. 15).
[205] Alla tranquillitas
facevano esplicito riferimento anche le tre dediche provenienti dalla Moesia
Inferior e databili fra il 298 ed il 305 (supra, nota nr. 116), cfr.
Kolendo, Fortification,
cit. 139-154.
[206] IAphrodisias, 231, ll. 9-11 ... gra[tula]ri
[li]ce[t tranquillo orbi]s sta[t]u et in gremio altissimae quietis loca/[to
etiam pacis] bon[is propter quam] s[udore la]rgo lab[o]ratum est disponi
fideliter adque [ornari decente]r ho[nestum publi]cum [et Roma]na dig[nitas]
maiestasque desiderant ...
[207] ILAlg., II,
7687 = AE, 1967, 594: Paci / aeternae / Augggg(ustorum) /
nnnn(ostrorum). L’iscrizione è databile fra il 305 ed il 306 o fra il 308
ed il 311.
[208] - AE, 1934, 7:
Pacis aeternae propagatorem / et publicae securitatis con/servatorem d(ominum)
n(ostrum) Gal(erium) Valerium / Maximianum P(ium) F(elicem) Invictum Aug(ustum)
/ Aurel(ius) Max[im]inus v(ir) [p(erfectissimus)] dux / Aeg(ypti) et
Theb(aidos) [u]trarumq(ue) Libb(yarum) / devotus n(umini) m(aiestati)que eorum.
- AE, 1934, 8: Iuventutis auctorem et
pacis / aeternae conservatorem / d(ominum) n(ostrum) Fl(avium) Val(erium)
Constantinum nob(ilissimum) / Caesarem Aur(elius) Maximinu[s] / v(ir)
p(erfectissimus) dux Aeg(ypti) et Theb(aidos) utrarum[q(ue)] / Libb(yarum)
devotus n(umini) m(aiestati)q(ue) eorum.
I due testi si pongono fra la fine del
308 ed il maggio 311 (PLRE, I, 579, Maximinus nr. 10; T. Grünewald, Constantinus Maximus
Augustus. Herrschaftspropaganda in der Zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, 258).
[209]
VITUCCI, Pace nella Historia Augusta, cit. 32; Fears, Theology of Victory, cit.
751-752. Sulla politica di legittimazione di Costantino esiste una copiosa
letteratura: in questa sede si ricorderanno le osservazioni di A. Piganiol, L'Empereur Constantin, Paris 1932, 45-48; M.-Cl. L’Huillier, La figure de l’empereurs et les vertus
impériales. Crise et modele d’identité dans les Panégyriques Latins, in Les
grandes figures religieuses. Fonctionnement pratique et symbolique dans
l’Antiquité (Besançon 25-26 avril 1984), Paris 1986, 553-561; A. Lippold, Kaiser Claudius II. (Gothicus), Vorfahr Konstantins d. Gr., und der römische Senat, «Klio» 74, 1992, 380-394; W.
Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie. Das römische Reich zwischen Krisenbewältigung und Neuaufbau (284-313 n. Chr.), Frankfurt am Mainz 2001,
796-802, 824-825, 841-863.
[210] - CIL, XIV,
131 da Ostia (Regio I): Restitutori publicae / libertatis defensori /
urbis Romae communis / omnium salutis auctori / d(omino) n(ostro) Imp(eratori) Fl(avio)
Val(erio) Constantino / Pio Felici Invicto semper Aug(usto) / codicari(i)
nabiculari(i!) / infernates devoti n(umini) m(aiestati)q(ue) eius /
curante Aur(elio) Victoriano v(iro) p(erfectissimo) / praef(ecto) ann(onae);
la dedica fu posta nel 312-313 (PLRE, I, 962, Victorianus nr. 1; H. Pavis d’Escurac, La préfecture de
l’annone. Service administratif impérial d’Auguste à Constantin, Rome 1976,
371).
- AE, 1984, 367 da Saepinum (Regio
IV): Restitutori / p(ublicae) libertatis / dis genito d(omino) n(ostro)
/ Imp(eratori) Caes(ari) Flavio / Val(erio) Constantino / Pio Felici Inv(icto)
Aug(usto) / d(ecreto) d(ecurionum).
- ILTun., 813 da Tubernuc
in Zeugitania: Restitutori / public(a)e libe[r]/tatis d(omino)
n(ostro) Fla/vio / Constanti/no Pio Felici.
Lo stesso tema è presente in quattro
iscrizioni da Cirta in Numidia, basi di statua databili fra il
313 ed il 315 secondo H.-G. Pflaum,
editore delle ILAlg., II (cfr. Lepelley,
Notices, cit. 389-390 nota nr. 29):
- CIL, VIII, 7010 (p. 1847) = ILAlg.,
II, 581: Restitutori lib[ertatis] / et conservatori t[otius orbis] /
d(omino) n(ostro) Flavio Val(erio) Cons[tantino] / victoriosissimo et m[aximo]
/ Aug(usto) Iulius Iuvenal[is v(ir) p(erfectissimus] / rat(ionalis) Numidiae et
Mau[reta]/niarum d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) ei[us]; l’iscrizione è
del 313 secondo Pflaum, del 315
per gli autori della PLRE, I, 491, Iuvenalis).
- CIL, VIII, 7007 (p. 1847) = ILAlg.,
II, 583: [Triumphatori omnium gentium ac] domitor[i un]ive[rsarum] /
[factionum qui libertatem tenebris] servitut[is op]pre[ssam sua] / [felici
victoria nova luce inluminavit et re]vocavit [d(omino) n(ostro) Flavio Valerio]
/ [Constantino Maximo Pio Felici ac semper Invict[o Aug(usto)] / [---
rationa]lis Numidiae et Maur[etaniarum] / [numini maiestatique eius dev]ota
mente semper dicatissi[mus]; le integrazioni sono proposte in base al testo
successivo.
- CIL, VIII, 7006 (p. 1847) = ILAlg.,
II, 582 = ILS, 688: Triumphatori omnium gentium ac domitori
universaru[m factionum] / q[u]i libertatem tenebris servitutis oppressam sua
felici vi[ctoria (?)] / [nova] luce inluminavit [d(omino)] n(ostro)
Flavio Valerio Constant[ino] / Maximo Pio Felici Invicto Aug(usto) / [---]
Va[l(erius?) Paulus v(ir) p(erfectissimus)] p(raeses) p(rovinciae)
N(umidiae) numini maiestatique eius devota [mente dicatus (?)]; la
dedica fu posta nel 313 per PLRE, I, 685, Paulus nr. 12, nel 314
per Kolbe, Statthalter Numidiens, cit. 59-60.
- CIL, VIII, 7005 (p. 1847) = ILAlg.,
II, 584: Perpetuae securitatis / ac libertatis auctori / domino nostro /
Flavio Valerio / Constantino / Pio Felici Invicto ac semper Aug(usto) / Iallius
Antiochus v(ir) p(erfectissimus) praeses / prov(inciae) Numid(iae) devotus /
numini maiestatique eius. L’iscrizione si pone fra il 315 ed il 316 secondo
Kolbe, Statthalter Numidiens, cit. 60-61, fra il 314 ed il 317 per PLRE,
I, 73, Antiochus nr. 14.
[211] - CIL, VI,
1145 (pp. 3071, 4329): Piissimo ac fortissimo / fundatori pacis / et
restitutori publicae / libertatis victoriosissimo / d(omino) n(ostro) Fl(avio)
Val(erio) / Constantino maximo / Pio Felici Invicto Aug(usto) / Val(erius)
Rusticus v(ir) p(erfectissimus) rat(ionalis) s(ummae) r(ei) / d(evotus)
n(umini) m(aiestati)q(ue) eius / curante Val(erio) Pelagio v(iro) e(gregio)
proc(uratore) / s(acrae) m(onetae) u(rbis) una cum p(rae)p(ostitis) et
officinatoribus. Il testo si pone fra il 312 ed il 324 (PLRE,
I, 787, Rusticus nr. 4).
- CIL, VI, 1146 (pp. 3071, 4329): Fundatori
pacis / et restitutori / rei publicae / d(omino) n(ostro) Fl(avio) Constantino
/ maximo victori / ac triumphatori / semper Aug(usto). In alternativa un
testo da Ravenna (CIL, XI, 9 = ILS, 699) lo indica come f[u]ndato[r]
quietis publicae.
A Costantino viene attribuita in base
alla paleografia e alla titolatura anche CIL, VI, 30562,2 = 40764 a:
------ / [---]++[--- / [felicit]atis resta[uratori / fundato]ri et
propa[gatori / pacis auct]orique [quietis / d(omino) n(ostro) Fl(avio)
Val(erio) Consta]ntin[o P(io) F(elici) Aug(usto)] / ------. L’iscrizione si
daterebbe fra il 324 ed il 337. Dubbia invece la titolatura di un testo da Cirta
in Numidia, sicuramente di Costantino (CIL, VIII, 7008 = ILAlg.,
II, 585, forse dell’anno 317): ... et fun[dato]ri [pacis?].
[212] RIC, VII, pp.
169 nr. 61 da Treveri del 313-315, 297 nr. 12 da Roma nel 313: legenda FVNDAT.
PACIS. Concetto identico è espresso in RIC, VII p. 331 nr. 297, da
Roma nel 327-333 e legenda RESTITVTOR REI PVBLICAE; l’imperatore in armi
è affiancato dalla personificazione turrita della res publica in
ginocchio e da un prigioniero.
[213] D. Lassandro, La demonizzazione del
nemico politico nei Panegyrici Latini, CISA 12, 1981, 244-247; L’Huillier, Panégyriques, cit.
571-573; Grünewald, Constantinus,
cit. 63-71, 73-77; G. D'ALESSANDRO, Sulla contrapposizione tra Costantino e
Massenzio nei «Panegyrici Latini», InvLuc 18-19, 1996-1997, 131-138.
Alla vittoria sui tiranni alludeva anche Eusebio di Cesarea (h.e. 9.9.1-2);
per quest’ultimo Costantino era stato apportatore (v.C., 1.13.3; oé de# eièrh@nhv
baquta@thv toi^v uép’auètou^ basileuome@noiv eèxa@rcwn) e difensore della
pace (h.e. 9.9 a12: oié th^v eièrh@nhv kai# euèsebei@av
proh@goroi; i proh@goroi erano Costantino e Licinio, opposti al “crudele” Massimino).
[214] P. Liverani, L’arco di Costantino,
in A. Donati, G. Gentili (a cura
di), Costantino il Grande. La civiltà al bivio fra Occidente e Oriente,
Milano 2005, 65.
[215] CIL, VI, 1139
+ 31245 = ILS, 694: Imp(eratori) Caes(ari) Fl(avio) Constantino
maximo / p(io) f(elici) Augusto s(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus) / quod
instinctu divinitatis mentis / magnitudine cum exercitu suo / tam de tyranno
quam de omni eius / factione uno tempore iustis / rempublicam ultus est armis /
arcus triumphis insignem dedicavit. Il testo si data al 315 (Grünewald, Constantinus, cit. 217).
[216] RIC, VII, p.
165 nr. 16 da Treveri, solido del 313-315; una variante al nr. 17 e a 363
nr. 29 da Ticinum nel
[217]
Su felicitas, cfr. RIC, VII, pp. 736-737 (felicia tempora,
felicitas Augusta, felicitas perpetua, felicitas perpetua
saeculi, felicitas publica, felicitas Romanorum, felicitas
saeculi), 744 (perpetua felicitas). Fra le iscrizioni: CIL, VI,
30562,2 =
[218] Oltre alle iscrizioni
(supra, nota nr. 211) si possono ricordare alcune emissioni monetali,
con evidenti rimandi all’iconografia utilizzata dai predecessori di Costantino:
[219] H. Dörries, Das Selbstzeugnis Kaiser
Konstantins, Göttingen 1954, 243, 256-259; R. Farina, Concezioni della pace: a proposito di
Costantino il Grande ed Eusebio di Cesarea, in Concezioni della Pace,
cit. 124-127.
[220] B. Paradisi, L’organisation
de la paix aux IVe et Ve siècle, Rec. Soc. Jean Bodin 14,
[221] Socr. h.e. 2.6
e 16, cfr. A.H.M. Jones, The
later roman empire (284-602), Oxford 1964, 83-84, 90; E. Stein, Histoire du Bas-Empire,
Amsterdam 19682, 126-128; Farina,
Costantino ed Eusebio, cit. 126; E.
Horst, Costantino il Grande, Milano 1987, 275-
[222] RIC, VII, p.
340 nr. 356 da Roma: medaglione (legenda CONSTANTINOPOLIS) del 335-337
con la personificazione turrita ed alata della città, seduta su un seggio, con
un ramo d’olivo nella destra, una cornucopia nel braccio sinistro; identica
iconografia ma con legenda VICTORIA AVGVSTI ai nrr. 357-358 (solidi).
In RIC, VII, pp. 332 nr. 303, 342 nr. 337 (legenda VICTORIA AVGVSTI, solidi da Roma degli anni 327-333 e 333-335) Costantinopoli turrita e alata ha
un piede sulla prua di una nave, mentre regge un ramo d’olivo ed una cornucopia;
pp. 332-333 nrr. 304-305, 337 nr. 343, identica legenda e iconografia ma
Costantinopoli è incoronata da Vittoria che avanza con un ramo di palma.
Non deve tuttavia sfuggire che il ramoscello d’olivo era simbolo della Pax
pagana, cfr. supra.
[223] R. Farina, L’impero e l’imperatore
cristiano di Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del Cristianesimo,
Zürich 1966, 113-
[224] Farina, Impero e imperatore di
Eusebio, cit. 141-142, 151, 159; ID., Costantino ed Eusebio, cit.
127-128, 131-132; Irmscher, Pace
nei Padri della Chiesa, cit. 134-135; Siniscalco,
L’uomo e la pace, cit. 260, cfr. 265 (a proposito di Agostino). Come per
gli scrittori pagani del I-II secolo, anche per il vescovo di Cesarea il principato
augusteo aveva segnato la fine delle lotte intestine ed aveva permesso il
raggiungimento della pace politica e spirituale; esso realizzava quel regno di
pace e giustizia del quale parlava il Vecchio Testamento (in particolare psalm.
71.7; Is. 2.4). In precedenza già Melitone di Sardi e Origene
avevano notato la coincidenza fra l’avvento della pax Augusta e la
nascita del Cristo e nell’impero universale vedevano la condizione per una
rapida diffusione del Cristianesimo.
[225] Eus. l.C. 6.20:
kai#
oé tou^ Qeou^ Uiéo#v eièrhnopoih@sav ta# pa@nta di’eèautou^, ta@ te eèn
ouèranwj^ kai# ta# eèpi# th^v gh^v, cfr. Farina,
Impero e imperatore di Eusebio, cit. 92.
[226] Farina, Impero e imperatore di
Eusebio, cit. 141, 143, 160-161, 199-200; Id.,
Costantino ed Eusebio, cit. 128-132; Siniscalco,
Pace in età antica, cit. XXVII; si vedano in particolare Eus. h.e.
9.9.1-2; v.C. 3.1.6; 4.5.1-2. Si osservi che solo durante la lotta per
il primato di Roma su Costantinopoli, Leone Magno oppose
[227] Eus. v.C. 1.5,
cfr. Farina, Impero e
imperatore di Eusebio, cit. 122-123, 170. Eusebio utilizzò l’aggettivo eièrhnopoio@v solo in due circostanze
(h.e. 5.24.18.1, con riferimento ad Ireneo di Lione; fr. Lc. 24.537.7, riprendendo il “Discorso della montagna” di Matteo) e senza
alcuna relazione con l’imperatore (FARINA, Impero e imperatore di
Eusebio, cit. 33-35, 72-73, 171-172, 198, 211-224: lo studioso nota la
coincidenza fra gli epiteti del princeps e quelli attribuiti a Dio e a
Cristo).
[228] Eus. l.C. 9.8:
oé
d’euèsebei@av qw@raki pefragme@nov to# swth@rion kai# zwopoio#n shmei^on wçsper
ti fo@bhtron kai# kakw^n aèmunth@rion twj^ plh@qei tw^n eènanti@wn
aèntiparata@xav, oémou^ th#n kat’eècqrw^n kai# kata# daimo@nwn ni@khn
aèphne@gkato ... Non stupisce quindi che con i successori di Costantino le
imprese del dominus fossero poste spesso sotto la protezione del labarum
(R. Grosse, s.v. labarum,
RE 12.1, 1924, coll. 241-242; cfr. RIC, VIII, pp. 576-577; RIC,
IX, pp. 312-313, 324): il chirismon è rappresentato su corone offerte
agli imperatori o su vessilli o sul globo, mentre le legende inneggiano alle vittorie
degli imperatori, alla gloria della res publica, alla virtus
exercitus; nelle monete più tarde il labarum è frequentemente
associato al princeps armato di lancia, accanto ad un prigioniero seduto
o in ginocchio o trascinato dal dominus.
[229] Eus. v.C. 2.19.2:
th^v
eèk qeou^ dedome@nhv auètwj^ kata# pa@ntwn eècqrw^n te kai# polemi@wn ni@khv
eiçneka.
[230] Hist. Aug. Tac.
15.2; Prob. 20.2-6; 23.1-4, cfr. Alföldi,
Studien, cit. 42-43; Vitucci,
Pace nella Historia Augusta, cit. 36-38. Secondo Polverini, Utopia della pace, cit. 230-245, la
descrizione di una pace possibile ma irrealizzata, dunque utopistica e
anacronistica, presente nei due passi, sarebbe un prodotto delle riflessioni
compiute da esponenti dell’ordine senatorio sui problemi militari, politici,
economici, sociali che affliggevano l’impero in età teodosiana. Non è questa la
sede per entrare nel dibattito sulla data della redazione finale della Historia
Augusta: se per A. Enmann, Eine verlorene Geschichte der römischen
Kaiser und das Buch de Viris Illustribus Urbis Romae, «Philologus» 4, 1884, 335-501 il testo era di età costantiniana,
la maggior parte degli studiosi propende per l’ultimo decennio del IV secolo (H. Dessau, Über Zeit und Pesonlichkeit der «Scriptores Historiae Augustae»,
«Hermes» 24, 1889, 337-392; A.
Chastagnol, Le problème
dell'Histoire Auguste: état de la question, in Bonner Historia-Augusta-Colloquium 1963, Bonn 1964,
63-66; J. Schwartz, Arguments philologiques pour dater
l'Historie Auguste, «Historia» 15, 1966, 454-465; T.D. Barnes, The
sources of the «Historia Augusta», Bruxelles 1978, 13-22; R. Syme, Historia Augusta Papers, Oxford
1983, 120, 165-166); pensa al periodo fra il 395 ed il 405 K.-P. Johne, Kaiserbiographie und Senatsaristokratie. Untersuchungen zur
Datierung und sozialen Herkunft der Historia Augusta, Berlin 1976, 177-178.
[231] RIC, VIII, pp. 284 nr.
350, 285 nr. 355, del 337-340, legenda GLORIA ROMANORVM:
l’imperatore stante ed in abiti consolari mostra lo scettro ed il ramo d’olivo,
secondo un’iconografia documentata nel III secolo (supra, nota nr. 165).
[232] RIC, VIII, p.
295 nrr. 439-440, del 352-354, legenda VIRTVS AVG. N.: Costanzo II a
capo scoperto e in abiti militari, stringe una lancia ed un ramo d’olivo. Si
osservi che nella prima metà del 350 la stessa zecca aveva dedicato un identico
medaglione a Magnenzio (RIC, VIII, p. 291 nr. 411: legenda VIRTVS
AVGVSTORVM). Contemporaneamente sempre la zecca urbana coniava un altro
medaglione per il figlio di Costantino (RIC, VIII, p. 263 nrr. 175-176:
legenda VICTORIA AVG. LIB. ROMANORVM): l’imperatore, a capo scoperto ed
in abiti militari, porta nella destra uno stendardo con raffigurata un’aquila,
nella sinistra un ramo d’olivo, e poggia il piede destro sulla spalla di un
prigioniero a capo scoperto. Rispetto alle monete di Costante II veniva in
questi casi sottolineata
[233] RIC, VIII, pp.
296, nrr. 446-447, 298 nrr. 463-465, fra il 354 ed il 361 (legenda VIRTVS
AVGVSTI NOSTRI variamente abbreviata) per Costanzo II e Giuliano:
l’imperatore, in abiti militari e a capo scoperto, stringe nelle mani un
ramoscello d’olivo e lo stendardo o una lancia, mentre ai piedi si trova un
prigioniero. I medaglioni evidenziavano il rapporto fra la pace e l’abilità
dell’imperatore in battaglia.
[234] Si tratta di alcuni
miliari dall’Italia Centrale:
- CIL, XI,
- CIL, XI, 6625, non distante da
Fanum Fortunae: Defensori pacis / et conservatori / imperii Romani /
d(omino) n(ostro) Cons(vacat)tantio / maximo victori ac / triumfatori
semper Aug(usto) / [---] b(ono) r(ei) p(ublicae) n(atus) / ------.
- CIL, IX, 5942 presso Falerio:
Conservatori / pacis et conservatoris (!) / inperii (!) Romani
d(omino) n(ostro) / Constantio maximo / victo[r]i ac triump(h)a/tori semper
Aug(usto). La variante conservator pacis potrebbe esser dovuta a
cattiva tradizione manoscritta.
- AE, 1975, 358 = 1978, 290 = 1980, 380 da
San Ginesio: Defensori pac(is) ac con/servatori imperii Roma/ni d(omino)
n(ostro) Co(n)stantio maximo / victori ac triumphato/ri semper Aug(usto)
Fl(avius?) Romu/lus v(ir) c(larissimus) consularis Fla(miniae) / et
Piceni d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius / bono r(ei) p(ublicae) natus /
II.
Secondo G. Camodeca, Per la redazione dei fasti delle province italiche.
Fl. Romulus, consularis Flaminiae et Piceni nel 352(-3), ZPE 28, 1978,
151-158 questi testi sarebbero dell’autunno 352: le entusiastiche espressioni
elogiative servirebbero ad allontanare da Romulus il ricordo della sua
ipotizzata collusione con Magnenzio. Al contrario L. Gasperini, Un miliario delle Macchie di S. Ginesio,
in Fili@av
ca@rin. Miscellanea
di studi classici in onore di Eugenio Manni, Roma 1980, 1045, 1048-1053
ritiene che la titolatura imitasse quella di Costantino; le pietre, commissionate
da un Pi(sidius) Romulus, sarebbero invece connesse al viaggio a Roma di
Costanzo II nel 357, ipotesi contro le quali si schierano apertamente gli
editori di AE, 1980, 380.
[235] CIL, VIII,
1579 da Mustis in Africa Proconsolare, testo noto solo attraverso la
tradizione manoscritta: Invictissimo felicissimoque / Imperatori Tiberio
Iulio / Augusto Caesari orbis / pacatori Musticensium / d(ecreto) d(ecurionum)
p(ecunia) p(ublica). L’iscrizione coronava forse uno degli archi onorari
alle porte della città; per la sua ricostruzione i viaggiatori del XVII-XVIII
secolo si servirono probabilmente di conci pertinenti ad altri monumenti;
l’attribuzione della dedica a Costanzo II si deve a G. Wilmanns, editore del volume del CIL (Flavius
Iulius Constantius), seguito da Lepelley,
Notices, cit. 149 e Mastino,
Orbis, cit. 112, 137; in ogni caso la formula invictissimo
felicissimoque imperatori orbis pacatori si deve necessariamente associare
ad un imperatore del Basso Impero (A. CHASTAGNOL, Le
formulaire de l'épigraphie latine officielle dans l'antiquité tardive, in A. Donati (a cura di), La terza via
dell'epigrafia, Colloquio AEIGL, Borghesi nr. 86, Bologna 1986, Bologna
1988, 19;
tuttavia già Elagabalo era acclamato felicissimus atque invictissimus,
cfr. AE, 1971, 335).
[236] I testi riprendevano
quasi alla lettera i formulari dei miliari redatti nella stessa regione, talora
sulla stessa pietra, per Costanzo II (supra, nota nr. 234):
- CIL, XI,
- CIL, XI, 6632 b, presso Pisaurum:
Fundatorib(us) pacis / et conservatorib(us) / imperii Romani / d(ominis
duobus) n(ostris duobus) Valentiniano / Valenti principib(us) / maximis ac
tri/umfatorib(us) semper / Aug(ustis duobus) [---] b(ono) r(ei) p(ublicae)
[n(atus)] / imperantib(us) (?).
[237] AE, 1986, 631
= ICorinth, 26 da Corinto in Achaia: Reparatori R[o]manae rei
f[undatori] / aeternae [p]acis aucto[ri humani] / generis d(omino) n(ostro)
[F]l(avio) Theodos[io Augusto] / Arcadio et H[onorio] im[peratoribus] /
[---]tius AC[---] / ------. Il testo è databile fra il 23 gennaio 393
(ascesa al trono di Onorio) ed il 17 gennaio 395 (morte di Teodosio, cfr. KIENAST,
Kaisertabelle, cit. 340).
[238] Non è databile un
miliario di Thamugadi in Numidia (L. Leschi, Milliaires et épitaphes de Timgad, B.C.T.H.
1946-1949, 231 nr. 3), integrabile in [pacator or]bis o [restitutor
or]bis. Non può più prendersi in considerazione CIL, VI, 37017 (p.
4358): la nuova lettura di G. Alföldy restituisce con sicurezza [pr]opagato[r(-)]
in luogo del supposto [pa]cato[r(-)]; la paleografia suggerirebbe
una datazione al IV secolo. Dei [funda]tores ... [aet]ernae pacis ...
[c]onservatores sono ricordati in CIL, VI, 40823 (formula e
paleografia suggeriscono una datazione al IV secolo); CIL, II, 4765 da Bracara
nella penisola iberica, alludeva forse a Magnenzio [pacat]ori (?) or[bis]
trimphatori semper Augusto (la pietra potrebbe esser stata reincisa per
ospitare l’iscrizione dell’usurpatore). Alle testimonianze epigrafiche si
potrebbe aggiungere il verso di Claudiano, 24.13: riferendosi a Stilicone in
occasione del suo secondo consolato, il poeta lo definisce felix bellator
ubique, defensor Libyae, Rheni pacator et Histri.
[239] CIL, III,
12330 = ILS, 8944 da Traiana in Thracia: [P]acifico
piissimo[q]ue p[ri]ncip[i] / d(omino) n(ostro) Fl(avio) Cl(audio) Constanti
victor[i / e]t [t]riumfatori [p]erpetuo Au[g(usto)] / Ant(onius) Marcellinus
[et] Dom(itius) Leonti[us / e]t Fab(ius) Titianus vv(iri) cc(larissimi)
praeff(ecti) praet(orio) / n(umini) m(aiestati)[q(ue)] eorum semper dev[o]tissim[i
/ p]rocurante Palladio v(iro) p(erfectissimo) praesi[de / p]rovinciae Thraciae
/ consecraverunt. L’iscrizione fu posta nel febbraio-giugno 341 (Marcellinus
fu, infatti, prefetto del pretorio di Italia, Illirico e Africa fra il 29
aprile 340 ed il giugno 341, cfr. PLRE, I, 548-549, Marcellinus
nr. 16; Leontius fu prefetto del pretorio d’Oriente nel
340-344, cfr. PLRE, I, 502-503, Leontius nr. 20; Titianus
fu prefetto del pretorio delle Gallie sicuramente fra il 25 febbraio 341 ed il
12 novembre 349, cfr. PLRE, I, 918-919, Titianus nr. 6; vedi
inoltre PLRE, I, 661-662, Palladius nr. 17).
[240] CIL, VIII, 995
= 12455 = ILS, 778, dedica di una statua eretta a Carpis in Zeugitania
dal proconsole Sesto Rustico Giuliano, al comando della provincia fra il settembre
371 ed il febbraio 373 (PLRE, I, 479, Iulianus nr. 37; Lepelley, Notices, cit. 104): Virtute
inclyto / pietate pacifico / d(omino) n(ostro) Gratiano feli/ci semper Augusto
/ [S]extius Rusticus / Iulianus v(ir) c(larissimus) procon/sule (sic!)
p(rovinciae) A(fricae) numini eius / dicatissimus sac/[r]ae maiestati
cons/tituit.
[241] IRT, 478 base
di statua da Lepcis Magna in Tripolitania: Toto orbe /
pacifico / consuli / d(omino) n(ostro) Flavio / Arcadio / Pio Felici / victori
ac / triumfato/ri semper / Augusto / Lepcitani devoti num(ini) / maiestatiq(ue)
eius. Il testo è databile al 383-408, tuttavia non è escluso che sia stato
posto anteriormente al 395 (cfr. Mastino,
Orbis, cit. 116 nota nr. 429): se una dedica ad Onorio (IRT, 479)
potesse essere considerata gemella a quella di Arcadio, si potrebbe supporre
che le due iscrizioni fossero state commissionate in occasione del primo
consolato dei due fratelli (rispettivamente nel 385 e nel 386, cfr. Degrassi,
Fasti, cit. 85).
[242]
Fröhlke, s.v. pacificus, ThLL, X,1, 1982, coll. 14-
[243] Mt. 5.9.1: maka@rioi oié
eièrhnopoioi@, oçti [auètoi#] uiéoi# qeou^ klhqh@sontai. Per la comprensione
di eièrhnopoio@v può essere utile il
commento di Girolamo allo stesso passo (Hier. in Matth. 5.9): ‘beati
pacifici’ qui priumum in corde suo, deinde inter fratres disaidentes pacem
faciunt.
[244] Siniscalco, Pace in età antica,
cit. XXVI; Id., L’uomo e la
pace, cit. 253-256; si vedano inoltre Stephanus,
Thesaurus Graecae Linguae, cit. IV coll. 279-270; Liddle-Scott, Greek Lexicon,
cit. 490; Momigliano, Terra
marique, cit. 64. Già per Isaia (9.5-6) il Messia sarà “Principe della
pace, grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine”; secondo Paolo (Ef.
2.14-17) Cristo “... è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo
solo, abbattendo ... l’inimicizia, ... facendo la pace, e ... per mezzo della
croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad
annunciare la pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini
(cfr. Is. 57.19)”; per Origene (Cels. 5.33) i Cristiani, figli
della pace (cfr. Lc. 10,6), non avrebbero più dovuto impugnare le armi; per Tertulliano
i Cristiani erano sacerdotes pacis (spect. 16.4).
[246] Si vedano in
proposito alcune riflessioni di Lana,
Idea della pace, cit. 9, 47, 56-61; Id.,
Rapporto, cit. 17; Sordi, Dalla
‘koinè eirene’ alla ‘pax romana’, cit. 15; Zecchini 1985, 191-192; Siniscalco,
Pace in età antica, cit. XXV-XXVII; Id.
L’uomo e la pace, cit. 253-254, 265; Irmscher,
Pace nei Padri della Chiesa, cit. 136-137.
[248] Irmscher, Pace nei Padri della
Chiesa, cit. 136. La base del pensiero agostiniano è Paolo, Phil. 4.7:
“la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza”.
[249]
Oros. hist. 5.1.10-13: maiores nostri bella gesserunt, bellis
fatigati pacem petens tributa obtulerunt: tributum pretium pacis est. Nos
tributa dependimus, ne bella patiamur, ac per hoc in portu, ad quem illi tandem
pro evadendis malorum tempestatibus confugerunt, nos consistimus et manemus. Igitur nostra tempora
viderim utrum felicia; certe feliciora illis ducimus, qui quod illi ultime delegerunt
nos continue possidemus. Inquietudo enim bellorum, qua illi attriti sunt, nobis
ignota est. In otio autem, quod illi post imperium Caesaris nativitatem Christi
tenuiter gustaverunt, nos nascimur et senescimus; quod illis erat debita pensio
servitutis nobis est libera conlatio defensionis, tantumque interest inter
praeterita praesentiaque tempora, ut quod Roma in usum luxuriae suae ferro
extorquebat a nostris, nunc in usum communis reipublicae conferat ipsa
nobiscum. Aut si ab aliquo dicitur tolerabiliores parentibus nostris Romanos
hostes fuisse, quam nobis Gothos esse, audiat et intellegat, quanto aliter quam
circa se ipsum agitur sibi esse videatur. Cfr. B.
Lacroix, Orose et ses idées, Montréal - Paris 1965, 164-166; si
veda inoltre F. Fabbrini, Paolo
Orosio, uno storico, Roma 1979, 389-390, 392.
[251] Il titolo è ripreso
anche in RIC, IX, p. 129 nrr. 52 a-b: multipli d’argento coniati a
Roma fra il 25 agosto 383 e l’estate del 387 rispettivamente per Teodosio e
Arcadio augusto.
[252] AE, 1947, 185
da Hebdomon in Thracia: D(ominus) n(oster) Theodos[ius Pius
Felix August]us / Imperator et [fortissimus triumfato]r / [gentium barbararum
pere]nnis [et ubiqu]e / [victor pro] votis suororum pacato / [orbe Rom]ano
celsus exultat.