N. 5 – 2006 – Monografie

 

Si pubblica il Capitolo primo della Parte II della monografia: Paola Sechi, Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali, Collana Studi di diritto processuale penale raccolti da Giovanni Conso, Milano, Giuffrè, 2006, 107-144.

Di seguito anche l’Indice del volume: Parte I. Profili di ordine costituzionale. Capitolo primo. La tutela dei non abbienti nel testo costituzionale del 1948. Capitolo secondo. La difesa dei non abbienti nel testo integrato dalla riforma costituzionale del 1999. - Parte II. La vigente disciplina del patrocinio a spese dello Stato. – Capitolo primo. Profili evolutivi della disciplina del patrocinio dei non abbienti. – Capitolo secondo. L’assetto della difesa dei non abbienti nella dinamica procedimentale. – Capitolo terzo. I presupposti per l’accesso al patrocinio. – Capitolo quarto. Il procedimento di ammissione. – Capitolo quinto. Gli effetti dell’ammissione al patrocinio. – Parte III. Il patrocinio dei non abbienti nella giurisdizione penale internazionale. – Capitolo primo. La difesa dei non abbienti davanti alle Corti penali internazionali. – Capitolo secondo. L’assegnazione del difensore davanti ai tribunali penali “misti”.

 

 

Paola Sechi

Università di Sassari

 

Profili evolutivi della disciplina del patrocinio dei non abbienti

 

 

 

SOMMARIO: 1. Il sistema contenuto nel regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282. – 2. Dal gratuito patrocinio al patrocinio a spese dello Stato. La legge 30 luglio 1990, n. 217. – 3. La legge 29 marzo 2001, n. 134. – 4. La rivisitazione delle norme sul patrocinio dei non abbienti ad opera del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. – 5. Natura dell’opera di “testunificazione” e tipologia dei rapporti con le disposizioni previgenti.

 

 

1. – Il sistema contenuto nel regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282

 

Il primo testo normativo generale dell’ordinamento italiano sul gratuito patrocinio è individuabile nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282. Invero, nel periodo preunitario ci si trovava di fronte a due sistemi di difesa dei poveri: da un lato vi era l’istituto dell’avvocatura dei poveri[1], sviluppatosi soprattutto in Piemonte nella seconda metà del XIV secolo e adottato a Roma[2] e negli Stati pontifici prima dell’unificazione della legislazione[3]; dall’altro lato un sistema di difesa gratuita d’ufficio imposta alla categoria degli avvocati, avente anch’esso ascendenze antiche e rinvenibile in Toscana[4], nel Regno delle due Sicilie, e in Lombardia, dove sin dalla metà del XVI sec. gli Statuti di Milano prevedevano che il Collegio degli avvocati dovesse scegliere ogni anno un dato numero di difensori, incaricati di prestare gratuitamente il patrocinio agli indigenti e agli inabili[5].

L’istituto dell’avvocatura dei poveri[6], organizzato come istituzione governativa nel Regno di Sardegna, come fondazione privata ad Alessandria [7]e come funzione comunale a Vercelli, Novara e Cuneo[8], venne regolamentato ex novo dalla legge Rattazzi sull’ordinamento giudiziario del 13 novembre 1859, n. 3871: tale legge, da un lato, istituì presso ciascuna corte d’appello un ufficio dell’avvocato e procuratore dei poveri, compreso nell’organico della magistratura, dotato di un numero di sostituti inseriti in una apposita tabella; dall’altro lato soppresse gli uffici dell’avvocatura dei poveri di istituzione privata e comunale.

Successivamente alla costituzione del Regno d’Italia l’avvocatura dei poveri venne estesa, con i rr.dd. 21 aprile 1862, n. 620, e 21 settembre 1862, n. 851, rispettivamente alle province siciliane e napoletane; tre anni più tardi, però, il governo italiano emanaò la legge Cortese del 6 dicembre 1865, n. 2626, con la quale venivano abrogati tutti gli uffici degli avvocati e procuratori dei poveri esistenti e retribuiti a spese dell’Erario, ad eccezione di quelli istituiti con private fondazioni. Contemporaneamente, venne emanato il r.d. 6 dicembre 1865, n.2627, che regolamentava il patrocinio gratuito dei poveri, qualificandolo come ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori.

Siffatto sistema, modificato dalla l. 19 luglio 1880, n. 5536, venne recepito dal r.d. n. 3282 del 1923, ribadente l’attribuzione del compito di difendere i poveri alla classe degli avvocati e procuratori come ufficio onorifico e obbligatorio (art. 1 r.d. n. 3282 del 1923)[9]. L’ambito di applicazione della normativa comprendeva anche i giudizi penali (art. 2 comma 1 r.d. n. 3282 del 1923). I destinatari dell’ammissione al patrocinio gratuito nel processo penale erano l’imputato, la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (cfr. artt. 96, 114 e 123 c.p.p. 1930 e art. 3 disp. att. c.p.p. 1930)[10].  La condizione soggettiva per poter usufruire del patrocinio gratuito era lo stato di povertà dell’interessato[11], intendendosi con tale locuzione  non la nullatenenza, «ma uno stato in cui il ricorrente non sia in grado di sopperire alle spese della lite» (artt. 15 comma 1 n. 1 e 16 comma 1 r. d. n. 3282 del 1923). Siffatta situazione veniva attestata mediante certificato del sindaco del comune in cui il richiedente aveva il domicilio o la residenza (art. 16 comma 2 r.d. n. 3282 del 1923) previa esibizione di un certificato dell’agenzia delle imposte da cui doveva risultare l’ammontare delle imposte pagate dall’interessato e il parere dell’agenzia sullo stato di povertà del soggetto (art. 15 comma 3 r.d. n. 3282 del 1923). Il procedimento volto alla concessione del gratuito patrocinio era attivato dalla presentazione ad opera dell’interessato di un ricorso in bollo - sottoscritto dalla parte o da un avvocato o procuratore (art. 18 commi 1 e 3 r. d. n. 3282 del 1923)[12]. Secondo la dottrina, la disposizione, nel silenzio della legge, sarebbe stata applicabile a qualunque tipo di procedimento[13]; la Corte costituzionale aveva escluso, tuttavia, l’operatività della norma in materia penale, sulla base della considerazione per cui la disciplina della concessione del gratuito patrocinio nel processo penale sarebbe stata contenuta nell’art. 15 comma 6 r. d. n. 3282 del 1923, richiedente esclusivamente che fosse provato lo stato di povertà, i cui documenti giustificativi dovevano essere prodotti in carta libera (artt. 15 comma 3 e 18 comma 3 r. d. n. 3282 del 1923)[14]. Gli organi deputati a provvedere sull’ammissione avevano comunque la facoltà e, in caso di dubbio, il dovere di «richiedere le altre giustificazioni» e di svolgere le indagini ritenute opportune «a meglio chiarire la condizione di povertà» (art. 16 comma 5 r.d. n. 3282 del 1923). Nel procedimento penale la decisione sull’ammissione al patrocinio gratuito spettava al giudice competente e, nella fase dell’istruzione sommaria, al pubblico ministero (artt. 15 comma 6 r.d. n. 3282 del 1923 e 3 disp. att. c.p.p. 1930)[15]. Il provvedimento di rigetto della domanda di ammissione non era impugnabile, sulla base dell’assunto secondo cui esso non avrebbe avuto carattere decisorio[16]. L’esclusione dell’impugnabilità della deliberazione di rigetto dell’istanza aveva dato luogo a forti critiche, sottolineandosi la «drastica riduzione del diritto costituzionale dei non abbienti alla difesa», posto che la possibile rinnovazione dell’istanza all’autorità che l’aveva respinta non offriva «certo molte possibilità di successo»[17]. Era, inoltre, evidente lo squilibrio sul punto della normativa, che attribuiva, viceversa, ad un’ampia categoria di soggetti la legittimazione a chiedere la revoca del provvedimento ammissivo del gratuito patrocinio subordinata, per quanto concerneva il procedimento penale, alla cessazione o alla accertata insussistenza dello stato di povertà, nonché alla circostanza che il soggetto si fosse valso di un legale diverso da quello assegnatogli d’ufficio dall’autorità giudiziaria[18]. 

Invero, il decreto di ammissione al gratuito patrocinio comportava la designazione, da parte dell’autorità giudiziaria competente, di un difensore d’ufficio senza che all’interessato fosse attribuita alcuna facoltà di scelta del legale, il quale, dal canto suo, doveva prestare la difesa obbligatoriamente e gratuitamente (artt. 1 e 29 r.d. n. 3282 del 1923). In particolare, gli avvocati e procuratori designati a prestare il patrocinio gratuito non potevano rifiutare l’incarico senza grave e giustificato motivo (art. 31 r.d. n. 3282 del 1923), e dovevano trattare la causa «secondo la propria scienza e coscienza» (art. 32 comma 1 r.d. n. 3282 del 1923), sotto la sorveglianza immediata del procuratore generale della corte d’appello, dell’avvocato generale situato nella circoscrizione delle sezioni distaccate di corte di appello e dei procuratori della Repubblica, i quali avevano il compito di vegliare affinché le cause dei poveri fossero «diligentemente trattate», potevano «farsi render conto delle medesime e, scorgendo qualche negligenza od altra mancanza» avevano «altresì facoltà di promuovere i necessari provvedimenti»(art. 4 commi 1 e 2 r. d. n. 3282 del 1923).

Oltre alla difesa gratuita, l’ammissione al gratuito patrocinio, operante per tutti i gradi di giurisdizione, comportava, tra l’altro, l’annotazione a debito delle tasse di registro e l’uso di carta non bollata; la redazione e la spedizione degli atti giudiziari necessari alla difesa senza spese né diritti; l’obbligo di prestazione gratuita della propria opera a carico dei pubblici ufficiali, notai e periti; l’anticipazione, da parte dello Stato, delle spese di viaggio e di soggiorno dei funzionari ed ufficiali pubblici, delle spese dei periti e di quelle necessarie per l’audizione di testimoni (art. 11 r.d. n. 3282 del 1923)[19]. Con riferimento al procedimento penale, inoltre, l’art. 3 disp. att. c.p.p. 1930 disponeva che il beneficio del gratuito patrocinio si estendeva alla possibilità per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici.

Dall’esame della normativa emerge come la disciplina fosse strutturata con specifico riferimento al processo civile e amministrativo, in dipendenza anche della circostanza che nel processo penale la disciplina del gratuito patrocinio era strettamente connessa con quella della difesa d’ufficio, dal momento che l’ammissione al gratuito patrocinio comportava la nomina di un difensore d’ufficio che, tuttavia, diversamente dal legale officioso di un soggetto non ammesso al gratuito patrocinio (art. 128 comma 2 c.p.p.1930), doveva prestare la difesa non solo obbligatoriamente, ma anche gratuitamente[20].

 

2. – Dal gratuito patrocinio al patrocinio a spese dello Stato. La legge 30 luglio 1990, n. 217

 

Espressione di una concezione meramente formale del principio di eguaglianza, tipica della forma di Stato liberale per il quale, essendo «inconcepibile un intervento diretto a rimuovere le condizioni sostanziali di diseguaglianza tra cittadini, non rimaneva altro che imporre il patrocinio dei non abbienti alla classe degli avvocati e procuratori»[21], la disciplina del r.d. n. 3282 del 1923 risultava in larga parte insoddisfacente sia sul piano della sua conformità ai princìpi costituzionali, sia sul piano della concreta operatività dell’istituto, di scarsa applicazione tanto nel settore penale quanto in quello civile[22], anche a causa della farraginosità della procedura di ammissione[23].

L’esigenza di predisporre un sistema di patrocinio per i non abbienti in linea con i canoni dello Stato sociale diede vita, soprattutto a partire dagli anni ‘60, ad un vivace dibattito dottrinale e all’approntamento di diversi progetti di legge in materia.

Fra essi vanno segnalati il d.d.l. n. 323 di iniziativa governativa per la istituzione del patrocinio dei non abbienti, presentato al Senato il 19 dicembre 1968, e la p.d.l. n. 657, presentata al Senato il 21 maggio 1969 su iniziativa dei senn. Tropeano ed altri, confluiti poi in un unico testo, derivante dall’ “assorbimento” delle due proposte[24]. Siffatto progetto di legge era fondato sulla retribuzione da parte dello Stato del difensore, scelto dal soggetto ammesso al patrocinio entro determinati limiti territoriali (artt. 2 e 15). Il compenso avrebbe dovuto essere basato sulle tariffe professionali ordinarie, e non su tariffe speciali ridotte (art. 22). Lo Stato avrebbe dovuto far fronte anche alle spese e agli onorari dei consulenti tecnici, periti, ausiliari del giudice, notai e pubblici ufficiali, chiamati a prestare la loro opera in favore dei soggetti usufruenti del patrocinio (art. 2). Il progetto sostituiva, altresì, lo stato di povertà con quello di non abbienza, prevedendosi che siffatta condizione avrebbe dovuto presumersi nei confronti di chi non risultasse iscritto nei ruoli dell’imposta complementare  (art. 11). Veniva semplificata la procedura di ammissione al patrocinio, consentendosi la proposizione anche verbale della domanda di ammissione (art. 12 comma 7). La competenza a decidere sull’istanza di ammissione, nel procedimento penale, veniva mantenuta in capo al giudice competente che avrebbe dovuto provvedere anche alla liquidazione dei compensi (artt. 6 e 22)[25]. Veniva, inoltre, eliminata la necessità, prevista dall’art. 13 r. d. n. 3282 del 1923 , di una nuova ammissione per la proposizione dell’impugnazione. La vigilanza sulla difesa dei non abbienti avrebbe dovuto essere svolta dal magistrato procedente (art. 4).

Nello stesso periodo veniva redatto, per incarico del sindacato avvocati e procuratori di Milano e Lombardia, un progetto di legge in materia di assistenza giudiziaria ai non abbienti[26], che non si limitava alla previsione della retribuzione dei difensori dei non abbienti da parte dello Stato ma contemplava un sistema innovativo di assistenza giudiziaria fondato sull’istituzione di un fondo nazionale per l’assistenza giudiziaria ai non abbienti, la cui amministrazione avrebbe dovuto rivestire «caratteri di accentuato decentramento, così da consentire ai suoi organi periferici una più immediata valutazione delle esigenze locali, con possibilità di adattamento dell’assistenza alle caratteristiche della popolazione non abbiente»[27].

Si prevedeva che l’assistenza legale a carico dello Stato, comprensiva dell’eventuale consulenza tecnica, fosse estesa alla consulenza ed assistenza stragiudiziale, che avrebbe dovuto essere ripartita tra appositi centri - da istituirsi, alternativamente, presso i comuni, gli enti comunali di assistenza, i consigli dell’ordine  degli avvocati e procuratori, o le facoltà di giurisprudenza - e i liberi professionisti (art. 6).

Competente alla valutazione della domanda di ammissione all’assistenza legale a carico dello Stato avrebbe dovuto essere un magistrato dell’ufficio giudiziario procedente, che avrebbe dovuto decidere anche su semplice istanza verbale dell’interessato (art. 9).

L’assistenza giudiziaria avrebbe potuto essere totalmente o parzialmente a spese dello Stato, consentendosi all’organo preposto all’ammissione di stabilire, in relazione alle condizioni del richiedente, un suo parziale concorso nelle spese di difesa (art. 7)[28].

Al non abbiente veniva attribuita la facoltà di scelta del difensore, da individuarsi tra gli iscritti negli albi dei difensori abilitati ad esercitare il patrocinio presso l’autorità giudiziaria competente (art. 10). La retribuzione del difensore avrebbe dovuto gravare totalmente o parzialmente sull’apposito fondo pubblico, riducendosi, tuttavia, gli onorari ai tre quarti dell’ammontare determinato dalla tariffa professionale (art. 11).

Il 10 marzo 1971 il Senato approvò all’unanimità il testo derivante dall’unificazione dei d.d.l. nn. 323 e 657 e lo trasmise alla Camera dei deputati. Lo scioglimento delle Camere nel febbraio 1972 determinò però la decadenza del progetto prima della sua definitiva approvazione[29].

Il disegno di legge, con parziali modifiche, venne ripresentato nella successiva legislatura, ma successivamente abbandonato per ragioni di bilancio.

Anziché procedere all’istituzione in via generale del patrocinio a carico dello Stato, il legislatore preferì introdurre gradualmente l’istituto dapprima nel processo del lavoro con la l. 11 agosto 1973, n. 533, che istituì il patrocinio statale nelle controversie di lavoro e previdenziali, e, successivamente, nel procedimento di adozione (art. 75 l. 4 maggio 1983, n. 184), e nel giudizio avente ad oggetto la responsabilità civile dei magistrati (art. 15 comma 2 l. 13 aprile 1988, n. 117).

Quanto al processo penale, il varo del codice di procedura penale del 1988, fondato, tra l’altro, sul principio della partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento e sulla conseguente attribuzione di un ruolo attivo alla difesa, sia sul piano della ricerca di elementi probatori al fine dell’esercizio del diritto alla prova, sia sul piano delle scelte di strategia processuale[30], rendeva ineludibile la revisione del sistema del 1923. Del resto, anche sul piano normativo, l’art. 98 c.p.p., nel prevedere che «l’imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che intende costituirsi parte civile e il responsabile civile possono chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, secondo le norme della legge sul patrocinio dei non abbienti», lasciava intendere l’avvenuto superamento del sistema del patrocinio gratuito a carico della classe degli avvocati.

I lavori parlamentari di riforma, iniziati con l’esame di cinque proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate dal 1987 in poi, si conclusero con l’approvazione della l. 30 luglio 1990, n. 217, basata sul d.d.l. n. 3048 presentato dal Ministro di grazia e giustizia il 22 luglio 1988[31].

Il sistema - attribuente la titolarità del diritto al patrocinio a spese dello Stato al non abbiente imputato, persona offesa da reato, danneggiato che intendesse costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria[32] - era fondato sulla esenzione dell’interessato dalle spese difensive, poste a carico dello Stato, nei procedimenti penali, penali militari (art. 1 l. n. 217 del 1990), nonché nei procedimenti civili relativamente all’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti dal reato ove le ragioni del non abbiente risultassero non manifestamente infondate (art. 1 comma 2 l. n. 217 del 1990).

Condizione per l’ammissione al patrocinio era la percezione di un reddito annuo imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a otto milioni di lire nel 1990 e a dieci milioni di lire a partire dal 1991 (art. 3 comma 1 l. n. 217 del 1990). In caso di convivenza dell’interessato con il coniuge o altri familiari, si teneva conto della somma dei redditi, elevando il limite prescritto dalla legge di due milioni di lire per ognuno dei familiari (art. 3 comma 2 l. n. 217 del 1990). 

L’ammissione al patrocinio, che poteva essere disposta dal giudice procedente sin dalla fase delle indagini preliminari (art. 7 l. n. 217 del 1990), spiegava la propria operatività per tutti i gradi del procedimento (art. 1 comma 3 l. n. 217 del 1990)[33], e comportava, fra l’altro, la possibilità di nominare un difensore scelto tra gli iscritti ad uno degli albi professionali del distretto di corte d’appello sede del giudice davanti al quale pendeva il procedimento (art. 9 l. n. 217 del 1990). La retribuzione del legale sarebbe stata a carico dello Stato, tramite liquidazione dei compensi, sulla base dei valori medi delle tariffe professionali, ad opera dell’autorità giudiziaria che aveva proceduto (art. 12 commi 1 e 2  l. n. 217 del 1990).

La legge prevedeva la facoltà di nomina di un unico difensore, il quale non poteva ricusare immotivatamente l’incarico e poteva essere sostituito soltanto per giustificato motivo e previa autorizzazione giudiziale, pena la cessazione degli effetti dell’ammissione al patrocinio (art. 4 commi 3 e 4 l. n. 217 del 1990).

Il patrocinio statale era comprensivo, inoltre, delle spese sostenute dal non abbiente per le consulenze tecniche, ma solo limitatamente ai casi in cui fosse stata disposta perizia (art. 4 comma 2 l. n. 217 del 1990)[34].

Un sistema particolare era contemplato con riferimento al processo penale minorile, prevedendosi, al fine di assicurare con particolare pregnanza l’effettività della difesa tecnica, che ove il minore o un suo congiunto non avessero provveduto alla nomina di un difensore di fiducia, l’autorità procedente dovesse nominare un difensore d’ufficio, la cui retribuzione sarebbe stata a carico dello Stato, salvo il diritto di quest’ultimo di rivalsa nei confronti del minore e dei familiari che superassero i limiti di reddito previsti dalla normativa in esame (art. 1 comma 5 l. n. 217 del 1990).

 

3. – La legge 29 marzo 2001, n. 134

 

Il sistema delineato dalla l. n. 217 del 1990, pur rappresentando un significativo salto di qualità nell’apprestamento di una difesa adeguata a favore dei non abbienti, non era tuttavia esente da difetti, innanzitutto per quanto riguarda l’ambito di applicazione della normativa, escludente il patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali concernenti esclusivamente contravvenzioni (art. 1 comma 8 l. n. 217 del 1990), nonché nei procedimenti penali aventi ad oggetto reati in materia di imposte sul reddito e sul valore aggiunto (art. 1 comma 9 l. n. 217 del 1990). In secondo luogo va sottolineato, da un lato, l’appesantimento burocratico del procedimento di ammissione, notevolmente complicato dall’onere di produzione, gravante sull’istante, di numerosi documenti a pena di inammissibilità della domanda (art. 5 l. n. 217 del 1990), e, d’altro canto, la verifica meramente formale delle condizioni reddituali da parte del giudice competente (art. 6 comma 1 l. n. 217 del 1990), con il rischio di ammettere al patrocinio soggetti formalmente nullatenenti ma sostanzialmente in possesso di ingenti patrimoni di provenienza illecita. Ancora, la normativa non includeva nel novero dei professionisti retribuiti dallo Stato né gli investigatori privati, né i consulenti tecnici extraperitali (art. 4 comma 2 l. n. 217 del 1990), la cui esclusione risultava particolarmente criticabile, stante la stretta correlazione tra l’attività svolta dai suddetti soggetti e il diritto di difesa.   

Il limite di fondo della disciplina era, tuttavia, costituito dal permanere di un concetto di non abbienza rigido, ancorato alla fissazione di una soglia di reddito predeterminata, e dall’assenza di qualunque forma di assistenza stragiudiziale.

L’inserimento dei princìpi del giusto processo nell’art. 111 Cost.[35] e il conseguente rafforzamento dell’attività difensiva apprestato dalla l. n. 397 del 2000 hanno spinto il legislatore a rimeditare, in chiave di accentuazione dell’effettività della difesa tecnica, le tematiche della difesa d’ufficio e del patrocinio dei non abbienti.

Per quanto riguarda quest’ultimo, vari erano i progetti di legge all’esame del Parlamento. Fra essi quello maggiormente innovativo era rappresentato dal p.d.l. n. 6054 d’iniziativa degli onn. Veltroni ed altri[36], che prevedeva il collegamento tra l’ammissione al patrocinio e il costo delle attività difensive rapportato al reddito dell’istante, forme di ammissione parziale al patrocinio statale e l’istituzione di un elenco degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, all’interno del quale la commissione competente avrebbe dovuto scegliere il difensore in assenza di indicazione di parte.

Il testo base adottato in Parlamento è stato, tuttavia, il p.d.l. n. 5477, presentato dall’on. Pecorella[37], il cui tratto più significativo era rappresentato dall’introduzione del patrocinio a spese dello Stato nel settore civile e amministrativo, sostituendo in tal modo il vetusto sistema del gratuito patrocinio contenuto nel r.d. n. 3282 del 1923.

Quanto al processo penale, il p.d.l. n. 5477 manteneva l’impostazione della l. n. 217 del 1990, continuando a prevedere un modello organizzativo affidato ai liberi professionisti ed un sistema di ammissione correlato a un tetto di reddito predeterminato.

L’esame del progetto di legge in esame è sfociato nell’approvazione della l. n. 134 del 2001[38], che, nell’apportare modifiche alla l. n. 217 del 1990, ha elevato la soglia di reddito al di sotto della quale è possibile accedere al patrocinio a spese dello Stato a 18 milioni di lire[39]; ha ampliato l’ambito di operatività del patrocinio estendendolo ai procedimenti penali concernenti reati contravvenzionali[40]; ha incluso fra i soggetti della cui opera il non abbiente può avvalersi a carico dello Stato il consulente tecnico extraperitale, l’investigatore privato, il sostituto del difensore[41] e un secondo difensore nel caso di partecipazione a distanza al procedimento penale dell’indagato, dell’imputato o del condannato[42]; ha semplificato la procedura di ammissione al patrocinio eliminando gli oneri di allegazione documentale prescritti dalla l. n. 217 del 1990 per comprovare lo stato di non abbienza[43], sostituiti da una dichiarazione sostitutiva di certificazione, e ha previsto al contempo penetranti poteri di controllo da parte del giudice sulla situazione reddituale dell’interessato[44]; ha, infine, superato il principio della liquidazione esclusivamente giudiziale dei compensi spettanti al difensore, attribuendo un importante ruolo consultivo ai consigli dell’ordine competenti[45]. Il legislatore ha omesso, viceversa, di approfondire la tematica concernente l’introduzione di forme di consulenza extragiudiziaria, limitandosi a prevedere l’istituzione, presso i consigli dell’ordine degli avvocati, di un servizio di informazione e consulenza per il patrocinio a spese dello Stato e per la difesa d’ufficio (art. 20 l. n. 134 del 2001).

 

4. – La rivisitazione della disciplina del patrocinio dei non abbienti ad opera del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115

 

La legge n. 134 del 2001, con riferimento al processo penale, ha avuto vita breve[46], rivisitata quasi immediatamente dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115[47], entrato in vigore il 1° luglio 2002, il cui art. 299 ha disposto l’abrogazione della l. n. 217 del 1990, come modificata dalla l. n. 134 del 2001, nonché l’abrogazione espressa di quest’ultima, con esclusione degli artt. 19, 20 e 22, concernenti  il regime fiscale delle erogazioni liberali in denaro per il pagamento delle spese difensive dei soggetti ammessi al patrocinio statale (art. 19 l. n. 134 del 2001)[48], l’istituzione del servizio di informazione e consulenza per il patrocinio a spese dello Stato e per la difesa d’ufficio (art. 20 l. n. 134 del 2001), e gli oneri finanziari derivanti dall’attuazione della legge (art. 22 l. n. 134 del 2001)[49]. Con riferimento alla tecnica di drafting normativo,  la mancata incorporazione dell’art. 19 nel d.P.R. n. 115 del 2002 può trovare giustificazione nell’intento di evitare di intaccare un ambito normativo che, pur attenendo alla materia del patrocinio a spese dello Stato, ha una propria autonoma configurazione sistematica, posto che che la suddetta norma modifica il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 contenente il testo unico delle imposte dei redditi, mentre l’omessa inserzione dell’art. 22 l. n. 134 del 2001 può essere spiegata con la necessità di agganciare lo stanziamento degli oneri a quello generale delle entrate patrimoniali dello Stato[50]. Viceversa, genera perplessità l’omessa trasfusione nel d.P.R. n. 115 del 2002 dell’art. 20 l. n. 134 del 2001, non apparendo esaustivo al riguardo quanto asserito nella Relazione governativa al d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui la mancata incorporazione nel testo unico è dovuta al fatto che il servizio al pubblico in materia di patrocinio a spese dello Stato concerne anche la difesa d’ufficio[51]. Vi sono, invero, varie disposizioni nel d.P.R. n. 115 del 2002 che hanno ad oggetto sia il patrocinio a spese dello Stato sia la difesa d’ufficio, come l’art. 103 d.P.R. n. 115 del 2002 che disciplina le informazioni che debbono essere date all’interessato in caso di nomina di un difensore d’ufficio, nonché gli artt. 116 e 117 d.P.R. n. 115 del 2002, che regolano la liquidazione dell’onorario e delle spese al difensore d’ufficio rispettivamente in caso di insolvenza e di irreperibilità dell’assistito.

Il d.P.R. n. 115 del 2002 è stato emanato dal Governo in attuazione dell’art. 7 l. 8 marzo 1999, n. 50[52], come modificato dall’art. 1 comma 6 l. 24 novembre 2000, n. 340,  sulla predisposizione di testi unici in materie e settori omogenei, «comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari» (art. 7 comma 2). Specificamente[53],  il Governo era tenuto, in ossequio a un criterio esplicitato nella legge delega, a curare il «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo»(art. 7 comma 2 lett. d) l. n. 50 del 1999). Il legislatore delegato ha operato attraverso tre distinti provvedimenti: il d.lgs. 30 maggio 2002, n. 113, denominato «testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia»; il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114, dal titolo  «testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia»; il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, denominato «testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia» che riproduce le previsioni contenute nei suddetti provvedimenti.

 

5. – Natura dell’opera di “testunificazione” e tipologia dei rapporti con le disposizioni previgenti.

 

Il problema che si pone all’interprete è quello relativo alla natura dell’opera di “testunificazione” in esame al fine di individuare la tipologia dei rapporti intercorrenti tra essa e le disposizioni previgenti in materia[54].

In generale, occorre partire dalla premessa dottrinale  che ravvisa l’essenza del testo unico in una legge unitaria, «che sostituisce una pluralità di testi disciplinanti una determinata materia»[55].

Se la ratio del testo unico consiste nella sostituzione di una unità alla molteplicità, tramite una novazione dell’atto fonte «come dichiarazione di volontà che sostituisce ed elimina quelle precedenti, essendo dotato di un’efficacia pari alla loro»[56], ne deriva che le disposizioni che il testo unico mira ad unificare sono sostituite da questo, perdendo efficacia per il futuro nel momento in cui viene in essere il nuovo atto[57]. Tali considerazioni forniscono l’ausilio per risolvere il problema della natura del testo unico in materia di spese di giustizia, identificabile in astratto in quella di un atto normativo che sostituisce, abrogandole espressamente, le precedenti disposizioni contenute nelle leggi n. 217 del 1990 e n. 134 del 2001[58].

Del resto, che, nell’ipotesi in esame, non si sia in presenza di un provvedimento meramente compilativo risulta dalle modifiche che l’opera di c.d. “testunificazione” ha apportato alla precedente disciplina[59]: per quanto riguarda, specificamente, il patrocinio dei non abbienti nel procedimento penale, vi sono invero sia modifiche apparentemente di minor conto, quali, ad esempio, la sostituzione del termine giudice con la locuzione “magistrato davanti al quale pende il processo”[60], sia modifiche maggiormente incisive in tema di presupposti oggettivi per l’ammissione al patrocinio, essendo stata estesa la non fruibilità dell’assistenza legale a carico dello Stato all’indagato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (art. 91 comma 1 lett. a d.P.R. n. 115 del 2002)[61], in tema di limiti alla scelta del difensore da parte del non abbiente (artt. 80 e 82 d.P.R. n. 115 del 2002)[62], nonché con riferimento ai procedimenti civili per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti dal reato, essendosi previsto che in tali procedimenti la parte ammessa rimasta soccombente non possa giovarsi dell’ammissione per proporre impugnazione (art. 120 d.P.R. n. 115 del 2002), diversamente da quanto disposto dall’art. 1 comma 4 l. n. 217 del 1990, come modificato dall’art. 2 comma 3 l. n. 134 del 2001, che contemplava, viceversa, l’immanenza del provvedimento di ammissione indipendentemente dall’esito parziale della vicenda giudiziale[63]. Altre modifiche hanno interessato le diverse ipotesi di revoca del decreto di ammissione al patrocinio statale: per quel che concerne la revoca disposta su richiesta dell’ufficio finanziario competente (art. 112 comma 1 lett. d d.P.R. n. 115 del 2002), è da segnalare l’omessa previsione del procedimento in contraddittorio tra le parti precedentemente previsto in materia, in quanto l’art. 112 comma 1 d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce genericamente  che il giudice revoca l’ammissione con decreto motivato, così decisamente innovando rispetto al sistema contenuto nella l. n. 217 del 1990, il cui art. 10 comma 2 prevedeva, viceversa, nelle ipotesi di revoca o modifica del provvedimento di ammissione su richiesta proveniente dall’ufficio finanziario, l’applicabilità della procedura di cui all’art. 6 comma 4 l. n. 217 del 1990 che rinviava, a sua volta, all’art. 29 l. n. 794 del 1942, contenente una disciplina tesa a garantire il principio del contraddittorio tramite la comparizione delle parti davanti al giudice[64]; quanto al sistema di impugnazione dei provvedimenti di revoca del decreto di ammissione al patrocinio disposta d’ufficio dal giudice, il d.P.R. n. 115 del 2002 non richiama più la precedente articolazione di rimedi nei riguardi delle ipotesi disciplinate attualmente dall’art. 112 d.P.R. n. 115 del 2002[65], disponendo espressamente soltanto la ricorribilità per cassazione contro il decreto che decide sulla richiesta di revoca proveniente dall’ufficio finanziario (art. 113 d.P.R. n. 115 del 2002)[66]. In ordine, infine, al processo di opposizione contro il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio, l’art. 99 comma 3 d.P.R. n. 115 del 2002 prevede attualmente che l’ufficio giudiziario proceda in composizione monocratica, diversamente da quanto prescritto dalla previgente disciplina, che individuava il giudice del gravame nell’organo collegiale (artt. 6 comma 4  l. n. 217 del 1990 e 29 l. n. 794 del 1942)[67].

Se vera questa premessa, il quesito essenziale concerne la messa a punto dei limiti entro cui l’attività di “testunificazione”, dovendo mirare a coordinare la disciplina previgente, possa procedere ad innovazioni sulla materia coordinata. Al proposito, viene in soccorso l’art. 7 l. n. 50 del 1999, che espressamente consente al Governo di apportare, nei limiti resi necessari dal coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, «le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo». Le modifiche debbono, dunque, essere strumentali a garantire l’armonia del sistema, dovendo tuttavia preservare i princìpi della legislazione da coordinare[68], tenendo altresì presente che le modificazioni che possono essere apportate «sono solo quelle rese necessarie dall’esigenza di eliminare disarmonie, e pertanto presuppongono l’esistenza di più norme rivolte alla disciplina di una stessa situazione, che risultino fra loro non pienamente conciliabili»[69]. D’altro canto, come di recente affermato dalla Corte costituzionale proprio con riguardo ai confini entro cui può spaziare la normativa delegata contenuta nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, «se l’obiettivo è quello della coerenza logica e sistematica della materia, il coordinamento non può essere solo formale»[70]. In quest’ottica, le disposizioni previgenti, pur formalmente abrogate, conserverebbero una loro funzione sia per indirizzare l’interprete nel superamento di eventuali punti oscuri del testo unico[71], sia per consentire una valutazione in termini di illegittimità costituzionale di quelle nuove disposizioni che si ponessero palesemente in contrasto con i princìpi del sistema coordinato[72] ovvero che non fossero funzionali all’esigenza di garantire la coerenza del sistema.

Significativa, in questo senso, è la giurisprudenza che si va formando sul punto: da un lato, recenti decisioni delle Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno interpretato il dettato di alcune disposizioni del testo unico in sintonia con quanto previsto dalla previgente normativa[73]; dall’altro lato, quanto alla giurisprudenza della Corte costituzionale, va segnalata anzitutto la sentenza con cui la Corte – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 76 Cost., degli artt. 237, 238 e 299 d.lgs. n. 113 del 2002 (come riprodotti nel d.P.R. n. 115 del 2002) nella parte in cui sottraggono la competenza relativa alla conversione delle pene pecuniarie al magistrato di sorveglianza per attribuirla al giudice dell’esecuzione, con conseguente abrogazione  dell’art. 660 c.p.p. - ha asserito che il legislatore delegato era privo del potere di apportare in materia una “radicale” modifica delle regole di competenza[74], sia le decisioni con cui l’organo di legittimità delle leggi, nel ritenere, viceversa, infondate, con riferimento all’art. 76 Cost., le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 99 comma 3 e 170 d.P.R. n. 115 del 2002 – nella parte in cui prevedono che il giudice debba decidere in composizione monocratica anziché collegiale rispettivamente nel procedimento di opposizione contro il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio statale ovvero di revoca dell’ammissione già accordata, nonché con riferimento all’opposizione contro il provvedimento di liquidazione dei compensi agli ausiliari del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l’incarico di demolizione e riduzione in pristino - ha precisato che, nei limiti del riordino di materie delimitate, il testo unico può innovare per rendere la disciplina più coerente nel suo complesso e in sintonia con l’evolversi dell’ordinamento[75].

 

 



 

[1] Sull’istituto v. E. Caldara - C. Cavagnari, Avvocatura dei poveri, in Dig. It., IV, II, Torino 1893-1899, 710; S. Graziano, La difesa penale nell’istruttoria, 2° ed., Bologna 1913, 247; D. Marafioti, L’assistenza giudiziaria ai non abbienti, Milano 1960, 13; G. Pittaluga, L’avvocazia dei poveri in Alessandria. Cenni storici, Alessandria 1889; A. Segre, La tutela dei poveri nella storia del diritto italiano, Torino 1907, 70.

 

[2] Tuttavia «Il Comune di Roma, finché ebbe vita separata dal Governo dei papi, non ebbe nei suoi tribunali uno speciale avvocato dei poveri...»: così A. Segre, La tutela, cit., 89.

 

[3] Gli uffici di avvocati e procuratori dei poveri erano governati sostanzialmente con le stesse norme vigenti in Piemonte. V., sul punto,  A. Ravizza, Patrocinio gratuito, in Dig.It., XVIII, I, Torino 1906-1910, 970.

 

[4] In Toscana nel 1568, con la riforma dei Conservatori, si dispose che si estraesse a sorte, tra gli avvocati, quello incaricato di patrocinare gratuitamente i poveri per sei mesi. V. anche gli Statuti del collegio degli avvocati del 1611, in cui si prevedeva l’obbligo, a carico di due membri del collegio estratti a sorte e mutati ogni sei mesi, di difendere il povero gratis. Il gratuito patrocinio venne dichiarato ufficio onorifico e obbligatorio per la classe degli avvocati e procuratori l’8 giugno 1767: v., al proposito, A. Ravizza, Patrocinio gratuito, cit., 970. La difesa, ai sensi del Regolamento dell’11 novembre 1814, era gratuita per il “miserabile”, cioè per il soggetto nullatenente, mentre il costo era limitato a metà degli onorari per il povero, inteso come colui che, pur avendo «qualche assegnamento patrimoniale e personale, non poteva, senza grave incomodo, subire le spese della lite, ma poteva pagarne la metà, senza restar privo del necessario» (cfr. Istruzioni del 5 giugno 1777). Nel 1838 venne definitivamente soppresso l’avvocato dei poveri e il ruolo dei suoi sostituti. Infatti, ai sensi del Motu proprio del 2 agosto 1838  «la difesa degli imputati e degli accusati è imposta come ufficio gratuito agli avvocati e ai procuratori, i quali, nominati nei modi prescritti ad assumerla, non potranno ricusarsi senza incorrere nelle censure più gravi, contemplate dai vigenti regolamenti». Se, viceversa, l’imputato «che non potrebbe ammettersi né al privilegio del miserabile, né a quello del povero, non ha costituito né si costituisce il suo proprio difensore, gliene viene nominato uno ex officio dal Presidente della Camera o del Tribunale criminale, ma il difensore nominato, finito il giudizio e passata la sentenza criminale in cosa giudicata, potrà agire contro l’imputato difeso ed i suoi beni per il rimborso dei suoi onorari... »: cfr. art. 37 Regolamento del 2 settembre 1839 e, in dottrina, A. Segre, La tutela, cit., 90-92. E’ da segnalare che nello stesso periodo venne istituito l’Ufficio permanente di consultazione gratuita, formato da avvocati eletti dalla Camera di disciplina, a cui erano imposte a turno periodiche udienze finalizzate a fornire gratuitamente consigli e pareri ai poveri e ai miserabili. V., al riguardo, F. Carrara, Il passato, il presente e l’avvenire degli avvocati in Italia, Lucca  1894, 6, che definisce l’istituto come “la più bella gemma” delle Camere degli avvocati in Toscana.

 

[5] Un cenno particolare deve essere riservato alla Repubblica di Venezia, in cui il processo penale era connotato in senso fortemente inquisitorio: il Consiglio dei Dieci decideva inappellabilmente i processi; «il reo, sprovvisto di garanzia e di tutela, ignorava financo la condanna, che veniva eseguita clandestinamente e in segreto»: così S. Graziano, La difesa, cit., 247. Pur essendo fortemente ristretta la funzione della difesa, per i carcerati e gli inquisiti di reati di diritto comune dinanzi alle Quarantie criminali operavano sin dal 1443 gli avvocati nobili delle prigioni. Gli avvocati nobili delle prigioni costituivano il contraltare degli avogadori del comune, che sostenevano l’accusa nell’interesse pubblico: erano eletti dal Maggior Consiglio, avevano uno stipendio, stavano in carica un anno e difendevano gratuitamente gli accusati. Ai sensi del Capitolare della Quarantia criminale del 1535 uno dei suddetti avvocati per quattro mesi doveva recarsi giornalmente ai Consigli della Quarantia per la difesa degli inquisiti. L’altro doveva visitare quotidianamente le carceri per quattro mesi. Poi i due difensori scambiavano vicendevolmente i ruoli sino allo scadere dell’ufficio: v., al riguardo, la ricostruzione di A. Segre, La tutela, cit., 92-92. In argomento cfr. V. Lazzarini, L’avvocato dei carcerati poveri a Venezia, Venezia 1911.

 

[6] L’avvocato dei poveri, secondo le Regie Costituzioni del 20 febbraio 1723 emanate da Vittorio Amedeo II, doveva essere un esperto nelle materie legali e di sperimentata probità eletto nella città ove risiedeva il Senato con il compito di patrocinare le cause tanto civili che criminali: v. Regie Costituzioni 20 febbraio 1723, Tit. I e III. Sul punto v. A. Segre, La tutela, cit., 77. Per quanto riguarda il processo penale, l’avvocato dei poveri doveva «difendere gli inquisiti, esaminare i processi inquisizionali, instruere le defensionali, conchiudere negli atti, disputare le cause a favore degli inquisiti... ». Accanto agli avvocati dei poveri vi erano i procuratori dei poveri i quali avevano il compito di «prendere le regole e le istruzioni degli Avvocati, formare gli atti defensionali, scrivere ai parenti dei detenuti, assistere alle dispute delle cause, procurare tutte le difese legittime, visitare li carcerati, e fare tutto ciò che è giusto per la loro difesa». L’avvocato e il procuratore dei poveri venivano nominati ex officio per ogni imputato sprovvisto di difensore di fiducia. Invero, ai sensi delle Regie Costituzioni «pei poveri e per ogni altro, che non si eleggesse il Procuratore o l’Avvocato, s’intenderà sempre deputato l’Avvocato o Procuratore dei poveri, dove saranno, dichiarando però che quanto a quei rei, i quali non fossero veramente poveri, dovranno il Procuratore e l’Avvocato essere soddisfatti delle loro fatiche ad arbitrio del Presidente o del Giudice». E’ da notare che gli ebrei erano esclusi dal gratuito patrocinio stabilito per gli altri sudditi: v. le osservazioni di A. Segre, La tutela, cit., 77-81. Sull’istituto v. G. Carcano, Storia e ufficio dell’Avvocato dei poveri, in Mon. Trib. 1862, 729; T. Guerra, L’avvocato dei poveri e il suo ufficio, Brescia 1865.

 

[7] Cfr., al riguardo, A. Ami, L’avvocazia e la Procuratoria dei poveri in Alessandria, in La Provincia 1903; G. Pittaluga, L’avvocazia dei poveri in Alessandria. Cenni storici, Alessandria 1889.

 

[8] V. E. Caldara-C. Cavagnari, Avvocatura, cit., 714; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, I.

 

[9] Sul sistema di gratuito patrocinio disciplinato dal r.d. n. 3282 del 1923 v., in generale,  P. Brandi, Gratuito patrocinio, in Enc. Dir., XIX, Milano 1970, 732; M. Canonico, Diritto alla difesa e tutela dei non abbienti: dal gratuito patrocinio all’assistenza in giudizio a spese dello Stato, in Dir. Fam. Pers. 1994, 1406; M. Cappelletti, La giustizia dei poveri, in Foro It. 1968, V, 114; Id., Povertà e giustizia, in Id., Giustizia e società, Milano 1977, 260; A. Casalinuovo, Assistenza giudiziaria ai non abbienti: III) Diritto processuale penale, in Enc. Giur., III, Roma 1988, 1; F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in Foro It. 1994, V, 87; L. P. Comoglio, Il III comma dell’art. 24. L’assistenza giudiziaria ai non abbienti,  in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma 1981, 118; V. Denti, Assistenza giudiziaria ai non abbienti: II) Diritto processuale civile, in Enc. Giur., III, Roma 1988, 1; G. Franco, Sul gratuito patrocinio in Italia, in Riv. Dir. Proc. 1988, 788; E. Gallo, Assistenza giudiziaria ai non abbienti: I) Diritto costituzionale, in Enc. Giur., III,  Roma 1991, 1; D. Marafioti, L’assistenza, cit., 11; A. Pizzorusso, L’art. 24 , 3° comma, della Costituzione e le vigenti disposizioni sul gratuito patrocinio, in Foro It. 1967, V, 1; R. G. Rodio, Difesa giudiziaria e ordinamento costituzionale, Padova 1990, 67; N. Daniele, Patrocinio gratuito (diritto processuale), in Noviss. Dig. It., XII, Torino 1965, 688; N. Trocker, Patrocinio gratuito, in Dig. Disc. Priv.(sez. civ.), XIII, Torino 1995, 298; A. Valentini, Patrocinio gratuito, in Nuovo Dig.It., IX, Torino 1939, 577; T. Ventura, Appunti sul gratuito patrocinio, 2° ed., Milano 1961, 134.

 

[10] Il diritto all’ammissione al patrocinio era attribuito anche agli stranieri che si trovassero nelle condizioni prescritte dalla legge, indipendentemente dalla circostanza che fossero o meno residenti nel territorio dello Stato (art. 14 r. d. n. 3282 del 1923). Sul punto v. R. G. Rodio, Difesa giudiziaria, cit., 80.

 

[11] Con riferimento ai procedimenti diversi da quello penale, la normativa richiedeva inoltre l’ulteriore presupposto della probabilità dell’esito favorevole della causa (art. 15 comma 1 n. 2 r.d. n. 3282 del 1923).

 

[12] V., sul punto, G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 793, sottolineante «l’intima contraddizione logico-giuridica del R.D. del 1923 (art. 18) nel voler pretendere una domanda assoggettata ad oneri fiscali (la cui inosservanza importa pesanti pene pecuniarie) in una procedura che ha ad oggetto il patrocinio dei poveri».

 

[13] V., in particolare, A. Valentini, Patrocinio gratuito, cit., 583, secondo il quale «la legge sul bollo (art. 107 della relativa tariffa) ha compreso le istanze di ammissione tra gli atti amministrativi  e ha stabilito una misura unica, per cui non è dato distinguere a seconda dell’organo che interviene a provvedere e della causa per la quale l’istanza viene presentata». Cfr. art. 107 della tariffa alleg. A, annessa al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3268, modificato dai dd. ll. 17 marzo 1930, n. 142 e 10 dicembre 1934, n. 1983. Nella stessa ottica, in giurisprudenza, v. Cass. 3 marzo 1929, Niro, in Foro It. 1929, II, 296.

 

[14] V., al riguardo, le osservazioni contenute in Corte cost., sent. n. 97 del 1970, in Giur. Cost. 1970, 1150, che aveva dichiarato, tra l’altro, non fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 18 commi 1 e 2 r. d. n. 3282 del 1923, asserendo la non applicabilità al procedimento penale della norma in esame. Invero, poiché nel procedimento penale l’unica condizione richiesta era lo stato di povertà, ne derivava l’inconferenza sia della previsione secondo cui il ricorso doveva contenere «una chiara e precisa esposizione sia dei fatti che delle ragioni e dei mezzi legittimi di prova sui quali la parte intenderà di fondare la sua domanda o la sua difesa» (art. 18 comma 2 r.d. n. 3282 del 1923), sia di quella richiedente l’allegazione dei documenti concernenti il merito (art. 18 comma 3 r.d. n. 3282 del 1923), essendo entrambe le norme evidentemente finalizzate a consentire la verifica circa la sussistenza della probabilità dell’esito favorevole della causa.

 

[15] Viceversa, nei procedimenti civili e amministrativi, la decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio spettava ad apposite commissioni - composte da due magistrati, ordinari o speciali, e un avvocato - istituite presso i tribunali, le corti d’appello e la corte di cassazione, nonché presso i tribunali amministrativi regionali, il consiglio di Stato, e la corte dei conti (art. 15 comma 5 r. d. n. 3282 del 1923).

 

[16] V., al proposito, N. Daniele, Patrocinio gratuito, cit., 691; G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 794.

 

[17] In questi termini G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 794.

 

[18] In qualunque stadio del procedimento l’intendenza di finanza, sia qualora avesse ritenuto inesistente lo stato di povertà o mutata la condizione economica della persona ammessa al gratuito patrocinio, sia in ogni altro caso in cui avesse reputato non convenientemente apprezzata dall’autorità competente la condizione economica dell’interessato, poteva presentare un ricorso teso alla revoca del beneficio (art. 21 comma 1  r.d. n. 3282 del 1923). Inoltre, doveva ritenersi in parte applicabile al procedimento penale l’art. 34 r.d. n. 3282 del 1923, il quale legittimava, tra l’altro, alla presentazione della richiesta di revoca del beneficio gli avvocati e procuratori deputati al patrocinio, i collegi, i consigli dell’ordine o di disciplina ed anche il pubblico ministero, ove la parte ammessa al gratuito patrocinio si fosse valsa di un avvocato o procuratore diverso da quello assegnatogli ovvero se,  «per essere cessate o risultate insussistenti le condizioni di povertà, la parte non fosse più meritevole di continuare a goderne» (art. 34 comma 1 r. d. n. 3282 del 1923).

 

[19] L’art. 11 r. d. n. 3282 del 1923 prevedeva altresì la gratuità delle inserzioni nei giornali ordinate dall’autorità giudiziaria, nonché l’anticipazione da parte dello Stato delle spese per la pubblicazione dei provvedimenti giudiziari.

 

[20] Altra importante differenza fra l’imputato difeso d’ufficio non ammesso al gratuito patrocinio e quello usufruente del beneficio in esame consisteva nella circostanza che il primo, se condannato, aveva l’obbligo di pagare le spese processuali anticipate dallo Stato (artt. 488 e 611 c.p.p.) mentre il secondo era esonerato dall’onere del pagamento delle spese processuali anche in caso di condanna. V., al riguardo, F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti, cit., 92; G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 791.

 

[21] V., al proposito, G. Tucci, L’accesso dei non abbienti alla giustizia: dal patrocinio gratuito al patrocinio retribuito dallo Stato, in Riv. Giur. Lav. 1978, II, 145.

 

[22]  V. D. Marafioti, L’assistenza, cit., 50, con riferimento al periodo 1952-1956. In relazione ai procedimenti civili, i dati relativi al decennio 1970-1979 evidenziano una progressiva flessione dell’ambito di incidenza dell’istituto, poiché dallo 0,55 % di richieste di ammissione al gratuito patrocinio su 505.788 cause di primo grado pendenti nel 1970 si arriva allo 0, 20 % su 705.952 cause di primo grado pendenti nel 1979; con riferimento ai processi di secondo grado, si passa da una percentuale di domande dello 0,28% su 37.278 processi pendenti nel 1970, alla percentuale 0,06% su 62.543 procedimenti civili pendenti nel 1979. V., al proposito, G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 801-802. In relazione ai dati del gratuito patrocinio per le cause civili e commerciali del circondario del tribunale di Genova, v. P.A. Airoldi, L’assistenza legale ai non abbienti: la vicenda, il dibattito e le indicazioni di un’esperienza, in Quest. Giust. 1985, 3, 498. Per la constatazione che l’istituto del gratuito patrocinio non aveva mai funzionato nel processo penale v. F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti, cit., 94.

 

[23] Cfr. A. Pizzorusso, L’art. 24, comma 3°, cit., 8.

 

[24] Il testo del progetto di legge è pubblicato in Foro It. 1971, V, 129. In argomento v. P. A. Airoldi, L’assistenza legale, cit., 493; E. Amodio, Il patrocinio statale per i non abbienti nel nuovo processo penale, in Giust. Pen. 1980, III, 308; M. Cappelletti, Povertà e giustizia, cit., 253; Id., Due disegni di legge istitutivi del patrocinio statale per i non abbienti in Italia e in Francia, in Id., Giustizia e società, cit., 268; P. Corso, La tutela dei non abbienti nel nuovo processo penale, in Studi in onore di Giuliano Vassalli, II, Milano 1991, 463; V. Denti, Processo civile e giustizia sociale, Milano 1972, 137; E. Fassone, Osservazioni critiche al progetto governativo in tema di patrocinio statale per i non abbienti, in Giur. It. 1969, IV, 242; E. Gallo, Assistenza giudiziaria, cit., 7.

 

[25] La competenza era attribuita al pubblico ministero ove si procedesse ad istruzione sommaria o nel caso degli atti di polizia giudiziaria (art. 6 comma 3).

 

[26] Il progetto, predisposto nel luglio-agosto 1970 da V. Denti, sotto la direzione di M. Cappelletti, può leggersi in V. Denti, Processo civile, cit., 151.

 

[27] Così V. Denti, Processo civile, cit., 152. Il fondo avrebbe dovuto essere finanziato con appositi stanziamenti annuali da parte del Ministero di grazia e giustizia, con contribuzioni a carico delle regioni, province e comuni, con le somme recuperate nei confronti delle parti abbienti soccombenti, nonché con le elargizioni eventualmente effettuate da enti o privati a favore del fondo (art. 1).

 

[28] La situazione di non abbienza avrebbe dovuto essere presunta in coloro che percepivano «un reddito inferiore al minimo imponibile ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, aumentato delle quote di detrazione per i familiari a carico» restando salva la possibilità, per l’organo preposto all’ammissione, di concedere il patrocinio anche in assenza della suddetta condizione, «tenuto conto dell’importanza e della necessità della lite, a coloro che, per particolari situazioni personali o familiari, dimostrino di non essere in grado di sopperire alle spese della difesa» (art. 7).

 

[29] Il progetto in esame non era stato esente da critiche: v., al riguardo, M. Cappelletti, Due disegni di legge, cit., 272, che ravvisava la maggiore lacuna del progetto nella circostanza che non vi fosse alcuna disposizione relativa alla consulenza e all’assistenza legale stragiudiziaria; V. Denti, Processo civile, cit., 137 ss., il quale, con riferimento al modello organizzativo di difesa dei non abbienti, asseriva la necessità di integrare l’assistenza prestata dai liberi professionisti con la creazione di pubblici uffici di consulenza ed assistenza, sulla base dei suggerimenti derivanti dalle esperienze del legal aid vigente nei Paesi anglosassoni. V. anche, in materia, le osservazioni critiche particolareggiate effettuate da E. Fassone, Osservazioni critiche, cit., 242 ss., e da E. Amodio,  Il patrocinio statale, cit., 311, individuante  le ragioni che determinarono la mancata approvazione del  d.d.l. n. 323  in un problema di costi e nell’atteggiamento della classe forense, contraria all’attribuzione al magistrato sia del compito di vigilare sulla attività processuale svolta dall’avvocato in favore del non abbiente, sia della funzione di controllo della legittimità del rifiuto di assumere l’incarico da parte del legale designato. 

 

[30] Basti pensare alle valutazioni concernenti l’eventuale richiesta dei riti di definizione anticipata della vicenda giudiziale, richiedenti una attenta considerazione del rapporto costi/benefici per l’imputato. Per la segnalazione del rischio che, anche in presenza di una riforma dell’istituto del patrocinio gratuito, «il difensore con prospettiva di onorario e tariffa «media» (quando è notorio che le tariffe in materia penale sono nella prassi puramente indicative) può essere indotto a deviare su un rito semplificato le sorti del cliente «povero» per potersi dedicare a procedimenti più remunerativi: l’assistito uscirebbe con danni contenuti dal processo, ma sarebbe profondamente menomato il diritto di provare l’innocenza in giudizio», v. P. Corso, La tutela dei non abbienti, cit., 462.

 

[31] A commento della legge n. 217 del 1990 v. soprattutto Aa. Vv., Commento alla legge 30 luglio 1990, n. 217, in Leg. Pen. 1992, 451; P. A. Airoldi, La difesa dei non abbienti nel nuovo processo penale, in Quest. Giust. 1991, 1, 238; M. Canonico, Diritto alla difesa, cit., 1426; A. Casalinuovo, Assistenza giudiziaria ai non abbienti, cit., 1; V. Ceccon, La disciplina sull’assistenza legale gratuita (commento alla legge 30 luglio 1990 n. 217: istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), in Corr. Giur. 1990, 10, 1075; F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti, cit., 101; Colla, Il patrocinio dei non abbienti innanzi al giudice civile secondo la nuova legge, in Doc. Giust. 1990, 7, 59; G. Conso - M. Bargis, Glossario della nuova procedura penale, Milano 1992, 452; V. Denti, L’avventura del patrocinio per i non abbienti nel processo penale, in Corr. Giur. 1990, 10, 985; A. Fierro, Il patrocinio a spese dello Stato nel nuovo processo penale, in Cass. Pen. 1991, 1550, 2127; F. P. Luiso, Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in Riv. Dir. Proc. 1991, 267; N. Trocker, Patrocinio gratuito, cit., 303. 

 

[32] Del patrocinio a spese dello Stato potevano giovarsi, in presenza delle condizioni prescritte dalla legge, sia i cittadini, sia gli stranieri e gli apolidi residenti nello Stato (art. 1 comma 6 l. n. 217 del 1990).

 

[33] Salva, ovviamente, la revoca dell’ammissione nelle ipotesi tassativamente indicate dalla legge, individuabili nella nomina da parte dell’interessato di un secondo difensore di fiducia (art. 4 comma 3 l. n. 217 del 1990) o nella sostituzione del difensore senza l’autorizzazione del giudice (art. 4 comma 4 l . n. 217 del 1990), nella mancata produzione dei documenti da allegare all’istanza nei termini fissati dalla legge o dal giudice (art. 5 commi 4 , 5 e 6 l. n. 217 del 1990), nella pronuncia di una condanna per le falsità o le omissioni nell’autocertificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni o nelle comunicazioni previste dalla normativa (art. 5 comma 7 l. n. 217 del 1990) e, infine, a richiesta dell’intendente di finanza, ove risultasse provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni reddituali richieste per l’ammissione al patrocinio (art. 10 comma 2 l. n. 217 del 1990). Era inoltre contemplata la possibilità di modifica del decreto di ammissione nei casi in cui l’interessato non avesse provveduto a comunicare nei termini prescritti le variazioni dei limiti di reddito, nonché nelle ipotesi in cui dalla suddetta comunicazione risultasse il superamento delle condizioni reddituali (art. 10 comma 1 l. n. 217 del 1990) ovvero, su richiesta dell’intendente di finanza, nel caso in cui vi fosse la prova della modificazione dei limiti di reddito (art. 10 comma 2 l. n. 217 del 1990).   

 

[34] Gli altri effetti dell’ammissione al patrocinio includevano l’annotazione a debito dell’imposta di bollo e di registro e delle altre tasse relative agli atti processuali, il rilascio gratuito delle copie degli atti processuali strettamente necessarie per l’esercizio del diritto di difesa, l’anticipazione da parte dello Stato delle spese effettivamente sostenute dai difensori, consulenti tecnici, ausiliari, notai e pubblici ufficiali che avessero prestato la loro opera nel processo, nonché delle spese necessarie per l’audizione di testimoni e di quelle necessarie per la pubblicazione dei provvedimenti ed infine l’esenzione dall’imposta di bollo relativa alle autocertificazioni (art. 4 comma 1 l. n. 217 del 1990).

 

[35] Nell’ambito dei lavori parlamentari concernenti la riforma dell’art. 111 Cost., occorre sottolineare l’approvazione di un ordine del giorno finalizzato a impegnare il Governo «a porre in essere le iniziative necessarie per rendere effettiva l’attuazione del patrocinio per i non abbienti, con particolare riferimento all’elevazione dei limiti di reddito attualmente vigenti e alla semplificazione delle procedure per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; a porre in essere tutti gli strumenti di sua competenza per rendere effettiva e non meramente formale la difesa d’ufficio»: v. Atti Parl. Camera, XIII legislatura, Ordine del giorno presentato dagli onn. Pisapia ed altri, seduta del 27 luglio 1999, n. 577, A.C. 5735- sezione 3, Allegato A, 41. Evidenzia come la disciplina legislativa del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti sia idealmente funzionale al principio contenuto nell’art. 111 comma 3 Cost., in forza del quale la legge assicura che la persona accusata di un reato «disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa», P. Ferrua, Il “giusto processo”, Bologna 2005, 87.

 

[36] V. XIII legislatura, p.d.l. n. 6054  d’iniziativa degli onn. Veltroni ed altri, presentato  il 20 maggio 1999.

 

[37] Cfr. XIII legislatura, p.d.l. n. 5477  d’iniziativa dell’on. Pecorella, presentato  il 2 dicembre 1998.

 

[38] Efficacia assai breve ha avuto la disposizione contenuta nell’art. 152 l. 23 dicembre 2000, n. 388 (c.d. legge finanziaria 2001), contemplante un parere del pubblico ministero in ordine all’ammissione al patrocinio e l’obbligo generalizzato per il giudice di disporre accertamenti di carattere patrimoniale tramite il questore, la direzione investigativa antimafia e la direzione nazionale antimafia. La norma è stata abrogata dall’art. 23 l. n. 134 del 2001. A commento della l. n. 134 del 2001 cfr. i commenti generali di A. Bonsignore, Commento alla legge 29 marzo 2001, n. 134, in Codice di procedura penale ipertestuale, cit., 3555; G. Dalia, Il nuovo ruolo del difensore, cit., 63; G. Dean, Nuovi profili del patrocinio a spese dello Stato nei giudizi penali, in Aa. Vv., Processo penale, cit.,  603; F. Della Casa, Nuove norme sulla difesa d’ufficio e sull’ammissione dei non abbienti al patrocinio a spese dello Stato, in Compendio di procedura penale, a cura di G. Conso e V. Grevi,  (app. di agg. al 1° giugno 2001), Padova 2001, 15; G. Nicolucci, La riforma del patrocinio a spese dello Stato nei giudizi penali, in Giur. Merito 2002, 241; E. Randazzo, La l. 29 marzo 2001, n. 134. Il commento, in Dir. Pen. Proc. 2001, 8, 969; A. Scalfati, sub art. 98, in Codice, cit., 572; A. Toschi, La riforma del patrocinio dei non abbienti (l. 29.3.2001 n. 134), in Leg.  Pen. 2002, 55.

 

[39] Cfr. art. 3 l. n. 134 del 2001, che ha modificato il comma 1 dell’art. 3 l. n. 217 del 1990.

 

[40] V. art. 2 comma 5 l. n. 134 del 2001, che ha abrogato l’art. 1 comma 8 l. n. 217 del 1990.

 

[41] V. art. 9 l. n. 134 del 2001, che ha inserito l’art. 9-bis nella l. n. 217 del 1990.

 

[42] Cfr. art. 8 l. n. 134 del 2001, che ha aggiunto il comma 1-bis all’art. 9 l. n. 217 del 1990.

 

[43] V. art. 5 comma 2 l. n. 134 del 2001, che ha abrogato il comma 2 dell’art. 5 l. n. 217 del 1990.

 

[44] Cfr. art. 2 comma 6 l. n. 134 del 2001, che ha inserito i commi 9-bis e 9-ter nell’art. 1 l. n. 217 del 1990.

 

[45] V. art. 11 comma 2 l. n. 134 del 2001, che ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 12 comma 2 l. n. 217 del 1990.

 

[46] Per quanto riguarda i processi civili e  amministrativi, le disposizioni inserite nel Capo II della l. n. 217 del 1990 dall’art. 13 l. n. 134 del 2001, la cui data di entrata in vigore era stata stabilita il 1° luglio 2002, non hanno viceversa trovato neppure applicazione, dal momento che l’art. 299 d.P.R. n. 115 del 2002 ne ha previsto l’abrogazione espressa proprio a partire dalla suddetta data. In argomento v. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi civili ed amministrativi, Padova 2003, 1.

 

[47] Il d.P.R. n. 115 del 2002, contenente il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, è composto dI dieci Parti e otto Allegati. Il patrocinio a spese dello Stato è disciplinato nella Parte III, il cui titolo I contempla le disposizioni generali sul patrocinio statale nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario, mentre il titolo II e il titolo III prevedono, rispettivamente, la disciplina del patrocinio a spese dello Stato nel processo penale e la sua estensione a limitati effetti; i titoli IV e V contengono, infine, le disposizioni particolari sul patrocinio statale nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, e l’estensione di tale disciplina per quanto concerne determinati effetti.

 

[48] L’art. 19 l. n. 134 del 2001 contiene alcune modifiche al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni. Specificamente, è stata aggiunta all’art. 10 comma 1 d.P.R. n. 917 del 1986, concernente gli oneri deducibili dal reddito complessivo, la lett. 1-ter che contempla «le erogazioni liberali in denaro per il pagamento degli oneri difensivi dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, anche quando siano eseguite da persone fisiche». E’ stato, inoltre, inserito nell’art. 65 d.P.R. n. 917 del 1986, in materia di oneri di utilità sociale, il comma 2-bis ai sensi del quale «alle erogazioni liberali in denaro di enti o di istituzioni pubbliche, di fondazioni o di associazioni legalmente riconosciute, effettuate per il pagamento delle spese di difesa dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato» non si applica il limite di deducibilità del cinque per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi anche quando il soggetto erogatore non abbia le finalità statutarie istituzionali di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto indicate nel comma 1 della norma.

 

[49] L’art. 22 l. n. 134 del 2001 concerne lo stanziamento degli oneri e le variazioni di bilancio derivanti dall’attuazione della legge.

 

[50] V., in generale, il parere espresso dal Consiglio di Stato nel corso della procedura di emanazione del testo unico: Cons. St., Ad. 21 gennaio 2002.

 

[51]  Nella Relazione illustrativa del decreto in questione si legge che, essendo il servizio al pubblico, disciplinato dall’art. 20 l. n. 134 del 2001, comune al patrocinio a spese dello Stato e alla difesa d’ufficio, «l’art. 20 l. n. 134 del 2001 non può essere incorporato nell’ambito del testo unico», ma ci si deve limitare alla norma di raccordo e rinvio contenuta nell’art. 87: cfr. Relazione illustrativa del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, sub art. 87. Il documento è rinvenibile in http://www.giustizia.it.

 

[52] Si tratta della prima legge annuale di semplificazione, emanata in attuazione della previsione contenuta nell’art. 20 l. 15 marzo 1997, n. 59. In argomento v. M. Cartabia, Semplificazione amministrativa, riordino normativo e delegificazione nella “legge annuale di semplificazione”, in Dir. Pubbl. 2000, 385; N. Lupo, La prima legge annuale di semplificazione. Commento alla l. n. 50 del 1999, Milano 2000.

 

[53] Il testo unico avrebbe dovuto comprendere le disposizioni contenute in un decreto legislativo e in un regolamento che il Governo avrebbe dovuto emanare attenendosi ai criteri e princìpi direttivi indicati dalla legge delega.

 

[54] Secondo Corte Cost., sent. n. 54 del 1957, in Giur. It. 1958, I, 162, con nota di E. Casetta, Testi unici e delegazione legislativa, «due sono le categorie di testi unici: quella dei testi unici che per la loro formazione non richiedono esercizio di potestà legislativa delegata e quella dei testi che sono vere e proprie leggi delegate. Nel caso di testo unico emanato nell’esercizio di poteri legislativi delegati, il testo stesso è una vera e propria legge delegata; nel testo unico di mera compilazione, la forza di legge delle singole norme, raccolte nel testo, resta sempre ancorata alle leggi dalle quali le norme stesse sono tratte».

 

[55] In questi termini C. Esposito, Testi unici, in Nuovo  Dig. It. , XII, 2, Torino 1940, 181.

 

[56] Così L. Carlassare, Sulla natura giuridica dei testi unici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl. 1961, I, 64.

 

[57] V., in questo senso L. Carlassare, Sulla natura giuridica, cit., 96. Sul punto cfr. V. Angiolini, Testo unico, in Enc. Dir., XLIV, Milano 1992, 528; M. Malo, Testo unico, in Dig. Disc. Pubbl.,  XV, Torino 1999, 297.

 

[58] In senso contrario v. Cass., S.U., 30 giugno 2004, p.m. in proc. Turrisi, in Dir. Giust. 2004, 34, 37, secondo cui il d.P.R. n. 115 del 2002 non innova la disciplina preesistente in materia di spese di giustizia, ma la organizza in testo unico, «cosicché non è autonoma fonte di diritto rispetto alle leggi e ai regolamenti di cui recepisce le norme primarie e secondarie, ed in particolare, per quanto interessa, alla legge n. 217 del 1990 istitutiva del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, come modificata dalla legge n. 134 del 2001». Nella medesima ottica cfr. Id., S.U., 25 febbraio 2004, p.m. in proc. Lustri, in Guida Dir. 2004, 20, 80. Con riferimento all’ipotesi dei testi unici deliberati dal Governo sulla base di una legge formale di delegazione del Parlamento, P.A. Capotosti, Problemi relativi alla definizione dei rapporti fra testi unici di leggi e disposizioni normative preesistenti, in Giur. Cost. 1969, 1477, osserva che «sul piano dogmatico, questo tipo di atto comporta evidentemente scarse difficoltà interpretative, dal momento che il t.u. può venire tranquillamente assimilato, nel caso prospettato, alla fattispecie normativa del decreto legislativo, sia sotto il profilo formale che sostantivo». Nella fattispecie in esame, le cose sono complicate dalla circostanza che si è in presenza di tre provvedimenti, posto che il d. P. R. n. 115 del 2002 riunisce le disposizioni contenute in due distinti atti, il d.lgs. n. 113 del 2002, contenente disposizioni legislative, e il d.P.R. n. 114 del 2002  che contiene disposizioni di natura regolamentare. Resta, pertanto, da verificare se il d.P.R. n. 115 del 2002 abbia autonomo carattere normativo. In favore dell’assenza di normatività milita la formulazione dell’art. 7 comma 2 l. n. 50 del 1999, come modificata dalla l. n. 340 del 2000, secondo cui il testo unico “comprende” le disposizioni contenute in un decreto legislativo e in un regolamento, dovendo, pertanto, limitarsi «al recepimento di quanto già previsto dai due atti-fonte» (v., con riferimento al testo unico dell’edilizia, - contenuto nei dd.PP.RR. 6 giugno 2001, nn. 378, 379 e 380 - che presenta una struttura simile a quella analizzata, M. Luciani, Il sistema delle fonti nel testo unico dell’edilizia, in Riv. Giur. Edil. 2002, I, 2, 12); inoltre, la stessa disposizione prevede i princìpi e criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi nell’emanare le disposizioni del decreto legislativo e del regolamento, così lasciando intendere che i suddetti princìpi e criteri debbano essere rispettati solo con riferimento ai due atti le cui disposizioni debbono essere comprese nel d.P.R. n. 115 del 2002 e non anche per quest’ultimo.

Tuttavia, tale conclusione non pare accoglibile poiché sussistono numerosi indizi che inducono ad asserire l’autonoma normatività del d.P.R. n. 115 del 2002 come, ad esempio, la circostanza che il decreto presidenziale sia numerato (Cfr. M. Luciani, Il sistema delle fonti, cit., 12); che nelle premesse del d.P.R. n. 115 del 2002 siano richiamati gli artt. 76 e 87 Cost., nonché gli artt. 16 e 17 l. 23 agosto 1988, n. 400, legittimanti l’adozione di atti normativi; che l’art. 302 d.P.R. n. 115 del 2002 preveda l’entrata in vigore «delle disposizioni del presente testo unico», da cui si desume che l’atto in esame contiene disposizioni che debbono entrare in vigore e quindi sono normative; che, sia ai sensi dell’art. 7 comma 6 l. n. 50 del 1999, sia in forza dell’art. 296 d.P.R. n. 115 del 2002, le disposizioni contenute nel testo unico de quo «non possono essere abrogate, derogate, sospese o comunque modificate se non in modo esplicito...», così lasciando intendere che si è in presenza di vere e proprie disposizioni normative. Quanto asserito è confermato dalla circostanza che il legislatore, nel modificare la disciplina del patrocinio dei non abbienti, ha apportato variazioni alle norme contenute nel d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. art. 1 comma 322 l. 30 dicembre 2004, n. 311 che ha modificato l’art. 82 comma 1 d.P.R. n. 115 del 2002; artt. 1-5 l. 24 febbraio 2005, n. 25, che hanno sostituito gli artt. 80, 81, 83, 101 e 102 d.P.R. n. 115 del 2002; art. 9-bis comma 1 lett. d ed  e, d.l. 30 giugno 2005, n. 115, conv. dalla l. 17 agosto 2005, n. 168, che ha sostituito la lett. d dell’art. 112 comma 1 e l’art. 113 comma 1 d.P.R. n. 115 del 2002).

 

[59] Il che risulta implicitamente dalla circostanza che in più occasioni la Corte costituzionale ha restituito gli atti al giudice a quo perché, alla luce delle «modifiche legislative intervenute» valutasse la perdurante rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, sottolineando, altresì, come l’art. 299 contenuto nel d.lgs. n. 113 del 2002  e nel d.P.R. n. 115 del 2002 abbia espressamente abrogato l’intero testo della legge n. 217 del 1990: v., in questo senso, Corte cost., ord. n. 205 del 2003, in Giur. Cost. 2003, 1574; Id., ord. n. 356 del 2002, ivi 2002, 2682.

 

[60] Pur se qualificato in termini di inopinabile restyling letterale (così V. Bonini, L’abrogazione della legge n. 217/1990 e l’incorporazione della disciplina sul patrocinio a spese dello Stato nel t.u. sulle spese di giustizia (d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115), in Aa. Vv., La difesa penale, a cura di M. Chiavario e E. Marzaduri, Torino 2003, 565, la sostituzione ha dato luogo ad una querelle giurisprudenziale sulla competenza a decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio statale presentata nella fase delle indagini preliminari, risolta dalle Sezioni Unite della corte di cassazione in favore dell’attribuzione della competenza al giudice per le indagini preliminari : v. Cass., S. U., 25 febbraio 2004, p.m. in proc. Lustri, cit.  

 

[61] V., con riferimento alla previgente normativa, art. 1 comma 9 l. n. 217 del 1990, ai sensi del quale del patrocinio a spese dello Stato non poteva fruire «l’imputato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto».

 

[62] L’art. 80 comma 1 d.P.R. n. 115 del 2002, nella versione originaria, disponeva che chi è ammesso al patrocinio statale «può nominare un difensore scelto tra gli iscritti  negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i consigli dell’ordine del distretto di corte di appello nel quale ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo». A sua volta l’art. 82 comma 2 d.P.R. n. 115 del 2002 prevede che «nel caso in cui il difensore nominato dall’interessato sia iscritto in un elenco degli avvocati di un distretto di corte d’ appello diverso da quello in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo, non sono dovute le spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale». Ciò sembrava implicitamente consentire la nomina  di un difensore extra districtum, a differenza di quanto disposto dal previgente sistema che si limitava a configurare la facoltà, per l’ammesso al patrocinio, di scelta di un difensore iscritto ad uno degli albi degli avvocati del distretto di corte di appello nel quale aveva sede il giudice procedente (art. 9 l. n. 217 del 1990). Sul punto è intervenuto, comunque, il legislatore che, nel sostituire l’art. 80 d.P.R. n. 115 del 2002, ha espressamente previsto la possibilità di  nominare un difensore scelto anche al di fuori del distretto di corte di appello sede del giudice competente (art. 80 comma 3 d.P.R. n. 115 del 2002, come sostituito dall’art. 1 l. n. 25 del 2005).

 

[63] Sulle modifiche apportate dal d.P.R. n. 115 del 2002 alla disciplina sul patrocinio dei non abbienti nei processi civili e amministrativi contenuta nella l. n. 134 del 2001, v. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio, cit., 2.

 

[64] V., al proposito, Cass. 3 novembre 2004, Altomonte, in G.U. 27 aprile 2005, n. 17, 1° serie sp., che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento all’art. 77 comma 1 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 comma 1 d. P.R. n. 115 del 2002, «nella parte in cui prevede che, in caso di richiesta proveniente dall’Ufficio Finanziario competente, il magistrato provvede alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato con decreto emesso “de plano” anziché con la procedura di cui all’art. 29 della Legge 13.6.1942, n. 794». La Corte costituzionale ha, tuttavia, reputato manifestamente infondata l’eccezione: v. Corte cost., ord. n. 177 del 2006, in G.U. 3 maggio 2006, 1° serie sp.

 

[65] Cfr. art. 112 comma 1 lett. a, b, c e comma 2 d.P.R. n. 115 del 2002. Con riferimento alla previgente normativa, v. art. 10 comma 1 l. n. 217 del 1990 (come modificato dall’art. 10 l. n. 134 del 2001), il quale richiamava l’applicabilità delle disposizioni dei commi 4 e 5 dell’art. 6 l. n. 217 del 1990, consentendo in tal modo la ricorribilità del provvedimento di revoca in esame davanti al tribunale o alla corte di appello di appartenenza del giudice che aveva emesso il suddetto provvedimento, nonché la ricorribilità per cassazione per violazione di legge dell’ordinanza decidente sul reclamo.

 

[66] V., al proposito, Cass., S.U., 14 luglio 2004, Pangallo, in Cass. Pen. 2004, 1391, 4036. La Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 6 e 10 l. n. 217 del 1990, ora sostituiti dagli artt. 99 e 112 d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevederebbero, «nel caso in cui sia stata disposta la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, revoca disposta d’ufficio dal giudice a seguito dell’accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti di reddito, la possibilità di impugnare il provvedimento davanti al tribunale o alla corte di appello ai quali appartiene il giudice che ha disposto la revoca del beneficio»: v. Corte cost., ord. n. 54 del 2005, in Giur. Cost. 2005, 518..

 

[67] L’art. 6 comma 4, richiamato dall’art. 10 comma 1 l. n. 217 del 1990 disponeva, invero, che l’interessato potesse proporre ricorso «davanti al tribunale o alla corte di appello ai quali appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato»; l’art. 29 l. n. 794 del 1942, dal canto suo,  prevede espressamente «la comparizione degli interessati davanti al collegio in camera di consiglio». la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. e, in via subordinata  all’art. 3 Cost.,  dell’art. 99 comma 3 d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui dispone che nel processo di opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ovvero di revoca del decreto già accordato, l’ufficio giudiziario procede in composizione monocratica anziché collegiale: v. Corte cost., sent. n. 52 del 2005, in Giur. Cost. 2005, 505. La Corte ha reputato del pari infondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento all’art. 76 Cost., dell’art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002 – nella parte in cui attribuisce la cognizione al giudice monocratico dell’opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso agli ausiliari del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l’incarico di demolizione e riduzione in pristino-  nonché dell’art. 7 l. n. 50 del 1999, come modificato dall’art. 1 l. n. 340 del 2000, nella parte in cui non prevederebbe i limiti e l’oggetto della delega «in una materia, quale quella riguardante la competenza del giudice, coperta da riserva assoluta di legge ai sensi dell’art. 25 Cost. »: v. Corte cost., sent. n. 53 del 2005, in Giur. Cost. 2005, 511, e, successivamente, ord. nn. 334 e 289 del 2005, in Giur. Cost. 2005, 3156 e 2682.

 

[68] In generale cfr., in quest’ottica, V. Angiolini, Testo unico, cit., 528; L. Carlassare, Sulla natura giuridica, cit., 77. In argomento v. A.A. Cervati, Le deleghe per il “coordinamento” nella prassi legislativa e nella giurisprudenza costituzionale, in Costituzione e legislazione agraria (Atti del Convegno di Firenze, 14-15 novembre 1986), Milano 1988, 23.

 

[69] V., in questi termini, Corte cost., sent. n. 24 del 1961, in Giur. Cost. 1961, 493, con nota di C. Esposito, Caratteristiche essenziali (e comuni) dei testi unici delle leggi. Sul punto v., con riferimento al d.P.R. n. 115 del 2002, Cass., S.U., 14 luglio 2004, Pangallo cit., ove si rimarca come il legislatore del testo unico avesse «lo specifico mandato di coordinare e armonizzare la legislazione previgente, con un puntuale vincolo per le innovazioni apportabili: la coerenza logica e sistematica della normativa da coordinare».

 

[70] Così Corte cost., sent. nn. 52 e 53 del 2005, cit., ove si richiama, a sostegno dell’assunto, il parere espresso dal Consiglio di Stato nel corso della procedura di approvazione del testo unico: v., al riguardo, Cons. St., Ad. 21 gennaio 2002, cit., in cui si sostiene che «il riordino può investire anche le disposizioni di natura sostanziale, come si desume in primo luogo dall’ampiezza dei criteri direttivi i quali - richiamando la necessità dell’armonizzazione dello sparso e confuso quadro normativo del settore de quo - postulano un intervento sulle norme preesistenti volto a rendere la relativa disciplina più coerente nel suo complesso, in sintonia con l’evolversi dei princìpi generali, con il diritto vivente creato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, nonché con l’evolversi dei valori dell’ordinamento». Ad avviso del Consiglio di Stato, inoltre, «indubbiamente depongono per la configurazione di un testo unico sostanzialmente innovativo anche la fissazione di un termine finale per l’emanazione nonché la previsione di una procedura particolarmente articolata, che evidentemente risulterebbe superflua nel caso di testo unico meramente compilativo». Successivamente, la Corte ha, inoltre, ribadito il principio da essa affermato in più occasioni, secondo cui l’art. 76 Cost. «non osta all’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante; va escluso, infatti, che le funzioni del legislatore delegato siano limitate ad una mera “scansione linguistica” delle previsioni dettate dal delegante, essendo consentito al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di “riempimento” che lega i due livelli normativi, rispettivamente, della legge di delegazione e di quella delegata»: così Corte cost., sent. n. 174 del 2005, in Giur. Cost. 2005, 1564, e, precedentemente, Id., sent. nn. 199 del 2003, ivi 2003, 1227, e 308 del 2002, ivi 2002, 2391. Sul tema v. P. Cipolla, L’art. 93 d.lgs n. 113 del 2002 e la rilevanza ermeneutica delle norme abrogate dai testi unici non innovativi, in Cass. Pen. 2004, 306, 921; F. Puleio, Sulla competenza a decidere dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nella fase delle indagini preliminari, ibid., 307, 929.

 

[71] Cfr. V. Angiolini, Testo unico, cit., 528, nonché F. Puleio, Sulla competenza, cit., 929. In giurisprudenza v., al riguardo, Cass., S.U., 14 luglio 2004, Pangallo, cit., secondo cui «in nessun modo le singole norme del testo unico possono essere interpretate nel senso volto a determinare apprezzabili modifiche, in particolare a detrimento delle tutele sostanziali e procedimentali già riconosciute, rispetto alla situazione normativa precedente».

 

[72] V., al proposito, L. Carlassare, Sulla natura giuridica, cit., 96.

 

[73] Cfr. Cass., S.U., 14 luglio 2004, Pangallo, cit.; Id., S.U. 30 giugno 2004, p.m. in proc. Turrisi, cit.; Id., S.U., 25 febbraio 2004, p.m. in proc. Lustri, cit.

 

[74] Così Corte cost., sent. n. 212 del 2003, in Giur. Cost. 2003, 1603. In argomento cfr. G. Dean, Ideologie e modelli dell’esecuzione penale, Torino 2004, 125; A. Famiglietti, Rateizzazione e conversione delle pene pecuniarie: evoluzioni ed involuzioni normative e giurisprudenziali, in Giur. Mer. 2004, 209.

 

[75] V. Corte cost., sent. nn. 52 e 53 del 2005, cit., in cui si richiama il princìpio generale introdotto dal d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) secondo il quale la cognizione del giudice monocratico è la regola, mentre quella del giudice collegiale costituisce un’eccezione. Sull’istituzione del giudice unico di primo grado v., per tutti, Aa. Vv., Commento alla normativa delegata sul giudice unico, a cura di M. Chiavario ed E. Lupo, I e II, Torino 2000, passim.