Si pubblica il Capitolo primo della Parte II della monografia: Paola Sechi, Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali,
Collana Studi di diritto processuale penale raccolti da Giovanni Conso, Milano,
Giuffrè, 2006, 107-144.
Di seguito anche l’Indice del volume: Parte I. Profili di ordine costituzionale.
Capitolo primo. La tutela dei non abbienti nel testo costituzionale del 1948.
Capitolo secondo. La difesa dei non abbienti nel testo integrato dalla
riforma costituzionale del 1999. - Parte II.
Università di Sassari
Profili evolutivi della disciplina del patrocinio
dei non abbienti
SOMMARIO: 1. Il sistema contenuto nel regio
decreto 30 dicembre 1923, n. 3282. – 2. Dal
gratuito patrocinio al patrocinio a spese dello Stato. La legge 30 luglio 1990,
n. 217. – 3. La legge 29 marzo 2001, n. 134. – 4. La
rivisitazione delle norme sul patrocinio dei non abbienti ad opera del d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115. – 5. Natura
dell’opera di “testunificazione” e tipologia dei rapporti con
le disposizioni previgenti.
Il primo testo normativo generale
dell’ordinamento italiano sul gratuito patrocinio è individuabile
nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282. Invero, nel periodo preunitario ci si
trovava di fronte a due sistemi di difesa dei poveri: da un lato vi era
l’istituto dell’avvocatura dei poveri[1],
sviluppatosi soprattutto in Piemonte nella seconda metà del XIV secolo e
adottato a Roma[2]
e negli Stati pontifici prima dell’unificazione della legislazione[3];
dall’altro lato un sistema di difesa gratuita d’ufficio imposta
alla categoria degli avvocati, avente anch’esso ascendenze antiche e
rinvenibile in Toscana[4],
nel Regno delle due Sicilie, e in Lombardia, dove sin dalla metà del XVI
sec. gli Statuti di Milano prevedevano che il Collegio degli avvocati dovesse
scegliere ogni anno un dato numero di difensori, incaricati di prestare
gratuitamente il patrocinio agli indigenti e agli inabili[5].
L’istituto dell’avvocatura
dei poveri[6],
organizzato come istituzione governativa nel Regno di Sardegna, come fondazione
privata ad Alessandria [7]e
come funzione comunale a Vercelli, Novara e Cuneo[8],
venne regolamentato ex novo dalla legge Rattazzi sull’ordinamento
giudiziario del 13 novembre 1859, n. 3871: tale legge, da un lato,
istituì presso ciascuna corte d’appello un ufficio
dell’avvocato e procuratore dei poveri, compreso nell’organico
della magistratura, dotato di un numero di sostituti inseriti in una apposita
tabella; dall’altro lato soppresse gli uffici dell’avvocatura dei
poveri di istituzione privata e comunale.
Successivamente alla costituzione del
Regno d’Italia l’avvocatura dei poveri venne estesa, con i rr.dd.
21 aprile 1862, n. 620, e 21 settembre 1862, n. 851, rispettivamente alle
province siciliane e napoletane; tre anni più tardi, però, il
governo italiano emanaò la legge Cortese del 6 dicembre 1865, n. 2626,
con la quale venivano abrogati tutti gli uffici degli avvocati e procuratori
dei poveri esistenti e retribuiti a spese dell’Erario, ad eccezione di quelli
istituiti con private fondazioni. Contemporaneamente, venne emanato il r.d. 6
dicembre 1865, n.2627, che regolamentava il patrocinio gratuito dei poveri,
qualificandolo come ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli
avvocati e procuratori.
Siffatto sistema, modificato dalla l.
19 luglio 1880, n. 5536, venne recepito dal r.d. n. 3282 del 1923, ribadente
l’attribuzione del compito di difendere i poveri alla classe degli
avvocati e procuratori come ufficio onorifico e obbligatorio (art. 1 r.d. n.
3282 del 1923)[9].
L’ambito di applicazione della normativa comprendeva anche i giudizi
penali (art. 2 comma 1 r.d. n. 3282 del 1923). I destinatari
dell’ammissione al patrocinio gratuito nel processo penale erano
l’imputato, la parte civile, il responsabile civile e la persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria (cfr. artt. 96, 114 e 123 c.p.p.
1930 e art. 3 disp. att. c.p.p. 1930)[10]. La condizione soggettiva per poter
usufruire del patrocinio gratuito era lo stato di povertà
dell’interessato[11],
intendendosi con tale locuzione non
la nullatenenza, «ma uno stato in cui il ricorrente non sia in grado di
sopperire alle spese della lite» (artt. 15 comma 1 n. 1 e 16 comma 1 r.
d. n. 3282 del 1923). Siffatta situazione veniva attestata mediante certificato
del sindaco del comune in cui il richiedente aveva il domicilio o la residenza
(art. 16 comma 2 r.d. n. 3282 del 1923) previa esibizione di un certificato
dell’agenzia delle imposte da cui doveva risultare l’ammontare
delle imposte pagate dall’interessato e il parere dell’agenzia
sullo stato di povertà del soggetto (art. 15 comma 3 r.d. n. 3282 del
1923). Il procedimento volto alla concessione del gratuito patrocinio era
attivato dalla presentazione ad opera dell’interessato di un ricorso in
bollo - sottoscritto dalla parte o da un avvocato o procuratore (art. 18 commi
1 e 3 r. d. n. 3282 del 1923)[12].
Secondo la dottrina, la disposizione, nel silenzio della legge, sarebbe stata
applicabile a qualunque tipo di procedimento[13];
la Corte costituzionale aveva escluso, tuttavia, l’operatività
della norma in materia penale, sulla base della considerazione per cui la
disciplina della concessione del gratuito patrocinio nel processo penale
sarebbe stata contenuta nell’art. 15 comma 6 r. d. n. 3282 del 1923,
richiedente esclusivamente che fosse provato lo stato di povertà, i cui
documenti giustificativi dovevano essere prodotti in carta libera (artt. 15
comma 3 e 18 comma 3 r. d. n. 3282 del 1923)[14].
Gli organi deputati a provvedere sull’ammissione avevano comunque la
facoltà e, in caso di dubbio, il dovere di «richiedere le altre
giustificazioni» e di svolgere le indagini ritenute opportune «a
meglio chiarire la condizione di povertà» (art. 16 comma 5 r.d. n.
3282 del 1923). Nel procedimento penale la decisione sull’ammissione al
patrocinio gratuito spettava al giudice competente e, nella fase
dell’istruzione sommaria, al pubblico ministero (artt. 15 comma 6 r.d. n.
3282 del 1923 e 3 disp. att. c.p.p. 1930)[15].
Il provvedimento di rigetto della domanda di ammissione non era impugnabile,
sulla base dell’assunto secondo cui esso non avrebbe avuto carattere
decisorio[16].
L’esclusione dell’impugnabilità della deliberazione di
rigetto dell’istanza aveva dato luogo a forti critiche, sottolineandosi la
«drastica riduzione del diritto costituzionale dei non abbienti alla
difesa», posto che la possibile rinnovazione dell’istanza
all’autorità che l’aveva respinta non offriva «certo
molte possibilità di successo»[17].
Era, inoltre, evidente lo squilibrio sul punto della normativa, che attribuiva,
viceversa, ad un’ampia categoria di soggetti la legittimazione a chiedere
la revoca del provvedimento ammissivo del gratuito patrocinio subordinata, per
quanto concerneva il procedimento penale, alla cessazione o alla accertata
insussistenza dello stato di povertà, nonché alla circostanza che
il soggetto si fosse valso di un legale diverso da quello assegnatogli
d’ufficio dall’autorità giudiziaria[18].
Invero, il decreto di ammissione al gratuito
patrocinio comportava la designazione, da parte dell’autorità
giudiziaria competente, di un difensore d’ufficio senza che
all’interessato fosse attribuita alcuna facoltà di scelta del
legale, il quale, dal canto suo, doveva prestare la difesa obbligatoriamente e
gratuitamente (artt. 1 e 29 r.d. n. 3282 del 1923). In particolare, gli
avvocati e procuratori designati a prestare il patrocinio gratuito non potevano
rifiutare l’incarico senza grave e giustificato motivo (art. 31 r.d. n.
3282 del 1923), e dovevano trattare la causa «secondo la propria scienza
e coscienza» (art. 32 comma 1 r.d. n. 3282 del 1923), sotto la
sorveglianza immediata del procuratore generale della corte d’appello,
dell’avvocato generale situato nella circoscrizione delle sezioni
distaccate di corte di appello e dei procuratori della Repubblica, i quali
avevano il compito di vegliare affinché le cause dei poveri fossero
«diligentemente trattate», potevano «farsi render conto delle
medesime e, scorgendo qualche negligenza od altra mancanza» avevano
«altresì facoltà di promuovere i necessari
provvedimenti»(art. 4 commi 1 e 2 r. d. n. 3282 del 1923).
Oltre alla difesa gratuita,
l’ammissione al gratuito patrocinio, operante per tutti i gradi di
giurisdizione, comportava, tra l’altro, l’annotazione a debito
delle tasse di registro e l’uso di carta non bollata; la redazione e la
spedizione degli atti giudiziari necessari alla difesa senza spese né
diritti; l’obbligo di prestazione gratuita della propria opera a carico
dei pubblici ufficiali, notai e periti; l’anticipazione, da parte dello
Stato, delle spese di viaggio e di soggiorno dei funzionari ed ufficiali
pubblici, delle spese dei periti e di quelle necessarie per l’audizione
di testimoni (art. 11 r.d. n. 3282 del 1923)[19].
Con riferimento al procedimento penale, inoltre, l’art. 3 disp. att.
c.p.p. 1930 disponeva che il beneficio del gratuito patrocinio si estendeva
alla possibilità per le parti di farsi assistere da consulenti tecnici.
Dall’esame della normativa emerge
come la disciplina fosse strutturata con specifico riferimento al processo
civile e amministrativo, in dipendenza anche della circostanza che nel processo
penale la disciplina del gratuito patrocinio era strettamente connessa con
quella della difesa d’ufficio, dal momento che l’ammissione al
gratuito patrocinio comportava la nomina di un difensore d’ufficio che,
tuttavia, diversamente dal legale officioso di un soggetto non ammesso al
gratuito patrocinio (art. 128 comma 2 c.p.p.1930), doveva prestare la difesa
non solo obbligatoriamente, ma anche gratuitamente[20].
Espressione di una concezione meramente
formale del principio di eguaglianza, tipica della forma di Stato liberale per
il quale, essendo «inconcepibile un intervento diretto a rimuovere le
condizioni sostanziali di diseguaglianza tra cittadini, non rimaneva altro che
imporre il patrocinio dei non abbienti alla classe degli avvocati e
procuratori»[21],
la disciplina del r.d. n. 3282 del 1923 risultava in larga parte
insoddisfacente sia sul piano della sua conformità ai princìpi
costituzionali, sia sul piano della concreta operatività
dell’istituto, di scarsa applicazione tanto nel settore penale quanto in
quello civile[22],
anche a causa della farraginosità della procedura di ammissione[23].
L’esigenza di predisporre un
sistema di patrocinio per i non abbienti in linea con i canoni dello Stato
sociale diede vita, soprattutto a partire dagli anni ‘60, ad un vivace
dibattito dottrinale e all’approntamento di diversi progetti di legge in
materia.
Fra essi vanno segnalati il d.d.l. n.
323 di iniziativa governativa per la istituzione del patrocinio dei non
abbienti, presentato al Senato il 19 dicembre 1968, e la p.d.l. n. 657,
presentata al Senato il 21 maggio 1969 su iniziativa dei senn. Tropeano ed
altri, confluiti poi in un unico testo, derivante dall’
“assorbimento” delle due proposte[24].
Siffatto progetto di legge era fondato sulla retribuzione da parte dello Stato
del difensore, scelto dal soggetto ammesso al patrocinio entro determinati
limiti territoriali (artt. 2 e 15). Il compenso avrebbe dovuto essere basato
sulle tariffe professionali ordinarie, e non su tariffe speciali ridotte (art.
22). Lo Stato avrebbe dovuto far fronte anche alle spese e agli onorari dei
consulenti tecnici, periti, ausiliari del giudice, notai e pubblici ufficiali,
chiamati a prestare la loro opera in favore dei soggetti usufruenti del
patrocinio (art. 2). Il progetto sostituiva, altresì, lo stato di
povertà con quello di non abbienza, prevedendosi che siffatta condizione
avrebbe dovuto presumersi nei confronti di chi non risultasse iscritto nei
ruoli dell’imposta complementare
(art. 11). Veniva semplificata la procedura di ammissione al patrocinio,
consentendosi la proposizione anche verbale della domanda di ammissione (art.
12 comma 7). La competenza a decidere sull’istanza di ammissione, nel
procedimento penale, veniva mantenuta in capo al giudice competente che avrebbe
dovuto provvedere anche alla liquidazione dei compensi (artt. 6 e 22)[25].
Veniva, inoltre, eliminata la necessità, prevista dall’art. 13 r.
d. n. 3282 del 1923 , di una nuova ammissione per la proposizione
dell’impugnazione. La vigilanza sulla difesa dei non abbienti avrebbe
dovuto essere svolta dal magistrato procedente (art. 4).
Nello stesso periodo veniva redatto,
per incarico del sindacato avvocati e procuratori di Milano e Lombardia, un
progetto di legge in materia di assistenza giudiziaria ai non abbienti[26],
che non si limitava alla previsione della retribuzione dei difensori dei non
abbienti da parte dello Stato ma contemplava un sistema innovativo di
assistenza giudiziaria fondato sull’istituzione di un fondo nazionale per
l’assistenza giudiziaria ai non abbienti, la cui amministrazione avrebbe
dovuto rivestire «caratteri di accentuato decentramento, così da
consentire ai suoi organi periferici una più immediata valutazione delle
esigenze locali, con possibilità di adattamento dell’assistenza
alle caratteristiche della popolazione non abbiente»[27].
Si prevedeva che l’assistenza
legale a carico dello Stato, comprensiva dell’eventuale consulenza
tecnica, fosse estesa alla consulenza ed assistenza stragiudiziale, che avrebbe
dovuto essere ripartita tra appositi centri - da istituirsi, alternativamente,
presso i comuni, gli enti comunali di assistenza, i consigli
dell’ordine degli avvocati e
procuratori, o le facoltà di giurisprudenza - e i liberi professionisti
(art. 6).
Competente alla valutazione della
domanda di ammissione all’assistenza legale a carico dello Stato avrebbe
dovuto essere un magistrato dell’ufficio giudiziario procedente, che
avrebbe dovuto decidere anche su semplice istanza verbale
dell’interessato (art. 9).
L’assistenza giudiziaria avrebbe
potuto essere totalmente o parzialmente a spese dello Stato, consentendosi
all’organo preposto all’ammissione di stabilire, in relazione alle
condizioni del richiedente, un suo parziale concorso nelle spese di difesa
(art. 7)[28].
Al non abbiente veniva attribuita la
facoltà di scelta del difensore, da individuarsi tra gli iscritti negli
albi dei difensori abilitati ad esercitare il patrocinio presso
l’autorità giudiziaria competente (art. 10). La retribuzione del
difensore avrebbe dovuto gravare totalmente o parzialmente sull’apposito
fondo pubblico, riducendosi, tuttavia, gli onorari ai tre quarti
dell’ammontare determinato dalla tariffa professionale (art. 11).
Il 10 marzo 1971 il Senato
approvò all’unanimità il testo derivante
dall’unificazione dei d.d.l. nn. 323 e 657 e lo trasmise alla Camera dei
deputati. Lo scioglimento delle Camere nel febbraio 1972 determinò
però la decadenza del progetto prima della sua definitiva approvazione[29].
Il disegno di legge, con parziali
modifiche, venne ripresentato nella successiva legislatura, ma successivamente
abbandonato per ragioni di bilancio.
Anziché procedere
all’istituzione in via generale del patrocinio a carico dello Stato, il
legislatore preferì introdurre gradualmente l’istituto dapprima
nel processo del lavoro con la l. 11 agosto 1973, n. 533, che istituì il
patrocinio statale nelle controversie di lavoro e previdenziali, e,
successivamente, nel procedimento di adozione (art.
Quanto al processo penale, il varo del
codice di procedura penale del 1988, fondato, tra l’altro, sul principio
della partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità
in ogni stato e grado del procedimento e sulla conseguente attribuzione di un
ruolo attivo alla difesa, sia sul piano della ricerca di elementi probatori al
fine dell’esercizio del diritto alla prova, sia sul piano delle scelte di
strategia processuale[30],
rendeva ineludibile la revisione del sistema del 1923. Del resto, anche sul
piano normativo, l’art. 98 c.p.p., nel prevedere che
«l’imputato, la persona offesa dal reato, il danneggiato che
intende costituirsi parte civile e il responsabile civile possono chiedere di
essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, secondo le norme della
legge sul patrocinio dei non abbienti», lasciava intendere
l’avvenuto superamento del sistema del patrocinio gratuito a carico della
classe degli avvocati.
I lavori parlamentari di riforma,
iniziati con l’esame di cinque proposte di legge di iniziativa
parlamentare presentate dal
Il sistema - attribuente la titolarità
del diritto al patrocinio a spese dello Stato al non abbiente imputato, persona
offesa da reato, danneggiato che intendesse costituirsi parte civile,
responsabile civile ovvero persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria[32]
- era fondato sulla esenzione dell’interessato dalle spese difensive,
poste a carico dello Stato, nei procedimenti penali, penali militari (art.
Condizione per l’ammissione al
patrocinio era la percezione di un reddito annuo imponibile ai fini
dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima
dichiarazione, non superiore a otto milioni di lire nel 1990 e a dieci milioni
di lire a partire dal 1991 (art. 3 comma
L’ammissione al patrocinio, che
poteva essere disposta dal giudice procedente sin dalla fase delle indagini
preliminari (art.
La legge prevedeva la facoltà di
nomina di un unico difensore, il quale non poteva ricusare immotivatamente
l’incarico e poteva essere sostituito soltanto per giustificato motivo e
previa autorizzazione giudiziale, pena la cessazione degli effetti
dell’ammissione al patrocinio (art. 4 commi 3 e
Il patrocinio statale era comprensivo,
inoltre, delle spese sostenute dal non abbiente per le consulenze tecniche, ma
solo limitatamente ai casi in cui fosse stata disposta perizia (art. 4 comma
Un sistema particolare era contemplato
con riferimento al processo penale minorile, prevedendosi, al fine di
assicurare con particolare pregnanza l’effettività della difesa
tecnica, che ove il minore o un suo congiunto non avessero provveduto alla
nomina di un difensore di fiducia, l’autorità procedente dovesse
nominare un difensore d’ufficio, la cui retribuzione sarebbe stata a
carico dello Stato, salvo il diritto di quest’ultimo di rivalsa nei
confronti del minore e dei familiari che superassero i limiti di reddito
previsti dalla normativa in esame (art. 1 comma
Il sistema delineato dalla l. n. 217 del 1990, pur
rappresentando un significativo salto di qualità
nell’apprestamento di una difesa adeguata a favore dei non abbienti, non era
tuttavia esente da difetti, innanzitutto per quanto riguarda l’ambito di
applicazione della normativa, escludente il patrocinio a spese dello Stato nei
procedimenti penali concernenti esclusivamente contravvenzioni (art. 1 comma
Il limite di fondo della disciplina
era, tuttavia, costituito dal permanere di un concetto di non abbienza rigido,
ancorato alla fissazione di una soglia di reddito predeterminata, e
dall’assenza di qualunque forma di assistenza stragiudiziale.
L’inserimento dei princìpi
del giusto processo nell’art. 111 Cost.[35]
e il conseguente rafforzamento dell’attività difensiva apprestato
dalla l. n. 397 del 2000 hanno spinto il legislatore a rimeditare, in chiave di
accentuazione dell’effettività della difesa tecnica, le tematiche
della difesa d’ufficio e del patrocinio dei non abbienti.
Per quanto riguarda quest’ultimo,
vari erano i progetti di legge all’esame del Parlamento. Fra essi quello
maggiormente innovativo era rappresentato dal p.d.l. n. 6054 d’iniziativa
degli onn. Veltroni ed altri[36],
che prevedeva il collegamento tra l’ammissione al patrocinio e il costo
delle attività difensive rapportato al reddito dell’istante, forme
di ammissione parziale al patrocinio statale e l’istituzione di un elenco
degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, all’interno del
quale la commissione competente avrebbe dovuto scegliere il difensore in
assenza di indicazione di parte.
Il testo base adottato in Parlamento
è stato, tuttavia, il p.d.l. n. 5477, presentato dall’on.
Pecorella[37],
il cui tratto più significativo era rappresentato
dall’introduzione del patrocinio a spese dello Stato nel settore civile e
amministrativo, sostituendo in tal modo il vetusto sistema del gratuito patrocinio
contenuto nel r.d. n. 3282 del 1923.
Quanto al processo penale, il p.d.l. n.
5477 manteneva l’impostazione della l. n. 217 del 1990, continuando a
prevedere un modello organizzativo affidato ai liberi professionisti ed un
sistema di ammissione correlato a un tetto di reddito predeterminato.
L’esame del progetto di legge in
esame è sfociato nell’approvazione della l. n. 134 del 2001[38],
che, nell’apportare modifiche alla l. n. 217 del
La legge n. 134 del 2001, con
riferimento al processo penale, ha avuto vita breve[46],
rivisitata quasi immediatamente dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115[47],
entrato in vigore il 1° luglio 2002, il cui art.
Il d.P.R. n. 115 del 2002 è
stato emanato dal Governo in attuazione dell’art.
Il problema che si pone
all’interprete è quello relativo alla natura dell’opera di
“testunificazione” in esame al fine di individuare la tipologia dei
rapporti intercorrenti tra essa e le disposizioni previgenti in materia[54].
In generale, occorre partire dalla premessa
dottrinale che ravvisa
l’essenza del testo unico in una legge unitaria, «che sostituisce
una pluralità di testi disciplinanti una determinata materia»[55].
Se la ratio del testo unico
consiste nella sostituzione di una unità alla molteplicità,
tramite una novazione dell’atto fonte «come dichiarazione di
volontà che sostituisce ed elimina quelle precedenti, essendo dotato di
un’efficacia pari alla loro»[56],
ne deriva che le disposizioni che il testo unico mira ad unificare sono
sostituite da questo, perdendo efficacia per il futuro nel momento in cui viene
in essere il nuovo atto[57].
Tali considerazioni forniscono l’ausilio per risolvere il problema della
natura del testo unico in materia di spese di giustizia, identificabile in
astratto in quella di un atto normativo che sostituisce, abrogandole
espressamente, le precedenti disposizioni contenute nelle leggi n. 217 del 1990
e n. 134 del 2001[58].
Del resto, che, nell’ipotesi in
esame, non si sia in presenza di un provvedimento meramente compilativo risulta
dalle modifiche che l’opera di c.d. “testunificazione” ha
apportato alla precedente disciplina[59]:
per quanto riguarda, specificamente, il patrocinio dei non abbienti nel
procedimento penale, vi sono invero sia modifiche apparentemente di minor
conto, quali, ad esempio, la sostituzione del termine giudice con la locuzione
“magistrato davanti al quale pende il processo”[60],
sia modifiche maggiormente incisive in tema di presupposti oggettivi per
l’ammissione al patrocinio, essendo stata estesa la non fruibilità
dell’assistenza legale a carico dello Stato all’indagato di reati
commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in
materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (art. 91 comma 1 lett. a
d.P.R. n. 115 del 2002)[61],
in tema di limiti alla scelta del difensore da parte del non abbiente (artt. 80
e 82 d.P.R. n. 115 del 2002)[62],
nonché con riferimento ai procedimenti civili per il risarcimento del
danno e le restituzioni derivanti dal reato, essendosi previsto che in tali
procedimenti la parte ammessa rimasta soccombente non possa giovarsi
dell’ammissione per proporre impugnazione (art. 120 d.P.R. n. 115 del
2002), diversamente da quanto disposto dall’art. 1 comma
Se vera questa premessa, il quesito
essenziale concerne la messa a punto dei limiti entro cui
l’attività di “testunificazione”, dovendo mirare a
coordinare la disciplina previgente, possa procedere ad innovazioni sulla
materia coordinata. Al proposito, viene in soccorso l’art.
Significativa, in questo senso,
è la giurisprudenza che si va formando sul punto: da un lato, recenti
decisioni delle Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno interpretato il
dettato di alcune disposizioni del testo unico in sintonia con quanto previsto
dalla previgente normativa[73];
dall’altro lato, quanto alla giurisprudenza della Corte costituzionale,
va segnalata anzitutto la sentenza con cui la Corte – nel dichiarare
l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 76
Cost., degli artt. 237, 238 e 299 d.lgs. n. 113 del 2002 (come riprodotti nel
d.P.R. n. 115 del 2002) nella parte in cui sottraggono la competenza relativa
alla conversione delle pene pecuniarie al magistrato di sorveglianza per
attribuirla al giudice dell’esecuzione, con conseguente abrogazione dell’art. 660 c.p.p. - ha asserito
che il legislatore delegato era privo del potere di apportare in materia una
“radicale” modifica delle regole di competenza[74],
sia le decisioni con cui l’organo di legittimità delle leggi, nel
ritenere, viceversa, infondate, con riferimento all’art. 76 Cost., le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 99 comma 3 e 170
d.P.R. n. 115 del 2002 – nella parte in cui prevedono che il giudice
debba decidere in composizione monocratica anziché collegiale
rispettivamente nel procedimento di opposizione contro il provvedimento di rigetto
dell’istanza di ammissione al patrocinio statale ovvero di revoca
dell’ammissione già accordata, nonché con riferimento
all’opposizione contro il provvedimento di liquidazione dei compensi agli
ausiliari del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato
l’incarico di demolizione e riduzione in pristino - ha precisato che, nei
limiti del riordino di materie delimitate, il testo unico può innovare
per rendere la disciplina più coerente nel suo complesso e in sintonia
con l’evolversi dell’ordinamento[75].
[1] Sull’istituto v. E. Caldara - C. Cavagnari, Avvocatura dei poveri, in Dig. It., IV, II, Torino 1893-1899, 710; S. Graziano, La difesa penale nell’istruttoria, 2° ed., Bologna 1913, 247; D. Marafioti, L’assistenza giudiziaria ai non abbienti, Milano 1960, 13; G. Pittaluga, L’avvocazia dei poveri in Alessandria. Cenni storici, Alessandria 1889; A. Segre, La tutela dei poveri nella storia del diritto italiano, Torino 1907, 70.
[2] Tuttavia «Il Comune di Roma, finché ebbe vita separata dal Governo dei papi, non ebbe nei suoi tribunali uno speciale avvocato dei poveri...»: così A. Segre, La tutela, cit., 89.
[3] Gli uffici di avvocati e procuratori dei poveri erano governati sostanzialmente con le stesse norme vigenti in Piemonte. V., sul punto, A. Ravizza, Patrocinio gratuito, in Dig.It., XVIII, I, Torino 1906-1910, 970.
[4]
In Toscana nel 1568, con la riforma dei Conservatori, si dispose che si
estraesse a sorte, tra gli avvocati, quello incaricato di patrocinare
gratuitamente i poveri per sei mesi. V. anche gli Statuti del collegio degli
avvocati del
[5]
Un cenno particolare deve essere riservato alla Repubblica di Venezia, in cui
il processo penale era connotato in senso fortemente inquisitorio: il Consiglio
dei Dieci decideva inappellabilmente i processi; «il reo, sprovvisto di
garanzia e di tutela, ignorava financo la condanna, che veniva eseguita
clandestinamente e in segreto»: così S. Graziano, La difesa, cit., 247. Pur essendo fortemente
ristretta la funzione della difesa, per i carcerati e gli inquisiti di reati di
diritto comune dinanzi alle Quarantie criminali operavano sin dal 1443 gli
avvocati nobili delle prigioni. Gli avvocati nobili delle prigioni costituivano
il contraltare degli avogadori del comune, che sostenevano
l’accusa nell’interesse pubblico: erano eletti dal Maggior
Consiglio, avevano uno stipendio, stavano in carica un anno e difendevano
gratuitamente gli accusati. Ai sensi del Capitolare della Quarantia criminale
del 1535 uno dei suddetti avvocati per quattro mesi doveva recarsi giornalmente
ai Consigli della Quarantia per la difesa degli inquisiti. L’altro doveva
visitare quotidianamente le carceri per quattro mesi. Poi i due difensori
scambiavano vicendevolmente i ruoli sino allo scadere dell’ufficio: v.,
al riguardo, la ricostruzione di A. Segre,
La tutela, cit., 92-
[6] L’avvocato dei poveri, secondo le Regie Costituzioni del 20 febbraio 1723 emanate da Vittorio Amedeo II, doveva essere un esperto nelle materie legali e di sperimentata probità eletto nella città ove risiedeva il Senato con il compito di patrocinare le cause tanto civili che criminali: v. Regie Costituzioni 20 febbraio 1723, Tit. I e III. Sul punto v. A. Segre, La tutela, cit., 77. Per quanto riguarda il processo penale, l’avvocato dei poveri doveva «difendere gli inquisiti, esaminare i processi inquisizionali, instruere le defensionali, conchiudere negli atti, disputare le cause a favore degli inquisiti... ». Accanto agli avvocati dei poveri vi erano i procuratori dei poveri i quali avevano il compito di «prendere le regole e le istruzioni degli Avvocati, formare gli atti defensionali, scrivere ai parenti dei detenuti, assistere alle dispute delle cause, procurare tutte le difese legittime, visitare li carcerati, e fare tutto ciò che è giusto per la loro difesa». L’avvocato e il procuratore dei poveri venivano nominati ex officio per ogni imputato sprovvisto di difensore di fiducia. Invero, ai sensi delle Regie Costituzioni «pei poveri e per ogni altro, che non si eleggesse il Procuratore o l’Avvocato, s’intenderà sempre deputato l’Avvocato o Procuratore dei poveri, dove saranno, dichiarando però che quanto a quei rei, i quali non fossero veramente poveri, dovranno il Procuratore e l’Avvocato essere soddisfatti delle loro fatiche ad arbitrio del Presidente o del Giudice». E’ da notare che gli ebrei erano esclusi dal gratuito patrocinio stabilito per gli altri sudditi: v. le osservazioni di A. Segre, La tutela, cit., 77-81. Sull’istituto v. G. Carcano, Storia e ufficio dell’Avvocato dei poveri, in Mon. Trib. 1862, 729; T. Guerra, L’avvocato dei poveri e il suo ufficio, Brescia 1865.
[7] Cfr., al riguardo, A. Ami, L’avvocazia e la Procuratoria dei poveri in Alessandria, in La Provincia 1903; G. Pittaluga, L’avvocazia dei poveri in Alessandria. Cenni storici, Alessandria 1889.
[8] V. E. Caldara-C. Cavagnari, Avvocatura, cit., 714; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, I.
[9] Sul sistema di gratuito patrocinio disciplinato dal r.d. n. 3282 del 1923 v., in generale, P. Brandi, Gratuito patrocinio, in Enc. Dir., XIX, Milano 1970, 732; M. Canonico, Diritto alla difesa e tutela dei non abbienti: dal gratuito patrocinio all’assistenza in giudizio a spese dello Stato, in Dir. Fam. Pers. 1994, 1406; M. Cappelletti, La giustizia dei poveri, in Foro It. 1968, V, 114; Id., Povertà e giustizia, in Id., Giustizia e società, Milano 1977, 260; A. Casalinuovo, Assistenza giudiziaria ai non abbienti: III) Diritto processuale penale, in Enc. Giur., III, Roma 1988, 1; F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in Foro It. 1994, V, 87; L. P. Comoglio, Il III comma dell’art. 24. L’assistenza giudiziaria ai non abbienti, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma 1981, 118; V. Denti, Assistenza giudiziaria ai non abbienti: II) Diritto processuale civile, in Enc. Giur., III, Roma 1988, 1; G. Franco, Sul gratuito patrocinio in Italia, in Riv. Dir. Proc. 1988, 788; E. Gallo, Assistenza giudiziaria ai non abbienti: I) Diritto costituzionale, in Enc. Giur., III, Roma 1991, 1; D. Marafioti, L’assistenza, cit., 11; A. Pizzorusso, L’art. 24 , 3° comma, della Costituzione e le vigenti disposizioni sul gratuito patrocinio, in Foro It. 1967, V, 1; R. G. Rodio, Difesa giudiziaria e ordinamento costituzionale, Padova 1990, 67; N. Daniele, Patrocinio gratuito (diritto processuale), in Noviss. Dig. It., XII, Torino 1965, 688; N. Trocker, Patrocinio gratuito, in Dig. Disc. Priv.(sez. civ.), XIII, Torino 1995, 298; A. Valentini, Patrocinio gratuito, in Nuovo Dig.It., IX, Torino 1939, 577; T. Ventura, Appunti sul gratuito patrocinio, 2° ed., Milano 1961, 134.
[10] Il diritto all’ammissione al patrocinio era attribuito anche agli stranieri che si trovassero nelle condizioni prescritte dalla legge, indipendentemente dalla circostanza che fossero o meno residenti nel territorio dello Stato (art. 14 r. d. n. 3282 del 1923). Sul punto v. R. G. Rodio, Difesa giudiziaria, cit., 80.
[11] Con riferimento ai procedimenti diversi da quello penale, la normativa richiedeva inoltre l’ulteriore presupposto della probabilità dell’esito favorevole della causa (art. 15 comma 1 n. 2 r.d. n. 3282 del 1923).
[12] V., sul punto, G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 793, sottolineante «l’intima contraddizione logico-giuridica del R.D. del 1923 (art. 18) nel voler pretendere una domanda assoggettata ad oneri fiscali (la cui inosservanza importa pesanti pene pecuniarie) in una procedura che ha ad oggetto il patrocinio dei poveri».
[13] V., in particolare, A. Valentini, Patrocinio gratuito, cit., 583, secondo il quale «la legge sul bollo (art. 107 della relativa tariffa) ha compreso le istanze di ammissione tra gli atti amministrativi e ha stabilito una misura unica, per cui non è dato distinguere a seconda dell’organo che interviene a provvedere e della causa per la quale l’istanza viene presentata». Cfr. art. 107 della tariffa alleg. A, annessa al r.d. 30 dicembre 1923, n. 3268, modificato dai dd. ll. 17 marzo 1930, n. 142 e 10 dicembre 1934, n. 1983. Nella stessa ottica, in giurisprudenza, v. Cass. 3 marzo 1929, Niro, in Foro It. 1929, II, 296.
[14]
V., al riguardo, le osservazioni contenute in Corte cost., sent. n. 97 del
[15] Viceversa, nei procedimenti civili e amministrativi, la decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio spettava ad apposite commissioni - composte da due magistrati, ordinari o speciali, e un avvocato - istituite presso i tribunali, le corti d’appello e la corte di cassazione, nonché presso i tribunali amministrativi regionali, il consiglio di Stato, e la corte dei conti (art. 15 comma 5 r. d. n. 3282 del 1923).
[16] V., al proposito, N. Daniele, Patrocinio gratuito, cit., 691; G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 794.
[18] In qualunque stadio del procedimento l’intendenza di finanza, sia qualora avesse ritenuto inesistente lo stato di povertà o mutata la condizione economica della persona ammessa al gratuito patrocinio, sia in ogni altro caso in cui avesse reputato non convenientemente apprezzata dall’autorità competente la condizione economica dell’interessato, poteva presentare un ricorso teso alla revoca del beneficio (art. 21 comma 1 r.d. n. 3282 del 1923). Inoltre, doveva ritenersi in parte applicabile al procedimento penale l’art. 34 r.d. n. 3282 del 1923, il quale legittimava, tra l’altro, alla presentazione della richiesta di revoca del beneficio gli avvocati e procuratori deputati al patrocinio, i collegi, i consigli dell’ordine o di disciplina ed anche il pubblico ministero, ove la parte ammessa al gratuito patrocinio si fosse valsa di un avvocato o procuratore diverso da quello assegnatogli ovvero se, «per essere cessate o risultate insussistenti le condizioni di povertà, la parte non fosse più meritevole di continuare a goderne» (art. 34 comma 1 r. d. n. 3282 del 1923).
[19] L’art. 11 r. d. n. 3282 del 1923 prevedeva altresì la gratuità delle inserzioni nei giornali ordinate dall’autorità giudiziaria, nonché l’anticipazione da parte dello Stato delle spese per la pubblicazione dei provvedimenti giudiziari.
[20] Altra importante differenza fra l’imputato difeso d’ufficio non ammesso al gratuito patrocinio e quello usufruente del beneficio in esame consisteva nella circostanza che il primo, se condannato, aveva l’obbligo di pagare le spese processuali anticipate dallo Stato (artt. 488 e 611 c.p.p.) mentre il secondo era esonerato dall’onere del pagamento delle spese processuali anche in caso di condanna. V., al riguardo, F. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti, cit., 92; G. Franco, Sul gratuito patrocinio, cit., 791.
[21] V., al proposito, G. Tucci, L’accesso dei non abbienti alla giustizia: dal patrocinio gratuito al patrocinio retribuito dallo Stato, in Riv. Giur. Lav. 1978, II, 145.
[22] V. D.
Marafioti, L’assistenza, cit., 50, con riferimento al
periodo 1952-
[24]
Il testo del progetto di legge è pubblicato in Foro It. 1971, V,
[25] La competenza era attribuita al pubblico ministero ove si procedesse ad istruzione sommaria o nel caso degli atti di polizia giudiziaria (art. 6 comma 3).
[26] Il progetto, predisposto nel luglio-agosto 1970 da V. Denti, sotto la direzione di M. Cappelletti, può leggersi in V. Denti, Processo civile, cit., 151.
[27] Così V. Denti, Processo civile, cit., 152. Il fondo avrebbe dovuto essere finanziato con appositi stanziamenti annuali da parte del Ministero di grazia e giustizia, con contribuzioni a carico delle regioni, province e comuni, con le somme recuperate nei confronti delle parti abbienti soccombenti, nonché con le elargizioni eventualmente effettuate da enti o privati a favore del fondo (art. 1).
[28] La situazione di non abbienza avrebbe dovuto essere presunta in coloro che percepivano «un reddito inferiore al minimo imponibile ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, aumentato delle quote di detrazione per i familiari a carico» restando salva la possibilità, per l’organo preposto all’ammissione, di concedere il patrocinio anche in assenza della suddetta condizione, «tenuto conto dell’importanza e della necessità della lite, a coloro che, per particolari situazioni personali o familiari, dimostrino di non essere in grado di sopperire alle spese della difesa» (art. 7).
[29] Il progetto in esame non era stato esente da critiche: v., al riguardo, M. Cappelletti, Due disegni di legge, cit., 272, che ravvisava la maggiore lacuna del progetto nella circostanza che non vi fosse alcuna disposizione relativa alla consulenza e all’assistenza legale stragiudiziaria; V. Denti, Processo civile, cit., 137 ss., il quale, con riferimento al modello organizzativo di difesa dei non abbienti, asseriva la necessità di integrare l’assistenza prestata dai liberi professionisti con la creazione di pubblici uffici di consulenza ed assistenza, sulla base dei suggerimenti derivanti dalle esperienze del legal aid vigente nei Paesi anglosassoni. V. anche, in materia, le osservazioni critiche particolareggiate effettuate da E. Fassone, Osservazioni critiche, cit., 242 ss., e da E. Amodio, Il patrocinio statale, cit., 311, individuante le ragioni che determinarono la mancata approvazione del d.d.l. n. 323 in un problema di costi e nell’atteggiamento della classe forense, contraria all’attribuzione al magistrato sia del compito di vigilare sulla attività processuale svolta dall’avvocato in favore del non abbiente, sia della funzione di controllo della legittimità del rifiuto di assumere l’incarico da parte del legale designato.
[30] Basti pensare alle valutazioni concernenti l’eventuale richiesta dei riti di definizione anticipata della vicenda giudiziale, richiedenti una attenta considerazione del rapporto costi/benefici per l’imputato. Per la segnalazione del rischio che, anche in presenza di una riforma dell’istituto del patrocinio gratuito, «il difensore con prospettiva di onorario e tariffa «media» (quando è notorio che le tariffe in materia penale sono nella prassi puramente indicative) può essere indotto a deviare su un rito semplificato le sorti del cliente «povero» per potersi dedicare a procedimenti più remunerativi: l’assistito uscirebbe con danni contenuti dal processo, ma sarebbe profondamente menomato il diritto di provare l’innocenza in giudizio», v. P. Corso, La tutela dei non abbienti, cit., 462.
[31]
A commento della legge n. 217 del 1990 v. soprattutto Aa. Vv., Commento alla legge 30 luglio 1990, n.
[32]
Del patrocinio a spese dello Stato potevano giovarsi, in presenza delle
condizioni prescritte dalla legge, sia i cittadini, sia gli stranieri e gli
apolidi residenti nello Stato (art. 1 comma
[33]
Salva, ovviamente, la revoca dell’ammissione nelle ipotesi tassativamente
indicate dalla legge, individuabili nella nomina da parte
dell’interessato di un secondo difensore di fiducia (art. 4 comma
[34]
Gli altri effetti dell’ammissione al patrocinio includevano
l’annotazione a debito dell’imposta di bollo e di registro e delle
altre tasse relative agli atti processuali, il rilascio gratuito delle copie
degli atti processuali strettamente necessarie per l’esercizio del
diritto di difesa, l’anticipazione da parte dello Stato delle spese
effettivamente sostenute dai difensori, consulenti tecnici, ausiliari, notai e
pubblici ufficiali che avessero prestato la loro opera nel processo,
nonché delle spese necessarie per l’audizione di testimoni e di
quelle necessarie per la pubblicazione dei provvedimenti ed infine
l’esenzione dall’imposta di bollo relativa alle autocertificazioni
(art. 4 comma
[35]
Nell’ambito dei lavori parlamentari concernenti la riforma
dell’art. 111 Cost., occorre sottolineare l’approvazione di un
ordine del giorno finalizzato a impegnare il Governo «a porre in essere
le iniziative necessarie per rendere effettiva l’attuazione del
patrocinio per i non abbienti, con particolare riferimento all’elevazione
dei limiti di reddito attualmente vigenti e alla semplificazione delle
procedure per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; a porre in
essere tutti gli strumenti di sua competenza per rendere effettiva e non
meramente formale la difesa d’ufficio»: v. Atti Parl. Camera,
XIII legislatura, Ordine del giorno presentato dagli onn. Pisapia ed
altri, seduta del 27 luglio 1999, n.
[36] V. XIII legislatura, p.d.l. n. 6054 d’iniziativa degli onn. Veltroni ed altri, presentato il 20 maggio 1999.
[37] Cfr. XIII legislatura, p.d.l. n. 5477 d’iniziativa dell’on. Pecorella, presentato il 2 dicembre 1998.
[38]
Efficacia assai breve ha avuto la disposizione contenuta nell’art.
[40]
V. art. 2 comma
[43]
V. art. 5 comma
[44]
Cfr. art. 2 comma
[45]
V. art. 11 comma
[46]
Per quanto riguarda i processi civili e
amministrativi, le disposizioni inserite nel Capo II della l. n. 217 del
1990 dall’art.
[47] Il d.P.R. n. 115 del 2002, contenente il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, è composto dI dieci Parti e otto Allegati. Il patrocinio a spese dello Stato è disciplinato nella Parte III, il cui titolo I contempla le disposizioni generali sul patrocinio statale nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario, mentre il titolo II e il titolo III prevedono, rispettivamente, la disciplina del patrocinio a spese dello Stato nel processo penale e la sua estensione a limitati effetti; i titoli IV e V contengono, infine, le disposizioni particolari sul patrocinio statale nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario, e l’estensione di tale disciplina per quanto concerne determinati effetti.
[48]
L’art.
[49]
L’art.
[50] V., in generale, il parere espresso dal Consiglio di Stato nel corso della procedura di emanazione del testo unico: Cons. St., Ad. 21 gennaio 2002.
[51] Nella Relazione illustrativa del decreto
in questione si legge che, essendo il servizio al pubblico, disciplinato
dall’art.
[52]
Si tratta della prima legge annuale di semplificazione, emanata in attuazione
della previsione contenuta nell’art.
[53] Il testo unico avrebbe dovuto comprendere le disposizioni contenute in un decreto legislativo e in un regolamento che il Governo avrebbe dovuto emanare attenendosi ai criteri e princìpi direttivi indicati dalla legge delega.
[54]
Secondo Corte Cost., sent. n. 54 del
[56] Così L. Carlassare, Sulla natura giuridica dei testi unici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl. 1961, I, 64.
[57] V., in questo senso L. Carlassare, Sulla natura giuridica, cit., 96. Sul punto cfr. V. Angiolini, Testo unico, in Enc. Dir., XLIV, Milano 1992, 528; M. Malo, Testo unico, in Dig. Disc. Pubbl., XV, Torino 1999, 297.
[58]
In senso contrario v. Cass., S.U., 30 giugno 2004, p.m. in proc. Turrisi, in Dir.
Giust. 2004, 34, 37, secondo cui il d.P.R. n. 115 del 2002 non innova la disciplina
preesistente in materia di spese di giustizia, ma la organizza in testo unico,
«cosicché non è autonoma fonte di diritto rispetto alle
leggi e ai regolamenti di cui recepisce le norme primarie e secondarie, ed in
particolare, per quanto interessa, alla legge n. 217 del 1990 istitutiva del
patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, come modificata dalla legge
n. 134 del 2001». Nella medesima ottica cfr. Id., S.U., 25 febbraio 2004,
p.m. in proc. Lustri, in Guida Dir. 2004, 20, 80. Con riferimento
all’ipotesi dei testi unici deliberati dal Governo sulla base di una
legge formale di delegazione del Parlamento, P.A. Capotosti, Problemi relativi alla definizione dei rapporti
fra testi unici di leggi e disposizioni normative preesistenti, in Giur.
Cost. 1969, 1477, osserva che «sul piano dogmatico, questo tipo di
atto comporta evidentemente scarse difficoltà interpretative, dal
momento che il t.u. può venire tranquillamente assimilato, nel caso
prospettato, alla fattispecie normativa del decreto legislativo, sia sotto il
profilo formale che sostantivo». Nella fattispecie in esame, le cose sono
complicate dalla circostanza che si è in presenza di tre provvedimenti,
posto che il d. P. R. n. 115 del 2002 riunisce le disposizioni contenute in due
distinti atti, il d.lgs. n. 113 del 2002, contenente disposizioni legislative,
e il d.P.R. n. 114 del 2002 che
contiene disposizioni di natura regolamentare. Resta, pertanto, da verificare
se il d.P.R. n. 115 del 2002 abbia autonomo carattere normativo. In favore
dell’assenza di normatività milita la formulazione dell’art.
7 comma
Tuttavia, tale conclusione non pare accoglibile
poiché sussistono numerosi indizi che inducono ad asserire
l’autonoma normatività del d.P.R. n. 115 del 2002 come, ad
esempio, la circostanza che il decreto presidenziale sia numerato (Cfr. M. Luciani, Il sistema delle fonti,
cit., 12); che nelle premesse del d.P.R. n. 115 del 2002 siano richiamati gli
artt. 76 e 87 Cost., nonché gli artt. 16 e
[59]
Il che risulta implicitamente dalla circostanza che in più occasioni la
Corte costituzionale ha restituito gli atti al giudice a quo perché,
alla luce delle «modifiche legislative intervenute» valutasse la
perdurante rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale
sollevate, sottolineando, altresì, come l’art. 299 contenuto nel
d.lgs. n. 113 del 2002 e nel d.P.R.
n. 115 del 2002 abbia espressamente abrogato l’intero testo della legge
n. 217 del 1990: v., in questo senso, Corte cost., ord. n. 205 del
[60] Pur se qualificato in termini di inopinabile restyling letterale (così V. Bonini, L’abrogazione della legge n. 217/1990 e l’incorporazione della disciplina sul patrocinio a spese dello Stato nel t.u. sulle spese di giustizia (d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115), in Aa. Vv., La difesa penale, a cura di M. Chiavario e E. Marzaduri, Torino 2003, 565, la sostituzione ha dato luogo ad una querelle giurisprudenziale sulla competenza a decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio statale presentata nella fase delle indagini preliminari, risolta dalle Sezioni Unite della corte di cassazione in favore dell’attribuzione della competenza al giudice per le indagini preliminari : v. Cass., S. U., 25 febbraio 2004, p.m. in proc. Lustri, cit.
[61]
V., con riferimento alla previgente normativa, art. 1 comma
[62]
L’art. 80 comma 1 d.P.R. n. 115 del 2002, nella versione originaria,
disponeva che chi è ammesso al patrocinio statale «può
nominare un difensore scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il
patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i consigli dell’ordine
del distretto di corte di appello nel quale ha sede il magistrato competente a
conoscere del merito o il magistrato davanti al quale pende il processo».
A sua volta l’art. 82 comma 2 d.P.R. n. 115 del 2002 prevede che
«nel caso in cui il difensore nominato dall’interessato sia
iscritto in un elenco degli avvocati di un distretto di corte d’ appello
diverso da quello in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del
merito o il magistrato davanti al quale pende il processo, non sono dovute le
spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa
professionale». Ciò sembrava implicitamente consentire la
nomina di un difensore extra
districtum, a differenza di quanto disposto dal previgente sistema che si
limitava a configurare la facoltà, per l’ammesso al patrocinio, di
scelta di un difensore iscritto ad uno degli albi degli avvocati del distretto
di corte di appello nel quale aveva sede il giudice procedente (art.
[63] Sulle modifiche apportate dal d.P.R. n. 115 del 2002 alla disciplina sul patrocinio dei non abbienti nei processi civili e amministrativi contenuta nella l. n. 134 del 2001, v. G. Scarselli, Il nuovo patrocinio, cit., 2.
[64]
V., al proposito, Cass. 3 novembre 2004, Altomonte, in G.U. 27 aprile
2005, n. 17, 1° serie sp., che ha dichiarato rilevante e non manifestamente
infondata, con riferimento all’art. 77 comma 1 Cost., la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 112 comma 1 d. P.R. n. 115
del 2002, «nella parte in cui prevede che, in caso di richiesta
proveniente dall’Ufficio Finanziario competente, il magistrato provvede
alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato con decreto
emesso “de plano” anziché con la procedura di cui
all’art. 29 della Legge 13.6.1942, n. 794». La Corte costituzionale
ha, tuttavia, reputato manifestamente infondata l’eccezione: v. Corte
cost., ord. n. 177 del
[65]
Cfr. art. 112 comma 1 lett. a, b, c e comma 2 d.P.R. n.
115 del 2002. Con riferimento alla previgente normativa, v. art. 10 comma
[66]
V., al proposito, Cass., S.U., 14 luglio 2004, Pangallo, in Cass. Pen.
2004, 1391, 4036. La Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta
infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., degli artt. 6 e
[67]
L’art. 6 comma 4, richiamato dall’art. 10 comma
[68]
In generale cfr., in quest’ottica, V.
Angiolini, Testo unico, cit., 528; L. Carlassare, Sulla natura giuridica, cit.,
[69]
V., in questi termini, Corte cost., sent. n. 24 del
[70]
Così Corte cost., sent. nn. 52 e 53 del 2005, cit., ove si richiama, a
sostegno dell’assunto, il parere espresso dal Consiglio di Stato nel corso
della procedura di approvazione del testo unico: v., al riguardo, Cons. St.,
Ad. 21 gennaio 2002, cit., in cui si sostiene che «il riordino può
investire anche le disposizioni di natura sostanziale, come si desume in primo
luogo dall’ampiezza dei criteri direttivi i quali - richiamando la
necessità dell’armonizzazione dello sparso e confuso quadro
normativo del settore de quo - postulano un intervento sulle norme
preesistenti volto a rendere la relativa disciplina più coerente nel suo
complesso, in sintonia con l’evolversi dei princìpi generali, con
il diritto vivente creato dalla giurisprudenza costituzionale e di
legittimità, nonché con l’evolversi dei valori
dell’ordinamento». Ad avviso del Consiglio di Stato, inoltre,
«indubbiamente depongono per la configurazione di un testo unico
sostanzialmente innovativo anche la fissazione di un termine finale per
l’emanazione nonché la previsione di una procedura particolarmente
articolata, che evidentemente risulterebbe superflua nel caso di testo unico
meramente compilativo». Successivamente, la Corte ha, inoltre, ribadito
il principio da essa affermato in più occasioni, secondo cui
l’art. 76 Cost. «non osta all’emanazione di norme che
rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle
scelte espresse dal legislatore delegante; va escluso, infatti, che le funzioni
del legislatore delegato siano limitate ad una mera “scansione
linguistica” delle previsioni dettate dal delegante, essendo consentito
al primo di valutare le situazioni giuridiche da regolamentare e di effettuare
le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di
“riempimento” che lega i due livelli normativi, rispettivamente,
della legge di delegazione e di quella delegata»: così Corte
cost., sent. n. 174 del
[71]
Cfr. V. Angiolini, Testo unico,
cit., 528, nonché F. Puleio,
Sulla competenza, cit.,
[72] V., al proposito, L. Carlassare, Sulla natura giuridica, cit., 96.
[73] Cfr. Cass., S.U., 14 luglio 2004, Pangallo, cit.; Id., S.U. 30 giugno 2004, p.m. in proc. Turrisi, cit.; Id., S.U., 25 febbraio 2004, p.m. in proc. Lustri, cit.
[74]
Così Corte cost., sent. n. 212 del
[75] V. Corte cost., sent. nn. 52 e 53 del 2005, cit., in cui si richiama il princìpio generale introdotto dal d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) secondo il quale la cognizione del giudice monocratico è la regola, mentre quella del giudice collegiale costituisce un’eccezione. Sull’istituzione del giudice unico di primo grado v., per tutti, Aa. Vv., Commento alla normativa delegata sul giudice unico, a cura di M. Chiavario ed E. Lupo, I e II, Torino 2000, passim.