Università
di Sassari
Sommario: Premessa.
– 1. La causa in
generale nei negozi giuridici: una linea di continuità fra diritto
romano e diritto europeo. – 2. Causa della societas: dalla fraternità al
consenso dei soci. – 3. Bilateralità
della societas e condizione eguale
dei soci. – 4. La
questione della personalità giuridica della società: una visione
(anche) di ius publicum. – 5) Tensioni non risolte nel
nuovo diritto societario: una lettura romanistica. A) Le due tensioni
fondamentali. B) La societas europea.
C) La società unipersonale nel nuovo diritto societario.
Nella dottrina romanistica e
civilistica dell’ultimo secolo è possibile riscontrare con
frequenza l’osservazione secondo cui lo stato del dibattito scientifico
sulla causa[1]
del negozio giuridico[2]
risulta «tutt’altro che soddisfacente»[3].
Per fare solo qualche esempio
fra i tanti, si consideri che già nel secolo scorso Pietro Bonfante
osservava che la causa «costituisce il problema più discusso e
più indecifrabile della dottrina moderna del diritto, il campo preferito
delle elucubrazioni metafisiche e della psicologia giuridica»[4].
Tale osservazione era in diverso modo condivisa da alcuni dei più
autorevoli civilisti della prima metà del ’900 – Francesco
Ferrara[5],
Enrico Redenti[6],
Salvatore Pugliatti[7],
a tacer d’altri – fra i quali si registra un certo scetticismo
sulla utilità reale e sulla precisione scientifica del concetto di causa[8].
Con particolare riferimento alla polisemia del termine causa nel linguaggio giuridico romano[9]
e di riflesso nel linguaggio giuridico medievale[10]
e odierno[11],
si è giunti a parlare di ambiguità o addirittura di
inutilità della nozione di causa[12].
Si è anche parlato della causa come di un concetto misterioso[13].
Si è quindi detto, efficacemente, che nei confronti della causa si
registra o “venerazione” o “sconcerto”[14].
Si è infine discusso della «crisi del concetto di causa»[15].
Si va dunque diffondendo, negli ultimi decenni, la considerazione che la
nozione di causa non sia da intendere in senso unitario[16].
In breve: è divenuto un luogo comune rilevare quanto gravi siano le
perplessità legate alla nozione di causa[17].
Non è certo questa la sede per una analisi generale
delle ragioni della insoddisfazione di un dibattito scientifico ormai secolare
su una nozione, che attraverso la categoria del negozio giuridico continua a
costituire un “pilastro” del sistema giuridico[18].
Tanto più che in materia, anche di recente, si è scritto molto[19].
Con il presente contributo, mi propongo di enunciare e di
tentare di dimostrare sinteticamente la tesi che una analisi della societas, condotta attraverso la
prospettiva della causa, conferma non solo la utilità della nozione
stessa di causa, ma anche consente di prendere in esame, utilmente e
diversamente, principi e concetti, che trascendono la pretesa contrapposizione
fra ius privatum e ius publicum, per essere propri
dell’intero sistema giuridico[20].
Il vero problema della disciplina giuridica relativa al contratto, come ha
osservato Gerardo Broggini, è ancora quello del limite alla
«utilizzazione della volontà privata» e
all’«autonomia della volontà» e dunque quello della
«unità e inscindibilità del diritto pubblico e del diritto
privato»[21].
Obiettivi di una lettura della causa della societas, condotta attraverso i due
piani congiunti del ius privatum e
del ius publicum, sono quindi, da un
lato, relativi specificamente alla nozione di causa e, dall’altro,
relativi più in generale all’intero sistema giuridico romano.
Con riferimento specifico alla causa,
attraverso una lettura (che chiamerei congiunta) della societas emerge, in maniera più evidente di quanto avvenga
per altri contratti, il tema fondamentale sotteso ad ogni discorso relativo
alla causa, vale a dire la «rispondenza degli spostamenti patrimoniali a
scopi utili non solo all’individuo ma anche alla società»[22]
e quindi il rapporto, altrettanto fondamentale, tra gli atti di autonomia
privata e il sistema giuridico nel quale tali atti si esprimono[23].
Con riferimento più
generale al sistema giuridico romano, una lettura congiunta, se da un lato,
permette di cogliere le differenze ed anche le analogie, intese nel senso di
una comune base fattuale, tra le societates come fenomeno contrattuale e
le diverse forme associative[24],
si pensi fra l’altro ai collegia[25]
e alle sodalitates[26],
dall’altro, permette, in una visione ancora più ampia, di leggere altri
concetti e istituti giuridici fondamentali in un quadro unitario. Si pensi, fra
l’altro, alle nozioni di populus[27],
di res publica[28],
di civitas[29]
e di coniugium[30],
dalla cui comprensione, peraltro, potrebbero derivare nuove e interessanti
letture della stessa societas.
Con riferimento al sistema
giuridico romano è diffusa in dottrina la tesi che la causa venisse in
considerazione fra i giureconsulti al fine di valutare il negozio e gli assetti
di interessi sottostanti in funzione della meritevolezza della tutela[31].
È noto che
l’attenzione della più recente dottrina romanistica italiana per
le problematiche connesse alla nozione di causa è stata favorita da un
rinnovata attenzione in particolare per gli aspetti connessi alla
sinallagmaticità nel sistema contrattuale romano. Basti qui ricordare le
discussioni, anche molto accese, sul frammento di Ulpiano in tema di sun£llagma[32]:
D. 2,14,7,2 (Ulpianus libro quarto
ad edictum): Sed et si in alium contractum res non transeat,
subsit tamen causa, eleganter Aristo Celso respondit esse obligationem. ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam
dares, dedi ut aliquid facias: hoc sun£llagma esse et hinc nasci civilem
[obligationem] <actionem>. et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano
reprehensum in hoc: dedi tibi Stichum, ut Pamphilum manumittas: manumisisti:
evictus est Stichus. Iulianus scribit in factum actionem a praetore dandam:
ille ait civilem incerti actionem, id est praescriptis verbis sufficere: esse
enim contractum, quod Aristo sun£llagma dicit, unde haec nascitur
actio.
Si tratta di un frammento sul
quale esiste una letteratura vastissima che qui non possiamo prendere in esame.
Mi limito a rilevare che in dottrina, penso soprattutto agli studi di Alberto
Burdese[33],
si è ritenuto di scorgere nella causa, su un piano generale, oltre «all’aspetto funzionale
della medesima, rappresentato dal complessivo intento delle parti diretto a uno
scambio reciproco di prestazioni corrispettive», un «elemento
strutturale della fattispecie contrattuale» da identificare nella
esecuzione di una delle prestazioni[34].
Su un piano più specifico, in dottrina, mi riferisco anzitutto agli
studi di Filippo Gallo[35],
risolutivi di molti problemi in tema
di sun£llagma, si è creduto di potere identificare la causa nella datio, da intendere come esecuzione
della prestazione che giustifica la pretesa volta a ottenere la
controprestazione. In particolare, si è detto che a differenza di Labeone,
il quale nel sun£llagma coglie l’aspetto essenziale della
“corrispettività”, Aristone fa emergere «la funzione
riequilibratrice»[36].
Nella giurisprudenza romana
è dunque presente una nozione di causa come «interesse
concretamente perseguito», che, come è stato correttamente
osservato[37],
consente di individuare una linea di continuità con la più
recente dottrina civilistica la quale tende a riconoscere nella causa la
sintesi degli interessi delle parti. La dottrina italiana, un tempo influenzata
dalle suggestioni che le derivavano dalla dottrina civilistica anglosassone
della consideration[38],
nell’insistere oggi sulla corrispettività o sullo scambio e dunque
sulla sintesi fra l’interesse concretamente perseguito e
l’interesse individuale delle parti o se si preferisce sull’assetto
di interessi conseguente alla struttura contrattuale impiegata (C. Massimo
Bianca[39],
G.B. Ferri[40]
e Rodolfo Sacco[41]),
appare in linea con la concezione romana della causa come sintesi di interessi
delle parti, soprattutto quando la causa viene concepita non più come
elemento astratto, ma come espressione concreta della
“composizione” e dell’“equilibrio” degli
interessi che le parti perseguono[42].
Il tema della causa costituisce
quindi una occasione importante di confronto fra i romanisti e gli altri
giuristi in vista di una riconsiderazione della funzione del diritto romano
nella formazione del giurista e quindi, in definitiva, nelle fasi fondamentali
in cui il diritto si esplica della interpretazione, produzione e applicazione[43].
In questo senso, la nozione di causa è anche un laboratorio da cui
possono derivare spunti importanti di riflessione per la formazione del diritto
europeo[44].
È affermazione largamente condivisa in
dottrina quella secondo cui il contratto consensuale di societas[45]
abbia «origini differenziate»[46].
Si ritiene che il contratto consensuale di societas
debba essere ricondotto non solo all’antico consortium ercto non cito, ma anche a esperienze associative
diverse, connesse più che altro a necessità derivanti dalla
prassi dei rapporti internazionali che ricevono tutela attraverso i iudicia
bonae fidei nell’ambito della iurisdictio peregrina,
attorno al III secolo a.C., per poi trovare espressione, sul piano interno, a
partire dal II secolo a.C.[47].
Non è possibile qui soffermarci
sulle congetture assai complesse che sono state formulate sulla origine del
contratto consensuale di società e sulle connessioni di esso con il consortium ercto non cito[48].
Vorrei solo richiamare brevemente un elemento di continuità, sul quale
le fonti insistono, tra il consortium
e la societas consensuale. Si tratta
della fraternitas, elemento che nella
prospettiva che si è delineata in apertura del discorso costituisce una
chiave di comprensione delle dinamiche societarie.
Gaio, è noto, definisce il consortium
ercto non cito, che nasceva fra i sui heredes
quando moriva il pater familias, come una forma di societas legitima e naturalis:
Gai. 3,154: Item si cuius ex sociis bona publice aut privatim venierint, solvitur
societas. Sed ea quidem societas, de qua loquimur, id est quae nudo consensu
contrahitur, iuris gentium est, itaque inter omnes homines naturali ratione
consistit. Est autem aliud genus societatis proprium
civium Romanorum. Olim enim mortuo patre familias inter suos heredes quaedam erat legitima simul et naturalis societas, quae appellabatur ercto non cito, id est dominio non diviso: erctum enim dominium est, unde erus dominus dicitur; ciere autem dividere est: unde caedere et secare et dividere dicimus. Alii quoque qui volebant eandem habere societatem, poterant
id consequi apud praetorem certa legis actione. In hac autem societate fratrum
ceterorumve qui ad exemplum fratrum suorum societatem
coierint, illud proprium erat, quod vel unus ex sociis communem servum manumittendo liberum
faciebat et omnibus libertum
adquirebat: item unus rem communem mancipando eius faciebat, qui mancipio accipiebat …
Si tratta di una qualificazione con la quale il giurista intende
indicare che il consortium, regolato
nelle XII Tavole, risponde ad «esigenze ed effetti di natura» senza
che per la sua costituzione sia necessario un atto specifico, «ravvisando
in ciò una certa analogia (ben lontana dalla identificazione) con quella
naturalis ratio a cui s’ispira il contratto consensuale»[49].
La fraternitas che
giustifica il permanere della unità del gruppo rende il rapporto non
semplicemente di natura economica. La edificazione del consortium sulla base del vincolo naturale di fraternitas spinge a ritenere, come nota Mario Bretone, che, nella
descrizione che di esso fa Gaio, «il paradigma della comproprietà
si riveli, alla fine, insufficiente ad esprimere l’intera realtà
giuridica dell’istituto arcaico»[50].
È in forza di tale vincolo che si può spiegare l’ampiezza
di poteri riconosciuti a ciascuno dei fratres
in relazione al patrimonio familiare[51].
L’uso della espressione aliud genus societatis per il consortium in giustapposizione alla societas
quae nudo consensu
contrahitur rivela che per
Gaio i due piani della communio e della societas rimangano
distinti sul piano della struttura, pur essendo per lui ammissibile un
accostamento di tipo funzionale fra l’una e l’altra situazione
giuridica.
Il vincolo di fraternitas,
da presupposto naturale, è parte essenziale della soluzione giuridica
che consente il funzionamento del consortium e giustifica dunque
l’accostamento tra consortium e societas consensuale[52].
Gli sviluppi successivi al consortium
ercto non cito sono molto controversi. Non è possibile lasciarsi
andare soprattutto in questa sede a congetture che richiederebbero uno sviluppo
più esteso e comunque di difficile verifica[53].
Si può, però, continuare a rimanere in tema di fraternitas
per osservare che è ad essa che i giuristi romani si richiamano per
consentire anche a soggetti non legati da tale vincolo naturale di perseguire
comuni obiettivi, corrispondenti a quelli a cui si poteva mirare
nell’originario consortium ercto non cito[54].
Credo che in una prima fase la forza del modello dell’antico
consorzio fra i fratres comportasse
che anche il corrispondente vincolo che
si instaurava, in forza di una certa
legis actio, tra soggetti che non erano sui
heredes, fosse ispirato alla fraternitas.
La forza del vincolo della fraternitas
continua, inoltre, a ispirare le nuove esperienze societarie che andavano
formandosi non più sulla base della semplice relazione familiare, ma in
conseguenza della prestazione del consenso.
Come è noto, i
giureconsulti romani riconoscono tale nesso, quando in tema di società
consensuale, ad esso riconducono il beneficium competentiae[55]:
D. 17,2,63 pr.
(Ulpianus libro trigensimo
primo ad edictum): Verum
est quod Sabino videtur, etiamsi non universorum bonorum socii sunt, sed unius
rei, attamen in id quod facere possunt quodve dolo malo fecerint quo minus
possint, condemnari oportere. hoc enim summam rationem habet, cum societas ius
quodammodo fraternitatis in se habeat.
Nella causa del contratto del societas, in cui si evidenziava
l’impegno dei soci «a mettere in comune beni ed attività
allo scopo di dividerne secondo una proporzione prestabilita i profitti e le
perdite»[56],
come già nell’assetto di interessi connesso all’antico consortium, il riferimento alla fraternitas, lungi dall’apparire
un richiamo meramente formale, giustificava l’adozione di soluzioni
concrete.
Si tende in dottrina a mettere in rilievo che
l’obbligo dei conferimenti non comportava sempre e necessariamente la
costituzione di un patrimonio comune per la realizzazione degli obiettivi
societari[57].
Si deve però tenere conto, come è stato da ultimo rilevato da
Mario Talamanca, che proprio nella societas
omnium bonorum, la quale rappresenta la «trasposizione del consortium ercto non cito sul piano
della societas consensu contracta
… si costituiva, automaticamente, un condominio fra i vari socii avente ad oggetto le cose in
proprietà degli stessi al momento della conclusione del contratto»[58].
Nel perseguimento di uno scopo sociale, comune ai soci, la
linea di continuità tra la societas
consensuale e l’antico consortium
si rafforza, pur nelle differenze specifiche connesse alla elaborazione storica
differente tra i due istituti, anche quando la costruzione del rapporto sociale
dal piano naturale si sposta su quello indotto dal consensus.
Si tratta di un consensus
che le fonti riconducono a un rapporto di fraternitas.
Preferisco quindi non contrapporre in maniera eccessiva la fraternitas al consensus,
perché fra l’una e l’altra dimensione costitutiva del
rapporto sociale vi è ancora una relazione precisa anche quando il consortium tenderà a essere
soppiantato dalle forme più articolate della società consensuale[59].
Direi anzi che in seno alla societas
consensuale si tratta di un rapporto ancora più fraterno, come solo
può essere il rapporto tra soggetti estranei che attraverso il consenso
manifestino il proposito non semplicemente di gestire beni in comune ma di
raggiungere un obiettivo comune.
Nella creazione del patrimonio comune i soci si prefiggono
con il loro consenso uno scopo sociale, il raggiungimento del quale è
possibile attraverso la sintesi delle utilità individuali. In tale
sintesi, in definitiva, sta la concreta disposizione degli interessi delle
parti, e dunque il funzionamento della causa, nei termini elastici che si
è cercato di descrivere.
Il contratto di societas dà quindi vita a un
rapporto caratterizzato dalla continua collaborazione che preclude alle parti
di perseguire egoisticamente un interesse[60].
La societas non è
neppure configurabile nel caso in cui il fine sociale non sia comune alle parti[61].
Il principio è noto. Basti qui richiamare il celebre brano di Ulpiano,
in cui si riporta la opinione di Giuliano[62]
in merito al caso di quei due proprietari di fondi che si erano messi
d’accordo per acquistare un fondo confinante con i loro terreni:
D. 17,2,52 pr. (Ulpianus libro trigensimo primo ad edictum): Cum duobus vicinis fundus
coniunctus venalis esset, alter ex his petit ab altero, ut eum fundum emeret,
ita ut ea pars, quae suo fundo iuncta esset, sibi cederetur: mox ipse eum fundum
ignorante vicino emit: quaeritur, an aliquam actionem cum eo vicinus habeat.
Iulianus scripsit implicitam esse facti quaestionem: nam si hoc solum actum
est, ut fundum Lucii Titii vicinus emeret et mecum communicaret, adversus me
qui emi nullam actionem vicino competere: si vero id actum est, ut quasi
commune negotium gereretur. societatis iudicio tenebor, ut tibi deducta parte
quam mandaveram reliquas partes praestem.
I termini dell’accordo erano che uno acquistasse per
poi trasferire all’altro la parte confinante col proprio fondo. Solo che,
una volta effettuato l’acquisto, il compratore aveva tenuto per sé
tutto il terreno. Giuliano, chiamato a dare la propria opinione sul caso,
riteneva di dovere distinguere facendo riferimento all’id quod actum est per valutare se le
parti si erano accordate perché uno acquistasse e poi cedesse
all’altro la parte contigua al proprio fondo oppure si erano accordate
perché l’acquisto fosse fatto in comune. Nella prima ipotesi non
vi sarebbe stata possibilità di pretendere l’adempimento
dell’impegno preso. Nella seconda ipotesi, invece, sarebbe stato
possibile ricorrere all’actio pro
socio sulla base del presupposto che il proposito di un acquisto in comune
poteva essere ricondotto alla societas.
La bilateralità del contratto di societas si differenzia in modo evidente
dalla bilateralità degli altri contratti, quali in particolare la
compravendita e la locazione. Si deve ricordare, anzitutto, il carattere
tendenzialmente omogeneo delle obbligazioni a carico delle parti del contratto
di societas, a differenza del
carattere eterogeneo delle obbligazioni poste a carico delle parti di un
contratto di compravendita o di locazione.
Sul piano concreto della causa, come
equilibrio degli interessi contrattuali, è importante osservare la
natura tendenzialmente uguale della posizione delle parti, che sono appunto
definite tutte con lo stesso nome di socii.
Con la compravendita, come è noto, nascono azioni diverse, l’actio empti e l’actio venditi, per le parti, che sono quindi in una posizione
contrapposta in modo che anche nominalmente la condizione di una parte è
distinta dall’altra: l’emptor
e il venditor. Con la locazione, poi,
sono concesse azioni diverse, l’actio
locati e l’actio conducti, per le parti, anch’esse
in una posizione contrapposta, in modo che anche in questo caso la condizione
di una parte è tenuta distinta dall’altra: locator e conductor.
Nella societas, invece, la condizione
di eguaglianza dei socii è
affermata processualmente nel riconoscimento della medesima azione, l’actio pro socio, per tutte le parti[63].
Questa eguaglianza dei soci trae origine,
nella realtà della società consensuale, non da un presupposto
esterno ai soci, qual è un rapporto parentale, ma dalla espressione del
loro consensus che ci appare
storicamente determinato, sempre attraverso la mediazione del vincolo della fraternitas, al perseguimento di uno
scopo comune fra le parti. I soci non più in condizione eguale per natura
scelgono di essere in una condizione di eguaglianza per volontà.
La causa della societas si esprime
dunque nella concreta relazione che si instaura fra i socii in vista del
perseguimento di uno scopo comune, tale da arrecare per tutti, una volta conseguito,
una utilità altrettanto comune. Nella ricerca del lucrum le parti
utilizzano uno strumento – la societas – che consente di
amplificare le loro forze al di là della semplice somma aritmetica delle
capacità singole, ottenendo per esse, in virtù di questa
amplificazione, un guadagno ulteriore commisurato alla capacità di
superare la utilità individuale per perseguire, attraverso la ricerca
del bene comune, anche la propria utilitas.
Dal piano del ius privatum occorre ora spostarsi a quello del ius publicum.
La elaborazione di una nozione di societas, in cui i soci si prefiggono il
conseguimento della propria utilitas
attraverso il perseguimento della utilitas
comune, è una idea rivoluzionaria della scienza giuridica romana. Come
ha osservato Giovanni Lobrano, la societas
costituisce la risposta antica alla
questione giuridica fondamentale della considerazione unitaria degli atti
compiuti da una pluralità di persone[64].
La idea di societas, che dal piano del ius
privatum si trasfonde su quello del ius publicum, nella nozione di populus (Cic. rep. 1,25,39) e in quella connessa di civitas (Cic. rep.
1,32,49)[65],
è anche alla base di una progressione in cui sono delineati, secondo un
fondamento di ius naturale[66],
i termini sociali, considerati principium urbis e il seminarium
rei publicae, che dal coniugium conducono alla societas hominum:
Cic. off. 1,17,53-54:
Gradus autem plures sunt societatis hominum. Ut enim ab illa infinita
discedatur, proprior est eiusdem gentis, nationis, linguae qua maxime homines
coniunguntur; interius etiam est eiusdem esse civitatis: multa enim sunt
civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia,
suffragia, consuetudines praeterea et familiaritates multisque cum multis res
rationesque contractae. Artior vero colligatio est societatis propinquorum; ab
illa enim immensa societate humani generis in exiguum angustumque concluditur.
54 Nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi,
prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus,
communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae.
Questa idea, che negli sviluppi successivi
a Giustiniano del ius romanum,
irrompe con una forza tale da costituire uno dei principali fattori di
innovazione giuridica, alimenta, nel medioevo, la formazione storica del Comune
in cui, a ben vedere, la linea di continuità con il municipio romano si
evince nella ricerca del bene comune fra i cives[67].
La soluzione moderna della considerazione
unitaria degli atti compiuti da una pluralità di persone è,
invece, la costruzione di una categoria giuridica, la persona ficta vel repraesentata, la cui elaborazione si fa
risalire, come è noto, nel XIII sec., a Sinibaldo dei Fieschi, Papa
Innocenzo IV. Alla costruzione della persona giuridica si richiama la idea del
Leviatano, dello Stato-persona, nel XVII sec., elaborata da Thomas Hobbes,
secondo il quale la natura umana egoista è protesa verso la propria
utilità individuale. Il riconoscimento di tale natura conduce,
necessariamente, alla esclusione della partecipazione dei cittadini, in quanto
incapaci a perseguire la utilità pubblica, dal processo di formazione
della volontà pubblica e, quindi, alla necessità di un
«sovrano altro dal ‘popolo dei cittadini’»: il
Leviatano[68].
L’idea di societas, nonostante la elaborazione della categoria
della persona giuridica, si mantiene e si perfeziona nel medioevo.
Nell’impiego concreto della nozione ad essa collegata della utilitas,
i confini tra il ius publicum e il ius privatum prendono
però a intorbidirsi e il concetto di utilitas inizia a riflettere
non la «dialettica tra interesse pubblico e interesse privato» ma
tende a irrigidirsi in quella che sempre più appare una contrapposizione
fra l’una e l’altra partizione[69].
Nonostante le suggestioni che
all’interprete moderno possono derivare dal diritto positivo, in cui
è sempre più evidente la tendenza ad attribuire alla
società una vera e propria personalità giuridica, considerare la
origine storica differente delle due soluzioni e il loro carattere antitetico[70]
serve anche per negare la possibilità di identificare un interesse della
società distinto da quello dei soci[71].
A) Le due tensioni fondamentali
Nel nuovo diritto societario dei paesi
membri della Unione Europea sono presenti alcune tensioni di fondo non risolte.
La prima tensione si avverte in ragione
della tendenza a innestare sulla società
consensuale la categoria di persona giuridica, apparentemente senza
avvertire l’inconciliabilità delle due soluzioni: antica
l’una, la società, e moderna l’altra, la persona giuridica[72].
La seconda tensione si avverte in ragione
della tendenza ad ammettere che la società sia istituita anche per
volontà di un solo costituente mediante un atto unilaterale: è la
cosiddetta società unipersonale, in cui è evidente una
contraddizione in termini, non essendo concepibile una società senza appunto una pluralità di
soci[73].
B) La societas
europaea
Il regolamento comunitario n. 2157/2001,
entrato in vigore l’8 ottobre 2004 negli Stati membri dell’Unione
Europea[74],
contiene la disciplina della Societas europaea,
una entità societaria riconducibile alla forma della società per
azioni. La istituzione di tale entità societaria si caratterizza per la
la partecipazione dei lavoratori alla gestione della impresa. Si è dunque
garantita ai lavoratori la possibilità di influire sulle decisioni da
adottare all’interno della società[75].
Il coinvolgimento dei lavoratori rafforza
il quadro di continuità fra la nuova entità societaria e la societas romana. L’impiego del
nome Societas europea, inoltre, pone in linea questa forma societaria con la
nozione romana di societas, in una
chiave di recupero della tradizione giuridica europea.
La struttura della Societas europea, invece, è quella di una società di
capitali per azioni dotata di personalità giuridica, che si acquista con
la iscrizione in un registro indicato dalla legge dello Stato in cui è
la sede della società[76].
I componenti degli organi societari, inoltre, possono essere anche
società o altre «entità giuridiche», se ciò
non sia vietato dalla legislazione dello Stato membro della sede sociale della Societas europaea[77].
Essa, anche nella forma di società unipersonali, può dar vita ad
un’altra Societas europaea
affiliata[78].
Con la societas
europea, quindi, da un lato ci si
pone lungo una linea di continuità con la soluzione antica della societas consensuale, e dall’altro
ci si allontana da tale continuità per richiamarsi alla soluzione
moderna della persona giuridica.
C) La società
unipersonale nel nuovo diritto societario
Con la recente riforma del
diritto societario, in Italia, si è diffuso in dottrina un indirizzo
secondo il quale le società di persone e di capitali, in quanto dotate
di un nome, di una sede, di un patrimonio e di una capacità negoziale e
processuale siano, per ciò stesso, da considerare persone giuridiche.
Con la riforma, inoltre, il
contratto non è più l’unica fonte della società. Due
tipi di società, quello a responsabilità limitata e ora anche
quello per azioni, possono essere istituiti anche per volontà di un solo
costituente (artt. 2328, comma 1, 2463, comma 1, cod. civ., nel testo novellato
dal d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 6) mediante un atto unilaterale, simile a quello
che può dare vita a una fondazione. Si viene così a rompere una
tradizione giuridica secolare richiamata nella nozione di società di cui
all’art. 2247 cod. civ.: «Con il contratto di società due o
più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune
di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili».
Nella definizione del contratto
di società emerge non il fine di lucro o la personalità
giuridica, ma l’accordo delle parti finalizzato all’esercizio in
comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Richiamare il valore che nella tradizione secolare ha assunto il contratto di
società significa ricercare nell’interesse comune dei soci il
criterio fondamentale di composizione dei conflitti e respingere la tesi
secondo cui la società è di per sé una persona giuridica e
quindi una istituzione diversa dai soci.
[1] Sulla causa del negozio giuridico, nel
diritto romano, si vedano: P. Bonfante,
“Il contratto e la causa del contratto”, in Rivista di
diritto commerciale, 6, 1908, 115 ss. (=Id., Scritti giuridici varii, III, Obbligazioni,
comunione e possesso, Torino 1926, 125 ss.); V. Georgescu, “Le mot causa dans le latin juridique. Introduction à
la théorie générale de la cause en droit romain”, in
Id., Etudes de philologie
juridique et de droit romain, I, Les rapports
de la philologie classique et du droit
romain, Bucarest-Paris 1940, 127 ss.; Id.,
“Causa, contractus, conventio. Contribution à la théorie
générale du contrat en droit romain”, ibidem, 309 ss.; C.A. Maschi,
“Volontà tipica e volontà individuale nei negozi ‘mortis
causa’”, in Scritti in onore di Contardo
Ferrini, 1, Milano 1947, 317 ss.; E.
Betti, “‘Causa’ (Diritto romano)”, in Novissimo
Digesto Italiano, III, Torino 1959, 30 ss.; E. Cortese, “Causa (Diritto
intermedio)”, in Enciclopedia del
diritto, VI, Milano 1960, 535 ss.; G.
Grosso, “Causa del negozio giuridico (Diritto romano)”, in Enciclopedia
del diritto, VI, Milano 1960, 532 ss. (=Id., Scritti storico giuridici, III, Diritto privato
Persone Obbligazioni Successioni, Torino 2001, 684 ss.); J.L. Barton, “Causa promissionis
again”, in Tijdschrift voor
Rechtsgeschiedenis, 34, 1966, 41 ss.; A.
Diaz Bialet, “La ‘causa’
en el derecho romano como principio de la ciencia del derecho”, in Studi
in onore di Edoardo Volterra, I, Milano 1971, 365 ss.; M. Beck-Mannagetta,
“Geschaftsgrundlage, Voraussetzung und ‘causa’”, in Index, 3, 1972, 514 ss.; Y. Thomas, Causa: sens et fonction
d’un concept dans le langage du droit romain, Thèse, Paris
1976; B. Albanese, Gli atti
negoziali nel diritto privato romano,
Palermo 1982, 243 ss.; A. Palma, “Vicende
della ‘res’ e
permanenza della ‘causa’,
in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, III, Napoli
1984, 1489 ss.; G. Hanard,
“La cause dans les contrats: données romaines et codes civils
français et allemand”, in Droit romain et identité
européenne. Actes du colloque organisé
les 12, 13 et 14 mai 1992 (=Revue
internationale des droits de l’Antiquité, Supplément au Tome XLI, 1994, 103
ss.); C. Argiroffi, “Causa
ed effetti reali del contratto”, in Aa.Vv.,
Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica,
II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 (a cura di L. Vacca), Torino 1997, 427 ss.; G. Broggini, “Causa e
contratto”, ibidem, 9 ss.; C.A. Cannata, “Contratto e causa
nel diritto romano”, ibidem, 35
ss.; R. Knütel, “La
causa nella dottrina dei patti”, ibidem,
131 ss.; R. Santoro, “La
causa delle convenzioni atipiche”, ibidem,
85 ss.; G. Gerez Kraemer,
“El requisito de la perpetua causa”,
in Revue internationale des droits de l’Antiquité, 45, 1998, 229 ss.; A. Palma, “Note critiche sul concetto di causa”,
in Roma e America diritto romano comune,
12, 2001, 321 ss.; T. Dalla Massara,
Alle origini della causa del contratto.
Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza
classica, Padova 2004,
26 ss., alla cui ampia e approfondita analisi delle problematiche connesse alla
causa si rinvia anche per la dottrina civilistica.
[2] In generale, sul negozio giuridico e sul
contratto, nel sistema giuridico romano, per un primo esame, si vedano: V. Georgescu, “Causa, contractus,
conventio. Contribution à la théorie
générale du contrat en droit romain” cit., 309 ss.; P. Voci, La dottrina romana
del contratto, Milano 1946; B.
Biondi, Contratto e stipulatio, Milano 1953; P. Fuenteseca, “Los sistemas
expositivos de las obligaciones contractuales en la jurisprudencia romana y la
idea de contractus”, in Anuario de historia del derecho
español, 23, 1953, 539 ss.; G. Grosso, Il sistema romano dei
contratti, Torino 1963; Id.,
“Divagazioni di un romanista sulla dottrina generale del
contratto”, in Studi in onore di Paolo Greco, I, Padova 1965, 3
ss. (=Id., Scritti storico
giuridici, III, Diritto privato Persone Obbligazioni Successioni
cit., 717 ss.); B. Albanese,
“Agere, gerere e contrahere in D.
50.16.19. Congetture su una definizione di Labeone”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 38, 1972, 189
ss. (=Id., Scritti giuridici,
II, Palermo 1991, 1113 ss.); G. Grosso,
“‘Contractus’ e sun£llagma nei giuristi romani”, in Scritti
in onore di Giuliano Bonfante, I, Brescia
1976, 341 ss. (=Id., Scritti
storico giuridici, III, Diritto privato Persone Obbligazioni
Successioni cit., 776 ss.); W.
Wolodkiewicz, “Contrahere - contractum -
contractus dans le droit romain classique”, in Aa.vV., Le droit romain et sa reception en Europe. Actes du colloque
organisé par
Per la letteratura relativa al negozio giuridico
nel diritto positivo si rinvia per tutti a: E.
Betti, “Negozio giuridico”, in Novissimo Digesto Italiano, XI, Torino 1965, 208 ss.; F. Galgano, “Negozio giuridico (Diritto
privato: Premesse problematiche e dottrine generali)”, in Enciclopedia
del diritto, XXVII, Milano 1977, 932 ss.; R. Scognamiglio, “Negozio giuridico: I) Profili
generali”, in Enciclopedia Giuridica, XX, Roma 1990, 1 ss.;
G.B. Ferri, “Negozio
giuridico”, in Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Civile,
XII, Torino 1995, 61 ss.
[4] Si veda P.
Bonfante, “Il contratto e la causa del contratto” cit., 115
(Id., Scritti giuridici varii,
III, Obbligazioni, comunione e possesso cit., 125).
[6] E.
Redenti, “La causa del contratto secondo il nostro codice”,
in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 4, 1950, 894 ss.
(=Id., Scritti e discorsi giuridici di mezzo secolo, II, Intorno al diritto sostanziale, Milano 1962, 69 ss.).
[7] S. Pugliatti,
“Nuovi aspetti del problema della causa dei negozi giuridici”, in In memoria di Giacomo Venezian (a cura
del comitato messinese della Dante Alighieri; con prefazione di F. Felicioni),
Messina 1934, 187 ss. (=Id., Diritto
civile. Metodo, teoria, pratica. Saggi, Milano 1951, 75 ss.); Id., “Precisazioni in tema di
causa del negozio giuridico”, in Nuova rivista di diritto commerciale,
1947, I, 13 ss. (= Id., Diritto
civile. Metodo, teoria, pratica. Saggi cit., 105 ss.
[8] Ulteriori indicazioni bibliografiche di tale
letteratura si trovano in M. Bessone -
E. Roppo, “La causa nei
suoi profili attuali. (Materiali per una discussione)”, in Aa.Vv., Causa e consideration (a cura di G. Alpa - M. Bessone), Padova 1984, 3
ss.
[9] Sulle diverse accezioni del termine causa
nel linguaggio giuridico romano si vedano per tutti: G. Grosso, “Causa del negozio giuridico (Diritto
romano)” cit., 532 (=Id., Scritti
storico giuridici, III, Diritto privato Persone Obbligazioni
Successioni cit., 684); B. Albanese,
Gli atti negoziali nel diritto privato
romano cit., 243 ss.; G. Broggini,
“Causa e contratto” cit., 11 ss.; T.
Dalla Massara, Alle origini della causa del
contratto. Elaborazione di un concetto nella
giurisprudenza classica
cit., 41 ss.
[10] Cfr. E.
Cortese, “Causa (diritto intermedio)” cit., 535 ss., il
quale osserva: «Nei primi secoli l’accezione del termine causa appare ondeggiante e rivela la
fluidità del concetto … Se da una parte tale polivalenza del
termine palesa la suggestione ch’esso dovette esercitare così da
renderne possibili le applicazioni più varie, dall’altra occorre
mettere in rilievo che il fenomeno fu certo facilitato da un uso non tecnico
della parola causa, la quale nel
linguaggio parlato volgarmente tendeva ormai a sostituire il vocabolo latino res e preparava l’italiano cosa: voci, appunto, generiche ed
ambigue».
[11] Cfr., per tutti, la sintesi di M. Giorgianni, “Causa (Diritto
privato)”, in Enciclopedia del diritto, VI, Milano 1960, 547 ss.,
con ampi ragguagli bibliografici, il quale rileva: «Chi si soffermi ad
esaminare il panorama offerto dalla dottrina italiana contemporanea della
causa, ne ricava l’impressione di un cantiere in fecondo movimento, nel
quale nuovi materiali affluiscono incessamentemente per alimentare lo sforzo di
costruzione di un edificio, che, pur poggiando su vetuste e solide fondamenta,
non riesce ad assumere ancora un netto contorno, malgrado la maestrìa
degli architetti e la pregiatezza dei materiali».
[12] Si veda A.
Palma, “Note critiche sul concetto di causa” cit., 321 ss.,
il quale ritiene che la causa sia un concetto inutile se riferito al contratto
perché il giudizio di ragionevolezza, nel quale si concentra in fondo la
“essenza” del concetto, viene già svolto dal
«parametro di liceità che è normativamente imposto» e
ambiguo perché di esso si fa applicazione in modo assai
“difforme”. Si veda, inoltre, A.
Guarino, Diritto privato romano cit., 366 ss. e nt.
23.1, il quale, reputando non opportuno fare riferimento alla
“terminologia” per ricostruire il significato romano della causa, propone di prestare attenzione al
«rilievo concretamente attribuito alla funzione dell’atto».
[13] P.G. Monateri,
“L’accordo nudo”, in Scintillae iuris. Studi in memoria di Gino Gorla, III, Milano 1994, 1976 nt. 42.
[14] Così G. Alpa, “Causa e contratto: profili attuali”, in
Aa.Vv., Causa e contratto
nella prospettiva storico-comparatistica, II Congresso
Internazionale ARISTEC, Palermo,
7-8 giugno 1995 cit., 257 ss.: «venerazione, come tutti gli istituti
che vantano una storia tanto risalente, sconcerto per
l’impossibilità di ridurlo ad una soglia di intellegibilità
e fruibilità accettabile, per la difficoltà di individuare un
comune denominatore di significati, per l’ambiguità degli usi
promossi da dottrina e giurisprudenza».
[15] Cfr. M.
Giorgianni, “Causa (Diritto privato)” cit., 547 ss., a cui
si rinvia per la letteratura.
[16] Cfr., ad esempio, G. Nicosia, Institutiones. Profili di diritto
privato romano cit., 245, il quale rileva che la dottrina ha
tentato di «costruire un concetto unitario di ‘causa’, quale
elemento essenziale appunto del ‘negozio giuridico’, ma con
risultati assai problematici». Sempre secondo il Nicosia, la nozione di
causa, alla quale si fa ad esempio riferimento nell’art. 1325 del codice
civile italiano, come requisito del contratto, vale a dire come elemento
essenziale la cui assenza provoca nullità (ex art. 1418 comma 2°),
non può essere posta sullo stesso piano della nozione di causa alla
quale si fa richiamo nell’art.
[17] In tal senso, ad esempio, da ultimo, si
vedano: I. Birocchi, Causa e categoria generale del contratto. Un
problema dogmatico nella cultura privatistica dell’età moderna. I.
Il Cinquecento, Torino 1997, 17 ss.; A.
Palma, “Note critiche sul concetto di causa” cit., 321; T. Dalla Massara, Alle origini
della causa del contratto. Elaborazione di
un concetto nella giurisprudenza classica
cit., 2.
[18] Cfr. M.
Giorgianni, “Causa (Diritto privato)” cit., 548: «la causa
non costituisce un prelibato concetto – riservato a una ristretta
categoria di savants – ma uno
dei pilastri più evidenti dell’ordinamento giuridico
privato».
[19] Per la dottrina romanistica rinvio, da
ultimo, all’ampia e molto approfondita analisi di T. Dalla Massara, Alle origini della causa
del contratto. Elaborazione di un concetto
nella giurisprudenza classica cit., 1 ss.
[20] Si tratta naturalmente di obiettivi ai
quali si può qui solo accennare, in vista di una trattazione più
ampia di quanto sia ora possibile.
[23] Cfr. in tal senso: A. Di Majo, “Causa del negozio
giuridico”, in Enciclopedia giuridica, VI, Roma 1988, 2, il quale,
con riguardo alla nozione di causa, osserva che «è un modo per
guardare complessivamente al ruolo degli atti di privata autonomia (contratti e
negozi) e al loro rapporto complessivo con gli interessi (individuali) delle
parti e al loro rapporto complessivo con gli interessi (individuali) delle
parti e con l’ordinamento». Si vedano inoltre: M. Nuzzo, Utilità sociale e autonomia privata, Milano 1974, 91 ss.; I.
Birocchi, Causa e categoria generale del contratto. Un problema dogmatico nella
cultura privatistica dell’età moderna. I. Il Cinquecento cit.,
24 ss.
[24] Sulla opportunità di distinguere
tra le società e le diverse forme associative si veda M. Talamanca, “Società
(Diritto romano)”, in Enciclopedia
del diritto, XLII, Milano 1990, 814 nt. 2, il quale osserva: «La
tendenza della dottrina moderna a non distinguere … tra figure che ai
nostri occhi – ma anche a quelli dei giuristi romani – erano
differenziate corrisponde, del resto, alla mancata diversificazione da parte
dei contemporanei».
[25] Sul fenomeno associativo nel mondo romano,
con particolare riferimento ai collegia
e alle sodalitates, per un primo
esame si vedano: U. Coli,
Collegia e sodalitates. Contributo allo studio dei collegi nel
diritto romano, Bologna 1913 (=Id.,
Scritti di diritto romano, I, Milano
1973, 1 ss.); F.M. De Robertis, Il diritto associativo romano. Dai collegi
della repubblica alle corporazioni del basso impero, Bari 1938; Id., Il fenomeno associativo
nel mondo romano. Dai collegi della repubblica
alle corporazioni del basso impero, Napoli
1955 (rist. an. Roma 1981); R. Orestano,
Il problema delle fondazioni in diritto
romano, I, Torino 1959, 82 ss.; Id.,
Il «problema delle persone
giuridiche» in diritto romano, I, Torino 1968, 101 ss.; F.M De Robertis, “‘Syndicus’. Sulla questione della rappresentanza processuale
dei ‘collegia’ e dei
‘municipia’”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris,
36, 1970, 304 ss. (=Id., Scritti varii di diritto romano, IV, Miscellanea, Bari 2000, 51 ss.); Id., Storia delle corporazioni e del
regime associativo nel mondo romano, I-II, Bari 1971; L. Cracco Ruggini, “Le
associazioni professionali nel mondo romano-bizantino”, in Aa.Vv., Artigianato e tecnica nella società dell’alto Medioevo
occidentale, Spoleto 2-8 aprile 1970 [Settimane di studio del Centro
italiano di studi sull’alto Medioevo, 18], Spoleto 1971, 59 ss.; Ead., “Collegium e corpus: la politica economica
nella legislazione e nella prassi”, in Aa.Vv., Istituzioni giuridiche e realtà politiche
nel tardo Impero. Atti di un incontro tra storici e giuristi, Firenze,
2-4 maggio 1974 (a cura di G.G.
Archi), II, Milano 1976, 63 ss.; A. Biscardi, “Rappresentanza sostanziale e processuale
dei ‘collegia’ in diritto
romano”, in Iura, 31, 1980, 1 ss. [(=Apollinaris, 63, 1990, 41 ss.) (=Aa.Vv., La persona giuridica collegiale in diritto romano e canonico. Aequitas romana ed aequitas canonica. Atti del III Colloquio (Roma 24-26 aprile 1980) e del IV
Colloquio (Roma, 13-14 maggio 1981), a cura di T. Bertone - O. Bucci,
Roma 1990, 41 ss.)]; F.M. De Robertis,
“La capacità giuridica dei collegi romani e la sua progressiva
contrazione”, in Sodalitas. Scritti
in onore di Antonio Guarino, III, Napoli 1984, 1259 ss. [(=Aa.Vv., La persona giuridica collegiale in diritto
romano e canonico. Aequitas romana ed
aequitas canonica cit., 31 ss.)
(=Id., Scritti varii di diritto romano, II, Storia del diritto Diritto pubblico Epigrafia giuridica, Bari 1987,
427 ss.)]; F. Salerno, “‘Collegia adversus rem publicam’?”,
in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio
Guarino, II, Napoli 1984, 615 ss. (=Index,
13, 1985, 541 ss.); P. Catalano, Diritto e persone. Studi su origine e attualità
del sistema romano, I, Torino
1990, 175 ss.; M.R. De Pascale, ‘Collegia in castris’. Associazionismo previdenziale /
assicurativo nell’esperienza romana, Napoli 1994; S. Randazzo, “I ‘collegia tenuiorum’, fra
libertà di associazione e controllo senatorio”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris,
1998, 64, 229 ss.; G. Moschetta,
“‘Collegium aquae’.
Un collegio tra pubblico e privato”, in Rivista di diritto romano, 5, 2005, estr., 1 ss.
[26] Sulle sodalites
si veda da ultimo per un quadro di insieme R.
Fiori, “Sodales. Gefolgshaften
e diritto di associazione in Roma arcaica (VIII-V sec. A.C.)”, in Aa.Vv., Societas-Ius. Munuscula di allievi a Feliciano Serrao, Napoli
1999, 101 ss.; F. Serrao, Diritto privato economia e società
nella storia di Roma, 1, Dalla
società gentilizia alle origini dell’economia schiavistica, 2
ed., Napoli 2006, 358 ss.
[27] Sulla definizione ciceroniana del populus come coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis comunione sociatus
(Cic., rep. 1,25,39) si veda
anzitutto G. Lobrano, Res publica
res populi. La legge e la limitazione
del potere, Torino 1996, 113 ss.; Id.,
“
[28] Sulla nozione di res publica, con
particolare riferimento alla definizione ciceroniana, oltre alla dottrina
indicata nella nota precedente, si vedano: A. Guarino,
“La formazione della ‘Respublica’
romana”, in Revue Internationale des Droits de l’Antiquité,
1, 1948, 95 ss.; G. Nocera,
“Res publica”, in Annali
della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia,
58, 1949, 5 ss.; F. Crosara,
“Respublica e respublicae cenni terminologici
dall’età romana all’XI secolo”, in Atti del Congresso Internazionale di diritto
romano e di storia del diritto, Verona 27-29 XI 1948 (a cura di G. Moschetti), IV, Milano 1953, 227
ss.; Id., “Concetto e
ideale dello Stato nel termine respublica secondo Cicerone”, in Ciceroniana,
1.2, 1959, 83 ss.; P. Catalano,
“Il principio democratico in Roma”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 28, 1962, 316 ss.; E. Berti, Il «De re publica» di Cicerone e il
pensiero politico classico, Padova 1963; T. JOSSA,
“L’‘utilitas rei publicae’ nel pensiero di
Cicerone”, in Studi Romani, 12, 1964, 269 ss.; C.M. Moschetti, Gubernare navem gubernare rem publicam. Contributo alla storia del
diritto marittimo e del diritto pubblico romano, Milano 1966, 124
ss.; H.P. Kohns, “Res
publica - res populi (zu Cic. rep. I 39)”, in Gymnasium,
77, 1970, 392 ss.; A. Guarino, La
democrazia a Roma, Napoli 1979; A. D’ors,
“Sobre el concepto ciceroniano de ‘res publica’”, in Revista
de estudios histórico-jurídicos, 8, 1983, 37 ss.; G. Mancuso, “Sulla definizione
ciceroniana dello Stato” cit., 609 ss.; Id.,
“Il concetto di costituzione nel pensiero politico greco-romano”
cit., 339 ss.; E. Lepore,
“Il pensiero politico romano del I secolo”, in Aa.Vv., Storia di Roma. 2. L’impero mediterraneo. I. La
repubblica imperiale (sotto la direzione di A. Schiavone), Torino 1990, 857 ss.; L. Perelli, Il pensiero
politico di Cicerone. Tra filosofia
greca e ideologia aristocratica romana, Firenze 1990, 17 ss.; G. Mancuso, “Potere e consenso
nell’esperienza costituzionale repubblicana” cit., 211 ss.; Id.,
Forma di Stato e forma di governo
nell’esperienza costituzionale greco-romana cit., 71 ss.; C. Carrasco Garcia, “Res publica come costituzione mista e
decemvirato: Polibio e Cicerone”, in Aa.Vv.,
Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli
Umanisti (a cura di M. Humbert),
Pavia 2005, 125 ss.
[29] Sulla nozione di civitas come iuris societas
gentium, in Cic., rep. 1,32,49,
si veda G. Lobrano, Res publica
res populi. La legge e la limitazione
del potere cit., 113 ss., il quale osserva che in “questa
ulteriore definizione di popolo si evidenzia, per altro, la essenziale
interrelazione tra la nozione di populus(-societas) e la nozione di civitas (città, diritto di
cittadinanza e, appunto, universitas
civium) già espressa da Cicerone sempre nel De republica: concilia
coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur (6.13.13; cfr.
1.32.49 quid est enim civitas nisi iuris
societas)”. Si veda, inoltre, M.P.
Baccari, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli
IV-VI cit., 53 ss.; G. Lobrano, “
[30] Sulla societas
coniugale, con particolare riguardo a D. 25.2.1 (Paul. 7 ad Sab.) in cui si parla di una societas vitae fra i coniugi, si vedano:
E. Volterra, Lezioni di diritto romano. Il matrimonio romano, Roma 1960-1961,
130 ss.; Id., “Matrimonio (Diritto
romano)”, in Enciclopedia del
diritto, XXV, Milano 1975, 754 nt. 62; G.
Lobrano, “Uxor quodammodo domina”: riflessioni su
Paul. D. 25,2,1, Sassari 1989, 54 ss.; R. Astolfi, Il
matrimonio nel diritto romano preclassico, 2 ed., Padova 2002, 103 ss. Id., Il matrimonio nel diritto romano classico, Padova 2006, 265 ss.
[32] Per lo stato della dottrina si veda da
ultimo T. Dalla Massara, Alle
origini della causa del contratto. Elaborazione
di un concetto nella giurisprudenza classica cit., 77 ss.
[33] Nella intensa produzione scientifica
dell’illustre romanista in tema di contratto si vedano: A. Burdese, “Ancora sul contratto
nel pensiero di Labeone (a proposito del volume di Raimondo Santoro)”, in Studia
et Documenta Historiae et Iuris,
51, 1985, 458 ss.; Id.,
“Sul riconoscimento civile dei c.d. contratti innominati”, in Iura,
36, 1985, 14 ss.; Id.,
“Ancora in tema di contratti innominati”, in Studia et Documenta
Historiae et Iuris, 52, 1986, 442 ss.; Id., “Osservazioni in tema di
c.d. contratti innominati”, in Estudios en homenaje al Profesor Juan
Iglesias con motivo de sus bodas de oro con la enseñanza (1936-1986), I, Madrid 1988, 127 ss.; Id., “Sul concetto di contratto e
i contratti innominati in Labeone” cit., 15 ss.; Id., “Recenti prospettive in tema di contratti”, in Labeo, 38, 1992, 200 ss.; Id., “Sulle nozioni di patto,
convenzione e contratto in diritto romano” cit., 41 ss.; Id., “I contratti
innominati”, in Aa.Vv., Derecho Romano de obligaciones. Homenaje al profesor José Luis
Murga Gener (coordinación e presentación J. Paricio), Madrid 1994, 63 ss.; Id.,
“Contrahere pacisci transigere”, in Labeo, 41, 1995, 101 ss.; Id., “In margine a D.
4.3.9.3”, in Seminarios Complutenses, 7, 1995, 27 ss.; Id., “Contratto e convenzioni
atipiche da Labeone a Papiniano”, in
Studia et Documenta Historiae et Iuris, 62, 1996, 515 ss.; Id., “Tra causa e tipo negoziale dal
diritto classico al postclassico in tema di transazione”, in Seminarios
Complutenses, 9-10, 1997-1998, 45
ss.; Id., “Ultime prospettive
romanistiche in tema di contratto”, in
Atti del II convegno sulla problematica contrattuale in diritto romano,
Milano 1998, 17 ss.; Id., “Su alcune testimonianze celsine”,
in Mélanges en l’honneur de Carlo Augusto Cannata, Bâle-Genève-Munich
1999, 3 ss.; Id.,
“Divagazioni in tema di contratto romano tra forma, consenso e causa”,
in Aa.Vv., ‘Iuris vincula’. Studi in onore di
Mario Talamanca, Napoli, 2001, 315 ss.
[35] Con riferimento alle problematiche
contrattuali, dell’illustre romanista torinese, oltre ai due corsi su
Synallagma e conventio nel contratto (sopra citati alla nt. 2), si veda anche: F. Gallo, “Eredità di Labeone
in materia contrattuale” cit., 41 ss.; Id.,
“Eredità di giuristi romani in materia contrattuale” cit., 123
ss. (=AA.VV., Le teorie contrattualistiche romane nella storiografia
contemporanea. Atti del Convegno di
diritto romano, Siena, 14-15 aprile 1989 cit., 3 ss.); Id., “Ai primordi del passaggio
della sillagmaticità dal piano delle obbligazioni a quello delle
prestazioni”, in Aa.Vv., Causa
e contratto nella prospettiva storico-comparatistica,
II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 cit., 63 ss.; Id., “‘Agere praescriptis verbis’ e editto alla luce delle
testimonianze celsine”, in Labeo, 44, 1998, 7 ss. (=Atti del II
convegno sulla problematica contrattuale in diritto romano cit., 35 ss.); Id., “Contratto e atto secondo
Labeone: una dottrina da riconsiderare”, in Roma e America. Diritto romano comune, 7, 1999, 17 ss.
[36] F.
Gallo, Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli
archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di
impostazioni moderne. Corso di Diritto romano, II, cit., 113 ss.
[38] Sulla consideration si veda, con
rinvii alla letteratura, G. Gorla,
Il contratto, Milano 1954, 345 ss.; G. Alpa - M. Bessone, Causa e consideration, Bologna 1985; G.
Gorla, “Consideration”,
in Enciclopedia del diritto, IX, Milano 1964, 176 ss.; G. Alpa, “Contratto nei sistemi
di common law”, in Digesto
delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile,
IV, Torino 1989, 169 ss.; M. Serio,
“Note su consideration e
causa”, in Aa.Vv., Causa
e contratto nella prospettiva storico-comparatistica,
II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 cit., 385 ss.; A.M. Rabello, “Israele: senza
‘causa’ e senza ‘consideration’”,
ibidem, 407 ss.
[39] Osserva C.M.
Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto,
Milano 1984, 419 ss., che «la causa è la ragione pratica del
contratto, cioè l’interesse che l’operazione contrattuale
è diretta a soddisfare».
[40] G.B.
Ferri, “Negozio giuridico” cit., 76 ss.: «la causa
rappresenta il momento
d’insieme dell’intera regolamentazione negoziale; il momento attraverso cui la
regolamentazione negoziale palesa nella sua intierezza (o, se si vuole, nel suo
significato concreto e nella sua reale portata) l’assetto
d’interessi in essa divisato».
[41] Si veda R.
Sacco, Obbligazioni e contratti,
in Trattato di diritto privato (diretto
da P. Rescigno), X, II, rist.
agg., Torino 1988, 317 ss.
[42] È da condividere quanto osserva al
riguardo A. Palma, “Note
critiche sul concetto di causa” cit., 325: «In conclusione, quando
si discute delle fonti romane, il termine causa appare assumere
solitamente il significato di interesse concretamente perseguito, quale emerge
o dalle dichiarazioni delle parti o dall’equilibrio complessivo degli
interessi. Vi è quindi una sorta di singolare corrispondenza di
impostazione tra le più antiche dottrine dei giuristi romani e le
attuali moderne impostazioni dei privatisti, i quali si sono liberati della
nozione astratta di causa e l’hanno giustamente ancorata alla
composizione e all’equilibrio degli interessi concretamente
perseguiti».
[43] Sulla formazione del giurista nelle
suddette fasi richiamo per tutti F.
Gallo, “Per lo studio e l’insegnamento della scienza e della
tecnica della produzione, interpretazione e applicazione del diritto nelle
facoltà giuridiche italiane”, in Panorami, 4 (1992), 1 ss. (=Id.,
Opuscola selecta (a cura di F. Bona-M. Miglietta),
867 ss.); Id., Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e
spunti per la revisione di impostazioni moderne. Corso di diritto romano,
I, cit., 11 ss.: «Il giurista lascia abitualmente al di fuori della
propria orbita implicazioni fondamentali della produzione del diritto da parte
dell’uomo, produzione che continua ad essere ritenuta affare esclusivo
del legislatore; a quanto mi consta non ci sono insegnamenti, nelle
Università italiane, di scienza e tecnica della legislazione; nelle
stesse Università si dedica di regola all’ars interpretativa e applicativa del diritto uno spazio soltanto
marginale, e comunque inadeguato rispetto al ruolo che essa avrà
nell’attività di uomini del diritto, a vantaggio
dell’insegnamento di contenuti normativi, la cui caducità è
sotto gli occhi di tutti».
[44] Non a torto ha osservato un civilista, C. Scognamiglio, “Il problema
della causa: la prospettiva del diritto privato europeo”, in Roma e
America diritto romano comune, 12 (2001), 336, che
il nostro tema «evoca comunque questioni tuttora centrali nella
costruzione del diritto privato europeo e può offrire un contributo
importante alla formazione del sistema giuridico latinoamericano». Si
veda, inoltre, sulla necessità di un “dialogo costruttivo”
tra la dottrina, sensibile alla dimensione storica del diritto, e il
legislatore comunitario, quanto osserva L.
Garofalo, “Scienza giuridica, Europa, Stati: una dialettica
incessante”, in Aa.Vv., Harmonisation involves history? Il diritto
privato europeo al vaglio della comparazione e della storia, Foggia, 20-21
giugno 2003 (a cura di O. Troiano
- G. Rizzelli - M.N. Miletti), Milano 2004, 89 ss. [(=Europa
e diritto privato, 2004, 907 ss.) (=Iura, 52, 2001) 131 ss. (=Id., Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica. Saggi, Padova
2005, 117 ss., da cui si trae la citazione nel testo, a 140)]: «Ricostruire
le tradizioni e le dogmatiche nazionali sui temi di interesse comunitario,
segnalandone le identità, le contiguità e le divergenze,
nonché le relative inefficienze; scorgere e tracciare i percorsi e le
figure, anche inedite, che possono portare all’armonizzazione dei singoli
diritti, soppesando l’impatto che il nuovo avrà
nell’ambito dei sistemi tenuti ad accoglierlo; additare schemi,
concettuali e linguistici, capaci di rispondere realmente all’esigenza
uniformante che muove il legislatore europeo, a evitare che le sue opzioni
normative si traducano in disposizioni statali che, per la tendenza, tipica di
chi è poi tenuto a darvi applicazione, a riassorbirle negli abituali
modelli operativi, vadano ad accentuare l’eterogeneità degli
ordinamenti: di tutto ciò, dunque, dovrebbe farsi carico la dottrina cui
penso». Su questi aspetti si veda ora Aa.Vv.,
Fondamenti
del diritto europeo. Atti del Convegno, Ferrara, 27 febbraio 2004 (a cura di P. Zamorani - A. Manfredini - P. Ferretti), Torino 2005, ove si trovano riferimenti alla
letteratura.
[45] Sulla societas, nel sistema giuridico romano, la
letteratura è vastissima. Per un primo esame si vedano: V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano, Napoli 1950 (rist. an. 1988); M. Bianchini, Studi sulla societas, Milano 1967; F. Cancelli, “Società (Diritto romano) ”,
in Novissimo Digesto Italiano, XVII, Torino 1970, 495 ss.;
F. Bona, Studi sulla società consensuale in diritto romano, Milano
1973; M.R. Cimma, Ricerche
sulla società di pubblicani, Milano 1981; A. Guarino, La società in diritto romano, Napoli 1972, (rist. 1988); M. Talamanca, “Società
(Diritto romano)” cit., 814 ss.; C.
Velasco, “La sociedad”, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al profesor José Luis Murga
Gener, coordinación y presentación J. PARICIO, Madrid 1994,
611 ss.; G. Santucci, Il socio d’opera in diritto romano.
Conferimenti e responsabilità, Padova 1997.
[48] Si veda L.
Gutierrez-Masson, Del «consortium» a la «societas», I, «Consortium ercto non
cito», Madrid 1987.
[49] Cfr. V.
Arangio-Ruiz, La società in
diritto romano cit., 7 e nt. 2, il quale osserva che Gaio «si
compiace di un gioco di parole». Sulla definizione del consortium come societas legitima
e naturalis naturalis si vedano anche C.A.
Maschi, La concezione
naturalistica del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano 1937,
310 nt. 4; M. Bretone,
“‘Consortium’ e
‘communio’”, in Labeo, 6, 1959, 173 ss.
[51] Cfr. E.
Betti, Istituzioni di diritto
romano, I, 2 ed., Padova 1942, 426 ss.: «Il vincolo personale di
fraternità fra consorti, che giustifica e governa la comunione, rende
ragione, nella concezione romana, della pienezza di poteri riconosciuti a
ciascuno nei rapporti esterni, allorché si tratta di disporre di una
cosa comune, o di assumerne la difesa in giudizio … Ma non è da
credere che di questa legittimazione indipendente e concorrente fosse
fatto in pratica un uso arbitrario e lesivo degli interessi comuni, senza
riguardo al modo di vedere degli altri consorti. La concezione romana
è probabilmente … che il fratello non può tradire il
fratello, come il tutore non può tradire il pupillo …, ma deve
apprezzare e sentire l’interesse comune od altrui come interesse suo
proprio e assumere verso l’altro la responsabilità
dell’apprezzamento fatto … Il vincolo di fraternità fra
consorti, come legittima tanto estesi poteri d’iniziativa, così
giustifica una piena fiducia reciproca».
[52] Si veda M.
Bretone, “‘Consortium’
e ‘communio’” cit.,
165 ss.; G. Grosso, Schemi giuridici
e società nella
storia del diritto privato romano. Dall’epoca
arcaica alla giurisprudenza
classica: diritti reali e obbligazioni, Torino 1970, 406,
il quale rileva: «Lo sviluppo storico, che portava al concetto
contenutistico ed economicistico del dominium,
giunse da un lato a far configurare sui beni la comproprietà per quote e
dall’altro lato a individuare un atto per cui si dovevano mettere in
comune tutti i beni e gli acquisti (societas
omnium bonorum), di cui venne a risaltare il carattere contrattuale. E
questa società universale, societas omnium bonorum si presentava
storicamente con una continuità rispetto all’antico consortium; i giuristi mettevano in
evidenza un ius quodammodo fraternitatis
che esisteva nei rapporti fra i soci, e questo elemento non poteva che
significare l’accentuazione di tale continuità; d’altra
parte la posizione sistematica di primo piano che, al di là della sua
portata pratica, la giurisprudenza del principato dava ancora alla societas omnium bonorum, richiamava a
tale posizione storica». M.
Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 817: «il
suo regime è profondamente influenzato dalla fraternitas tra i consortes
che traluce ancora dalle fonti classiche relative alla societas».
[53] Cfr. sulla necessità di essere a
questo proposito molto prudenti M.
Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 817.
[55] Si vedano: V. Arangio-Ruiz, La
società in diritto romano cit., 122 ss.; M. Bretone, “‘Consortium’
e ‘communio’” cit.,
177 ss.; W. Litewski, “Das
‘beneficium competentiae’
im römischen Recht”, in Studi
in onore di Edoardo Volterra, 4, Milano 1971, 469 ss.; A. Guarino, La società in diritto romano cit., 8 ss.; Id., La condanna nei limiti del possibile, 2 ed., Napoli 1978, 26 ss.; J. Gildemeister, Das beneficium competentiae
im klassischen römischen Recht, Göttingen 1986.
[57] Si vedano A. Guarino, La
società in diritto romano cit., 35 ss.; M. Talamanca, “Società. (Diritto romano)”
cit., 820.
[58] Si veda M.
Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 823 ss.
e nt. 105, che cita fra l’altro, nell’ambito del titolo Pro socio, D. 17,2,1,1 (Paul 32 ad ed.): In societate omnium bonorum omnes res quae coeuntium sunt continuo
communicantur.
[59] In questo senso, soprattutto, mi sembra di
potermi discostare dalla opinione di M.
Bretone, “‘Consortium’
e ‘communio’” cit.,
201.
[60] Sulla necessità di perseguire uno
scopo comune come carattere fondamentale della societas si vedano per tutti: E.
Betti, Istituzioni di diritto romano
cit., 252 ss.; M. Bianchini, Studi sulla societas cit., 22; A. Guarino, La società in diritto romano cit., 59 ss.
[61] Cfr. A.
Guarino, La società in
diritto romano cit., 59 ss.: «Nella concezione della giurisprudenza preclassica
e classica, il contratto consensuale di societas aveva la funzione
tipica di impegnare le parti ad impiegare direttamente e lecitamente,
nell’interesse comune, beni o attività che le parti stesse
dovevano apprestare secondo l’occorrenza, ripartendo tra loro i vantaggi
ed eventualmente gli svantaggi conseguiti agli impieghi».
[62] Si vedano V. Arangio-Ruiz, La
società in diritto romano cit., 51 nt. 3; A. Guarino, La
società in diritto romano cit., 69 ss.; G. Santucci, Il socio
d’opera in diritto romano. Conferimenti e responsabilità cit.,
12 ss. nt. 21, con rinvii alla dottrina.
[64] G.
Lobrano, “Dell’homo artificialis - deus mortalis dei Moderni comparato alla societas degli Antichi”, in Aa.Vv.,
Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia. Itinerari per il terzo millennio
(a cura di A. Loiodice - M. Vari),
Roma 2003, 161 ss.
[65] Sulla nozione di populus e di civitas in Cicerone si vedano: P.
Rodríguez, “El significado de civitas en Cicerón”, in Veleia, 7, 1990,
233 ss.; P. Catalano, “Una civitas communis deorum atque hominum: Cicerone tra temperatio
reipublicae e rivoluzioni”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 61, 1995 (=Studi in memoria di Gabrio
Lombardi, II, Roma 1996), 723 ss.; R. Stark, “Ciceros
Staatsdefinition”, in Das Staatsdenken der Römer (hrsg. von R. Klein), Darmstadt 1966, 332 ss.; G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la
limitazione del potere cit., 113 ss.;
F. Sini, Sua cuique civitati
religio. Religione e diritto pubblico in
Roma antica, Torino 2001, 173 ss.
[66] Sul fondamento naturalistico del ius, nella opera di Cicerone, si vedano:
U. Knoche, “Ciceros
Verbindung der Lehre vom Naturrecht mit dem römischen Recht und Gesetz. Ein Beitrag zu
der Frage: Philosophische Begründung und politische Wirklichkeit in
Ciceros Staatsbild ”, in Cicero. Ein Mensch seiner Zeit (hrsg. von
G. Radke), Berlin 1968, 38 ss.; M. Ducos, Les romains et
la loi. Recherches sur les rapports de
la philosophie grecques et de la tradition
romain à la fin de
[67] Per gli sviluppi successivi si veda ancora
G. Lobrano, “Dell’homo
artificialis - deus
mortalis dei Moderni comparato
alla societas degli Antichi”
cit., 165.
[68] G.
Lobrano, “Dell’homo artificialis - deus mortalis dei Moderni comparato alla societas degli Antichi” cit., 161 ss.
[69] I.
Birocchi, “Contratto e persona giuridica pubblica. Spigolature su ‘causa’, ‘communis utilitas’ e diritto dei
privati nell’età del diritto comune”, in AA.VV., I
rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza
storico-giuridica. Atti del Congresso
internazionale della Società Italiana di storia del diritto, Torino
17-19 ottobre 1994, Napoli 1997, 262 ss.
[70] Non mi sembra corretta, data la
necessità storica di distinguere tra le due soluzioni, la impostazione
di chi ritiene, come A. Guarino, La società in diritto romano
cit., 71, pur escludendo che la societas romana sia una persona
giuridica, che il patrimonio comune, eventualmente costituitosi, e la gestione
comune di esso potessero all’esterno essere percepiti come «un ente
a se stante» distinto, dunque dalle persone fisiche dei soci. Non a caso l’illustre romanista,
con riferimento al diritto societario moderno, osserva che «dal contratto
di società modernamente inteso, anche se non scaturisce in ogni caso una
vera e propria ‘persona giuridica’, scaturisce quanto meno un ente giuridico,
un quid patrimonialmente autonomo». Sulla questione della
personalità giuridica della societas
si veda V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano
cit., 79.
[71] Si veda, con riferimento a Cass., sez. I,
26 ottobre 1995, n.11151, in cui si è esclusa la possibilità di
riconoscere un interesse della società (s.r.l.) in quanto persona
giuridica, distinto da quello dei soci, P.G. Jaeger
- C. Angelici - A. Gambino - R. Costi - F. Corsi,
“Cassazione e contrattualismo societario: un incontro?”, in Giurisprudenza Commerciale, 1996, II,
334 ss.
[72] Si veda in particolare l’art. 48 del
Trattato istitutivo della Comunità Europea, in cui si legge che:
«Le società costituite conformemente alla legislazione di uno
Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il
centro di attività principale all’interno della Comunità,
sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del
presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.
Per società si intendono le società di diritto civile o di
diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre
persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione
delle società che non si prefiggono scopi di lucro».
[73] È noto che nei diritti di diversi
Stati membri della Unione Europea, nel corso dell’ultimo trentennio, sono
state emanate leggi con le quali è stata ammessa la costituzione della
società con atto unilaterale. Con la direttiva 89/667/CEE si è
introdotta, a livello comunitario, la limitazione della responsabilità
dell’imprenditore unico. In Italia, sulla base di tale direttiva,
dapprima col d.lgs. 3 marzo 1993, n. 88 e poi col d.lgs., 17 gennaio 2003, n.
17, si è prevista la possibilità di costituire, attraverso un
atto unilaterale, sia la società per azioni (art. 2328, comma 1, cod.
civ.), sia la società a responsabilità limitata (art. 2463, comma
1, cod. civ.). Quando un unico socio è il fondatore della
società, questa si costituisce per atto unilaterale (art. 2328, comma 1,
cod. civ.).
[75] Per i riferimenti ad altre fonti e alla
letteratura si rinvia a P.P. Onida,
“Tensioni non risolte nel
nuovo diritto societario: una lettura romanistica”, in Diritto @
Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, 3, maggio 2004 = http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Onida-Tensioni-non-risolteII.htm (ora in Memorias II Seminario en el Caribe Derecho Romano y Latinidad:
Identidad e Integración Latinoamericana y Caribeña, La Habana 12
al 14 de febrero de 2004, “Patria es humanidad” José Martí
[a cura di P.P. Onida - E.
Valdès Lobàn],
edición por Facoltà di Giurisprudenza della Università di
Sassari, Italia; Universidad Michoacana de San Nicolás de Hidalgo,
México; Universidad de Pinar del Río, Cuba [La Habana-Sassari,
2007] 189 ss.).