ds_gen N. 5 – 2006 – Memorie

 

onidaPietro Paolo Onida

Università di Sassari

 

 

La causa della societas fra diritto romano e diritto europeo

 

 

 

 

Sommario: Premessa. – 1. La causa in generale nei negozi giuridici: una linea di continuità fra diritto romano e diritto europeo. – 2. Causa della societas: dalla fraternità al consenso dei soci. – 3. Bilateralità della societas e condizione eguale dei soci. – 4. La questione della personalità giuridica della società: una visione (anche) di ius publicum. – 5) Tensioni non risolte nel nuovo diritto societario: una lettura romanistica. A) Le due tensioni fondamentali. B) La societas europea. C) La società unipersonale nel nuovo diritto societario.

 

Premessa

 

Nella dottrina romanistica e civilistica dell’ultimo secolo è possibile riscontrare con frequenza l’osservazione secondo cui lo stato del dibattito scientifico sulla causa[1] del negozio giuridico[2] risulta «tutt’altro che soddisfacente»[3].

Per fare solo qualche esempio fra i tanti, si consideri che già nel secolo scorso Pietro Bonfante osservava che la causa «costituisce il problema più discusso e più indecifrabile della dottrina moderna del diritto, il campo preferito delle elucubrazioni metafisiche e della psicologia giuridica»[4]. Tale osservazione era in diverso modo condivisa da alcuni dei più autorevoli civilisti della prima metà del ’900 – Francesco Ferrara[5], Enrico Redenti[6], Salvatore Pugliatti[7], a tacer d’altri – fra i quali si registra un certo scetticismo sulla utilità reale e sulla precisione scientifica del concetto di causa[8].

Con particolare riferimento alla polisemia del termine causa nel linguaggio giuridico romano[9] e di riflesso nel linguaggio giuridico medievale[10] e odierno[11], si è giunti a parlare di ambiguità o addirittura di inutilità della nozione di causa[12]. Si è anche parlato della causa come di un concetto misterioso[13]. Si è quindi detto, efficacemente, che nei confronti della causa si registra o “venerazione” o “sconcerto”[14]. Si è infine discusso della «crisi del concetto di causa»[15]. Si va dunque diffondendo, negli ultimi decenni, la considerazione che la nozione di causa non sia da intendere in senso unitario[16]. In breve: è divenuto un luogo comune rilevare quanto gravi siano le perplessità legate alla nozione di causa[17].

Non è certo questa la sede per una analisi generale delle ragioni della insoddisfazione di un dibattito scientifico ormai secolare su una nozione, che attraverso la categoria del negozio giuridico continua a costituire un “pilastro” del sistema giuridico[18]. Tanto più che in materia, anche di recente, si è scritto molto[19].

Con il presente contributo, mi propongo di enunciare e di tentare di dimostrare sinteticamente la tesi che una analisi della societas, condotta attraverso la prospettiva della causa, conferma non solo la utilità della nozione stessa di causa, ma anche consente di prendere in esame, utilmente e diversamente, principi e concetti, che trascendono la pretesa contrapposizione fra ius privatum e ius publicum, per essere propri dell’intero sistema giuridico[20]. Il vero problema della disciplina giuridica relativa al contratto, come ha osservato Gerardo Broggini, è ancora quello del limite alla «utilizzazione della volontà privata» e all’«autonomia della volontà» e dunque quello della «unità e inscindibilità del diritto pubblico e del diritto privato»[21].

Obiettivi di una lettura della causa della societas, condotta attraverso i due piani congiunti del ius privatum e del ius publicum, sono quindi, da un lato, relativi specificamente alla nozione di causa e, dall’altro, relativi più in generale all’intero sistema giuridico romano.

Con riferimento specifico alla causa, attraverso una lettura (che chiamerei congiunta) della societas emerge, in maniera più evidente di quanto avvenga per altri contratti, il tema fondamentale sotteso ad ogni discorso relativo alla causa, vale a dire la «rispondenza degli spostamenti patrimoniali a scopi utili non solo all’individuo ma anche alla società»[22] e quindi il rapporto, altrettanto fondamentale, tra gli atti di autonomia privata e il sistema giuridico nel quale tali atti si esprimono[23].

Con riferimento più generale al sistema giuridico romano, una lettura congiunta, se da un lato, permette di cogliere le differenze ed anche le analogie, intese nel senso di una comune base fattuale, tra le societates come fenomeno contrattuale e le diverse forme associative[24], si pensi fra l’altro ai collegia[25] e alle sodalitates[26], dall’altro, permette, in una visione ancora più ampia, di leggere altri concetti e istituti giuridici fondamentali in un quadro unitario. Si pensi, fra l’altro, alle nozioni di populus[27], di res publica[28], di civitas[29] e di coniugium[30], dalla cui comprensione, peraltro, potrebbero derivare nuove e interessanti letture della stessa societas.

 

1.La causa in generale nei negozi giuridici: una linea di continuità fra diritto romano e diritto europeo

 

Con riferimento al sistema giuridico romano è diffusa in dottrina la tesi che la causa venisse in considerazione fra i giureconsulti al fine di valutare il negozio e gli assetti di interessi sottostanti in funzione della meritevolezza della tutela[31].

È noto che l’attenzione della più recente dottrina romanistica italiana per le problematiche connesse alla nozione di causa è stata favorita da un rinnovata attenzione in particolare per gli aspetti connessi alla sinallagmaticità nel sistema contrattuale romano. Basti qui ricordare le discussioni, anche molto accese, sul frammento di Ulpiano in tema di sun£llagma[32]:

 

D. 2,14,7,2 (Ulpianus libro quarto ad edictum): Sed et si in alium contractum res non transeat, subsit tamen causa, eleganter Aristo Celso respondit esse obligationem. ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut aliquid facias: hoc sun£llagma esse et hinc nasci civilem [obligationem] <actionem>. et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano reprehensum in hoc: dedi tibi Stichum, ut Pamphilum manumittas: manumisisti: evictus est Stichus. Iulianus scribit in factum actionem a praetore dandam: ille ait civilem incerti actionem, id est praescriptis verbis sufficere: esse enim contractum, quod Aristo sun£llagma dicit, unde haec nascitur actio.

 

Si tratta di un frammento sul quale esiste una letteratura vastissima che qui non possiamo prendere in esame. Mi limito a rilevare che in dottrina, penso soprattutto agli studi di Alberto Burdese[33], si è ritenuto di scorgere nella causa, su un piano generale, oltre «all’aspetto funzionale della medesima, rappresentato dal complessivo intento delle parti diretto a uno scambio reciproco di prestazioni corrispettive», un «elemento strutturale della fattispecie contrattuale» da identificare nella esecuzione di una delle prestazioni[34]. Su un piano più specifico, in dottrina, mi riferisco anzitutto agli studi di Filippo Gallo[35], risolutivi di molti problemi in tema di sun£llagma, si è creduto di potere identificare la causa nella datio, da intendere come esecuzione della prestazione che giustifica la pretesa volta a ottenere la controprestazione. In particolare, si è detto che a differenza di Labeone, il quale nel sun£llagma coglie l’aspetto essenziale della “corrispettività”, Aristone fa emergere «la funzione riequilibratrice»[36].

Nella giurisprudenza romana è dunque presente una nozione di causa come «interesse concretamente perseguito», che, come è stato correttamente osservato[37], consente di individuare una linea di continuità con la più recente dottrina civilistica la quale tende a riconoscere nella causa la sintesi degli interessi delle parti. La dottrina italiana, un tempo influenzata dalle suggestioni che le derivavano dalla dottrina civilistica anglosassone della consideration[38], nell’insistere oggi sulla corrispettività o sullo scambio e dunque sulla sintesi fra l’interesse concretamente perseguito e l’interesse individuale delle parti o se si preferisce sull’assetto di interessi conseguente alla struttura contrattuale impiegata (C. Massimo Bianca[39], G.B. Ferri[40] e Rodolfo Sacco[41]), appare in linea con la concezione romana della causa come sintesi di interessi delle parti, soprattutto quando la causa viene concepita non più come elemento astratto, ma come espressione concreta della “composizione” e dell’“equilibrio” degli interessi che le parti perseguono[42].

Il tema della causa costituisce quindi una occasione importante di confronto fra i romanisti e gli altri giuristi in vista di una riconsiderazione della funzione del diritto romano nella formazione del giurista e quindi, in definitiva, nelle fasi fondamentali in cui il diritto si esplica della interpretazione, produzione e applicazione[43]. In questo senso, la nozione di causa è anche un laboratorio da cui possono derivare spunti importanti di riflessione per la formazione del diritto europeo[44].

 

2.Causa della societas: dalla fraternità al consenso dei soci

 

È affermazione largamente condivisa in dottrina quella secondo cui il contratto consensuale di societas[45] abbia «origini differenziate»[46]. Si ritiene che il contratto consensuale di societas debba essere ricondotto non solo all’antico consortium ercto non cito, ma anche a esperienze associative diverse, connesse più che altro a necessità derivanti dalla prassi dei rapporti internazionali che ricevono tutela attraverso i iudicia bonae fidei nell’ambito della iurisdictio peregrina, attorno al III secolo a.C., per poi trovare espressione, sul piano interno, a partire dal II secolo a.C.[47].

Non è possibile qui soffermarci sulle congetture assai complesse che sono state formulate sulla origine del contratto consensuale di società e sulle connessioni di esso con il consortium ercto non cito[48]. Vorrei solo richiamare brevemente un elemento di continuità, sul quale le fonti insistono, tra il consortium e la societas consensuale. Si tratta della fraternitas, elemento che nella prospettiva che si è delineata in apertura del discorso costituisce una chiave di comprensione delle dinamiche societarie.

Gaio, è noto, definisce il consortium ercto non cito, che nasceva fra i sui heredes quando moriva il pater familias, come una forma di societas legitima e naturalis:

 

Gai. 3,154: Item si cuius ex sociis bona publice aut privatim venierint, solvitur societas. Sed ea quidem societas, de qua loquimur, id est quae nudo consensu contrahitur, iuris gentium est, itaque inter omnes homines naturali ratione consistit. Est autem aliud genus societatis proprium civium Romanorum. Olim enim mortuo patre familias inter suos heredes quaedam erat legitima simul et naturalis societas, quae appellabatur ercto non cito, id est dominio non diviso: erctum enim dominium est, unde erus dominus dicitur; ciere autem dividere est: unde caedere et secare et dividere dicimus. Alii quoque qui volebant eandem habere societatem, poterant id consequi apud praetorem certa legis actione. In hac autem societate fratrum ceterorumve qui ad exemplum fratrum suorum societatem coierint, illud proprium erat, quod vel unus ex sociis communem servum manumittendo liberum faciebat et omnibus libertum adquirebat: item unus rem communem mancipando eius faciebat, qui mancipio accipiebat …

 

Si tratta di una qualificazione con la quale il giurista intende indicare che il consortium, regolato nelle XII Tavole, risponde ad «esigenze ed effetti di natura» senza che per la sua costituzione sia necessario un atto specifico, «ravvisando in ciò una certa analogia (ben lontana dalla identificazione) con quella naturalis ratio a cui s’ispira il contratto consensuale»[49].

La fraternitas che giustifica il permanere della unità del gruppo rende il rapporto non semplicemente di natura economica. La edificazione del consortium sulla base del vincolo naturale di fraternitas spinge a ritenere, come nota Mario Bretone, che, nella descrizione che di esso fa Gaio, «il paradigma della comproprietà si riveli, alla fine, insufficiente ad esprimere l’intera realtà giuridica dell’istituto arcaico»[50]. È in forza di tale vincolo che si può spiegare l’ampiezza di poteri riconosciuti a ciascuno dei fratres in relazione al patrimonio familiare[51].

L’uso della espressione aliud genus societatis per il consortium in giustapposizione alla societas quae nudo consensu contrahitur rivela che per Gaio i due piani della communio e della societas rimangano distinti sul piano della struttura, pur essendo per lui ammissibile un accostamento di tipo funzionale fra l’una e l’altra situazione giuridica.

Il vincolo di fraternitas, da presupposto naturale, è parte essenziale della soluzione giuridica che consente il funzionamento del consortium e giustifica dunque l’accostamento tra consortium e societas consensuale[52].

Gli sviluppi successivi al consortium ercto non cito sono molto controversi. Non è possibile lasciarsi andare soprattutto in questa sede a congetture che richiederebbero uno sviluppo più esteso e comunque di difficile verifica[53]. Si può, però, continuare a rimanere in tema di fraternitas per osservare che è ad essa che i giuristi romani si richiamano per consentire anche a soggetti non legati da tale vincolo naturale di perseguire comuni obiettivi, corrispondenti a quelli a cui si poteva mirare nell’originario consortium ercto non cito[54].

Credo che in una prima fase la forza del modello dell’antico consorzio fra i fratres comportasse che anche il corrispondente vincolo che si instaurava, in forza di una certa legis actio, tra soggetti che non erano sui heredes, fosse ispirato alla fraternitas. La forza del vincolo della fraternitas continua, inoltre, a ispirare le nuove esperienze societarie che andavano formandosi non più sulla base della semplice relazione familiare, ma in conseguenza della prestazione del consenso.

Come è noto, i giureconsulti romani riconoscono tale nesso, quando in tema di società consensuale, ad esso riconducono il beneficium competentiae[55]:

 

D. 17,2,63 pr. (Ulpianus libro trigensimo primo ad edictum): Verum est quod Sabino videtur, etiamsi non universorum bonorum socii sunt, sed unius rei, attamen in id quod facere possunt quodve dolo malo fecerint quo minus possint, condemnari oportere. hoc enim summam rationem habet, cum societas ius quodammodo fraternitatis in se habeat.

 

Nella causa del contratto del societas, in cui si evidenziava l’impegno dei soci «a mettere in comune beni ed attività allo scopo di dividerne secondo una proporzione prestabilita i profitti e le perdite»[56], come già nell’assetto di interessi connesso all’antico consortium, il riferimento alla fraternitas, lungi dall’apparire un richiamo meramente formale, giustificava l’adozione di soluzioni concrete.

Si tende in dottrina a mettere in rilievo che l’obbligo dei conferimenti non comportava sempre e necessariamente la costituzione di un patrimonio comune per la realizzazione degli obiettivi societari[57]. Si deve però tenere conto, come è stato da ultimo rilevato da Mario Talamanca, che proprio nella societas omnium bonorum, la quale rappresenta la «trasposizione del consortium ercto non cito sul piano della societas consensu contracta … si costituiva, automaticamente, un condominio fra i vari socii avente ad oggetto le cose in proprietà degli stessi al momento della conclusione del contratto»[58].

Nel perseguimento di uno scopo sociale, comune ai soci, la linea di continuità tra la societas consensuale e l’antico consortium si rafforza, pur nelle differenze specifiche connesse alla elaborazione storica differente tra i due istituti, anche quando la costruzione del rapporto sociale dal piano naturale si sposta su quello indotto dal consensus.

Si tratta di un consensus che le fonti riconducono a un rapporto di fraternitas. Preferisco quindi non contrapporre in maniera eccessiva la fraternitas al consensus, perché fra l’una e l’altra dimensione costitutiva del rapporto sociale vi è ancora una relazione precisa anche quando il consortium tenderà a essere soppiantato dalle forme più articolate della società consensuale[59]. Direi anzi che in seno alla societas consensuale si tratta di un rapporto ancora più fraterno, come solo può essere il rapporto tra soggetti estranei che attraverso il consenso manifestino il proposito non semplicemente di gestire beni in comune ma di raggiungere un obiettivo comune.

Nella creazione del patrimonio comune i soci si prefiggono con il loro consenso uno scopo sociale, il raggiungimento del quale è possibile attraverso la sintesi delle utilità individuali. In tale sintesi, in definitiva, sta la concreta disposizione degli interessi delle parti, e dunque il funzionamento della causa, nei termini elastici che si è cercato di descrivere.

Il contratto di societas dà quindi vita a un rapporto caratterizzato dalla continua collaborazione che preclude alle parti di perseguire egoisticamente un interesse[60]. La societas non è neppure configurabile nel caso in cui il fine sociale non sia comune alle parti[61]. Il principio è noto. Basti qui richiamare il celebre brano di Ulpiano, in cui si riporta la opinione di Giuliano[62] in merito al caso di quei due proprietari di fondi che si erano messi d’accordo per acquistare un fondo confinante con i loro terreni:

 

D. 17,2,52 pr. (Ulpianus libro trigensimo primo ad edictum): Cum duobus vicinis fundus coniunctus venalis esset, alter ex his petit ab altero, ut eum fundum emeret, ita ut ea pars, quae suo fundo iuncta esset, sibi cederetur: mox ipse eum fundum ignorante vicino emit: quaeritur, an aliquam actionem cum eo vicinus habeat. Iulianus scripsit implicitam esse facti quaestionem: nam si hoc solum actum est, ut fundum Lucii Titii vicinus emeret et mecum communicaret, adversus me qui emi nullam actionem vicino competere: si vero id actum est, ut quasi commune negotium gereretur. societatis iudicio tenebor, ut tibi deducta parte quam mandaveram reliquas partes praestem.

 

I termini dell’accordo erano che uno acquistasse per poi trasferire all’altro la parte confinante col proprio fondo. Solo che, una volta effettuato l’acquisto, il compratore aveva tenuto per sé tutto il terreno. Giuliano, chiamato a dare la propria opinione sul caso, riteneva di dovere distinguere facendo riferimento all’id quod actum est per valutare se le parti si erano accordate perché uno acquistasse e poi cedesse all’altro la parte contigua al proprio fondo oppure si erano accordate perché l’acquisto fosse fatto in comune. Nella prima ipotesi non vi sarebbe stata possibilità di pretendere l’adempimento dell’impegno preso. Nella seconda ipotesi, invece, sarebbe stato possibile ricorrere all’actio pro socio sulla base del presupposto che il proposito di un acquisto in comune poteva essere ricondotto alla societas.

 

3.Bilateralità della societas e condizione eguale dei soci

 

La bilateralità del contratto di societas si differenzia in modo evidente dalla bilateralità degli altri contratti, quali in particolare la compravendita e la locazione. Si deve ricordare, anzitutto, il carattere tendenzialmente omogeneo delle obbligazioni a carico delle parti del contratto di societas, a differenza del carattere eterogeneo delle obbligazioni poste a carico delle parti di un contratto di compravendita o di locazione.

Sul piano concreto della causa, come equilibrio degli interessi contrattuali, è importante osservare la natura tendenzialmente uguale della posizione delle parti, che sono appunto definite tutte con lo stesso nome di socii. Con la compravendita, come è noto, nascono azioni diverse, l’actio empti e l’actio venditi, per le parti, che sono quindi in una posizione contrapposta in modo che anche nominalmente la condizione di una parte è distinta dall’altra: l’emptor e il venditor. Con la locazione, poi, sono concesse azioni diverse, l’actio locati e l’actio conducti, per le parti, anch’esse in una posizione contrapposta, in modo che anche in questo caso la condizione di una parte è tenuta distinta dall’altra: locator e conductor. Nella societas, invece, la condizione di eguaglianza dei socii è affermata processualmente nel riconoscimento della medesima azione, l’actio pro socio, per tutte le parti[63].

Questa eguaglianza dei soci trae origine, nella realtà della società consensuale, non da un presupposto esterno ai soci, qual è un rapporto parentale, ma dalla espressione del loro consensus che ci appare storicamente determinato, sempre attraverso la mediazione del vincolo della fraternitas, al perseguimento di uno scopo comune fra le parti. I soci non più in condizione eguale per natura scelgono di essere in una condizione di eguaglianza per volontà.

La causa della societas si esprime dunque nella concreta relazione che si instaura fra i socii in vista del perseguimento di uno scopo comune, tale da arrecare per tutti, una volta conseguito, una utilità altrettanto comune. Nella ricerca del lucrum le parti utilizzano uno strumento – la societas – che consente di amplificare le loro forze al di là della semplice somma aritmetica delle capacità singole, ottenendo per esse, in virtù di questa amplificazione, un guadagno ulteriore commisurato alla capacità di superare la utilità individuale per perseguire, attraverso la ricerca del bene comune, anche la propria utilitas.

 

4.La questione della personalità giuridica della società: una visione (anche) di ius publicum

 

Dal piano del ius privatum occorre ora spostarsi a quello del ius publicum.

La elaborazione di una nozione di societas, in cui i soci si prefiggono il conseguimento della propria utilitas attraverso il perseguimento della utilitas comune, è una idea rivoluzionaria della scienza giuridica romana. Come ha osservato Giovanni Lobrano, la societas costituisce la risposta antica alla questione giuridica fondamentale della considerazione unitaria degli atti compiuti da una pluralità di persone[64].

La idea di societas, che dal piano del ius privatum si trasfonde su quello del ius publicum, nella nozione di populus (Cic. rep. 1,25,39) e in quella connessa di civitas (Cic. rep. 1,32,49)[65], è anche alla base di una progressione in cui sono delineati, secondo un fondamento di ius naturale[66], i termini sociali, considerati principium urbis e il seminarium rei publicae, che dal coniugium conducono alla societas hominum:

 

Cic. off. 1,17,53-54: Gradus autem plures sunt societatis hominum. Ut enim ab illa infinita discedatur, proprior est eiusdem gentis, nationis, linguae qua maxime homines coniunguntur; interius etiam est eiusdem esse civitatis: multa enim sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia, suffragia, consuetudines praeterea et familiaritates multisque cum multis res rationesque contractae. Artior vero colligatio est societatis propinquorum; ab illa enim immensa societate humani generis in exiguum angustumque concluditur. 54 Nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi, prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae.

 

Questa idea, che negli sviluppi successivi a Giustiniano del ius romanum, irrompe con una forza tale da costituire uno dei principali fattori di innovazione giuridica, alimenta, nel medioevo, la formazione storica del Comune in cui, a ben vedere, la linea di continuità con il municipio romano si evince nella ricerca del bene comune fra i cives[67].

La soluzione moderna della considerazione unitaria degli atti compiuti da una pluralità di persone è, invece, la costruzione di una categoria giuridica, la persona ficta vel repraesentata, la cui elaborazione si fa risalire, come è noto, nel XIII sec., a Sinibaldo dei Fieschi, Papa Innocenzo IV. Alla costruzione della persona giuridica si richiama la idea del Leviatano, dello Stato-persona, nel XVII sec., elaborata da Thomas Hobbes, secondo il quale la natura umana egoista è protesa verso la propria utilità individuale. Il riconoscimento di tale natura conduce, necessariamente, alla esclusione della partecipazione dei cittadini, in quanto incapaci a perseguire la utilità pubblica, dal processo di formazione della volontà pubblica e, quindi, alla necessità di un «sovrano altro dal ‘popolo dei cittadini’»: il Leviatano[68].

L’idea di societas, nonostante la elaborazione della categoria della persona giuridica, si mantiene e si perfeziona nel medioevo. Nell’impiego concreto della nozione ad essa collegata della utilitas, i confini tra il ius publicum e il ius privatum prendono però a intorbidirsi e il concetto di utilitas inizia a riflettere non la «dialettica tra interesse pubblico e interesse privato» ma tende a irrigidirsi in quella che sempre più appare una contrapposizione fra l’una e l’altra partizione[69].

Nonostante le suggestioni che all’interprete moderno possono derivare dal diritto positivo, in cui è sempre più evidente la tendenza ad attribuire alla società una vera e propria personalità giuridica, considerare la origine storica differente delle due soluzioni e il loro carattere antitetico[70] serve anche per negare la possibilità di identificare un interesse della società distinto da quello dei soci[71].

 

5.Tensioni non risolte nel nuovo diritto societario: una lettura romanistica

 

A) Le due tensioni fondamentali

 

Nel nuovo diritto societario dei paesi membri della Unione Europea sono presenti alcune tensioni di fondo non risolte.

La prima tensione si avverte in ragione della tendenza a innestare sulla società consensuale la categoria di persona giuridica, apparentemente senza avvertire l’inconciliabilità delle due soluzioni: antica l’una, la società, e moderna l’altra, la persona giuridica[72].

La seconda tensione si avverte in ragione della tendenza ad ammettere che la società sia istituita anche per volontà di un solo costituente mediante un atto unilaterale: è la cosiddetta società unipersonale, in cui è evidente una contraddizione in termini, non essendo concepibile una società senza appunto una pluralità di soci[73].

 

B) La societas europaea

 

Il regolamento comunitario n. 2157/2001, entrato in vigore l’8 ottobre 2004 negli Stati membri dell’Unione Europea[74], contiene la disciplina della Societas europaea, una entità societaria riconducibile alla forma della società per azioni. La istituzione di tale entità societaria si caratterizza per la la partecipazione dei lavoratori alla gestione della impresa. Si è dunque garantita ai lavoratori la possibilità di influire sulle decisioni da adottare all’interno della società[75].

Il coinvolgimento dei lavoratori rafforza il quadro di continuità fra la nuova entità societaria e la societas romana. L’impiego del nome Societas europea, inoltre, pone in linea questa forma societaria con la nozione romana di societas, in una chiave di recupero della tradizione giuridica europea.

La struttura della Societas europea, invece, è quella di una società di capitali per azioni dotata di personalità giuridica, che si acquista con la iscrizione in un registro indicato dalla legge dello Stato in cui è la sede della società[76]. I componenti degli organi societari, inoltre, possono essere anche società o altre «entità giuridiche», se ciò non sia vietato dalla legislazione dello Stato membro della sede sociale della Societas europaea[77]. Essa, anche nella forma di società unipersonali, può dar vita ad un’altra Societas europaea affiliata[78].

Con la societas europea, quindi, da un lato ci si pone lungo una linea di continuità con la soluzione antica della societas consensuale, e dall’altro ci si allontana da tale continuità per richiamarsi alla soluzione moderna della persona giuridica.

 

C) La società unipersonale nel nuovo diritto societario

 

Con la recente riforma del diritto societario, in Italia, si è diffuso in dottrina un indirizzo secondo il quale le società di persone e di capitali, in quanto dotate di un nome, di una sede, di un patrimonio e di una capacità negoziale e processuale siano, per ciò stesso, da considerare persone giuridiche.

Con la riforma, inoltre, il contratto non è più l’unica fonte della società. Due tipi di società, quello a responsabilità limitata e ora anche quello per azioni, possono essere istituiti anche per volontà di un solo costituente (artt. 2328, comma 1, 2463, comma 1, cod. civ., nel testo novellato dal d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 6) mediante un atto unilaterale, simile a quello che può dare vita a una fondazione. Si viene così a rompere una tradizione giuridica secolare richiamata nella nozione di società di cui all’art. 2247 cod. civ.: «Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili».

Nella definizione del contratto di società emerge non il fine di lucro o la personalità giuridica, ma l’accordo delle parti finalizzato all’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Richiamare il valore che nella tradizione secolare ha assunto il contratto di società significa ricercare nell’interesse comune dei soci il criterio fondamentale di composizione dei conflitti e respingere la tesi secondo cui la società è di per sé una persona giuridica e quindi una istituzione diversa dai soci.

 

 



 

[1] Sulla causa del negozio giuridico, nel diritto romano, si vedano: P. Bonfante, “Il contratto e la causa del contratto”, in Rivista di diritto commerciale, 6, 1908, 115 ss. (=Id., Scritti giuridici varii, III, Obbligazioni, comunione e possesso, Torino 1926, 125 ss.); V. Georgescu, “Le mot causa dans le latin juridique. Introduction à la théorie générale de la cause en droit romain”, in Id., Etudes de philologie juridique et de droit romain, I, Les rapports de la philologie classique et du droit romain, Bucarest-Paris 1940, 127 ss.; Id., “Causa, contractus, conventio. Contribution à la théorie générale du contrat en droit romain”, ibidem, 309 ss.; C.A. Maschi, “Volontà tipica e volontà individuale nei negozi ‘mortis causa’”, in Scritti in onore di Contardo Ferrini, 1, Milano 1947, 317 ss.; E. Betti, “‘Causa’ (Diritto romano)”, in Novissimo Digesto Italiano, III, Torino 1959, 30 ss.; E. Cortese, “Causa (Diritto intermedio)”, in Enciclopedia del diritto, VI, Milano 1960, 535 ss.; G. Grosso, “Causa del negozio giuridico (Diritto romano)”, in Enciclopedia del diritto, VI, Milano 1960, 532 ss. (=Id., Scritti storico giuridici, III, Diritto privato Persone Obbligazioni Successioni, Torino 2001, 684 ss.); J.L. Barton, “Causa promissionis again”, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 34, 1966, 41 ss.; A. Diaz Bialet, “La ‘causa’ en el derecho romano como principio de la ciencia del derecho”, in Studi in onore di Edoardo Volterra, I, Milano 1971, 365 ss.; M. Beck-Mannagetta, “Geschaftsgrundlage, Voraussetzung und ‘causa”, in Index, 3, 1972, 514 ss.; Y. Thomas, Causa: sens et fonction d’un concept dans le langage du droit romain, Thèse, Paris 1976; B. Albanese, Gli atti negoziali nel diritto privato romano, Palermo 1982, 243 ss.; A. Palma, “Vicende della ‘res e permanenza della ‘causa, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, III, Napoli 1984, 1489 ss.; G. Hanard, “La cause dans les contrats: données romaines et codes civils français et allemand”, in Droit romain et identité européenne. Actes du colloque organisé les 12, 13 et 14 mai 1992 (=Revue internationale des droits de lAntiquité, Supplément au Tome XLI, 1994, 103 ss.); C. Argiroffi, “Causa ed effetti reali del contratto”, in Aa.Vv., Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 (a cura di L. Vacca), Torino 1997, 427 ss.; G. Broggini, “Causa e contratto”, ibidem, 9 ss.; C.A. Cannata, “Contratto e causa nel diritto romano”, ibidem, 35 ss.; R. Knütel, “La causa nella dottrina dei patti”, ibidem, 131 ss.; R. Santoro, “La causa delle convenzioni atipiche”, ibidem, 85 ss.; G. Gerez Kraemer, “El requisito de la perpetua causa”, in Revue internationale des droits de lAntiquité, 45, 1998, 229 ss.; A. Palma, “Note critiche sul concetto di causa”, in Roma e America diritto romano comune, 12, 2001, 321 ss.; T. Dalla Massara, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica, Padova 2004, 26 ss., alla cui ampia e approfondita analisi delle problematiche connesse alla causa si rinvia anche per la dottrina civilistica.

 

[2] In generale, sul negozio giuridico e sul contratto, nel sistema giuridico romano, per un primo esame, si vedano: V. Georgescu, “Causa, contractus, conventio. Contribution à la théorie générale du contrat en droit romain” cit., 309 ss.; P. Voci, La dottrina romana del contratto, Milano 1946; B. Biondi, Contratto e stipulatio, Milano 1953; P. Fuenteseca, “Los sistemas expositivos de las obligaciones contractuales en la jurisprudencia romana y la idea de contractus”, in Anuario de historia del derecho español, 23, 1953, 539 ss.; G. Grosso, Il sistema romano dei contratti, Torino 1963; Id., “Divagazioni di un romanista sulla dottrina generale del contratto”, in Studi in onore di Paolo Greco, I, Padova 1965, 3 ss. (=Id., Scritti storico giuridici, III, Diritto privato Persone Obbligazioni Successioni cit., 717 ss.); B. Albanese, “Agere, gerere e contrahere in D. 50.16.19. Congetture su una definizione di Labeone”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 38, 1972, 189 ss. (=Id., Scritti giuridici, II, Palermo 1991, 1113 ss.); G. Grosso, “‘Contractus’ e sun£llagma nei giuristi romani”, in Scritti in onore di Giuliano Bonfante, I, Brescia 1976, 341 ss. (=Id., Scritti storico giuridici, III, Diritto privato Persone Obbligazioni Successioni cit., 776 ss.); W. Wolodkiewicz, “Contrahere - contractum - contractus dans le droit romain classique”, in Aa.vV., Le droit romain et sa reception en Europe. Actes du colloque organisé par la Faculté de droit et d’administration de l’Université de Varsovie en collaboration avec l’Accademia nazionale dei Lincei le 8-10 octobre 1973 (ed. par H. Kupiszewski - W. Wolodkiewicz), Varsovie 1978, 295-308; R. Santoro, “Il contratto nel pensiero di Labeone”, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo, 37, 1983, 5 ss.; G. Melillo, Il negozio bilaterale romano. «Contrahere» e «pacisci» tra il I e il III secolo. Lezioni, 2 ed., Napoli 1986; P. Fuenteseca, “Visión procesal de la historia del contrato en derecho romano clásico”, in Estudios Homenaje a A. D’Ors, I, Pamplona 1987, 469 ss.; M. Sargenti, “Labeone: la nascita dell’idea di contratto nel pensiero giuridico romano”, in Iura, 38, 1987, 25 ss.; A. Burdese, “Sul concetto di contratto e i contratti innominati in Labeone”, in Aa.Vv., Atti del Seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano. Milano 7-9 aprile 1987, I, Milano 1988, 15 ss.; F. Gallo, “Eredità di Labeone in materia contrattuale”, ibidem, 41 ss.; G. Pugliese, “Lezione introduttiva sul contratto in diritto romano”, ibidem, 1 ss.; M. Sargenti, “Svolgimento dell’idea di contratto nel pensiero giuridico romano”, in Iura, 39, 1988, 24 ss.; F. Gallo, “Eredità di giuristi romani in materia contrattuale”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 55, 1989, 123 ss. (=Aa.Vv., Le teorie contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea. Atti del Convegno di diritto romano, Siena, 14-15 aprile 1989 [a cura di N. Bellocci], Napoli 1991, 3 ss.); M. Talamanca, “Contratto e patto nel diritto romano”, in Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Civile, IV, Torino 1989, 58 ss.; F. Gallo, Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne. Corso di diritto romano, I, Torino 1992; A. Burdese, “Sulle nozioni di patto, convenzione e contratto in diritto romano”, in Seminarios Complutenses, 5, 1993, 41 ss. (=Id., Miscellanea romanistica, Madrid 1994, 263 ss.); C.A. Cannata, “Labeone e il contratto”, in Panorami, 5, 1993, 109 ss.; F. Gallo, Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne. Corso di diritto romano, II, Torino 1995; J. Paricio, “Apuntes sobre la formación de las categorias jurídicas: la idea de contrato en Gayo”, in Aa.Vv., Nozione, formazione e interpretazione del diritto dall’età romana all’esperienze moderne. Ricerche dedicate al Professor Filippo Gallo, II, Napoli 1997, 67 ss.

Per la letteratura relativa al negozio giuridico nel diritto positivo si rinvia per tutti a: E. Betti, “Negozio giuridico”, in Novissimo Digesto Italiano, XI, Torino 1965, 208 ss.; F. Galgano, “Negozio giuridico (Diritto privato: Premesse problematiche e dottrine generali)”, in Enciclopedia del diritto, XXVII, Milano 1977, 932 ss.; R. Scognamiglio, “Negozio giuridico: I) Profili generali”, in Enciclopedia Giuridica, XX, Roma 1990, 1 ss.; G.B. Ferri, “Negozio giuridico”, in Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Civile, XII, Torino 1995, 61 ss.

 

[3] Così A. Guarino, Diritto privato romano, 12 ed., Napoli 2001, 366 nt. 23.1.

 

[4] Si veda P. Bonfante, “Il contratto e la causa del contratto” cit., 115 (Id., Scritti giuridici varii, III, Obbligazioni, comunione e possesso cit., 125).

 

[5] F. Ferrara, Teoria dei contratti, Napoli 1940, 127.

 

[6] E. Redenti, “La causa del contratto secondo il nostro codice”, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 4, 1950, 894 ss. (=Id., Scritti e discorsi giuridici di mezzo secolo, II, Intorno al diritto sostanziale, Milano 1962, 69 ss.).

 

[7] S. Pugliatti, “Nuovi aspetti del problema della causa dei negozi giuridici”, in In memoria di Giacomo Venezian (a cura del comitato messinese della Dante Alighieri; con prefazione di F. Felicioni), Messina 1934, 187 ss. (=Id., Diritto civile. Metodo, teoria, pratica. Saggi, Milano 1951, 75 ss.); Id., “Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico”, in Nuova rivista di diritto commerciale, 1947, I, 13 ss. (= Id., Diritto civile. Metodo, teoria, pratica. Saggi cit., 105 ss.

 

[8] Ulteriori indicazioni bibliografiche di tale letteratura si trovano in M. Bessone - E. Roppo, “La causa nei suoi profili attuali. (Materiali per una discussione)”, in Aa.Vv., Causa e consideration (a cura di G. Alpa - M. Bessone), Padova 1984, 3 ss.

 

[9] Sulle diverse accezioni del termine causa nel linguaggio giuridico romano si vedano per tutti: G. Grosso, “Causa del negozio giuridico (Diritto romano)” cit., 532 (=Id., Scritti storico giuridici, III, Diritto privato Persone Obbligazioni Successioni cit., 684); B. Albanese, Gli atti negoziali nel diritto privato romano cit., 243 ss.; G. Broggini, “Causa e contratto” cit., 11 ss.; T. Dalla Massara, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica cit., 41 ss.

 

[10] Cfr. E. Cortese, “Causa (diritto intermedio)” cit., 535 ss., il quale osserva: «Nei primi secoli l’accezione del termine causa appare ondeggiante e rivela la fluidità del concetto … Se da una parte tale polivalenza del termine palesa la suggestione ch’esso dovette esercitare così da renderne possibili le applicazioni più varie, dall’altra occorre mettere in rilievo che il fenomeno fu certo facilitato da un uso non tecnico della parola causa, la quale nel linguaggio parlato volgarmente tendeva ormai a sostituire il vocabolo latino res e preparava l’italiano cosa: voci, appunto, generiche ed ambigue».

 

[11] Cfr., per tutti, la sintesi di M. Giorgianni, “Causa (Diritto privato)”, in Enciclopedia del diritto, VI, Milano 1960, 547 ss., con ampi ragguagli bibliografici, il quale rileva: «Chi si soffermi ad esaminare il panorama offerto dalla dottrina italiana contemporanea della causa, ne ricava l’impressione di un cantiere in fecondo movimento, nel quale nuovi materiali affluiscono incessamentemente per alimentare lo sforzo di costruzione di un edificio, che, pur poggiando su vetuste e solide fondamenta, non riesce ad assumere ancora un netto contorno, malgrado la maestrìa degli architetti e la pregiatezza dei materiali».

 

[12] Si veda A. Palma, “Note critiche sul concetto di causa” cit., 321 ss., il quale ritiene che la causa sia un concetto inutile se riferito al contratto perché il giudizio di ragionevolezza, nel quale si concentra in fondo la “essenza” del concetto, viene già svolto dal «parametro di liceità che è normativamente imposto» e ambiguo perché di esso si fa applicazione in modo assai “difforme”. Si veda, inoltre, A. Guarino, Diritto privato romano cit., 366 ss. e nt. 23.1, il quale, reputando non opportuno fare riferimento alla “terminologia” per ricostruire il significato romano della causa, propone di prestare attenzione al «rilievo concretamente attribuito alla funzione dell’atto».

 

[13] P.G. Monateri, “L’accordo nudo”, in Scintillae iuris. Studi in memoria di Gino Gorla, III, Milano 1994, 1976 nt. 42.

 

[14] Così G. Alpa, “Causa e contratto: profili attuali”, in Aa.Vv., Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 cit., 257 ss.: «venerazione, come tutti gli istituti che vantano una storia tanto risalente, sconcerto per l’impossibilità di ridurlo ad una soglia di intellegibilità e fruibilità accettabile, per la difficoltà di individuare un comune denominatore di significati, per l’ambiguità degli usi promossi da dottrina e giurisprudenza».

 

[15] Cfr. M. Giorgianni, “Causa (Diritto privato)” cit., 547 ss., a cui si rinvia per la letteratura.

 

[16] Cfr., ad esempio, G. Nicosia, Institutiones. Profili di diritto privato romano cit., 245, il quale rileva che la dottrina ha tentato di «costruire un concetto unitario di ‘causa’, quale elemento essenziale appunto del ‘negozio giuridico’, ma con risultati assai problematici». Sempre secondo il Nicosia, la nozione di causa, alla quale si fa ad esempio riferimento nell’art. 1325 del codice civile italiano, come requisito del contratto, vale a dire come elemento essenziale la cui assenza provoca nullità (ex art. 1418 comma 2°), non può essere posta sullo stesso piano della nozione di causa alla quale si fa richiamo nell’art. 2041 in materia di arricchimento ingiustificato.

 

[17] In tal senso, ad esempio, da ultimo, si vedano: I. Birocchi, Causa e categoria generale del contratto. Un problema dogmatico nella cultura privatistica dell’età moderna. I. Il Cinquecento, Torino 1997, 17 ss.; A. Palma, “Note critiche sul concetto di causa” cit., 321; T. Dalla Massara, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica cit., 2.

 

[18] Cfr. M. Giorgianni, “Causa (Diritto privato)” cit., 548: «la causa non costituisce un prelibato concetto – riservato a una ristretta categoria di savants – ma uno dei pilastri più evidenti dell’ordinamento giuridico privato».

 

[19] Per la dottrina romanistica rinvio, da ultimo, all’ampia e molto approfondita analisi di T. Dalla Massara, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica cit., 1 ss.

 

[20] Si tratta naturalmente di obiettivi ai quali si può qui solo accennare, in vista di una trattazione più ampia di quanto sia ora possibile.

 

[21] Cfr. G. Broggini, “Causa e contratto” cit., 31 ss.

 

[22] Così, anche se critico, M. Giorgianni, “Causa (Diritto privato)”cit., 563 ss.

 

[23] Cfr. in tal senso: A. Di Majo, “Causa del negozio giuridico”, in Enciclopedia giuridica, VI, Roma 1988, 2, il quale, con riguardo alla nozione di causa, osserva che «è un modo per guardare complessivamente al ruolo degli atti di privata autonomia (contratti e negozi) e al loro rapporto complessivo con gli interessi (individuali) delle parti e al loro rapporto complessivo con gli interessi (individuali) delle parti e con l’ordinamento». Si vedano inoltre: M. Nuzzo, Utilità sociale e autonomia privata, Milano 1974, 91 ss.; I. Birocchi, Causa e categoria generale del contratto. Un problema dogmatico nella cultura privatistica dell’età moderna. I. Il Cinquecento cit., 24 ss.

 

[24] Sulla opportunità di distinguere tra le società e le diverse forme associative si veda M. Talamanca, “Società (Diritto romano)”, in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano 1990, 814 nt. 2, il quale osserva: «La tendenza della dottrina moderna a non distinguere … tra figure che ai nostri occhi – ma anche a quelli dei giuristi romani – erano differenziate corrisponde, del resto, alla mancata diversificazione da parte dei contemporanei».

 

[25] Sul fenomeno associativo nel mondo romano, con particolare riferimento ai collegia e alle sodalitates, per un primo esame si vedano: U. Coli, Collegia e sodalitates. Contributo allo studio dei collegi nel diritto romano, Bologna 1913 (=Id., Scritti di diritto romano, I, Milano 1973, 1 ss.); F.M. De Robertis, Il diritto associativo romano. Dai collegi della repubblica alle corporazioni del basso impero, Bari 1938; Id., Il fenomeno associativo nel mondo romano. Dai collegi della repubblica alle corporazioni del basso impero, Napoli 1955 (rist. an. Roma 1981); R. Orestano, Il problema delle fondazioni in diritto romano, I, Torino 1959, 82 ss.; Id., Il «problema delle persone giuridiche» in diritto romano, I, Torino 1968, 101 ss.; F.M De Robertis, Syndicus’. Sulla questione della rappresentanza processuale dei ‘collegia’ e dei ‘municipia’”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 36, 1970, 304 ss. (=Id., Scritti varii di diritto romano, IV, Miscellanea, Bari 2000, 51 ss.); Id., Storia delle corporazioni e del regime associativo nel mondo romano, I-II, Bari 1971; L. Cracco Ruggini, “Le associazioni professionali nel mondo romano-bizantino”, in Aa.Vv., Artigianato e tecnica nella società dell’alto Medioevo occidentale, Spoleto 2-8 aprile 1970 [Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 18], Spoleto 1971, 59 ss.; Ead., “Collegium e corpus: la politica economica nella legislazione e nella prassi”, in Aa.Vv., Istituzioni giuridiche e realtà politiche nel tardo Impero. Atti di un incontro tra storici e giuristi, Firenze, 2-4 maggio 1974 (a cura di G.G. Archi), II, Milano 1976, 63 ss.; A. Biscardi, “Rappresentanza sostanziale e processuale dei ‘collegia’ in diritto romano”, in Iura, 31, 1980, 1 ss. [(=Apollinaris, 63, 1990, 41 ss.) (=Aa.Vv., La persona giuridica collegiale in diritto romano e canonico. Aequitas romana ed aequitas canonica. Atti del III Colloquio (Roma 24-26 aprile 1980) e del IV Colloquio (Roma, 13-14 maggio 1981), a cura di T. Bertone - O. Bucci, Roma 1990, 41 ss.)]; F.M. De Robertis, “La capacità giuridica dei collegi romani e la sua progressiva contrazione”, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, III, Napoli 1984, 1259 ss. [(=Aa.Vv., La persona giuridica collegiale in diritto romano e canonico. Aequitas romana ed aequitas canonica cit., 31 ss.) (=Id., Scritti varii di diritto romano, II, Storia del diritto Diritto pubblico Epigrafia giuridica, Bari 1987, 427 ss.)]; F. Salerno, “‘Collegia adversus rem publicam’?”, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, II, Napoli 1984, 615 ss. (=Index, 13, 1985, 541 ss.); P. Catalano, Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano, I, Torino 1990, 175 ss.; M.R. De Pascale, Collegia in castris’. Associazionismo previdenziale / assicurativo nell’esperienza romana, Napoli 1994; S. Randazzo, “I ‘collegia tenuiorum’, fra libertà di associazione e controllo senatorio”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 1998, 64, 229 ss.; G. Moschetta, “‘Collegium aquae’. Un collegio tra pubblico e privato”, in Rivista di diritto romano, 5, 2005, estr., 1 ss.

 

[26] Sulle sodalites si veda da ultimo per un quadro di insieme R. Fiori, “Sodales. Gefolgshaften e diritto di associazione in Roma arcaica (VIII-V sec. A.C.)”, in Aa.Vv., Societas-Ius. Munuscula di allievi a Feliciano Serrao, Napoli 1999, 101 ss.; F. Serrao, Diritto privato economia e società nella storia di Roma, 1, Dalla società gentilizia alle origini dell’economia schiavistica, 2 ed., Napoli 2006, 358 ss.

 

[27] Sulla definizione ciceroniana del populus come coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis comunione sociatus (Cic., rep. 1,25,39) si veda anzitutto G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, 113 ss.; Id., La Respublica romana, municipale-federativa e tribunizia: modello costituzionale attuale”, in Diritto @ Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, 3, Maggio 2004 = http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Lobrano-Res-publica-Romana-modello-costituzionale-attuale.htm, il quale osserva: «La spiegazione eziologica del complesso fenomeno giuspubblicistico (romano), nonché ‘trait d’union’ tra i suoi elementi di continuità e di novità, è indicata ancora da Cicerone, il quale definisce sia il popolo sia la civitas come “società”, cioè come il frutto di un contratto consensuale di società volto alla realizzazione della communio utilitatis. Anche la ‘società’ è una ‘invenzione’ giuridica, le cui potenzialità appaiono conquistare i Romani. Essi interpretano giuridicamente il complesso delle relazioni umane in chiave societaria: dalla coppia coniugale (Cic. off. 1.17.54, prima societas in ipso coniugio … principium urbis et quasi seminarium reipublicae) alla umanità intera (off. 3.17.69, ius gentium … societas omnium inter omnes) attraverso l’urbs e la ‘res populi. In riferimento specifico all’ordinamento repubblicano, il ricorso allo schema del contratto di società, per il quale i cittadini sono soci e il popolo è la società risultante, consente di fondare teoreticamente la partecipazione diretta di ogni cittadino (quindi, sovrano [= cum potestate] e non soltanto privato) alla formazione della volontà pubblica e dà ragione della necessità, per la Repubblica, della virtus (e della, quindi connessa, magistratura censoria), senza la quale non sarebbe possibile il complesso percorso volitivo di ciascuno e di tutti i cittadini verso la singulorum utilitas (Ulp. D. 1.1.1.2 = I.J. 1.1.4) attraverso la communio utilitatis». La tesi della societas come fondamento della nozione di populus si trova espressa già in G. Mancuso, “Sulla definizione ciceroniana dello Stato”, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, II, Napoli 1984, 609 ss.; Id., “Il concetto di costituzione nel pensiero politico greco-romano”, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo, 39, 1987, 339 ss.; Id.,Potere e consenso nell’esperienza costituzionale repubblicana”, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo, 41, 1991, 211 ss.; Id., Forma di Stato e forma di governo nell’esperienza costituzionale greco-romana, Catania 1995, 73 ss. Una critica della «interpretazione in chiave contrattualistica della definitio ciceroniana» si trova in M. Varvaro, “Iuris consensus e societas in Cicerone. Un’analisi di Cic., De rep., 1,25,39”, in Annali del Seminario Giuridico dell'Università di Palermo, 45, 1998, 445 ss. Nella vastissima letteratura si vedano inoltre: E. Costa, Cicerone giureconsulto, Bologna 1927 (rist. an. Roma 1964), I, 262 ss.; G. Lombardi, Appunti di diritto pubblico romano, Roma 1940-1941, 106 ss.; Id., Su alcuni concetti del diritto pubblico romano: civitas, populus, res publica, status rei publicae”, in Archivio Giuridico ‘Filippo Serafini’, 126 fasc. 2, 1941, 192 ss.; J. Gaudemet, “Le peuple et le gouvernement de la république romaine”, in Labeo, 11, 1965, 147 ss.; P. Cerami, Strutture costituzionali romane e irrituale assunzione di pubblici uffici”, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo, 31, 1969, 116 ss.; F. Cancelli, “‘Iuris consensu’ nella definizione ciceroniana di ‘res publica’”, in Studi in memoria di Guido Donatuti, I, Milano 1973, 211 ss.; P. Catalano, Populus Romanus Quirites, Torino 1974, 97 ss.; 155 ss.; L. Peppe, “Popolo (Diritto romano)”, in Enciclopedia del diritto, XXXIV, Milano 1985, 319 ss.; G. Nocera, “Privato e pubblico (Diritto romano)”, in Enciclopedia del diritto, XXXV, Roma 1986, 615 ss.; Id., Il binomio pubblico-privato nella storia del diritto, Napoli 1989, 17 ss.; M.P. Baccari, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 195 ss.; P. Cerami, Potere ed ordinamento nell’esperienza costituzionale romana, 3 ed., Torino 1996, 22 ss.; G. Lobrano, Popolo e legge: il sistema romano e la deformazione moderna”, in Aa.Vv., Nozione, formazione e interpretazione del diritto. Dall’età romana all’esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo, I, Napoli 1997, 453 ss.; L. Labruna, “De re publica”, in Id., Civitas quae est constitutio populi e altri studii di storia costituzionale romana, Napoli 1999, 35 ss.; C. Cascione, Consensus. Problemi di origine, tutela processuale, prospettive sistematiche, Napoli 2003, 66 ss.

 

[28] Sulla nozione di res publica, con particolare riferimento alla definizione ciceroniana, oltre alla dottrina indicata nella nota precedente, si vedano: A. Guarino, “La formazione della ‘Respublica’ romana”, in Revue Internationale des Droits de l’Antiquité, 1, 1948, 95 ss.; G. Nocera, “Res publica”, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, 58, 1949, 5 ss.; F. Crosara, “Respublica e respublicae cenni terminologici dall’età romana all’XI secolo”, in Atti del Congresso Internazionale di diritto romano e di storia del diritto, Verona 27-29 XI 1948 (a cura di G. Moschetti), IV, Milano 1953, 227 ss.; Id., “Concetto e ideale dello Stato nel termine respublica secondo Cicerone”, in Ciceroniana, 1.2, 1959, 83 ss.; P. Catalano, “Il principio democratico in Roma”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 28, 1962, 316 ss.; E. Berti, Il «De re publica» di Cicerone e il pensiero politico classico, Padova 1963; T. JOSSA, “L’‘utilitas rei publicae’ nel pensiero di Cicerone”, in Studi Romani, 12, 1964, 269 ss.; C.M. Moschetti, Gubernare navem gubernare rem publicam. Contributo alla storia del diritto marittimo e del diritto pubblico romano, Milano 1966, 124 ss.; H.P. Kohns, “Res publica - res populi (zu Cic. rep. I 39)”, in Gymnasium, 77, 1970, 392 ss.; A. Guarino, La democrazia a Roma, Napoli 1979; A. D’ors, “Sobre el concepto ciceroniano de ‘res publica’”, in Revista de estudios histórico-jurídicos, 8, 1983, 37 ss.; G. Mancuso, “Sulla definizione ciceroniana dello Stato” cit., 609 ss.; Id., “Il concetto di costituzione nel pensiero politico greco-romano” cit., 339 ss.; E. Lepore, “Il pensiero politico romano del I secolo”, in Aa.Vv., Storia di Roma. 2. L’impero mediterraneo. I. La repubblica imperiale (sotto la direzione di A. Schiavone), Torino 1990, 857 ss.; L. Perelli, Il pensiero politico di Cicerone. Tra filosofia greca e ideologia aristocratica romana, Firenze 1990, 17 ss.; G. Mancuso, “Potere e consenso nell’esperienza costituzionale repubblicana” cit., 211 ss.; Id., Forma di Stato e forma di governo nell’esperienza costituzionale greco-romana cit., 71 ss.; C. Carrasco Garcia, “Res publica come costituzione mista e decemvirato: Polibio e Cicerone”, in Aa.Vv., Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli Umanisti (a cura di M. Humbert), Pavia 2005, 125 ss.

 

[29] Sulla nozione di civitas come iuris societas gentium, in Cic., rep. 1,32,49, si veda G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere cit., 113 ss., il quale osserva che in “questa ulteriore definizione di popolo si evidenzia, per altro, la essenziale interrelazione tra la nozione di populus(-societas) e la nozione di civitas (città, diritto di cittadinanza e, appunto, universitas civium) già espressa da Cicerone sempre nel De republica: concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur (6.13.13; cfr. 1.32.49 quid est enim civitas nisi iuris societas)”. Si veda, inoltre, M.P. Baccari, Cittadini popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI cit., 53 ss.; G. Lobrano, La Respublica romana, municipale-federativa e tribunizia: modello costituzionale attuale” cit.; M. Varvaro, “Iuris consensus e societas in Cicerone. Un’analisi di Cic., De rep., 1,25,39” cit., 456 ss., il quale, però, formula ampie riserve critiche sull’impiego da parte di Cicerone, nella definizione della res publica, dello «schema della societas di diritto privato».

 

[30] Sulla societas coniugale, con particolare riguardo a D. 25.2.1 (Paul. 7 ad Sab.) in cui si parla di una societas vitae fra i coniugi, si vedano: E. Volterra, Lezioni di diritto romano. Il matrimonio romano, Roma 1960-1961, 130 ss.; Id., “Matrimonio (Diritto romano)”, in Enciclopedia del diritto, XXV, Milano 1975, 754 nt. 62; G. Lobrano, Uxor quodammodo domina”: riflessioni su Paul. D. 25,2,1, Sassari 1989, 54 ss.; R. Astolfi, Il matrimonio nel diritto romano preclassico, 2 ed., Padova 2002, 103 ss. Id., Il matrimonio nel diritto romano classico, Padova 2006, 265 ss.

 

[31] Cfr., da ultimo, in tal senso A. Palma, “Note critiche sul concetto di causa” cit., 322 ss.

 

[32] Per lo stato della dottrina si veda da ultimo T. Dalla Massara, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica cit., 77 ss.

 

[33] Nella intensa produzione scientifica dell’illustre romanista in tema di contratto si vedano: A. Burdese, “Ancora sul contratto nel pensiero di Labeone (a proposito del volume di Raimondo Santoro)”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 51, 1985, 458 ss.; Id., “Sul riconoscimento civile dei c.d. contratti innominati”, in Iura, 36, 1985, 14 ss.; Id., “Ancora in tema di contratti innominati”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 52, 1986, 442 ss.; Id., “Osservazioni in tema di c.d. contratti innominati”, in Estudios en homenaje al Profesor Juan Iglesias con motivo de sus bodas de oro con la enseñanza (1936-1986), I, Madrid 1988, 127 ss.; Id., “Sul concetto di contratto e i contratti innominati in Labeone” cit., 15 ss.; Id., “Recenti prospettive in tema di contratti”, in Labeo, 38, 1992, 200 ss.; Id., “Sulle nozioni di patto, convenzione e contratto in diritto romano” cit., 41 ss.; Id., “I contratti innominati”, in Aa.Vv., Derecho Romano de obligaciones. Homenaje al profesor José Luis Murga Gener (coordinación e presentación J. Paricio), Madrid 1994, 63 ss.; Id., “Contrahere pacisci transigere”, in Labeo, 41, 1995, 101 ss.; Id., “In margine a D. 4.3.9.3”, in Seminarios Complutenses, 7, 1995, 27 ss.; Id., “Contratto e convenzioni atipiche da Labeone a Papiniano”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 62, 1996, 515 ss.; Id., “Tra causa e tipo negoziale dal diritto classico al postclassico in tema di transazione”, in Seminarios Complutenses, 9-10, 1997-1998, 45 ss.; Id., “Ultime prospettive romanistiche in tema di contratto”, in Atti del II convegno sulla problematica contrattuale in diritto romano, Milano 1998, 17 ss.; Id., “Su alcune testimonianze celsine”, in Mélanges en l’honneur de Carlo Augusto Cannata, Bâle-Genève-Munich 1999, 3 ss.; Id., “Divagazioni in tema di contratto romano tra forma, consenso e causa”, in Aa.Vv.,Iuris vincula’. Studi in onore di Mario Talamanca, Napoli, 2001, 315 ss.

 

[34] A. Burdese, “Ultime prospettive romanistiche in tema di contratto” cit., 33.

 

[35] Con riferimento alle problematiche contrattuali, dell’illustre romanista torinese, oltre ai due corsi su Synallagma e conventio nel contratto (sopra citati alla nt. 2), si veda anche: F. Gallo, “Eredità di Labeone in materia contrattuale” cit., 41 ss.; Id., “Eredità di giuristi romani in materia contrattuale” cit., 123 ss. (=AA.VV., Le teorie contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea. Atti del Convegno di diritto romano, Siena, 14-15 aprile 1989 cit., 3 ss.); Id., “Ai primordi del passaggio della sillagmaticità dal piano delle obbligazioni a quello delle prestazioni”, in Aa.Vv., Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 cit., 63 ss.; Id., “‘Agere praescriptis verbis’ e editto alla luce delle testimonianze celsine”, in Labeo, 44, 1998, 7 ss. (=Atti del II convegno sulla problematica contrattuale in diritto romano cit., 35 ss.); Id., “Contratto e atto secondo Labeone: una dottrina da riconsiderare”, in Roma e America. Diritto romano comune, 7, 1999, 17 ss.

 

[36] F. Gallo, Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne. Corso di Diritto romano, II, cit., 113 ss.

 

[37] Così A. Palma, “Note critiche sul concetto di causa” cit. 323.

 

[38] Sulla consideration si veda, con rinvii alla letteratura, G. Gorla, Il contratto, Milano 1954, 345 ss.; G. Alpa - M. Bessone, Causa e consideration, Bologna 1985; G. Gorla, “Consideration”, in Enciclopedia del diritto, IX, Milano 1964, 176 ss.; G. Alpa, “Contratto nei sistemi di common law”, in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, IV, Torino 1989, 169 ss.; M. Serio, “Note su consideration e causa”, in Aa.Vv., Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, II Congresso Internazionale ARISTEC, Palermo, 7-8 giugno 1995 cit., 385 ss.; A.M. Rabello, “Israele: senza ‘causa’ e senza ‘consideration’”, ibidem, 407 ss.

 

[39] Osserva C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano 1984, 419 ss., che «la causa è la ragione pratica del contratto, cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare».

 

[40] G.B. Ferri, “Negozio giuridico” cit., 76 ss.: «la causa rappresenta il momento d’insieme dell’intera regolamentazione negoziale; il momento attraverso cui la regolamentazione negoziale palesa nella sua intierezza (o, se si vuole, nel suo significato concreto e nella sua reale portata) l’assetto d’interessi in essa divisato».

 

[41] Si veda R. Sacco, Obbligazioni e contratti, in Trattato di diritto privato (diretto da P. Rescigno), X, II, rist. agg., Torino 1988, 317 ss.

 

[42] È da condividere quanto osserva al riguardo A. Palma, “Note critiche sul concetto di causa” cit., 325: «In conclusione, quando si discute delle fonti romane, il termine causa appare assumere solitamente il significato di interesse concretamente perseguito, quale emerge o dalle dichiarazioni delle parti o dall’equilibrio complessivo degli interessi. Vi è quindi una sorta di singolare corrispondenza di impostazione tra le più antiche dottrine dei giuristi romani e le attuali moderne impostazioni dei privatisti, i quali si sono liberati della nozione astratta di causa e l’hanno giustamente ancorata alla composizione e all’equilibrio degli interessi concretamente perseguiti».

 

[43] Sulla formazione del giurista nelle suddette fasi richiamo per tutti F. Gallo, “Per lo studio e l’insegnamento della scienza e della tecnica della produzione, interpretazione e applicazione del diritto nelle facoltà giuridiche italiane”, in Panorami, 4 (1992), 1 ss. (=Id., Opuscola selecta (a cura di F. Bona-M. Miglietta), 867 ss.); Id., Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria contrattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne. Corso di diritto romano, I, cit., 11 ss.: «Il giurista lascia abitualmente al di fuori della propria orbita implicazioni fondamentali della produzione del diritto da parte dell’uomo, produzione che continua ad essere ritenuta affare esclusivo del legislatore; a quanto mi consta non ci sono insegnamenti, nelle Università italiane, di scienza e tecnica della legislazione; nelle stesse Università si dedica di regola all’ars interpretativa e applicativa del diritto uno spazio soltanto marginale, e comunque inadeguato rispetto al ruolo che essa avrà nell’attività di uomini del diritto, a vantaggio dell’insegnamento di contenuti normativi, la cui caducità è sotto gli occhi di tutti».

 

[44] Non a torto ha osservato un civilista, C. Scognamiglio, “Il problema della causa: la prospettiva del diritto privato europeo”, in Roma e America diritto romano comune, 12 (2001), 336, che il nostro tema «evoca comunque questioni tuttora centrali nella costruzione del diritto privato europeo e può offrire un contributo importante alla formazione del sistema giuridico latinoamericano». Si veda, inoltre, sulla necessità di un “dialogo costruttivo” tra la dottrina, sensibile alla dimensione storica del diritto, e il legislatore comunitario, quanto osserva L. Garofalo, “Scienza giuridica, Europa, Stati: una dialettica incessante”, in Aa.Vv., Harmonisation involves history? Il diritto privato europeo al vaglio della comparazione e della storia, Foggia, 20-21 giugno 2003 (a cura di O. Troiano - G. Rizzelli - M.N. Miletti), Milano 2004, 89 ss. [(=Europa e diritto privato, 2004, 907 ss.) (=Iura, 52, 2001) 131 ss. (=Id., Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica. Saggi, Padova 2005, 117 ss., da cui si trae la citazione nel testo, a 140)]: «Ricostruire le tradizioni e le dogmatiche nazionali sui temi di interesse comunitario, segnalandone le identità, le contiguità e le divergenze, nonché le relative inefficienze; scorgere e tracciare i percorsi e le figure, anche inedite, che possono portare all’armonizzazione dei singoli diritti, soppesando l’impatto che il nuo­vo avrà nell’ambito dei sistemi tenuti ad accoglierlo; additare schemi, concettuali e linguistici, capaci di rispondere realmente all’esigenza uniformante che muove il legislatore europeo, a evitare che le sue opzioni normative si traducano in disposizioni statali che, per la tendenza, tipica di chi è poi tenuto a darvi applicazione, a riassorbirle negli abituali modelli operativi, vadano ad accentuare l’eterogeneità degli ordinamenti: di tutto ciò, dunque, dovrebbe farsi carico la dottrina cui penso». Su questi aspetti si veda ora Aa.Vv., Fondamenti del diritto europeo. Atti del Convegno, Ferrara, 27 febbraio 2004 (a cura di P. Zamorani - A. Manfredini - P. Ferretti), Torino 2005, ove si trovano riferimenti alla letteratura.

 

[45] Sulla societas, nel sistema giuridico romano, la letteratura è vastissima. Per un primo esame si vedano: V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano, Napoli 1950 (rist. an. 1988); M. Bianchini, Studi sulla societas, Milano 1967; F. Cancelli, “Società (Diritto romano) ”, in Novissimo Digesto Italiano, XVII, Torino 1970, 495 ss.; F. Bona, Studi sulla società consensuale in diritto romano, Milano 1973; M.R. Cimma, Ricerche sulla società di pubblicani, Milano 1981; A. Guarino, La società in diritto romano, Napoli 1972, (rist. 1988); M. Talamanca, “Società (Diritto romano)” cit., 814 ss.; C. Velasco, “La sociedad”, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al profesor José Luis Murga Gener, coordinación y presentación J. PARICIO, Madrid 1994, 611 ss.; G. Santucci, Il socio d’opera in diritto romano. Conferimenti e responsabilità, Padova 1997.

 

[46] Così M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, 597.

 

[47] Si veda per tutti M. Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 817 ss.

 

[48] Si veda L. Gutierrez-Masson, Del «consortium» a la «societas», I, «Consortium ercto non cito», Madrid 1987.

 

[49] Cfr. V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 7 e nt. 2, il quale osserva che Gaio «si compiace di un gioco di parole». Sulla definizione del consortium come societas legitima e naturalis naturalis si vedano anche C.A. Maschi, La concezione naturalistica del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano 1937, 310 nt. 4; M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’”, in Labeo, 6, 1959, 173 ss.

 

[50] Cfr. M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’” cit., 170.

 

[51] Cfr. E. Betti, Istituzioni di diritto romano, I, 2 ed., Padova 1942, 426 ss.: «Il vincolo personale di fraternità fra consorti, che giustifica e governa la comunione, rende ragione, nella concezione romana, della pienezza di poteri ricono­sciuti a ciascuno nei rapporti esterni, allorché si tratta di disporre di una cosa comune, o di assumerne la difesa in giudizio … Ma non è da credere che di questa legittimazione indipendente e con­corrente fosse fatto in pratica un uso arbitrario e lesivo degli interessi comuni, senza riguardo al modo di vedere degli altri consorti. La con­cezione romana è probabilmente … che il fratello non può tradire il fratello, come il tutore non può tradire il pupillo …, ma deve apprezzare e sentire l’interesse comune od altrui come interesse suo proprio e assumere verso l’altro la responsabilità dell’apprezzamento fatto … Il vincolo di fraternità fra consorti, come legittima tanto estesi poteri d’iniziativa, così giustifica una piena fiducia reciproca».

 

[52] Si veda M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’” cit., 165 ss.; G. Grosso, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato romano. Dall’epoca arcaica alla giurisprudenza classica: diritti reali e obbligazioni, Torino 1970, 406, il quale rileva: «Lo sviluppo storico, che portava al concetto contenutistico ed economicistico del dominium, giunse da un lato a far configurare sui beni la comproprietà per quote e dall’altro lato a individuare un atto per cui si dovevano mettere in comune tutti i beni e gli acquisti (societas omnium bonorum), di cui venne a risaltare il carattere contrattuale. E questa società universale, societas omnium bonorum si presentava storicamente con una continuità rispetto all’antico consortium; i giuristi mettevano in evidenza un ius quodammodo fraternitatis che esisteva nei rapporti fra i soci, e questo elemento non poteva che significare l’accentuazione di tale continuità; d’altra parte la posizione sistematica di primo piano che, al di là della sua portata pratica, la giurisprudenza del principato dava ancora alla societas omnium bonorum, richiamava a tale posizione storica». M. Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 817: «il suo regime è profondamente influenzato dalla fraternitas tra i consortes che traluce ancora dalle fonti classiche relative alla societas».

 

[53] Cfr. sulla necessità di essere a questo proposito molto prudenti M. Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 817.

 

[54] Si veda V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 10 ss.

 

[55] Si vedano: V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 122 ss.; M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’” cit., 177 ss.; W. Litewski, “Das ‘beneficium competentiae’ im römischen Recht”, in Studi in onore di Edoardo Volterra, 4, Milano 1971, 469 ss.; A. Guarino, La società in diritto romano cit., 8 ss.; Id., La condanna nei limiti del possibile, 2 ed., Napoli 1978, 26 ss.; J. Gildemeister, Das beneficium competentiae im klassischen römischen Recht, Göttingen 1986.

 

[56] V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 63.

 

[57] Si vedano A. Guarino, La società in diritto romano cit., 35 ss.; M. Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 820.

 

[58] Si veda M. Talamanca, “Società. (Diritto romano)” cit., 823 ss. e nt. 105, che cita fra l’altro, nell’ambito del titolo Pro socio, D. 17,2,1,1 (Paul 32 ad ed.): In societate omnium bonorum omnes res quae coeuntium sunt continuo communicantur.

 

[59] In questo senso, soprattutto, mi sembra di potermi discostare dalla opinione di M. Bretone, “‘Consortium’ e ‘communio’” cit., 201.

 

[60] Sulla necessità di perseguire uno scopo comune come carattere fondamentale della societas si vedano per tutti: E. Betti, Istituzioni di diritto romano cit., 252 ss.; M. Bianchini, Studi sulla societas cit., 22; A. Guarino, La società in diritto romano cit., 59 ss.

 

[61] Cfr. A. Guarino, La società in diritto romano cit., 59 ss.: «Nella concezione della giurisprudenza preclassica e classica, il contratto consensuale di societas aveva la funzione tipica di impegnare le parti ad impiegare direttamente e lecitamente, nell’interesse comune, beni o attività che le parti stesse dovevano apprestare secondo l’occorrenza, ripartendo tra loro i vantaggi ed eventualmente gli svantaggi conseguiti agli impieghi».

 

[62] Si vedano V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 51 nt. 3; A. Guarino, La società in diritto romano cit., 69 ss.; G. Santucci, Il socio d’opera in diritto romano. Conferimenti e responsabilità cit., 12 ss. nt. 21, con rinvii alla dottrina.

 

[63] Fondamentale per questi rilievi V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 72 ss.

 

[64] G. Lobrano, “Dell’homo artificialis - deus mortalis dei Moderni comparato alla societas degli Antichi”, in Aa.Vv., Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia. Itinerari per il terzo millennio (a cura di A. Loiodice - M. Vari), Roma 2003, 161 ss.

 

[65] Sulla nozione di populus e di civitas in Cicerone si vedano: P. Rodríguez, “El significado de civitas en Cicerón”, in Veleia, 7, 1990, 233 ss.; P. Catalano, “Una civitas communis deorum atque hominum: Cicerone tra temperatio reipublicae e rivoluzioni”, in Studia et Documenta Historiae et Iuris, 61, 1995 (=Studi in memoria di Gabrio Lombardi, II, Roma 1996), 723 ss.; R. Stark, “Ciceros Staatsdefinition”, in Das Staatsdenken der Römer (hrsg. von R. Klein), Darmstadt 1966, 332 ss.; G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere cit., 113 ss.; F. Sini, Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, Torino 2001, 173 ss.

 

[66] Sul fondamento naturalistico del ius, nella opera di Cicerone, si vedano: U. Knoche, “Ciceros Verbindung der Lehre vom Naturrecht mit dem römischen Recht und Gesetz. Ein Beitrag zu der Frage: Philosophische Begründung und politische Wirklichkeit in Ciceros Staatsbild ”, in Cicero. Ein Mensch seiner Zeit (hrsg. von G. Radke), Berlin 1968, 38 ss.; M. Ducos, Les romains et la loi. Recherches sur les rapports de la philosophie grecques et de la tradition romain à la fin de la République, Paris 1984, 225 ss.; D.H. Van Zyl, “Cicero and the law of natural”, in South African Law Journal, 103, 1986, 55 ss.; N. Wood, Cicero’s social and political thought, Berkeley-Los Angeles London 1988, 70 ss.; L. Perelli, Il pensiero politico di Cicerone. Tra filosofia greca e ideologia aristocratica romana cit., 113 ss.; P.A. Vander Waerdt, “Philosophical influence on Roman Jurisprudence? The case of Stoicism an natural Law”, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.36.7, Berlin-New York 1994, 4851 ss.; F. Fontanella, “Ius pontificum, ius civile e ius naturae nel De legibus II, 45-53”, in Athenaeum, 84, 1996, 260; S. Querzoli, Il sapere di Fiorentino. Etica, natura e logica nelle Institutiones, Napoli 1996, 75 nt. 1; G. Hamza, “Bemerkungen über den begriff des Naturrechts bei Cicero”, in Aa.Vv., Nozione formazione e interpretazione del diritto. Dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo, I, Napoli 1997, 349 ss. ; P.P. Onida, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano, Torino 2002, 108 ss.

 

[67] Per gli sviluppi successivi si veda ancora G. Lobrano, “Dell’homo artificialis - deus mortalis dei Moderni comparato alla societas degli Antichi” cit., 165.

 

[68] G. Lobrano, “Dell’homo artificialis - deus mortalis dei Moderni comparato alla societas degli Antichi” cit., 161 ss.

 

[69] I. Birocchi, “Contratto e persona giuridica pubblica. Spigolature su ‘causa’, ‘communis utilitas’ e diritto dei privati nell’età del diritto comune”, in AA.VV., I rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica. Atti del Congresso internazionale della Società Italiana di storia del diritto, Torino 17-19 ottobre 1994, Napoli 1997, 262 ss.

 

[70] Non mi sembra corretta, data la necessità storica di distinguere tra le due soluzioni, la impostazione di chi ritiene, come A. Guarino, La società in diritto romano cit., 71, pur escludendo che la societas romana sia una persona giuridica, che il patrimonio comune, eventualmente costituitosi, e la gestione comune di esso potessero all’esterno essere percepiti come «un ente a se stante» distinto, dunque dalle persone fisiche dei soci. Non a caso l’illustre romanista, con riferimento al diritto societario moderno, osserva che «dal contratto di società modernamente inteso, anche se non scaturisce in ogni caso una vera e propria ‘persona giuridica’, scaturisce quanto meno un ente giuridico, un quid patrimonialmente autonomo». Sulla questione della personalità giuridica della societas si veda V. Arangio-Ruiz, La società in diritto romano cit., 79.

 

[71] Si veda, con riferimento a Cass., sez. I, 26 ottobre 1995, n.11151, in cui si è esclusa la possibilità di riconoscere un interesse della società (s.r.l.) in quanto persona giuridica, distinto da quello dei soci, P.G. Jaeger - C. Angelici - A. Gambino - R. Costi - F. Corsi, “Cassazione e contrattualismo societario: un incontro?”, in Giurisprudenza Commerciale, 1996, II, 334 ss.

 

[72] Si veda in particolare l’art. 48 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, in cui si legge che: «Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro».

 

[73] È noto che nei diritti di diversi Stati membri della Unione Europea, nel corso dell’ultimo trentennio, sono state emanate leggi con le quali è stata ammessa la costituzione della società con atto unilaterale. Con la direttiva 89/667/CEE si è introdotta, a livello comunitario, la limitazione della responsabilità dell’imprenditore unico. In Italia, sulla base di tale direttiva, dapprima col d.lgs. 3 marzo 1993, n. 88 e poi col d.lgs., 17 gennaio 2003, n. 17, si è prevista la possibilità di costituire, attraverso un atto unilaterale, sia la società per azioni (art. 2328, comma 1, cod. civ.), sia la società a responsabilità limitata (art. 2463, comma 1, cod. civ.). Quando un unico socio è il fondatore della società, questa si costituisce per atto unilaterale (art. 2328, comma 1, cod. civ.).

 

[74] G.U.C.E. L 294 del 10 novembre 2001.

 

[75] Per i riferimenti ad altre fonti e alla letteratura si rinvia a P.P. Onida, “Tensioni  non risolte nel nuovo diritto societario: una lettura romanistica”, in Diritto @ Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana, 3, maggio 2004 = http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Onida-Tensioni-non-risolteII.htm  (ora in Memorias II Seminario en el Caribe Derecho Romano y Latinidad: Identidad e Integración Latinoamericana y Caribeña, La Habana 12 al 14 de febrero de 2004, “Patria es humanidad” José Martí [a cura di P.P. Onida - E. Valdès Lobàn], edición por Facoltà di Giurisprudenza della Università di Sassari, Italia; Universidad Michoacana de San Nicolás de Hidalgo, México; Universidad de Pinar del Río, Cuba [La Habana-Sassari, 2007] 189 ss.).

 

[76] Artt. 12 e 16, comma 1, reg.

 

[77] Art. 47, comma 1, reg.

 

[78] Art. 3, comma 2, reg.