Accademia delle Scienze di
Russia
Mosca
Varrone “Antiquitates rerum humanarum et divinarum” e il
sistema
del
diritto
pubblico
romano
Parlando
del sistema del diritto pubblico romano, è necessario sottolineare che a
differenza del diritto romano privato la nostra conoscenza di quello è
molto meno profonda, siccome c’è il problema della mancanza delle
fonti. Per di più, le nostre opinioni sul sistema del diritto pubblico
romano sono sotto l’influenza profonda delle opinioni tradizionali della
romanistica occidentale del passato, per esempio, del sistema del diritto statale
romano, creato da Th. Mommsen nel suo famoso Römisches Staatsrecht. Nello stesso tempo, la divisione di
tutto il diritto romano in pubblico e privato, ben nota dopo Ulpiano, è
uno dei principi fondamentali del sistema sia del diritto romano che del
diritto contemporaneo europeo.
La
definizione ulpinianea permette di individuare tre principali componenti del
diritto pubblico romano classico: sacra,
sacerdotes, magistratus[1].
Tale divisione trova conferma nella esposizione del diritto pubblico nel
trattato De legibus di Cicerone, dove
le prime due parti sono dedicate al diritto sacro, dei sacerdoti e magistrati.
Noi non sappiamo quali parti c’erano ancora nel trattato di Cicerone,
poiché di almeno cinque libri (Macr. Sat.
6.4.8) si sono salvati solo i primi tre. A giudicare dalle ultime parole
salvate del trattato[2],
Cicerone descrive poi lo ius populi
Romani, cioè i diritti concreti sia pubblici, sia privati dei
cittadini romani. Può darsi che qui lui descrivesse la divisione di
tutte le res in res publicae e res privatae.
Almeno da altri lavori di Cicerone è chiaro che collegava la divisione
tradizionale di ius publicum e ius privatum con la divisione della
competenza dei iudicia publica nella
proprietà pubblica e iudicia
privata nella proprietà privata.
Su
questo punto, vorrei muovere qualche obiezione all’opinione di alcuni
studiosi, in particolare di Peter Stein[3],
i quali basandosi su un brano ciceroniano del De partitione oratoria[4]
affermano che Cicerone vedeva nella divisione tra ius publicum e ius privatum
solo una differenza tra le fonti del diritto repubblicano, create sia dallo
Stato (leggi, senatusconsulta, patti
internazionali), sia dai privati (testamenti, accordi, stipulazioni). Infatti,
è ben vero che tale differenza aveva luogo, tuttavia questo non
significa che non esistessero diverse competenze tra iudicium publicum e iudicium
privatum; né che Cicerone non conoscesse questa differenza di
competenze. Nel trattato De oratore,
consapevolmente contrappone l’uno all’altro[5],
sottolineando in particolare che, a differenza del iudicium privatum, nel iudicium
publicum si esamina il diritto pubblico del senato e del popolo che
riguarda imperium del magistrato e il
governo della res publica.
Torniamo
al problema della ricostruzione del sistema del diritto pubblico romano. Senza
dubbio, la fonte principale di tutta nostra conoscenza del diritto romano
è il Corpus Iuris Civilis di
Giustiniano. Però, sia nelle Istituzioni, sia nel Codice, sia nel
Digesto di Giustiniano non si può trovare uno chiaro dettagliato sistema
del diritto pubblico. Questo fatto non significa che nel diritto preclassico e
classico romano del I sec. a.C. - II sec. d.C. questo sistema anche non esisteva,
ma mostra che compilatori giustinianei del VI sec. d.C. non avevano
necessità di descrivere diritto pubblico dei secoli passati e del
sistema giuridico diverso. Ciò nonostante molteplici tracce del diritto
pubblico classico si possono trovare anche in queste tarde fonti. Per esempio,
nelle Istituzioni di Giustiniano si dichiara la divisione di tutto il diritto
in ius publicum e ius privatum (Inst. I.1.4), del diritto reale in res publica e res singulorum
(Inst. II.1 pr.); oltre a ciò si
da una descrizione breve della divisione delle res publicae in beni comuni, sacrali, religiosi e santi (Inst. II. 1.1-10). Finalmente, nella
parte delle azioni si da la divisione in iudicia
publica e iudicia privata.
Per
quanto riguarda il Codice di Giustiniano, qui il diritto pubblico si presenta
in misura abbastanza ampia. Però, è necessario prestare attenzione al fatto che questo è
il sistema del diritto pubblico postclassico del periodo da Adriano a
Giustiniano, quando «tutto il diritto ed il potere del popolo romano era
stato trasferito nel potere dell’imperatore»[6];
perciò non ha senso cercare qui istituti repubblicani. Però,
anche nel Codice si trova la divisione del diritto pubblico in quello sacrale (Cod. I.1-13), dei magistrati (Cod. I.14-57; XII.1-63), diritto penale,
diviso in norme riguardanti i crimini contro lo stato (Cod. IX.7-30) ed i delitti privati (Cod. IX.30-40), diritto del fisco (Cod. X.1-78) e della proprietà statale, municipale e
dell’imperatore (Cod. XI.1-78).
Il diritto privato si espone nei libri da
I
Digesta di Giustiniano, anche se
soprattutto sono dedicati al diritto privato, sono molto interessanti per lo
studio del diritto pubblico classico. Così, nel primo libro si trova la
constatazione della divisione di tutto il diritto a quello pubblico e privato
(D. 1.1.1.2), di tutto diritto reale alla res publica, res sacra e res
privata (D. 1.8.1-10). In questo libro c’è anche descrizione
del diritto dei magistrati (D. 1.9-22). Tra le azioni reali del sesto libro dei
Digesta anche azione su ager vectigalis
si menziona (D. 6.3), poi nei titoli da
Poi,
nei Digesta si trova il concetto dei bona publica (D. 50.16.17) del patrimonium populi (D. 41.1.14 pr.) o
del patrimonium fisci (D. 18.1.72.1;
D. 43.8.2.4; dominium fisci - D. 39.4.14).
Anche la definizione della proprietà pubblica del popolo romano, che noi
troviamo nel XVI Titolo del Libro
Nel Digesto di
Giustiniano tutta la proprietà statale si divide in 2 parti principali:
i beni pubblici che c’erano in uso diretto del popolo (res in publico usu) e i beni
dell’erario del popolo romano o del fisco dell’imperatore (res in pecunia populi)[9].
La divisione della proprietà statale in queste due parti ha carattere
principale, poiché il regime di queste parti della proprietà pubblica
aveva carattere molto diverso. Come è ben noto, le res in publico usu erano fuori del commercio (res extra commercio) e non potevano essere oggetto della
compravendita o delle locazioni[10].
Invece, le res in pecunia populi
erano oggetto del commercio delle locazioni o della compravendita dei privati,
come Pomponio e Giustiniano mostrano[11].
Perciò nel primo caso le res in
publico usu erano in gestione diretta dei magistrati. I pretori, che hanno
elaborato diversi interdicta sulla
difesa dell’uso pubblico di edifici, strade, fiumi, acquedotti ecc., in questo caso avevano il ruolo
principale. Quanto riguarda le res in
pecunia populi, quelle si vendevano in appalto ai mancipes secondo i contratti pubblici.
Materiale del Digesto
ci permette di concludere che proprio nella giurisprudenza preclassica e
classica il sistema del diritto pubblico era stato elaborato profondamente;
però, a differenza del diritto privato, nelle fonti postclassiche non si
era salvato in misura sufficiente.
In quale fonte della
nostra disposizione si può trovare l’informazione su questo
sistema? Secondo la definizione di Ulpiano[12]
La descrizione del
sistema del contenuto dei libri Antiquitates rerum humanarum et divinarum
di Varrone si trova nel testo famoso di Agostino (De civ. Dei, VI.3). Francesco
Sini nota che Varrone certamente usava nella sua opera Antiquitates la costruzione giuridica religiosa elaborata dai
sacerdoti romani d’età repubblicana[13].
La prima parte, quella Rerum humanarum,
è divisa in quattro parti: homines,
loci, tempora, res.
Questa divisione
è assai vicina a quella delle Institutiones
di Gaio: personae, res, actiones,
dove le parti loci e tempora corrispondono a quella delle actiones. Tale similitudine non è
casuale e mostra che tutto il sistema del diritto romano sia privato, sia pubblico
ha le stesse radici nei commenti giuridici e religiosi della giurisprudenza
pontificale repubblicana. Questo fatto si può trattare nel senso che i
principi generali del sistema sia del diritto privato che del diritto pubblico
erano identici.
In
relazione a questo, è necessario prestare attenzione al rapporto tra la
prima parte delle Antiquitates rerum
humanarum di Varrone, la quale è chiamata da Agostino De hominibus, e prima parte delle Antiquitates rerum divinarum. In tutte
due le parti si tratta delle persone. Nella prima parte delle Antiquitates rerum humanarum si tratta,
in particolare, dei re e dei magistrati. Nella prima parte delle Antiquitates rerum divinarum dei
pontefici, auguri e quindecemviri, cioè dei sacerdoti del popolo romano[14].
Per quanto riguarda la quarta parte delle Antiquitates
rerum humanarum chiamata da Agostino De
rebus, quella deve essere comparata con la parte De
sacris delle Antiquitates rerum
divinarum[15],
dove Varrone descrive le res sacrae.
Qui è importante di mettere l’attenzione al contenuto dei libri De sacris: primo libro era dedicato alla
consacrazione (l’istituto che corrisponde con quello laico publicatio bonorum), secondo – ai sacra privata, terzo – ai sacra publica. Si può presumere
che 6 libri De rebus delle Antiquitates rerum humanarum di Varrone
anche avevano una divisione simile. Grazie a molteplici citazioni di questi
libri di Varrone in diversi autori antichi si può parzialmente definire
il loro contenuto. Così, diversi parti del libro 21 erano dedicate ai questori,
edili e tribuni plebei (Gell. XIII.12-13),
un’altro libro trattava diritto di guerra e pace (Gell. I.25). I compilatori della versione elettronica
dell’edizione delle fonti PHI hanno proposto suoi titoli a diversi libri
di questa parte: il libro 20 delle Antiquitates
rerum humanarum di Varrone qui si chiama De re publica, il libro
21 – De magistratuum imperio et potestate, il libro 22 – De bello
et pace, il libro 23 – De iudiciis e il libro 25 –De rebus
in usum publicum inuentis.
Dunque, sembra che in tutti i 6 libri si trattava del diritto pubblico e della
proprietà statale. Forse, Varrone si occupava anche delle res publicае in pecunia populi.
Però, se Varrone in questi libri De
rebus ripeteva l’ordine che c’era nei suoi libri De sacris, allora, deve esistere anche
un libro delle res privatae.
Certamente,
tutta questa ricostruzione del sistema dei libri di Varrone è abbastanza
ipotetica; ma a mio avviso si può concludere che, descrivendo gli usi e
il diritto dei romani del periodo repubblicano, nei libri del suo trattato Antiquitates rerum humanarum et divinarum
Varrone divideva tutto il diritto tra quello umano e quello divino; a sua volta
ciascuno di questi due si divideva in persone, azioni e beni. Allora, secondo
Varrone la divisione del diritto sacro e pubblico seguiva il principio generale
del diritto privato: personae - res -
actiones.
Questa
conclusione non è solamente una ipotesi, perché a nostra
disposizione abbiamo una serie di fonti giuridiche eccellenti del I sec. a.C. -
I sec. d.C. Si tratta delle leggi municipali lex coloniae Genetivae, lex municipii Malacitani, lex municipii Salpensani e lex municipalis Irnitana, le quali
avevano il ruolo di legge principale, lo statuto dei municipi romani. Nella
letteratura moderna esiste l’opinione che la composizione delle leggi
municipali è raccolta da diverse leggi romane tematiche come leges agrariae, leges iudiciariae, ma la loro base originaria, la fonte principale
non è chiara[16].
Secondo me, la risposta al problema dell’origine dei statuti municipali
romani si deve cercare nelle parole di Livio, secondo cui già nella fine
del IV sec. a.C. gli alleati dei romani cominciarono a pregare di dare loro il
diritto e il sistema giudiziario romano[17].
Anche Festo racconta la penetrazione ampia del diritto romano nelle diverse res publicae degli alleati romani nel IV
e III sec. a.C.[18],
e Velleio Paterculo ci dà un elenco abbastanza dettagliato e ampio delle
città che hanno ricevuto la cittadinanza romano in questo periodo (Vell. I.14.3-8). Quale diritto usavano i romani nel IV sec. a.C. per darlo agli
alleati? La risposta può essere unica: le leggi delle XII Tavole
nell’interpretazione del praetor
urbanus romano[19].
Infatti, molte norme delle XII Tavole si ripetono nelle leggi municipali[20].
Da Livio è ben conosciuto che la legge delle XII Tavole fons omnis publici priuatique est iuris[21],
e Cicerone aggiunge che nelle leggi delle XII Tavole si può trovare
tutta la ciuilis scientia,… totam
hanc, descriptis omnibus ciuitatis utilitatibus ac partibu[22].
Anche Ausonio dà in breve la caratteristica del sistema delle XII
Tavole, secondo la quale il codice decemvirale era di tre parti: sacrum, priuatum, populi commune[23].
Lo
studio del contenuto delle leggi municipali permette di pervenire ad alcune conclusioni
su struttura e contenuto. La più ben conservata, la lex Irnitana ha cinque parti, nelle quali insieme al diritto dei
magistrati (duoviri, edili, questori - 18-29), dei decurioni (30-44), dei
comizi popolari e della procedura giudiziaria sulle res privatae (86-91), una parte molto ampia (60-83) è
dedicata al regime delle finanze municipali e della proprietà pubblica.
Questa descrizione del diritto pubblico reale ha stretta corrispondenza con la
parte De rebus di Varrone. Quasi lo
stesso ordine del contenuto si può trovare nelle altre leggi municipali,
le quali, però, colmane le lacune della lex Irnitana. Così, la lex
coloniae Genetivae Ursonensis descrive il diritto sacrale dei pontefici e
auguri (66-68) e anche il carattere d’uso delle res sacrae: i soldi pubblici per riti sacri e sacrifici (65), i
contratti d’appalto delle res
sacrae (69), le fonti finanziari per ludi
e sacrifici (70-72). Nella lex Malacitana
si è salvata la tavola che descrive abbastanza dettagliatamente la
procedura dei comizi popolari (51-59). Allora, in tutti questi statuti
municipali si tratta del carattere della proprietà pubblica municipale e
del regime di quella e questo premette di sottolineare le seguenti
specialità molto importanti:
1.
Negli statuti esiste la divisione di tutti i beni pubblici nelle res in usu communi[24],
res in pecunia communi[25].
2.
Si deve sottolineare che la proprietà municipale era data in appalto
secondo le obbligazioni pubbliche[26],
controllate dai decurioni e dai cittadini del municipio, i comizi dei quali
accanto ai recuperatores
rappresentavano l’istanza giudiziaria dei iudicia publica del municipio[27].
Dunque,
in modo schematico si può disegnare il sistema del diritto pubblico
romano municipale in tal’ordine:
1.
Diritto sacrale diviso tra quello dei sacerdoti (pontefici ed auguri) e quello
dei sacra. L’ultimo includeva
l’enumerazione sia delle stesse res
sacrae, sia le obbligazioni del loro appalto (divisione persone - res);
2.
Diritto dei magistrati che includeva le norme sui magistrati stessi, sui decurioni
e sui comizi popolari (diritto delle persone).
3.
Diritto della proprietà municipale (res
publica), con la divisione di tutti i beni tra quelli in uso comune e
quelli in commercio (diritto reale con separazione degli elementi del diritto
delle obbligazioni pubbliche);
4.
La procedura giudiziaria con la divisione evidente tra iudicium publicum e iudicium
privatum.
Allora,
il contenuto delle leggi municipali permette di immaginare il sistema del
diritto pubblico romano in maniera più chiara. E’ molto importante
che una grande parte di questo diritto sia legato con le res publicae e obligationes
pubbliche. Quindi, c’è la ragione abbastanza fondata di affermare
che Th. Mommsen nel suo sistema del Römisches
Staatsrecht ha perso la parte
così importante del diritto pubblico romano come la proprietà del
popolo. Secondo me questa parte riguardava almeno il 35% di tutta la struttura
del diritto pubblico romano. Ancora il 35 % si deve aggiungere per diritto
sacro. E’ evidente, però, che anche il sistema del diritto
pubblico e sacro, assieme con quello del diritto privato, si sviluppava
più profondamente nelle opere dei giuristi romani, non salvate per il
nostro tempo.
Concludendo,
si può dire che nel sistema del diritto pubblico romano rappresentato da
Mommsen manca almeno il 70 % del contenuto e non solo del diritto sacro, dove
assieme con gli istituti religiosi puri c’erano strumenti giuridici
sociali, abbastanza importanti dal punto di vista odierno; ma anche di elementi
essenziali del diritto pubblico, della stessa res publica: cioè della proprietà pubblica e
dell’uso di quella nell’interesse del popolo e da parte dello
stesso popolo. Forse, proprio grazie anche a questo modello parzialmente
sbagliato, noi abbiamo oggi un diritto pubblico contemporaneo più dei
magistrati, cioè dei burocrati, che del sistema di utilizzazione della
proprietà popolare? Mi pare che sia arrivato il tempo dello studio
profondo del sistema del diritto pubblico romano, e che tale studio può
cambiare le nostre idee dogmatiche tradizionali in misura abbastanza rilevante.
[2] Cic. De leg. 3.20.49: De iure populi Romani, quem ad modum instituisti, dicendum nihil putas?...
Faciam breuiter si consequi potuero... Nos autem de iure naturae cogitare per
nos atque dicere debemus, de iure populi Romani, quae relicta sunt et tradita.
[3] Stein P.G., Ulpian
and the Distinction between ius publicum and ius privatum, in Collatio iuris Romani. études
dédiées à Hans Ankum à l’occasion de son 65ème
anniversaire, II, Amsterdam 1995, 500 ss.
[4] Cic. De partit. orator. 130: Scriptorum
autem privatum aliud est, publicum aliud: publicum lex, senatusconsultum, foedus,
privatum tabulae, pactum conventum, stipulatio.
[5] Cic. De orator. I.201: quam ob rem
existimem publica quoque iura, quae
sunt propria civitatis atque imperi, tum monumenta rerum gestarum et vetustatis
exempla oratori nota esse debere; nam ut in rerum privatarum causis atque iudiciis depromenda saepe oratio est
ex iure civili et idcirco, ut ante diximus, oratori iuris civilis scientia necessaria est, sic in causis publicis iudiciorum, contionum, senatus
omnis haec et antiquitatis memoria et publici
iuris auctoritas et regendae rei
publicae ratio ac scientia tamquam aliqua materies eis oratoribus, qui
versantur in re publica, subiecta esse debet.
[6] Cod. Iust. 1.17.1.7: cum enim lege
antiqua, quae regia nuncupabatur, omne ius omnisque potestas populi romani in
imperatoriam translata sunt potestatem, nos vero sanctionem omnem non dividimus
in alias et alias conditorum partes, sed totam nostram esse volumes.
[7] Vedi, Alburquerque J.M., La protección o defensa del uso collectivo de las cosas
de dominio público: especial referencia a los interdictos de publicis
locis (loca, itinere, viae, fluminae, ripae), Madrid 2002, 55 ss.
[8] D. 50.16.15: Bona ciuitatis abusiue 'publica'
dicta sunt: sola enim ea publica sunt, quae populi Romani sunt. D. 50.16.16: Eum qui uectigal populi Romani conductum habet, 'publicanum' appellamus.
nam 'publica' appellatio in compluribus causis ad populum Romanum respicit:
ciuitates enim priuatorum loco habentur. D. 50.16.17: Inter
'publica' habemus non sacra nec religiosa nec quae publicis usibus destinata
sunt: sed si qua sunt ciuitatium uelut bona. sed peculia seruorum ciuitatium
procul dubio publica habentur. 'Publica' uectigalia intellegere debemus, ex
quibus uectigal fiscus capit: quale est uectigal portus uel uenalium rerum,
item salinarum et metallorum et picariarum.
[9] Res publicae in publico
usu D. 43.8.2. (Ulp.);
D.18.1.6 pr. (Pomp); D. 45.1.83.5 (Paul); D. 43.14.1.4-6 (Ulp); D. 45.1.137.6
(Venul); D. 1.8.4.1 (Marcian.); D. 43.8.2.3 (Ulp.); res publicae in pecunia populi: D. 18.1.6 (Pomp.); D. 18.1.72.1
(Pap.); D. 41.1.14 pr. (Nerat.); C. 11.31.1; C. 11.31.3; sulla differenza tra res publicae in publico usu e res publicae in pecunia populi vedi: D.
43.8.2.4-5 (Ulp.); D. 18.1.6 pr. ((Pomp.); D. 18.1.72.1 (Pap.); D. 11.7.8.2 (Ulp.); D. 45.1.137.6 (Venul.); D. 45.1.83.5 (Paul.). E’
necessario sottolineare che io sono d’accordo con l’opinione di
N.S. Suvorov secondo il quale, originariamente, il fisco imperiale veniva
trattato come amministrazione della proprietà privata
dell’imperatore; però, «tale ordinamento è esistito
per poco tempo» e già al tempo dei Severi era sparita la
differenza tra fisco imperiale e erario del senato (Suvorov N.S, Ob
juridiceskich litsach po rimskomu pravu, Moskva 2000, 190).
[10] D. 18.1.6 pr. (Pomp): Sed Celsus filius ait ... te emere non posse
nec cuiuscumque rei ... quorum commercium non sit, ut publica, quae non in
pecunia populi, sed in publico usu habeatur, ut est campus Martius. D.45.1.137.6 (Venul): Cum quis sub hac condicione stipulatus sit,
si rem sacram aut religiosam titius
vendiderit vel forum aut basilicam et huiusmodi res, quae publicis usibus in
perpetuum relictae sint: ubi omnino condicio iure impleri non potest vel id
facere ei non liceat, nullius momenti fore stipulationem, proinde ac si ea
condicio, quae natura impossibilis est, inserta esset. Cfr.: Iust. Inst.
III.19.2: Idem iuris est, si rem sacram aut religiosam, quam humani
iuris esse credebat, uel publicam, quae
usibus populi perpetuo exposita sit, ut forum uel theatrum, uel liberum
hominem, quem seruum esse credebat, uel cuius commercium non habuit, uel rem
suam dari quis stipuletur; D.45.1.83.5
[11] D.18.1.72.1 (Pap.): lege venditionis illa facta "si quid
sacri aut religiosi aut publici est, eius nihil venit", si res non in usu
publico, sed in patrimonio fisci erit, venditio eius valebit, nec venditori
proderit exceptio, quae non habuit locum.
[13] Sini F., Varr. de ling. lat. 5,86 e il “diritto
internazionale” romano (riflessioni su fides, bellum, hostis, pax) [russo, con riassunto italiano], in
Ius Antiquum-Drevnee pravo 12, 2003, 47, 49.
[14] August. De civ. Dei, VI.3: qui ad homines
pertinent, ita subdivisit, ut primus sit de pontificibus, secundus de
auguribus, tertius de quindecimviris sacrorum…
[15] August. De civ. Dei, VI.3: quartorum
trium ad sacra pertinentium uni dedit consecrationes, alteri sacra privata,
ultimo publica…
[16] Spicenko N.K., Grazdanskij sostav munitzipiev Flavija
po dannym lex municipalis Irnitana. Avtoreferat dissertatzii kandidata istoriceskich nauk., Moskva 2006, 4. Ved. anche: Galsterer H., La loi municipal des Romains: chimère ou réalité?, RHD 65 (2) 1987, 181-203; Le Roux P., Rome et le droit latin, RHD 76 (3) 1998, 315-341; Simshäuser W., La jurisdiction municipale à la lumière de la “lex Irnitana”, RHD 67 (4) 1989, 619-650; Lamberti F., Tabulae Irnitanae: municipalità e ius Romanorum, Napoli 1993; Luraschi G., Sulla lex Irnitana, SDHI 55, 1989, 349-368.
[17] Liv. IX.20.5 (
[18] Fest. p.262 L.: Praefecturae eae appellabantur in Italia, in quibus et ius dicebatur, et nundinae agebantur; et erat quaedam earum res publica, neque tamen magistratus suos habebant. in qua his legibus praefecti mittebantur quotannis qui ius dicerent. Quarum genera fuerunt duo: alterum, in quas solebant
ire praefecti quattuor viginti sex virum nu pro populi suffragio
creati erant, in haec oppida: Capuam, Cumas, Casilinum, Volturnum, Liternum, Puteolos, Acerras, Suessulam, Atellam, Calatium: alterum, in quas ibant, quos praetor urbanus quotannis
in quaeque loca miserat legibus, ut Fundos, Formias, Caere, Venafrum, Allifas, Privernum, Anagniam, Frusinonem, Reate, Saturniam, Nursiam, Arpinum, aliaque conplura. Fest. Municeps,
[19] Pellecchi L, La
legge e il magistrato.Intorno a una tecnica normativa romana, in Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli Umanisti,
a cura di M.Humbert, Pavia 2005, 51-116; Mantovani
D., La diei diffissio nella lex Irnitana. Contributo all’interpretazione e
alla critica testuale del capitolo LXXXXI, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca, V, Napoli 2001, 236
ss.; Idem, Il diritto e la costituzione in età repubblicana , in Introduzione alla storia di Roma, Milano
2000, 246.
[20] Ved., per esempio: lex
coloniae Genetivae, 61 (= lex XII tab. III. 1-4;
73-74 (= lex XII tab. X. 1); 66 (=lex XII tab. VIII, 26).
[21] Liv. III.34.6-7: Cum ad rumores hominum de unoquoque legum capite
editos satis correctae uiderentur, centuriatis comitiis decem tabularum leges
perlatae sunt, quae nunc quoque in hoc inmenso aliarum super alias aceruatarum
legum cumulo fons omnis publici priuatique est iuris. Uulgatur deinde rumor
duas deesse tabulas, quibus adiectis absolui posse uelut corpus omnis Romani
iuris.
[22] Cic. De orat. I. 43.193: Nam, siue quem haec Aeliana studia delectant, plurima est et in omni iure ciuili et in pontificum libris et in XII tabulis antiquitatis effigies, quod et uerborum uetustas prisca cognoscitur et actionum genera quaedam maiorum consuetudinem uitamque declarant; siue quem ciuilis scientia, quam Scaeuola non putat oratoris esse propriam, sed quiusdam ex alio genere prudentiae, totam hanc, descriptis omnibus ciuitatis utilitatibus ac partibus, XII tabulis contineri uidebit.
[25] Ved.: lex coloniae Genetivae Ursonensis, 82; lex Malacitana, 63-64; 67; lex
Irnitana, 60; 63-65; 71; 76.
[26] Ved.: lex coloniae Genetivae Ursonensis, 80: negotii publice in colonia de decurionum sententia datum erit…; lex Malacitana, 67: rationes communes negotiumve…; lex Irnitana, 18: negotium
commune municip{i}um…; 45: quive
rationes negoti[ave] communia…; 67: rationes communes negotiumve…; 76: decu/riones conscriptive negotium dederint decreverint…
[27] Iudicium publicum: lex
Malacitana, 66: de ea decurionum conscriptorumve
iudicium esto…; lex Irnitana, 68: causam publicam agant
iique qui ita lecti erunt tem/pus ab decurionibus conscripti(s)ve quo [caus]am
cognoscant actio…; 71: in iudicio publico testimonium
dicere… Iudicium privatum: lex Irnitana, 86: iudices rerum privatarum; 87: de re privata lis controversiave, 91: de re privata iudices arbitri … legis Iuliae quae de iudiciis privatis.