N. 4 –
2005 – In Memoriam – Da Passano
Università di
Sassari
Direttore del
Dipartimento di Storia
orazione
funebre per Mario Da Passano[1]
Preside
della Facoltà di Scienze Politiche
Con l’improvvisa e prematura
scomparsa del professor Mario Da Passano la comunità universitaria
sassarese perde uno dei suoi più autorevoli membri, la facoltà di
scienze politiche perde il suo preside e uno dei suoi «padri»
fondatori, il dipartimento di Storia perde uno studioso di straordinario
rilievo e di raffinata cultura. Non è facile commemorare Mario, trovare
le giuste e misurate parole. Non è facile soprattutto per me a causa
della profonda amicizia che ci legava.
Era un uomo schivo, riservato e semplice
che detestava le spesso vuote e ipocrite lodi o i vacui cachinni del mondo
accademico. Aveva la modestia degli studiosi autentici che sanno che nella vita
non si finisce mai di imparare. Non l’ho mai sentito autocelebrarsi o
atteggiarsi a maître à penser. La sua umanità era ricca e
schietta. Sensibile e gentile amava l’arte e la letteratura, il biliardo
e la compagnia. Ma era anche un moralista, talvolta intransigente e anche un
po’ rigido.
Da Passano era nato a Genova il 1 gennaio
1946. Veniva dalla tradizione operaia genovese. Aveva aderito al Pci negli anni
indimenticabili della segreteria di Enrico Berlinguer. Esperienza politica e
umana a cui era rimasto sentimentalmente legato. Acquistava ogni giorno
«L’Unità» e si era sempre riconosciuto, pur con
critiche e distinguo, nella linea nazionale dei Democratici di sinistra. Il suo
impegno civile emergeva spesso anche nella ricerca scientifica, nel
riconoscersi negli ideali laici dell’illuminismo, nei principi egualitari
della Rivoluzione francese, nelle aspirazioni sociali e nella battaglia per la
redenzione delle classi lavoratrici tipiche del movimento operaio e socialista
dell’Ottocento. Aveva una conoscenza profonda della cultura delle classi
subalterne, dei canti popolari e di protesta. Nel suo ultimo saggio (in via di
pubblicazione) «Il delitto di Regina Coeli», prendendo a pretesto
la morte di un marinaio anarchico, ucciso dalle botte dei secondini nel carcere
romano, aveva tracciato un potente e drammatico affresco della vita carceraria
di fine Ottocento.
Era allievo di Giovanni Tarello, da cui
aveva ereditato l’interesse per la storia delle costituzioni e delle
codificazioni, e di Vito Piergiovanni, da cui aveva appreso un solido metodo filologico
che si ricollegava all’insegnamento di Domenico Maffei. Nel 1973 aveva
pubblicato un ampio studio sul processo di costituzionalizzazione della
Repubblica Ligure (1797-99), ancor oggi insuperato. Da Passano aveva una vera
passione per la ricerca archivistica: i suoi lavori erano sempre corroborati
dalle fonti inedite in un metodo che lui amava definire «sanamente
positivista».
Era arrivato a Sassari nell’autunno
del 1975 per assumere l’incarico dell’insegnamento di Storia delle
codificazioni nella Facoltà di Giurisprudenza. Aveva subito deciso di
trasferirsi in città, a differenza di tanti docenti che vivono con
fastidio il pendolarismo e non vedono l’ora di ritornare nella loro sede
d’origine. All’inizio abitava in via Turritana sopra il Bar Lai,
presso i «quattro cantoni»[2],
in un buio appartamento che aveva spiritosamente soprannominato lo Spielberg.
Assolutamente antiformale, aveva suscitato — diciamo così —
scalpore il fatto che incontrando sulle scale dell’Istituto Giuridico il
professor Salvatore Piras (che dava del tu a tutti ma veniva sempre omaggiato
da un rispettosissimo Lei) gli aveva detto: «Ciao Piras».
A Sassari aveva conosciuto — anzi ero
stato io a presentargliela — Maria Grazia Cadoni, che sarebbe diventata
sua moglie. Sostenevo, ridendo, che nei piccoli litigi familiari si dicessero
sempre: «Maledetto il giorno in cui Mattone ci ha presentato». Da
Passano avrebbe posto profonde radici a Sassari che sarebbe diventata la sua
città, assumendo persino tipiche espressioni linguistiche. è raro infatti sentire un
genovese che dice «Ajò, ajò». Conosceva tantissima
gente e da tutti era stimato e apprezzato per la sua amabilità e
signorilità. Quando nel 1993 ebbe la possibilità di trasferirsi
all’Università di Genova, nella Facoltà di Giurisprudenza,
non volle lasciare Sassari, la sua «vera» città, il suo
ateneo, la sua Facoltà di Scienze politiche. Nel 1982 era diventato
professore associato di Storia del diritto italiano e nel 1990 ordinario della
medesima disciplina. Insieme a Mario Sbriccoli era considerato il più
autorevole esperto di Storia del diritto penale e come tale era riconosciuto
anche a livello internazionale.
In questi ultimi anni i suoi interessi di
ricerca si erano orientati su due grandi filoni: la storia del diritto penale
sardo e la storia della codificazione civile e criminale dall’età
dei lumi alla fine dell’Ottocento.
Nel primo filone l’opera più
importante è stato il volume Delitto
e delinquenza nella Sardegna sabauda (1823-1844) (1984) dove analizzava attraverso
le carte d’archivio la repressione penale nelle “Leggi civili e
criminali” di Carlo Felice(1827)
in relazione alle tipologie e all’andamento della
criminalità. Si tratta di uno studio che evita deliberatamente la
«storia interna» della normativa per allargarla alla più
ampia analisi dei fenomeni criminali. Alle istituzioni della Sardegna moderna
aveva dedicato altri studi come quelli sul problema della chiusura dei campi,
degli omicidi e delle armi proibite nell’età di Carlo Alberto, dei
matrimoni clandestini e sconvenienti, della legislazione criminale
settecentesca, delle rapine stradali, delle «bardane» e del
banditismo.
Nel secondo filone spiccano le ricerche
sulla Leopoldina, la riforma legislativa penale di Pietro Leopoldo di Toscana
(1786) che aboliva la pena di morte. Nel volume Dalla "mitigazione
delle pene" alla "protezione che esige l'ordine pubblico". Il
diritto penale toscano dai Lorena ai Borbone (1786-1807), pubblicato nel
1988, Da Passano ricostruiva dettagliatamente la preparazione, l’iter
formativo, la promulgazione del «codice» attraverso i pareri, i
lavori preparatori e le riforme successive.
Negli anni novanta ha dedicato la sua
attenzione alla storia del diritto penale in Italia, occupandosi in particolare
di tale vicenda negli Stati preunitari e di alcuni problemi relativi
all’Italia unita (la pena di morte, la giuria, il pubblico ministero, le
statistiche giudiziarie, l’unificazione legislativa), tracciando anche
alcuni significativi ritratti di penalisti (Pansini, Carrara, Carmignani,
Mancini, etc.). Il volume Emendare o
intimidire? La codificazione del diritto penale in Francia e in Italia durante
La morte lo ha colto nel pieno di una
fervida attività intellettuale e di un non facile impegno accademico
quale preside della Facoltà di Scienze politiche. Era stato un ottimo
direttore del master in giornalismo. Dal 1995 al 2001 aveva diretto il
Dipartimento di Storia contribuendo all’acquisto dei nuovi locali e
all’organizzazione di prestigiosi convegni. La sua scomparsa lascia un
vuoto in tutti coloro che ne hanno potuto apprezzare le doti umane, la
capacità di sdrammatizzare le situazioni, il suo equilibrio, il generoso
impegno nel governo delle istituzioni. Per me, dopo trent’anni di
amicizia vera, nel riso e nel pianto, è una pena infinita dirgli addio.
Faceva parte del comitato scientifico dell’Associazione internazionale
per lo studio della vite e del vino. Si era occupato anche di Storia del vino e
della viticoltura. Il vino nella tradizione giudaico-cristiana è il simbolo
della vita e della speranza.
Voglio ricordarlo con una poesia che a lui
sarebbe piaciuta — ci sono cose che solo la musica e la poesia possono
rivelare — perché esprime il senso profondo del mistero della
nostra esistenza. Si tratta della prima Elegia
di Duino (1921) di Rainer Maria Rilke:
Certo,
è strano non abitare più la terra
non
agire più gli usi da così poco appresi
e
alle rose, e alle altre cose piene di promesse
non
dare più il senso di un umano futuro;
ciò
che eravamo in mani illimitatamente ansiose
non
essere più, e anche il proprio nome
abbandonare
come un giocattolo infranto.
Strano
non desiderare più i desideri. Strano
quel
che stretto si teneva vederlo dissolto
fluttuar
nello spazio. E penoso esser morti:
un
continuo ricercare, faticosamente in traccia
di
un poco di eternità. Ma i viventi compiono
tutti
l’errore di tracciar troppo netti confini.
Gli
angeli (dicono) spesso non sanno se vanno
tra
i vivi o tra i morti. L’eterna corrente
trascina
attraverso entrambi i regni ogni età,
sempre
con sé, ed entrambi sovrasta con il suo suono.