N. 4 – 2005 – Didattica &
Innovazione
Didattica del
diritto romano e simulazione processuale a squadre
Università di Cagliari
Ormai da tre anni
accademici, nell’ambito del corso di Istituzioni di diritto romano, viene
organizzata a Cagliari, in collaborazione con la sezione locale
dell’ELSA, che ne ha suggerito la realizzazione, una simulazione
processuale a squadre – ampiamente sperimentata ormai da anni
nell’ambito delle iniziative culturali di quest’ultima associazione
in altri rami delle scienze giuridiche[1] – con la
quale gli studenti del primo anno del corso di laurea in Scienze Giuridiche
sono invitati a confrontarsi, in una sorta di ‘competizione’[2], su temi di diritto
privato romano analizzati dal punto di vista, tipico di questo ordinamento, di
concepire il diritto con riferimento un ‘sistema’ di azioni.
L’interesse
degli studenti e la significativa risposta formativa sono apparsi, in queste
prime esperienze, decisamente importanti, tanto più a seguito della
piena attuazione della riforma che, come noto, ha rimodellato i percorsi
didattici, che oggi prevedono, oltre l’organizzazione dell’attività
in base a corsi semestrali, la possibilità di riconoscere, in ragione di
specifiche attività formative complementari, il riconoscimento di CFU
liberi.
Da un lato, infatti,
L’organizzazione
di questo particolare percorso formativo impone, peraltro, secondo
l’esperienza maturata in questi anni, un ciclo di seminari dedicati alla
puntualizzazione dei principali problemi della tecnica formulare, in cui gli
studenti – cui viene richiesta, a tal fine, obbligatoriamente la frequenza-
sono posti di fronte ai testi di un certo numero di formulae, con l’intendimento di concretizzare le nozioni
acquisite, su presupposti puramente teorici, nel primo semestre di corso.
Sussidio
indispensabile, in questa prospettiva, è non tanto il – seppur
fondamentale – lavoro del Lenel, quanto piuttosto l’agile manuale
del Mantovani[3], che contiene una
proposta ricostruttiva delle principali conceptiones
verborum formulari integrati da una traduzione italiana che agevola la comprensione
del fenomeno anche agli studenti che, per un verso o per l’altro, abbiano
poca dimestichezza con la lingua latina.
La
contestualizzazione di queste problematiche, poi, può trovare ulteriore
interessante complemento nella prospettazione della testimonianza archeologica
del testo della formula delle actiones ex sponsione tertiae partis e certae creditae pecuniae, conservate in
unico contesto, come noto, nel trittico edito in TPSulp. 31 (= TP 34)[4], ciò che
sinora ha consentito di chiarire, durante i seminari, in quali termini poteva
‘cristallizzarsi’ in un documento processuale scritto il contenuto
della formula oggetto della litis contestatio: ha, infatti, sempre
riscosso un grande successo mostrare agli studenti – omettendo,
naturalmente, analitiche considerazioni di natura paleografica – foto ed
apografo di questo importantissimo reperto archeologico[5] e procedere, di
seguito, all’esame diretto della sua edizione critica, con le
interessanti precisazioni che ciò può implicare, tra cui
l’approfondimento relativo al problema del collegamento processuale tra
le due actiones.
È, peraltro, evidente che l’approfondimento in questione,
rivolto a studenti del primo anno del corso in Scienze Giuridiche, non
può avere particolari pretese di scientificità: sinora, è
stato ritenuto un buon compromesso l’iniziativa di affidare ai gruppi di
lavoro spontaneamente formatisi tra i Iustiniani
novi la lettura dei capitoli dedicati al processo civile contenuti nei
vari manuali di Istituzioni di
diritto romano diversi da quello normalmente utilizzato per la preparazione
degli esami di profitto, onde consentire loro di esaminare diversi
‘moduli espositivi’ di un medesimo problema rispettando la chiave
puramente istituzionale del progetto formativo.
La scelta di
ricorrere unicamente al processo formulare, e non agli schemi della cognitio (né, tanto meno, alle
risalenti forme delle legis actiones)
si giustifica, poi, con l’assoluta centralità teorica e
metodologica di questa forma di processo civile per lo sviluppo del diritto
classico, oltre che con la constatazione, evidente soprattutto nelle prove
d’esame, della notevole difficoltà, da parte degli studenti, di
assimilare con piena cognizione di causa, da un punto di vista puramente
teorico, l’idea di un processo civile in cui non è dato
riscontrare veri e propri ‘atti di parte’ tra loro dialetticamente
distinti e contrapposti.
L’esame
diretto di testi formulari, in questa prospettiva, consente, quindi, di
supplire una lacuna inevitabile nella conduzione di qualsiasi corso che non
abbia carattere seminariale, e di evidenziare in quali termini le posizioni
antagoniste di attore e convenuto trovino nella conceptio verborum formulare la compiuta realizzazione di un
programma che contiene, in un unico testo, l’intera dialettica
processuale funzionale a governare il giudizio.
I seminari
preparatori, quindi, vertono sull’esame diretto di testi formulari,
esaminati in una struttura verbale proposta – a parte, naturalmente,
TPSulp. 31 – nella ricostruzione congetturale generalmente accettata
dalla più autorevole e recente dottrina.
Ciò consente
di chiarire, per così dire, ‘sul campo’ alcuni tra i nodi
che, come si diceva, risultano più ostici per gli studenti: i percorsi
formativi sinora proposti, infatti, approfondiscono la distinzione – che
pare fondamentale e prioritaria rispetto a qualsiasi altra questione –
tra formulae in factum conceptae e formulae in ius conceptae, aspetto,
questo, che viene di solito agevolmente compreso sottoponendo agli studenti il
confronto ‘empirico’ tra le due formulae
dell’a. commodati;
nonché le distinzioni tra le formulae
civiles di stretto diritto che presidiano l’obbligazione di dare in senso tecnico e quelle che
presidiano un dare facere oportere;
tra queste ultime (e, in particolare, le seconde) e le formulae dei iudicia bonae
fidei, al fine di evidenziare come solo in queste ultime figuri la clausola
di buona fede, con tutto ciò che questa peculiarità implica sul
piano teorico e metodologico della ricostruzione dell’attuale struttura
del rapporto obbligatorio; tra la formula
petitoria e
Pare evidente che
un’impostazione di questo genere implica un impegno significativo per gli
studenti; allo stesso tempo, tuttavia, il beneficio che essi possono trarre dal
calarsi nella ‘visione processuale romana’, in via diretta ed
immediata, consente loro di contestualizzare esattamente i problemi esaminati
nella prima parte del corso e, quindi, di trarre dall’esame della formula le implicazioni sostanziali ad
essa sottese.
Ad ogni modo, la
finalità delle esercitazioni seminariali sulla tecnica formulare
è propedeutica alla ‘competizione’ vera e propria, che
–in ossequio alla distinzione classica tra iurisdictio e iudicatio-
si svolge in due diverse giornate, l’una dedicata alla fase in iure della simulazione processuale a
squadre, l’altra alla fase in
iudicio.
Alle squadre degli
studenti partecipanti, cui viene attribuita per sorteggio la funzione di
difensori dell’attore o del convenuto, viene proposto un caso (descritto
in lingua italiana) tratto dal Digesto[6], normalmente
modificato in alcuni tratti salienti della fattispecie[7]; mentre, in calce a
tale testo, vengono riportati diversi testi formulari già predisposti, insieme
con eventuali exceptiones o praescriptiones. La procedura,
inevitabilmente semplificata per il raggiungimento dei fini formativi propri
dell’iniziativa, si conclude con la definitiva individuazione del testo
delle formulae ritenute utilizzabili,
munite eventualmente di exceptiones o
praescriptiones richieste da parte
delle due squadre, che quindi addivengono alla litis contestatio assistite da un praetor, funzione, questa, svolta normalmente da chi scrive.
Nei giorni
successivi, le squadre approfondiscono, a mezzo della sola manualistica
disponibile nella biblioteca della Facoltà, gli aspetti processuali e
sostanziali del problema sottoposto al loro esame e, in un momento successivo,
discutono il processo di fronte al docente del corso di Istituzioni, che svolge
la funzione di iudex unus: una volta
sentite le parti, il docente pronuncia la propria sentenza, che naturalmente si
risolve in una lezione di approfondimento, tendenzialmente di taglio esegetico,
in cui vengono esaminate e discusse le fonti da cui è tratto il caso,
con la disamina delle implicazioni che la soluzione può avere
nell’individuazione dei modelli che s’impongono, alla luce della
tradizione romanistica, nelle opzioni normative e giurisprudenziali proprie dei
moderni ordinamenti.
Se si considera,
quindi, che la descrizione del nostro settore scientifico e disciplinare, a
mente dell’allegato B del d.m. 4 ottobre 2000, è finalizzata non
solo «alla comprensione del patrimonio culturale
costituito dalle fonti antiche», ma anche «dei fondamenti del
diritto europeo che discendono dall’esperienza romanistica e dalla sua
tradizione culturale e pratica», l’iniziativa, sinora assai
favorevolmente accolta dagli studenti che conseguono – come si accennava
– tre CFU per la loro partecipazione all’attività formativa,
in una prospettiva didattica impegnativa ma tutto sommato anche divertente
nella sua singolare complessità, conferma la vitalità
dell’insegnamento delle discipline romanistiche, ed il loro valore
culturale per l’affinamento del metodo del giurista contemporaneo.
La prossima sfida, a questo punto, potrebbe essere quella del
processo penale romano simulato, tanto più ove si consideri che, anche
di recente, è stata autorevolmente sottolineata[8] l’importanza di una rilettura delle fonti in materia
nella prospettiva della «storicità» dei principi di
civiltà del cd. ‘giusto processo’, ormai recepiti nella
nostra Carta costituzionale.
[1] Cfr. al riguardo,
l’organizzazione, da parte dell’ELSA, della moot
court, simulazione processuale a squadre su tematiche di diritto
attuale.
[2] Il
‘torneo’, infatti, stante la sua finalità meramente
formativa, non dà luogo ad un vero e proprio vincitore, mentre consente
al docente di individuare le migliori prove argomentative da parte degli
studenti in funzione didattica.
[3] D. Mantovani, Le formule del processo privato romano. Per la didattica delle
Istituzioni di diritto romano2, Padova, 1999.
[4] G. Camodeca, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum. Edizione critica dell’archivio
puteolano dei Sulpicii, I, Roma, 1999, pp. 97 ss. Cfr. anche Mantovani, Formule2, cit., p. 48 e n. 87; p. 103.
[6] Nell’A/A
2003/2004, in un caso (liberamente tratto da Ulp. 11 ad ed. D. 4.3.7.3; Gell. Noct.
Att. 11.18.14) sono state proposte le formulae
dell’a. de dolo, dell’a. furti, della rei vindicatio, nonché un’a. in factum; in un ulteriore caso (Ulp. 37 ad ed. D. 47.2.50.4; Gai. 30 ad
ed. prov. D. 47.2.51; Gai. 3.202) sono state proposte le formulae dell’a. de dolo, dell’a.
furti, alcune formulae
dell’a. ex lege Aquilia ed
un’a. in factum; nel terzo
(Ulp. 18 ad ed. D. 9.2.5.3; Ulp. 32 ad ed. D. 19.2.13.4), infine, la formula dell’a. ex locato, dell’a.
iniuriarum aestimatoria, dell’a.
de dolo ed alcune formulae
dell’a. ex lege Aquilia. La
predisposizione di formulae
impraticabili accanto a formulae
praticabili, eventualmente in concorso di actiones,
impone agli studenti un lavoro d’équipe
al fine di evitare errori nella fase cruciale della litis contestatio. Nell’A/A 2002/2003 erano stati proposti
casi liberamente tratti da Alf. 3 dig a
Paul. epit. D. 19.2.30.4; Afr. 8 quaest.
D. 14.1.7 pr.; Alf. 2 dig. D.
18.6.12(11), con predisposizione di formulae
inerenti e, ovviamente, non inerenti.
[7] Utilissimi, a tal
fine, sono i suggerimenti contenuti nel volume di M. J. García
Garrido,
Responsa. Cien casos practicos de derecho romano planteados y
resueltos2, Madrid, 1995.