N. 4 – 2005 – Tradizione Romana
Unversità
Warmia i Masury
Olsztyn
(Polonia)
A proposito del crimen expilatio
Sommario: 1. Introduzione.
– 2. L’etimologia
del termine expiliatio. – 3. Il
significato della nozione expilatio nelle fonti letterarie. –
4. Origine
del crimen expilatio. – 5. Caratteristica
del crimen expilatio. – 6. Crimen
expilatio e furtum. – 7. Sanzioni. – 8. Competenza
dei tribunali. – 9. Conclusioni.
Sotto
il titolo De effractoribus et expilatoribus[1] il Digesto tratta del comportamento degli svaligiatori e dei saccheggiatori.
Sotto questo titolo si trovano due frammenti di giuristi tardo-classici,
Ulpiano e Paolo. Solo nel primo frammento di parla di entrambi i gruppi di
trasgressori, invece nel testo di Paolo si menzionano solo questioni legate
allo scasso.
L’individuazione
dei due gruppi di trasgressori era legato alla tendenza che si manifestava nei
giuristi classici, di definire e sistemare le nozioni e gli istituti giuridici.
Dalla nozione di furtum sono stati enumerati diversi tipi del reato. T.
Mommsen ne ha enumerati nove, e sono: attacco con l’uso delle armi, unito
spesso a lesioni al proprietario delle cose che si vogliono rubare; nascondere
le cose rubate; furto di animali – abigeus; furto delle cose sacre;
scasso agli edifici in città – effractoribus; sottrazione di vestiti e
altre cose dai bagni pubblici - fur balnearius; furto di pacchi e
soprattutto borse con denaro – saccularius; furto notturno e saccheggio.
Quello che era comune in tutte queste figure di reati era la sottrazione delle
cose, e in alcuni casi anche la lesione all’incolumità della persona derubata.
Il
saccheggio o depredazione in case abbandonate è un fenomeno molto vecchio. Esso
si manifestava soprattutto durante le guerre, quando la gente era costretta a
lasciare le proprie case e i propri beni senza tutela. In queste tragiche
circostanze spesso troviamo coloro i quali vogliono guadagnare saccheggiando
(case abbandonate, uffici pubblici, banche). Questi fenomeni si verificano
anche in tempo di pace. Nella società stabile e benestante si verifica anche
questo, il fatto cioè che molti cittadini possiedano case ed appartamenti fuori
città, fuori della residenza attuale, ad es. per le vacanze. Sono quindi
edifici per dimora saltuaria e dunque molto spesso abbandonati anche per
periodi lunghi.
Il
verbo expilare deriva dal verbo compilare ed era usato nella
lingua quotidiana. Significava una forma specifica di furto. Il sostantivo expilatio
significa saccheggio, rapina, selciare. Il verbo expilare significa
azione di saccheggio o di rapina. La persona che compiva tale azione era
denominata come expilator. Con questo significato questo termine si usa
nelle fonti giuridiche e letterarie[2].
Nelle fonti giuridiche questo termine si usa in diritto penale, diritto
ereditario e diritto della tutela.
Nelle
fonti letterarie il termine expilatio si presenta nelle diverse forme
semantiche e più spesso nelle forme in cui era usato da Cicerone e Tacito. Tra
i prudentes che si occupano dei problemi legati al crimen expilatio,
bisogna elencare soprattutto i giuristi che scrivevano nella seconda metà del
II secolo d.C., tra cui Venuleio Saturnino[3] e i
giuristi che scrivevano alla fine del periodo classico, come Ulpiano[4],
Paolo[5] e
Marciano[6]. Queste tematiche sono anche trattate da uno
dei giuristi postclassici, Ermogoniano[7].
Nelle
fonti giuridiche il termine expilatio per la prima volta si manifesta
nel rescritto dei divini fratelli, che fu indirizzato ad Emilio Tiro[8]. Poi,
questo termine compare nella costituzione di Settimio Severo[9], tre
volte nelle costituzioni di Antonino Caracalla[10], una
volta in quella di Alessandro Severo[11], una
volta in quella di Gordiano III[12], due
volte in quella di Philippo[13] ed
infine in una costituzione di Diocleziano[14]. Nei
fonti non giustinianee questa nozione compare solo due volte: nella lex
Romana Burgundionum[15] e
nelle Pauli Sententiae[16].
L’uso del termine expilatio compare nel linguaggio giuridico tra la metà
del II sec. d.C. e il 294 d.C. a seguito della emanazione dell’ultima
costituzione.
I
glossatori con il termine expilatio definivano l’occulte exterminat,
occulte exterminat vel elapida, cioè l’occupazione delle cose di nascosto.
Invece il termine expilatores lo spiegavano nel senso di «alienae
hereditatis subreptores», «alienae
hereditatis subtractores»[17].
Il
termine expilatio si incontra negli scritti di Cicerone, soprattutto
nelle orazioni difensive e accusatorie. Nella orazione accusatoria contro Verre
scriveva: «... is in te non expilatione Asiae ... concitetur?»[18],
oppure «expilata provincia»[19], «Minerva,
quam ... duobus in clarissimis ... templis expilavit»[20].
Cioè, il termine expilatio è stato usato per indicare il fatto di
saccheggiare la provincia da parte del governatore mandato da Roma. Però si
deve aggiungere che Cicerone usava questo termine anche per significare il
saccheggio di una casa[21] o
armadio[22]
fatto da un ladro.
Il
testo di Cicerone in cui si trova il verbo expilare, è l’orazione De
imperio Cn. Pompei, dove egli esprimeva la sua volontà di nominare Pompeo
come capo dei militari nella guerra contro il re Mitridate. Cicerone afferma
che coloro i quali sono contro questa nomina sono guidati con perversità dal
dolo. Gli avversari di Pompeo con facilità saccheggiavano gli alleati e le
province: «Utrum ille qui postulat ad tantum bellum legatum quem velit
idoneus non est qui impetret, cum ceteri ad expilandos socios diripiendasque
provincias ...»[23].
Usato in questo testo il termine socios si riferisce agli alleati
confederati con Roma, che sopportavano diversi oneri da parte di Roma. La
nomina di qualcun altro al posto di Pompeo, secondo Cicerone, servirebbe non
per la lotta contro il nemico ma per poter saccheggiare le province e gli
alleati: ciò succedeva con le armate romane nel passato. Le guerre erano sempre
una buona occasione non solo per rapinare ma anche per saccheggiare. Una buona
occasione per saccheggiare era il diritto di ospitalità per i militari – hospitium
militarae[24]. I
militari ospitati nelle case della gente locale avevano facile occasione di
commettere furti nelle case occupate e portare via quanto era utile loro. Non si
può escludere che Cicerone pensasse ad un’altra situazione, cioè la nomina di
un altro permetteva di rapinare le province, non considerando le alleanze che
Roma faceva con gli altri popoli, soprattutto con gli alleati. In questo modo
ci sarebbe la violazione delle regole dell’hospitas publicum[25].
Proprio a questi eventi si riferisce il discorso di Cicerone nei frammenti
sopraccitati.
Tutto
questo è stato accertato nella lettera di Cicerone Ad Quintum fratrem 1.1.9.10:
esse quocumque veneris et publice et privatim
maximam laetitiam, cum urbs custodem non tyrannum, domus hospitem non
expilatorem recepisse videatur?
Cicerone
nella sua lettera parla della gioia che si avverte quando in città non governa
un tiranno, e l’ospite accolto a casa non è un saccheggiatore.
Una
simile osservazione si può fare analizzando anche nel testo di Tacito dal
titolo Dialogus de Oratoribus:
His accedebat splendor reorum et magnitudo
causarum, quae et ispa plurimum eloquentiae praestant. nam multum interest,
utrumne de furto aut formula et interdicto dicendum habeas, an de ambitu
comitiorum, de expilatis sociis et civibus trucidatis[26].
In
questo testo egli usa una figura linguistica che si chiama asindeto, con la
quale si legano due parti della frase che incominciano con de: furtum, cioè il furto, seguito da formula
et interdico; invece la procedura in caso di expilatio socis et civibus
trucidatis si realizza de ambitu comitiorum[27],
cioè davanti all’assemblea popolare, più precisamente davanti alla commissione
convocata per questo scopo dall’assemblea. Importanti sono anche le parole di
Tacito che si riferiscono al saccheggio e alla rovina della Sicilia fatti da
Verre. Significativo è che in questo caso si parla anche di expilatio socis.
Si tratta naturalmente di saccheggio e rovina dei popoli alleati con Roma.
In
questo testo Tacito menziona anche la ricchezza del diritto romano, dove tra
l’altro si distingue tra stati simili, dando diverse soluzioni giuridiche per
ogni stato. Importante è qui distinguere il furtum dal saccheggio, dalla
frode, dall’abuso della fiducia dei popoli alleati.
Da
questa analisi delle fonti letterarie si vede che il termine expilatio
insieme con le forme semantiche che ne derivano, è gia presente nel linguaggio
politico della fine della repubblica. Ma sulla base di queste fonti non
possiamo dire se in questo periodo esistesse già in diritto penale romano il
nuovo tipo di reato – crimen expilatio, che avrebbe avuto un autonomo
processo penale e un autonomo sistema accusatorio.
L’esistenza
di alcuni fenomeni nella grande politica e la sua terminologia specifica alla
fine della repubblica col tempo hanno trovato il loro posto anche nel
linguaggio giuridico. Saccheggio e rapina non erano considerati solo dei
governatori delle province o dei militari ma anche della gente comune. Per
questo nel diritto penale romano col tempo è stata creata la figura di un nuovo
reato cioè il crimen expilatio. L’origine delle fonti giuridiche è molto
difficile da indicare soprattutto nel momento in cui questo reato fu
individuato. La più vecchia traccia sull’ esistenza del crimen expilatio
è il testo che proviene da II sec. d.C. di Venuleio Saturnino:[28]
D. 48.19.16.6 (Saturn. l.s. de poen. pagan.): Qualitate, cum factum vel atrocius vel levius
est: ut furta manifesta a nec manifestis discerni solent, rixae a grassaturis,
expilationes a furtis, petulantia a violentia.
Saturnino
divide i reati in base al modo in cui sono stati commessi. Si poteva commettere
questi reati attraverso: facta, dicta, scripta, consilia, cioè
attraverso opere, parole, scritti e consigli. Saturnino poi elenca anche altri
criteri sulla divisione dei reati. I reati si possono dividere secondo i
seguenti criteri: persona, loco, tempore, qualitate, quantitate, eventu,
cioè: persona, luogo, tempo, qualità, gravità ed evento. Il crimen expilatio
rientra nel gruppo dei reati individuati per loro gravità – qualitas.
Ci sono reati più gravi o meno gravi. Il crimen expilatio
rispetto al furto - expilationes a furtis[29] si
deve trattare sempre come reato grave.
Questa
classificazione tra diversi tipi di furto, elaborata dalla giurisprudenza
classica, fu abbandonata nel periodo postclassico, cioè nella fase del
cosiddetto diritto romano postclassico, chiamato da E. Levy Vulgarrecht[30].
L’abbassamento del livello dell’insegnamento e della conoscenza del diritto
romano, soprattutto da parte degli organi che usavano il diritto, ha fatto
cancellare le differenze tra i diversi termini. Questo
riguarda anche il termine furtum. Come ha osservato E. Levy «... die
beiden ”furta” nicht mehr gegenuebergestellt, sonder Tatbestaende gemeinsam der
niederen Gerichtsberkeit zugewiesen werden»[31]. Quindi non deve meravigliare il fatto che Diocleziano fu l’ultimo ad usare
il termine crimen expilatio.
Secondo
T. Mommsen l’expilator è der grosse Dieb. Si
può individarlo solo quando si tratta del furto in modo allargato: «der
expilator scheint sich nur durch groesseren Umfang des Delicts von dem
gewoenlichen Dieb zu unterscheiden»[32]. Il
tentativo di definire la figura dell’expilator è stato elaborato da
Ulpiano.
D. 47.18.1.1 (Ulp. 8 de off. procons.): Expilatores, qui sunt atrociores fures ( hoc enim est expilatores), in opus
publicum vel perpetuum vel temporarium dari solent, honestiores autem ordine ad
tempus moveri vel fines patriae iuberi excedere. quibus nulla specialis poena
rescriptis principalibus inposita est: idcirco causa cognita liberum erit
arbitrium statuendi ei qui cognoscit.
Il
testo sopra citato proviene dal De effractoribus et expilatoribus, in
cui i compilatori hanno raccolto i testi che si riferiscono ai due gruppi di
trasgressori – gli effractores i gli expilatores.
Gli effractores
secondo Ulpiano sono quelli «qui carcere effracto evaserunt»[33]. In
un’altra parte del frammento Ulpiano dice che gli effractores sono anche
quelli «qui de carcere eruperunt sive effractis foribus sive conspiratione
cum ceteris, qui in eadem custodia erunt...». Quindi anche l’evasione dal carcere senza rottura delle porta
o delle grate si definisce effractio. Questa situazione può esserci
anche in caso di evasione organizzata dal carcere da parte di qualche gruppo di
prigionieri, anche del caso in cui una guardia non custodisca bene il carcere.
Con
il termine effractores si chiamavano anche altri trasgressori. Secondo
Paolo gli effractores, non sono solo quelli che rompono le porte del
carcere ed evadono da esso, ma anche quelli che scassinano le case o i negozi
per rubare i beni che colà si trovano: «Effracturae fiunt plerumque in
insulis in horreisque, ubi homines pretiosissimam partem fortunarum suarum
reponunt»[34]. Già
per Scevola non c’erano dubbi sul fatto che si possa parlare di una fattispecie
autonoma del tipo effractio distinta dal furto. Perciò quando si parlava
di questo tipo di reato si usava il termine effracturae crimen[35].
Conseguentemente, come tipo autonomo di reato ed indipendente dal furto, aveva
anche un proprio sistema sanzionatorio.
I
reati compiuti dagli expilatores, secondo Ulpiano, facevano parte
integrante della nozione di furtum. Si dice quindi: «expilatores, qui
sunt atrociores fures...».
Questo giurista non elenca i segni che caratterizzano questo evento, come ha
fatto nel caso di crimen effractus. Si limita solo ad enunciare chi sono
gli expilatores. Per spiegare questo fatto ci si deve rendere conto che
Ulpiano nel suo testo cita un altro giurista, Saturnino. Saturnino si occupava
soprattutto dei problemi legati alla procedura. Si può supporre che il testo di
Ulpiano sia una compilazione di due testi, uno di Saturnino e l’altro di
Ulpiano. Oltre a ciò, abbiamo a nostra disposizione solo una parte del testo,
che prima era molto più grande, perciò non si può escludere che nella parte che
non si è trovata nel Digesto ci fossero i segni del reato crimen expilatio.
Indipendentemente
da come era sistemato il testo di Ulpiano e da chi fosse l’autore dei
frammenti, si può dire che l’autore volesse in questo testo esprimere la
nozione di expilator e definire le regole di sanzione in caso di reati
simili. Altre questioni in questo testo non erano importanti. Non si può
escludere anche un’altra interpretazione, che Ulpiano volesse cioè spiegare dei
termini poco conosciuti. Da qui nel testo di Ulpiano si parla anche di sacculari
et derectarii, i quali devono essere puniti nello stesso modo come effractores:
simili modo et sacculari et derectarii erunt puniendi, item effractores. Questo
caso spiega molto precisamente la caratteristica di questo reato: Saccularii,
qui vetitas in sacculos artes exercentes partem subducunt, partem subtrahunt,
item qui derectarii appellantur, hoc est hi, qui in aliena cenacula se dirigunt
furandi animo[36].
Una
più profonda definizione delle caratteristiche del crimen expilatio si
può fare sulla base del testo di Paolo.
D. 48.6.11pr. (Paul. 5 sent.):
Hi, qui aedes alienas aut villas
expilaverint effregerint expugnaverint, si quid in turba cum telis fecerint,
capite puniuntur.
Paolo
dice che colui il quale entri in una casa o nella villa di un altro e la
saccheggi (expilaverint) commette furto con scasso (effregerint),
oppure nel caso in cui demolisca (expugnaverint), e inoltre agisca
insieme con altri complici (turba), usando il telo, deve essere punito con la
morte. Il sopraccitato testo, poco analizzato finora dai romanisti, è molto
importante per la nostra ricerca. Soprattutto ribadisce ciò che è stato detto
prima sulla expilatio. Questo
reato riguardava il saccheggio ai danni di case e ville. Gli expilatores, al
contrario degli effractores, si limitavano di solito alla violazione dei
domicili (casa e ville) che si trovavano fuori città incustoditi per la maggior
parte dell’anno, vale a dire non abitati. Gli autori del reato non avevano
necessariamente l’intenzione di rubare le cose, si accontentavano solo di poco.
Naturalmente poteva accadere che durante il saccheggio anche la casa subisse
danneggiamenti. Il risultato delle loro azioni non era sempre sicuro, poteva
accadere che dopo il saccheggio nella casa non si trovasse niente da portare
via. Gli expilatores rubavano più frequentemente vestiario lasciato
nelle case e nelle ville fuori città, e lo stesso veniva fatto con i vestiti
nelle terme o stabulari.
Invece
Paolo dice che gli expilatores arrivavano spesso in gruppi ben organizzati.
In questi casi l’expilatio poteva essere legata all’effractio
cioè allo scasso, con l’uso della forza o l’uso delle armi. Così organizzati
gli expilatores potevano prevedere che nelle case o ville si potessero trovare anche le persone,
naturalmente i proprietari ma anche i custodi o i servi del proprietario, i
quali avrebbero potuto reagire. Si può concludere che al tempo di Paolo molti
tra gli expilatores fossero armati, sopratutto di coltelli o altri armi
pericolose per la vita dell’uomo. In questo modo verrà meno la differenza tra
gli expilatores e gli effratores. Solo l’analisi del caso
concreto permetteva di distinguere un stato giuridico dall’altro e di
conseguenza la fattispecie penale dall’altra. Perciò nei testi giuridici
ambedue i termini si trovano nello stesso contesto.
Di
saccheggio di case o ville abbandonate parlavano anche Giuseppe Flavio[37], e
alcuni scrittori greci[38].
Altri esempi si possono trovare nel testo di R. Scott[39].
Le differenze
tra le fattispecie che sono legate alla classica figura del furtum e
quelle che sono state descritte come figure autonome del nuovo reato definito crimen
expilatio si possono meglio ricavare attraverso un’analisi
dogmatico-giuridica di questi stessi reati. All’inizio ci dobbiamo riallacciare
alla concezione classica del furto, che ha due elementi costitutivi, cioè l’animus
furandi e l’animus lucri faciendi[40].
Secondo Paolo[41] Furtum est contrectatio rei fraudulosa lucri faciendi gratia vel ipsius rei
vel etiam usus eius possessionisve. Quod lege naturali prohibitum est admittere.
Questo testo, nonostante sia stato molto spesso criticato, viene considerato
come autentico[42].
In
caso di crimen expilatio commesso da delinquente con animus lucri
faciendi, non era sempre chiaro se l’individuo in questione avesse sempre
l’animus furandi. Il saccheggiatore aveva infatti l’intenzione di
arricchirsi attraverso il saccheggio ma talvolta questa intenzione non era ben
precisa e soprattutto non era chiaro su quali beni ricadesse, che cosa portare
via o che cosa gli potesse piacere. Il suo animus di saccheggiatore si
perpetrava sul posto, a seguito della presa visione dei beni trovati. Come
abbiamo già detto, poteva accadere che il saccheggiatore sul posto non trovasse
niente di interessante da portare via. Quindi con la stessa facilità avrebbe
potuto saccheggiare un’altra casa con la speranza di trovare qualcosa per lui
appetibile.
Invece
il ladro, contrariamente all’expilator, progettando il furto fin
dall’inizio ha già la consapevolezza di ciò che vuole portare via, cioè
possiamo dire che si tratta in questo caso di animus furandi. Però non
si può dire con certezza che anche in caso di furto il ladro non abbia talvolta
un animus non definito su che cosa vuole rubare o sta per rubare. Ad esempio,
quando il ladro sottraeva una busta o una borsa non sempre conosceva il
contenuto. In questo caso si può dire infatti che non c’è un elemento
soggettivo ben definito, come giustamente ha osservato D. Pugsley[43].
Nonostante la mancanza di una ben precisata intenzione da parte del ladro - animus
furandi, si può comunque agire contro di lui con l’actio furti[44].
Secondo
Ulpiano D. 47.18.1.1 per gli expilatores non è stata prevista una
particolare sanzione - quibus nulla specialis poena rescriptis principalibus
inposita est. Il giudice aveva piena libertà di delineare il tipo e la
gravità della pena - idcirco causa cognita liberum erit arbitrium statuendi
ei qui cognoscit. Però i giudici erano vincolati alle regole generali di
somministrazione delle sanzioni, che erano state elaborate già prima da altri
tribunali. Secondo Paolo D. 48,6,11 pr. il saccheggiatore che reagisce con le
armi deve essere punito con la pena di morte. Dal testo di Paolo non emerge se
la pena capitale venisse perpetrata contro chi aveva ucciso o per il solo fatto di usare le armi. Pare che
già il fatto di possedere armi bastasse per punire con la pena capitale. Nel
caso in cui l’ expilator non fosse stato armato, secondo Ulpiano, il
saccheggiatore veniva punito in opus publicum vel perpetuum vel temporarium
dari solent, honestiores autem ordine ad tempus moveri vel fines patriae iuberi
excedere[45]. Da
questo frammento si evince che la sanzione dipendeva anche dallo status sociale
degli expilatores. Il saccheggio veniva commesso non solo dalle persone
appartenenti alle fasce sociali più basse ma anche dalle persone che avevano
una certa posizione sociale, almeno nella società locale. I ”semplici”
saccheggiatori venivano puniti con i lavori forzati a vita o per un certo
tempo, invece le persone appartenenti alle fasce sociali più alte venivano
espulse dal loro ordine sociale oppure venivano condannati alla relegatio.
Simili
sanzioni furono proposte anche da Marco Aurelio, il quale in caso di crimen
effractio e crimen expilatio condannava i plebei ai lavori pubblici,
e gli honestiores alla relegatio: Oportebit autem aeque et in
effractores et in ceteros supra scriptos causa cognita statui, prout admissum
suggerit, dummodo ne quis in plebeio operis publici poenam vel in honestiore
relegationis excedat[46].
Secondo
Ulpiano gli expilatores venivano condannati secondo processo extra
ordinem[47]. Il crimen
expilatio, reato considerato grave era posto sotto la giurisdizione del proconsole
o di uno dei quattro praefecti (urbi, praetorio, vigilum e annonae).
La competenza del proconsole riguardo ai reati di questo tipo, come ad es. expilatio,
era certa come per altri tipi di furto, ad es. stellionatio dove - stellionatus
accusatio ad praesidis cognitionem, spectat[48].
Si può presupporre la competenza giurisdizionale in questo ambito anche del
praefectus urbi e praefectus praetorio. Tra le competenze di
questa autorità vi era anche cura dell’ordine pubblico. Le competenze
giurisdizionali si estendevano non solo nel pomerium, ma anche fuori
Italia[49]. Non
si può escludere, che nel III sec. dopo C. le competenze giurisdizionali per
risolvere le cause penali nei confronti degli expliatores fossero anche
nelle mani dai praefecti vigilum, i quali avevano competenze di polizia.
Tra i limiti delle loro competenze, secondo Paolo, vi era la cognizione delle
cause che si riferivano a: de incendiariis, effractoribus, furibus,
raptoribus, receptatoribus[50].
Malgrado nel testo non si menzionino gli expilatores, per analogia si
può dire che Paolo pensasse anche a loro. Questa deduzione analogica è
giustificata dal fatto che spesso nei testi giuridici si parli insieme di crimen
expilatio e crimen effractio. E siccome i praefecti vigilum avevano
il diritto di cognizione sui primi, potevano anche giudicare gli altri[51].
L’autonoma figura del reato cosi definito, crimen expilatio,
indipendente dal furto, sicuramente esisteva già nel II sec. dopo C., come attesta
il giurista Veneleio Saturnino. Non si può comunque escludere la tesi secondo
la quale questo tipo di reato esistesse
anche prima. L’inizio del processo di individuazione del nuovo tipo del
reato è legato agli abusi di potere da parte delle autorità alla fine della età
repubblicana, soprattutto delle autorità che governavano le province. Molti
governatori violavano il diritto e facevano rovine e saccheggi in provincia.
Questi fatti erano noti anche a Roma: molti parlavano di queste cose, soprattutto
durante i processi contro i governatori delle province, (ad es. nel processo
contro il governatore di Sicilia Verro. Tra le diverse accuse contro di lui vi
era quella di rapina nelle province). E per definire questo comportamento i
testi letterari riportano la parola expilatio. Da questi processi
politici il termine expilatio è passato al linguaggio usato nei testi
giuridici e nei processi penali contro i cittadini normali, a proposito di
quegli individui che saccheggiavano non le province ma case o ville fuori
città. Molto tipico degli expilatores era l’esplorazione delle case
abbandonate, con l’intenzione di arricchirsi anche senza la consapevolezza su
quali cose fossero da portare via. Molto spesso tra le cose che venivano
sottratte c’erano i vestiti. In questo modo si sviluppò il crimen expilatio,
una istituzione che aveva una propria costruzione dogmatica. Con il tempo i
casi di saccheggio vennero assimilati a quelli degli effractores,
cosicché divenne molto difficile distinguere tra questi due tipi di reato.
Tanto più che anche gli expilatores usavano le armi. Per questo senza la
conoscenza dei fatti da parte del giudice non si poteva distinguere facilmente
tra questi due tipi di reato, il crimen effractio e il crimen
expilatio. Per questo motivo anche nel Digesto si trova il titolo in cui
si menzionano ambedue i tipi di reato insieme.
[2] Expilatio:
Cic. Ver. 3.6; 23; Off. 2.75; Apul. Met. 4.18. Expilare: Cic. Verr. 4.63; Tac. Dial.
37.4. Per altre fonti vedi, Oxford Latine Dictionary, Oxford 1968, 649 e
Thesaurus Linguae Latinae, vol. V.1, 1933-1953, col.
1702-1703.
[4] D. 26.10.3.5 (Ulp. 35 ad ed.);
D. 29.2.21 pr. (Ulp. 7 ad Sab.); D. 47.11.3 (Ulp. 3 de adult.);
D. 47.18.1.1 (Ulp. 8 de off. procons.); D. 47.19.2.pr. (Ulp. 9 de
off. procons.); D. 47.19.2.1 (Ulp. 9 de off. procons.); D. 48.16.7.1
(Ulp. 8 disp.).
[17]
Vedi, Corpus Glossariorum
Latinorum, raccolto da G. Loewe, red. G. Goetz, vol. IV Amsterdam 1965, 419.
[20] Verr. 5.184. Vedi anche A. Walde, Lateinisches
Etymologisches Woerterbuch, Heilderberg 1938, 256.
[24]
In questo periodo i legionari romani avevano la loro residenza nei campi
militari, però per motivi eccezionali potevano anche usare case private,
soprattutto quando si trovavano tra amici di Roma. Questa situazione è stata
testimoniata da Giulio Cesare, Bell. Civ. 2.20; Vita Aurel. 7. Vedi, Dictionnaire des Antiquité Grecques et Romaines, s.v.
Hospitium Militare, vol. III.1, Paris 1900, 302.
[28]
Le notizie sul giurista Saturnino
sono scarse, lo stesso si può dire delle sue pubblicazioni. Ne è conservata solo
una. Vedi R. Bonini, D.
48,19,26 (Claudius Saturninus de poenis paganorum), in Rivista italiana
per le scienze giuridiche, 3 ser., 10 (1962), 119 ss.
[29]
Vedi, R.
Bonini, D. 48,19,16, Claudius
Saturninus: De poenis paganorum, in Rivista
Italiana per le Scienze Giuridiche 10 (1959-1962), ser. 3, 119 ss.; G. Impallomeni,
Riflessioni sul tentativo di teoria generale penalistica in Claudio Saturnino (D. 48,19,16), in Studi in onore
di A. Biscardi, III, Milano 1982, 176-203.
[30] Westroemisches Vulgarrecht das Obligationen
recht, Weimar 1956. Vedi anche, M. Kaser, Zur Methodologie der
roemischen Rechtsquellen-Forschung, Wien 1972, 69 ss.; F. Wieacker, Vulgarismus und
Klassizismus im Recht der Spaetantike, Stuttgart 1961, 227 ss.; Idem, Vulgarrecht und Vulgarismus.
Alte und neue Probleme und Diskussionen, in: St. Biscardi, vol. I. Milano 1982, 33 ss.; G. Stuehff, Vulgarrecht unter besonderer
Beruecksichtigung der Gesetzgebung Konstantins des Grossen, Weimar 1966,
129 ss.
[44]
Si tratta del testo D. 47.2.83.2 (Paul. 2 sent.), in cui si parla della
persona che agisce con invidia ma non con la volontà di portare le cose via.
Però Paolo dice che anche questa persona puo essere condannata con actio
furti.
[48] D. 47.20.3 pr. (Ulp. 8 off.
procons.) Vedi, Zilletti,
Annotazioni sul crimen stellionatus, in Arch. Giur. 161(1961), 10 .