N. 4 – 2005 – Tradizione Romana
Università di Sassari
Diritto e documenti sacerdotali romani: verso una palingensi*
Sommario: 1. Motivazioni e spazi di una ricerca volta alla raccolta dei “frammenti”
provenienti dai documenti dei sacerdoti romani: religio, iura e antiquitates del popolo romano. – 2. Ricognizione su consistenza e contenuti dei documenti. A.
Il problema della distinzione tra libri
e commentarii sacerdotali.
– 3. B. Consistenza e contenuti
dei commentarii sacerdotali.
– 4. C. “Sistema” ordinatorio
dei libri augurum. – 5. Evidenze dai documenti sacerdotali. A. Una lingua di
imperativi e divieti. – 6. B. “Aperture” cultuali come
“procedure operative”: dall’universalismo religioso all’imperium populi Romani. – 7. Critica dei testi e
palingenesi dei documenti sacerdotali: la “gerarchia delle fonti”.
Numerose fonti, sia epigrafiche[1] sia letterarie, attestano la pratica usuale dei sacerdoti romani
di redigere e conservare
tutta una serie di documenti attinenti alle molteplici attività di ciascun
collegio[2].
Il contenuto di questi archivi sacerdotali[3]
doveva presentarsi, quindi, piuttosto vasto: rituale e istruzioni generali di
culto; preghiere e formule solenni (carmina)[4];
trascrizioni di interventi
autoritativi o pareri interpretativi dei sacerdoti (decreta e responsa)[5].
Nei documenti sacerdotali si conservano, inoltre, le liste dei membri del
collegio (in cui era possibile trovare anche un embrione di storia e di
cronologia)[6] e i
processi verbali degli atti professionali (acta)[7].
Sebbene in linea di massima vi fosse una certa
tipicizzazione nella forma e nel contenuto, i documenti del collegio dei
pontefici[8]
superavano di gran lunga gli altri per consistenza: questi sacerdoti
determinavano il calendario annuale[9],
compilavano ed aggiornavano i fasti consolari[10],
e registravano negli annales[11]
– fin dal periodo più antico – le res
gestae del popolo romano; inoltre, la
tradizione antica riconduceva all’archivio dei pontefici anche le leges
regiae[12], i libri
e i commentarii dei re[13]
e le primitive regole dello ius civile[14].
Questa vasta opera di compilazione dovette svilupparsi nel
costante lavoro di interpretazione e di rielaborazione delle diverse branche
dello ius (sacrum, publicum,
privatum) da parte dei collegi sacerdotali[15];
è probabile che in epoca più recente, i collegi ed il pontefice massimo[16]
abbiano provveduto ad elaborare una sistemazione interna di carattere
funzionale. Tuttavia, l’epoca della sistemazione degli archivi non deve in
nessun caso essere confusa con l’inizio dell’utilizzazione della scrittura da
parte dei collegi sacerdotali romani; l’ausilio della scrittura per fissare le
minuziose regole del rituale dovette essere necessità assai risalente, giusta
l’osservazione di A. Bouché-Leclercq sul culto della religione romana arcaica:
«une liturgie si compliquée ne pouvait se transmettre sans le secours de
l’écriture»[17].
Vorrei spendere qualche parola sull’attendibilità e sulla
rilevanza dei documenti sacerdotali, specialmente per la ricostruzione delle
istituzioni giuridiche e politiche. I documenti sacerdotali (e quindi il
lessico e i concetti elaborati dai sacerdoti)[18]
rappresentano le evidenze più autentiche e le prime riflessioni sistematiche
della giurisprudenza romana[19].
Costituiscono altresì il nucleo più risalente e affidabile della storiografia
romana, poiché da essi si ricavano le caratteristiche originarie e la
dialettica dello sviluppo delle istituzioni pubbliche e private.
Vi è però anche un’altra ragione che rende preziosi questi
documenti. A fronte della constatata inadeguatezza delle categorie giuridiche
moderne, i documenti sacerdotali sono da considerare strumenti indispensabili
per un riesame complessivo del “sistema giuridico-religioso”[20]
dei Romani: a cominciare dalla ridefinizione del «diritto pubblico romano» in
chiave non “statualista”[21].
Non è certo questo il luogo per svolgere lunghi e articolati
discorsi critici intorno alla sistematica sottesa al Römisches Staatsrecht di Theodor Mommsen[22];
critiche variamente formulate dalla dottrina, e con ben altra autorevolezza,
nel corso dell’ultimo secolo di studi romanistici[23].
Basterà rilevare – citando Giovanni Lobrano – che nel complesso
rapporto «così instaurato tra “materiale” romano e sistematica contemporanea»[24], quel voler ricondurre la concreta
realtà dello ius publicum all’astratto
sistema dello «Staatsrecht» ha prodotto risultati a dir poco unilaterali,
inadeguati e parziali. Appaiono in tutta evidenza i limiti di un metodo che,
oltre a prospettare un’interpretazione “statalista” del sistema
giuridico-religioso romano, pretendeva di ricondurre le molteplicità di forme e
di tempi storici ad astrazioni concettuali generalizzanti, «Grundbegriffe»[25]; fra i quali primeggiava il
«Grundbegriff» di Magistratura, concepito come chiave di volta dell’intero
sistema[26]. Per quanto il grande Maestro tedesco
non ignorasse che per delineare «die allgemeine Lehre von der Magistratur»
avesse dovuto sacrificare la concreta storicità delle magistrature[27].
Ma torniamo ai documenti sacerdotali. Nella tradizione
documentaria dei collegi, possono individuarsi due linee di tendenza, in
qualche misura complementari.
Da un lato, vigeva un rigoroso formalismo per gli antichissimi carmina (illa mutari vetat religio et consecratis utendum est), conservati
in forma linguistica arcaica anche in età imperiale avanzata, determinando
sovente qualche problema di comprensione negli stessi sacerdoti recitanti[28].
D’altra parte, i sacerdoti procedevano al costante aggiornamento
linguistico di rituali e forme di culto; al fine di renderli comprensibili ai
contemporanei. In tal modo, nel corso delle generazioni, si accumularono
materiali documentari – per la maggior parte decreta e responsa – che
attraverso revisioni e sistemazioni periodiche pervennero sostanzialmente
integri fino all’ultimo secolo della repubblica[29].
Le fonti attestano almeno quattro interventi ordinatori,
susseguitisi con sorprendente periodicità: il primo, raffigurato come
compilazione originaria, è attribuito a Numa Pompilio[30],
del quale la tradizione conosceva gli antichissimi sacra omnia exscripta exsignataque[31]
istitutivi del sacerdozio pontificale; il secondo ci è presentato come opera di
Anco Marcio[32]; il
terzo, datato nei primissimi anni della repubblica, è costituito dalla raccolta
di leges regiae del pontefice Papirio[33];
l’ultimo intervento ordinatorio si deve collocare nel periodo immediatamente
successivo all’incendio gallico[34]. Infine, intorno al
I documenti sacerdotali dovevano presentarsi riordinati in
maniera organica già alla fine del III secolo a.C., quando cominciarono ad
essere oggetto di studio e di sistematizzazione da parte di sacerdoti-giuristi[37]
e antiquari, i quali negli ultimi due secoli della repubblica improntarono sui
documenti sacerdotali lo studio della religio
(id est cultu deorum)[38],
degli iura (divinum, publicum, privatum) e delle antiquitates[39]
del Populus Romanus Quirites[40].
La dottrina contraria alla distinzione tra libri e commentarii sacerdotali,
affermatasi nella seconda metà dell’Ottocento con gli studi Auguste
Bouché-Leclercq[41] e Paul Regell[42], muove dalla convinzione che i due termini nelle citazioni degli
autori antichi appaiano reciprocamente fungibili[43]. Anche Varrone e Cicerone (nelle cui opere si trovano le più
risalenti citazioni testuali di libri e
commentarii sacerdotali)[44] utilizzano sovente il termine liber in varie e generiche accezioni.
Tuttavia, meritano maggiore attenzione le titolature ufficiali
del personale ausiliario dei collegi sacerdotali, rilevabili in epigrafi
d’epoca imperiale[45]. Le qualifiche a
commentariis (o commentarienses)
e a libris, attribuite ad alcuni di
questi funzionari[46], confermano l’esistenza di una qualche distinzione tra libri e commentarii nei documenti sacerdotali.
Negli acta Arvalium del 218 d.C. si legge che i
sacerdoti arvali nel compimento delle sacre cerimonie ricorrevano ad appositi libelli[47] per recitare l’antichissima ed ormai quasi incomprensibile
invocazione del carmen Arvale[48]. La notizia di fonte sacerdotale, secondo cui il carmen degli arvali si tramandava in libellis (cioè in libri di piccolo formato) presso
l’archivio del sodalizio, costituisce una prova autorevolissima non solo della
conservazione da parte dei collegi sacerdotali di antiche formule solenni,
preghiere e regolamenti del rituale; ma anche – a mio avviso – della
denominazione ufficiale di queste raccolte[49].
Vi è poi l’orazione ciceroniana de domo sua, fonte attendibilissima e certo ben documentata in tema
di ius publicum e di ius pontificium[50]. Alcuni passi dell’orazione costituiscono, infatti, una
significativa conferma delle indicazioni offerte dalle fonti epigrafiche.
L’area della casa di Cicerone era stata fatta consacrare dal tribuno Clodio[51], con l’intenzione di innalzarvi un tempio alla Libertas[52]. Per contestare la validità della dedicatio-consecratio, Cicerone adduce come prova anche l’imperizia
rituale del giovane pontefice L. Pinario Natta[53], cognato di Clodio ed unico sacerdote che si prestò a compiere
la cerimonia, determinata dal fatto che il pontefice avrebbe operato: «ignarus, invitus, sine collegis, sine
libris, sine auctore, sine fictore, furtim, mente ac lingua titubante fecisse
dicatur»[54]. Questi libri che
altro potevano contenere se non le formule solenni e le procedure relative alla
dedicatio-consecratio[55]?
Dall’orazione, pronunciata davanti ai pontefici[56], si ricava una precisa indicazione sui libri pontificii: essi contenevano sia i solenni verba dedicationis, sia l’insieme del procedimento rituale di esclusiva
competenza dei pontefici: «Illa interiora
iam vestra sunt, quid dici, quid praeiri, quid tangi, quid teneri ius fuerit»[57]. Ma l’oratore offre anche altre indicazioni su ciò che i
pontefici potevano trovare nei libri del collegio (in vestris libris): de
religione, de rebus divinis, caerimoniis, sacris[58].
I dati che emergono dall’orazione appaiono
altrettanto utili per la distinzione tra libri
e commentarii del collegio;
infatti, in altro paragrafo della De domo
sua[59],
Cicerone trascrive dai commentarii
dei pontefici due responsa di età
precedente in materia di dedicatio/consecratio:
responsa pronunciati dal pontefice
massimo pro collegio. Le
argomentazioni di Cicerone confermano l’esistenza in seno ai collegi
sacerdotali di una consolidata tradizione documentaria e la prassi ‑
ormai usuale ‑ di utilizzare i materiali degli archivi nell’espletamento
delle funzioni religiose e giuridiche di ciascun sacerdozio[60]. Ai Romani di età tardo-repubblicana, doveva apparire quasi
indispensabile che i sacerdoti ricorressero all’ausilio dei documenti
conservati nei loro archivi, per il corretto esercizio delle funzioni legate al
sacerdozio.
Le fonti letterarie (che citano con particolare rilievo i commentarii degli auguri e dei pontefici)
confermano l’impressione che i commentarii
costituissero una sorta di guida per il compimento delle funzioni dei
collegi: vi erano cioè trascritti i rendiconti e le memorie di una scienza e di
un’attività, che sovente si concretizzavano in decreta e responsa[61].
Su questo punto, assume particolare valore la testimonianza di
Cicerone, il quale nelle sue opere, più volte, mostra di conoscere
personalmente sia i commentarii del
suo collegio (auguri), sia i commentarii
dei pontefici[62]. Dai primi trascrive nel De
divinatione un noto decreto augurale:
Cicerone, De div.
2.42-43: Itaque in nostris commentariis scriptum habemus: “Iove tonante,
fulgurante comitia populi habere nefas”. Hoc fortasse rei publicae causa
constitutum est; comitiorum enim non habendorum causas esse voluerunt. Itaque
comitiorum solum vitium est fulmen, quod idem omnibus rebus optumum auspicium
habemus, si sinistrum fuit[63].
Con il decreto «Iove
tonante, fulgurante comitia populi habere nefas»[64], siamo in presenza di una citazione testuale, che Cicerone,
augure dal
Ai commentarii pontificum, l’oratore ricorre invece sia
in materia di dedicationes (De domo 136); sia a proposito
dell’attività giurisprudenziale del grande giurista Tiberio Coruncanio (Brut. 55), primo pontefice massimo
plebeo, i cui responsa erano
conosciuti ancora al tempo di Cicerone ex
pontificum commentariis[67].
Anche le altre fonti che citano testualmente i commentarii sacerdotali concordano con la
testimonianza di Cicerone: Plinio il Vecchio, Nat. hist. 18.14, cita un decreto sui tempi di celebrazione
dell’augurio canario dai commentarii
pontificum[68]; mentre fanno riferimento ai commentarii
degli auguri per la specificazione delle aves augurales sia un tormentato passo di Festo (v. Sanqualis, p.
Alla individuazione/ricostruzione delle materie attinenti ai commentarii, non sono di ostacolo
neppure quelle fonti in cui il termine ha un significato meno precisabile, al
punto da sembrare ad alcuni studiosi generico o addirittura controverso. Fra
questi passi, mette conto esaminare uno dei più utilizzati dalla dottrina
contraria alla distinzione:
Tito Livio 4.3.9: Obsecro vos, si non ad fastos, non ad
commentarios pontificum admittimur, ne ea quidem scimus, quae omnes peregrini
etiam sciunt, consules in locum regum successisse nec aut iuris aut maiestatis
quicquam habere, quod non in regibus ante fuerit?
Sulla base del testo liviano, si è voluto sostenere da una parte
della dottrina[71] l’impossibilità di distinguere tra libri e commentarii; in
quanto, il termine commentarii
sarebbe utilizzato per indicare l’insieme dei documenti dei pontefici.
Tuttavia, a mio avviso, va meditata con maggiore attenzione la contrapposizione
tra fasti e commentarii rilevabile nel testo liviano. In tale contrapposizione
è possibile cogliere la vera distinzione concettuale e di contenuto nell’uso
dei due termini: per fasti[72] si intende la compilazione dell’arcaico calendario mobile[73] (le cui regole stavano secondo altre fonti nei libri pontificales[74]), mentre il termine commentarii
appare distinto e contrapposto a quel genere di documenti, quindi differente
anche per contenuto.
Non voglio certo negare che, nel contesto liviano, il tribuno
Canuleio volesse alludere effettivamente all’esclusione dei plebei dalla
conoscenza dell’insieme dei documenti pontificali. Voglio però notare, che
l’annalista per designare la totalità dell’archivio non utilizza soltanto il
termine commentarii, ma l’insieme di fasti e commentarii: quindi, con un riferimento sia alle regole relative
alla divisione e numerazione del tempo, definite nei libri, sia ai canoni interpretativi e alle precedenti memorie
dell’attività pontificale, oggetto per l’appunto dei commentarii.
Altro dato da tenere in considerazione è la conclamata antichità
dei libri. Mentre, infatti, dei commentarii (pontificum) è stata talvolta evidenziata dagli autori antichi l’obscuritas delle parole[75], che ne rendeva il linguaggio addirittura di difficile
comprensione; dei libri rileva
invece, per usare le parole di Cicerone, la antiquitatis
effigies[76]. L’antiquitas e la vetustas prisca[77] costituiscono elementi di grande rilevanza per la definizione
dei materiali raccolti nei libri pontificum; i cui contenuti originari
erano identificati con i sacra omnia exscripta exsignataque di
Numa e con le leges regiae. Il
carattere assai risalente è attestato anche per i libri degli auguri: da essi l’augure Cicerone traeva l’antica
denominazione del dictator[78] chiamato in quei libri magister
populi; mentre l’antiquario Varrone
vi leggeva la parola terra «scripta cum R uno»[79].
Fra i libri
sacerdotali, a parte un passo di Varrone in cui si menzionano i libri Saliorum[80], le citazioni testuali riguardano i libri degli auguri e dei pontefici[81]. Tuttavia, per dimostrare la diversità di contenuto rispetto ai commentarii, sarà sufficiente esaminare
o gli uni o gli altri. Esaminerò, quindi, solo i libri augurum,
individuandone i contenuti peculiari rispetto ai commentarii e le implicazioni sistematiche delle materie in essi
raccolte.
Dai testi discussi finora, si ricava l’impressione che nei libri fossero confluiti in prevalenza
materiali riguardanti le regole della disciplina augurale; la quale,
nell’insieme di precetti e procedure, si presentava strutturata per parte
considerevole in un sistema organico, già alla fine dell’età regia o nei
primissimi anni della repubblica[82]. Alla stessa epoca riconduce la definizione degli agrorum genera in De lingua Latina
5.33[83]; il rilievo attribuito all’ager
Gabinus sarebbe totalmente immotivato per l’età storica più recente; mentre
acquista particolare senso nell’ambito di quella tradizione che identificava la
città di Gabii come importante centro culturale del Lazio arcaico[84].
Risale allo stesso periodo la composizione delle liste dei nomina deorum[85], o almeno della maggior parte di essi, che Cicerone conosceva
raccolti nei libri del collegio[86]. Erano le divinità per le quali gli auguri celebravano cerimonie
e sacrifici[87]; alle quali indirizzavano le precationes
augurales citate dai tardi grammatici, per i loro verba ormai desueti[88]. Lo stesso discorso vale per le formule solenni che gli auguri,
fino alla estinzione della religione romana, continuarono a pronunziare nel
compimento delle inaugurationes[89], o nel rito di definizione del templum augurale[90]; così come più antica delle XII Tavole sembra essere stata la
regolamentazione del tempus augurii[91], cioè del tempo utile per l’osservazione dei signa auguralia.
Dei libri augurum è infine ipotizzabile, con buona
approssimazione, il “sistema” ordinatorio, cioè la sistematica elaborata dai
sacerdoti per i materiali ivi contenuti. Ciò si rende possibile seguendo la
descrizione delle funzioni augurali che l’augure Cicerone traccia nella parte
del De legibus[92] dedicata a questi sacerdoti:
De leg. 2.20-21: Interpretes autem Iovis optumi maxumi, publici
augures, signis et auspiciis postera vidento, disciplinam tenento sacerdotesque
vineta virgetaque et salutem populi auguranto; quique agent rem duelli quique
popularem, auspicium praemonento ollique obtemperanto. Divorumque iras
providento sisque apparento, caelique fulgura regionibus ratis temperanto,
urbemque et agros et templa liberata et efflata habento. Quaeque augur iniusta
nefasta vitiosa dira deixerit, inrita infectaque sunto; quique non paruerit,
capital esto[93].
Quasi inutile sottolineare l’estrema attendibilità del testo,
anche se le vicende tormentate della tradizione manoscritta rendono il passo
citato di non facile lettura[94].
Pur non superando tutte le difficoltà interpretative, si ha la netta sensazione
di trovarsi di fronte a «dispositions précises puissées
certainement à un recueil officiel redigé en terme de profession»[95]; insomma, ad un testo trascritto da una raccolta
ufficiale, destinata probabilmente agli stessi auguri[96]; quindi, la partizione delle funzioni augurali, sottesa al testo
ciceroniano, risulta tracciata in naturale adesione ad un testo ufficiale del
collegio. Si trattava – per dirla con le parole di G. Dumézil – «des divisions
authentiques»[97] dei libri augurum, schematizzabili come segue:
1. Signa e auspicia in generale («Interpretes autem Iovis optumi maximi,
publici augures, signis et auspicis postera vidento»);
2. Disciplina augurale
(«disciplinam tenento»);
3. Inaugurationes («sacerdotesque vineta virgetaque et salutem
populi auguranto»);
4. Auspicia dei
magistrati («quique agent rem duelli
quique popularem, auspicium praemonento ollique obtemperanto»);
5. Nomina deorum e precationes augurales («divorumque iras providento sisque apparento»);
6. Definizioni degli spazi celesti e terrestri («caelique fulgura regionibus ratis
temperanto, urbemque et agros et templa liberata et efflata habento»).
La restante parte del passo, «quaeque
augur iniusta nefasta vitiosa dira deixerit, inrita infectaque sunto; quique
non paruerit, capital esto», riguarda la pratica esplicazione delle
funzioni precedentemente indicate; quest’attività dava luogo all’emanazione di decreta e responsa, atti raccolti, piuttosto, nei commentarii.
Non appare, quindi, senza significato la collocazione di questa
parte alla fine del testo; cioè nettamente separata, anche se concettualmente
dipendente, dalle materie attribuibili ai libri
augurum[98].
Dai documenti sacerdotali emerge la straordinaria rilevanza della
negazione nel linguaggio precettivo dei sacerdoti romani. I precetti imperativi
dettati dai sacerdoti si concretizzavano prevalentemente in impedimenti e
divieti, connotandosi quindi, dal punto di vista linguistico, con maggiore
frequenza in senso negativo[99].
Di questa caratteristica avevano, peraltro, piena consapevolezza anche gli
autori antichi, nelle cui opere troviamo impiegato con sorprendente frequenza
il verbo «negare», per riferire in
forma indiretta interventi precettivi dei collegi sacerdotali, o di singoli
sacerdoti[100].
Sulle motivazioni religiose, giuridiche e ideologiche, che
stavano alla base della caratteristica connotazione in senso negativo del linguaggio
precettivo dei sacerdoti romani, mi permetto di rinviare ad un altro mio
scritto[101];
qui mi preme proporre una verifica testuale e svolgere brevi note di commento
ai frammenti citati, soprattutto per sottolinearne la sicura provenienza
sacerdotale. Si tratta di un numero limitato di frammenti, che paiono
significativi in ragione della specificità del contenuto: (A) prescrizioni
generali di culto e alla disciplina sacerdotale; (B) interventi autoritativi – decreta e responsa – resi da un intero collegio o (C) da singoli sacerdoti.
A.1
«Ne suis nominibus dii Romani
appellarentur, ne exaugurari possint»
[Servio Dan., Aen.
2.351: excessere
quia ante expugnationem evocabantur ab hostibus numina propter vitanda
sacrilegia. Inde est, quod Romani celatum esse voluerunt, in cuius dei tutela
urbs Roma sit. Et iure pontificum cautum est, ne – possint. Et in Capitolio fuit clipeus consecratus, cui inscriptum erat ‘genio
urbis Romae, sive mas sive femina’. Et pontifices ita precabantur ‘Iuppiter
optime maxime, sive quo alio nomine te appellari volueris][102].
A.2
«Ne iuges auspicium
obveniat»
[Cicerone, De div. 2.77: Nam ex acuminibus quidem, quod totum auspicium militare est, iam M.
Marcellus ille quinquiens consul totum omisit, idem imperator, idem augur optumus.
Et quidem ille dicebat, si quando rem agere vellet, ne impediretur auspiciis,
lectica operta facere iter se solere. Huic simile est quod nos augures
praecipimus, ne – obveniat, ut
iumenta iubeant diiungere][103].
B.1
«Non habendum religioni, quin eo die
feriae praecidaneae essent»
[Aulo Gellio, Noct.
Att. 4.6.9-10: Sed porcam et hostias
quasdam ‘praecidaneas’, sicuti dixi, appellari volgo notum est, ferias
‘praecidaneas’ dici id, opinor, a volgo remotum est. Propterea verba Atei
Capitonis ex quinto librorum, quos de pontificio iure composuit, scripsi: ‘Tib.
Coruncanio pontifici maximo feriae praecidaneae in atrum diem inauguratae sunt.
Collegium decrevit non – essent][104].
C.1
«Nisi eum populus Romanus nominatim
praefecisset atque eius iussu faceret, non videri eam posse recte dedicari»
[Cicerone, De domo
136: Sed, ut revertar ad ius publicum
dedicandi, quod ipsi pontifices semper non solum ad suas caerimonias, sed etiam
ad populi iussa accommodaverunt, habetis in commentariis vestris C. Cassium
censorem de signo Concordiae dedicando ad pontificum collegium rettulisse eique
M. Aemilium pontificem maximum, pro collegio respondisse, nisi – dedicari][105].
C.2
«Quod in loco publico Licinia Gai
filia iniussu populi dedicasset, sacrum non viderier»
[Cicerone, De domo
136: Quid? cum Licinia, virgo Vestalis
summo loco nata, sanctissimo sacerdotio praedita, T. Flaminino Q. Metello
consulibus aram et aediculam et pulvinar sub Saxo dedicasset, nonne eam rem ex
auctoritate senatus ad hoc collegium Sex. Iulius praetor rettulit? cum P.
Scaevola pontifex maximus pro collegio respondit: quod – viderier][106].
(A.1) Il passo di Servio Danielino, Aen. 2.351, menziona il divieto
pontificale di invocare suis nominibus
le divinità tutelari di Roma; divieto che anche altre fonti attestano[107].
La formulazione di un simile divieto si inquadrava perfettamente nelle
prerogative del collegio dei pontefici; fra le quali vi era l’esclusiva
competenza (e la rigorosa propensione) alla determinazione dei nomina deorum[108],
gli indigitamenta dei libri pontificales[109].
Appaiono anche le ragioni che giustificavano questo particolare divieto: la
cautela rituale dei pontefici (unici competenti della divulgazione dei nomina deorum) mirava a scongiurare
l’eventualità che potesse essere conosciuto da potenziali nemici in cuius dei tutela Roma esset, ed
evitarne così l’evocatio in caso di
guerra.
(A.2) Il testo ciceroniano De div. 2.77 riferisce una singolare
prescrizione della disciplina augurale (attestata anche da Servio Danielino[110]),
dettata al fine di evitare che in circostanze di particolare solennità si
verificasse uno iuges auspicium[111].
Pertanto, i magistrati – o gli stessi auguri – erano tenuti a dare disposizione
ai calatores di precederli lungo la
via da percorrere, ordinando di staccare tutti i buoi che si trovassero
aggiogati: ne iuges auspicium obveniat[112].
(B.1) Indiscutibile mi pare anche la buona
qualità del testo di Gellio, Noct. Att.
4.6.9-
(C.1-C.2) Infine di grande interesse appaiono
anche gli ultimi due responsa
pontificali citati da Cicerone in De domo
136. Essi documentano una persistente tradizione interpretativa in materia di vota publica e di dedicationes in loco publico, ancora rigorosamente osservata negli
ultimi due secoli dell’età repubblicana. è
noto che la più antica giurisprudenza
pontificale, in merito ai pubblici vota, dona, dedicationes,
considerava lo iussum populi
requisito indispensabile per la validità di tali atti di culto; il collegio,
infatti, aveva sempre negato che perfino il magistrato potesse offrire vota publica[116]
senza il preventivo assenso del popolo.
In altre parole la giurisprudenza sacerdotale, ab antiquo, considerava lo iussum populi requisito indispensabile
per l’assunzione del vincolo obbligatorio nei confronti degli dèi[117],
e quindi per la validità del rito.
I documenti sacerdotali e le formule solenni sono, dunque,
elementi fondamentali per lo studio del diritto pubblico romano; superando una
sistematica e una interpretazione dello ius
publicum (sacra, sacerdotes, magistratus) sostanzialmente mediata
dalla concezione statualistica del diritto.
La concezione romana di pax
deorum elaborata dai sacerdotes postulava, infatti, una
costante apertura religiosa, giuridica e politica verso l’esterno[118].
Nell’intero arco del suo sviluppo storico dalla civitas all’impero, la res
publica romana – e la sua religione politeista –, è sempre stata
caratterizzata dalla continua esigenza (e preoccupazione) di integrare
l’“alieno”: dèi, uomini, spazi terrestri; divinità dei vicini e divinità dei nemici[119],
cerchi concentrici sempre più larghi, che potenzialmente abbracciavano l’intero
spazio terrestre e tutto il genere umano. Si tratta, come appare evidente, di
una esperienza giuridica millenaria per niente assimilabile alla concezione
particolaristica ed esclusivistica dello Stato contemporaneo. Per la stessa
ragione, risulta fuorviante applicare la “Staatslehre” allo studio dello ius publicum del popolo romano.
Dai documenti sacerdotali emergono numerose “procedure operative”
che hanno permesso ai sacerdoti di dare corpo a questa vocazione
universalistica. Per ragioni di brevità, in questa sede, mi limiterò a
segnalare solo alcuni esempi.
1.
Il primo frammento attiene alla distinzione dei genera agrorum elaborata dalla
disciplina augurale:
Varrone, De ling. Lat.
5.33: Ut nostri augures publici dixerunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus,
Gabinus, peregrinus, hosticus, incertus. Romanus dictus unde Roma ab
Rom<ul>o; Gabinus ab oppido Gabis; peregrinus ager pacatus, qui extra
Romanum et Gabinum, quod uno modo in his servantur auspicia; dictus peregrinus
a pergendo, id est a progrediendo: eo [quod] enim ex agro Romano primum
progrediebantur. Quocirca Gabinus quoque peregrinus, sed quod auspicia habet
singularia, ab reliquo discretus; hosticus dictus ab hostibus; incertus is, qui
de his quattuor qui sit ignoratur[120].
La divisione dello spazio terrestre in cinque agrorum genera[121]
rappresenta un mirabile esempio della semplicità, dell’efficacia interpretativa
e delle potenzialità universalistiche della scienza sacerdotale. Pur
salvaguardando la centralità dell’ager romanus (anche verso gli
Dèi), la classificazione dei genera agrorum mostra una fortissima
propensione religiosa e giuridica ad instaurare rapporti – tanto reali quanto potenziali
– con la molteplicità degli spazi terrestri; con gli homines che hanno
relazioni a vario titolo con questi spazi; con gli innumerevoli Dèi che quegli
spazi (e quanti li abitano) presiedono e tutelano.
2.-3.
I frammenti 2 e 3 (Cicerone, De
nat. deor. 1.84) (Servio Dan., Georg.
1.21) provengono invece dai documenti del collegio dei pontefici.
Cicerone, De nat.
deor. 1.84: At primum, quot hominum linguae, tot nomina deorum; non enim ut
tu Velleius, quocumque veneris, sic idem in Italia Volcanus, idem in Africa,
idem in Hispania. Deinde nominum non magnus numerus ne in pontificiis quidem
nostris, deorum autem innumerabilis[122].
Servio Dan., Georg.
1.21: dique deaeque omnes
post specialem invocationem transit ad generalitatem, ne quod numen praetereat,
more pontificum, (per) quos ritu veteri in omnibus sacris post speciales deos,
quos ad ipsum sacrum, quod fiebat, necesse erat invocari, generaliter omnia
numina invocabantur[123].
In De nat. deor. 1.84,
Cicerone attesta la rigorosa propensione dei pontefici romani a determinare,
con la maggiore certezza possibile, i nomina
deorum; divinità di cui tuttavia
sfuggiva alla conoscenza umana il dato numerico quantitativo.
Il frammento n. 3 (Servio Dan., Georg. 1.21) si presenta in logica connessione col testo di Cicerone.
Servio Danielino riferisce ad un antico mos pontificum la cautela
rituale osservata nelle solenni formule di preghiera: quasi ad esorcizzare
l’umana impossibilità di conoscere il numero degli dèi, i pontefici romani
prescrivevano al fedele, una volta pronunciata l’invocazione alle divinità
particolari onorate nella cerimonia, di rivolgersi sempre ad generalitatem, ne quod numen praetereat. Non senza ragione,
proprio in questo antico mos pontificum delle preghiere è stata
ravvisata la potenzialità universalistica
della religione politeista romana e la sua propensione ad operare, fin
dai primordia civitatis, «una “apertura” illimitata» verso tutti gli Dèi[124].
4.
Il quarto frammento, anch’esso riferibile ai documenti del
collegio dei pontefici, attiene alle realtà teologiche e cultuali dei peregrina sacra, nonché alle concrete procedure operative dell’interpretatio Romana.
Festo, De verb. sign., v. Peregrina sacra, p.
Dalla definizione di peregrina
sacra del De verborum significatu di Sesto Pompeo Festo, emergono con
chiarezza le concrete procedure operative dell’interpretatio Romana: la “teologia” sacerdotale e lo ius divinum potevano integrare nel
rituale romano, ogni qualvolta fosse stato ritenuto necessario, tutte le
divinità straniere – compresi gli dèi dei nemici –, delle quali si
conservavano, peraltro, anche le forme di culto originarie (quae coluntur eorum more, a quibus sunt
accepta).
Avvalendosi di
queste procedure opererative, i sacerdoti romani conciliarono la fedeltà agli
dèi patrii con l’apertura potenzialmente illimitata verso le divinità straniere[126].
A fondamento dell’interpretatio[127]
stava un senso “cosmico” e “politico” della religione, che si traduceva,
secondo Jean Bayet, nei concetti di pax
deorum e religio[128].
Come ha rilevato assai acutamente Robert Turcan, la propensione ad allargare
all’infinito la sfera degli dèi, e quindi dei rapporti umani, fu caratteristica
congenita della religione politeista e del sistema giuridico-religioso di Roma
antica, determinando un rapporto inscindibile tra «polythéisme et pluralisme
cultuel»[129].
5.-6.
Gli ultimi due frammenti proposti riguardano le evocationes
degli dèi del nemico[130]:
Tito Livio 5.21.3: Te simul, Iuno regina, quae nunc Veios colis,
precor ut nos victores in nostram tuamque mox futuram urbem sequare, ubi te
dignum amplitudine tua templum accipiat.
Macrobio, Sat. 3.9.6-9:
Nam repperi in libro quinto rerum reconditarum Sammonici Sereni utrumque
carmen, quod ille se in cuiusdam Furii vetustissimo libro repperisse professus
est. Est autem carmen huius modi quo di evocantur cum oppugnatione civitas
cingitur: “Si deus, si dea est, cui populus civitasque Carthaginiensis est in
tutela, teque maxime, ille qui urbis huius populique tutelam recepisti, precor
venerorque, veniamque a vobis peto ut vos populum civitatemque Carthaginiensem
deseratis, loca templa sacra urbemque eorum relinquatis, absque his abeatis
eique populo civitatique metum formidinem oblivionem iniciatis, propitiique
Romam ad me meosque veniatis, nostraque vobis loca templa sacra urbs acceptior
probatiorque sit, mihique populoque Romano militibusque meis propitii sitis. Si
<haec> ita faceritis ut sciamus intellegamusque, voveo vobis templa
ludosque facturum”. In eadem verba hostias fieri oportet, auctoritatemque
videri extorum, ut ea promittant futura[131].
Si tratta delle formule solenni concepite dai sacerdoti romani
per le evocationes delle divinità che proteggevano due mortali nemici di
Roma, quali la città etrusca di Veio[132]
e la metropoli africana dell’impero dei Fenici d’Occidente, Cartagine[133].
Il richiamo ai risultati del fondamentale lavoro sull’evocatio di V. Basanoff consente di non
discutere, qui e ora, le implicazioni teologiche e giuridiche della formula e
del rito delle evocationes degli dèi
del nemico[134]. Mi
preme, invece, evidenziare ancora una volta, proprio nelle evocationes
degli dèi del nemico, una delle prove più significative della costante apertura
religiosa verso l’esterno della religione politeista romana, fortemente
connaturata alla stessa concezione di pax
deorum elaborata dalla teologia e dal
diritto dei sacerdoti romani.
L’individuazione di frammenti riconducibili a documenti
sacerdotali romani (ad es. a libri o
a commentarii) presuppone
l’accertamento del grado di attendibilità delle fonti che li citano. Si tratta,
insomma, di rispettare una sorta di “gerarchia” delle fonti, al fine di
ordinare le testimonianze antiche in ragione di intrinseche qualità,
opportunamente individuate sul piano metodologico.
Porre il problema dell’attendibilità e del valore di queste
fonti, non significa ridiscutere il grado di approssimazione storica della
tradizione annalistica, sviscerando i differenti filoni confluiti in tale
tradizione[135]. La validità della tradizione annalistica ed il valore storiografico
delle fonti letterarie sono ormai generalmente confermati dagli studi degli
ultimi decenni[136]; emerge la sostanziale attendibilità dei contesti in cui storici
ed antiquari fanno riferimenti a formule solenni o ad altri documenti più
risalenti[137].
Tuttavia, resta sempre da determinare, in queste citazioni degli
scrittori antichi, il diverso grado di attendibilità delle singole parti: si
tratta, insomma, di separare il riferimento (diretto o indiretto) a documenti o
istituzioni giuridico-religiosi contenuto nel testo, dall’interpretazione
“colta” che lo scrittore antico propone di tale riferimento. Un caso esemplare
è il passo di Cicerone, De re publ.
1.63:
Nam dictator quidem ab eo appellatur quia dicitur, sed in
nostris libris vides eum Laeli magistrum populi appellari[138].
Dal passo si ricavano due informazioni di valore diseguale:
l’etimologia del termine dictator (quia dicitur)
e l’arcaica denominazione ufficiale del dittatore (magister populi). Pare
del tutto evidente, che il diverso valore delle due informazioni sia da
ricercare nella differente qualità delle fonti utilizzate da Cicerone: per
l’etimologia si sarà avvalso della scienza filologico-antiquaria del suo
secolo, mentre ha ricavato la denominazione arcaica del magistrato direttamente
dai libri degli auguri[139].
La “gerarchia” delle fonti che citano i documenti sacerdotali
favorisce, a mio avviso, il superamento di difficoltà e incertezze anche nella
determinazione dei generi documentari[140]. Proprio l’aver mescolato fonti non omogenee per attendibilità,
ha determinato il quadro assai confuso dei contenuti di libri e commentarii sacerdotali[141].
Fra i testi che citano documenti sacerdotali, vi sono sia
fonti primarie sia fonti secondarie[142]. Ecco, dunque, individuato un primo livello della “gerarchia”
delle fonti.
Da una parte abbiamo “fonti primarie”: documenti
ufficiali dei collegi sacerdotali o loro frammenti pervenutici direttamente,
cioè, senza altra mediazione al di fuori del materiale scrittorio che li ha conservati[143]. Per quanto riguarda l’attendibilità, le fonti primarie, fatto
salvo l’accertamento del carattere autentico, si presentano pressoché omogenee.
Dall’altra stanno le “fonti secondarie”: materiali
riferibili ai documenti sacerdotali contenuti in opere, di vario genere,
scritte tra l’ultimo secolo della repubblica e l’ottavo secolo d.C.[144]. Fra le fonti di questo tipo possono essere individuati almeno
quattro ulteriori livelli:
1) il primo livello
è costituito dalle citazioni testuali di formule solenni o di altri documenti
di sicura provenienza sacerdotale;
2) al secondo
livello sono da ascrivere quelle notizie riferibili ai collegi sacerdotali e
alla loro tradizione documentaria, contenute in opere di sacerdoti, giuristi e
antiquari, comunque pervenute;
3) il terzo livello
consiste nelle importanti testimonianze dell’annalistica;
4) infine, le
informazioni ricavabili dalle restanti opere letterarie.
Va da sé che l’utilizzazione di questa “gerarchia” delle fonti
non dovrà essere meccanica, considerando che sovente diversi livelli possono
coesistere nello stesso testo[145]. L’individuazione di un corpus
di testi base per la palingenesi dei documenti sacerdotali non deve essere
disgiunta dalla ricostruzione storica complessiva della società romana arcaica,
e quindi, sia del rapporto tra base economica materiale e sovrastruttura
ideologica, sia del rapporto tra sovrastruttura ideologica arcaica e nuova base
economica della società romana più recente.
Per queste ragioni, nell’opera di reperimento e cernita dei
materiali, i giuristi dovranno avvalersi dell’apporto specialistico dei
filologi, dei lessicografi[146] e degli storici della religione. In tal modo, graduando
l’attendibilità delle fonti antiche (a cominciare da quelle che citano libri e commentarii), potranno essere realizzate raccolte affidabili, da
cui procedere verso una palingenesi dei documenti sacerdotali.
* Testo della relazione presentata il 21 aprile
[1] Ludi saeculares: C.I.L. VI, 32323 ss.; acta fratrum Arvalium: C.I.L. VI, 2023-2119; 32338-32398;
37164-37165; liste di componenti dei collegi sacerdotali: C.I.L. VI, 1976 ss.; 32318 ss.
Per le iscrizioni latine di carattere religioso del periodo arcaico e
repubblicano, A. Degrassi, Inscriptiones
Latinae liberae rei publicae, 2 voll., Firenze 1957-1963.
[2] G.
Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., München 1912, 479 ss.; J. Bayet, Histoire politique et
psychologique de la religion romaine, Paris 1957 (2a ed.
1969) [trad. ital. di G. Pasquinelli: La religione romana. Storia politica e psicologica, Torino
1959, 107 ss.]; G. Dumézil, La
religion romaine archaïque, 2a ed., Paris 1974, 567 ss.
[trad. it. di F. Jesi, La religione romana arcaica, Milano 1977, 492
ss.]. Fra gli studi monografici sui collegi sacerdotali (per la bibliografia
più risalente cfr. J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, III. Das
Sacralwesen, 2ª ed. a cura di G. Wissowa, Leipzig 1885 [rist. an. New York
1975], 235 ss.): P. Catalano, Contributi
allo studio del diritto augurale, Torino 1960; Id.,
Linee del sistema sovrannazionale romano,
Torino 1965; F. Guizzi, Aspetti
giuridici del sacerdozio romano. Il sacerdozio di Vesta, Napoli 1968; M.W. Hoffman Lewis, The Official
Priests of Rome under the Julo-Claudians. A study of the Nobility from 44 B. C.
to
[3] R.
Besnier, Les archives privées, publiques et religieuses
à Rome au temps des rois, in Studi Albertario, II, Milano
1953, 1 ss.; J. Linderski, The ‘Libri Reconditi’, in Harvard Studies in Classical Philology
89, 1985, 207 ss.; J. Scheid, Les archives de la piété. Réflexions sur les
livres sacerdotaux, in La mémoire
perdue. A la recherche des archives oubliées, publiques et privées, de
[4] A. Rostagni, Storia della letteratura latina, 3ª ed.,
I, Torino 1964, 41. Carmen Saliare: C.M. Zander, Carminis saliaris reliquiae, Lundae 1888; B. Maurenbrecher, Carminum
Saliarium reliquiae, in Jahrbücher
für classische Philologie, Suppl. XXI, 1894, 315 ss.; W. Morel, Fragmenta poetarum latinorum epicorum et liricorum praeter Ennium et
Lucilium, 2ª ed. (1927), rist. Stutgardiae 1963, 1 ss. Carmen Arvale: M. Nacinovich,
Carmen Arvale, 2 voll., Roma
1933-1934; E. Norden, Aus altrömischen Priesterbüchern,
Lund-Leipzig 1939, 99 ss.; G. Radke,
Archaisches Latein, Darmstadt 1981,
100 ss.; I. Paladino, Fratres Arvales. Storia di un collegio sacerdotale romano,
Roma 1988, 195 ss.; J. Scheid, Romulus et ses frères. Le collège des frères arvales, modèle du culte public dans la Rome des
Empereurs, Rome 1990, 644
ss. Altri carmina
di cui le fonti hanno conservato i testi: inauguratio
(Tito Livio 1.18.6 ss.); foedus (Tito
Livio 1.24.3 ss.); indictio belli
(Tito Livio 1.32.11-13); deditio
(Tito Livio 1.38.2); devotio (Tito
Livio 8.9.16); evocatio (Macrobio, Sat. 3.9.7). Cfr. R. Peter, De Romanorum precationum carminibus, in Commentationes Philologae in honorem Augusti Reifferscheidii,
Vratislaviae 1884, 67 ss.; C.M. Zander, Versus Italici antiqui, Lundae 1890; C. Thulin, Italische sakrale Poësia und Prosa. Eine metrische
Untersuchung, Berlin 1906; G. Appel, De Romanorum precationibus, Gissae 1909 [rist. an. New York 1975]; G.B. Pighi,
La poesia religiosa romana, testi e frammenti per la prima volta raccolti e
tradotti da G. B. P., Bologna 1958.
[5] Esempi di decreta sacerdotali in Cicerone: De div. 2.35;
in Vat. 20; Tito Livio 27.37.4; 27.37.7; 31.9.8; 32.1.9; 34.45.8; 39.22.4-5;
40.45.2; 4.7.3; 45.12.10; 21.1.15-19; 41.21.10-11; 31.8.2-3; Festo, 152 L. Responsa in Cicerone, De domo 39.
40; Tito Livio 5.23.8-10; 5.25.7; 36.3.7-12; 41.18.8.
La distinzione tra i decreta
e i responsa sacerdotali non risulta
del tutto chiara: P. Jörs, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der
Republik, I. Bis auf die Catonen, Berlin 1888, 29 ss.; E. De Ruggiero, v. Decretum,
in Dizionario Epigrafico di Antichità
Romane, II.2, Roma 1910, 1497 ss.; G.
Wissowa, Religion und Kultus der
Römer, cit., 541 s., 527 ss., 551; F.
Schulz, History of Roman Legal
Science, 2ª ed., Oxford 1953, 15 ss. [= Id.,
Storia della giurisprudenza romana,
trad. it. a cura di G. Nocera, Firenze 1968, 37 ss.]; G. Mancuso, Studi sul decretum nell’esperienza giuridica romana, in Annali del Seminario Giuridico
dell’Università di Palermo 40, 1988, 78 ss.; infine da menzionare (ma non
ho potuto vedere) L.L. Cohee,
Responsa and decreta of Roman priesthoods during the Republic,
Dissertation University of Colorado at Boulder 1994. Per quanto riguarda i responsa, non è neppure certo se, e in
che misura, essi vincolassero il magistrato, il senato o il privato che li
avevano richiesti; tuttavia il prestigio dei sacerdoti era tale da far sì che
raramente venissero disattesi; cfr. Cicerone, De harusp. resp. 6.12: Quae
tanta religio est qua non in nostris dubitationibus atque in maximis
superstitionibus unius P. Servili ac M. Luculli responso ac verbo liberemur? De
sacris publicis, de ludis maximis, de deorum penatium Vestaeque matris caerimoniis,
de illo ipso sacrificio quod fit pro salute populi Romani, quod post Romam
conditam huius unius casti tutoris religionum scelere violatum est quod tres
pontifices statuissent, id semper populo Romano, semper senatui, semper ipsis
dis immortalibus satis sanctum, satis augustum, satis religiosum esse visum est.
[6] Lista di pontefici in Cicerone, De harusp. resp. 6.12;
Macrobio, Sat. 3.13.11. L.
Mercklin, Die römischen Sacerdotalfasten, appendice a Die
Cooptation der Römer, Mitau und Leipzig 1848, 213 ss.; C. Bardt, Die Priester der vier
grossen Collegien aus römisch-republicanischer Zeit, Berlin 1871; P. Habel, De Pontificum Romanorum
inde ab Augusto usque ad Aurelianum condicione publica, Vratislaviae 1888; G. Howe, Fasti sacerdotum populi Romani
publicorum aetatis imperatoriae, Lipsiae 1904; a. klose, Römischen Priesterfasten I,
Diss. Breslau 1910; T.R.S. Broughton, The Magistrates of
the Roman Republic, 2 voll., 1 suppl., New York 1951-1952, 1960.
[7] Gu. Henzen,
Acta fratrum arvalium quae supersunt, Berolini 1874; Ae. Pasoli, Acta fratrum arvalium
quae post annum MDCCCLXXIV reperta sunt, Bologna 1950; J. Scheid, Romulus et ses frères. Le collège des frères
arvales, modèle du culte public dans
[8] Per una visione
d’insieme dei contenuti: C.W. Westrup,
On the Antiquarian-Historiographical Activities of the Roman Pontifical
College, København 1929; G.
Rohde, Die Kultsatzungen der
römischen Pontifices, Berlin 1936.
[9] Servio Dan., Georg. 1.270: Sane quae feriae a quo genere hominum vel quibus
diebus observentur, vel quae festis diebus permissa sint, siquis scire
desiderat, libros pontificales legat.
[10] C.I.L. I, 2a ed., 1
ss.; A. Degrassi, Inscriptiones
Italiae, XIII, Fasti et elogia, Roma 1947; Id., Inscriptiones Latinae liberae
rei publicae, I, cit., 15 ss.; T.R.S.
Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, cit. in n. 6; R. Stiehl, Die Datierung der
kapitolinischen Fasten, Tübingen 1957; R. Werner, Der Beginn der römischen Republik. Historisch-chronologische Untersuchungen
über die Anfangszeit der libera res publica, München-Wien 1963, 219 ss., 264 ss.
[11] Cicerone, De orat. 2.12.52-53: erat
enim historia nihil aliud nisi annalium confectio, cuius rei memoriaeque publicae
retinendae causa ab initio rerum Romanarum usque ad P. Mucium pontificem
maximum res omnis singulorum annorum mandabat litteris pontifex maximum
efferebatque in album et proponebat tabulam domi, potestas ut esset populo
cognoscendi, ei qui etiam nunc annales maximi nominantur. Servio Dan., Aen.
1.373: Ita autem annales conficiebantur: tabulam dealbatam quotannis
pontifex maximus habuit, in qua praescriptis consulum nominibus et aliorum
magistratuum digna memoratu notare consueverat domi militiaeque terra marique
gesta per singulos dies. Cuius diligentiae annuos commentarios in octoginta
libros veteres retulerunt, eosque a pontificibus maximis a quibus fiebant
annales maximos appellarunt. Macrobio, Sat. 3.2.17: Pontificibus
enim permissa est potestas memoriam rerum gestarum in tabulas conferendi, et
hos annales appellant et quidem maximos quasi a pontificibus maximis factos.
Paolo, Fest. ep., p.
[12] P.F. Girard, Textes
de droit romain, 2a ed., Paris 1895, 3 ss.; S. Riccobono, Fontes iuris romani
antejustiniani, pars prima, 2a ed., Florentiae 1968, 4
ss.; S. Tondo, Leges regiae e
paricidas, Firenze 1973.
[15] Documenti dei pontefici: J.-V. Le Clercq, Des journaux chez les Romains, recherches précédées d’un mémoire sur les
annales des pontifes, et suivies de fragments des journaux de l’ancienne Rome,
Paris
Documenti degli auguri: F.A. Brause,
Librorum de disciplina augurali
ante Augusti mortem scriptorum reliquiae, Lipsiae 1875; P. Regell,
De augurum publicorum libris,
Vratislaviae 1878; Id., Fragmenta auguralia, Hirschberg 1882; Id., Auguralia,
in Commentationes Philologae in honorem
Augusti Reifferscheidii, cit., 61 ss.; Id.,
Commentarii in librorum auguralium
fragmenta specimen, Hirschberg 1893; J. Linderski,
The Augural Law, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt,
II.16.3, Berlin-New York 1986, 2241 ss.
Documenti dei feziali: F.C. Conradi, De
Fecialibus et iure feciali populi Romani, Helmstadii 1734; M. Voigt, De fetialibus populi Romani quaestionis specimen, Lipsiae 1852.
[16] Sui poteri del pontefice massimo, Th. Mommsen, Römisches
Staatsrecht, 3a ed., II, Leipzig 1887 [ripr. Basel-Stuttgart 1963], 20 ss., il quale, pur favorevole in linea
di principio alla netta separazione tra magistratura e sacerdozio, fu costretto
a qualificare «magistratische Befugniss» certe funzioni del pontefice massimo.
In altro senso, C. Schwede, De
pontificum collegii pontificisque maximi in re publica potestate, Lipsiae
1875. Fra gli studiosi che da ultimo si sono occupati del problema, vedi J. Bleicken, Oberpontifex und Pontifikalkollegium.
Eine Studie zur
römischen Sakralverfassung, in Hermes 85, 1957, 345 ss.; A. Calonge,
El “pontifex maximus” y el problema de la distinción entre magistraduras y
sacerdocios, in Anuario historico del derecho español 38, 1968, 5
ss. Diversa l’impostazione di P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale,
cit., 237 n. 91, 273 ss.; 362 ss.; Id.,
Populus Romanus Quirites, Torino 1974, 135; seguito da S. Mazzarino, Storia e diritto nello
studio delle società classiche, in La storia del diritto nel quadro
delle scienze storiche. Atti del I Congresso internazionale della Società
Italiana di Storia del diritto, Firenze 1966, 51 ss.; C. Nicolet, Rome et la conquête du monde
méditerranéen, 1. Les structures de l’Italie romaine, Paris 1977, 394 ss.; J. Scheid, Le prêtre et le magistrat. Réflexions sur les sacerdoces et le droit
public à la fin de la République, in Aa.Vv.,
Des ordres à Rome, dir. C.
Nicolet, Paris 1984, 269 s.
[17] A.
Bouché-Leclercq, Les pontifes de l’ancienne Rome,
cit., 59. Nello stesso senso una tradizione
antica, probabilmente di origine pontificale, riferita da Tito Livio 1.20.5-7;
sul passo, vedi E. Peruzzi, Origini
di Roma. II. Le lettere, Bologna 1973, 155 ss.
[18] F. Sini, Documenti sacerdotali e lessico politico-religioso
di Roma arcaica, in Atti del Convegno
sulla lessicografia politica e giuridica nel campo delle scienze dell’antichità
(Torino, 28-29 aprile 1978), a cura di I.
Lana - N. Marinone, Torino
1980, 127 ss.; cfr. C. Nicolet, Lexicographie politique et histoire romaine:
problèmes de méthode et directions de recherches, ibid., 19 ss.
[19] Sul punto, si vedano le «Remarques préliminaires sur la dignité
et l’antiquité de la pensée romaine» di G.
Dumézil, Idées romaines, Paris
1969, 9 ss.; ma già P. Jörs, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der
Republik, cit., 15 ss., dedicava ampio spazio all’analisi della
«pontificale Jurisprudenz». Nello stesso senso, G.
Nocera, Iurisprudentia. Per una
storia del pensiero giuridico romano, Roma 1973, 11 ss.; e soprattutto F. Wieacker, Altrömische Priesterjurisprudenz, in Iuris professio. Festgabe für Max Kaser zum 80. Geburtstag, Wien-Graz-Köln 1986, 347 ss.; Id., Römische
Rechtsgeschichte. Quellenkunde, Rechtsbildung, Jurisprudenz und Rechtsliteratur, I, München 1988, 310 ss.; ora anche A. Schiavone, Linee di
storia del pensiero giuridico romano, Torino 1994, 4 s.
[20] Sull’espressione «sistema giuridico-religioso», P. Catalano, Linee del sistema sovrannazionale romano, cit., 30 ss., in part. 37
n. 75; Id., Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und
Niedergang der römischen Welt, II.16.1, Berlin-New York 1978, 445 s.; Id., Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano,
Torino 1990, 57; concorda, in parte, anche G. Lombardi,
Persecuzioni, laicità, libertà religiosa.
Dall’Editto di Milano alla Dignitatis
Humanae, Roma 1991, 34 s. Per la validità del concetto di «ordinamento
giuridico», R. Orestano, Diritto. Incontri e scontri, Bologna
1981, 395 ss.; Id., Le nozioni di ordinamento giuridico e di
esperienza giuridica nella scienza del diritto, in Rivista trimestrale di Diritto Pubblico 4, 1985, 959 ss., in part.
964 ss.; Id., Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, 348 ss.;
P. Cerami, Potere ed ordinamento nell’esperienza costituzionale romana, 3ª
ed., Torino 1996, 10 ss.; A. Guarino,
L’ordinamento giuridico romano, 5ª
ed., Napoli 1990, 56 s.
[21] Critica all’interpretazione “statalista” del sistema
giuridico-religioso romano in alcuni studi di P. Catalano: Populus
Romanus Quirites, cit., 41 ss. (con ampia analisi [52 ss.] dei motivi di
opposizione nei confronti della «Staatslehre» mommseniana, presenti nella
cultura giuspubblicistica italiana dell’Ottocento); Id., La divisione del
potere in Roma (a proposito di Polibio e di Catone), in Studi in onore di Giuseppe Grosso, VI,
Torino 1974, 673 ss. Da vedere anche
J. Bleicken, Lex publica. Gesetze und Recht in der römischen Republik,
Berlin-New York 1975, 16 ss. G. Lobrano,
Note su «diritto romano» e «scienze di
diritto pubblico» nel XIX secolo, in Index
7, 1977 [ma 1979], 66; Id., Il potere dei tribuni della plebe,
Milano 1982, 6 ss.; Id., Diritto pubblico romano e costituzionalismi
moderni, Sassari 1990, 81 ss.; Id.,
Res publica res populi. La legge e le
limitazioni del potere, Torino 1996, 42 ss.
[22] La pubblicazione dell’opera ha richiesto ben diciotto anni
(1871-1888), nel mentre però i volumi già editi conobbero successive
riedizioni: Römisches Staatsrecht, I
(1ª ed. Leipzig 1871; 3ª ed.
Leipzig 1887); II (1ª ed.: II 1 Leipzig 1874; II 2 Leipzig 1875; 3ª ed. Leipzig 1887); III 1 (Leipzig 1887); III 2 (Leipzig 1888). Alle
temperie politiche e culturali in cui l’opera fu composta dedica penetranti
rapide notazioni Y. Thomas, Mommsen et l’«isolierung» du droit, in Th. Mommsen, Le
droit public romain, I, Paris 1984, 16 s: «C’est vers les années 1860-1880
seulement que l’État, en Allemagne, devient un objet de droit; que naît un
Staatsrecht construit lui aussi, selon la démarche des pandectistes, sur
quelques principes dont se déduit un système clos de concepts hiérarchiquement
ordonnés; que le statut scientifique de cette nouvelle discipline est assuré,
en dehors de l’histoire, par la structure logico-déductive de son discours et
par la cohérence interne de ses parties. Bref, ce sont les contemporains de
Mommsen, et Mommsen au premier chef, qui, vers le moment où se constitue l’état
bismarckien, récusent cette marginalisation du droit public, revendiquent pour
lui sa place à l’intérieur du savoir juridique, le constituent dogmatiquement
sur la base même des définitions qui avaient d’abord servi à l’en exclure». Sul ruolo del Mommsen nella storia giuridica e politica
contemporanea: A. Heuss, Theodor Mommsen und das 19. Jahrhundert,
Kiel 1956; A. Wucher, Theodor Mommsen. Geschichtsschreibung und
Politik, Göttingen 1956; G. Liberati,
Mommsen e il diritto romano, in Materiali per una storia della cultura
giuridica 6, 1976, 215 ss.
[23] Le critiche arrivarono quasi subito da
diversi settori della stessa cultura antichistica tedesca: J. Bernays, Behandlung des römischen Staatsrechtes bis auf Theodor Mommsen, in Deutsche Rundschau 2, 1875, 54 ss.; L. Lange, Römische Alterthümer, I, 3ª ed., Berlin 1876, 6; J.N. Madvig, Die Verfassung und Verwaltung des römischen Staates, 2 voll.,
Leipzig 1881-1882; E. Herzog, Geschichte und System der römischer
Staatsverfassung, 2 voll., Leipzig 1884-1891 [rist. 1965], I, 38 ss.
[24] G. Lobrano, Note
su «diritto romano» e «scienze di diritto pubblico» nel XIX secolo, cit.,
66; cfr. Id., Diritto pubblico romano e costituzionalismi moderni, cit., 81 ss.
[25] Nella premessa alla seconda edizione del I volume (Leipzig 1876),
troviamo ribadita una puntigliosa difesa di questo metodo: Th. Mommsen, «Vorwort zur zweiten Auflage», Römisches Staatsrecht, I, cit., XI:
«Wenn der Staat ein organisches Ganze ist, so müssen wir, um ihn zu begreifen,
theils die Organe als solche in ihrer Besonderheit, theils die aus dem
Zusammenwirken mehrer Organe hervorgehenden Functionen verstehen; und wenn das
letztere durch die materiell geordnete Darlegung geschieht, so ist das erstere
die Aufgabe des Staatsrechts. Es genügt nicht, dass uns der Prätor theils im
Krieg commandierend, theils im Civilprozess rechtsprechend, theils bei den
Volksfesten spielgebend begegnet; wir müssen das Amt als solches in seiner
Einheit anschauen, um sein Eingreifen in jede einzelne Function zu verstehen.
Insbesondere die Eigenthümlichkeit des römischen Gemeinwesens, das in den
oberen Sphären nicht ein einzelnes Organ für eine einzelne Function entwickelt
hat, sondern dessen Wesen es ist die höheren Behörden an dem ganzen Staatswesen
zu betheiligen, fordert diese Behandlung mit zwingender Nothwendigkeit» [= Id., Droit
public romain, I, cit., XXIII]. Cfr. J. Bleicken, Lex publica. Gesetze und
Recht in der römischen Republik, cit., 36 ss.; G. Lobrano, Note su
«diritto romano» e «scienze di diritto pubblico» nel XIX secolo, cit., 65
ss.
[26] Il «Grundbegriff» di magistratura emerge fin dalle sommarie
esemplificazioni di metodo fornite nel «Vorwort» alla prima edizione: Th. Mommsen, Römisches
Staatsrecht, I, cit., VIII s.: «Dass der allgemeinen Lehre von der Magistratur
eine weit grössere Ausdehnung gegeben worden ist als sie bei Becker und sonst
einnimmt und dass hier vieles vorgetragen wird, welches in den bisherigen
Darstellung sich entweder gar nicht oder zerstückelt findet, wird sich
hoffentlich im Gebrauch als zweckmässig erweisen. Wie in der Behandlung des
Privatrecht der rationelle Fortschritt sich darin darstellt, dass neben und vor
den einzelnen Rechtsverhältnissen die Grundbegriffe systematische Darstellung
gefunden haben, so wird aus das Staatsrecht sich erst dann einigermassen
ebenbürtig neben das – jetzt allerdings in der Forschung und der Darlegung ihm
eben so weit wie in der Ueberlieferung voranstehende –- Privatrecht stellen
dürfen, wenn, wie dort der Begriff der Obligation als primärer steht über Kauf
und Miethe, sie hier Consulat und Dictatur erwogen werden als Modificationen
des Grundbegriffs der Magistratur. Beispielsweise führe ich die Lehre von der
Cooperation und dem Turnus bei den Amtshandlungen und die von Intercession an;
eine klare Darstellung der ersteren lässt sich unmöglich geben, wenn die
einzelnen Notizen bei den verschiedenen Magistraturen untergebracht werden, und
die übliche Abhandlung der Intercession bei der tribunicischen Gewalt giebt
sogar ein durchaus schiefes Bild» [= Id.,
Droit public romain, I, cit., XXIII].
[27] Th.
Mommsen, Römisches
Staatsrecht, I, cit., 4 s.: «Diese knüpfen vielmehr, ausgehend von den
Grundeintheilung des Gemeinwesens in die Beziehungen zu den Göttern und die
Verhältnisse der Menschen, wie für jene an die Priesterthümer, so für diese an
die Aemter in der Weise an, dass eine zusammenfassende Behandlung der
Magistraturen nur ausnahmsweise stattfindet, im Ganzen vielmehr diese
Litteratur hervorgeht aus Instructionen, welche für die einzelnen Magistraturen
und ähnlich für die nicht magistratische Verwaltung öffentlicher Geschäfte
bestimmt waren» [= Id., Droit public romain, I, cit., 2 s.].
[28] Quintiliano, Instit. orat. 1.6.41: et
Saliorum carmina vix sacerdotibus suis satis intellecta. Sed illa mutari vetat religio et
consecratis utendum est. E.
Peruzzi, Aspetti culturali del
Lazio primitivo, Firenze 1978, 166. Suggestiva l’interpretazione del
tradizionalismo rituale delle società antiche, proposta da N.D. Fustel de Coulanges, La cité antique. Étude sur le culte, le
droit, les institutions de la Grèce et de Rome (1864), 16ª ed., Paris 1898,
197 [= Id., La città antica, trad. it. di G. Perrotta (1924), rist. con nota
introduttiva di G. Pugliese Carratelli, Firenze 1972, 202].
[29] Mi permetto di rinviare a quanto ho già trattato in un mio
precedente lavoro (F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, I. Libri e commentarii, Sassari 1983, 163 ss.),
dove credo di aver dimostrato la sostanziale continuità della tradizione
documentaria sacerdotale, individuando, anche, alcune probabili revisioni o
sistemazioni dei materiali degli archivi nel corso della storia di Roma.
[30] J.B. Carter, The Religion of Numa, and other Essays on
the Religion of Ancient Rome,
London 1906, 1 ss.; F. Ribezzo, Numa Pompilio e la riforma etrusca della
religione primitiva di Roma, in Rendiconti
dell’Accademia dei Lincei, serie VIII, vol. 5, 1950, 553 ss.; P. Boyancé, Fides et le serment, in Hommages
à A. Grenier, I, Bruxelles 1962, 329 ss. [= Id.,
Études sur la religion romaine, Rome 1972, 91 ss.]; E. M. Hooker, The Significance of Numa’s Religious Reforms,
in Numen 10, 1963, 87 ss.; F. Della
Corte, Numa e le streghe, in Maia 26, 1964, 3 ss.; M.A. Levi, Il re Numa e i “penetralia pontificum”, in Rendiconti dell’Istituto Lombardo 115, 1981 (pubbl. 1984), 161 ss.;
Id., Fides, Terminus, familia e le origini della città, in Aa.Vv., Religione e città nel mondo
antico, Roma 1984, 361 ss.; J.
Martínez Pinna, La reforma de Numa
y la formación de Roma, in Gerión
3, 1985, 97 ss.; J. Poucet, Les origines de Rome. Tradition et histoire,
Bruxelles 1985, 194 ss., 219 ss.; L.
Fascione, Il mondo nuovo. La
costituzione romana nella ‘Storia di Roma arcaica’ di Dionigi d’Alicarnasso,
I parte, Napoli 1988, 128 ss.; G.
Capdeville, Les institutions
religieuses de la Rome primitive d’après Denys d’Halicarnasse, in Pallas 39, 1993, 153 ss.
[31] Tito Livio 1.20.1-7: Tum
sacerdotibus creandis animum adiecit, quamquam ipse plurima sacra obibat, ea
maxime quae nunc ad Dialem flaminem pertinent. […] Pontificem deinde Numam
Marcium, Marci filium, ex patribus legit eique sacra omnia exscripta
exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus diebus, ad quae templa sacra
fierent atque unde in eos sumptus pecunia erogaretur. Cetera quoque omnia
publica privataque sacra pontificis scitis subiecit, ut esset, quo consultum
plebes veniret, ne quid divini iuris neglegendo patrios ritus peregrinosque
adsciscendo turbaretur; nec caelestes modo caerimonias, sed iusta quoque
funebria placandosque manes ut idem pontifex edoceret, quaeque prodigia
fulminibus aliove quo visu missa susciperentur atque curarentur. Commento
al passo in R.M. Ogilvie, Commentary on Livy. Books 1-5, Oxford
1965 [reprinted 1998], 101. Sulla valenza dell’espressione exscripta exsignataque, vedi E.
Peruzzi, Origini di Roma, II. Le
lettere, cit., 155 ss. Vedi anche F.
Sini, Documenti sacerdotali di
Roma antica, cit., 160 s.
[32] Tito Livio 1.32.1-2: Qui
ut regnare coepit et avitae gloriae memor et quia proximum regnum, cetera egregium,
ab una parte haud satis prosperum fuerat, aut neglectis religionibus aut prave
cultis, longe antiquissimum ratus sacra publica ut ab Numa instituta erant,
facere, omnia ea ex commentariis regis pontificem in album relata proponere in
publico iubet. Per la critica al testo liviano rinvio al commento di R. M. Ogilvie, Commentary on Livy. Books 1-5, cit., 126 s.
[33] Pomponio, D. 1.2.2.2: Et ita leges quasdam et ipse curiatas ad populum tulit: tulerunt et
sequentes reges. Quae omnes conscriptae exstant in libro Sexti Papirii, qui
fuit illis temporibus, quibus Superbus Demarati Corinthii filius, ex
principalibus viris. Is liber, ut diximus, appellatur ius civile Papirianum,
non quia Papirius de suo quicquam ibi adiecit, sed quod leges sine ordine latas
in unum composuit. Cfr. Macrobio, Sat. 3.11.5; Paolo, D. 50.16.144. Sullo ius Papirianum la
bibliografia è davvero considerevole (per la dottrina più risalente, M. Schanz-C. Hosius, Geschichte
der römischen Literatur, I, cit., 35 s.), mi limito pertanto a segnalare
alcuni contributi: M. Bretone, v. Ius Papirianum, in Novissimo Digesto Italiano, IX, Torino 1963, 386 ss.; S. Tondo, Leges regiae e paricidas, cit., 35 ss.; A. Magdelain, Le ius arcaïque, in Mélanges de l’École Française de Rome (A)
98, 1986, 320 ss.; R. Santoro, Sul ius Papirianum, in Mélanges de droit romain et d’histoire
ancienne. Hommage à la mémoire de André Magdelain, a cura di M. Humbert e Y. Thomas, Paris
1998, 399 ss.
[34] Tito Livio 6.1.9-10: Hi ex interregno cum extemplo magistratum inissent, nulla de re prius
quam de religionibus senatum consuluere. In primis foedera ac leges ‑
erant autem eae duodecim tabulae et quaedam regiae leges ‑ conquiri, quae
comparerent, iusserunt. Alia ex eis edita etiam in volgus; quae autem ad sacra
pertinebant, a pontificibus maxime, ut religione obstrictos haberent
multitudinis animos suppressa. S.P. Oakley, A
commentary on Livy, Books VI-X, Vol. I. Introduction and Book VI, Oxford
1997, 393 ss.
[35] F.P. Bremer,
Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt, I, Lipsiae 1896, 32. ss.;
F. Münzer, Mucius, in
Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 16, 1,
Stuttgart 1933, coll. 425 ss.; E.S. Gruen,
The Political Allegience of the P. Mucius
Scaevola, in Athenaeum 43, 1965,
321 ss.; G. Grosso, P. Mucio Scevola tra politica e diritto,
in Archivio Giuridico “Filippo Serafini”
175, 1968, 204 ss.; R. Seguin, Sacerdoces et magistratures chez les Mucii
Scaevolae, in Revue des études Anciennes 72, 1970, 90 ss.; F. Wieacker, Die römischen Juristen in der politischen Gesellschaft des zweiten
vorchristlichen Jahrhunderts, in Sein
und Werden im Recht. Festgabe für Ulrich von Lübtow zum 70.
Geburtstag, Berlin 1970,
183 ss., 204 ss.; Id., Römische Rechtsgeschichte. Quellenkunde, Rechtsbildung, Jurisprudenz und
Rechtsliteratur, I, cit., 547 ss.; O.
Behrends, Tiberius Gracchus und
die Juristen seiner Zeit - die römische Jurisprudenz gegenüber der Staatskrise
des Jahres 133 v. Chr., in Das Profil
des Juristen in der europäischen Tradition. Symposion aus Anlass des 70.
Geburtstages von Franz Wieacker, Ebelsbach am Main 1980, 25 ss., 51 ss.; A. Guarino, La coerenza di Publio Mucio, Napoli 1981; M. Bretone, Tecniche e
ideologie dei giuristi romani, 2ª ed., Napoli 1982, 255 ss.; R.A. Bauman, Lawyers in Roman republican politics: a study of the Roman jurists in
their political setting, 316-82 BC, München 1983, 230 ss.; A. Schiavone, Giuristi e nobili nella Roma repubblica, Roma-Bari 1987, 3 ss.; Id., Linee
di storia del pensiero giuridico romano, cit., 41 ss.
[36] Per i frammenti superstiti, vedi J.-V.
Le Clercq, Des journaux chez les
Romains, cit., 344 ss.; H. Peter,
Historicorum Romanorum reliquiae, I,
2ª ed., Stutgardiae 1914 [editio stereotypa 1967], 3 s. Le più recenti raccolte
di frammenti sono opera di B.W. Frier, Libri Annales pontificum Maximorum. The Origins of the
Annalistic Tradition, Rome 1979 [2ª
ed. Ann Arbor 1998]; e di M. Chassignet, L’annalistique romaine, Tome I. Les annales des pontifes et
l’annalistique ancienne (fragments), Texte établi et traduit par M. Ch.,
Paris 1996.
[37] Per i frammenti dei giuristi in questione,
vedi F.P. Bremer, Iurisprudentiae
antehadrianae, cit., 9 ss.; cfr. W. Kunkel,
Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Weimar
1952, 6 ss.; L. Wenger, Die
Quellen des römischen Rechts, Wien 1953, 473 ss.; F. Schulz, Storia della giurisprudenza
romana, cit., 78 ss.
[38] Questo significato di religio
è attestato da Cicerone, De nat. deor.
2.8 (cfr. 1.117); De leg. 1.60; De har. resp. 18. Sul significato di religio, H. Fugier, Recherches sur l’expression du sacré dans la
langue latine, Paris 1963, 172 ss.; Ė. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, 2. Pouvoir, droit, religion, Paris 1969, 265 ss.; H. Wagenvoort,
Wesenzüge altrömischer Religion, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt,
I.2, Berlin-New York 1972, 348 ss. (ripubblicato col titolo Characteristic Traits of Ancient Roman
Religion, in Id., Pietas. Selected studies in Roman Religion,
Leiden 1980, 223 ss.); G. Lieberg,
Considerazioni sull’etimologia e sul
significato di religio, in Rivista di
Filologia e di Istruzione Classica 102, 1974, 34 ss.; R. Muth, Von Wesen römischer religio, in Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt, II.16.1, Berlin-New York 1978, 290 ss.; R. Schilling, L’originalité du vocabulaire religieux latin, in Id., Rites,
cultes, dieux de Rome, Paris 1979, 30 ss.; E.
Montanari, v. Religio, in Enciclopedia
Virgiliana, IV, Roma 1988, 423 ss.
[39] Alla teologia sacerdotale doveva rifarsi anche il grande
antiquario M. Terenzio Varrone, nel trattare degli dèi negli ultimi tre libri
delle sue antiquitates rerum divinarum; la stessa suddivisione
dell’argomento in: de dis certis, de dis incertis, de dis praecipuis
atque selectis, sembra riflettere la cautela tutta sacerdotale, e la
propensione per definizioni esaustive, nei confronti delle divinità che erano
oggetto di culto. Su “teologia” varroniana e sistematiche sacerdotali, vedi ora
F. Sini, «Fetiales,
quod fidei publicae inter populos praeerant»: riflessioni su fides e “diritto internazionale” romano (A proposito di bellum, hostis, pax), in Il ruolo della buona fede
oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno
internazionale di studi in onore di Alberto Burdese, a cura di Luigi
Garofalo, III, Padova 2003, 484 ss.
[40] Sul valore da attribuire a questa espressione
giuridico-religiosa, «certo antichissima, che indica l’insieme dei cittadini
romani», P. Catalano: Populus Romanus Quirites, cit., 97 ss.
[41] A.
Bouché-Leclercq, Les
pontifes de l’ancienne Rome, cit., 21-22: «La
multiplicité et le peu de précision de ces termes recueillis çà et là dans des
auteurs qui se contentent d’indiquer le genre de sources où ils puisent, sans
prétention à l’exactitude, nous avertissent assez qu’il est impossible
d’établir sur des renseignements aussi vagues une classification rigoureuse.
[…] Si la comparaison des textes donnés comme extraits des Libri pontificales prouve
quelque chose, c’est l’extension de ce titre, extension qui permet d’en faire
le synonyme d’Archives pontificales et de l’appliquer à la
collection entière des documents émanant du collège ou confiés à sa garde. Les
Commentarii, à cause de leur double caractère historique et religieux, tiennent
d’un côté aux rituels, de l’autre aux annales, et se substituent
perpétuellement, sous la plume des auteurs, aux uns et aux autres».
[42] P.
Regell, De augurum
publicorum libris, cit., 34: «Adlatis exemplis satis, opinor, dilucide
comprobatur, commentariorum nomen non minus late pertinere quam librorum et
utroquo promiscue nomine veteres, nullo certo discrimine usos esse».
[43] Per una rapida ed esauriente verifica si vedano W. Bannier, v. Commentarius, in Thesaurus
linguae Latinae, III (1911),
coll. 1856 ss.; J. von Kamptz, v. Liber, ibidem, VII.2 (1974), coll. 127 ss.
Fra gli studiosi che sostengono queste tesi,
anche con esplicite critiche alla mia impostazione, vedi J. Linderski, The ‘Libri Reconditi’, cit., 207 ss., in particolare 218 («They
demonstrated that there was no difference between the libri and commentarii:
the two terms were used interchangeably. This new interpretation was endorsed by
Wissowa and extensively corroborated by Rohde; now it forms the communis opinio»); Id., The Augural Law, cit., 2243 («According
to Regell, whose opinion was emphatically endorsed by Wissowa and Rohde, there
was no difference between the libri
and commentarii; the two terms were
used interchangeably»); J. Rüpke, Livius, Priesternamen und die annales maximi,
in Klio 75, 1993, 155 ss., in part. 171 («Dieser Vielfalt entspricht die
Unverbindlichkeit in der Terminologie der Titel, die sich nicht in der lagen
und noch immer anhaltenden Kontroverse, ob commentarii
und libri pontificum dasselbe
bezeichnen, niedergeschlagen hat. Diese Frage muss trotz des erneuten Versuchs
Francesco Sinis, die schwankende Terminologie der Titel inhaltlichen
Differenzen zu verbinden, als entschieden betrachtet werden. Verschiedene
Dissertationen der Breslauer Schule (Ambrosch, Reifferscheid, Wissowa) haben
sich dem Problem gewidmet, und schon in der ersten Arbeit konnte Paul Preibisch
die Unhaltbarkeit der Differenzierung demonstrieren»); J. Scheid, L’écrit et
l’écriture dans la religion romaine: mythe et rèalité, cit., 99 ss., in
part. 102 («Naguère encore un livre de Francesco Sini (Documenti sacerdotali di Roma antica. I. Libri e commentarii, Sassari, 1983) reprit certains éléments du mirage des livres sacerdotaux,
auquel remonte aussi en partie l’intérêt pour les livres des étrusques»); cfr. anche Id., Les
archives de la piété. Réflexions sur les livres sacerdotaux, cit., 173 ss.; J.A. Delgado Delgado, La legislación pontifical sobre los alimentos
empleados en la práctica cultual romana: un modelo de gestión documental, in D.
Segarra Crespo
(ed.), Las connotaciones sacrales de la alimentación en el mundo clásico,
Madrid, 2004, di cui ho letto la versione elettronica = http://webpages.ull.es/users/historel/artic/delgadolegpont.pdf
.
[45] C.I.L. VI,1, 2104 b 30: Primus
Corne[lianus pub]l(icus) [a c]omm(entariis) fratr(um) Arv(alium). VI, 2195
b: Ti. Claudius Natalis a libris
pontifical(ibus). VI, 2312: Dis
Manibus Myrini Domitiani publici a commentaris XV vir(um) s(acris) f(aciundis)
Arruntia Doliche fecit coniugi carissimo. VI, 2319 b: …lianus Flavianus a comme[nt(ariis) sa]cerdoti VII virum epulonu(m).
Gu. Henzen, Acta fratrum
arvalium quae supersunt, cit., 134; A.
von Premerstein, v. Commentarii, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, IV.1,
Stuttgart 1900, col. 731.
[46] Su questi publici vedi
J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, III, cit., 224 s.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, cit., 496 s. Per una recente messa a
punto sulla questione, rinvio al bel lavoro di W.
Eder, Servitus publica. Untersuchungen zur
Entstehung, Entwicklung und Funktion der öffentlichen Sklaverei in Rom, Wiesbaden 1980, 41 ss.
[47] Isidoro, Orig. 6.12.1; A. von Premerstein, Libellus, cit., 27;
G. Samonati, v. Libellus, in Dizionario Epigrafíco di Antichità Romane, IV, cit., 801; J. von Kamptz, v. Libellus
in Thesaurus linguae Latinae,
VII.2, cit., coll. 1262 ss.
[48] C.I.L. VI,1. 2104.31-38: aedes clusa e(st); omnes fora exierunt. Ibi
sacerdotes clusi, succincti, libellis acceptis, carmen descindentes
tripodaverunt in verba haec: enos Lases iuvate [...] triumpe, triumpe, triumpe,
trium[pe, tri]umpe! Post tripodationem deinde signo dato publici introier(unt)
et libellos receperunt. Gu. Henzen,
Acta fratrum Arvalium quae supersunt, cit.,
CCIV; E. Norden, Aus altrömischen Priesterbuchern, cit.,
109 ss.; J. Scheid, Romulus et ses frères. Le collège des frères arvales, modèle du culte public dans
[49] Non posso certo condividere, su questo punto, la posizione di J. Scheid, L’écrit et l’écriture dans la religion romaine: mythe et réalité,
cit., 103, il quale sottovaluta l’importanza dell’utilizzazione dei libelli da parte dei sacerdoti arvali.
[50] Valore dell’orazione in rapporto allo ius publicum: P. Wuilleumier,
Introduction, in Ciceron, Discours, XIII, cit., 25 ss.
Problematiche religiose e giuridiche nell’orazione ciceroniana: C. Bergemann, Politik und Religion im spätrepublikanischen Rom, Stuttgart 1992. Sulla connessione ius publicum - ius pontificium, A.
Heuss, Zur Thematik
republikanischer “Staatslehre“, in Festschrift
für Franz Wieacker zum 70. Geburtstag, Göttingen 1978, 71 ss.
[51] Altre fonti: Cicerone, De
leg. 2.42; Plutarco, Cic. 33;
Cassio Dione 38.17.6. Sull’episodio, da ultimo, vedi B. Berg,
Cicero’s Palatine home and Clodius’
shrine of liberty: alternative emblems of the Republic in Cicero’s De domo sua,
in Studies in Latin literature and Roman
history, VIII, a cura di C. Deroux, Bruxelles 1997, 122 ss.
[52] Il culto della Libertas ebbe
ufficialmente inizio nella seconda metà del III secolo a.C.; proprio in quegli
anni, infatti, fu dedicato a questa divinità un tempio nell’Aventino da parte
di Ti. Sempronio Gracco, console dell’anno 238 (Tito Livio 24.16.19). Cfr. G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, cit., 138 s.; K. Latte, Römische Religionsgeschichte,
cit., 256; C. Koch, v. Libertas, in Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft, XIII.1, Stuttgart 1926, coll. 101 ss.; R.F. Rossi, v. Libertas Dea, in Dizionario Epigrafíco di Antichità Romane,
IV, cit., 903.
[53] Sul personaggio vedi L.R.
Taylor, Cesar’s colleagues in the
Pontifical college, in The American
Journal of Philology 63, 1942, 396 s.; F.
Münzer, v. Pinarius, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft, XX.2, Stuttgart 1950, coll. 1402 s.; T.R.S.
Broughton, The Magistrates of the
Roman Republic, II, New York 1952, 199.
[54] Cicerone, De domo 139:
Quae si omnia e Ti. Coruncani scientia,
qui peritissimus pontifex fuisse dicitur, acta esse constarent, aut si M.
Horatius ille Pulvillus, qui, cum eum multi propter invidiam fictis
religionibus impedirent, restitit et constantissima mente Capitolium dedicavit,
huiusmodi alicui dedicationi praefuisset, tamen in scelere religio non valeret;
ne valeat id quod imperitus adulescens, novus sacerdos, sororis precibus,
matris minis adductus, ignarus, invitus, sine collegis, sine libris, sine
auctore, sine fictore, furtim, mente ac lingua titubante fecisse dicatur,
praesertim cum iste impurus atque impius hostis omnium religionum qui contra
fas et inter viros saepe mulier et inter mulieres vir fuisset, ageret illam rem
ita raptim et turbulente, uti neque mens neque vox neque lingua consisteret?
[55] Di solito si ponevano in essere contestualmente una dedicatio e una consecratio ed operavano sia il magistrato sia il sacerdote.
Tuttavia, i due atti si presentano ben distinti dal punto di vista giuridico e
religioso. J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, III, cit.,
269 s.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, cit.,
385. Per gli aspetti connessi con inaugurationes, ius
augurium e poteri del magistrato, vedi soprattutto P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., 275 ss. Più di
recente R. Fiori, Homo sacer. Dinamica politico-costituzionale di una
sanzione giuridico-religiosa, Napoli 1996, 25 ss., dedica un intenso e
suggestivo capitolo alla «consecratio
nel ius pontificium»; tuttavia, non mi sento di condividere del tutto le
tesi ivi esposte, con qualche fraintendimento sulle competenze dei pontefici in
materia di dedicatio (29).
[56] Cfr. Cicerone, De domo
127; Ad Att. 4.2.2; Cassio Dione
39.11. Per la lista dei pontefici del 57 a.C., vedi ora C. Bergemann, Politik
und Religion im spätrepublikanischen Rom, cit., 25 ss.
[57] Cicerone, De domo 138:
Ac si, pontifices, neque is cui licuit,
neque id quod fas fuit dedicavit, quid me attinet iam illud tertium quod
proposueram docere, non iis institutis ac verbis quibus caerimoniae postulant
dedicasse? Dixi a principio nihil me de scientia vestra, nihil de sacris, nihil
de abscondito pontificum iure dicturum. Quae sunt adhuc a me de iure dedicandi
disputata, non sunt quaesita ex occulto aliquo genere litterarum, sed sumpta de
medio, ex rebus palam per magistratus actis ad conlegiumque delatis, ex senatus
consulto, ex lege. Illa interiora iam vestra sunt, quid dici, quid praeiri,
quid tangi, quid teneri ius fuerit.
[58] Cicerone, De domo 33: Sed hoc compensabo brevitate eius orationis
quae pertinet ad ipsam causam cognitionemque vestram; quae cum sit in ius
religionis et in ius rei publicae distributa, religionis partem, quae multo est
verbosior, praetermittam, de iure rei publicae dicam. Quid est enim aut tam
adrogans quam de religione, de rebus divinis, caerimoniis, sacris pontificum
conlegium docere conari, aut tam stultum quam, si quis quid in vestris libris
invenerit, id narrare vobis, aut tam curiosum quam ea scire velle de quibus
maiores nostri vos solos et consuli et scire voluerunt? Cfr. G.
Rohde, Die Kultsatzungen der
römischen Pontifices, cit., 17 s.
[60] Sul problema dell’utilizzazione di testi scritti, conservati
negli archivi sacerdotali, per l’espletamento di funzioni cultuali, vedi G. Appel, De Romanorum precationibus, cit., 206; G. Rohde, Die
Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., 64 ss.
[61] Esempi soprattutto in Tito Livio, il quale riporta decreta e responsa, sia degli auguri: 4.31.4; 8.15.6; 23.31.13; 41.18.8; sia
dei pontefici: 5.23.8-10; 5.25.7; 27.37.4; 27.37.7; 31.9.8; 32.1.9; 34.45.8;
39.22.4; 40.45.2; sia dei decemviri sacris faciundis: 22.1.16-19; 38.44.7; 41.21.10-11; sia infine dei
feziali: 31.8.2-3; 36.3.7-12.
[62] Basterà ricordare alcuni fra i numerosi decreta e responsa
sacerdotali che Cicerone riporta nelle sue opere: De div. 2.73; De leg.
2.31; De domo 39-40; In Vat. 20. Peraltro, Cicerone quasi
sicuramente potè accedere di persona anche a documenti del collegio dei
pontefici: così già F.D. Sanio, Varroniana in den Schriften der römischen Juristen, Leipzig 1867,
162; ed ora vedi F. D’Ippolito, Sul pontificato massimo di Tiberio
Coruncanio, in Labeo 23, 1977,
129 [= Id., I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza romana della
repubblica, Napoli 1978 (ma 1979), 41]; F.
Sini, Documenti sacerdotali di
Roma antica, cit., 96 s., 121; F.
Bona, Ius pontificium e ius civile nell’esperienza
giuridica tardo-repubblicana: un problema aperto, in Contractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza repubblicana. Atti del convegno di diritto romano e di presentazione
della nuova riproduzione della littera Florentina, a cura di
F. Milazzo, Napoli 1990, 214.
[63] F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit.,
44 fragm. I (cfr. ibidem, 38); P. Regell, Fragmenta auguralia, cit., 21 fragm. 17; Id., Auguralia,
cit., 63; Id., Commentarii in librorum auguralium fragmenta,
cit., 18; A.S. Pease, M. Tulli Ciceronis De
divinatione, libri duo [rist. dell’edizione 1920-1923], Darmstadt 1968, 424
s.; J. Linderski, The Augural Law, cit., 2170, 2243 s.
Ancora utile per l’analisi del passo, G.
Wissowa, v. Augures, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft, II.2, Stuttgart 1896, col. 2335; Id., Religion
und Kultus der Römer, cit., 533.
[64] Lo aveva identificato con un decreto augurale già F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit., 44 fragm. I (cfr. ibidem, 38); ora, vedi anche F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., 96. Si orientava,
invece, in altro senso P. Regell, De augurum publicorum libris, cit., 40
s.; seguito, più di recente, da J.
Linderski, The Augural Law,
cit., 2243 s.
[65] Cfr. Plutarco, Cic. 36; Cicerone, Brut.
1; Phil. 2.4; T.R.S. Broughton, The
Magistrates of the Roman Republic, II, cit., 233. Tutta la problematica
relativa a tale nomina è stata studiata da J.
Linderski, The Aedileship of
Favonius, Curio the Younger and Cicero’s Election to the Augurate, in Harvard Studies in Classical Philology
76, 1972, 181 ss. (particolarmente 190 ss.).
[66] P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale,
cit., 44, sostiene che siamo di fronte a una «frase tecnica testimoniataci da
Cicerone a significare una particolare situazione sfavorevole». Il divieto
augurale è attestato anche da altri testi ciceroniani: In Vat. 20; Phil. 5.7; De nat. deor. 2.64; e da Tito Livio
40.42.10. La funzione dei signa coelestia
ai fini del corretto svolgimento dei comizi romani è stata ben evidenziata da G. Nocera, Il potere dei comizi e i suoi limiti, Milano 1940, 180 ss., per il
quale rappresenterebbero quasi una sorta di intercessio
degli dèi. Infine, vedi J. Vaahtera, On the Religious Nature of the Place of Assembly, in Aa.Vv., Senatus Populusque Romanus. Studies in Roman Republican Legislation,
Helsinki 1993, 98.
[67] In tale senso può intendersi anche il
passo di Pomponio, D. 1.2.2.38: Post hos
fuit Tiberius Coruncanius, ut dixi, qui primus profiteri coepit: cuius tamen
scriptum nullum exstat, sed responsa complura et memorabilia eius fuerunt. Sulla figura del grande giurista plebeo, e sui frammenti a lui
attribuiti, vedi F. Sini, A quibus
iura civibus praescribebantur. Ricerche
sui giuristi del III secolo a.C., Torino 1995, 81 ss.; G. Viarengo, I giuristi arcaici:
Tiberio Coruncanio, in Ius Antiquum –
Drevnee Pravo 7, 2000, 73
ss.
[68] Plinio, Nat. hist. 18.14: Equidem ipsa etiam verba priscae significationis admiror; ita enim est
in commentariis pontificum: «Augurio canario agendo dies constituantur,
priusquam frumenta vaginis exeant nec antequam in vaginas perveniant». P. Preibisch, Fragmenta librorum pontificiorum, cit., 8 fragm. 34; G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., 26; F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., 104 e ntt. 78-79. Sull’augurio canario, si vedano G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, cit., 196; L. Delatte, Recherches
sur quelques fêtes mobiles du calendrier romain. IV Augurium canarium, in L’Antiquité Classique
6, 1937, 93 ss.; K. Latte, Römische Religionsgeschichte, cit., 68; P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., 346 ss.; G. Dumézil, La religion romaine archaïque, cit., 585 [= Id., La religione
romana arcaica, cit., 508].
[69] F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit.,
44 fragm. II, individuava nel frammento un’ulteriore riprova della diversità di
contenuti tra libri e commentarii augurali: «Etiam hoc
fragmento discrimen quod intercedit inter libros et commentarios valde
confirmatur». In altro senso, si era orientato invece P. Regell, De augurum
publicorum libris, cit., 39 s.; Fragmenta
auguralia, cit., 13 fragm. 1; Commentarii
in librorum auguralium fragmenta, cit., 14 fragm. 1. Per l’analisi dei
passi in questione, vedi ora F. Sini,
Documenti sacerdotali di Roma antica,
cit., 101.
[70] F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali ante Augusti
mortem scriptorum reliquiae, cit., 35 fragm. XVIII; P. Regell, Fragmenta
auguralia, cit., 13 fragm. 2; Id.,
Commentarii in librorum auguralium
fragmenta, cit., 16 fragm. 2; F. Sini,
Documenti sacerdotali di Roma antica,
cit., 107.
[71] Cfr., fra gli altri, P.
Regell, De augurum publicorum
libris, cit., 33: «Hoc quoque loco commentariorum nomine etiam libros quos
vocant comprehendi adparet»; G. Rohde,
Die Kultsatzungen der römischen
Pontifices, cit., 21.
[72] Tito Livio utilizza il termine fasti, a parte il passo citato, altre tre volte: cfr. D.W. Packard, A Concordance to Livy, II, Cambridge Mass. 1968, 546. Per due volte
tale termine è riferito alla divisione del tempo e al calendario giudiziario
(1.9.7: Idem [Numa Pompilio] nefastos dies fastosque fecit, quia
aliquando nihil cum populo agi utile futurum erat; 9.46.5: [Gneo Flavio] civile ius, repositum in penetralibus
pontificum, evulgavit fastosque circa forum in albo proposuit, ut quando lege
agi posset sciretur).
[73] Per un rapido elenco dei calendari superstiti, vedi N. Turchi, La religione di Roma antica, Bologna 1939, 320 s.; D. Sabbatucci, La religione di Roma antica, dal calendario festivo all’ordine cosmico,
Milano 1988, 8; frammenti epigrafici in A.
Degrassi, Inscriptiones Italiae, vol. XIII: Fasti et elogia, Roma 1963.
Fra gli studi più recenti sull’antico calendario romano (ma,
ancora oggi risulta indispensabile consultare Ph.E.
Huschke, Das alte Römische Jahr
und seine Tage. Eine chronologisch-rechtsgeschichtliche
Untersuchung in zwei Büchern, Breslau 1869 [rist. an. Vaduz 1986]), mette conto ricordare: L. van Johnson, The prehistoric Roman Calendar, in American Journal of Philology 83, 1962, 28 ss.; A.K. Michels, The Calendar of the Roman
Republic, Princeton 1967 (su cui vedi la recensione di J.-C. Richard, Le calendrier préiulien, in Revue
des études latines 46, 1968, 54 ss.); Ch. Guittard, Le calendrier romaine des origines au milieu du Ve siècle avant J. C.,
in Bulletin de l’Association G. Budé,
1973, 203 ss.; H. Hauben, Some Osservations on the Early Roman
Calendar, in Ancient Society 11-12, 1980-1981, 241 ss.; A.J. Holleman, Zur
Schaltung im vorjulianischen römischen Kalendar, in Rheinisches Museum für Philologie 124, 1981, 55 ss.; Ed. Liénard, Calendrier
de Romulus. Les débuts du calendrier romain, in L’Antiquité Classique 50, 1981, 469 ss.; P. Brind’amour, Le
calendrier romain. Recherches chronologiques, Ottawa 1983; W. Bergmann, Der
römische Kalender: zur sozialen Konstruktion der Zeitrechnung. Ein Beitrag zur
Soziologie der Zeit, in Saeculum.
Jahrbuch für Universalgeschichte 35, 1984, 1 ss.; G. Radke, Fasti
Romani. Betrachtungen zur Frühgeschichte des römischen Kalenders, Münster
1990; infine, J. Rüpke, Kalender und öffentlichkeit. Die Geschichte der Repräsentation und
religiösen Qualifikation von Zeit in
Rom, Berlin-New York 1995.
[74] Servio Dan., in Verg. Georg. 1.270: Sed
qui disciplinas pontificum interius agnoverunt, ea die festo sine piaculo
dicunt posse fieri, quae supra terram sunt, vel quae omissa nocent, vel quae ad
honorem deorum pertinent, et quidquid fieri sine institutione novi operis
potest: ut rivorum inductionem sic accipiamus, per fossam vel pratum purgatum
deducere, id est emittere, quoniam cautum in libris sacris est feriis
denicalibus aquam in pratum ducere nisi legitimam non licet, ceteris feriis
omnes aquas licet deducere. Ergo hic, ut aliquibus videtur, ‘deducere’ purgare
est et sordes emittere, quae praecludant aquam, ideo quia a pontificibus, ut
novum fieri non permittitur feriis, ita vetus purgari permittitur. Alii hoc
secundum augurale ius dictum tradunt, quod etiam in bello observetur, ne novum
negotium incipiatur. Ergo ‘rivos deducere’ non est novum negotium, et potest
hoc ad illud referri quique paludis collectum umorem bibula deducit harena.
Sane quae feriae a quo genere hominum vel quibus diebus observentur, vel quae
festis diebus fieri permissa sint, siquis scire desiderat, libros pontificales
legat.
[75] Quintiliano, Inst. orat. 8.2.12: At obscuritas fit verbis iam ab usu remotis,
ut si commentarios quis pontificum et vetustissima foedera et exoletos
scrutatus auctores id ipsum petat ex iis, quae inde contraxerit, quod non
intelleguntur. Hinc enim aliqui famam eruditionis
adfectant, ut quaedam soli scire videantur. Valutazioni
giuridiche del passo in M. Fabii Quintiliani, Institutiones oratoriae libri
XII [Corpus iuris Romani publici, I.B, 7.1], Milano 1976, 29, 50, 115.
[76] Cicerone, De orat.
1.193: Nam sive quem haec Aeliana studia
delectant, plurima est et in omni iure civili et in pontificum libris et in XII
tabulis antiquitatis effigies, quod et verborum vetustas prisca cognoscitur et
actionum genera quaedam maiorum consuetudinem vitamque declarant. G. Rohde, Die
Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., 18: «Hier sind ganz offenbar
pontifikale Schriften, die im Zusammenhang mit dem Zivilrecht standen,
gemeint».
[77] La tradizione documentaria sacerdotale conosceva e conservava
arcaismi linguistici (cfr. Festo, vv. Praeceptat
e Pilumnoe poploe, 222, 224 L.) e
non disdegnava l’uso di una lingua arcaizzante nella composizione di nuovi carmina. Si veda, al riguardo, E. Peruzzi, Aspetti culturali del Lazio primitivo, cit., 174 ss.
[78] Cicerone, De re publ.
1.63: Nam dictator quidem ab eo
appellatur, quia dicitur, sed in nostris libris vides eum Laeli magistrum
populi appellari. F.A. Brause,
Librorum de disciplina augurali,
cit., 42 fragm. XXVIII; P. Regell,
Fragmenta auguralia, cit., 21 fragm.
17. Cfr. F. Sini, A proposito del carattere religioso del dictator (Note metodologiche sui documenti
sacerdotali), cit., 420; Id., Documenti sacerdotali di Roma antica,
cit., 96.
[79] Varrone, De ling. Lat.
5.21: Terra dicta ab eo, ut Aelius
scribit, quod teritur. Itaque tera in augurum libris scripta cum R uno. F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit., 37 fragm. XXII; P. Regell, Fragmenta auguralia, cit., 16 fragm. 6; B. Cardauns, M.
Terentius Varro Antiquitates rerum divinarum, Wiesbaden 1976, I. Die Fragmente, 41 (Appendix ad lib. III,
g); II. Kommentar, 164; F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., 98.
[80] Varrone, De ling. Lat.
6.14: In libris Saliorum quorum cognomen
Agonensium forsitam hic dies ideo appelletur potius Agonia. Su questo
passo, vedi A. Cenderelli, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica
nelle opere di M. Terenzio Varrone, Milano 1973, 42 fragm. 123; B. Cardauns, M. Terentius Varro Antiquitates rerum divinarum, cit., I, 54
(Appendix ad lib. VIII); II, 176. Cfr. anche W.
Morel, Fragmenta poetarum
Latinorum epicorum et liricorum praeter Ennium et Lucilium, cit., 5: carmen saliare fragm. 20.
[81] Enumerazione ed esame analitico di queste fonti, in F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., 91 ss.
[82] F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit.,
10; P. Regell, De augurum publicorum libris, cit., 21.
[84] Di questa tradizione si ha notizia in Dionigi d’Alicarnasso,
1.84.5, e Plutarco, Rom. 6.1. Essa è
peraltro considerata attendibile in buona misura perfino da un critico come A. Schwegler, Römische Geschichte, I.1, 2ª ed., Tübingen 1867, 399. Per un
riesame, in maniera ancora problematica, vedi D.
Musti, Tendenze nella storiografia romana e greca
su Roma arcaica. Studi su Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, cit., 18 ss.
In senso decisamente favorevole, E.
Peruzzi, Origini di Roma, II,
cit., 10 ss.; con il quale concorda anche S.
Tondo, Profilo di storia
costituzionale romana, I, Milano 1981, 42.
[85] Per quanto attiene ai nomina
deorum, che si invocavano negli indigitamenta,
risulta di qualche utilità il vecchio lavoro di I. A. Ambrosch, Über
die Religionsbücher der Römer, cit.; ancora indispensabili, invece, A. Bouché-Leclercq, Les pontifes de l’ancienne Rome, cit., 24 ss.; J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, III, cit., 7 ss.; J. Bayet, Croyances et rites dans la Rome antique, Paris 1971, 175 ss.; G.B. Pighi, La religione romana, cit., 45 ss.; A.
Pastorino, La religione romana,
Milano 1973, 199 ss.; G. Dumézil, La religion romaine archaïque, cit., 50
ss. [= La religione romana arcaica,
cit., 46 ss.]; infine, dedica brevi ma interessanti notazioni agli «dèi degli
indigitamenta» R. Del Ponte, La religione dei Romani, Milano 1992, 78
ss.
[86] Cicerone, De nat. deor.
1.84: At primum quot hominum linguae tot
nomina deorum; non enim ut tu Velleius quocumque veneris sic idem in Italia
Volcanus idem in Africa idem in Hispania. Deinde nominum non magnus numerus ne
in pontificiis quidem nostris, deorum autem innumerabilis. Nello stesso
senso, Aulo Gellio, Noct. Att.
13.23.1 (Comprecationes deum inmortalium,
quae ritu Romano fiunt, expositae sunt in libris sacerdotum populi Romani et in
plerisque antiquis orationibus) e Agostino, De civ. Dei 4.8. A.S. Pease,
M. Tulli Ciceronis De natura deorum,
I, Darmstadt 1968 [rist. della 1ª ed. 1955], 426; M. van den Bruwaene, Ciceron,
De natura deorum. Livre premier, Bruxelles 1970, 146: «dans nos livres
pontificaux». G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices,
cit., 18-19, formula invece l’ipotesi che Cicerone abbia attinto alle Antiquitates rerum divinarum di Varrone.
[87] Su cerimonie e sacrifici vedi, per tutti, P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., 335 ss.
[88] F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit.,
17 ss.; cfr. anche P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale,
cit., 354 ss.; J. Linderski, The Augural Law, cit., 2251 ss. Per la
raccolta completa delle preghiere romane, con importanti precisazioni sul
concetto di precatio, vedi invece G. Appel, De Romanorum precationibus, cit., 8 ss.
[89] Cfr., a proposito del rex
sacrorum: Tito Livio 27.36.5;
40.42.8-10; Aulo Gellio, Noct. Att.
15.17.1; per le inaugurationes dei flamines maiores: Gaio, Inst. 1.130; 3.114; Tito Livio 27.8.4;
41.28.7; 29.38.6; 45.15.10; Macrobio, Sat.
3.13.11; Tito Livio 37.47.8; per i pontefici e gli auguri: Cicerone, Brut. 1; Tito Livio 27.36.5; 30.26.10;
Dionigi d’Alicarnasso 2.73.3.
[90] Varrone, De ling. Lat.
7.8. Sulla testimonianza di Varrone e sul formulario varroniano, vedi per tutti
P. Cipriano, Templum, Roma 1983, 12 ss., 49 ss. Sul valore religioso e giuridico
del templum, vedi invece P. Catalano, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano, cit., 467
ss.
[91] Varrone, De ling. Lat.
7.51: Itaque duodecim tabulis dicunt:
‘solis occasu diei suprema tempestas esto’. Libri Augurum pro tempestate
tempestutem dicunt supremum augurii tempus. F.A.
Brause, Librorum de disciplina
augurali, cit., 37 fragm. XXI; P.
Regell, Fragmenta auguralia,
cit., 16 fragm. 7; A. Cenderelli, Varroniana, cit., 56 fr. 239.
[92] Sull’opera ciceroniana vedi, fra gli altri, E. Rawson, The Interpretation of Cicero’s De legibus, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, I.4, Berlin-New York
1973, 334 ss.; K.M. Girardet, Die Ordnung der Welt. Ein Beitrag zur philosophischen und politischen Interpretation von Ciceros
Schrift De Legibus, Wiesbaden 1983.
[93] Per la discussione e il commento dell’importante testo
ciceroniano, a parte la bibliografia citata nelle note seguenti, vedi ora il
contributo di J. Linderski, The Augural Law, cit., 2148 ss., con
ampia rassegna della dottrina precedente.
[94] Sulle vicende della tradizione manoscritta, rinvio
all’introduzione di G. De Plinval
a Ciceron, Traité des lois, Paris 1959, XLVIII ss.; cfr. inoltre N. Zorzetti, Nota critica al De legibus, in Opere
politiche e filosofiche di M. Tullio Cicerone. II. Lo Stato, Le leggi, I doveri,
a cura di L. Ferrero e N. Zorzetti, 2ª ed. 1974, ristampa Torino 1978, 107 ss.
[95] La citazione è tratta dal saggio di M. van den Bruwaene, Précision
sur la loi religieuse du de leg. II 19-22 de Cicéron, in Helikon 1, 1961, 89.
[96] Per una convincente dimostrazione, vedi P. Regell, De augurum
publicorum libris, cit., 24 s.; M.
van den Bruwaene, Précision sur la
loi religieuse du de leg. II 19-22 de Cicéron, cit., 90.
[97] G.
Dumézil, Idées romaines, cit., 97: «Cicéron faisait
partie du collège des augures. Il était donc renseigné de première main, et il
est probable qu’il utilise non seulement de vieilles formules, mais des divisions
authentiques dans le statut qu’il donne à ce collège en forme de loi fictive (De
legibus, II 20)».
[98] Le potenzialità sistematiche del testo ciceroniano erano già
state studiate da P. Regell, De augurum publicorum libris, cit., 25
nt., il quale, tuttavia, aveva proposto una partizione sistematica non esente
da rilievi critici: cfr. F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica,
cit., 205 s., nt. 151.
[99] Del resto, si caratterizzava in tal senso anche la lingua
dell’antico codice decemvirale, a proposito del quale, non a caso, si è parlato
di «Hypercharakterisierende Negationen in den Zwölf Tafeln»: A. Bürge, <Si nolet arceram ne sternito> <Ne minore aut si
volet maiore vincito>: Positives zu
zwei Negationen in den Zwölf Tafeln, in Mélanges
Felix Wubbe, Fribourg Suisse 1993, 61 ss. (ivi altra bibliografia).
[100] Alcuni testi, riportati qui di seguito, costituiscono a mio
parere esempi significativi di questo impiego del verbo «negare»: Tito Livio 1.36.2-3: Tarquinius,
equitem maxime suis deesse viribus ratus ad Ramnes, Titienses, Luceres, quas
centurias Romulus scripserat, addere alias constituit suoque insignes
relinquere nomine. «Id, quia inaugurato Romulus fecerat, negare Attus
Navius, inclitus ea tempestate augur, neque mutari neque novum constitui nisi
aves addixissent posse»; 27.25.7-9: Marcellum
aliae atque aliae obiectae animo religiones tenebant, in quibus, quod, cum
bello Gallico ad Clastidium aedem Honori et Virtuti vovisset, «Dedicatio
eius a pontificibus impediebatur, quod negabant unam cellam duobus dis recte
dedicari» quia, si de caelo tacta aut
prodigii aliquid in ea factum esset, difficilis procuratio foret, quod, utri
deo res divina fieret, sciri non posset; neque enim duobus nisi certis deis
rite una hostia fieri; 31.9.7: «Moram voto publico Licinius pontifex
maximus attulit, qui negavit ex incerta pecunia voveri debere», quia ea pecunia non posset in bellum usui
esse seponique statim deberet nec cum alia pecunia misceri: quod si factum
esset, votum rite solvi non posse. Columella, De re rust. 2.21.2: Sunt
enim, ut ait poeta, quae «festis exercere diebus / fas et iura sinunt: rivos
deducere nulla / religio vetuit, segeti praetendere saepem, / insidias avibus
moliri, incendere vepres / balantumque gregem fluvio mersare salubri». «Quamquam
pontifices negent, segetem feriis saepiri debere»; vetant quoque lanarum causa lavari oves nisi si propter medicinam.
Plinio, Nat. hist. 8.206: Suis fetus sacrificio die quinto purus est, pecoris die VII, bovis XXX.
«Coruncanius ruminalis hostias, donec bidentes fierent,
puras negavit».
[101] F. Sini, La negazione nel linguaggio precettivo dei
sacerdoti romani, in «Il linguaggio dei giuristi romani». Atti del Convegno Internazionale di Studi,
Lecce 4-5 dicembre 1994, a cura di O. Bianco e S. Tafano, [Università di
Lecce – Dipartimento di Scienze dell’Antichità. Studi di Filologia e
Letteratura 5, 1999] Galatina 2000, 157-184.
[102] P. Preibisch, Fragmenta librorum pontificiorum, cit.,
14 fragm. 64 A; sul passo vedi, inoltre, G.
Rohde, Die Kultsatzungen der
römischen Pontifices, cit., 172 s.
[103] F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit.,
44 fragm. III. Cfr. Servio Dan., Aen.
3.537; Paolo, Fest. ep., p. 92 L.
[104] P. Preibisch, Fragmenta librorum pontificiorum, cit.,
8 fr. 33; F.P. Bremer, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt,
II, Lipsiae 1898, 272 fragm. 1; Huschke-Seckel-Kübler,
Iurisprudentiae Anteiustinianae
reliquias, I, cit., 64 fragm. 8; W.
Strzelecki, C. Atei Capitonis
fragmenta, Lipsiae 1967, 8 fragm. 10.
[105] P. Preibisch, Fragmenta librorum pontificiorum, cit.,
9 fr. 41. S. Tondo, Leges regiae e paricidas, Firenze 1973,
43 ss., F. Bona, La certezza del diritto nella giurisprudenza
tardo-repubblicana, cit., 117 ss.
[106] P. Preibisch, Fragmenta librorum pontificiorum, cit.,
9 fragm. 42; F.P. Bremer, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt,
I, cit., 33 fragm. 6; Huschke - Seckel -
Kübler, Iurisprudentiae
Anteiustinianae reliquias, I, cit., 8 fragm. 5. Cfr. G. Lepointe, Quintus
Mucius Scaevola, I. Sa vie et son oeuvre
juridique. Ses doctrines sur le Droit pontifical, Paris 1926, 85 ss.
[107] Plinio, Nat.
hist. 28.18. Macrobio, Sat. 3.9.2-5. Plutarco, Quaest. Rom. 61; Servio, Georg. 1.498.
[110] Servio Dan., Aen. 3.537: Sane figurate
‘equos omen’; diversa enim significatione idem dixit. Sed multi de libris
augurum tractum tradunt: iugetis [nei codici iuge eis; la correzione risale allo Scaligero] enim dicitur augurium quod ex iunctis iumentis fiat. Observatur enim,
ne prodituro magistratui disiunctis bobus plaustrum obviam veniat. F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit., 36 fragm. XIX; P. Regell, Fragmenta auguralia, cit., 14 fragm. 4; cfr. anche
F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., 107 s., 135.
[112] Al caso dello iuges
auspicium, interpretato come esempio significativo del conservatorismo
religioso romano, ha dedicato alcune belle pagine del suo manuale sulla
religione romana G. Dumézil, La religion romaine archaïque, cit., 99
ss. [= Id., La religione romana arcaica, cit., 88 ss.]; l’illustre studioso,
sulla base del citato passo di Cicerone, interpreta l’arcaica iscrizione del lapis Niger come una norma di carattere
sacrale contenente proprio quel precetto augurale (antichissimo, a suo avviso)
volto alla prevenzione dello iuges
auspicium.
[113] Per l’analisi del frammento in relazione alla natura delle feriae praecidaneae, vedi fra gli altri: A.
Bouché-Leclercq, Les Pontifes de
l’ancienne Rome, cit., 127; Id., v. Inauguratio, in Dictionnaire des Antiquités Grecques et
Romaines, III, Paris 1898, 440; G.
Wissowa, Religion und Kultus der
Römer, cit., 438 s.; M. Kretzer,
De Romanorum vocabulis pontificalibus,
cit., 64; P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale,
cit., 57 s., 332 s., 352 s.; K. Latte,
Römische Religionsgeschichte, cit.,
69 ss., 102; F. D’Ippolito, I giuristi e la città. Ricerche sulla
giurisprudenza romana della repubblica, cit., 42 ss.; J. Linderski, The Augural Law, cit., 2222; da ultimo, F. Sini, A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a C.,
cit., 92 ss.
[114] Cfr. Macrobio, Sat.
1.16.24: Tunc patres iussisse ut ad
collegium pontificum de his religionibus referretur; pontificesque statuisse
postridie omnes Kalendas, Nonas, Idus atros dies habendos, ut hi dies neque
proeliares neque puri neque comitialis essent.
[115] Cfr. la solenne formula del ver
sacrum in Tito Livio 22.10.6: si atro
die faxit inscens, probe factum esto; ma anche Varrone, De ling. Lat. 6.30: Quod si tum imprudens id verbum emisit ac quem manumisit, ille nihilo
minus est liber, sed vitio, ut magistratus vitio creatus nihilo setius
magistratus. Praetor qui tum fatus est, si imprudens fecit, piaculari hostia
facta piatur; si prudens dixit, Quintus Mucius a[b]i[g]ebat eum expiari ut
impius non posse. Sul punto, vedi brevi considerazioni in G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices, cit., 128 s.; e in F. Sini, A quibus iura civibus
praescribebantur. Ricerche sui giuristi
del III secolo a.C., cit., 93 s.
[116] Su votum e vota publica vedi A. Bouché-Leclercq, Les Pontifes de l’ancienne Rome, cit., 165 ss.; J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, III, cit., 264 ss.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, cit., 381 ss.; J. Toutain, v. Votum, in Dictionnaire des Antiquités Grecques et
Romaines, V, Paris 1919, 969 ss.; A.
Magdelain, Essai sur les origines
de la sponsio, Paris 1943,
114 ss.; P. Noailles, Du droit sacré au droit civil. Cours de
droit romain approfondi 1941-1942, Paris 1949, 302 ss.; K. Latte, Römische Religionsgeschichte, cit., 46; W. Eisenhut, v. Votum, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Suppl.
XIV, Stuttgart 1966, coll. 964 ss.; K.
Visky, Il votum in diritto romano privato, in Index 2, 1971, 313 ss.; più di recente O. Diliberto, La struttura del votum alla
luce di alcune fonti letterarie, in Studi
in onore di Arnaldo Biscardi, IV, Milano 1983, 297 ss.; Id., v. Voveo, in Enciclopedia Virgiliana, IV, Roma 1990,
629 ss.; infine J. Daza, El votum, in Derecho de
obligaciones. Homenaje al profesor J. Murga Gener, coordinación y presentación J. Paricio,
Madrid 1994, 505 ss.
[117] Il carattere obbligatorio del voto era
stato assai bene evidenziato da A.
Pernice, Zum römischen
Sacralrechte (I), in Sitzungsberichte
der Akademie der Wissenschaften zu Berlin 51, 1885, 1148: «Die Wirkung des Votums
ist eine obligatio, eine sacralrechtliche Verbindlichkeit, eine religiöse und
Gewissenspflicht». Brevemente,
ora, vedi anche F.V. Hickson, Roman prayer language: Livy and the Aeneid
of Virgil, Stuttgart 1993, 91 ss.
Del resto, nelle fonti il verbo obligare appare di frequente utilizzato in riferimento al votum: cfr. Cicerone, De leg. 2.41; D. 50.12.2 (Ulpiano, libro primo disputationum); Macrobio, Sat. 3.2.6; Servio, Buc. 5.80.
[118] Cfr., da ultimo, F. Sini,
Dai peregrina sacra alle pravae et
externae religiones dei baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema
giuridico-religioso romano, in Studia
et Documenta Historiae et Iuris 60, 1994 = Studi in memoria di Gabrio Lombardi, I, Roma, 1996, 49 ss. [ripubblicato ora in La condition des “autres” dans les systèmes juridiques de
[119] Sul complesso fenomeno dei rapporti con gli dèi dei vicini e con
gli dèi dei nemici, interpretato in termini di “estensioni” e “mutamenti” della
religione tradizionale, vedi G. Dumézil,
La religion romaine archaïque, cit.,
409 ss., 425 ss. [= Id., La religione romana arcaica, cit., 355
ss., 369 ss.].
[121] In merito a questa divisione elaborata dal collegio degli auguri
e, più in generale, sul valore giuridico dell’ager, cfr. P. Catalano,
Aspetti spaziali del sistema
giuridico-religioso romano, in Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt, II.16.1, cit., 492 ss.
[122] Cfr. Gellio, Noct. Att.
13.23.1: Comprecationes deum immortalium,
quae ritu Romano fiunt, expositae sunt in libris sacerdotum populi Romani et in
plerisque antiquis orationibus; Agostino, De civ. Dei 4.8. A.S. Pease,
M. Tulli Ciceronis De natura deorum,
I, cit., 426; cfr. anche l’edizione curata da M.
van den Bruwaene, Ciceron, De
natura deorum. Livre premier, cit., 146; G.
Rohde, Die Kultsatzungen der
römischen Pontifices, cit., 18-19, formula invece l’ipotesi che Cicerone
abbia attinto alle Antiquitates rerum
divinarum di Varrone; F. Sini,
Documenti sacerdotali di Roma antica,
cit., 94 e 96.
[123] Seguo la lezione del testo serviano offerta da B. Cardauns: M. Terentius Varro, Antiquitates rerum divinarum, I. cit.,
64 fragm. 87. Su questo passo di Servio, vedi F.
Sini, Dai peregrina sacra alle
pravae et externae religiones dei baccanali: alcune riflessioni su ‘alieni’ e
sistema giuridico-religioso romano, cit., 59 s.
[124] M. Adriani, Tolleranza
e intolleranza religiosa nella Roma antica, in Studi Romani 6, 1958, 516: «Volgersi a tutti gli dèi come nel mos pontificum delle invocazioni si
verifica, e attraverso un rinvio dall’ambito degli dèi conosciuti e nominabili
all’ambito dei molti di cui non si sa il nome e che non possono quindi avere un
culto determinato, ma dei quali si pensa l’esistenza e cui si vuole rendere
perciò un ossequio almeno indiretto attraverso il riconoscimento di un limite
che è il limite proprio, è linea implicita alla tolleranza religiosa, perché è
confessione della generalità rispetto al particolare di partenza, e quindi
ammissione dell’adventicium. E’ da
questo angolo visuale che si legittima un atteggiamento che potremmo dire
positivo in quanto ravvisabile in una “apertura” illimitata, e insieme un modo
altrettanto costante, ordinato negativamente, poiché quella illimitatezza
rivela nonostante tutto dei limiti».
[125] Quanto alla fonte del testo verriano, F. Bona, Contributo
allo studio della composizione del «de
verborum significatu» di Verrio
Flacco, Milano 1964, 16 nt.
11, ipotizza che possa essere una “glossa catoniana”: una delle glosse, cioè,
«il cui lemma è costituito da espressioni verbali o nominali tratte dal lessico
di Catone (nella quasi totalità dalle orazioni)» (15); nello stesso senso Id., Opusculum
Festinum, Ticini 1982, 15.
[126] J.-L. Girard,
Interpretatio Romana. Questions historiques et
problèmes de méthode, in Revue d’Histoire et Philosophie Religieuses 60,
1980, 21 ss. In questa prospettiva, risultano chiaramente
invecchiate alcune esposizioni manualistiche della materia: cfr., ad esempio, K. Latte, Römische Religionsgeschichte, cit., 264 s., per il quale il
fenomeno è da intendersi nel senso di «Hellenisierung der Götter».
[127] R.
Bloch, Interpretatio, in Id., Recherches sur
les religions de l’Italie antique, Genève 1976, 1 ss.
[128] «Qu’il ne s’agisse point là d’un phénomène
second, mais d’un primat psychologique, c’est ce que prouvent deux expressions
spécifiquement latines: pax deorum; religio. Les Romains désirent, à chaque
instant de leur vie publique la “paix des dieux”, c’est-à-dire l’assurance
qu’au delà de leur nature et de leur activité humaines ils ne rencontrent pas,
s’opposant à leur vouloir, la réaction hostile des dieux - y compris (ceci est
important) ceux de l’adversaire ou ceux dont le camp est douteux»: queste
parole si leggono in un breve ma denso paragrafo, intitolato significativamente
«Il cosmico e il politico: pax deorum e religio», di J. Bayet,
La religion romaine, cit., 58 [= Id., La religione
romana, cit., 61 s.].
[129] R.
Turcan, Lois
romaines, dieux étrangers et «religion d’Etat», in Diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca, a cura di
M.P. Baccari, Roma 1994, 23 ss.: «Le polythéisme est foncièrement étranger à l’esprit d’une “religion
d’Etat”, puisqu’il implique la possibilité d’un élargissement du panthéon à
l’infini» (31).
[130] Sulle implicazioni teologiche e giuridiche delle evocationes degli dèi del nemico, sono
da vedere anche Plinio, Nat. hist.
28.18: Verrius Flaccus auctores ponit, quibus credat in obpugnationibus ante
omnia solitum a Romanis sacerdotibus evocari deum, cuius in tutela id oppidum
esset, promittique illi eundem aut ampliorem apud Romanos cultum. Et durat in
pontificum disciplina id sacrum, constatque ideo occultatum, in cuius dei
tutela Roma esset, ne qui hostium simili modo agerent. Servio Dan., in Verg. Aen. 2.351: excessere quia ante expugnationem
evocabantur ab hostibus numina propter vitanda sacrilegia. Inde est, quod
Romani celatum esse voluerunt, in cuius dei tutela urbs Roma sit. Et iure
pontificum cautum est, ne suis nominibus dii Romani appellarentur, ne
exaugurari possint. Macrobio, Sat.
3.9.2-5: Constat enim omnes urbes in alicuius dei esse tutela, moremque
Romanorum arcanum et multis ignotum fuisse ut, cum obsiderent urbem hostium
eamque iam capi posse confiderent, certo carmine evocarent tutelares deos; quod
aut aliter urbem capi posse non crederent, aut etiam si posset, nefas
aestimarent deos habere captivos. Nam propterea ipsi Romani et deum in cuius
tutela urbs Roma est et ipsius urbis Latinum nomen ignotum esse voluerunt. Sed
dei quidem nomen non nullis antiquorum, licet inter se dissidentium, libris
insitum et ideo vetusta persequentibus quicquid de hoc putatur innotuit. Alii
enim Iovem crediderunt, alii Lunam, sunt qui Angeronam, quae digito ad os
admoto silentium denuntiat; alii autem, quorum fides mihi videtur firmior, Opem
Consiviam esse dixerunt. Ipsius vero urbis nomen etiam doctissimis ignoratum
est, caventibus Romanis ne quod saepe adversus urbes hostium fecisse se
noverant, idem ipsi quoque hostili evocatione paterentur, si tutelae suae nomen
divulgaretur.
Per un esame completo della documentazione antica e della
dottrina moderna sulla formula e sul rito, rinvio all’ampio studio di V. Basanoff, Evocatio. Étude d’un
rituel militaire romain, Paris 1947.
[131] Sul frammento e sul giurista sono da vedere P. Preibisch, Fragmenta librorum
pontificiorum, cit., 11 fragm. 52; F.P.
Bremer, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, I, cit., 29
fragm. 1; C. Thulin, Italische sakrale Poesie und Prosa. Eine
metrische Untersuchung, Berlin 1906, 59 ss.; Huschke-Seckel-Kübler, Iurisprudentiae anteiustinianae
reliquias, I, cit., 15 fr. 1.
[132] L’evocatio di Giunone
Regina è stata studiata, fra gli altri, da V.
Basanoff, Evocatio. Étude d’un rituel militaire romain,
cit., 42 ss.; S. Ferri, La Iuno Regina di Veii, in Studi Etruschi 24, 1955, 106 ss.; J. Hubaux, Rome et Véies. Recherches sur la chronologie légendaire du
moyen âge romain, Paris 1958, 154
ss.; R.E.A. Palmer, Roman Religion and Roman Empire. Five
Essays, Philadelphia 1974, 21 ss.; G.
Dumézil, La religion romaine
archaïque, cit., 426 s. [= Id.,
La religione romana arcaica, cit.,
370 s.]; R. Bloch, Interpretatio,
cit., 15 ss.
[133] Per il contesto storico di questa evocatio, vedi V. Basanoff,
Evocatio. Étude d’un rituel militaire romain, cit., 37 ss.; R. Bloch, Interpretatio, cit., 17
s.; N. Berti, Scipione Emiliano, Caio Gracco e l’evocatio di Giunone da Cartagine, in Aevum
64, 1990, 69 ss.
[134] Vedi anche K. Latte,
Römische Religionsgeschichte, cit.,
125; G. Dumézil, La religion romaine archaïque, cit., 425
s. [= Id., La religione romana arcaica, cit., 369 s.]; J. Alvar, La fórmula
de la evocatio y su presencia en
contextos desacralizadores, in Archivo
Español de Arqueología 57, 1984, 143 ss.; Id.,
Matériaux pour l’étude de la
formule sive deus, sive dea, in Numen 32, 1985,
236 ss.; J. Rüpke, Domi militiae. Die religiöse Konstruktion des Kriges in Rom, Stuttgart 1990, 162 ss.; A. Blomart, Die evocatio und der Transfer
fremder Götter von der Peripherie nach Rom, in H. Cancik-J. Rüpke (a cura di), Römische
Reichsreligion und Provinzialreligion, cit., 99 ss.
[135] D. Musti, Tendenze nella storiografía romana e greca
su Roma arcaica. Studi su Tito Livio e Dionigi d’Alicarnasso, [Quaderni Urbinati di cultura
classica, 10] Urbino 1970.
[136] R. Bloch, Le origini di Roma, trad. it., Milano
1961 [4ª ed. 1977], 42 ss., 89 ss.; R.M.
Ogilvie, Early Rome and the
Etruscans, Hassocks 1976, 15 ss. [trad. it., Le origini di Roma, Bologna 1986, 13 ss.]; J. Gagé, La chute des
Tarquins et les débuts de la République romaine, Paris 1976; T. Cornell, Alcune riflessioni sulla formazione della tradizione storiografíca su
Roma arcaica, in Roma arcaica e le
recenti scoperte archeologiche (Giornate di studio in onore di U. Coli,
Firenze, 29-30 maggio 1979), Milano 1980, 19 ss.; C. Letta, La
tradizione storiografica sull’età regia: origine e valore, in Alle origini di Roma. Atti del Colloquio
tenuto a Pisa il 18 e 19 settembre 1987, a cura di E. Campanile, Pisa 1988,
61 ss.; A. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto. Ricerche di storia,
religione e diritto sulle origini della repubblica romana, Trento 1988, 7
ss.; Id., Romolo (la fondazione di Roma tra storia e leggenda), Este 1993, 85
ss.; A. Momigliano, The Origins of Rome, in The Cambridge Ancient History, VII.2,
Cambridge 1989, 52 ss. [= Le origini di
Roma, in Id., Roma arcaica, Firenze 1989, 3 ss.]; D. Musti, La tradizione storica sullo sviluppo di Roma fino all’età dei Tarquini,
in La grande Roma dei Tarquini,
catalogo della mostra a cura di Mauro Cristofani, Roma 1990, 9 ss.; A. Carandini, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà,
Torino 1997, 3 ss.
[137] J.
Bayet, Introduction, in Tite-Live, Histoire
romain, livre I, Paris 1965, XXXVIII s.; G.
Dumézil, La religion romaine archaïque, cit, 104 ss. [= La religione romana
arcaica, cit., 93 ss.].
[138] F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali, cit.,
42 fragm. XXVIII; P. Regell, Fragmenta auguralia, cit., 21 fragm. 17.
[139] Cfr. F. Sini, A proposito del carattere religioso del dictator (note metodologiche sui documenti
sacerdotali), in Studia et Documenta
Historiae et Iuris 42, 1976, 419; Id.,
Documenti sacerdotali di Roma antica,
cit., 96.
[140] Contrari alla determinazione dei generi di documenti
sacerdotali, soprattutto, A.
Bouché-Leclercq, Les pontifes de
l’ancienne Rome, cit., 19 ss.; M.
Voigt, über die Leges regiae, II. Quellen und Authentie
der Leges regiae, in Abhandlungen der philologisch-historischen Classe der königlich
sächsischen Gesellschaft der Wissenschaften VII, 1873-79, 647 ss.; P. Regell, De augurum publicorum libris, cit., 30 ss.; R. Bonghi, Storia di
Roma, II, Milano 1888, 222 ss.; G.
Rohde, Die Kultsatzungen der
römischen Pontifíces, cit.,
16 ss.
[141] Per quanto riguarda «l’assenza, entro la cultura giuridica
romana, di una sistematica delle opere letterarie in campo giuridico», vedi L. Lantella, Le opere della giurisprudenza romana nella storiografia, Torino
1979, 63 ss.
[142] Per la terminologia, nonché per la definizione più generale di
fonti primarie e secondarie, seguo A.
Guarino, Esegesi delle fonti del
diritto romano, 1, a cura di L. Labruna, Napoli 1968, 289. Cfr., fra gli
altri, A. Rosenberg, Einleitung und Quellenkunde zur römischen
Geschichte, Berlin 1921, 1 ss., 113 ss.); C.W.
Westrup, Introduction to Early
Roman Law, IV e V. Sources and
Methods, London-Copenhagen 1950-1954, IV, 9 ss.; V, 17 ss.; L. Wenger, Die Quellen des römischen Rechts, Wien 1953, 46; K. Latte, Römische Religionsgeschichte, München 1960, 3 s.; K. Christ, Römische Geschichte. Einführung, Quellenkunde, Bibliographie, 3ª
ed., Darmstad 1980, 35 ss.; C. Cosentino,
Lezioni di esegesi delle fonti del
diritto romano, Ristampa riveduta, Catania 1995, 66 ss.
[143] Le fonti epigrafiche, che menzionano testualmente libri e commentarii sacerdotali, sono state discusse da F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica, cit., 111 ss.
[144] Per le fonti letterarie si vedano: G. Wissowa, Religion
und Kultus der Römer, cit.,
4 ss.; N. Turchi, La religione di Roma antica, cit., 337
ss.; K. Latte, Römische Religionsgeschichte, cit., 4 ss.; G.B. Pighi, La religione romana, cit., 27 ss., 41 ss.; cfr. inoltre G. Dumézil, La religion romaine archaïque, cit., 111 ss. [= La religione romana arcaica, cit., 99
ss.].
[145] A titolo esemplificativo, oltre il già citato Cicerone, De re publ. 1.63, vedi anche Macrobio, Sat. 1.12.21-22: Auctor est Cornelius Labeo huic Maiae id est terrae aedem kalendis
Maiis dedicatam sub nomine Bonae Deae et eandem esse Bonam Deam et terram ex
ipso ritu occultiore sacrorum doceri posse confirmat. Hanc eandem Bonam
Faunamque, Opem et Fatuam pontificum libris indigitari: Bonam quod omnium nobis
ad victum bonorum causa est, Faunam quod omni usui animantium favet, Opem quod
ipsius auxilio vita constat, Fatuam a fando quod, ut supra diximus, infantes
partu editi non prius vocem edunt quam attigerint terram. R. Agahd, Antiquitates rerum divinarum. Libri I XIV XV XVI. Praemissae sunt
quaestiones varronianae, in Jahrbücher
für classische Philologie, Supplementband 24, (Leipzig) 1898, 116 s.,
attribuiva il passo al XVI libro delle Antiquitates
di Varrone; cfr. anche G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifíces, cit., 44 s. Nega, invece, che
questo frammento dei Fastorum libri di Cornelio Labeone possa essere
di derivazione varroniana P. Mastandrea,
Un neoplatonico latino, Cornelio Labeone
(testimonianze e frammenti), Leiden 1979, 51: «La fonte cui ricorreva
Labeone in questa circostanza erano dunque i Libri pontificales, gli
archivi dei pontefici romani ove si conservavano gelosamente le norme e gli
ordinamenti del rito e del culto».
[146] Sull’apporto specialistico
della filologia, vedi G. Pascucci,
Diritto e filologia, in Romanitas 9, 1970 [= Annales I Colloqui Internationalis de iure
Romano lingua litterisque Latinis], 53 ss.;
H. Le Bonniec, La philologie
latine au service de l’histoire de la religion romaine, in Bulletin de l’Association G. Budé, 1979,
389 ss. Per quanto riguarda invece gli studi lessicografici, vedi Atti del Convegno sulla lessicografia
politica e giuridica nel campo delle scienze dell’antichità, cit.,
particolarmente stimolante la relazione di C.
Nicolet, Lexicographie politique
et histoire romaine: problèmes de méthode et directions de recherches (19
ss.).