Università di Sassari
Civitas e Urbs nella lezione romanistica di Giorgio La
Pira*
Sommario: Premessa. – I. Elementi forti/qualificanti della
lezione romanistica di Giorgio La Pira. – 1. Affermazione della attualità e, anzi, della vigenza
del Diritto romano (in quanto e come “sistema”). – 2. Affermazione della attualità/vigenza di tutto il Diritto romano, cioè compresa
la sua positio studii di ius publicum e, anzi, riconoscimento di
poziorità di questa positio studii rispetto a quella di ius privatum.
– 3. Critica e, anzi, rifiuto della nozione di Stato, cioè
delle dottrine della finzione e della rappresentanza e opzione a favore della urbs
civitas. – II. Carattere minoritario/isolato –
rispetto alla dottrina romanistica dominante – degli elementi forti/qualificanti
della lezione romanistica di Giorgio La Pira e, quindi, natura profetica
di tali elementi rispetto agli orientamenti ultimi delle problematiche
giuridiche. – 1. Carattere minoritario/isolato e,
quindi, natura profetica della affermazione della attualità/vigenza del
Diritto romano. – 2. Carattere
minoritario/isolato e, quindi,
natura profetica della affermazione della attualità/vigenza – anche e specialmente
– del diritto pubblico romano. – 3. Carattere
minoritario/isolato e, quindi,
natura profetica della scelta per la città contro lo Stato. – III. Una ipotesi di ricerca e insegnamento del Diritto
romano secondo la lezione di Giorgio La Pira: “unire le città per unire le
nazioni” e “sanare le città per sanare le nazioni”.
Data la natura di questo Convegno, di memoria e di riflessione nel
centenario della nascita di Giorgio
La ipotesi di lavoro, che vi sottopongo, è articolata in tre
proposizioni: 1) individuazione di alcuni elementi forti e qualificanti della
‘lezione’ romanistica lapiriana, 2) osservazione del carattere minoritario e,
anzi, senz’altro isolato – rispetto alla dottrina romanistica largamente
dominante – di tali elementi e, quindi, della loro natura ‘profetica’,
3) individuazione di una linea, conseguente, di ‘ricerca e insegnamento’ del
Diritto romano.
I.
La prima proposizione è formulata sulla base, oltre che della mia
conoscenza diretta dei testi lapiriani, sia della selezione di testi e della
antologia di passi di
Su tale base, appaiono essere tre anche gli elementi principali e
qualificanti, i quali emergono nella e dalla lezione lapiriana: 1) la
affermazione della attualità del Diritto romano e, anzi, della sua vigenza, 2)
la affermazione della attualità di tutto il Diritto romano, cioè
compresa la sua positio studii di ius publicum e, anzi, il riconoscimento
di poziorità di questa positio studii
rispetto alla positio studii di ius privatum, 3) la critica e, anzi, il
rifiuto della nozione di ‘Stato’, cioè
delle dottrine della finzione e della rappresentanza.
Divido la attualità del Diritto romano, quale emerge nella e
dalla lezione di
Un primo elemento o ‘piano’ è quello della attualità del Diritto
romano visto come Diritto ‘naturale’ e, anzi, come diritto ‘vigente’. Uso
questa seconda categoria senza poterla approfondire, avendo – però – cura di
tenerla distinta dalla categoria di diritto ‘effettivo’, ciò che è possibile
utilizzando la distinzione operata da Catalano – cui rinvio – tra ‘sistema’ e ‘ordinamento’.
Il Diritto romano, secondo
Conseguentemente,
La natura forte e qualificante – nel quadro della lezione
complessiva di
Questo secondo elemento–piano, la affermazione della
attualità/vigenza specifica e, anzi, della poziorità della positio studii di ius
publicum (che illumina natura e attualità/vigenza dell’intiero Diritto romano),
mi limito qui a formularlo (più) esplicitamente e chiaramente. Esso (come ho
detto) emerge, infatti, sostanzialmente
sia dalla ricostruzione del pensiero romanistico di
Terzo elemento forte e qualificante della lezione di
Non soltanto. Alla nozione astratta di Stato, che
E se il rifiuto dello Stato è, in
Questi tre elementi, forti e qualificanti, della dottrina e della
prassi romanistici di
Per quanto riguarda il carattere minoritario/isolato del primo
elemento forte/qualificante del pensiero romanistico di
Per quanto riguarda, invece, il passaggio dal carattere
minoritario/isolato al riconoscimento della natura profetica dello stesso
‘elemento’, sebbene drammaticamente tardi e con resipiscenze preoccupanti (che
continuano a cogliersi), oramai non si possono più non vedere fenomeni
macroscopici (i quali sono, oggi, sotto i nostri occhi) di attualità e, anzi,
di ‘vigenza’ ‘generale’ del Diritto romano. Nei ‘materiali’ del Convegno
abbiamo trovato copia di un articolo dal titolo eloquente “Diritto romano
diritto europeo” pubblicato soltanto qualche mese fa su un quotidiano italiano
particolarmente autorevole e di larga diffusione**.
E dovrebbe anche essere noto a tutti i romanisti che la unica battaglia
giuridica per la difesa dei debitori (in quell’altra vicenda planetaria che è
la vicenda del debito estero, il quale strangola popoli intieri) è condotta ed
è conducibile esclusivamente sul presupposto, sul postulato non (soltanto)
della attualità ma, precisamente, della “vigenza” del Diritto romano.
Occorre, invece, spendere qualche parola di più sul carattere minoritario/isolato
degli altri due elementi forti, qualificanti del pensiero (romanistico) di
Eppure, la dottrina romanistica–privatistica oggi dominante non
ha dalla sua la autorità dei secoli, essa è, invece, relativamente recente, è
una operazione contemporanea,
funzionale alla Europa che – dalla fine del 700 – si vota al Mercato e alla
Restaurazione e baratta la scienza-guida del Diritto con la scienza-guida della
Economia, giungendo, infine, a relegare tutto il Diritto a sovrastruttura
necessitata e automatica delle opzioni economiche. Con una ricostruzione
necessariamente sintetica, oltre che con elementi di altrettanto necessaria
convenzionalità, possiamo collocare il configurarsi di una sorta di anàtema al
diritto pubblico romano, cioè alla positio
studii dello ius publicum,
nell’arco di un secolo esatto: dal 1835 al 1935. L’inizio dell’anàtema è nella
opera di un certo, non notissimo, Anton Freiherr von Haimberger, il quale, nel
1835 appunto, scrive che solo il “Privatrecht” è “rein”, è puro e, quindi,
circoscrive la trattazione del Diritto romano al diritto privato, escludendone
il diritto pubblico. Nella stessa linea sopraggiungono, poi, autori decisamente
più noti: in particolare, cinque anni soltanto dopo l’opera di von Haimberger,
appare la grande e determinante opera del grande Savigny, il Diritto romano attuale, il cui primo
volume è del ’40 e nella quale Savigny ritaglia come “heutig”, come “attuale” soltanto
il diritto privato romano (essenzialmente, i diritti reali e i diritti di
obbligazione), lasciando fuori tutto il resto. Dopo, un periodo un poco più
lungo, questa linea trova una seconda e complementare consacrazione nella Palingenesia di Lenel (1889), che dal
Diritto romano taglia via – insieme! – lo ius
publicum e lo ius sacrum, con il
risultato di fare coincidere ius privatum
e ius civile, operazione – questa – il
cui grado di fortuna corrisponde al grado di illegittimità. E, infine,
esattamente cento anni dopo la sortita di von Haimberger, appaiono I principi del Diritto romano (1935), di
Friz Schultz, che molti citano
(talvolta – sembrerebbe – per averlo letto di seconda o terza mano) come la
prova evidente che il diritto pubblico romano –semplicemente – “non esiste”.
In luogo della positio
studii dello ius publicum, così
abbandonata, la dottrina romanistica–privatistica ha prodotto (secondo la
distinzione che viene fatta risalire a Leibniz) la contemporanea “storia
esterna” delle fonti giuridiche, il cui livello di dogmatica giuridica –
nonostante veri virtuosismi filologici, da cui è impreziosita – resterà
registrato impietosamente, a futura memoria, dai molti manuali di Storia del diritto romano.
Da- e di questa dottrina dobbiamo infine – anche seguendo la lezione di
La messa a fuoco del ‘terzo elemento’ ci è propiziata dalla
considerazione del contributo scientifico di Theodor Mommsen.
Nel meccanismo della liquidazione, della damnatio memoriae del
diritto pubblico romano si inserisce l’opera di questo autore fondamentale, la
quale sembrerebbe procedere in senso contrario alle opere (appena citate) degli
altri romanisti della stessa epoca ma che, in realtà, è assolutamente
funzionale a quel meccanismo, dentro il quale si integra perfettamente. Il
poderoso Römisches Staatsrecht,
scritto, nel 1871, da Theodor Mommsen, è tradotto (in francese, da Paul
Frédéric Girard) im-propriamente come “Droit public romain”. Si tratta,
invece, del “Diritto statuale romano”, anzi della “invenzione” del
diritto statuale romano: propriamente
funzionale alla liquidazione e, quindi, alla obsolescenza del diritto pubblico romano. E’ ciò che è stato
riconosciuto – indirettamente – anche dagli stessi seguaci della dottrina
mommseniana. Ad esempio Ulrich von Lübtow, in una monografia del 1955,
attribuisce al Maestro il merito – appunto – di aver ‘inventato’ il “römisches
Staatsrecht” con una eterogenesi evidente dello scopo argomentativo, perché la
espressione di lode può essere letta come un riconoscimento del fatto che,
insomma, tutte le ragioni, forse, Mommsen non aveva se lo Staatsrecht egli, davvero, se lo era “inventato”.
L’opera di Mommsen ha, dunque, come elemento fondamentale la essenzialità
e la centralità dello “Stato”. Nel Römisches
Staatsrecht, Mommsen scrive che «populus
ist der Staat», dove, però, non è il popolo concreto dei cittadini che –
titolare del potere sovrano – assume il nome di Stato ma è l’ente astratto
Stato che assume il nome di popolo e ne occupa lo spazio giuridico, come
dimostra la struttura stessa dell’opera mommseniana. Successivamente, nel Disegno (cioè nel sunto dello Staatsrecht, che lo stesso Mommsen
scrive, sfrondando l’opera maggiore dalla componente filologica, proprio al
servizio dei giuristi pratici) la trattazione addirittura inizia (letteralmente: dalla prima riga della
prima pagina) con la affermazione solenne che «il Diritto romano come tutti i
diritti è fondato sullo Stato», per sviluppare, quindi, da quel postulato,
tutta la propria costruzione. Ma Mommsen non si limita ad inventare il Diritto
statuale romano. La pars costruens
della dottrina di Mommsen rimanda ad una pars
destruens corrispondente, anche se questa parte è realizzata – secondo lo
stile proprio di questo autore – prevalentemente per omissione. Mommsen, cioè,
non si limita a costruire il proprio edificio statual-romanistico (e ad
imporlo). Egli, contestualmente, demolisce le ri-costruzioni precedenti. Prima
di Mommsen, infatti, in materia di ius
publicum romano non c’era il vuoto, anche se a dare questa impressione
concorre proprio la fortuna della
costruzione mommseniana, la quale, totalmente nuova rispetto alle costruzioni
precedenti, conquista il campo demolendo e rendendo obsolete quelle
costruzioni. La costruzione mommseniana è, in positivo, la traduzione
romanistica dello statualismo della filosofia giuridica hegeliana. Ma, in
negativo, su quali punti si esercita la opera di ‘demolizione’ e di
‘obsolescenza’ realizzata da Mommsen? Il discorso sarebbe lungo ma almeno due
punti non possono esserne omessi totalmente.
Su uno di essi, è lo stesso Mommsen a richiamare la nostra
attenzione: si tratta (della specificità) del tribunato e del suo potere.
Mommsen si vanta, addirittura nel ‘Vorwort’ dello Staatsrecht, della liquidazione della specificità tribunizia e,
quindi, della obsolescenza della istituzione tribunizia, da lui ottenute per
mezzo della imposizione della logica statualistica: «Io, per primo, ho
liquidato la idea di una magistratura specifica, speciale; il tribunato, in
realtà, è una magistratura come le altre» perché
il suo potere non è diverso da quello delle altre magistrature. Tutto ciò che è
stato ‘predicato’ per secoli sul tribunato, che ha profondamente influenzato il
formarsi del pensiero giuridico pubblico della Europa moderna, che ha trovato
in Rousseau e in Fichte le massime teorizzazione e ri-proposizione contemporanee, viene, così, ‘liquidato’ e ‘dimenticato’:
il tribunato e il suo potere scompaiono dalle strutture della costruzione
mommseniana e da quelle dei romanisti che lo seguono. Possiamo cogliere la
portata enorme di questa operazione mommseniana rammentando –ancora con l’aiuto
di Cicerone– che, nel sistema giuridico romano, senza la specifica magistratura
tribunizia con il suo specifico potere, addirittura: “non c’è Repubblica”.
L’altro ‘punto’, nei confronti del quale è effettuata, da parte
di Mommsen, la operazione di liquidazione e di obsolescenza, non è meno
importante del primo. Esso è la ‘municipal Ordnung’. Mommsen – nello Staatsrecht – inizia con il liquidarne
la specificità, negandone il carattere societario-federativo e riconducendola
forzosamente alla logica – opposta – dello Stato. La tesi (oggi dominante) che
la ‘municipal Ordnung’ non soltanto non sia un sistema federativo-societario su
base municipale, alternativo – da sempre e tuttora – allo statualismo (divenuto
esso stesso dominante nel mondo contemporaneo) ma sia anzi l’antidoto, la
alternativa al sistema societario–federativo e il principium vero dello statualismo, è una ‘Erfindung’ mommseniana,
rotondamente contraria alla dottrina precedente. Dopo la operazione della
demolizione della specificità della ‘municipal Ordung’, sopraggiunge la
operazione della sua obliterazione. Secondo la osservazione di un giovane
ricercatore, Mommsen fa calare sulla ‘municipal Ordung’ anche il proprio
silenzio. Dopo avere formulato una serie di affermazioni a proposito
dell’“ordinamento municipale” e avere promesso di trattarne più avanti, in
effetti, però, egli non ne tratta più. Nella trattazione massima contemporanea
di quello che è stato definito lo “Stato municipale” e l’“Impero delle città”,
la ‘municipal Ordnung’ viene, dunque, ‘dimenticata’. Come il Tribunato. Anche
tale ulteriore operazione mommseniana di liquidazione–obliterazione del diritto
pubblico romano comporta una conseguenza di portata enorme sia sul piano
teorico sia sul piano operativo: si tratta – questa volta – della scissione del
rapporto tra civitas e urbs.
Il popolo (come spiega Cicerone) non è un insieme quoquo modo congregatus, il popolo è una
“associazione”, i cui membri (come insegnano Gaio e Giustiniano con i suoi
giuristi), sono gli universi cives,
cioè coloro che, abitando l’urbs,
costituiscono la civitas, cioè coloro
che integrano la “urbs civitas”, per
usare la endiadi eloquente dei grammatici romani. Il primo sostantivo di cui
Paolo-Giustiniano tratta, nel titolo sedici del Libro cinquanta delle Pandette,
il De verborum significatione, è
precisamente “urbs”: «‘Urbis’ appellatio muris, ‘Romae’ autem
continentibus aedificiis finitur, quod latius patet».
La civitas/‘Bürgerschaft’
del “Römisches Staatsrecht”, invece, non è più connessa ai “muri” dell’urbs. Sul piano teorico, la scissione
tra civitas e urbs comporta il venire meno di quella societas civium (costituita di societates
familiari/coniugali e costituente la societas gentium), che proprio nella urbs e
nel condominio dei “muri” della urbs trova il suo nucleo determinante
(come, appunto, ci insegna Cicerone (Off.
1.17.53 Gradus autem plures sunt
societatis hominum [...] interius etiam est eiusdem esse civitatis:
multa enim sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges,
iura, iudicia, suffragia, consuetudines ...). Questa civitas – societas civium
viene, così, sostituita dalla “persona ficta vel repraesentata”, che è
lo Stato astratto. Sul piano pratico, tale scissione comporta la sottrazione
del processo decisionale pubblico ai ‘cittadini delle città’, agli abitanti
delle urbs, cioè, alla dimensione urbana concreta e territorialmente
diffusa: per consegnarlo – invece – alla istituzione centralistica dei
rappresentanti necessari di quella persona “finta [o “artificiale”] e
rappresentata”.
Durante la epoca contemporanea, la dottrina romanistica
dominante, anzi la dottrina giuridica dominante e il diritto vigente sono stati
determinati, sia in positivo (statualismo) sia in negativo (obliterazione del
potere tribunizio e dell’“ordinamento municipale”) dalla ‘lezione’ di Mommsen e
la lezione di
Lo Stato e lo statualismo sono entrati, però, in crisi profonda,
determinando la crisi odierna del diritto/ordinamento vigente/effettivo e della
dottrina giuridica dominante ad esso connessa mentre appaiono ri-sorgere
spontaneamente le istituzioni di ius publicum romano (sistema municipale
e potere tribunizio), in un contesto – non casualmente – di rinnovata
importanza e richiesta di diritto, a partire proprio dal diritto pubblico.
Gli sviluppi ultimi ci autorizzano,
dunque, ad affermare anche la natura profetica anche di questo terzo elemento
forte/qualificante della lezione romanistica lapiriana.
Dalla lettura che abbiamo proposto della lezione romanistica di
Giorgio
Ma
Queste affermazioni esprimono una teoria complessa del diritto
pubblico, che possiamo articolare, sommariamente, in alcune proposizioni. Sono
affermate, innanzi tutto, due caratteristiche della città, le quali rinviano
l’una all’altra in maniera tale da non potersi, tra di esse, né individuare
priorità né distinguere la causa e l’effetto: la città è l’elemento
costitutivo delle nazioni ed essa è dotata in forma essenziale non soltanto di
una ‘faccia’ e di una competenza interna ma anche di una ‘faccia’ e di una
competenza esterna, dalla quale, anzi, occorre – addirittura – iniziare. Ne
consegue, immediatamente, la possibilità/esigenza di una ‘politica’ a misura e
a regola della città sia nelle relazioni esterne a ciascuna città sia nelle
relazioni interne a ciascuna città, che è al contempo anche la politica
possibile/necessaria interna ed esterna di ciascuna nazione e di tutte le
nazioni.
Mentre noi, oggi, stiamo scoprendo, nel fenomeno – anche questo
da studiare – della ‘globalizzazione’ ovvero della ‘mondializzazione’, che i
problemi del mondo condizionano il governo delle singole nazioni e delle
singole città,
E’ una grande intuizione, possibile soltanto utilizzando
correttamente gli strumenti del Diritto romano e, in specie, del diritto pubblico
romano.
Il romanista Giorgio
Il nostro “Beruf”, il nostro “che fare”, da romanisti, è, dunque,
ri-appropriarci – mettendo fine alla liquidazione e alla obliterazione contemporanee
– della conoscenza scientifica delle istituzioni giuridiche romane proprio a
partire da quelle – di diritto pubblico –
dei municipi e dei difensori del popolo e mettere tale scienza al servizio
della loro attualità e vigenza.
P. Roggi, I
cattolici e la piena occupazione. L’attesa della povera gente di Giorgio
* Trascrizione
dell’intervento tenuto al Seminario
internazionale di studi: «La cattedra
“strumento sacro”. Incontro dei romanisti», organizzato a Roma, 11–13
novembre 2004, da Pierangelo Catalano, della Università di Roma “
** Due giorni dopo la conclusione del Seminario, un altro
quotidiano italiano, altrettanto autorevole e di larga diffusione, ha
pubblicato un articolo dal titolo altrettanto eloquente “Abbiamo scelto di
ispirarci al diritto dell’antica Roma”. Si tratta della notizia, di valenza
planetaria, della scelta del Diritto romano, anzi del Corpus Juris Civilis, da parte del Popolo cinese, il Popolo più
grande del mondo, per riorganizzarsi in una ottica di relazioni giuridiche con
gli altri popoli del mondo.