N. 4 – 2005 – Tradizione Romana

 

 

Giovanni Lobrano

Università di Sassari

 

Civitas e Urbs nella lezione romanistica di Giorgio La Pira*

 

Sommario: Premessa. – I. Elementi forti/qualificanti della lezione romanistica di Giorgio La Pira. – 1. Affermazione della attualità e, anzi, della vigenza del Diritto romano (in quanto e come “sistema”). – 2. Affermazione della attualità/vigenza di tutto il Diritto romano, cioè compresa la sua positio studii di ius publicum e, anzi, riconoscimento di poziorità di questa positio studii rispetto a quella di ius privatum. – 3. Critica e, anzi, rifiuto della nozione di Stato, cioè delle dottrine della finzione e della rappresentanza e opzione a favore della urbs civitas. – II. Carattere minoritario/isolato – rispetto alla dottrina romanistica dominante – degli elementi forti/qualificanti della lezione romanistica di Giorgio La Pira e, quindi, natura profetica di tali elementi rispetto agli orientamenti ultimi delle problematiche giuridiche. – 1. Carattere minoritario/isolato e, quindi, natura profetica della affermazione della attualità/vigenza del Diritto romano. – 2. Carattere minoritario/isolato e, quindi, natura profetica della affermazione della attualità/vigenza – anche e specialmente – del diritto pubblico romano. – 3. Carattere minoritario/isolato e, quindi, natura profetica della scelta per la città contro lo Stato. – III. Una ipotesi di ricerca e insegnamento del Diritto romano secondo la lezione di Giorgio La Pira: “unire le città per unire le nazioni” e “sanare le città per sanare le nazioni”.

 

 

Premessa

 

Data la natura di questo Convegno, di memoria e di riflessione nel centenario della nascita di Giorgio La Pira ma anche (come è stato ricordato, in particolare da Burdese) di riflessione programmatica rispetto al nostro “Beruf”, al nostro “che fare” prossimo venturo come romanisti, ritengo opportuno sottoporre alla vostra attenzione non i risultati della mia ricerca pregressa sul tema “urbs e civitas” e/o i risultati di una nuova, puntuale ricerca su tale tema, nel pensiero romanistico di La Pira, ma una ipotesi –relativamente ampia – di lavoro scientifico e didattico, con attenzione particolare allo stesso tema, a partire dal- e nel quadro del pensiero di La Pira.

La ipotesi di lavoro, che vi sottopongo, è articolata in tre proposizioni: 1) individuazione di alcuni elementi forti e qualificanti della ‘lezione’ romanistica lapiriana, 2) osservazione del carattere minoritario e, anzi, senz’altro isolato – rispetto alla dottrina romanistica largamente dominante – di tali elementi e, quindi, della loro natura ‘profetica’, 3) individuazione di una linea, conseguente, di ‘ricerca e insegnamento’ del Diritto romano.

 

I.

Elementi forti/qualificanti della lezione romanistica
di Giorgio La Pira

 

1. – Affermazione della attualità e, anzi, della vigenza del Diritto romano (in quanto e come “sistema”)

 

La prima proposizione è formulata sulla base, oltre che della mia conoscenza diretta dei testi lapiriani, sia della selezione di testi e della antologia di passi di La Pira fornitici da Catalano in vista del presente Convegno, sia di quanto su La Pira abbiamo appreso dalle relazioni già svolte.

Su tale base, appaiono essere tre anche gli elementi principali e qualificanti, i quali emergono nella e dalla lezione lapiriana: 1) la affermazione della attualità del Diritto romano e, anzi, della sua vigenza, 2) la affermazione della attualità di tutto il Diritto romano, cioè compresa la sua positio studii di ius publicum e, anzi, il riconoscimento di poziorità di questa positio studii rispetto alla positio studii di ius privatum, 3) la critica e, anzi, il rifiuto della nozione di ‘Stato’, cioè delle dottrine della finzione e della rappresentanza.

Divido la attualità del Diritto romano, quale emerge nella e dalla lezione di La Pira, in due “elementi” perché si tratta di una attualità complessa, ‘tridimensionale’ – direi, ricorrendo a una nozione geometrica – in quanto articolata su due piani, che si intersecano tra loro e che vanno chiariti entrambi.

Un primo elemento o ‘piano’ è quello della attualità del Diritto romano visto come Diritto ‘naturale’ e, anzi, come diritto ‘vigente’. Uso questa seconda categoria senza poterla approfondire, avendo – però – cura di tenerla distinta dalla categoria di diritto ‘effettivo’, ciò che è possibile utilizzando la distinzione operata da Catalano – cui rinvio – tra ‘sistema’ e ‘ordinamento’.

Il Diritto romano, secondo La Pira, non soltanto è sempre attuale, in quanto corrispondente –secondo la nota formula leibniziana– alla ratio scripta: infatti, vi è, in esso, qualcosa di diverso e di più, che è definibile, appunto, come ‘vigenza’ (possiamo precisare, con Catalano: in forza della sua natura di ‘sistema’). In altri termini, il primo elemento di attualità del Diritto romano, secondo La Pira, è non soltanto la opportunità filosofica di ammaestrarsene e ammaestrarne ma anche la ‘obbligazione giuridica’, la ‘necessità’, il ‘dovere’ di ‘applicarlo’.

Conseguentemente, La Pira non soltanto afferma la attualità romanistica nella propria teorizzazione ma anche la traduce nella pratica della propria azione. Si tratta di ciò che è stato definito più volte, durante i lavori di questo Convegno, il “monolitismo” romanistico di La Pira. Pertanto, nemmeno possiamo parlare (così mi pare di capire, così credo di avere imparato) di convergenza, di coerenza tra il La Pira della teoria e il La Pira della prassi ma dobbiamo parlare – direttamente – della loro coincidenza: ciò che costituisce specificità rilevante e significativa di La Pira. Ovverosia, poiché – in definitiva – noi, come professori universitari, soggettivamente, operiamo e nel Diritto, oggettivamente, si opera attraverso, per mezzo della parola, il La Pira professore, che studia e insegna ex catedra, e il La Pira politico, che opera come costituente, legislatore e pubblico amministratore, dicono esattamente le stesse parole di Diritto romano, compiono esattamente le stesse operazioni di Diritto romano, con le quali, in fine e in sintesi, La Pira convoca i potenti del mondo.

 

2. – Affermazione della attualità/vigenza di tutto il Diritto romano, cioè compresa la sua positio studii di ius publicum e, anzi, riconoscimento di poziorità di questa positio studii rispetto a quella di ius privatum

 

La natura forte e qualificante – nel quadro della lezione complessiva di La Pira – di questa ‘affermazione’ (la attualità/vigenza ‘generale’ del Diritto romano) è stata oramai riconosciuta. Ma a questo primo elemento forte/qualificante occorre allineare immediatamente un elemento ulteriore (un’altra affermazione) anche esso ‘evocato’ sostanzialmente nel corso dei lavori del Convegno ma non riconosciuto, non altrettanto chiaramente, almeno. Si tratta della tesi di La Pira, secondo cui attuale/vigente è non soltanto il diritto privato romano ma anche il diritto pubblico romano. Ovverosia, poiché per la (quasi) totalità dei romanisti contemporanei non soltanto il Diritto romano “attuale” è esclusivamente il diritto privato ma –addirittura– il Diritto romano si riduce al diritto privato (vi tornerò più avanti), questo secondo elemento forte/qualificante della lezione lapiriana consiste nella ri-scoperta della esistenza stessa (ancora prima che della attualità/vigenza) del diritto pubblico romano. Si tratta, dunque, di un ‘piano’ ulteriore della attualità/vigenza del Diritto romano, il piano della attualità/vigenza ‘specifica’ del diritto pubblico romano, altrettanto importante che la attualità/vigenza ‘generale’ del Diritto romano (ridotto, però, al diritto privato) e che deve essere formulata in maniera altrettanto esplicita: i due piani, infatti, si forniscono consistenza reciprocamente.

Questo secondo elemento–piano, la affermazione della attualità/vigenza specifica e, anzi, della poziorità della positio studii di ius publicum (che illumina natura e attualità/vigenza dell’intiero Diritto romano), mi limito qui a formularlo (più) esplicitamente e chiaramente. Esso (come ho detto) emerge, infatti, sostanzialmente sia dalla ricostruzione del pensiero romanistico di La Pira effettuata da Catalano negli Scritti Burdese (2003) sia da altri contributi su tale pensiero. E’ stato osservato –ad esempio– che La Pira, nel considerare attuale e vigente il Diritto pubblico romano, lo invoca anche per materie che noi romanisti collochiamo tralatiziamente dentro il diritto privato: la materia delle persone, la materia della famiglia.

 

3. – Critica e, anzi, rifiuto della nozione di Stato, cioè delle dottrine della finzione e della rappresentanza e opzione a favore della urbs civitas

 

Terzo elemento forte e qualificante della lezione di La Pira è la critica, anzi il rifiuto della nozione di Stato. Anche qui non ho l’onere della dimostrazione. Il rifiuto lapiriano della nozione di Stato è stato più volte osservato (ora, tra gli altri, anche da parte del senatore Brutti). Anche qui, però, devo integrare questa osservazione con la osservazione che il rifiuto della nozione di Stato, comporta, meglio significa il rifiuto (anche esso già evocato sostanzialmente e che ancora mi limito a formulare [più] esplicitamente e chiaramente) di altre due nozioni: la nozione di ‘finzione’ e la nozione di ‘rappresentanza’: fondamentali nel pensiero giuridico contemporaneo quanto la nozione di Stato e senza le quali la nozione di Stato neppure è ‘pensabile’.

Non soltanto. Alla nozione astratta di Stato, che La Pira rifiuta in nome del Diritto romano, lo stesso La Pira contrappone, deve contrapporre un’altra nozione. E’ la nozione concreta di popolo, ovviamente. Tuttavia, La Pira fa un passo oltre: alla nozione “astratta” (cioè ‘finta’ e, pertanto, necessariamente, ‘rappresentata’) di Stato egli contrappone una nozione ancora più “concreta” –se possibile– della nozione stessa di populus: la nozione di “città”, cioè la nozione giusromanistica di urbs civitas.

E se il rifiuto dello Stato è, in La Pira, molto precoce (appare già proprio del La Pira giovanissimo e sicuramente del La Pira costituente) la idea di trovare la alternativa allo Stato nella/e città, anzi (direi, usando in maniera ‘suggestiva’ una categoria oggi consueta) nella ‘rete di città’ (cioè nelle relazioni tra città e nelle associazioni di città) è una idea più recente: di un La Pira –certamente– non diverso ma –forse– più maturo. Credo che la idea di trovare la alternativa allo Stato nella/e città, anzi nella ‘rete di città’ è una idea prodotta dal La Pira sindaco o che –comunque– prende forma e diventa centrale nel pensiero e nella azione (o nella azione e nel pensiero) di La Pira sindaco. Non si tratta, peraltro, di una stranezza. Un fenomeno simile era accaduto cinquecento anni prima, circa, con un altro grande romanista, Johannes Althusius, il quale, nelle varie edizioni della sua opera fondamentale sulla ‘Repubblica’ (la Respublica methodice digesta), è arrivato a svilupparne la componente municipale proprio quando è stato, per lunghi anni, syndicus della Città di Emden.

 

II.
Carattere minoritario/isolato – rispetto alla dottrina romanistica dominante – degli elementi forti/qualificanti della lezione romanistica di Giorgio La Pira e, quindi, natura profetica di tali elementi rispetto agli orientamenti ultimi delle problematiche giuridiche

 

1. – Carattere minoritario/isolato e, quindi, natura profetica della affermazione della attualità/vigenza del Diritto romano

 

Questi tre elementi, forti e qualificanti, della dottrina e della prassi romanistici di La Pira sono, però anche – certamente – i tre elementi di minoranza, di isolamento romanistici di La Pira e quindi –forse– i tre elementi della sua “profezia”. Separo, così, la minoranza/isolamento dalla profezia (romanistici, ma non solo) di La Pira, in quanto, mentre i primi sono verificati, la seconda resta, in gran parte, da verificare, almeno rispetto alla opinione romanistica comune.

Per quanto riguarda il carattere minoritario/isolato del primo elemento forte/qualificante del pensiero romanistico di La Pira (la attualità/vigenza generale del Diritto romano) non è necessario spendere molte parole. Lo storicismo, la “historische Krankheit” – cui La Pira si è, così, opposto – ha imperversato – anche in Italia – nei confronti – proprio – del Diritto romano, prosperando lungamente all’interno stesso della scienza romanistica contemporanea, quasi senza antidoto di sorta. Allo storicismo, alla malattia storica si deve grande parte dei malanni che ora affliggono le discipline romanistiche e i romanisti, sia in assoluto sia nelle relazioni con le altre discipline e con gli altri giuristi delle Facoltà di Giurisprudenza; i quali altri giuristi, peraltro, hanno pagato e pagano anche essi la separazione dal Diritto romano, in termini di crisi del diritto e della scienza giuridica nel loro complesso.

Per quanto riguarda, invece, il passaggio dal carattere minoritario/isolato al riconoscimento della natura profetica dello stesso ‘elemento’, sebbene drammaticamente tardi e con resipiscenze preoccupanti (che continuano a cogliersi), oramai non si possono più non vedere fenomeni macroscopici (i quali sono, oggi, sotto i nostri occhi) di attualità e, anzi, di ‘vigenza’ ‘generale’ del Diritto romano. Nei ‘materiali’ del Convegno abbiamo trovato copia di un articolo dal titolo eloquente “Diritto romano diritto europeo” pubblicato soltanto qualche mese fa su un quotidiano italiano particolarmente autorevole e di larga diffusione**. E dovrebbe anche essere noto a tutti i romanisti che la unica battaglia giuridica per la difesa dei debitori (in quell’altra vicenda planetaria che è la vicenda del debito estero, il quale strangola popoli intieri) è condotta ed è conducibile esclusivamente sul presupposto, sul postulato non (soltanto) della attualità ma, precisamente, della “vigenza” del Diritto romano.

 

2. – Carattere minoritario/isolato e, quindi, natura profetica della affermazione della attualità/vigenza – anche e specialmente – del diritto pubblico romano

 

Occorre, invece, spendere qualche parola di più sul carattere minoritario/isolato degli altri due elementi forti, qualificanti del pensiero (romanistico) di La Pira, e cioè la attenzione per il diritto pubblico romano e il rifiuto dello Stato con la contrapposizione allo Stato delle città, in quanto questi due elementi appaiono rimasti ancora – più che il primo – allo stadio della minoranza/isolamento e non pare ne sia stata riconosciuta, ancora, la natura di profezia. In effetti, a parte ogni altra possibile considerazione, ancora nella relazione introduttiva – peraltro e come sempre magistrale – di Casavola al Convegno, è stata ripetuta, come ovvia, la affermazione che il Diritto romano è fondamentalmente, è nella sostanza un diritto dei e per i privati. Anche su questo terreno, dunque, il pensiero di La Pira sarà certamente, fra qualche tempo, riconosciuto come profezia ma, per il momento, esso resta ancora confinato nella minoranza – se non proprio nell’isolamento – e, da questo punto di vista, la ‘lezione’ di La Pira non è stata accolta ancora dalla dottrina romanistica dominante.

Eppure, la dottrina romanistica–privatistica oggi dominante non ha dalla sua la autorità dei secoli, essa è, invece, relativamente recente, è una operazione contemporanea, funzionale alla Europa che – dalla fine del 700 – si vota al Mercato e alla Restaurazione e baratta la scienza-guida del Diritto con la scienza-guida della Economia, giungendo, infine, a relegare tutto il Diritto a sovrastruttura necessitata e automatica delle opzioni economiche. Con una ricostruzione necessariamente sintetica, oltre che con elementi di altrettanto necessaria convenzionalità, possiamo collocare il configurarsi di una sorta di anàtema al diritto pubblico romano, cioè alla positio studii dello ius publicum, nell’arco di un secolo esatto: dal 1835 al 1935. L’inizio dell’anàtema è nella opera di un certo, non notissimo, Anton Freiherr von Haimberger, il quale, nel 1835 appunto, scrive che solo il “Privatrecht” è “rein”, è puro e, quindi, circoscrive la trattazione del Diritto romano al diritto privato, escludendone il diritto pubblico. Nella stessa linea sopraggiungono, poi, autori decisamente più noti: in particolare, cinque anni soltanto dopo l’opera di von Haimberger, appare la grande e determinante opera del grande Savigny, il Diritto romano attuale, il cui primo volume è del ’40 e nella quale Savigny ritaglia come “heutig”, come “attuale” soltanto il diritto privato romano (essenzialmente, i diritti reali e i diritti di obbligazione), lasciando fuori tutto il resto. Dopo, un periodo un poco più lungo, questa linea trova una seconda e complementare consacrazione nella Palingenesia di Lenel (1889), che dal Diritto romano taglia via – insieme! – lo ius publicum e lo ius sacrum, con il risultato di fare coincidere ius privatum e ius civile, operazione – questa – il cui grado di fortuna corrisponde al grado di illegittimità. E, infine, esattamente cento anni dopo la sortita di von Haimberger, appaiono I principi del Diritto romano (1935), di Friz Schultz, che molti citano (talvolta – sembrerebbe – per averlo letto di seconda o terza mano) come la prova evidente che il diritto pubblico romano –semplicemente – “non esiste”.

In luogo della positio studii dello ius publicum, così abbandonata, la dottrina romanistica–privatistica ha prodotto (secondo la distinzione che viene fatta risalire a Leibniz) la contemporanea “storia esterna” delle fonti giuridiche, il cui livello di dogmatica giuridica – nonostante veri virtuosismi filologici, da cui è impreziosita – resterà registrato impietosamente, a futura memoria, dai molti manuali di Storia del diritto romano.

Da- e di questa dottrina dobbiamo infine – anche seguendo la lezione di La Piraliberarci. Non è ‘pensabile’ intendere il Diritto romano, anche soltanto il diritto privato romano, prescindendo dalla positio studii dello ius publicum, la quale va recuperata in maniera adeguata. Il lavoro di ‘recupero’ è tutto da fare e sul percorso da seguire ci viene ancora in soccorso il terzo elemento forte/qualificante di minoranza/isolamento e, quindi, di profezia di Giorgio La Pira.

 

3. – Carattere minoritario/isolato e, quindi, natura profetica della scelta per la città contro lo Stato

 

La messa a fuoco del ‘terzo elemento’ ci è propiziata dalla considerazione del contributo scientifico di Theodor Mommsen.

Nel meccanismo della liquidazione, della damnatio memoriae del diritto pubblico romano si inserisce l’opera di questo autore fondamentale, la quale sembrerebbe procedere in senso contrario alle opere (appena citate) degli altri romanisti della stessa epoca ma che, in realtà, è assolutamente funzionale a quel meccanismo, dentro il quale si integra perfettamente. Il poderoso Römisches Staatsrecht, scritto, nel 1871, da Theodor Mommsen, è tradotto (in francese, da Paul Frédéric Girard) im-propriamente come “Droit public romain”. Si tratta, invece, del “Diritto statuale romano”, anzi della “invenzione” del diritto statuale romano: propriamente funzionale alla liquidazione e, quindi, alla obsolescenza del diritto pubblico romano. E’ ciò che è stato riconosciuto – indirettamente – anche dagli stessi seguaci della dottrina mommseniana. Ad esempio Ulrich von Lübtow, in una monografia del 1955, attribuisce al Maestro il merito – appunto – di aver ‘inventato’ il “römisches Staatsrecht” con una eterogenesi evidente dello scopo argomentativo, perché la espressione di lode può essere letta come un riconoscimento del fatto che, insomma, tutte le ragioni, forse, Mommsen non aveva se lo Staatsrecht egli, davvero, se lo era “inventato”.

L’opera di Mommsen ha, dunque, come elemento fondamentale la essenzialità e la centralità dello “Stato”. Nel Römisches Staatsrecht, Mommsen scrive che «populus ist der Staat», dove, però, non è il popolo concreto dei cittadini che – titolare del potere sovrano – assume il nome di Stato ma è l’ente astratto Stato che assume il nome di popolo e ne occupa lo spazio giuridico, come dimostra la struttura stessa dell’opera mommseniana. Successivamente, nel Disegno (cioè nel sunto dello Staatsrecht, che lo stesso Mommsen scrive, sfrondando l’opera maggiore dalla componente filologica, proprio al servizio dei giuristi pratici) la trattazione addirittura inizia (letteralmente: dalla prima riga della prima pagina) con la affermazione solenne che «il Diritto romano come tutti i diritti è fondato sullo Stato», per sviluppare, quindi, da quel postulato, tutta la propria costruzione. Ma Mommsen non si limita ad inventare il Diritto statuale romano. La pars costruens della dottrina di Mommsen rimanda ad una pars destruens corrispondente, anche se questa parte è realizzata – secondo lo stile proprio di questo autore – prevalentemente per omissione. Mommsen, cioè, non si limita a costruire il proprio edificio statual-romanistico (e ad imporlo). Egli, contestualmente, demolisce le ri-costruzioni precedenti. Prima di Mommsen, infatti, in materia di ius publicum romano non c’era il vuoto, anche se a dare questa impressione concorre proprio la fortuna della costruzione mommseniana, la quale, totalmente nuova rispetto alle costruzioni precedenti, conquista il campo demolendo e rendendo obsolete quelle costruzioni. La costruzione mommseniana è, in positivo, la traduzione romanistica dello statualismo della filosofia giuridica hegeliana. Ma, in negativo, su quali punti si esercita la opera di ‘demolizione’ e di ‘obsolescenza’ realizzata da Mommsen? Il discorso sarebbe lungo ma almeno due punti non possono esserne omessi totalmente.

Su uno di essi, è lo stesso Mommsen a richiamare la nostra attenzione: si tratta (della specificità) del tribunato e del suo potere. Mommsen si vanta, addirittura nel ‘Vorwort’ dello Staatsrecht, della liquidazione della specificità tribunizia e, quindi, della obsolescenza della istituzione tribunizia, da lui ottenute per mezzo della imposizione della logica statualistica: «Io, per primo, ho liquidato la idea di una magistratura specifica, speciale; il tribunato, in realtà, è una magistratura come le altre» perché il suo potere non è diverso da quello delle altre magistrature. Tutto ciò che è stato ‘predicato’ per secoli sul tribunato, che ha profondamente influenzato il formarsi del pensiero giuridico pubblico della Europa moderna, che ha trovato in Rousseau e in Fichte le massime teorizzazione e ri-proposizione contemporanee, viene, così, ‘liquidato’ e ‘dimenticato’: il tribunato e il suo potere scompaiono dalle strutture della costruzione mommseniana e da quelle dei romanisti che lo seguono. Possiamo cogliere la portata enorme di questa operazione mommseniana rammentando –ancora con l’aiuto di Cicerone– che, nel sistema giuridico romano, senza la specifica magistratura tribunizia con il suo specifico potere, addirittura: “non c’è Repubblica”.

L’altro ‘punto’, nei confronti del quale è effettuata, da parte di Mommsen, la operazione di liquidazione e di obsolescenza, non è meno importante del primo. Esso è la ‘municipal Ordnung’. Mommsen – nello Staatsrecht – inizia con il liquidarne la specificità, negandone il carattere societario-federativo e riconducendola forzosamente alla logica – opposta – dello Stato. La tesi (oggi dominante) che la ‘municipal Ordnung’ non soltanto non sia un sistema federativo-societario su base municipale, alternativo – da sempre e tuttora – allo statualismo (divenuto esso stesso dominante nel mondo contemporaneo) ma sia anzi l’antidoto, la alternativa al sistema societario–federativo e il principium vero dello statualismo, è una ‘Erfindung’ mommseniana, rotondamente contraria alla dottrina precedente. Dopo la operazione della demolizione della specificità della ‘municipal Ordung’, sopraggiunge la operazione della sua obliterazione. Secondo la osservazione di un giovane ricercatore, Mommsen fa calare sulla ‘municipal Ordung’ anche il proprio silenzio. Dopo avere formulato una serie di affermazioni a proposito dell’“ordinamento municipale” e avere promesso di trattarne più avanti, in effetti, però, egli non ne tratta più. Nella trattazione massima contemporanea di quello che è stato definito lo “Stato municipale” e l’“Impero delle città”, la ‘municipal Ordnung’ viene, dunque, ‘dimenticata’. Come il Tribunato. Anche tale ulteriore operazione mommseniana di liquidazione–obliterazione del diritto pubblico romano comporta una conseguenza di portata enorme sia sul piano teorico sia sul piano operativo: si tratta – questa volta – della scissione del rapporto tra civitas e urbs.

Il popolo (come spiega Cicerone) non è un insieme quoquo modo congregatus, il popolo è una “associazione”, i cui membri (come insegnano Gaio e Giustiniano con i suoi giuristi), sono gli universi cives, cioè coloro che, abitando l’urbs, costituiscono la civitas, cioè coloro che integrano la “urbs civitas”, per usare la endiadi eloquente dei grammatici romani. Il primo sostantivo di cui Paolo-Giustiniano tratta, nel titolo sedici del Libro cinquanta delle Pandette, il De verborum significatione, è precisamente “urbs”: «‘Urbis’ appellatio muris, ‘Romae’ autem continentibus aedificiis finitur, quod latius patet».

La civitas/‘Bürgerschaft’ del “Römisches Staatsrecht”, invece, non è più connessa ai “muri” dell’urbs. Sul piano teorico, la scissione tra civitas e urbs comporta il venire meno di quella societas civium (costituita di societates familiari/coniugali e costituente la societas gentium), che proprio nella urbs e nel condominio dei “muri” della urbs trova il suo nucleo determinante (come, appunto, ci insegna Cicerone (Off. 1.17.53 Gradus autem plures sunt societatis hominum [...] interius etiam est eiusdem esse civitatis: multa enim sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia, suffragia, consuetudines ...). Questa civitassocietas civium viene, così, sostituita dalla “persona ficta vel repraesentata”, che è lo Stato astratto. Sul piano pratico, tale scissione comporta la sottrazione del processo decisionale pubblico ai ‘cittadini delle città’, agli abitanti delle urbs, cioè, alla dimensione urbana concreta e territorialmente diffusa: per consegnarlo – invece – alla istituzione centralistica dei rappresentanti necessari di quella persona “finta [o “artificiale”] e rappresentata”.

Durante la epoca contemporanea, la dottrina romanistica dominante, anzi la dottrina giuridica dominante e il diritto vigente sono stati determinati, sia in positivo (statualismo) sia in negativo (obliterazione del potere tribunizio e dell’“ordinamento municipale”) dalla ‘lezione’ di Mommsen e la lezione di La Pira – rotondamente contraria, come abbiamo visto – è risultata, conseguentemente, minoritaria/isolata.

Lo Stato e lo statualismo sono entrati, però, in crisi profonda, determinando la crisi odierna del diritto/ordinamento vigente/effettivo e della dottrina giuridica dominante ad esso connessa mentre appaiono ri-sorgere spontaneamente le istituzioni di ius publicum romano (sistema municipale e potere tribunizio), in un contesto – non casualmente – di rinnovata importanza e richiesta di diritto, a partire proprio dal diritto pubblico.

Gli sviluppi ultimi ci autorizzano, dunque, ad affermare anche la natura profetica anche di questo terzo elemento forte/qualificante della lezione romanistica lapiriana.

 

III.
Una ipotesi di ricerca e insegnamento del Diritto romano
secondo la lezione di Giorgio La Pira:
“unire le città per unire le nazioni” e “sanare le città per sanare le nazioni”

 

Dalla lettura che abbiamo proposto della lezione romanistica di Giorgio La Pira, emerge dunque – quasi ‘da sé’ – la individuazione di una linea conseguente di ‘ricerca e insegnamento’ del Diritto romano: come diritto attuale e anzi vigente nella sua totalità, ivi compreso – e anzi con posizione di poziorità – il diritto pubblico romano, in particolare nelle sue due istituzioni repubblicane del municipio (con il sistema societario/federativo delle urbs civitas) e – seppure in maniera, direi, implicita – del potere tribunizio.

Ma La Pira ci provoca ancora oltre. Egli non si limita a negare agli Stati il diritto di distruggere le città (discorso di Ginevra, 1954 “Valeur des Villes”), cioè di distruggere le urbs, perché in esse e soltanto in esse alberga la civitas, il nucleo essenziale della societas hominum. Egli, inoltre, teorizza positivamente che per unire le nazioni bisogna unire le città (discorsi di Parigi, 1967 “Unire le città per unire le nazioni” e di Leningrado, 1970 “Far convergere le città per far convergere le nazioni”) e che per sanare le nazioni bisogna sanare le città (discorso di Torino, 1971 “Sanare le città per sanare le nazioni”).

Queste affermazioni esprimono una teoria complessa del diritto pubblico, che possiamo articolare, sommariamente, in alcune proposizioni. Sono affermate, innanzi tutto, due caratteristiche della città, le quali rinviano l’una all’altra in maniera tale da non potersi, tra di esse, né individuare priorità né distinguere la causa e l’effetto: la città è l’elemento costitutivo delle nazioni ed essa è dotata in forma essenziale non soltanto di una ‘faccia’ e di una competenza interna ma anche di una ‘faccia’ e di una competenza esterna, dalla quale, anzi, occorre – addirittura – iniziare. Ne consegue, immediatamente, la possibilità/esigenza di una ‘politica’ a misura e a regola della città sia nelle relazioni esterne a ciascuna città sia nelle relazioni interne a ciascuna città, che è al contempo anche la politica possibile/necessaria interna ed esterna di ciascuna nazione e di tutte le nazioni.

Mentre noi, oggi, stiamo scoprendo, nel fenomeno – anche questo da studiare – della ‘globalizzazione’ ovvero della ‘mondializzazione’, che i problemi del mondo condizionano il governo delle singole nazioni e delle singole città, La Pira, già oltre 50 anni or sono, aveva rovesciato genialmente (profeticamente) i termini della questione. La Pira ci invita ad affrontare i problemi mondiali dal di dentro dell’urbs civitas e con il metodo specifico dell’urbs civitas e, quindi, ad affrontare i problemi dell’urbs civitas come problemi mondiali, anzi universali.

E’ una grande intuizione, possibile soltanto utilizzando correttamente gli strumenti del Diritto romano e, in specie, del diritto pubblico romano.

Il romanista Giorgio La Pira afferma che “siamo entrati nella epoca delle città’: questa è la profezia. Non correggendo ma integrando (da seguace) lapiraniamente La Pira, direi che siamo ‘ri-entrati’ nella epoca delle città.

Il nostro “Beruf”, il nostro “che fare”, da romanisti, è, dunque, ri-appropriarci – mettendo fine alla liquidazione e alla obliterazione contemporanee – della conoscenza scientifica delle istituzioni giuridiche romane proprio a partire da quelle – di diritto pubblico – dei municipi e dei difensori del popolo e mettere tale scienza al servizio della loro attualità e vigenza.

 

 

Nota bibliografica

 

P. Roggi, I cattolici e la piena occupazione. L’attesa della povera gente di Giorgio La Pira, Milano 1983 (ristampa aggiornata: Milano 2004); P. Catalano, Giorgio La Pira: Diritto romano e profezia, in Index. Quaderni camerti di studi romanistici 23, 1995; O. Murgia, Giorgio La Pira. Impegno cristiano e politico, Roma 1996; F.P. Casavola, Società, Stato e Città in La Pira romanista, costituente, sindaco, in Nuovi studi politici, luglio-settembre 2001, anno xxi - ii serie, 3; P. Catalano, Alcuni concetti e principi giuridici romani secondo Giorgio La Pira, estr. da L. Garofalo (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (Padova-Venezia-Treviso, 14-15-16 giugno 2001), I, Padova 2003; P. Catalano, Unità, pace, giustizia, grazia. Roma Costantinopoli Mosca secondo Giorgio La Pira, estr. corretto da V. Ruggieri e L. Pieralli (a cura di), Ευκοσμία. Studi miscellanei per il 75° di Vincenzo Poggi S.J., Catanzaro 2003; V. Peri, La Pira: città ed ecumene, estr. da Index. Quaderni camerti di studi romanistici, Napoli 2004; P. Vanzan, Giorgio La Pira nel centenario della nascita, in La Civiltà Cattolica, 155, 2004, n° 7.



 

* Trascrizione dell’intervento tenuto al Seminario internazionale di studi: «La cattedra “strumento sacro”. Incontro dei romanisti», organizzato a Roma, 11–13 novembre 2004, da Pierangelo Catalano, della Università di Roma “La Sapienza”, Direttore della Sezione di Roma “Giorgio La Pira” dell’ITTG – Istituto di Tecniche dell’Informazione Giuridica del CNR. L’autore si riserva di apportare modificazioni nel testo e di dotarlo di un apparato di riferimenti di fonti e di dottrina per la versione definitiva che sarà pubblicata dalla rivista Index. Quaderni camerti di diritto romano (G.L.).

 

** Due giorni dopo la conclusione del Seminario, un altro quotidiano italiano, altrettanto autorevole e di larga diffusione, ha pubblicato un articolo dal titolo altrettanto eloquente “Abbiamo scelto di ispirarci al diritto dell’antica Roma”. Si tratta della notizia, di valenza planetaria, della scelta del Diritto romano, anzi del Corpus Juris Civilis, da parte del Popolo cinese, il Popolo più grande del mondo, per riorganizzarsi in una ottica di relazioni giuridiche con gli altri popoli del mondo.