Accademia
delle Scienze di Russia
Mosca
I
Il problema della palingenesi dei documenti sacerdotali romani è
strettamente legato con la questione dell’attendibilità delle
fonti, la più grande parte delle quali non è anteriore al I sec.
a.C. Queste fonti sono prima di tutto Livio, Dionigi d’Alicarnasso,
Varrone e Cicerone. Questi autori spesso riferiscono – e anche citano
– le leggi regie, la legge delle XII tavole, i decreta dei pontefici, i libri degli auguri etc. Per esempio, Livio
cita i trattati internazionali del re Tullo Ostilio (Liv. 1.24.4-8), il giuramento di Anco Marcio (Liv. 1.32.6-13), la deditio urbis per re Tarquinio Superbo
(Liv. 1.38.2); menziona molteplici decreta
dei pontefici sui Bacchanalia (Liv.
39.16.7); Cicerone mostra di conoscere i monumenta
delle leggi di Numa Pompilio (De rep.
II.14.26).
Come possiamo interpretare questa informazione? In che misura possiamo
credere a questi autori? Tutto dipende dal livello di conoscenza della storia e
del diritto nella società romana del I sec. a.C. in generale. E qui
è necessario sottolineare che questa conoscenza del diritto nella
società del II-I sec. a.C. era abbastanza alta[1]. Nel tempo di Cicerone la conoscenza del diritto e la possibilità
di interpretarlo era molto onorevole per il cittadino[2]. Noi dobbiamo tener conto che durante il I sec. a.C. tutte queste norme
erano a disposizione di tutti i Romani, che i Romani stessi da ragazzi
conoscevano le norme delle XII tavole a memoria[3]. Poi, in questo periodo esistevano decine di commenti a tutto il ius civile, ed anche trattati su diverse
parti speciali del diritto sacro. Per esempio, è noto che il console del
Tra i giuristi del I sec. a.C. si possono menzionare anche Servio Sulpicio
Rufo con il suo libro De sacris
detestandis[10]; Gaio Trebazio Testa con suo De
religionibus in almeno 10 libri[11]; il console del
Allora, si può trarre solamente questa conclusione: in tale
società, dove esistono in pubblico non solo le fonti giuridiche dirette,
ma anche molteplici commenti su diritto sacro, la falsificazione diretta delle
fonti era quasi impossibile e quindi il livello d’autenticità
dell’informazione degli autori del I sec. a.C. era abbastanza alto.
Per quanto riguarda l’informazione degli autori del I – V sec.
d.C., è necessario sottolineare la seguente caratteristica della
storiografia di questi secoli: le fonti principali, per gli autori di questi
secoli, erano le stesse che per quelli del I sec. a.C.; però, nel periodo
più tardo si sviluppa quello che si può chiamare il metodo
(quasi) scientifico della ricerca, cioè il sistema di rinvii alla fonte
dell’informazione con indicazione del nome dell’autore, del titolo
della sua opera e del numero del libro. Il livello alto di tale storiografia
mostrano i commenti storici, linguistici e giuridici di Boezio, Servio, Nonio
Marcello, Macrobio e d’altri. Anche autori cristiani che criticavano la
religione pagana, per esempio, Tertulliano e Agostino, conoscevano molto bene i
trattati dei romani su diritto sacro. Infine, in questi secoli sono abbastanza
numerosi i commenti dei giuristi al diritto sacro romano.
Così, nell’ambito del diritto sacro scrivevano anche i
più famosi giuristi romani del Principato: sono noti almeno 16 libri De iure pontificali di Marco Antistio
Labeone[18]; non meno di 7 libri De iure
pontificio e i Libri sacrificiorum
di Gneio Ateo Capitone[19]; i Libri fastorum di Masurio
Sabino[20]. Non a caso nel VI sec. d.C. Giustiniano scriveva che tutta la genealogia
delle leggi cominciando da Romolo è diventata così enorme che non
può essere conosciuta da un uomo[21].
È importante porre attenzione al fatto che nel II sec. d.C. il
giurista Pomponio, nel suo famoso Enchiridion,
mostra quali delle fonti arcaiche esistevano ancora al suo tempo e i quali
invece non erano state salvate. Per esempio, Pomponio scrive che le leges regiae si potevano ancora leggere
nel libro di Sesto Papirio e che le XII tavole erano state scritte in tavole
d’avorio[22], però, i primi commenti delle XII tavole, fatti dai pontefici, non
erano scritti[23]; di seguito segnala il caso di commenti giuridici non pervenuti, come ad
esempio quello di Appio Claudio Centemmano[24]. Comunque, anche le fonti della tarda antichità erano fondate nella
conoscenza diretta del diritto sacro arcaico e quindi possono essere usate per
la ricostruzione del sistema del diritto sacro romano.
II
I dati delle fonti ci permettono di costruire uno schema generale della
storia della tradizione letteraria del diritto romano arcaico:
1. VII sec. a.C.: scrittura delle leggi sacre di Numa Pompilio.
2. VI sec. a.C.: ricostruzione delle leggi di Romolo e di Numa Pompilio e
supplemento delle leggi di Servio Tullio.
3. Fine VI sec.-inizio V sec. a.C.: ricostruzione delle leggi regie, ricostruzione
delle leges sacratae dai plebei.
Scrittura del ius Papirianum.
4. 451-
5. IV sec. a.C.: occultamento del diritto sacro ad opera dei pontefici (
6. Inizio del III sec. a.C.: pubblicazione del ius civile insieme con quello sacro con i commenti di Tiberio
Coruncanio.
7. Inizio del II sec. a.C.: pubblicazione del ius civile insieme con quello sacro nei Tripertita di Elio Peto.
III
Allora, noi abbiamo la tradizione letteraria molto antica e permanente dal
VII al II sec. a.C., che era una base abbastanza solida per autori antichi.
Però, una semplice raccolta dell’informazione dalle fonti su diritto
sacro e documenti sacerdotali non ci permetterà di decidere il problema
numero uno di qualsiasi palingenesi. Prima di tutto, è necessario
studiare, in che ordine, con quale sistema erano raccolte le norme sacrali, in
che misura le norme del diritto sacro presentavano nel diritto pubblico e
privato, quale misura della differenza esisteva tra diritto sacro, pubblico e
privato? È necessario sottolineare che, a differenza del diritto
moderno, il diritto sacro romano non era mai totalmente separato da quello
civile, perciò non è a caso che Ulpiano nel II sec. d.C. divide
tutto il diritto pubblico romano in tre parti principali: sacra, sacerdotes, magistratus[26]. La stessa divisione si può trovare, nel I sec. a.C., nel trattato
di Cicerone De legibus. Ma già
nelle XII tavole, se dobbiamo credere alla testimonianza di Ausonio[27], esisteva qualche separazione tra diritto sacro, pubblico e privato.
Penso, che nelle leggi di Numa Pompilio tale separazione o differenza ancora
non esisteva. Però, noi non abbiamo qualsiasi modello pronto e chiaro
per conoscere il sistema del diritto sacro sia per il VII sec. a.C., sia per il
V sec. a.C. sia per il I sec. a.C. Tuttavia, abbiamo qualche informazione molto
modesta degli autori antichi su tale sistema. Prima di tutto, si tratta del
famoso lavoro di Cicerone De legibus,
dove c’erano almeno tre parti delle sue cosiddette “leggi
ideali”; ma quante erano in totale queste parti non è conosciuto,
poiché degli almeno 5 o 6 libri del trattato (Macrob. Sat. VI.4.8) solamente tre primi si sono
salvati. È importante notare che Cicerone pone le leges de religione nella prima parte delle sue cosiddette leggi
ideali; la seconda parte di queste leggi è dedicata al diritto dei
magistrati (Cic. de leg. III.6-11) e
la terza al ius populi Romani, cioè
al diritto privato[28]. Nella trattazione di Cicerone il diritto sacro ha il suo ordine di
esposizione[29]. Si possono distinguere almeno 5 parti: nella prima parte si tratta della
situazione delle persone, dei culti religiosi nella città, nel paese,
nella gens e nella famiglia; nella
seconda parte si tratta dei fasti, cioè del calendario, e dei sacrifici;
nella terza, di tre categorie principali dei sacerdoti: pontefici,
quindecemviri ed auguri[30]. Francesco Sini molto giustamente sottolinea che Cicerone, descrivendo gli
obblighi degli auguri, ci dà il sistema del diritto augurale[31]. Mi pare che questa conclusione in qualche modo si può usare per
tutto il sistema del diritto sacro nel De
legibus di Cicerone, siccome è evidente che Cicerone lo faceva sotto
influenza delle XII tavole. Poi, la quarta parte è dedicata a sacra publica, crimini religiosi, vota publica e consecratio; nella quinta parte si tratta dei sacra privata.
Un altro modello di esposizione del diritto sacro si può trovare nel
trattato di Varrone Antiquitates (Aug.
de civ. Dei VI.3)[32]. Francesco Sini nota che Varrone certamente usava nella sua opera Antiquitates la costruzione
giuridico-religiosa elaborata dai sacerdoti romani d’età repubblicana[33]. La prima parte, quella rerum
humanarum, è divisa in 4 parti: homines,
loci, tempora, res. Questa divisione è molto vicina a quella delle Institutiones di Gaio: personae, res, actiones, dove le parti loci e tempora corrispondono con quella delle actiones. Tale similitudine non è casuale e mostra che tutto
il sistema del diritto romano sia privato, sia pubblico ha radici comuni nei
commenti giuridici religiosi della giurisprudenza pontificale repubblicana.
La seconda parte del trattato di Varrone, rerum divinarum, è composta di 5 parti con 3 libri in ogni
parte: la prima parte, De hominibus,
è dedicata a pontefici, auguri e quindecemviri. Qui si deve sottolineare
l’autenticità della divisione alle tre principali categorie dei
sacerdoti sia nel testo di Varrone, sia in quello di Cicerone. La seconda
parte, De locis, è dedicata a sacelli, templi e loci religiosi; la terza, De
temporibus, ai giorni festivi, ludi
circenses e scaenici; la parte
quarta, De sacris, è dedicata
a consecratio, sacra privata e sacra publica; la parte quinta, De diis, descrive dii certi, incerti e praecipui.
Il modello di Varrone, senza dubbio è abbastanza vicino a quello di
Cicerone, però, il testo di Varrone ha una particolarità
importante: il suo ordine d’esposizione è contrario a quello
tradizionale del diritto sacro nel I sec. a.C. - III sec. d.C. Infatti, F. Sini[34] nota che anche nel trattato De
lingua Latina nel capitolo De
hominibus Varrone[35] comincia sua esposizione non dai sacerdoti, ma dai magistrati e
così cambia l’ordine tradizionale del ius publicum romano, proposto da Ulpiano e Cicerone: sacra, sacerdotes, magistratus.
Lo stesso ordine opposto troviamo nelle Antiquitates
di Varrone; prima seguono i libri Rerum
humanarum, poi quelli Rerum divinarum.
Varrone descrive anche i sacra publica
dopo i sacra privata. Forse, questo
ordine opposto si spiega del fatto che Varrone non era né giurista,
né sacerdote, ma era uno studioso e un filosofo puro, che preferiva
comporre la sua opera seguendo il principio scientifico: descrivere le cose
cominciando da una forma semplice e finendo con quella complessa, ma non
seguendo i principi della composizione delle leggi e dei commenti sacerdotali.
Nello stesso tempo è necessario prestare attenzione al fatto che dentro
un libro o una parte separata Varrone abitualmente segue un cursus honorum tradizionale. Per
esempio, nel trattato De lingua Latina
lui enumera i magistrati romani nell’ordine tradizionale: console,
censore, questori, tribuni militari, dittatore, magister equitum e magistrati minori (Varr. L.L. V.80-82). Lo stesso si può dire del suo elenco
dell’ordo sacerdotum:
pontefici, curioni, flamini, salii, luperci, fratelli Arvali, sodali di Tizio,
feziali (Varr. L.L. V.83-86).
F. Sini fa attenzione alla somiglianza dell’elenco dei sacerdoti di
Varrone e di Livio, quando questo storico descrive la creazione dei sacerdoti
da parte del re Numa Pompilio, in quanto i due autori non menzionano gli auguri[36].
Però, il fatto che Livio non menziona gli auguri è molto facile
da spiegare: Livio, come Cicerone[37],
forse, non pensava di menzionare gli auguri in quanto erano stati creati non da
Numa Pompilio, ma da Romolo, e Numa ha solamente incluso gli auguri di Romolo
nella sua legislazione. Dall’altro lato, nell’elenco di Livio i
pontefici sono messi nell’ultimo posto, non nel primo, come
nell’elenco di Varrone. In questo senso l’elenco di Livio è
più vicino al modello della legislazione sacra di Numa Pompilio,
proposta da Dionigi d’Alicarnasso.
Allora, è molto importante studiare il modello adottato da Dionigi
d’Alicarnasso, perché questo storico greco fa molta attenzione
all’ordine dell’esposizione del diritto sacro nella legislazione di
Numa Pompilio. Prima di tutto, si deve sottolineare il fatto che Cicerone e
Varrone, con una certa riserva sul conservatorismo del diritto sacrale romano,
descrivevano proprio il diritto sacrale attuale per loro; Dionigi invece
cercava di descrivere la legislazione sacrale più antica risalente al
VII sec. a.C. Egli divide tutta la legislazione di Numa in 2 parti principali:
la prima parte dedicata alle leggi di religione (perˆ t¦ qe‹a nomoqes…a)[38], la seconda parte alle molteplici leggi sulla vita privata dei cittadini
romani (tÕn
˜k£stou b…on)[39]. E` curioso di notare che Dionigi nomina la prima parte della legislazione
proprio come Cicerone nomina la prima parte sacrale del suo trattato De legibus, solo nella lingua greca
antica. Dionigi suddivide la prima parte in 8 parti (II.64; 70.1; 72.1; 73.1):
1. curioni e i sacrifici che i romani chiamavano sacra pro curiis[40]; 2. flamini e sacra pro montibus[41]; 3. celeres e sacra pro sacellis[42].
L’nformazione di Dionigi sulle tre prime parti è da
confrontare con la descrizione di Festo dei sacra
publica romana[43]. È curioso che Dionigi non menzioni i sacrifici che corrispondono
ai sacra pro pagis, perché
quelli erano fondati solamente da Servio Tullio. Questo fatto ci permette di
pensare che il modello di Dionigi sia storicamente abbastanza autentico. Poi
Dionigi descrive le parti della legislazione di Numa Pompilio: la quarta parte
sugli auguri[44], la quinta sulle vestali[45], la sesta sui salii[46], la settima sui feziali[47] e infine l’ottava parte tratta dei pontefici[48]. Il fatto che i pontefici siano collocati, così come nei testi di
Livio (I.20.5) e di Festo (Ordo
sacerdotum, p.
La considerazione dei tre modelli del sistema del diritto sacro romano
permette di confermare la possibilità di una palingenesi del diritto
sacro romano. Il modello di Dionigi d’Alicarnasso corrisponde al sistema
del diritto sacro del VII-V sec. a.C., cioè del periodo anteriore alle
leggi delle XII tavole. Lo sviluppo del diritto sacro, la sua separazione
graduale da quello laico o privato, il quale anche si sviluppava molto
intensamente, ha causato qualche evoluzione di tutto il diritto sacro durante
il V-II sec. a.C. Secondo me, la pietra angolare di tale evoluzione sono state
le leggi delle XII tavole, così spesso usate da Cicerone. Nello stesso
tempo, i modelli di Cicerone e di Varrone, che corrispondono al diritto sacro
del periodo dal V al I sec. a.C., cioè successivo alle leggi delle XII
tavole, sono basati certamente sulla legislazione sacra di Numa Pompilio. La
differenza tra due sistemi non è così ampia. Perciò, non a
caso nel trattato De legibus Cicerone
dice delle sue leggi:
Sed, uti mihi quidem uidetur,
non multum discrepat ista constitutio religionum a legibus Numae nostrisque
moribus[50].
[1]
Polyb. VI. 11. 4: p©n g¦r
™piginèskontej kaˆ pantÕj pe‹ran
e„lhfÒtej di¦ t¾n ™k pa…dwn to‹j
œqesi kaˆ nom…moij suntrof…an oÙ tÕ
legÒmenon qaum£sousin ¢ll¦ tÕ
paraleipÒmenon ™pizht»sousin, oÙd kat¦ prÒqesin Øpol»yontai
tÕn gr£fonta paralipe‹n t¦j mikr¦j
diafor£j, ¢ll¦ kat' ¥gnoian parasiwp©n t¦j
¢rc¦j kaˆ t¦ sunšconta tîn pragm£twn.
[2] Cic. Orat. 1. 44-45. 197-198: His ego de
causis dixeram, Scaevola, eis, qui perfecti oratores esse vellent, iuris
civilis esse cognitionem necessariam. Iam vero ipsa per sese quantum adferat
eis, qui ei praesunt, honoris, gratiae, dignitatis, quis ignorat? … in
nostra civitate contra amplissimus quisque et clarissimus vir.
[3] Cic. De leg. 2.59: Discebamus enim pueri XII ut carmen
necessarium, quas iam nemo discit. Cic. de rep. 2.4.9: A paruis enim, Quinte, didicimus: Si in ivs
vocat, atque a<lia> eius modi leges [alias] nominare.
[6] Macr. Sat. I.16.25: Sed et Fabius Maximus Servilianus
pontifex in libro duodecimo
(iuri pontificii).Ved. anche: Бартошек
М. Op. cit., 334.
[7] Macr. Sat. III.2.11; Libri iuris pontificii; Gell. X.15.1: in libris, qui de sacerdotibus publicis;
Nonn. 19.11 p. 544 M: Fabius Pictor lib. XVI…
Vedi anche: Gell. I.12.14; Serv. ad Georg.
I.21; Fest. Puilia. p.
[11] Macr. Sat. III.3.2: Trebatius libro primo de religionibus…
Sat. III.3.5: Trebatius libro decimo religionum… Сfr. Macr. Sat. I.16.28; III.5.1; III.7.5-8;
Serv. ad Aen. XI.316; Arnob. adv. gent. 7.31.
[12] Macr. Sat. I.16.29: Iulius Caesar sexto decimo auspiciorum libro…
Сfr. Priscian. 6.16.86; Fest. Maiorem p.
[13] Gell. XIII.15.4: liber de auspiciis
primus… Сfr. Fest. Marspedis p.
[17]
Censorin. 3.2: Gr. Flaccus in libro, quem ad
Caesarem de indigitamentis scriptum reliquit…
Macr. Sat. I.16.30: Apud Granium Licinianum libro secundo
diligens lector inveniet… Cfr.: Macr. Sat. I.18.4; Arnob. III.31; III.38; V.18; Fest. Ricae,
p.
[18] Fest. Proculiunt, p.
[19]
Gell. IV.6.10: verba Atei Capitonis ex quinto librorum, quos de pontificio iure
composuit…; Fest. Mundus,
p.
[21] Just., De concept. digestorum, 1: Cum
itaque nihil tam studiosum in omnibus rebus invenitur quam legum auctoritas,
quae et divinas et humanas res bene disponit et omnem iniquitatem expellit,
repperimus autem omnem legum tramitem, qui ab urbe Roma condita et Romuleis
descendit temporibus, ita esse confusum, ... extendatur et nullius humanae
naturae capacitate concludatur.
[22]
Pomponius, D.1.2.2.2: Quae omnes conscriptae exstant in libro Sexti
Papirii...; Pomponius. D.1.2.2.3-4: quas
in tabulas eboreas perscriptas pro rostris composuerunt, ut possint leges
apertius percipi.
[23]
Pomponius, D.1.2.2.5: Haec disputatio et hoc ius, quod sine scripto
venit compositum a prudentibus.
[24]
Pomponius. D.1.2.2.36: Post hunc Appius Claudius eiusdem generis maximam
scientiam habuit: hic Centemmanus appellatus est, Appiam viam stravit et aquam
Claudiam induxit et de Pyrrho in urbe non recipiendo sententiam tulit: hunc
etiam actiones scripsisse traditum est primum de usurpationibus, qui liber non
exstat.
[25]
Sul diritto sacro nelle XII tavole vedi: Kofanov
L., Sul problema della palingenesi
delle XII tavole, in Le leggi delle
XII tavole., Mosca, 1996, 175-210.
[26]
Ulp. D.1.1.1.2: Publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit.
La storiografia su questo brano d’Ulpiano ved. in: Sini F., Varr. de
ling. lat. 5,86 e il “diritto internazionale” romano
(riflessioni su fides, bellum, hostis, pax), in Ius
Antiquum 12, 2003, 45. n.
14.
[27] Auson. Idyll. 11.61-62: Ius triplex,
tabulae quod ter sanxere quaternae, sacrum, priuatum, populi commune quod
usquam est.
[28] Cic. de leg. III.20.49: De iure
populi Romani, quem ad modum instituisti, dicendum nihil putas?... Faciam breuiter
si consequi potuero... Nos autem de iure naturae cogitare per nos atque dicere
debemus, de iure populi Romani, quae relicta sunt et tradita.
[29]
Cic. De leg. II.19-22: [19] Ad
diuos adeunto, caste, pietatem adhibento, opes amouento. Qui secus faxit, deus
ipse uindex erit. Separatim nemo habessit deos neue nouos neue aduenas nisi publice adscitos;
priuatim colunto quos rite a patribus acceperint. In urbibus delubra habento.
Lucos in agris habento et larum sedes. Ritus familiae patrumque seruanto. Diuos
et eos qui caelestes semper habiti sunt colunto et ollos quos endo caelo merita
locauerint, Herculem, Liberum, Aesculapium, Castorem, Pollucem, Quirinum, ast
olla propter quae datur hominibus ascensus in caelum, Mentem, Virtutem,
Pietatem, Fidem, earumque laudum delubra sunto nec ulla uitiorum. Sacra
solemnia obeunto.
Feriis iurgia
amouento, easque in famulis operibus patratis habento, itaque, ut rite cadant
in annuis anfractibus, descriptum esto. Certasque fruges certasque bacas sacerdotes publice libanto,
hoc certis sacrificiis et diebus.
[20] Itemque alios ad
dies ubertatem lactis feturaeque seruanto, idque nec omitti possit, ad eam rem
rationem habento, cursus annuos sacerdotes finiunto, quaeque quoique diuo
decorae grataeque sint hostiae, prouidento.
Diuisque aliis alii
sacerdotes, omnibus pontifices, singulis flamines sunto. Virginesque Vestales
in urbe custodiunto ignem foci publici sempiternum.
Quoque haec et priuatim et publice modo rituque fiant,
discunto ignari a publicis sacerdotibus. Eorum autem genera sunto tria: unum
quod praesit caeremoniis et sacris, alterum quod interpretetur fatidicorum et
uatium effata incognita, quorum senatus populusque adsciuerit. Interpretes
autem Iouis optumi maxumi, publici augures, signis et auspiciis postera uidento,
[21] disciplinam tenento sacerdotesque docento, uineta uirgetaque ad salutem
populi auguranto; quique agent rem duelli quique popularem, auspicium
praemonento ollique obtemperanto. Diuorumque iras prouidento ostentisque
apparento, caelique fulgura regionibus ratis temperanto, urbemque et agros et
templa liberata et efflata habento. Quaeque augur iniusta nefasta uitiosa dira
deixerit, inrita infectaque sunto; quique non paruerit, capital esto.
Foederum pacis, belli, indotiarum
oratores fetiales sunto, uindices non sunto, bella disceptanto. Prodigia
portenta ad Etruscos [et] haruspices, si senatus iussit, deferunto, Etruriaque
principes disciplinam doceto. Quibus diuis creuerint, procuranto, idemque
fulgura atque obstita pianto. Nocturna mulierum sacrificia ne sunto praeter
olla quae pro populo. Neue quem initianto nisi, ut adsolet, Caereri Graeco
sacro.
[22] Sacrum commissum, quod neque
expiari poterit, impie commissum, esto; quod expiari poterit, publici
sacerdotes expianto. Loedis publicis [...], quod sine curriculo et sine
certatione corporum fiat, popularem laetitiam et cantu et fidibus et tibiis
moderanto eamque cum diuom honore iungunto. Ex patriis ritibus optuma colunto.
Praeter Idaeae Matris famulos eosque iustis diebus ne quis stipem cogito. Sacrum
sacroue commendantum qui clepserit rapsitue, parricida esto. Periurii poena diuina
exitium, humana dedecus esto. Incestum pontifices supremo supplicio sanciunto. Impius ne audeto placare donis iram
deorum. Caute uota reddunto. Poena uiolati iuris esto. [Quocirca] nequis agrum
consecrato. Auri argenti eboris sacrandi modus esto. Sacra priuata perpetua
manento. Deorum Manium iura sancta sunto. Humanos leto datos diuos habento. Sumptum in ollos luctumque minuunto.
[30]
Nel trattato De natura deorum
Cicerone sottolinea anche queste tre categorie dei sacerdoti come principali:
Cic. De nat. deor. III.2.5: cumque
omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium
adiunctum sit si quid praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae
interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam
contemnendam putavi.
[31] Sini F.,
Sua cuique civitati religio. Religione e
diritto pubblico in Roma antica, Torino 2001, 156-158.
[32]
August. De civ. Dei, VI.3: Quadraginta et unum libros scripsit
Antiquitatum; hos in res humanas divinasque divisit, rebus humanis viginti
quinque, divinis sedecim tribuit, istam secutus in ea partitione rationem, ut
rerum humanarum libros senos quattuor partibus daret. Intendit enim qui agant,
ubi agant, quando agant, quid agant. In sex itaque primis de hominibus
scripsit, in secundis sex de locis, sex tertios de temporibus, sex quartos
eosdemque postremos de rebus absolvit. Quater autem seni viginti et quattuor
fiunt. Sed unum singularem, qui communiter prius de omnibus loqueretur, in
capite posuit. In divinis identidem rebus eadem ab illo divisionis forma
servata est, quantum attinet ad ea, quae diis exhibenda sunt. Exhibentur enim
ab hominibus in locis et temporibus sacra. Haec quattuor, quae dixi, libris
complexus est ternis: nam tres priores de hominibus scripsit, sequentes de
locis, tertios de temporibus, quartos de sacris, etiam hic, qui exhibeant, ubi
exhibeant, quando exhibeant, quid exhibeant, subtilissima distinctione commendans.
Sed quia oportebat dicere et maxime id exspectabatur, quibus exhibeant, de
ipsis quoque diis tres conscripsit extremos, ut quinquies terni quindecim
fierent. Sunt autem omnes, ut diximus, sedecim, quia et istorum exordio unum
singularem, qui prius de omnibus loqueretur, apposuit. Quo absoluto
consequenter ex illa quinquepertita distributione tres praecedentes, qui ad
homines pertinent, ita subdivisit, ut primus sit de pontificibus, secundus de
auguribus, tertius de quindecimviris sacrorum; secundos tres ad loca
pertinentes ita, ut in uno eorum de sacellis, altero de sacris aedibus diceret,
tertio de locis religiosis; tres porro, qui istos sequuntur et ad tempora
pertinent, id est ad dies festos, ita, ut unum eorum faceret de feriis, alterum
de ludis circensibus, de scaenicis tertium; quartorum trium ad sacra
pertinentium uni dedit consecrationes, alteri sacra privata, ultimo publica.
Hanc velut pompam obsequiorum in tribus, qui restant, dii ipsi sequuntur
extremi, quibus iste universus cultus impensus est: in primo dii certi, in
secundo incerti, in tertio cunctorum novissimo dii praecipui atque selecti.
[37] Cic. De nat. deor. III.2.5: mihique
ita persuasi, Romulum auspiciis Numam sacris constitutis fundamenta iecisse
nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum
inmortalium tanta esse potuisset.
Cfr.: Liv. I.7.1.
[38] Dionys. II.63.4: perilabën d ¤pasan
t¾n perˆ t¦ qe‹a nomoqes…an grafa‹j
die‹len e„j Ñktë mo…raj, Ósai
tîn ƒerîn Ãsan aƒ summor…ai.
[39] Dionys. II.74.1: T¦ d' e„j
eÙtšlei£n te kaˆ swfrosÚnhn ¥gonta tÕn
˜k£stou b…on kaˆ e„j ™piqum…an
katast»santa tÁj fulattoÚshj ™n Ðmono…v
t¾n pÒlin dikaiosÚnhj ple‹sta Ósa, t¦
mn
™ggr£foij perilhfqšnta nÒmoij, t¦
d' œxw grafÁj e„j
™pithdeÚseij ¢cqšnta kaˆ sunask»seij
cron…ouj.
[40] Dionys. II.64.1: 'Apšdwke d m…an mn ƒerourgiîn di£taxin to‹j
tri£konta kour…wsin, oÞj œfhn t¦ koin¦
qÚein Øpr tîn fratriîn ƒer£.
[41] Dionys. II.64.2: t¾n d deutšran
to‹j kaloumšnoij ØpÕ mn `Ell»nwn stefanhfÒroij, ØpÕ
d
`Rwma…wn fl£mosin, oÞj ™pˆ tÁj for»sewj
tîn p…lwn te kaˆ stemm£twn, §
kaˆ nàn œti foroàsi fl£ma kaloàntej, oÛtw
prosagoreÚousi.
[42] Dionys. II.64.3: t¾n d tr…thn
to‹j ¹gemÒsi tîn keler…wn, oÞj
œfhn ƒppe‹j te kaˆ pezoÝj strateuomšnouj
fÚlakaj ¢pode…knusqai tîn basilšwn, kaˆ
g¦r oátoi tetagmšnaj tin¦j ƒerourg…aj
™petšloun.
[43]
Fest. p.
[44] Dionys. II.64.4: t¾n d tet£rthn
to‹j ™xhgoumšnoij t¦ qeÒpempta shme‹a
kaˆ diairoàsi t…nwn ™stˆ mhnÚmata
pragm£twn „d…v te kaˆ dhmos…v, oÞj
¢f' ˜nÕj e‡douj tîn
qewrhm£twn tÁj tšcnhj `Rwma‹oi kaloàsin
aÜgoraj, ¹me‹j d' ¨n
e‡poimen o„wnopÒlouj, ¡p£shj
tÁj mantikÁj par' aÙto‹j Ôntaj
™pist»monaj tÁj te perˆ t¦ oÙr£nia
kaˆ t¦ met£rsia kaˆ t¦ ™p…geia.
[45] Dionys. II.64.5: t¾n d pšmpthn ta‹j fulattoÚsaij
tÕ ƒerÕn pàr parqšnoij, a‰
kaloàntai prÕj aÙtîn ™pˆ tÁj
qe©j ¿n qerapeÚousin ˜sti£dej, aÙtÕj
prîtoj ƒerÕn ƒdrus£menoj `Rwma…oij
`Est…aj kaˆ parqšnouj ¢pode…xaj aÙtÍ
quhpÒlouj·.·
[46] Dionys. II.70.1: “Ekth d mo‹ra
tÁj perˆ t¦ qe‹a nomoqes…aj Ãn ¹
prosnemhqe‹sa to‹j kaloumšnoij ØpÕ
`Rwma…wn sal…oij, oÞj aÙtÕj Ð NÒmaj
¢pšdeixen ™k tîn patrik…wn dèdeka
toÝj eÙprepest£touj ™pilex£menoj nšouj, ïn ™n
Palat…J ke‹tai t¦ ƒer¦ kaˆ
aÙtoˆ kaloàntai Palat‹noi.
[47]
Dionys. II.72.1: `H d ˜bdÒmh
mo‹ra tÁj ƒer©j nomoqes…aj tù
sust»mati prosetšqh tîn kaloumšnwn fetial…wn. oátoi
d' ¨n e‡hsan kat¦ t¾n
`Ellhnik¾n kaloÚmenoi di£lekton e„rhnod…kai. e„sˆ
d' ™k tîn ¢r…stwn o‡kwn
¥ndrej ™p…lektoi di¦ pantÕj ƒerèmenoi
toà b…ou, NÒma toà basilšwj prètou
kaˆ toàto `Rwma…oij tÕ ƒerÕn
¢rce‹on katasthsamšnou·.
[48]
Dionys. II.73.1: Teleuta‹oj d' Ãn
tÁj NÒma diat£xewj merismÕj Øpr tîn
ƒerîn, ïn œlacon oƒ t¾n meg…sthn
par¦ `Rwma…oij ƒerate…an kaˆ ™xous…an
œcontej. oátoi kat¦ mn t¾n ˜autîn di£lekton
™f' ˜nÕj tîn œrgwn Ö
pr£ttousin ™piskeu£zontej t¾n xul…nhn
gšfuran pont…fikej prosagoreÚontai, e„sˆ
d
tîn meg…stwn pragm£twn kÚrioi.
[49] Fest. Ordo sacerdotium, p.