N. 4 – 2005 – Cronache
VII
Seminario Internazionale di Studi
Tradizioni
religiose e Istituzioni giuridiche
del Popolo sardo:
il culto di San Costantino
Imperatore tra Oriente
e Occidente
(Sedilo-Oristano-Sassari,
5-7 luglio 2004)
Nei giorni 5-7 luglio
2004, organizzato dal Dipartimento di Scienze giuridiche e dalla Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Sassari, dalla Sezione di Roma ‘Giorgio La Pira’ dell’ITTIG-CNR, con il
patrocinio del Comitato nazionale per il Centenario di Giorgio La Pira, si è svolto, a
Sedilo-Oristano-Sassari, il VII Seminario Internazionale di Studi
«Tradizioni religiose e Istituzioni giuridiche del Popolo sardo: il culto di
San Costantino Imperatore tra Oriente e Occidente».
La seduta inaugurale,
dedicata al tema de “Il culto”, si è tenuta la mattina del 5 luglio, nel Salone
San Giuseppe, a Sedilo, (in provincia di Oristano), ove a San Costantino
Imperatore è dedicato un santuario, che, in particolare nei giorni della festa
(5-7 luglio) in onore del Santo, è centro di preghiera e meta di
pellegrinaggio. Momento fondamentale della festa è l’‘Ardia’, la rievocazione
equestre dello scontro fra l’esercito di Costantino e di Massenzio.
Dopo i saluti di rito
del Sindaco del comune ospite, Renato
Nieddu, hanno svolto
interventi introduttivi i professori Pierangelo
Catalano (Università di Roma “La Sapienza”) e Francesco Sini (Università di Sassari).
Pierangelo Catalano, nel suo intervento, ha
tratteggiato la figura di un “grande sindaco”, Giorgio La Pira, del quale, nel 2004,
mentre è in corso la causa di beatificazione, ricorre il centenario della
nascita. A Giorgio La Pira,
romanista si deve il “discorso di avvio” dei Seminari costantiniani che hanno
preceduto il presente.
Il relatore ha richiamato l’attenzione su alcune “premesse” e “conseguenze” del
discorso lapiriano su Costantino Imperatore, su Costantinopoli e su Mosca
“città Santa”. Giorgio La Pira,
in una lettera, del 1961, nella quale ringrazia il Patriarca ecumenico
Atenagora per la “paterna accoglienza” da questi riservatagli nel 1960, a Costantinopoli,
afferma il legame tra la sua “anima” e la “Chiesa di Costantinopoli”, “seconda
Roma”. Nell’Epifania del 1964, nel messaggio rivolto al corpo consolare, il
sindaco La Pira
scrive che «il moto irreversibile verso l’unità» ha conseguito il suo «punto di
pienezza (davvero: plenitudo temporis) con l’incontro di Paolo
VI, sul Monte degli Ulivi, con il Patriarca Atenagora». L’illustre sindaco e
romanista, a Sofia, nel 1972,
in una sessione della Federazione delle Città Unite di
cui egli è presidente, esprime la convinzione della importanza di
Costantinopoli in quanto strumento di unità dei cristiani e di tutta l’umanità:
il posto occupato dalla Bulgaria e da Sofia costituisce «un autentico ponte
storico, culturale, spirituale, politico, collocato fra le due rive
dell’Europa: la riva di Occidente e quella di Oriente: la riva di Roma e la
riva di Costantinopoli, di Kiev e di Mosca». Nel 1959, Giorgio La Pira si reca per un primo
“pellegrinaggio” a Mosca. In una circolare del 1963, indirizzata alle suore
claustrali, in cui egli commenta il recente accordo nucleare di Mosca del 5 agosto
dello stesso anno, osserva che la
Chiesa di Mosca è «la Chiesa orientale fondamentale: ha non meno di 150
milioni di fedeli». Nel 1961,
in una lettera al segretario del partito comunista polacco
Gomolka, egli scrive che «il tempo dell’ateismo è finito, per sempre! Anche le
generazioni nuove della Russia cercano i grandi valori della fede, della
preghiera, della bellezza, dell’eternità! Cercano – nella patria russa
socialista – la fede e la luce della Santa Russia e della Santa Mosca». Al
Cardinale Wyszynsky, prima del Conclave, nell’ottobre 1958, Giorgio La Pira scrive che «la ‘storia
sacra’ di domani passa per Varsavia, giunge a Mosca e va oltre, verso gli spazi
della Cina e di tutta l’Asia. Un sogno? No: una ‘previsione’ mariana che ha il
suo suggello nel ‘segreto’ di Fatima». In una lettera indirizzata a Giovanni
XXIII, nel 1961, egli nota che «la pace del mondo passa da Mosca e da Roma e
(da Pietro!) (come la Madonna
ha detto)». Tali “passioni” del “sindaco romanista”, ha osservato il relatore,
corrispondono a quelle da lui assunte, ancora diciottenne, nel 1922, a proposito del
Bolscevismo e della Santa Mosca, in uno scritto finora inedito, in cui egli
rifiuta il Fascismo, per il quale pure aveva avuto una “qualche tentazione”,
scritto ove si trova già delineato il suo pensiero, che si ritroverà negli
scritti a partire dal 1950, sulla Santa Mosca e sull’Asia. Pierangelo Catalano,
in conclusione, si è soffermato sulla forte convinzione di Giorgio La Pira per il ruolo delle
autonomie locali e per la pace.
Francesco Sini,
nella sua qualità di responsabile della organizzazione scientifica del
‘Seminario’, ha posto sinteticamente in rilievo, nel quadro degli incontri e
degli scontri fra i sistemi giuridici mediterranei e fra le Chiese d’Oriente e
Occidente, la importanza del ‘Seminario’ per la «identità politica, giuridica e
religiosa» del Popolo sardo.
Nella sua relazione su Il
culto di San Costantino tra Gerusalemme e Costantinopoli, Alksej Pentkovskij
(Accademia Teologica di Mosca) ha richiamato l’osservazione di Giorgio La Pira, formulata nel 1968, in Tunisia, durante
una “Settimana di Studi sull’Uomo mediterraneo”, secondo cui la «civiltà
mediterranea» si basa su tre «fondamenti»: Gerusalemme, Atene, Roma. Di queste
tre città, solo due sono legate a Costantino, Santo e Imperatore. Nel Mediterraneo
esiste poi la città di Costantinopoli, legata al nome del suo fondatore e
divenuta assai presto la
Nuova Roma. Secondo l’antico lezionario di Gerusalemme,
risalente alla seconda metà del VII secolo e pervenutoci in una traduzione
georgiana, il ricordo dell’Imperatore Costantino è celebrato il 22 maggio, data
della sua morte. Con riferimento a Costantinopoli non abbiamo informazioni
dirette riguardanti le particolarità del culto di San Costantino per il periodo
preiconoclastico prima del 626. L’appartenenza dell’antico rito costantinopolitano
alla tradizione liturgica antiochena induce a ricondurre tale culto all’antico
culto gerosolimitano e antiocheno. Durante il periodo iconoclastico, il ricordo
di San Costantino è celebrato, nelle fonti liturgiche di provenienza
costantinopolitana, il 21 e non il 22 come a Gerusalemme. Nella più antica
testimonianza liturgica per Costantinopoli, il Tipico del Patriarca Alessio
Studita, conservatoci in una traduzione slava, si trova la descrizione della
ufficiatura celebrata il 21 maggio e intitolata alla «Memoria dei Santi re
Costantino ed Elena». A Costantino, descritto come il Nuovo Davide, si fa
riferimento, inoltre, nel “Troparion” festivo e nella prima preghiera del rito
bizantino di incoronazione. In chiusura della sua relazione, Alksej Pentkovskij
ha analizzato il rafforzamento del culto di Costantino, nella metà del X
secolo, ad opera dell’imperatore Costantino Porfirogenito.
Panayotis L. Vocotopoulos
(Università di Atene) ha letto, con l’ausilio di diapositive, una relazione su Remarques sur l’iconographie de Saint
Constantin en Grèce. Il
relatore ha osservato che il nome di Costantino è fra i più diffusi in Grecia.
Al contrario di quanto ci si aspetterebbe, però, solo un numero irrisorio di chiese
è dedicato a San Costantino. L’Imperatore, nella iconografia tradizionale
greca, è di solito raffigurato con la madre Elena. Non esistono raffigurazioni
risalenti al periodo paleo-cristiano. Gli esempi più risalenti sono
attribuibili al periodo post-iconoclastico, in cui si registra una grande
espansione del culto relativo al Santo Imperatore e alla madre. Il più antico
complesso monumentale che raffigura assieme i due Santi, a destra della croce,
si trova in Cappadocia. In conclusione, Panayotis L. Vocotopoulos ha esaminato
una serie di raffigurazioni dei due Santi, in mosaici, affreschi e sculture, soffermandosi
sugli edifici sacri in cui esse sono custodite.
Srdjan Šarkić
(Università di Novi Sad), nella sua relazione su Le culte de Sain
Constantin dans les sources médiévales serbes, ha considerato la
tradizione, ricorrente nelle fonti serbe sin dalla fondazione della dinastia
reale, relativa a Costantino il Grande. La vita dell’Imperatore costituisce un
modello per il fondatore della dinastia serba, Stefano Nemanja, descritto, nei
testi della letteratura agiografica serba, come il Nuovo Costantino. Alla
immagine di San Costantino si ricorre per la prima volta nella «Vita di San
Simeone» (una biografia di Stefano Nemanja, scritta da suo figlio e successore
Stefano Primo Coronato). In tale opera si trova un paragone tra Nemanja e
Costantino, in particolare nel primo capitolo, in cui è descritta la battaglia
di Pantin a seguito della quale Nemanja assume il potere. Nell’opera
agiografica «Vite dei re e degli arcivescovi serbi» dell’Arcivescovo Danilo II,
le qualità del re Milutin, nella lotta contro gli infedeli, sono paragonate a
quelle dell’Imperatore Costantino. Al monaco Danilo, il futuro Patriarca Danilo
III, si deve, inoltre, una descrizione del re Milutin come erede delle qualità
dei re dell’Antico Testamento e della pietà di Costantino. E Stefano Decanski,
figlio e successore del re Milutin, è celebrato come il Nuovo Costantino nelle
fonti agiografiche serbe. Il modello di Costantino il Grande e l’idea di Roma
eterna, ancora, ispirano Stefano Dusan nella proclamazione dello Stato serbo
come Impero.
Ieromonaco Nestor (Diocesi di Korsun, Parigi),
Il culto di San Costantino isoapostolo nella tradizione della Chiesa
russa, ha sostenuto che Costantino costituisce, sin dalle origini della
Chiesa russa, il modello del governante cristiano, il quale amministra il
potere ricevuto da Cristo e costruisce il suo regno secondo quello di Dio.
Nella coscienza della Chiesa russa, il culto di San Costantino Imperatore,
anche se distante nel tempo, è ben presente. Ivan IV, il primo zar consacrato a
Mosca dal Metropolita Macario, è paragonato a Costantino anche sotto il profilo
militare. Tracce significative del culto di San Costantino Imperatore si
rinvengono, inoltre, negli affreschi della Cattedrale dell’Assunzione a Mosca.
L’equilibrio tra potere civile e potere religioso viene meno, in Russia, con
Pietro il Grande, che decide di governare lui stesso la Chiesa russa. Egli è
paragonato a Costantino Imperatore e la città di San Pietroburgo è considerata
santa.
Ivan Biliarsky (Università di Varna) ha
letto una relazione su Contribution à l’étude du culte de Saint
Constantin en Walachie au XVIIe siècle. Le service du monastère Hurez
(BAR, Mss. Sl. 778), nella quale ha presentato un manoscritto, finora
sconosciuto, conservato presso il Dipartimento dei manoscritti della Biblioteca
dell’Accademia rumena. Nel primo foglio del manoscritto sono raffigurati i
Santi Imperatori Costantino ed Elena posti ai lati della croce. Il manoscritto
si inserisce in una ricca tradizione costantiniana radicata, in Valacchia e in
Moldavia, durante il Medioevo e gli inizi dell’età moderna. Espressione
importante di tale tradizione è, fra l’altro, l’elogio predisposto dal
Patriarca Eutimio di Târnovgrad, conosciuto in Moldavia sin dal XV secolo, e la
traduzione di tale elogio predisposta, al tempo del principe Costantino
Bassarab Brancovan, nel XVIII secolo, da un autore, a noi sconosciuto, legato
al sovrano. Il richiamo da parte di Costantino Bassarab Brancovan al culto di
San Costantino si giustifica al fine di elaborare una base ideologica del
predominio del potere laico sul potere ecclesiastico. Il sovrano, secondo
l’esempio di Costantino, diviene così il difensore della Chiesa e di tutti i cristiani.
L’importanza del culto di Costantino, in seno alla corte della Valacchia,
sfocia nella fondazione del monastero di Hurez, consacrato ai Santi Costantino
ed Elena, destinato a divenire centro di elaborazione e di diffusione della
letteratura costantiniana. Esempio particolarmente interessante di tale letteratura
è un libro, pubblicato nel 1696
a Snagov, dal letterato Mihai Stefanović, nel quale
sono riportati il canone e altri servizi in onore dei Santi Costantino ed
Elena. In tale libro è pubblicato il testo del canone di preghiera del
manoscritto BAR, Mss. sl. 778, con l’unica differenza relativa alle rubriche,
scritte in rumeno, mentre il testo della preghiera è sempre scritto in slavo.
Il libro, inoltre, è quasi certamente da intendersi in relazione ad altri due
manoscritti probabilmente redatti nel monastero di Hurez: «Servizio dei Santi
Imperatori, scritto a mano in rumeno e in serbo» e «Le vite dei Santi
Imperatori».
In una relazione su I
gosos dei Santi e in particolare quelli di San Costantino, Antonio Francesco Spada (Istituto
Magistrale ‘Sedes Sapientiae’, Bosa) ha richiamato l’attenzione sul
significato, nella poesia “popolare” e “colta”, del termine gosos, dal
latino medievale gaudium, verosimilmente attraverso il castigliano gozo.
Il termine gosos, nel sardo logudorese, indica una «composizione poetica
religiosa extraliturgica», che si canta, dopo le novene o le messe, in
occasione delle feste popolari dedicate alla Trinità, al Redentore, alla
Vergine o ai Santi. Antonio Francesco Spada si è soffermato su due questioni
fondamentali: la prima relativa alla origine della struttura formale e della
melodia dei gosos; la seconda relativa alla natura popolare o no dei gosos.
Con riferimento alla prima questione, egli ha messo in rilievo le differenze
fra i gosos e i componimenti iberici denominati gozos e goigs e
quelle fra i gosos e le laudi, che hanno tratto origine dalla
spiritualità francescana medievale. È opinione oggi diffusa che le composizioni
sarde siano di «matrice locale». È però probabile, secondo il relatore, che
esse derivino dalla innografia bizantina, sorta, fra il V-VI secolo in Siria, a
seguito delle numerose conversioni al cristianesimo. Con riferimento alla
seconda questione, Antonio Francesco Spada ha sostenuto la necessità di
valutare la questione in maniera distinta a seconda che ci si riferisca al
testo o alla melodia dei gosos. Non ci sono dubbi che per la melodia dei
gosos si possa parlare di un «canto popolare». Per quanto riguarda i
testi, invece, egli, dopo una sintetica rassegna della letteratura sulla
questione ora analizzata, ha sostenuto che i gosos non siano «poesia
popolare in senso stretto», poiché essi non sono espressione istintiva
dell’animo di un popolo. Frutto della attività di “poeti semidotti”
(l’espressione è di Giovanni Spano), i gosos, pur non avendo una origine
popolare, acquisiscono una natura popolare con l’uso da parte del popolo. Il
relatore ha chiuso l’intervento con una rassegna delle raccolte principali di ‘gosos’,
soffermandosi su quelli in onore di San Costantino, composti dal sacerdote
Bachisio Michele Carboni, nato a Sedilo nel 1823, autore di una «Novena in
onore de Santu Costantinu Magnu Imperatore», che si recita nel Santuario
sedilese dedicato al Santo Imperatore dal 23 al 31 agosto.
La seduta di martedì 6
luglio, presieduta dal Prorettore della Università di Sassari, Attilio Mastino, si è aperta, nella Sala Consiliare della città
di Oristano, dopo i saluti del sindaco, Antonio
Barberio, e del Prefetto della città ospite, Giovanni Battista Tuveri,
con un intervento di Francesco Sini,
il quale, in riferimento alla identità del Popolo sardo, ha ricordato
l’importanza di Oristano, città di Eleonora d’Arborea, simbolo della
legislazione sarda medievale, in particolare con la Carta de Logu,
fondata sulla tradizione giuridica romana. La Carta de Logu è stata la legislazione
che, dal 1390 circa, ha rappresentato, fino al 1827, la legge fondamentale del
regno di Sardegna, legge fatta propria dai Catalani, dagli Spagnoli e dai
Piemontesi. In questa città, i Sardi tentano l’«ultima resistenza autonomistica»
contro i Catalani: è qui, infatti, che si verifica l’ultimo tentativo di
riprodurre il Giudicato di Arborea ad opera di Leonardo Alagón. La diocesi di
Oristano, ha ricordato in chiusura Francesco Sini, conserva ancora il titolo di
Arborea. Un luogo, quindi, carico di suggestioni per la autonomia del Popolo
sardo.
Vladislav
Zypin
(Accademia Teologica di Mosca), in
una relazione su Attualità dell’editto
di Milano di San Costantino nella Russia contemporanea, ha esordito
osservando che la civiltà europea è oggi in crisi. L’esito di tale crisi non è
naturalmente prevedibile, ma è certo che la civiltà europea non può esistere
senza fare riferimento al suo patrimonio cristiano. Il relatore ha sostenuto
che l’editto dell’Imperatore Costantino è impregnato del valore della
tolleranza religiosa. L’editto contiene una difesa di coloro che professano
diverse religioni. Allo stesso tempo, esso si rivolge ai fedeli del vero Dio e
a coloro che si allontanano dalla fede. Vladislav Zypin ha poi messo in luce la
consapevolezza, da parte di Giorgio La
Pira, dell’importanza del cristianesimo per la civiltà
europea. La visita di Giorgio La
Pira alla città di Mosca, «roccaforte dell’ateismo», non in
qualità di turista, ma di pacificatore, costituisce un momento di una attività
importantissima finalizzata ad evitare una nuova guerra mondiale. Il suo invito
a tagliare i rami secchi dell’ateismo è stato profetico: oggi, in Russia,
l’ateismo è morto. Il relatore ha chiuso il suo intervento osservando che il
Seminario costantiniano può essere una testimonianza per il mondo cristiano,
secondo una prospettiva che dall’Imperatore Costantino conduce a Giorgio La Pira.
Giovanni
Maria Vian (Università di Roma ‘La Sapienza’) ha presentato un contributo su Il
rapporto tra sacerdozio e impero nelle vicende della donazione di Costantino,
nel quale ha rilevato che il problema centrale della donazione di Costantino
concerne il rapporto tra il Papa e l’Imperatore, e quindi il ruolo del “sovrano”
nella Chiesa dopo Costantino. Tale problema, stando a Eusebio di Cesarea, si
pone già prima della morte di Costantino (nell’anno 337) e giunge fino alle
soglie della “età moderna”. La concezione del potere politico, che in età
ellenistica vede protagonista assoluto il sovrano, è ripresa da diversi
filosofi, si trasmette al giudaismo ellenistico e quindi al cristianesimo. Dopo
Eusebio, un autore latino, alla fine del IV secolo, Ambrosiaster, utilizza una
formula espressione di tale concezione: Dei enim imaginem habet rex. Rex
enim adoratur in terris quasi vicarius dei. Con riferimento alle basiliche
reclamate da cattolici e da ariani, i quali ultimi l’Imperatore vorrebbe
favorire, Ambrogio sostiene che non può essere “diritto di Cesare il tempio di Dio”.
Un secolo dopo Ambrogio, Gelasio, Papa lui stesso, teorizza fra il 492 e il 496
il rapporto fra sacerdotium e regnum. Infine, nel Constitutum
Silvestri, resoconto di un concilio immaginario, scritto tra il 498
e il 507, si legge: “Nessuno giudicherà la prima sede perché tutte le sedi
desiderano essere regolate con giustizia e il giudice (scil. il Papa)
non sarà giudicato dall’Imperatore, né da qualsiasi clero, né dal re, né dal
popolo. In conclusione, il relatore ha espresso la opinione secondo cui il
nucleo fondamentale del Constitum Constantini, la donazione
costantiniana, coincida con la questione della supremazia del Papa sulle altre
sedi e la supremazia anche temporale in Occidente, resa possibile a causa del
venire meno della autorità imperiale. Nel 1054, la donazione giunge a Costantinopoli.
Nell’XI secolo, è tradotta in greco e più tardi in russo. Nel 1653, entra nel
diritto canonico della Chiesa russa. Solo nel 1805, in una opera a
stampa, essa è considerata apocrifa. Nicolò Cusano dimostra la falsità della
donazione e Valla riprende la dimostrazione.
Nina Sinizyna
(Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, Mosca), nella
relazione su Il paradigma di Costantino il Grande nella dottrina su
sacerdozio e impero (secondo i testi giuridici e narrativi russi), ha
sostenuto che la importanza di Costantino il Grande, per la storia della
cristianità, non si limita agli eventi del IV secolo. Anche nelle età
successive il cristianesimo trova, nella immagine dell’Imperatore, il modello per
la formazione di alcune idee fondamentali. La prima di tali idee è la immagine
del “sovrano ideale”; la seconda è la “sinfonia dell’impero”; la terza, meno
nota, riguarda la presenza del nome di Costantino il Grande nella
periodizzazione della storia mondiale, anche del XX secolo. La relatrice ha
ricordato l’opinione, espressa nel 1918, dal teologo russo S.N. Bulgakov,
secondo il quale, nella storia della Chiesa, la epoca di Costantino sarebbe
finita solo nel 1917, con il crollo dell’impero. Per il teologo è fondamentale
considerare la sinfonia del sacerdozio e dell’impero, il legame tra la
religione ortodossa in Russia e la monarchia. Le idee di S.N. Bulgakov
influenzano A.V. Kartašev, secondo il quale la Chiesa e lo Stato non
devono essere considerati come contendenti, ma in “armonia” e in “consenso”. È
ciò che nel linguaggio ufficiale si designa col termine “sinfonia”. Negli anni
1946-1955, A.V.
Kartašev polemizza con A. Šmeman sulla valutazione del principio della
“sinfonia”. A.V. Kartašev è dell’opinione che le violazioni non risolvano nel
nulla la vigenza e la forza del principio della sinfonia, a differenza di
quanto ritiene A. Šmeman, secondo il quale le continue violazioni mettono in
dubbio l’esistenza del principio della sinfonia. Più recentemente il tema della
sinfonia è stato ripreso da G. Dagron e da C.G. Pitsakis. Il primo ha fatto uso
del vecchio concetto di cesaropapismo. Il
secondo ha riconosciuto, nella sinfonia, il principio ideologico fondamentale
sul piano politico, filosofico e morale di Bisanzio, con riferimento specifico
alla unità politica e giuridica dell’impero e della Chiesa.
La relatrice si è dunque soffermata sulla importanza di Costantino il Grande e
di Giustiniano nella formulazione della dottrina sulla sinfonia, la quale, espressa
in modo più “dettagliato” nel XI secolo, diviene parte del diritto canonico
russo, fino a quando essa è oggetto di un espresso riferimento, nel XVI secolo,
nello Stoglav. All’inizio dello Stoglav, nella premessa dello Zar Ivan IV, si
trova un riferimento a Elena e a Costantino, considerato il primo zar cristiano
russo. Con riferimento ai tentativi delle autorità secolari di limitare i
diritti della Chiesa, le autorità ecclesiastiche fanno riferimento alla
donazione di Costantino. Una tappa importante di tale formulazione è il
battesimo del Principe Ivan III il Grande nominato come il “nuovo Costantino”.
Mosca diviene, quindi, la “città di Costantino”. In chiusura, Nina V. Sinizyna
ha ricordato la importanza nella storia della Russia, di Massimo il Greco, il
quale, nell’intento di descrivere la immagine del monarca ideale, richiama
Costantino il Grande e Papa Silvestro come esempio di consenso reciproco tra
sacerdozio e impero.
M.
Marcella Ferraccioli e Gianfranco
Giraudo (Università di
Venezia), con una relazione su Costantino ed il rapporto tra imperium e
sacerdotium nella ricerca storiografica dei Gesuiti Riceputi e Farlati
(1720-1773). I codici ritrovati del ‘Museo Illirico’, hanno presentato
i primi risultati di una ricerca condotta nella Biblioteca del Museo Correr di
Venezia, presso la quale sono stati rinvenuti undici codici, già oggetto di un
precedente lavoro incompiuto di raccolta di materiali, poi andati dispersi.
Emanuele Cicogna, al quale si deve una descrizione dei codici e dell’imponente lavoro
di raccolta condotto dai gesuiti Padre Filippo Riceputi, Padre Daniele Farlati
e Padre Iacopo Coleti, fra il XVIII e il XIX secolo, per la progettazione e la
realizzazione dell’Illyricum Sacrum, attribuisce ai codici 3219-3221 il
“titolo generico” di Constantiniana. Di tali codici, i primi due sono excerpta
da opere antiche e moderne relative al battesimo dell’Imperatore, mentre il
terzo è dedicato alla madre di Costantino, Santa Elena. In tali codici, degno
di attenzione è che il battesimo di Costantino sia presentato come un momento
importante del contrasto fra la
Chiesa romana e la
Chiesa orientale, connesso alla famosa donazione di
Costantino, della quale è messo in rilievo, con tono pungente, il carattere di
falso storico.
A conclusione della
seduta, Vladislav Zypin ha letto una sintesi della relazione su L’incoronazione del primo Zar russo, inviata dell’Archimandrita Makarij (Accademia
Teologica di Mosca), impossibilitato a partecipare ai lavori del Seminario. L’Archimandrita Makarij ha preso in
considerazione gli eventi che hanno segnato l’incoronazione dello zar nel XVI
secolo. Il Metropolita Macario incorona, all’età di 17 anni, lo zar Ivan IV il
Grande, nella Cattedrale Uspenskij del Cremlino. Al termine di una cerimonia, fortemente
influenzata dalle tradizioni di Bisanzio, il Metropolita invita lo zar a
governare secondo le leggi di Dio e a trattare con giustizia i sudditi.
L’avvenimento costituisce una tappa importante verso la formazione,
testimoniata nell’opera di Massimo il Greco, dell’autorità spirituale dello
zar. L’incoronazione dello zar da parte del Metropolita Macario ha favorito il
prestigio della politica estera della Russia. L’importanza di tale evento è
grandissima, anche perché, prima del 1547, l’incoronazione degli zar ortodossi
è appannaggio del Patriarca di Costantinopoli, mentre nella occasione essa
avviene di fronte al capo della Chiesa russa.
La seduta mattutina
del 7 luglio, tenutasi nell’Aula Magna della Università di Sassari e presieduta
dal Direttore del Dipartimento di Scienze umanistiche e dell’Antichità
dell’Università di Sassari, Luciano
Cicu, si è aperta con i
saluti del Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Giovanni Lobrano,
e con un intervento introduttivo di Pierangelo
Catalano. Quest’ultimo, nel ricordare che il Seminario si colloca
nel quadro delle celebrazioni del Centenario della nascita di Giorgio La Pira, ha letto il messaggio
inviato dal prof. Mario Primicerio
della Università di Firenze, già sindaco della stessa città, il quale, nella
sua qualità di Presidente delle celebrazioni del Centenario della nascita di
Giorgio La Pira,
ha portato i saluti della Fondazione La
Pira e del Comitato nazionale per il Centenario di Giorgio La Pira. Egli ha rilevato
che il Seminario costantiniano si ricollega a due “assi portanti” del pensiero
di Giorgio La Pira. Il
primo è relativo al dialogo tra i “due polmoni dell’Europa”, che si riflette
nel costante impegno ecumenico di Giorgio La Pira. Il secondo è
relativo al rapporto tra l’edificazione della città di Dio e l’impegno
quotidiano nelle città dell’uomo, che si esprime, in Giorgio La Pira, nella sacrale laicità
della politica. Giorgio La Pira,
ha concluso Mario Primicerio, riesce ad essere, in virtù della sua “prorompente
fede religiosa” e della sua formazione giuridico-romanistica, “profondamente e
responsabilmente laico nelle scelte politiche”.
Costantinos
G. Pitsakis (Università della Tracia, Komotini) ha presentato una relazione
su Saint Constantin, fils naturel, protecteur des enfants naturels: un
thème marginal de l’historiographie juridique byzantine, in cui ha
posto in risalto l’importanza che la famiglia assume nella legislazione
costantiniana. Costantino è il “protettore” della famiglia naturale e dei figli
naturali, poiché egli stesso è nato fuori del matrimonio di Costanzo Cloro. Il
relatore ha preso in esame il problema della santità di Costantino e di Elena,
soffermandosi in particolare sulla analisi della “Vita di Costantino”,
attribuita al Vescovo Ignazio, in cui sono messe in evidenza le nobili origini
della madre dell’Imperatore. Costantinos G. Pitsakis, in chiusura, ha ricordato
l’opera di Matteo Blastares, l’ultimo grande canonista bizantino, che ha
redatto, nel 1334-1335 a
Salonicco, la sua opera principale, divenuto il veicolo più importante di
trasmissione del diritto canonico bizantino nell’Oriente ortodosso.
Nella sua relazione, Per
lo studio delle costituzioni imperiali in Sardegna: cursus publicus e humanitas
costantiniana, Pietro Paolo
Onida (Università di Sassari) ha richiamato l’attenzione sul
significato della svolta costantiniana, che, secondo la tesi di Giorgio La Pira, deve essere individuato
nel dialogo, instaurato da Costantino, fra Chiesa e Impero, in una costante
apertura verso l’Oriente, in nome della tolleranza fra i popoli. Nel novero
delle costituzioni emanate da Costantino, in tema di cursus publicus, è
presente, con una intensità particolare, quel carattere della legislazione
costantiniana che ha indotto la dottrina a parlare di provvedimenti umanitari.
Eusebio, che in generale descrive le qualità dell’Imperatore con il termine “eÙsšbeia”, con riferimento
specifico alle relazioni tra Imperatore e i suoi sudditi, impiega il termine filanqrwp…a, che si esercita concretamente, fra l’altro, nella riscossione dei tributi
(vita Const. 1,14,1-6) e nel governo delle
province (vita Const. 1,25,1). La filanqrwp…a è una qualità “universale”, espressione importante della tolleranza,
in quanto si manifesta non solo nei riguardi di coloro che, fuori dall’Impero,
sono sotto la oppressione della tirannide (hist. eccl. 10,9,2; vita Const. 2,3,1), ma anche nei riguardi dei nemici (hist. eccl. 10,9,3; vita Const. 2,11,1-2;
4,54,1). Pietro Paolo Onida ha presentato una rassegna sintetica delle
costituzioni costantiniane aventi relazione con la Sardegna, tra le quali la
costituzione, CTh. 2,8,1, pubblicata a Cagliari, nel 321, indirizzata a
Helpidius, vicarius urbi, con la quale l’Imperatore stabilisce che in
occasione della domenica non si tengano processi, ma sia lecito emancipare i
servi e quella, CTh. 2,25,1, con la
quale, nel 325, Costantino interviene nella questione della separazione delle
cosiddette “famiglie servili”, ordinando che le “adgnationes servorum” debbano rimanere unite. Il relatore ha quindi
preso in considerazione la disciplina del cursus publicus, nei
secoli IV e V d.C., alla quale è indissolubilmente connesso, con risvolti
particolarmente significativi per il giurista, il tema della comunicazione fra
il potere centrale e quello periferico. Rispetto agli abusi, che si erano
verificati in passato con riferimento a tale disciplina, Costantino interviene,
per impedire gli abusi nella organizzazione del cursus publicus e
per alleviare le condizioni economiche disagiate nelle quali anche la Sardegna versava, con la
costituzione, del 315, CTh. 8,5,1, con cui si stabilisce il divieto di
distrarre i buoi dal lavoro dei campi per il cursus publicus, e con la
costituzione, del 316, CTh. 8,5,2, con cui
si proibisce di sottoporre gli animalia publica a maltrattamenti.
Da ultimo, Pietro Paolo Onida ha analizzato le fonti che attestano, con
particolare riguardo al cursus publicus, l’atteggiamento di Costantino
per gli animali non umani, ancora oggi perdurante, nella tradizione del Popolo
sardo, con la Ardia
di Sedilo. Tra le fonti, il relatore ha
richiamato quelle che attestano il rifiuto dei sacrifici cruenti (Eusebio, vita
Const. 4,9-10; Zosimo 2,29,1-5) e
le costituzioni che vietano il compimento di pratiche sacrificali legate alla
aruspicina (CTh. 9,16,1; CTh. 9,16,2; CTh. 16,10,1; CTh. 9,16,3 ) e quelle che
introducono limiti ai riti cruenti in onore delle divinità romane (CTh.
16,10,2; CTh. 16,2,5; CIL XI,5265 = ILS 705; Eusebio, vita Const. 2,45,1;
Eusebio, vita Const. 2,44). L’atteggiamento di Costantino, nei riguardi degli
animali non umani, non deve essere inteso come mera zoofilia, ma come parte di
una più ampia concezione del potere politico e del diritto.
Paolo
Ferretti
(Università di Trieste) ha svolto una relazione su Duo … unum (Gen.
2,24; Matt. 19,5-6): Costantino e il ripudio, nella quale ha richiamato
l’osservazione di Giorgio La Pira
secondo cui la famiglia è «sorgente della storia», una unità bipolare «Duo
… unum! (Genesi, I, 26-27; II, 23-24; Matt., XIX, 3-6)» che costituisce
«la pietra d’angolo sulla quale si edifica la storia di Israele e del mondo (e
la storia romana): e Cristo divinamente la conferma».
Il relatore ha ricordato, in tema di ripudio, l’insegnamento di Cristo, secondo
il quale, contro la tradizione israelitica nella quale è vivo il ricordo della
poligamia dei patriarchi e il libello di ripudio, il matrimonio è monogamico e
indissolubile (Gen. 1,27;2,24). Al tempo di Gesù, due scuole, quella di Hillel
e quella di Shammai, discutono sulle cause che possono determinare il divorzio:
la prima scuola ritiene che il divorzio sia ammissibile anche per cause futili;
la seconda ammette il divorzio esclusivamente in caso di «disordini sessuali
gravi», probabilmente solo nel caso di adulterio. Gesù, di fronte al tentativo
dei farisei di coglierlo in contraddizione in materia di ripudio (Matt. 5,31;
19,3; Marc. 10,1; Luc. 16,18), afferma il principio: «Quello dunque che Dio ha
congiunto, l’uomo non separi» (Matt. 19,4-6). Paolo Ferretti ha esaminato la
costituzione riportata in CTh. 3,16,1, indirizzata al Prefetto del Pretorio
Ablavio, nella quale Costantino stabilisce il divieto di ripudio per la moglie
nei confronti del marito e viceversa, salvo il caso in cui il marito sia un
assassino, un preparatore di veleni o un violatore di sepolcri o la moglie una
adultera, una preparatrice di veleni o una mezzana. È discusso in dottrina se il
cristianesimo abbia avuto oppure no una influenza su tale costituzione.
Entrambi tali orientamenti dottrinali sono, secondo il relatore, criticabili,
in quanto in essi si tende a ridurre il problema esclusivamente al binomio
dissolubilità-indissolubilità del vincolo. Il relatore ha proposto, invece, di
interpretare tale costituzione alla luce della tradizione giuridica precedente.
Una influenza sulla costituzione, riconducibile alla “tradizione pagana”, è ravvisabile
nel fatto che lo scioglimento del matrimonio rimane illimitato anche nella
costituzione di Costantino, che, secondo la opinione pressoché unanime, sarebbe
una legge meno che perfetta, la quale proibirebbe e sanzionerebbe l’atto di
ripudio, ma non sancirebbe l’inefficacia. Può essere intravista, invece, una
influenza del cristianesimo sulla costituzione nell’inasprimento del sistema
sanzionatorio, con la deportatio in insulam per la moglie e con
l’obbligo per il marito di non sposarsi. D’altra parte, la repressione per fini
di ordine pubblico dei tria crimina, per il caso del marito
omicida, preparatore di veleni o violatore di sepolcri, in quanto “crimini particolarmente
odiosi” non può essere attribuita né a influenze pagane, né a influenze cristiane.
Paolo Ferretti ha quindi preso in considerazione un filone, di origine
cristiana, finora non messo adeguatamente in luce, secondo il quale la
relazione tra i coniugi appare riconducibile a regole particolari rispetto a
quelle comuni relative alle relazione tra persone e cose. Nell’ambito di tale filone,
egli ha richiamato Crisostomo,
per il quale, mentre si può ammettere la restituzione di una abitazione o di un
servo inetto, non è possibile restituire la moglie. Crisostomo sostiene che il
matrimonio non sia una negotiatio, con la quale si acquista un bene che
è possibile in un qualsiasi momento derelinquere, ma una vitae
societas.
Costantino sembra dunque essersi proposto, con la costituzione, l’obiettivo di
punire il coniuge, il quale, con il suo comportamento nei confronti della
moglie, appare aver trattato quest’ultima come un «bene patrimoniale»: placet,
mulieri non licere … marito repudium mittere exquisita causa … nec vero maritis
per quascumque occasiones uxores suas dimettere.
Con una relazione su Costantino
e il riconoscimento della ‘familia’ servile. Riflessioni su CTh. 2.25.1,
Rosanna
Ortu (Università di
Sassari) si è interessata delle problematiche legate alla cosiddetta
“famiglia” del servus, prendendo il via dall’esame della costituzione di Costantino,
CTh. 2,25,1, del 29 aprile 325,
in materia di fondi patrimoniali ed enfiteutici della
Sardegna, con la quale si sancisce il divieto di separare i nuclei di servi stretti da vincoli di
parentela. La relatrice ha osservato che l’impiego, da parte di Costantino,
della espressione servorum agnatio, con riferimento alla parentela tra
i servi, e del termine coniuges, con riferimento alle “compagne dei servi”, rivela il
convincimento imperiale che non vi sia differenza tra i vincoli di parentela che
riguardano la persona libera e quelli che riguardano il servus. Il
divieto di smembramento della famiglia, pur essendo
influenzato dal cristianesimo, può essere spiegato, come
risulta dall’opera di Varrone (rust.,
1,17,5; 2,10,6) e di Columella (1,8,5; 1,8,19), anche sulla base del legame tra
le famiglie dei servi e il fondo. Fra i giureconsulti romani è Ulpiano a
dedicare una attenzione particolare al tema delle “unioni familiari servili”,
anzitutto in due frammenti, D. 33,7,12,33 (Ulpianus libro vicesimo ad
Sabinum) e D. 33,7,12,7 (Ulpianus libro vicesimo ad Sabinum),
relativi al legato di instrumentum fundi. Nel primo frammento, Ulpiano, rispondendo
positivamente al quesito se nel fundus instructus si debbano comprendere
anche le contubernales dei servi e i figli, qualifica le compagne dei
servi come uxores. Nel secondo frammento, ugualmente in tema di legato,
il giureconsulto, sulla base di una presunzione di volontà da parte del
testatore, ritiene che anche le uxores
e gli infantes dei servi siano
da comprendere nel legato di instrumentum
fundi, poiché essi dimorano nel luogo in cui i servi prestano la
attività lavorativa. Il giureconsulto giustifica la decisione del testatore di
comprendere nel legato anche i “nuclei familiari servili”, sulla base di
motivazioni anche di carattere umanitario (neque enim duram separationem
iniunxisse credendus est), e non semplicemente economiche. La
“inseparabilità” della “famiglia” del servus
è oggetto di esame, sempre da parte di Ulpiano, in D.
21,1,35 (Ulpianus libro primo ad edictum
aedilium curulium), in cui si rileva, fra l’altro, che nella restituzione
di mancipia si consegnano, assieme ai morbosa, anche gli
individui sani, qualora non sia possibile separarli sine magno incommodo vel ad pietatis rationem offensam. Dal frammento emerge che l’actio redhibitoria non conduce necessariamente allo
smembramento del «nucleo familiare servile». Risulta,
quindi, un orientamento giurisprudenziale teso a garantire la “inseparabilità”
della “famiglia” servile, in cui accanto a ragioni di carattere economico,
cominciano a emergere ragioni di «opportunità e pietà». In conclusione,
Rosanna Ortu ha rinviato alla tesi, secondo la quale la costituzione di
Costantino, CTh. 2,25,1, sarebbe influenzata da Ulpiano, per il tramite di
Lattanzio, il quale, da un lato (inst. 5,14,17),
disapprova la servitù per sostenere la eguaglianza fra tutti gli uomini,
dall’altro (inst. 5,15,3), propone
alcuni espedienti per mitigare il rigore della condizione servile. La costituzione
di Costantino, influenzata dalla dottrina cristiana, trasforma in «principio
legislativo» l’orientamento giurisprudenziale, relativo alla “inseparabilità”
della “famiglia” servile, fino ad allora motivati da ragione prevalentemente
economiche.
Giorgio
Barone Adesi (Università ‘Magna Grecia’, Catanzaro) ha parlato di Principi
tradizionali e innovazioni cristiane nella legislazione di Costantino.
Lo studio della età costantiniana, in particolare per quanto attiene ai
rapporti tra sacerdotium e imperium non ha valore per i «pii
popoli ortodossi» solo come «memoria storica», ma anche come occasione importante
di approfondimento dei rapporti odierni tra Chiesa e “poteri civili”.
Costantino costituisce uno dei temi che divide l’Oriente, ove egli è venerato
come Santo, dall’Occidente, ove egli è spesso giudicato come un freddo
calcolatore. Il relatore ha quindi preso in esame le costituzioni, riportate in
CTh. 1,4,1 e 1,4,2, che contengono importanti riferimenti, nella legislazione
imperiale del IV secolo, alla utilizzazione dei responsa prudentium.
Nella prima costituzione, l’Imperatore esprime il desiderio che siano evitate,
per una necessità di “ordine forense”, le contese sulle opinioni di Papiniano e
le note di Paolo e Ulpiano. Costantino ritiene che, sebbene tali note siano
espressione dell’ingegno dei loro autori, esse non aiutano a interpretare
meglio il testo papiniano, ma lo corrompono. Egli, pertanto, stabilisce di
«escluderne la vigenza». Nella seconda costituzione, l’Imperatore conferma
tutti i corpora delle opere di Paolo, mostrando per esse grande stima e
stabilendo la possibilità di utilizzare le sentenze di tale giureconsulto per
la loro chiarezza e perfezione. In chiusura del suo intervento, Giorgio Barone
Adesi ha sostenuto che l’aspetto più importante della legislazione
costantiniana è la «matura attitudine» a conservare le tradizioni giuridiche
del passato, introducendo novità che ai suoi predecessori sono apparse
impensabili.
La seduta pomeridiana
del 7 luglio si è svolta, a Sassari, nella Aula Magna del Palazzo
dell’Università, sotto la presidenza del Direttore del Dipartimento di Scienze
giuridiche, Antonio Serra.
Con la relazione sul
tema Costantino, l’Oriente e la pace, Vincenzo Poggi (Pontificio Istituto Orientale) ha messo
in rilievo la relazione tra Costantino e l’Oriente: l’Imperatore è nato a Niš,
nel centro della Serbia, attraversata dalla strada che porta a Sardica,
l’odierna Sophia, e a Costantinopoli. Costantino, ancora ventenne, è una prima
volta in Oriente, nel 293, al seguito di Diocleziano. Eusebio di Cesarea
ricorda (vita Const. 1,49-56) la sofferenza patita da Costantino alla
notizia delle atrocità alle quali Licinio sottopone le popolazioni
dell’Oriente. Con la morte di Licinio, Costantino ricostituisce la unità fra i
popoli dell’Oriente e dell’Occidente (vita Const. 2,19). Nell’editto
agli eparchi orientali (vita Const. 2,48,60), dell’autunno del 324,
Costantino contrappone la crudeltà degli imperatori a lui precedenti, che hanno
mancato di clemenza nei confronti dei cristiani, alla umanità dei barbari (i
Persiani) che, invece, hanno accolto benevolmente i cristiani. L’Imperatore,
rivolgendosi agli eparchi orientali, auspica la pace per “il bene comune di
tutto l’Impero e di tutti gli uomini” (vita Const. 2,56,1). Vincenzo
Poggi, dopo avere richiamato l’invito rivolto da Costantino alla concordia e
alla libertà comune (vita Const. 2,72,1), ha ricordato la raccomandazione
dell’Imperatore, rivolta negli anni 327-328 ai cristiani antiocheni, di evitare
divisioni nella scelta del vescovo (vita Const. 3,60,4). Costantino,
nell’affermare che «chi mira piuttosto alla pace, mi sembra faccia ancor meglio
che vincere», sembra sostenere, secondo il relatore, lo “stesso principio”
formulato, nel XVI secolo, dal dominicano spagnolo Francisco de Vitoria,
fondatore del diritto internazionale, secondo il quale «se una guerra è utile a
un solo Stato, ma produce danno all’insieme del genere umano, la ritengo
ingiusta». L’epoca di pace preannunziata da Costantino e da Giorgio La Pira non è ancora instaurata.
Costantino, Fundator Quietis, non ha solo guardato all’Oriente, ove è
sorto il cristianesimo, ma ha riconosciuto nella pace la condizione naturale
per la salvezza dell’umanità.
Mihai Valentin Vladimirescu (Università di
Craiova), con la sua relazione su Saint
Constantin le Grand dans la spiritualité du peuple roumain, ha considerato
il valore della santità nella storia della Europa. La coscienza religiosa
cristiana si è formata, in Europa, attraverso la influenza dei Padri della
Chiesa, la cui opera ha avuto una larga parte anche nella cristianizzazione dei
popoli slavi. Lo studioso ha ricordato che la lingua dei rumeni è fortemente
influenzata dal latino popolare, anche a causa della diffusione del
cristianesimo, delle relazioni con i romani a sud del Danubio, della
utilizzazione del sistema monetario romano, del governo “romano-bizantino”, a
nord del Danubio, ai tempi di Costantino il Grande e di Giustiniano. Le
versioni rumene delle leggende relative a Costantino il Grande derivano, più o
meno direttamente, da fonti bizantine. Lo studioso si è soffermato sulla
importanza del Sinassario greco nella diffusione di tali leggende e sulla
collezione slavo-russa della “Vita dei Santi” di Dimitri, arcivescovo di Rostow
(Russia), e sulla “Vita di San Costantino” di Simone Metafraste. I traduttori
rumeni del XVII e del XVIII secolo utilizzano il Sinassario greco in tre
versioni: 1) il testo dei Menei di Venezia nelle edizioni di N. Glykys del XVII
secolo; 2) una versione “neo-greca” del testo bizantino del vescovo di Citera,
Massimo Margounios; 3) una versione “medio-bulgara”, tuttora inedita, che
compare nei Menei slavi, nella Chiesa rumena, verso la fine del XVIII secolo.
Aleksej Dolgov (Dipartimento per le Relazioni Esterne della Chiesa del
Patriarcato di Mosca) ha presentato una relazione su Giorgio La Pira
messaggero di pace e di unità.
Il pensiero di Giorgio La
Pira ha oggi, in Russia e nel mondo, una importanza sempre
maggiore, con riferimento specifico ai rapporti tra la Chiesa russa ortodossa e la Chiesa romana cattolica,
per il richiamo costante nell’opera lapiariana alla unità della Chiesa e al
dialogo tra le diverse Chiese. In questo senso, l’azione di Giorgio La Pira ha avuto una grande
influenza nello sviluppo del dialogo ortodosso-cattolico. Giorgio La Pira visita la Unione Sovietica
per la prima volta nell’agosto del 1959. Il suo interesse per la Unione Sovietica
risale, però, ad anni prima, precisamente al 1951, quando egli tenta di
mettersi in contatto con Stalin per porre fine alla guerra in Corea. Firenze,
nella sua politica di pace, sarebbe dovuta diventare città della mediazione tra
Oriente e Occidente, come in passato, quando nel 1439, è teatro di un tentativo
d’unione tra la Chiesa
d’Oriente e la Chiesa
d’Occidente. Il sindaco La Pira,
in occasione del “Convegno dei sindaci delle capitali del mondo”, nell’ottobre 1955, a seguito del quale è
invitato dal sindaco di Mosca, Jasnov, a visitare l’Unione Sovietica, ricorda i
legami particolari intercorsi in passato tra Firenze e Mosca, come attestato
dal fatto che San Massimo il Greco, personaggio di grande importanza nella
storia russa, riceve la sua formazione religiosa e culturale nella città
toscana. Quattro anni dopo, nell’agosto del 1959, quando Giorgio La Pira non è più sindaco di
Firenze, compie il suo pellegrinaggio in Unione Sovietica. Nella
sua azione di pace, Giorgio La
Pira è animato da una grande fede. Egli, prima di parlare al
Soviet Supremo, nell’agosto 1959, si reca in visita di preghiera alla SS.
Trinità di Zagorsk e alle tombe dei Santi Sergio di Radonež e Massimo il Greco.
In occasione dell’incontro con i rappresentanti del Soviet Supremo, Giorgio La Pira chiede ai capi del
Partito comunista di tagliare «il ramo secco dell’ateismo statale dall’albero
fastoso di questo popolo dalla storia millenaria». Il relatore ha richiamato
alcuni momenti particolarmente significativi di tale azione. Risale all’agosto
del 1959, l’incontro fra Giorgio La
Pira e il Direttore del Dipartimento per le relazioni esterne
della Chiesa, Metropolita Nikolaj, che partecipa, come il professore, ai lavori
del Consiglio Mondiale per la
Pace. Nel dicembre del 1963, Giorgio La Pira visita Mosca per la
seconda volta, per partecipare alla prosecuzione dei lavori dell’Assemblea per la Pace e per la Civiltà Cristiana,
già iniziati a Firenze nel 1952. Durante tali lavori, ai quali prendono parte
importanti esponenti politici, Giorgio La Pira ha la possibilità di parlare con Nikita
Sergeevic Krusciov della cessazione della corsa agli armamenti nucleari. Alla
fine dell’autunno del 1971, Giorgio La
Pira giunge di nuovo in Unione Sovietica. Visita ancora una
volta la città di Zagorsk, l’Accademia Teologica di Mosca, il Seminario. In suo
onore è organizzato un incontro con gli studenti dell’Accademia Teologica di
Mosca e del Seminario. Al novembre del 1971, nell’ottica di un rafforzamento
dei rapporti tra la Chiesa
russa ortodossa e la Chiesa
romana cattolica, risale l’incontro fra Giorgio La Pira e il Patriarca di Mosca
e di tutta la Russia,
Pimen. L’attività di Giorgio La
Pira, infine, influenzando le decisioni del Concilio Vaticano
II, in merito al dialogo tra cristiani e non cristiani, apre nuovi orizzonti
nelle relazioni tra il Vaticano e il resto del mondo cristiano. Dopo la morte
di Giorgio La Pira,
nel 1977, ha
chiuso il relatore, le sue idee non sono state dimenticate in Russia.
La seduta pomeridiana si è conclusa con una tavola rotonda con
interventi di Philippe Luisier
(Vice Rettore del Pontificio Istituto Orientale, Roma), Costantinos G. Pitsakis e Vladislav Zypin.
Ha chiuso i lavori, con un discorso di sintesi e i saluti, il prof. Antonio Serra.
Pietro Paolo Onida
Università di Sassari