N. 4 – 2005 – Contributi

                                              

Sull'editto teodosiano De Fide Catholica. riflessioni su tolleranza e intolleranza religiosa tra IV e V secolo d.C.

 

Bronisław Sitek

Università di Warmia i Mazury

 

Indice: 1. Introduzione. – 2. Sfondo storico e politico della fine del IV secolo d.C. – 3. La struttura del testo dell'editto De Fide Catholica. – 4. Novum dell'editto De Fide Catholica. – 5. Conseguenze giuridiche dell'editto. – 5.1. Legislazione contro i pagani. – 5.2. Legislazione contro gli eretici e gli apostati. – 5.3. Legislazione riguardante la religione cristiana. – 5.4. Ordine pubblico. – 6. Editto, tolleranza e intolleranza durante il dominio di Teodosio I. – 7. Conclusioni.

 

 

1. – Introduzione

 

Il dominio degli imperatori Teodosio I e II fu un periodo di svolta non solo per la organizzazione dello stato, poiché in questo periodo si consolidò la divisione dell'Impero Romano, tra impero Orientale e impero Occidentale; ma anche perché il Cristianesimo diventò definitivamente la religione predominante. Altre religioni furono proibite. Il riflesso di tale situazione esisteva prima di tutto nella legislazione, principale strumento della politica dell’Impero. Nei confronti del Cristianesimo vennero emessi nuovi e favorevoli regolamenti giuridici. Il gesto simbolico di questi cambiamenti era stato il rogo pubblico dell'opera di Porfirio Contro i cristiani[1]. Questi profondi cambiamenti nella politica dell’Impero romano potevano aver luogo grazie agli eventi che erano accaduti ancor prima, durante il dominio del nonno di Teodosio II. Il 27 febbraio del 380 venne emesso dall’imperatore Teodosio I l’editto De Fide Catholica.

 

 

2. – Sfondo storico e politico dalla fine del IV secolo d.C.

 

Teodosio I dominò negli anni 379-395[2]. Con lui governarono prima l’imperatore Graziano (375-383), e poi l’imperatore Valentiniano II (375-392). Il centro politico era situato non più a Roma ma a Costantinopoli, nell’Est. Contemporaneamente questo fu anche il periodo delle grandi conquiste delle terre dell'Impero da parte dalle tribù germaniche, vale a dire Goti, Ostrogoti, Sassoni, e altri; mentre la parte orientale era minacciata dal nuovo regno dei Persiani[3].

I pericoli esterni non erano i soli fattori che indebolivano la stabilità e la sicurezza dell’Impero. Con l'inizio del IV secolo erano finite le persecuzioni contro i cristiani; l'ultimo imperatore durante il cui dominio accadevano ancora delle persecuzioni fu Diocleziano. Già sotto il dominio di Costantino il Grande il Cristianesimo ottenne la libertà. Si deve tenere conto del fenomeno del Cristianesimo che, nonostante le persecuzioni che durarono molti secoli, ampliò la sua influenza in tutto il mondo di allora. La religione di Cristo arrivò fino ai più lontani territori dell'Impero e iniziò a diffondersi in tutti gli strati sociali. Molti cristiani da tanto tempo svolgevano funzioni pubbliche, sia civili sia militari. Le antiche religioni romane erano in minoranza, avevano già meno fedeli. Per questo il tentativo di restaurazione del vecchio ordine, cioè rimettere in posizione predominante le religioni tradizionali, iniziata da Giuliano l’Apostata, fallì. La posizione sempre più debole dei fedeli delle religioni pagane è testimoniata da alcuni fatti specifici: la rimozione della statua della dea Vittoria – Dea Victoria, nonostante la protesta di alcuni senatori capeggiati da Simmaco, che svolgeva la funzione di prefetto della città; la rinuncia dell’imperatore Graziano al titolo di Pontifex Maximus; lo stesso imperatore eliminò privilegi ed immunità dei sacerdoti pagani e delle vestali[4].

Nella letteratura storica da molto tempo esiste un dibattito sui rapporti di Costantino il Grande con il Cristianesimo e le altre religioni romane. La storiografia cristiana di questo periodo, in particolare Lattanzio ed Eusebio[5], dà risalto al fattore religioso nell'attività di Costantino, indicando specificamente la sua conversione. Ma a quanto pare dagli eventi della vita dell'imperatore emerge il ritratto di un uomo decisamente più pragmatico, che cioè voleva dare davvero vita alle sue idee. Come sovrano egli notò che il Cristianesimo era divenuto la religione più importante e non poteva comportarsi in altro modo se non accettarla. Costantino apprezzò anche il valore del processo di unificazione dell’Impero e volle difenderlo dalla più grande influenza delle religioni orientali[6]. Queste religioni rappresentavano un grande pericolo per Roma.

Il Cristianesimo portava con sé nuovi problemi, legati al processo di formazione dei contenuti nella definizione dei principali dogmi di fede, riguardanti in particolare la Santa Trinità, lo Spirito Santo e la sua relazione con Padre e Figlio. Su questo sfondo apparvero delle grandi eresie, che indebolirono l’unità del Cristianesimo. Tale situazione indeboliva sia il Cristianesimo stesso, sia l’Impero Romano. Per questo gli imperatori, a cominciare da Costantino il Grande, volevano inserirsi nella battaglia tra i vari e frammentari gruppi cristiani, mirando all’unità[7].

Il momento della svolta fu il Concilio di Nicea del 325, riunito da Costantino il Grande. Durante questo Concilio venne precisato definitivamente il Credo, cioè il testo della professione di fede cristiana che è rimasto immutato fino a oggi. Non ci volle molto tempo perché esso diventasse la base dell’unità della religione cristiana, e lo strumento di misura per la fedeltà dei credenti alla dottrina[8].

 

 

3. - La struttura del testo dell’editto De Fide Catholica

 

L’editto De Fide Catholica fu emanato il 27 febbraio 380. Il suo testo venne preparato dalla cancelleria di Teodosio I.

 

C.Th. 16.1.2: IMPPP. GR(ATI)IANUS, VAL(ENTINI)ANUS ET THE(O)D(OSIUS) AAA. EDICTUM AD POPULUM VRB(IS) CONSTANTINOP(OLITANAE). Cunctos populos, quos clementiae nostrae regit temperamentum, in tali volumus religione versari, quam divinum Petrum apostolum tradidisse Romanis religio usque ad nuc ab ipso insinuata declarat quamque pontificem Damasum sequi claret et Petrum Aleksandriae episcopum virum apostolicae sanctitatis, hoc est, ut secundum apostolicam disciplinam evangelicamque doctrinam patris et filii et spiritus sancti unam deitatem sub parili maiestate et sub pia trinitate credamus. Hanc legem sequentes Christianorum catholicorum nomen iubemus amplecti, reliquos vero dementes vesanosque iudicantes haeretici dogmatis infamiam sustinere ‘nec conciliabula eorum ecclesiarum nomen accipere’, divina primum vindicta, post etiam motus nostri, quem ex caelesti arbitro sumpserimus, ultione plectendos. DAT. III Kal. Mar. THESSAL(ONICAE) GR(ATI)ANO A. V ET THEOD(OSIO) A. I CONSS.

[Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione, che è stata trasmessa da Dio a Pietro Apostolo, e che egli ha trasmesso personalmente ai Romani, e che ovviamente (questa religione) è mantenuta dal Papa Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità apostolica; cioè dobbiamo credere conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità. Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste].

 

Questo testo è una norma giuridica che contiene ipotesi, disposizione e sanzione[9]. Dunque questa è la regolazione complessiva della questione concreta. La prima parte del testo, che inizia dalle parole Cunctos populos regit temperamentum contiene il destinatario della norma giuridica. Questo destinatario sono tutte le nazioni che sono sotto il dominio degli Imperatori romani. Questa affermazione contiene una definizione molto importante, cioè Cunctos populos. Essa indica che Teodosio I aveva piena consapevolezza che sul territorio dell'Impero ci fossero diverse nazioni. Non si può dire dell’esistenza di una nazione romana unica. La conferma di questo pensiero la troviamo un po' più avanti, dove si dice di S. Pietro, che diffondeva il Vangelo ai Romani, ma non ai Romani come nazione bensì ai Romani abitanti di Roma.

La seconda parte del testo, che contiene la disposizione, è divisa in tre frammenti. Il primo contiene ordine e descrizione. Teodosio I ordina che le nazioni che sono sotto il suo dominio rimangano fedeli alla nuova religione:

 

in tali volumus religione versari... .

 

Il secondo frammento è il seguente:

 

quam divinum Petrum apostolum tradidisse Romanis religio usque ad nuc ab ipso insinuata declarat quamque pontificem Damasum sequi claret et Petrum Aleksandriae episcopum virum apostolicae sanctitatis.

 

Da questo frammento risulta che il contenuto della religione cristiana era stato diffuso da S. Pietro ed era vigilato dalle due figure più importanti nella gerarchia della chiesa cioè Papa Damaso (366-386) e il vescovo Pietro, che era nella sede patriarcale di Alessandria.

Il terzo frammento contiene la definizione del contenuto della vera fede, che troviamo nel dogma più importante per il Cristianesimo, quello cioè sulla Santa Trinità:

 

hoc est, ut secundum apostolicam disciplinam evangelicamque doctrinam patris et filii et spiritus sancti unam deitatem sub parili maiestate et sub pia trinitate credamus.  

 

L'ultima parte di detto testo contiene la sanzione. Secondo la decisione dell'Imperatore le persone che rifiutano la vera fede sono dementi, persone senza intelletto, e come tale sono condannate per mezzo delle pene provenienti da Dio e per mezzo di quelle umane stabilite dall'Imperatore stesso. In ogni caso le pene emanate dall'imperatore sono emanate anche in nome di Dio.

 

 

4. – Novum dell'editto De Fide Catholica

 

Nel sistema del diritto romano, simile agli altri antichi sistemi giuridici, le regole riguardanti le questioni religiose ne erano molto spesso parte integrante. Tale situazione risultava dallo stretto legame della religione con la vita politica e sociale nell’Antichità. Da questo punto di vista, il testo della costituzione di Teodosio I non è molto lontano dagli standard legislativi di allora. Il punto di svolta per questa costituzione è il fatto che si trova in essa un riferimento non solo al sistema normativo che si formava, ma anche, grosso modo, alla ricezione delle forme normative di carattere religioso che avrebbero dovuto legare tra loro tutti gli abitanti dell'Impero.

Nel 325 vicino a Costantinopoli, cioè a Nicea, si riunì il primo Concilio ecumenico, convocato da Costantino il Grande[10]. Come scopo il Concilio si prefiggeva prima di tutto di porre fine all’eresia di Ario, riguardante il dogma della Santa Trinità; in secondo luogo far accettare in maniera definitiva un comune simbolo della fede: il Credo. Ario aveva elaborato delle idee sulla subordinazione delle Persone Divine all’interno della Santissima Trinità, il che era contrario alla dottrina cristiana[11].

Il testo dell'editto non è il riflesso letterale del testo originale che riporta le decisioni del Concilio. Esso è abbastanza lungo. Fu preparato solo un riassunto dei più importanti frammenti della professione di fede, che contengono l’affermazione della uguaglianza delle persone Divine, assieme alla più importante definizione sulla coesistenza delle persone Divine (homoousios)[12]. Il maggiore frammento delle affermazioni del Concilio venne incluso nella costituzione dallo stesso imperatore nel 381[13].

L’editto De Fide Catholica dell'imperatore Teodosio I fu il primo atto giuridico che conteneva una norma il cui autore era l’imperatore stesso. In contrasto col diritto consuetudinario non erano norme prodotte dalla società, ma avevano la loro fonte nella Illuminazione, il cui contenuto era stato precisato dall’assemblea dei vescovi. Il ruolo dell'imperatore era limitato in questo caso al vigilare sul contenuto delle verità di fede, e in materia religiosa ora egli non era già più il legislatore[14].

Di conseguenza il 16 giugno 388 fu emesso un editto[15] il cui destinatario era il prefetto dei pretori, e al quale l’imperatore aveva vietato di discutere in pubblico su temi religiosi, e in particolare di dare la definizione delle verità di fede in pubblico. Allo stesso tempo fu giuridicamente vietato influenzare persone tramite i dogmi della Chiesa, dando in questo modo invariabilità e unità alla fede cristiana. Tale concezione della religione era nuova poiché fino ad allora il contenuto religioso come esperienza era qualcosa di personale, in gran parte dipendente dall'individuo.

 

 

5. – Conseguenze giuridiche dell'editto

 

Le conseguenze dell'editto De Fide Catholica furono varie. Nel contesto politico il Cristianesimo divenne non solo la religione predominante ma anche la concezione “ufficiale” del mondo, il suo diritto e anche le sanzioni. Questo fatto doveva alla fine avere il suo riflesso anche nella terminologia ufficiale, sul modo di essere dell'imperatore e dei funzionari dello stato, almeno all'esterno, e in particolare nello stile dello svolgimento delle funzioni. L’editto influenzò molto il popolo che fino ad allora, in gran parte, già era di fede cristiana. Da questo punto però tutti nello stesso modo dovevano esprimere le proprie convinzioni religiose, conformemente con la dottrina ufficiale. Tale immagine della religione era qualcosa di nuovo nella nazione romana multiculturale. Fino ad allora si poteva credere nell’esistenza di molti Dei, diversi anche da altri ufficialmente riconosciuti dal potere pubblico. Ogni religione aveva i suoi rituali. Essere di una o di un’altra fede non era sanzionato con alcuna pena, con l’eccezione di religioni o culti vietati. L’editto De Fide Catholica imponeva sotto il rigore di sanzioni giuridiche una religione e una fede nell’unico Dio.

Assai importanti erano le conseguenze giuridiche. Prima di tutto si deve segnalare che questo editto diede inizio alla produzione di costituzioni riguardanti la materia religiosa. Gli atti giuridici esistenti in questa materia persero il loro significato, si può anche dire che furono abrogate ipso iure. Le nuove regolamentazioni giuridiche in materia religiosa andarono in generale in due direzioni: la prima era l’eliminazione dei culti pagani, la seconda fu la battaglia contro le eresie. Si devono segnalare anche le regolamentazioni giuridiche riguardanti la relazione dello Stato con la nuova religione.

Lo stesso giorno, cioè il 27 febbraio 380, fu emanato ancora un altro editto che consolidò la posizione della legislazione cristiana[16], in questo editto venne stabilito che:

 

Qui divinae legis sanctitatem aut nesciendo confundunt aut neglegendo violant et offendunt, sacrilegium commitunt.

[Chi trascura la santità della legge di Dio ignorandola, violandola oppure recandole offesa, commette sacrilegio].

 

Le norme giuridiche che contengono le regole riguardanti la fede divennero norme che obbligatorie per tutti.

Di conseguenza vennero promulgate tante costituzioni che avevano lo scopo di eliminare il vecchio ordine in materia religiosa, con ampie conseguenze nell'ambito sociale, poiché nascevano nuove divisioni all’interno della società. Nell’editto esiste chiaramente la divisione della società tra le persone fedeli e gli “altri”, descritti come pazzi e senza intelletto. Nel secondo gruppo al primo posto c’erano le persone appartenenti a religioni tradizionali, in generale chiamati pagani; accanto a loro c'erano gli eretici e gli apostati cristiani, che o non operavano un’interpretazione corretta delle verità di fede, o non accettavano l’unità della Chiesa.

 

 

5.1. – Legislazione contro i pagani

 

Le costituzioni contro i pagani, emanate in questo periodo, sono state raccolte in gran parte nel Codice Teodosiano sotto il titolo De paganis, sacrificiis et templis[17]. Nell’editto del 21 dicembre 381[18] esisteva il divieto di partecipazione ai rituali pagani, sia come partecipanti sia come organizzatori di tali rituali; significativo è anche il fatto che i trasgressori del divieto sono qualificati come pazzi (vesanus) e la partecipazione viene definita reato. Gli interventi imperiali contro le religioni pagane erano rivolti soprattutto ad impedire il culto e la produzione delle sculture degli dèi pagani, per questo la distruzione dei templi pagani era solo l'attività indiretta del progetto. Ma si deve anche dire che gli imperatori a volte tentavano di conservare le opere d’arte o di architettura: nell'editto del 30 novembre 382 Teodosio I decise di conservare tutti gli oggetti usati nel culto pagano che avessero un valore artistico, le disposizioni dell'editto, secondo A. Barzanò[19], facevano riferimento molto probabilmente al tempio di Odessa. Ma questi oggetti si rendevano accessibili al pubblico solo a condizione di seguire il divieto del culto pagano; il palazzo diventava il museo.

Nell'editto del 25 maggio 385 si vietò di fare sacrifici sanguinosi e trarre auspici dagli organi interni degli animali[20]. Le disposizioni dell’editto in questo ambito sono un po' curiose perché già nel 17 d.C. era stata introdotta la pena di morte per le persone che compivano queste pratiche[21]. Ma pare che le pratiche fossero rimaste nelle province, in particolare in Egitto. Questo editto era rivolto in particolare al prefetto del pretorio in Egitto, famoso per la sua ostilità contro i pagani.

 

 

5.2. – Legislazione contro gli eretici e gli apostati

 

La situazione degli eretici e degli apostati dopo il 380 diventò molto difficile, sia nell'ambito del diritto pubblico, sia nell'ambito del diritto privato[22]. Nell'editto del 20 maggio 383 Teodosio I decise di privare tali persone, nell'ambito del diritto privato, sia della capacità di redigere testamento sia della capacità di ereditare[23].

Nell'editto del 14 giugno 388[24] fu introdotto il divieto agli eretici di convocare riunioni; poiché nell'editto non è prevista alcuna distinzione tra riunioni in luoghi pubblici o privati, si può facilmente intuire che questa norma riguardasse tutte le riunioni. La conferma di questo si ricava dalla parte successiva della costituzione, dove si fa divieto alle sette eretiche di discutere su temi religiosi, organizzare riunioni clandestine o esercitare la liturgia.

L’esclusione degli eretici dalla società dei cittadini romani venne definitivamente confermata nell'editto del 9 giugno 391[25]: a consortio omnium segregati sint... . Questo frammento suggerisce l’esistenza di dubbi sullo status degli eretici e degli apostati. La posizione giuridica dei pagani non lasciava dubbi: non erano più cittadini, perdevano tutti i diritti. In quest’altro caso però non si era molto sicuri, perciò nella costituzione in modo esplicito venne affermata l'esclusione degli eretici e apostati dallo status di cittadini dell'Impero Romano. Questa affermazione ha un significato soprattutto simbolico poiché costoro non perdevano la cittadinanza come tale, ma diventavano cittadini della peggiore categoria e subivano forti limitazioni la loro capacità giuridica e la loro capacità di agire. Nella parte successiva di questo editto si fa cenno alla perdita di queste persone della capacità di rendere testimonianza davanti a qualsiasi corte[26].

Gli eretici e gli apostati perdevano il diritto di avere una propria struttura organizzativa e di conseguenza non avevano il diritto di nominare i loro vescovi e consacrarli. Tale disposizione è contenuta nell’editto del 15 aprile 394[27]; il divieto si giustifica con la volontà imperiale di limitare, o escludere del tutto, qualsiasi sviluppo delle sette ereticali, impedendone l'ampliamento delle strutture organizzative.

 

 

5.3. – Legislazione riguardante la religione cristiana

 

Nell'editto del 31 marzo 381 venne emanata una norma a favore delle persone che custodivano le chiese cristiane – custodes ecclesiarum: gli obblighi personali, che erano uguali per tutti i cittadini, venivano sensibilmente diminuiti per queste persone; peraltro, il privilegio non era una cosa nuova, poiché già nel periodo precedente al Cristianesimo i custodi dei templi pagani – custodes templorum – avevano analoghi diritti. Nell'editto del 29 giugno 381[28] venne sanzionato un altro privilegio per i cristiani: i vescovi non erano più obbligati a dare testimonianza episcopale.

Il gran numero di nuove conversioni al Cristianesimo, a volte anche frutto di un’adesione superficiale, causava sovente casi di ritorno alla religione pagana; tali casi, evidentemente, non dovevano essere rari, se il fenomeno aveva trovato sanzione nella legislazione di Teodosio I.

L’Imperatore nell'editto del 2 maggio 381[29] privò queste persone della capacità di redigere dei testamenti efficaci per il diritto civile, per cui i loro testamenti risultavano senza alcun valore. Nell'editto del 20 maggio 383[30] Teodosio I specificò che le persone che non erano più cristiane, essendo tornate alle religioni pagane, perdevano completamente la capacità di redigere testamento poiché sint absque iure Romano, erano cioè fuori dal diritto romano. Si può dire che nell'editto si creò la tesi secondo cui le persone che non volevano più essere cristiane perdevano la cittadinanza romana; anche in questo caso non si parla di vera perdita della cittadinanza, ma di limitazione della capacità giuridica e della capacità di agire.

Un altro fenomeno negativo all'interno delle comunità cristiane era costituito dalle conversioni simulate. Anche questo fenomeno non doveva riguardare pochi casi individuali, altrimenti non avrebbe trovato rilievo nella legislazione dell'imperatore.

Nell'editto del 8 maggio 381[31], indirizzato al prefetto della città, si dispone che un’attrice, nel caso cambiasse religione e si convertisse al Cristianesimo, poteva essere liberata dai suoi obblighi, ma solo a condizione di aver operato una conversione completa. Nel caso, invece, l’attrice tornasse alla sua professione non si poteva stabilire con certezza la conversione completa[32].

Nell'editto del 26 febbraio 386[33] si introdusse il divieto di commercio delle reliquie. Tale divieto si giustificava per il fatto che in questo periodo si era sviluppato molto dinamicamente il culto dei santi; con conseguente formazione di grandi centri religiosi intorno ai santuari. L’introduzione di questo divieto ebbe l’effetto di promuovere la costruzione di grandi edifici religiosi nei luoghi dove erano sepolti i santi.

 

5.4. – Ordine pubblico

 

Nell'editto del 3 novembre 386[34] fu introdotto il divieto di intraprendere azioni processuali e non processuali la domenica, che nel testo della costituzione era stata chiamata solis die. Non si potevano, dunque, iniziare liti e processi, chiamare a testimonio o riscuotere debiti sia pubblici sia privati. Anche i giudici non dovevano compiere nessuna azione processuale. Simili disposizioni si possono trovare nell'editto del 27 maggio 392[35], nel quale esiste non solo il divieto di compiere azioni processuali, ma anche tutte le attività pubbliche e private – Actus omnes seu publici seu privati – per un periodo di quindici giorni dopo la Pasqua.

Nella stessa ottica si deve vedere anche l’editto del 17 aprile 392[36], nel quale erano state vietate tutte le manifestazioni pubbliche organizzate nei giorni festivi; probabilmente si faceva riferimento a gare sportive e ad altre manifestazioni simili, a causa delle quali i fedeli non partecipavano alla messa della domenica o dei giorni di festa; perciò l'imperatore non ammetteva l’organizzazione dei giochi pubblici durante il Natale[37].

L’editto del 18 luglio 392[38] conteneva una norma giuridica di carattere generale e astratto. Questa costituzione era rivolta a tutti coloro che violavano le leggi e le decisioni delle corti di giustizia – qui nec generali lege admonitus nec conpetenti sententia emandatus; si parla qui dei comportamenti che conducono alla violazione della fede cristiana e delle leggi dell’Impero – fidem catholicam turbat et populum. Allo stesso tempo appare un’altra disposizione che postula l’identificazione del popolo romano con i cristiani.

Tuttavia, l’accettazione della religione cristiana come religione ufficiale dell’Impero romano non comportava limitazioni per i pubblici poteri. In una costituzione[39] emanata durante il regno di Teodosio I si trova una regola assai severa riguardante i debitori pubblici insolventi, molti dei quali, volendo usufruire del diritto di asilo stabilito già per i templi pagani, si rifugiavano sempre più spesso nelle basiliche cristiane. Nel caso dei debitori pubblici insolventi, l’imperatore dichiarava di non voler rispettare tale consuetudine, non permettendo che usufruissero di alcuna tutela i debitori pubblici ricoverati nei luoghi sacri cristiani; il potere pubblico rivendicava il suo diritto di arrestare tali persone anche all’interno delle chiese cristiane, non riconoscendo ai preti il diritto di proteggere costoro. Nei casi estremi, cioè quando un ecclesiastico si fosse convinto di dover tutelare il rifugiato, non era permesso arrestare il debitore, ma doveva da solo pagare questo debito.

 

 

6. – Editto, tolleranza e intolleranza durante il dominio di Teodosio I

 

Nell'ottica della legislazione emanata da Teodosio I, vengono alla luce diverse conclusioni riguardanti la tolleranza e l’intolleranza in questo periodo. Anzitutto ci si deve rendere conto del fatto che i criteri contemporanei di tolleranza o intolleranza sono inutilizzabili, in quanto ora, nella cultura occidentale, la religione influenza sempre di meno la politica e la società, mentre nell'Antichità la religione era un elemento fondamentale della vita politica e sociale. La tolleranza come tale non entrava nel canone dei valori politici principali, il valore supremo era il mantenimento dell’unità dell’Impero e la religione era un ottimo strumento per ottenere questo scopo. Nasce allora la domanda sul perché proprio il Cristianesimo nel 380 diventò la forza principale dell’unificazione dell’Impero romano.

Le persecuzioni contro i Cristiani erano finite nel 303 d.C., ma la piena libertà il Cristianesimo la ottenne solo nel 313 con l’editto di Milano. Nel periodo delle persecuzioni, che durò tre secoli, il Cristianesimo era diventato progressivamente la religione numericamente dominante nell’Impero; mentre le altre religioni andavano perdendo il loro significato e la loro influenza. La maggior parte dei funzionari imperiali professava ormai la nuova religione; Costantino il Grande per la prima volta aveva preso coscienza della forza del Cristianesimo, ponendo fine al periodo delle persecuzioni. Ma, nello spirito della tolleranza religiosa romana, il Cristianesimo era solo una delle tante religioni, benché già nella legislazione costantiniana si possano indicare delle influenze da parte di essa, in particolare nell'ambito del diritto familiare.

Nel 380 si creò una nuova situazione, il Cristianesimo da questo punto non era più solo una delle tante religioni, ma la religione di stato cioè la religione che aveva il pieno appoggio da parte del potere imperiale. Allora sorge un’altra domanda: perché andò così? Queste attività avevano forse base religiosa? Così potrebbe sembrare e molti studiosi proprio così valutano questi cambiamenti.

Intanto, l’editto De Fide Catholica si deve vedere nella prospettiva della politica dell’Impero: la maggior parte della società era ormai di fede cristiana, le religioni tradizionali erano praticate in generale nelle province e nell'Est dell'Impero o in Egitto; gran parte dei funzionari imperiali professavano la nuova religione; anche se erano avvenute alcune conversioni alla religione pagana, questi erano casi di poca importanza nella scala dell'intero Impero. Allora gli imperatori che preferivano il Cristianesimo non costruivano niente di nuovo, ma sancivano l'ordine già esistente; perciò lo scopo dell'editto di Teodosio I non era solo quello di rafforzare il Cristianesimo, ma anche di consolidare l’Impero, facendo diventare in questo modo il Cristianesimo fondamento ideologico che consolidava le istituzioni. Comunque, qualcosa di molto simile accade anche oggi: ogni paese ha bisogno di uno sfondo ideologico per il suo funzionamento; tale sfondo ideologico nel mondo contemporaneo è la filosofia liberale. Dall'editto del 380 d.C. in poi il Cristianesimo assunse il ruolo più importante nel processo di integrazione dell’antico Impero romano.

L’evento del 380 aveva avuto i suoi effetti negativi: il passaggio del Cristianesimo da religione dominante a religione di stato aveva determinato l’adesione interessata da parte di molti pagani, o anche di persone indifferenti alla religione, per avere maggiori possibilità di fare carriera nella società e nella politica. Questo fenomeno risultò evidente allo stesso Teodosio I, come si vede dalla sua legislazione; una di queste costituzioni riguardava il caso dell’attrice, la quale anche se convertita al Cristianesimo continuasse a svolgere la sua professione. Si può supporre, comunque, che il numero di tali persone fosse piuttosto grande e che molto spesso fossero funzionari dell’amministrazione imperiale; i quali, ora, applicavano lo stesso zelo con cui, non molti anni prima, si perseguitavano i Cristiani alla persecuzione di pagani ed eretici. Eppure, dalle ultime persecuzioni dei Cristiani non erano passati ancora 80 anni.

Il Cristianesimo introdusse nuovi standard di cittadinanza. Solo le persone di religione cristiana, conforme al simbolo di fede di Nicea, potevano avere la piena cittadinanza romana; gli altri, pagani ed eretici, non avevano tale cittadinanza, oppure erano privati di molte prerogative nell'ambito del diritto pubblico e privato. La legislazione contro gli eretici e gli apostati era di carattere religioso. Ovviamente, è difficile oggi negare la sincerità delle intenzioni degli imperatori convertiti, in particolare Teodosio I, ma il vero motivo della partecipazione degli imperatori alla battaglia per l'unità del Cristianesimo era la preoccupazione per l’unità dell’Impero; una volta presa la decisione di rendere il Cristianesimo l’unica religione dell’Impero, tale decisione doveva essere realizzata. Dall’analisi della legislazione di Teodosio I, la tesi dell’assenza di tolleranza nella religione cristiana verso i pagani o gli eretici è falsa: a mio avviso, dal 380 in poi coloro che decidevano della politica dell’Impero non erano più i Cristiani di profonda fede, ma tutti coloro per i quali la nuova religione era un trampolino per la carriera politica o per una ulteriore possibilità di promozione sociale.

 

 

7. – Conclusioni

 

Nella prospettiva dell’analisi presentata sulla legislazione emanata durante il dominio di Teodosio I, e sulla base della valutazione delle conclusioni risultanti da questa analisi, si può dire che editto De Fide Catholica divenne l'inizio di molti atti successivi valutati come negativi, per es. la battaglia contro i pagani e gli eretici, e poi nel Medioevo le Crociate. Da qui gli effetti  negativi che sono stati attribuiti alla religione cristiana come tale, e non alla politica dello stato o gruppi politici, che per i loro scopi utilizzavano e utilizzano sia il contenuto sia i simboli religiosi. Simili cose facevano molti politici anche in Polonia dopo la svolta politica nel 1989.

Come un avviso di questa situazione si può vedere anche il fatto di utilizzare per tali scopi la legislazione. Contemporaneamente, avendo in considerazione gli effetti negativi della collocazione dei contenuti religiosi nelle costituzioni degli imperatori, si dovrebbero evitare tutte le implicazioni ideologiche nella legislazione. Ovviamente sorge la domanda su quale sia la funzione del diritto nella società contemporanea. Ma forse vale la pena di dare la risposta a questa domanda in un’altra circostanza.

 

 



 

[1] L'opera risaliva circa al 270 dopo Cristo. Sullo stesso tema vedi M. Simon, Cywilizacja wczesnego chrześcijaństwa, traduzione polacca di E. Bąkowska, Warszawa 1981, 124.

 

[2] Per maggiori approfondimenti sull'imperatore Teodosio I vedi A. Lippold, Teodosius I (379-395), in Die Römischen Kaiser. 55 historische Portraits von Caesar bis Iustinian, Hrsg. M. Clauss, München 1997, 368 ss. L'ultimo tentativo di restaurazione della religione pagana fu opera dell’imperatore Eugenio negli anni 392-394 d.C. Venne anche ricollocata nella sala del Senato la statua della dea Vittoria; ma Teodosio I sconfisse Eugenio nel 394 vicino ad Aquileia.

 

[3] Per saperne di più sui pericoli esterni per la Roma nel IV e V secolo d.C., vedi G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, traduzione italiana di P. Leone, Torino 1968, 46 ss.

 

[4] Di più sul tema degli avvenimenti legati alla prova di forza tra le religioni pagane e il cristianesimo è in J. Umiński, Historia Kościoła. Chrześcijańska Starożytność i wieki średnie, 3a ed., Opole 1949, 126 ss.

 

[5] Eusebio, vescovo di Cesarea, è stato riconosciuto come autore di un’opera, Vita di Costantino, nella quale l’imperatore è stato idealizzato. In realtà il primo imperatore del quale si può dire che fosse pienamente cristiano fu suo figlio Costanzo II.

 

[6] Vedi K. Bihlmeyer, H. Tüchle, Historia Kościoła, t. 1, Starożytność chrześcijańska, traduzione polacca J. Klenowski, Warszawa 1971, 228 ss.; M. Banaszak, Historia Kościoła Katolickiego, t. 1, Starożytność, Warszawa 1989, 130 ss.

 

[7] Vedi J. Daniėlou, H.I. Marrou, Historia Kościoła, t. 1, Od początków do roku 600, Warszawa 1986, 342 ss.

 

[8] Ibidem.

 

[9] Il testo della costituzione di Teodosio fu soggetto di molte analisi da parte dei romanisti, vedi G.G. Archi, Teodosio II e la sua codificazione, Napoli 1976; Idem, Aspetti della libertà religiosa nel V e VI secolo. Legislazione teodosiana e giustinianea, in Satura R. Feenstra oblata, Fribourg 1985, 229-237; D. Liebs, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien (260-640 n. Chr.), Berlin 1987; J.V. Salasor Arias, Dogmas y Canones de la Iglesia en el Derecho Romano, 19 n.; M.P. Baccari, Gli apostoli nel Codice teodosiano, in Apollinaris 54 (1981), 538-582; L. De Giovanni, Ortodossia, eresia, funzione dei chierici. Aspetti e problemi della legislazione religiosa fra Teodosio I e Teodosio II, in Index 12 (1983-1984), 391-404.

 

[10] Costantino il Grande convocò il Concilio di Nicea sotto l'influenza del vescovo Osio di Cordova Korodby Hozjusza, il quale pensava che la riunione di tutti i vescovi cristiani potesse porre fine alla frammentazione della dottrina cristiana; vedi Breviarium Fidei. Wybór doktrynalnych wypowiedzi Kościoła, red. S. Głowa, I. Bieda, Poznań 1989, 610-612.

 

[11] Per saperne di più sul tema della eresia di Ario e i suoi effetti vedi Sz. Pieszczoch, Patrologia. Wprowadzenie w Studium Ojców Kościoła, Poznań 1964, 101 ss.; B. Altaner, A. Stuiber, Patrologia. Życie, pisma i nauka Ojców Kościoła, Traduzione polacca di P. Pachciarek, Warszawa 1990, 373. Il conflitto riguardava le relazioni interne tra le persone divine nella Santa Trinità. Ario appoggiava la tesi della subordinazione interna di tali figure divine, invece nelle affermazioni del Concilio di Nicea tali persone risultarono uguali.

 

[12] Testo del Credo di Nicea, vedi H. Denzinger, Enchiridion symbolorum, definitionum et declerationum de rebus fidei et morum, 38 ed., Freiburg 1999, 62-64.

 

[13] C.Th. 16.5.6.

 

[14] Simile convinzione è affermata da D. Hunt, Christianising the Roman Empire, in The Theodosian Code. Studies in the Imperial Law of Late Antiquity, a cura di J. Harries, I. Wood, London 1993, 146 ss.

 

[15] C.Th. 16.4.2.

 

[16] C.Th. 16.2.27.

 

[17] Per saperne di più sulla legislazione contro i pagani vedi A. Dębiński, Ustawodawstwo karne rzymskich cesarzy chrześcijańskich w sprawach religijnych, Lublin 1990, 51 ss.

 

[18] C.Th. 16.10.7.

 

[19] A. Barzanò, Il cristianesimo nelle leggi di Roma Imperiale, Milano 1996, 236 nt. 29.

 

[20] C.Th. 16.10.9.

 

[21] P.S. 5.21.3; simile divieto esisteva già in una costituzione di Diocleziano C.Th. 9.16.4.

 

[22] Di più sulla legislazione contro gli eretici e gli apostati si trova in A. Dębiński, op. cit., 49 ss.

 

[23] C.Th. 16.7.2.

 

[24] C.Th. 16.5.15.

 

[25] C.Th. 11.39.11.

 

[26] Vedi W. Mossakowski, Azyl w późnym cesarstwie rzymskim (confugium ad statuas, confugium ad ecclesiam), Toruń 2000, 93; A.D. Manfredini, Ad ecclesiam confugere, ad statuas confugere nell’età di Teodosio I, AARC 6 (1986), 39-58.

 

[27] C.Th. 16.5.22.

 

[28] C.Th. 11.39.8.

 

[29] C.Th. 16.7.1.

 

[30] C.Th. 16.7.2.

 

[31] C.Th. 15.7.8.

 

[32] Questo severo comportamento verso le attrici non era cosa nuova, poiché già nella legislazione precristiana l’attrice non era molto rispettata, in quanto le attrici spesso erano anche prostitute. La piena conversione riguardava anche la sfera morale.

 

[33] C.Th. 9.17.7.

 

[34] C.Th. 2.8.18.

 

[35] C.Th. 2.8.21.

 

[36] C.Th. 2.8.20.

 

[37] Per saperne di più sul divieto di organizzazione di manifestazioni pubbliche vedi A. Barzanó, op. cit., 250 nt. 66; vedi anche O. Pasquato, Gli spettacoli in S. Giovanni Crisostomo. Paganesimo e Cristianesimo ad Antiochia e Constantinopoli nel IV secolo, Roma 1979.

 

[38] C.Th. 16.4.3.

 

[39] C.Th. 9.45.1.