Sull'editto
teodosiano De Fide Catholica. riflessioni su tolleranza e intolleranza religiosa tra IV
e V secolo d.C.
Università di Warmia i Mazury
Indice: 1. Introduzione. –
2. Sfondo
storico e politico della fine del IV secolo d.C. – 3. La
struttura del testo dell'editto De Fide Catholica. – 4. Novum dell'editto De
Fide Catholica. – 5. Conseguenze
giuridiche dell'editto. – 5.1. Legislazione
contro i pagani. – 5.2. Legislazione
contro gli eretici e gli apostati. – 5.3. Legislazione
riguardante la religione cristiana. – 5.4. Ordine pubblico.
– 6. Editto,
tolleranza e intolleranza durante il dominio di Teodosio I. – 7. Conclusioni.
Il dominio degli
imperatori Teodosio I e II fu un periodo di svolta non solo per la
organizzazione dello stato, poiché in questo periodo si consolidò la divisione
dell'Impero Romano, tra impero Orientale e impero Occidentale; ma anche perché
il Cristianesimo diventò definitivamente la religione predominante. Altre
religioni furono proibite. Il riflesso di tale situazione esisteva prima di
tutto nella legislazione, principale strumento della politica dell’Impero. Nei
confronti del Cristianesimo vennero emessi nuovi e favorevoli
regolamenti giuridici. Il gesto simbolico di questi cambiamenti era stato il
rogo pubblico dell'opera di Porfirio Contro i cristiani[1]. Questi profondi
cambiamenti nella politica dell’Impero romano potevano aver luogo grazie agli
eventi che erano accaduti ancor prima, durante il dominio del nonno di Teodosio
II. Il 27 febbraio del 380 venne emesso dall’imperatore Teodosio I l’editto De
Fide Catholica.
Teodosio I dominò negli
anni 379-395[2]. Con lui governarono
prima l’imperatore Graziano (375-383), e poi l’imperatore Valentiniano II
(375-392). Il centro politico era situato non più a Roma ma a Costantinopoli,
nell’Est. Contemporaneamente questo fu anche il periodo delle grandi conquiste
delle terre dell'Impero da parte dalle tribù germaniche, vale a dire Goti,
Ostrogoti, Sassoni, e altri; mentre la parte orientale era minacciata dal nuovo
regno dei Persiani[3].
I pericoli esterni non
erano i soli fattori che indebolivano la stabilità e la sicurezza dell’Impero.
Con l'inizio del IV secolo erano finite le persecuzioni contro i cristiani;
l'ultimo imperatore durante il cui dominio accadevano ancora delle persecuzioni
fu Diocleziano. Già sotto il dominio di Costantino il Grande il Cristianesimo ottenne
la libertà. Si deve tenere conto del fenomeno del Cristianesimo che, nonostante
le persecuzioni che durarono molti secoli, ampliò la sua influenza in tutto il
mondo di allora. La religione di Cristo arrivò fino ai più lontani territori
dell'Impero e iniziò a diffondersi in tutti gli strati sociali. Molti cristiani
da tanto tempo svolgevano funzioni pubbliche, sia civili sia militari. Le
antiche religioni romane erano in minoranza, avevano già meno fedeli. Per
questo il tentativo di restaurazione del vecchio ordine, cioè rimettere in
posizione predominante le religioni tradizionali, iniziata da Giuliano
l’Apostata, fallì. La posizione sempre più debole dei fedeli delle religioni
pagane è testimoniata da alcuni fatti specifici: la rimozione della statua
della dea Vittoria – Dea Victoria, nonostante la protesta di alcuni
senatori capeggiati da Simmaco, che svolgeva la funzione di prefetto della
città; la rinuncia dell’imperatore Graziano al titolo di Pontifex Maximus;
lo stesso imperatore eliminò privilegi ed immunità dei sacerdoti pagani e delle
vestali[4].
Nella letteratura
storica da molto tempo esiste un dibattito sui rapporti di Costantino il Grande
con il Cristianesimo e le altre religioni romane. La storiografia cristiana di
questo periodo, in particolare Lattanzio ed Eusebio[5], dà risalto al
fattore religioso nell'attività di Costantino, indicando specificamente
la sua conversione. Ma a quanto pare dagli eventi della vita dell'imperatore
emerge il ritratto di un uomo decisamente più pragmatico, che cioè voleva dare
davvero vita alle sue idee. Come sovrano egli notò che il Cristianesimo era
divenuto la religione più importante e non poteva comportarsi in altro modo se
non accettarla. Costantino apprezzò anche il valore del processo di
unificazione dell’Impero e volle difenderlo dalla più grande influenza delle
religioni orientali[6]. Queste religioni
rappresentavano un grande pericolo per Roma.
Il Cristianesimo
portava con sé nuovi problemi, legati al processo di formazione dei contenuti
nella definizione dei principali dogmi di fede, riguardanti in particolare
Il momento della
svolta fu il Concilio di Nicea del 325, riunito da Costantino il Grande.
Durante questo Concilio venne precisato definitivamente il Credo, cioè
il testo della professione di fede cristiana che è rimasto immutato fino a
oggi. Non ci volle molto tempo perché esso diventasse la base dell’unità della
religione cristiana, e lo strumento di misura per la fedeltà dei credenti alla
dottrina[8].
L’editto De Fide
Catholica fu emanato il 27 febbraio 380. Il suo testo venne preparato dalla
cancelleria di Teodosio I.
C.Th.
16.1.2: IMPPP. GR(ATI)IANUS, VAL(ENTINI)ANUS ET THE(O)D(OSIUS) AAA. EDICTUM AD
POPULUM VRB(IS) CONSTANTINOP(OLITANAE). Cunctos
populos, quos clementiae nostrae regit temperamentum, in tali volumus religione
versari, quam divinum Petrum apostolum tradidisse Romanis religio usque ad nuc
ab ipso insinuata declarat quamque pontificem Damasum sequi claret et Petrum
Aleksandriae episcopum virum apostolicae sanctitatis, hoc est, ut secundum
apostolicam disciplinam evangelicamque doctrinam patris et filii et spiritus
sancti unam deitatem sub parili maiestate et sub pia trinitate credamus. Hanc
legem sequentes Christianorum catholicorum nomen iubemus amplecti, reliquos
vero dementes vesanosque iudicantes haeretici dogmatis infamiam sustinere ‘nec
conciliabula eorum ecclesiarum nomen accipere’, divina primum vindicta, post
etiam motus nostri, quem ex caelesti arbitro sumpserimus, ultione plectendos.
DAT. III Kal. Mar. THESSAL(ONICAE) GR(ATI)ANO A. V ET THEOD(OSIO) A. I CONSS.
[Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto
nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione,
che è stata trasmessa da Dio a Pietro Apostolo, e che egli ha trasmesso
personalmente ai Romani, e che ovviamente (questa religione) è mantenuta dal
Papa Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità
apostolica; cioè dobbiamo credere conformemente con l'insegnamento apostolico e
del Vangelo nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo,
che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità. Ordiniamo che il nome di
Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di
questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e
ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro
riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati
dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati
autorizzati dal Giudice Celeste].
Questo testo è una
norma giuridica che contiene ipotesi, disposizione e sanzione[9]. Dunque questa è la
regolazione complessiva della questione concreta. La prima parte del testo, che
inizia dalle parole Cunctos populos regit temperamentum contiene il
destinatario della norma giuridica. Questo destinatario sono tutte le nazioni
che sono sotto il dominio degli Imperatori romani. Questa affermazione contiene
una definizione molto importante, cioè Cunctos populos. Essa indica che
Teodosio I aveva piena consapevolezza che sul territorio dell'Impero ci fossero
diverse nazioni. Non si può dire dell’esistenza di una nazione romana unica. La
conferma di questo pensiero la troviamo un po' più avanti, dove si dice di S.
Pietro, che diffondeva il Vangelo ai Romani, ma non ai Romani come nazione
bensì ai Romani abitanti di Roma.
La seconda parte del
testo, che contiene la disposizione, è divisa in tre frammenti. Il primo
contiene ordine e descrizione. Teodosio I ordina che le nazioni che sono sotto
il suo dominio rimangano fedeli alla nuova religione:
in
tali volumus religione versari... .
Il secondo frammento è
il seguente:
quam
divinum Petrum apostolum tradidisse Romanis religio usque ad nuc ab ipso
insinuata declarat quamque pontificem Damasum sequi claret et Petrum
Aleksandriae episcopum virum apostolicae sanctitatis.
Da questo frammento
risulta che il contenuto della religione cristiana era stato diffuso da S.
Pietro ed era vigilato dalle due figure più importanti nella gerarchia della
chiesa cioè Papa Damaso (366-386) e il vescovo Pietro, che era nella sede
patriarcale di Alessandria.
Il terzo frammento
contiene la definizione del contenuto della vera fede, che troviamo nel dogma
più importante per il Cristianesimo, quello cioè sulla Santa Trinità:
hoc
est, ut secundum apostolicam disciplinam evangelicamque doctrinam patris et
filii et spiritus sancti unam deitatem sub parili maiestate et sub pia
trinitate credamus.
L'ultima parte di
detto testo contiene la sanzione. Secondo la decisione dell'Imperatore le
persone che rifiutano la vera fede sono dementi, persone senza intelletto, e
come tale sono condannate per mezzo delle pene provenienti da Dio e per mezzo
di quelle umane stabilite dall'Imperatore stesso. In ogni caso le pene emanate
dall'imperatore sono emanate anche in nome di Dio.
Nel sistema del
diritto romano, simile agli altri antichi sistemi giuridici, le regole
riguardanti le questioni religiose ne erano molto spesso parte integrante. Tale
situazione risultava dallo stretto legame della religione con la vita politica
e sociale nell’Antichità. Da questo punto di vista, il testo della costituzione
di Teodosio I non è molto lontano dagli standard legislativi di allora. Il
punto di svolta per questa costituzione è il fatto che si trova in essa un
riferimento non solo al sistema normativo che si formava, ma anche,
grosso modo, alla ricezione delle forme normative di carattere religioso che
avrebbero dovuto legare tra loro tutti gli abitanti dell'Impero.
Nel 325 vicino a
Costantinopoli, cioè a Nicea, si riunì il primo Concilio ecumenico, convocato
da Costantino il Grande[10]. Come scopo il
Concilio si prefiggeva prima di tutto di porre fine all’eresia di Ario,
riguardante il dogma della Santa Trinità; in secondo luogo far accettare in
maniera definitiva un comune simbolo della fede: il Credo. Ario aveva
elaborato delle idee sulla subordinazione delle Persone Divine all’interno
della Santissima Trinità, il che era contrario alla dottrina cristiana[11].
Il testo dell'editto
non è il riflesso letterale del testo originale che riporta le decisioni del
Concilio. Esso è abbastanza lungo. Fu preparato solo un riassunto dei più
importanti frammenti della professione di fede, che contengono l’affermazione
della uguaglianza delle persone Divine, assieme alla più importante definizione
sulla coesistenza delle persone Divine (homoousios)[12]. Il maggiore
frammento delle affermazioni del Concilio venne incluso nella costituzione
dallo stesso imperatore nel 381[13].
L’editto De Fide
Catholica dell'imperatore Teodosio I fu il primo atto giuridico che
conteneva una norma il cui autore era l’imperatore stesso. In contrasto col
diritto consuetudinario non erano norme prodotte dalla società, ma avevano la
loro fonte nella Illuminazione, il cui contenuto era stato precisato
dall’assemblea dei vescovi. Il ruolo dell'imperatore era limitato in questo
caso al vigilare sul contenuto delle verità di fede, e in materia religiosa ora
egli non era già più il legislatore[14].
Di conseguenza il 16
giugno 388 fu emesso un editto[15] il cui destinatario
era il prefetto dei pretori, e al quale l’imperatore aveva vietato di discutere
in pubblico su temi religiosi, e in particolare di dare la definizione delle
verità di fede in pubblico. Allo stesso tempo fu giuridicamente vietato
influenzare persone tramite i dogmi della Chiesa, dando in questo modo
invariabilità e unità alla fede cristiana. Tale concezione della religione era
nuova poiché fino ad allora il contenuto religioso come esperienza era
qualcosa di personale, in gran parte dipendente dall'individuo.
Le conseguenze
dell'editto De Fide Catholica furono varie. Nel contesto politico il
Cristianesimo divenne non solo la religione predominante ma anche la concezione
“ufficiale” del mondo, il suo diritto e anche le sanzioni. Questo fatto doveva
alla fine avere il suo riflesso anche nella terminologia ufficiale, sul modo di
essere dell'imperatore e dei funzionari dello stato, almeno all'esterno, e in
particolare nello stile dello svolgimento delle funzioni. L’editto influenzò
molto il popolo che fino ad allora, in gran parte, già era di fede cristiana.
Da questo punto però tutti nello stesso modo dovevano esprimere le proprie
convinzioni religiose, conformemente con la dottrina ufficiale. Tale immagine
della religione era qualcosa di nuovo nella nazione romana multiculturale. Fino
ad allora si poteva credere nell’esistenza di molti Dei, diversi anche da altri
ufficialmente riconosciuti dal potere pubblico. Ogni religione aveva i suoi
rituali. Essere di una o di un’altra fede non era sanzionato con alcuna pena,
con l’eccezione di religioni o culti vietati. L’editto De Fide Catholica imponeva
sotto il rigore di sanzioni giuridiche una religione e una fede nell’unico
Dio.
Assai importanti erano
le conseguenze giuridiche. Prima di tutto si deve segnalare che questo editto
diede inizio alla produzione di costituzioni riguardanti la materia religiosa.
Gli atti giuridici esistenti in questa materia persero il loro significato, si
può anche dire che furono abrogate ipso iure. Le nuove regolamentazioni
giuridiche in materia religiosa andarono in generale in due direzioni: la prima
era l’eliminazione dei culti pagani, la seconda fu la battaglia contro le eresie.
Si devono segnalare anche le regolamentazioni giuridiche riguardanti la
relazione dello Stato con la nuova religione.
Lo stesso giorno, cioè
il 27 febbraio 380, fu emanato ancora un altro editto che consolidò la
posizione della legislazione cristiana[16], in questo editto
venne stabilito che:
Qui divinae legis sanctitatem aut nesciendo confundunt aut neglegendo violant et offendunt, sacrilegium commitunt.
[Chi trascura la santità della legge di Dio
ignorandola, violandola oppure recandole offesa, commette sacrilegio].
Le norme giuridiche
che contengono le regole riguardanti la fede divennero norme che obbligatorie
per tutti.
Di conseguenza vennero
promulgate tante costituzioni che avevano lo scopo di eliminare il vecchio
ordine in materia religiosa, con ampie conseguenze nell'ambito sociale, poiché
nascevano nuove divisioni all’interno della società. Nell’editto esiste
chiaramente la divisione della società tra le persone fedeli e gli “altri”,
descritti come pazzi e senza intelletto. Nel secondo gruppo al primo posto
c’erano le persone appartenenti a religioni tradizionali, in generale chiamati
pagani; accanto a loro c'erano gli eretici e gli apostati cristiani, che o non
operavano un’interpretazione corretta delle verità di fede, o non accettavano l’unità
della Chiesa.
Le costituzioni contro
i pagani, emanate in questo periodo, sono state raccolte in gran parte nel
Codice Teodosiano sotto il titolo De paganis, sacrificiis et templis[17]. Nell’editto del 21
dicembre 381[18] esisteva il divieto
di partecipazione ai rituali pagani, sia come partecipanti sia come
organizzatori di tali rituali; significativo è anche il fatto che i
trasgressori del divieto sono qualificati come pazzi (vesanus) e la
partecipazione viene definita reato. Gli interventi imperiali contro le
religioni pagane erano rivolti soprattutto ad impedire il culto e la produzione
delle sculture degli dèi pagani, per questo la distruzione dei templi pagani
era solo l'attività indiretta del progetto. Ma si deve anche dire che gli
imperatori a volte tentavano di conservare le opere d’arte o di architettura:
nell'editto del 30 novembre 382 Teodosio I decise di conservare tutti gli
oggetti usati nel culto pagano che avessero un valore artistico, le
disposizioni dell'editto, secondo A. Barzanò[19], facevano riferimento
molto probabilmente al tempio di Odessa. Ma questi oggetti si rendevano
accessibili al pubblico solo a condizione di seguire il divieto del culto
pagano; il palazzo diventava il museo.
Nell'editto del 25
maggio 385 si vietò di fare sacrifici sanguinosi e trarre auspici dagli organi
interni degli animali[20]. Le disposizioni
dell’editto in questo ambito sono un po' curiose perché già nel 17 d.C. era
stata introdotta la pena di morte per le persone che compivano queste pratiche[21]. Ma pare che le
pratiche fossero rimaste nelle province, in particolare in Egitto. Questo
editto era rivolto in particolare al prefetto del pretorio in Egitto, famoso
per la sua ostilità contro i pagani.
La situazione degli
eretici e degli apostati dopo il 380 diventò molto difficile, sia nell'ambito
del diritto pubblico, sia nell'ambito del diritto privato[22]. Nell'editto del 20
maggio 383 Teodosio I decise di privare tali persone, nell'ambito del diritto
privato, sia della capacità di redigere testamento sia della capacità di
ereditare[23].
Nell'editto del 14
giugno 388[24] fu introdotto il
divieto agli eretici di convocare riunioni; poiché nell'editto non è prevista
alcuna distinzione tra riunioni in luoghi pubblici o privati, si può facilmente
intuire che questa norma riguardasse tutte le riunioni. La conferma di questo
si ricava dalla parte successiva della costituzione, dove si fa divieto alle
sette eretiche di discutere su temi religiosi, organizzare riunioni clandestine
o esercitare la liturgia.
L’esclusione degli
eretici dalla società dei cittadini romani venne definitivamente confermata
nell'editto del 9 giugno 391[25]: a consortio
omnium segregati sint... . Questo frammento suggerisce l’esistenza di dubbi
sullo status degli eretici e degli
apostati. La posizione giuridica dei pagani non lasciava dubbi: non erano più
cittadini, perdevano tutti i diritti. In quest’altro caso però non si era molto
sicuri, perciò nella costituzione in modo esplicito venne affermata
l'esclusione degli eretici e apostati dallo status
di cittadini dell'Impero Romano. Questa affermazione ha un significato
soprattutto simbolico poiché costoro non perdevano la cittadinanza come tale,
ma diventavano cittadini della peggiore categoria e subivano forti limitazioni
la loro capacità giuridica e la loro capacità di agire. Nella parte successiva
di questo editto si fa cenno alla perdita di queste persone della capacità di
rendere testimonianza davanti a qualsiasi corte[26].
Gli eretici e gli
apostati perdevano il diritto di avere una propria struttura organizzativa e di
conseguenza non avevano il diritto di nominare i loro vescovi e consacrarli.
Tale disposizione è contenuta nell’editto del 15 aprile 394[27]; il divieto si
giustifica con la volontà imperiale di limitare, o escludere del tutto,
qualsiasi sviluppo delle sette ereticali, impedendone l'ampliamento delle
strutture organizzative.
Nell'editto del 31
marzo 381 venne emanata una norma a favore delle persone che custodivano le
chiese cristiane – custodes ecclesiarum: gli obblighi personali, che
erano uguali per tutti i cittadini, venivano sensibilmente diminuiti per queste
persone; peraltro, il privilegio non era una cosa nuova, poiché già nel periodo
precedente al Cristianesimo i custodi dei templi pagani – custodes templorum
– avevano analoghi diritti. Nell'editto del 29 giugno 381[28] venne sanzionato un
altro privilegio per i cristiani: i vescovi non erano più obbligati a dare
testimonianza episcopale.
Il gran numero di
nuove conversioni al Cristianesimo, a volte anche frutto di un’adesione
superficiale, causava sovente casi di ritorno alla religione pagana; tali casi,
evidentemente, non dovevano essere rari, se il fenomeno aveva trovato sanzione
nella legislazione di Teodosio I.
L’Imperatore
nell'editto del 2 maggio 381[29] privò queste persone
della capacità di redigere dei testamenti efficaci per il diritto civile, per cui
i loro testamenti risultavano senza alcun valore. Nell'editto del 20 maggio 383[30] Teodosio I specificò
che le persone che non erano più cristiane, essendo tornate alle religioni
pagane, perdevano completamente la capacità di redigere testamento poiché sint
absque iure Romano, erano cioè fuori dal diritto romano. Si può dire che
nell'editto si creò la tesi secondo cui le persone che non volevano più essere
cristiane perdevano la cittadinanza romana; anche in questo caso non si
parla di vera perdita della cittadinanza, ma di limitazione della capacità
giuridica e della capacità di agire.
Un altro fenomeno
negativo all'interno delle comunità cristiane era costituito dalle conversioni
simulate. Anche questo fenomeno non doveva riguardare pochi casi individuali,
altrimenti non avrebbe trovato rilievo nella legislazione dell'imperatore.
Nell'editto del 8
maggio 381[31], indirizzato al
prefetto della città, si dispone che un’attrice, nel caso cambiasse religione e
si convertisse al Cristianesimo, poteva essere liberata dai suoi obblighi, ma
solo a condizione di aver operato una conversione completa. Nel caso, invece,
l’attrice tornasse alla sua professione non si poteva stabilire con certezza la
conversione completa[32].
Nell'editto del 26
febbraio 386[33] si introdusse il
divieto di commercio delle reliquie.
Tale divieto si giustificava per il fatto che in questo periodo si era
sviluppato molto dinamicamente il culto dei santi; con conseguente formazione
di grandi centri religiosi intorno ai santuari. L’introduzione di questo
divieto ebbe l’effetto di promuovere la costruzione di grandi edifici religiosi
nei luoghi dove erano sepolti i santi.
Nell'editto del 3
novembre 386[34] fu introdotto il
divieto di intraprendere azioni processuali e non processuali la domenica, che
nel testo della costituzione era stata chiamata solis die. Non si
potevano, dunque, iniziare liti e processi, chiamare a testimonio o riscuotere
debiti sia pubblici sia privati. Anche i giudici non dovevano compiere nessuna
azione processuale. Simili disposizioni si possono trovare nell'editto del 27
maggio 392[35], nel quale esiste non
solo il divieto di compiere azioni processuali, ma anche tutte le attività
pubbliche e private – Actus omnes seu publici seu privati – per un
periodo di quindici giorni dopo
Nella stessa ottica si
deve vedere anche l’editto del 17 aprile 392[36], nel quale erano
state vietate tutte le manifestazioni pubbliche organizzate nei giorni festivi;
probabilmente si faceva riferimento a gare sportive e ad altre manifestazioni
simili, a causa delle quali i fedeli non partecipavano alla messa della
domenica o dei giorni di festa; perciò l'imperatore non ammetteva
l’organizzazione dei giochi pubblici durante il Natale[37].
L’editto del 18 luglio
392[38] conteneva una norma
giuridica di carattere generale e astratto. Questa costituzione era rivolta a
tutti coloro che violavano le leggi e le decisioni delle corti di giustizia – qui
nec generali lege admonitus nec conpetenti sententia emandatus; si parla
qui dei comportamenti che conducono alla violazione della fede cristiana e
delle leggi dell’Impero – fidem catholicam turbat et populum. Allo
stesso tempo appare un’altra disposizione che postula l’identificazione del
popolo romano con i cristiani.
Tuttavia, l’accettazione
della religione cristiana come religione ufficiale dell’Impero romano non
comportava limitazioni per i pubblici poteri. In una costituzione[39] emanata durante il
regno di Teodosio I si trova una regola assai severa riguardante i debitori
pubblici insolventi, molti dei quali, volendo usufruire del diritto di asilo
stabilito già per i templi pagani, si rifugiavano sempre più spesso nelle
basiliche cristiane. Nel caso dei debitori pubblici insolventi, l’imperatore
dichiarava di non voler rispettare tale consuetudine, non permettendo che
usufruissero di alcuna tutela i debitori pubblici ricoverati nei luoghi sacri
cristiani; il potere pubblico rivendicava il suo diritto di arrestare tali
persone anche all’interno delle chiese cristiane, non riconoscendo ai preti il
diritto di proteggere costoro. Nei casi estremi, cioè quando un ecclesiastico
si fosse convinto di dover tutelare il rifugiato, non era permesso arrestare il
debitore, ma doveva da solo pagare questo debito.
Nell'ottica della
legislazione emanata da Teodosio I, vengono alla luce diverse conclusioni
riguardanti la tolleranza e l’intolleranza in questo periodo. Anzitutto ci si
deve rendere conto del fatto che i criteri contemporanei di tolleranza o
intolleranza sono inutilizzabili, in quanto ora, nella cultura occidentale, la
religione influenza sempre di meno la politica e la società, mentre
nell'Antichità la religione era un elemento fondamentale della vita politica e
sociale. La tolleranza come tale non entrava nel canone dei valori politici
principali, il valore supremo era il mantenimento dell’unità dell’Impero e la
religione era un ottimo strumento per ottenere questo scopo. Nasce allora la
domanda sul perché proprio il Cristianesimo nel 380 diventò la forza principale
dell’unificazione dell’Impero romano.
Le persecuzioni contro
i Cristiani erano finite nel 303 d.C., ma la piena libertà il Cristianesimo la
ottenne solo nel 313 con l’editto di Milano. Nel periodo delle persecuzioni,
che durò tre secoli, il Cristianesimo era diventato progressivamente la
religione numericamente dominante nell’Impero; mentre le altre religioni
andavano perdendo il loro significato e la loro influenza. La maggior parte dei
funzionari imperiali professava ormai la nuova religione; Costantino il Grande
per la prima volta aveva preso coscienza della forza del Cristianesimo, ponendo
fine al periodo delle persecuzioni. Ma, nello spirito della tolleranza religiosa
romana, il Cristianesimo era solo una delle tante religioni, benché già nella
legislazione costantiniana si possano indicare delle influenze da parte di
essa, in particolare nell'ambito del diritto familiare.
Nel 380 si creò una
nuova situazione, il Cristianesimo da questo punto non era più solo una delle
tante religioni, ma la religione di stato cioè la religione che aveva il pieno
appoggio da parte del potere imperiale. Allora sorge un’altra domanda: perché
andò così? Queste attività avevano forse base religiosa? Così potrebbe sembrare
e molti studiosi proprio così valutano questi cambiamenti.
Intanto, l’editto De
Fide Catholica si deve vedere nella prospettiva della politica dell’Impero:
la maggior parte della società era ormai di fede cristiana, le religioni
tradizionali erano praticate in generale nelle province e nell'Est dell'Impero
o in Egitto; gran parte dei funzionari imperiali professavano la nuova
religione; anche se erano avvenute alcune conversioni alla religione pagana,
questi erano casi di poca importanza nella scala dell'intero Impero. Allora gli
imperatori che preferivano il Cristianesimo non costruivano niente di nuovo, ma
sancivano l'ordine già esistente; perciò lo scopo dell'editto di Teodosio I non
era solo quello di rafforzare il Cristianesimo, ma anche di consolidare
l’Impero, facendo diventare in questo modo il Cristianesimo fondamento
ideologico che consolidava le istituzioni. Comunque, qualcosa di molto simile
accade anche oggi: ogni paese ha bisogno di uno sfondo ideologico per il suo
funzionamento; tale sfondo ideologico nel mondo contemporaneo è la filosofia
liberale. Dall'editto del 380 d.C. in poi il Cristianesimo assunse il ruolo più
importante nel processo di integrazione dell’antico Impero romano.
L’evento del 380 aveva
avuto i suoi effetti negativi: il passaggio del Cristianesimo da religione
dominante a religione di stato aveva determinato l’adesione interessata da
parte di molti pagani, o anche di persone indifferenti alla religione, per
avere maggiori possibilità di fare carriera nella società e nella politica.
Questo fenomeno risultò evidente allo stesso Teodosio I, come si vede dalla sua
legislazione; una di queste costituzioni riguardava il caso dell’attrice, la
quale anche se convertita al Cristianesimo continuasse a svolgere la sua
professione. Si può supporre, comunque, che il numero di tali persone fosse
piuttosto grande e che molto spesso fossero funzionari dell’amministrazione
imperiale; i quali, ora, applicavano lo stesso zelo con cui, non molti anni
prima, si perseguitavano i Cristiani alla persecuzione di pagani ed eretici.
Eppure, dalle ultime persecuzioni dei Cristiani non erano passati ancora 80
anni.
Il Cristianesimo
introdusse nuovi standard di cittadinanza. Solo le persone di religione
cristiana, conforme al simbolo di fede di Nicea, potevano avere la piena
cittadinanza romana; gli altri, pagani ed eretici, non avevano tale
cittadinanza, oppure erano privati di molte prerogative nell'ambito del diritto
pubblico e privato. La legislazione contro gli eretici e gli apostati era di
carattere religioso. Ovviamente, è difficile oggi negare la sincerità delle
intenzioni degli imperatori convertiti, in particolare Teodosio I, ma il vero
motivo della partecipazione degli imperatori alla battaglia per l'unità del
Cristianesimo era la preoccupazione per l’unità dell’Impero; una volta presa la
decisione di rendere il Cristianesimo l’unica religione dell’Impero, tale
decisione doveva essere realizzata. Dall’analisi della legislazione di Teodosio
I, la tesi dell’assenza di tolleranza nella religione cristiana verso i pagani
o gli eretici è falsa: a mio avviso, dal
Nella prospettiva
dell’analisi presentata sulla legislazione emanata durante il dominio di
Teodosio I, e sulla base della valutazione delle conclusioni risultanti da
questa analisi, si può dire che editto De Fide Catholica divenne
l'inizio di molti atti successivi valutati come negativi, per es. la battaglia
contro i pagani e gli eretici, e poi nel Medioevo le Crociate. Da qui gli
effetti negativi che sono stati
attribuiti alla religione cristiana come tale, e non alla politica dello stato
o gruppi politici, che per i loro scopi utilizzavano e utilizzano sia il
contenuto sia i simboli religiosi. Simili cose facevano molti politici anche in
Polonia dopo la svolta politica nel 1989.
Come un avviso di
questa situazione si può vedere anche il fatto di utilizzare per tali scopi la
legislazione. Contemporaneamente, avendo in considerazione gli effetti negativi
della collocazione dei contenuti religiosi nelle costituzioni degli imperatori,
si dovrebbero evitare tutte le implicazioni ideologiche nella legislazione.
Ovviamente sorge la domanda su quale sia la funzione del diritto nella società contemporanea.
Ma forse vale la pena di dare la risposta a questa domanda in un’altra
circostanza.
[1] L'opera risaliva circa
al 270 dopo Cristo. Sullo stesso tema vedi M.
Simon, Cywilizacja wczesnego chrześcijaństwa,
traduzione polacca di E. Bąkowska, Warszawa 1981, 124.
[2] Per maggiori
approfondimenti sull'imperatore Teodosio I vedi A.
Lippold, Teodosius I (379-395), in Die Römischen
Kaiser. 55 historische Portraits von Caesar bis Iustinian, Hrsg. M. Clauss, München
1997, 368 ss. L'ultimo tentativo di restaurazione della religione pagana fu opera
dell’imperatore Eugenio negli anni 392-394 d.C. Venne anche ricollocata nella
sala del Senato la statua della dea Vittoria; ma Teodosio I sconfisse Eugenio
nel 394 vicino ad Aquileia.
[3] Per saperne di più sui
pericoli esterni per la Roma nel IV e V secolo d.C., vedi G. Ostrogorsky, Storia dell’impero
bizantino, traduzione italiana di P. Leone, Torino 1968, 46 ss.
[4] Di più sul tema degli
avvenimenti legati alla prova di forza tra le religioni pagane e il cristianesimo
è in J. Umiński, Historia
Kościoła. Chrześcijańska Starożytność i wieki
średnie, 3a
ed., Opole 1949, 126 ss.
[5] Eusebio, vescovo di
Cesarea, è stato riconosciuto come autore di un’opera, Vita di Costantino, nella quale l’imperatore è stato idealizzato.
In realtà il primo imperatore del quale si può dire che fosse pienamente
cristiano fu suo figlio Costanzo II.
[6] Vedi K. Bihlmeyer, H. Tüchle, Historia Kościoła,
t. 1, Starożytność chrześcijańska, traduzione
polacca J. Klenowski, Warszawa 1971, 228 ss.; M.
Banaszak, Historia Kościoła Katolickiego, t. 1, Starożytność,
Warszawa 1989, 130 ss.
[7] Vedi J. Daniėlou, H.I. Marrou, Historia
Kościoła, t. 1, Od początków do roku 600, Warszawa
1986, 342 ss.
[9] Il testo della
costituzione di Teodosio fu soggetto di molte analisi da parte dei romanisti,
vedi G.G. Archi, Teodosio II e
la sua codificazione, Napoli 1976; Idem,
Aspetti della libertà religiosa nel V e VI secolo. Legislazione teodosiana e
giustinianea, in Satura R. Feenstra
oblata, Fribourg 1985, 229-237; D.
Liebs, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien (260-640 n. Chr.),
Berlin 1987; J.V. Salasor Arias, Dogmas
y Canones de la Iglesia en el Derecho Romano, 19 n.; M.P. Baccari, Gli apostoli nel Codice
teodosiano, in Apollinaris 54
(1981), 538-582; L. De Giovanni, Ortodossia,
eresia, funzione dei chierici. Aspetti e problemi della legislazione religiosa
fra Teodosio I e Teodosio II, in Index
12 (1983-1984), 391-404.
[10] Costantino il Grande convocò
il Concilio di Nicea sotto l'influenza del vescovo Osio di Cordova Korodby
Hozjusza, il quale pensava che la riunione di tutti i vescovi cristiani potesse
porre fine alla frammentazione della dottrina cristiana; vedi Breviarium
Fidei. Wybór
doktrynalnych wypowiedzi Kościoła, red. S. Głowa, I. Bieda, Poznań
1989, 610-612.
[11] Per saperne di più sul
tema della eresia di Ario e i suoi effetti vedi Sz. Pieszczoch, Patrologia. Wprowadzenie w Studium Ojców Kościoła,
Poznań 1964, 101 ss.; B. Altaner, A.
Stuiber, Patrologia. Życie, pisma i nauka Ojców
Kościoła, Traduzione polacca di P. Pachciarek, Warszawa 1990, 373.
Il conflitto riguardava le relazioni interne tra le persone divine nella Santa
Trinità. Ario appoggiava la tesi della subordinazione interna di tali
figure divine, invece nelle affermazioni del Concilio di Nicea tali persone
risultarono uguali.
[12] Testo del Credo
di Nicea, vedi H. Denzinger, Enchiridion
symbolorum, definitionum et declerationum de rebus fidei et morum, 38 ed., Freiburg 1999, 62-64.
[14] Simile
convinzione è affermata da D. Hunt,
Christianising the Roman Empire, in The Theodosian Code. Studies in
the Imperial Law of Late Antiquity, a cura di J. Harries, I. Wood,
[17] Per
saperne di più sulla legislazione contro i pagani vedi A. Dębiński, Ustawodawstwo karne rzymskich
cesarzy chrześcijańskich w sprawach religijnych,
[22] Di più sulla
legislazione contro gli eretici e gli apostati si trova in A. Dębiński, op. cit.,
49 ss.
[26] Vedi W. Mossakowski, Azyl w późnym
cesarstwie rzymskim (confugium ad statuas, confugium ad ecclesiam),
Toruń 2000, 93; A.D. Manfredini,
Ad ecclesiam confugere, ad statuas
confugere nell’età di Teodosio I, AARC 6 (1986), 39-58.
[32] Questo severo
comportamento verso le attrici non era cosa nuova, poiché già nella
legislazione precristiana l’attrice non era molto rispettata, in quanto le
attrici spesso erano anche prostitute. La piena conversione riguardava anche la
sfera morale.
[37] Per saperne di più sul
divieto di organizzazione di manifestazioni pubbliche vedi A. Barzanó, op. cit., 250 nt. 66; vedi anche O.
Pasquato, Gli spettacoli in S. Giovanni Crisostomo. Paganesimo e
Cristianesimo ad Antiochia e Constantinopoli nel IV secolo, Roma
1979.