Regressione
evolutiva degli istituti giuridici: brevi riflessioni sulla nozione di persona
giuridica*
Università di Sassari
Indice: 1. La regressione evolutiva nel pensiero di Mancaleoni.
– 2. segue: sua proiezione al di fuori del diritto romano.
– 3. Regressione ed evoluzione della nozione di persona
giuridica. – 4. Società persona giuridica e
“uso” della relativa disciplina. – 5. segue: persona giuridica e disciplina della
responsabilità. – 6. Considerazioni conclusive.
1. – La regressione evolutiva nel pensiero di Mancaleoni
Nella prolusione al corso di Istituzioni di
diritto romano letta nel febbraio del 1920 presso l’Università di Napoli dal
titolo “L’evoluzione regressiva negli istituti giuridici”, Flaminio Mancaleoni
avvertiva la necessità «di ricercare come nella storia le idee nuove si sono
aggiunte e sostituite alle vecchie e hanno operato tra le istituzioni umane
piuttosto modificandole che creandole». Ciò al fine di non perdere «il senso di
continuità della vita sociale» e di «non tentare i viottoli» (e quindi di non
ricorrere alle ideologie e agli apriorismi) per riprendere il cammino
dell’umanità. A fondamento di tale impostazione è la convinzione per cui «il
concetto di evoluzione organica (…) tende ad estendere ai rapporti di indole
etica, economica e giuridica le leggi che governano l’organismo naturale» e
segnatamente quelle, fra esse, che riassumono l’essenza della teoria
dell’evoluzione, riguardanti «il movimento progressivo, che produce il nascere
e lo svilupparsi degli organismi degli esseri organizzati e quello regressivo,
che produce la scomparsa di organi e di specie, lasciando gli uni tracce negli
organi atrofizzati degli esseri viventi, le altre le loro tracce nelle
testimonianze fossili della paleontologia».
In questa prospettiva, facendo tesoro
dell’esperienza storica che lo studio del diritto romano consente, il maestro
attendeva a studiare il fenomeno regressivo delle istituzioni giuridiche nelle
sue diverse articolazioni (dall’ipotesi di annientamento delle stesse
all’ipotesi di regressione parziale che ne trasformi l’essenza e lo scopo, ed
ancora all’ipotesi in cui sia colpita una categoria di istituzioni e coinvolta
tutta un’organizzazione sociale), al fine di cogliere «la nuova via di
evoluzione» che introduce nel vecchio organismo «nuovi elementi, che trovano in
se stessi e nelle nuove condizioni ragione e forza di espansione evolutiva». Ed
in questa prospettiva il Mancaleoni sottolineava che proprio nel dritto romano
è consentito cogliere i risultati che l’interpretazione storica ha potuto
ricavare «dall’involversi di alcune istituzioni sociali».
Gli esempi in tal senso sono molteplici: dalla
materia dell’eredità romana agli istituti potestativi e tutelari ed ai vincoli
che stabiliscono determinate forme per gli istituti giuridici, dissolvendosi le
quali e scomparendo – come è avvenuto nel diritto romano per i modi di acquisto
della proprietà (stipulatio, legati
ecc.) – resta con più larga espansione il contenuto sostanziale dei rapporti e
degli istituti cui quelle forme aderivano[1].
2. – segue: sua proiezione al di fuori del diritto romano
E’ possibile oggi riproporre – al di fuori del contesto
culturale (storico e filosofico) in cui è stata elaborata – l’osservazione del
Mancaleoni in ordine all’evoluzione degli istituti giuridici?
La risposta – in termini prettamente
“evoluzionistici” – deve essere probabilmente negativa. Ciò non di meno non
mancano settori del diritto nei quali sono fioriti istituti ovvero hanno
trovato rinnovata ragione di impiego figure giuridiche, la cui funzione poteva
considerarsi in parte esaurita ed in parte superata perché non più rispondente
alle originarie esigenze che le avevano sorrette.
In via generale può notarsi che tutto quel
complesso di figure e di regole, che oggi possono – per generale convenzione –
ricondursi nell’ambito della lex
mercatoria, affondano le loro radici sia in istituti già noti, il cui
schema viene sussunto e spesso piegato – attraverso avvertiti adattamenti – per
il perseguimento di nuove esigenze sia in principi, il cui fondamento è
rovesciato rispetto agli interessi originariamente tutelati (basti pensare alla
vicenda della disciplina relativa al divieto delle usure ed al suo superamento
nella riflessione condotta – dagli stessi padri della Chiesa – con riguardo
alla “qualità” della persona del debitore ed agli interessi sottostanti al
rapporto di mutuo)[2].
Anche al riguardo gli esempi sono molteplici e
la loro collocazione nell’arco dei secoli può testimoniare che «se ciò che fu
non sarà più», non di meno ciò che è stato lascia di sé utile e positiva
traccia per lo sviluppo delle istituzioni e dei rapporti fra i privati almeno
nel settore delle attività economiche.
A mero titolo di memoria si possono richiamare
le pagine di L. Goldschmidt, nelle quali si riconosce «l’involucro del prestito
a cambio marittimo» sopra lo schema dell’assicurazione a premio e vengono
tratteggiate le origini delle moderne assicurazioni nonché le pagine dedicate
alle “diverse radici” delle imprese sociali. E nello stesso senso può essere
inteso il rinvio sia ad istituti per i quali può considerarsi pacifico il
collegamento fra le loro origini e forme giuridiche conosciute nell’antichità
greco-romana (basti pensare alla cambiale ed ai documenti confessionati) sia
alle ipotesi di impiego di un «capitale con guadagno comune» a fini speculativi
e con possibilità di perdite anche limitate ovvero di associazione produttiva
con riferimento allo schema della societas[3].
Riflessioni non troppo lontane da quelle svolte
a suo tempo dal Mancaleoni possono farsi altresì – nella prospettiva qui
considerata – per la maggior parte delle
figure contrattuali elaborate dalla prassi mercantile (basti pensare alla
locazione finanziaria; alle forme di collaborazione – nel settore della vendita
al consumo – fra produttori, grossisti e venditori al minuto; alla cessione in
via sistematica dei crediti), rispetto alle quali l’originaria funzione
economica di uno o più schemi contrattuali (vendita, locazione) nonché la
corrispondente disciplina sono indirizzate e rese comunque compatibili con
esigenze imposte dalla necessità di rinvenire (nuove) forme di finanziamento,
che agevolino l’acquisizione diretta dei beni strumentali o dei prodotti
richiesti per l’esercizio dell’attività di impresa ovvero che semplifichino la
gestione dei crediti anche attraverso la cessione degli stessi in forme snelle
ed in linea di principio autoregolamentate.
3. – Regressione ed evoluzione della nozione di persona giuridica
Al di là delle considerazioni che precedono vi
è però – a mio avviso – un istituto, rispetto alle cui vicende può essere di
particolare interesse confrontare il metodo di indagine – con le debite riserve
già fatte circa il contesto storico filosofico della sua elaborazione –
propugnato dal Mancaleoni. Questo istituto è la persona giuridica, rispetto al
quale, da un lato, è stato promosso – e non soltanto in anni recenti – un vero
e proprio processo di revisione sul piano concettuale e, dall’altro, è dato
constatare una rinnovata attenzione al problema del superamento della sua
“forma”, atteso che il “rispetto incondizionato” di essa «può, in determinati
casi, condurre a risultati non equi»[4].
La ragione di tale apparente contraddizione sta
nel fatto che – come universalmente noto – non vi è ordinamento che non abbia
costruito la persona giuridica “come un soggetto giuridico autonomo da tenere
nettamente distinto dai suoi membri”. Forma (persona giuridica) e realtà
(substrato sociale) si presentano così allo stesso tempo intimamente connesse e
distinte: la persona giuridica agisce e persegue i suoi fini nell’interesse dei
suoi appartenenti; tramite l’agire autonomo della persona giuridica i suoi
membri realizzano il loro interesse di appartenenti alla collettività. Di qui
anche – tratto essenziale della persona giuridica unitamente alla sua
organizzazione corporativa – il tipico regime di responsabilità, riassunto nel
celebre passo di Ulpiano: si quid
universitati debetur singulis non debetur; nec quod debet universitas singuli
debent[5].
La netta distinzione tra universitas (ente sociale) e suoi associati, che si sostanzia nella
c.d. alterità della persona giuridica rispetto ai suoi membri – con le
conseguenze che ne derivano, soprattutto in termini di organizzazione
corporativa al fine di consentire il legittimo agire della persona giuridica e
l’imputazione ad essa dei relativi atti – costituisce pertanto (non solo negli
ordinamenti moderni) l’essenza stessa dell’istituto.
La giurisprudenza ed oggi anche diversi
provvedimenti legislativi sono peraltro giunti a negare il valore assoluto
dell’alterità[6]. Di qui l’esigenza di
domandarsi se ed entro quali limiti sia ammissibile il superamento di tale principio,
e se l’eventuale superamento, che certo comporta “regressione” – “crisi” nella
moderna terminologia – dell’istituto, possa considerarsi una fase
definitivamente involutiva dell’istituto ovvero un’occasione per la sua
rivitalizzazione.
Per rispondere a tale quesito non può ignorarsi
che “i ripensamenti” sull’alterità come essenza della persona giuridica, sono
stati suggeriti da circostanze che possono indurre a ravvisare in esse – come
già notava il Mancaleoni, seppure con riferimento ad altre ipotesi – la
presenza di «un carattere che sempre accompagna le istituzioni decadenti», che
si identifica nella contraddizione fra la disciplina propria dell’istituto e la
realtà effettiva dei rapporti giuridici.
Tale contraddizione può essere colta, innanzi tutto,
sul piano del fatto: sono in verità all’attenzione di tutti ipotesi in cui
l’uso della persona giuridica – pur quando ammesso dalla legge – si traduce in
strumento per conseguire vantaggi personali altrimenti non perseguibili ovvero
per eludere l’applicazione di una disciplina specifica (meno favorevole).
E’ in primo luogo dinanzi a queste ipotesi, che
possono dirsi di uso indiretto, quando non di abuso della persona giuridica,
che si pone il problema della sua crisi (o, se si vuole, della sua regressione)[7].
A ben vedere è però proprio l’alterità della
persona giuridica rispetto ai propri componenti, nella sua portata pratica (od
applicativa) ancor prima che concettuale, ad indicare la strada corretta da
seguire per superare la crisi dell’istituto e garantirne la rispondenza della
disciplina alle esigenze mutate della società civile e dei singoli.
Senza volere e potere qui riproporre il
dibattito fra i sostenitori dell’impostazione tradizionale della nozione di
persona giuridica e i fautori della teoria revisionista (segnalando che
l’espressione è utilizzata con avvertita approssimazione), una premessa pare
comune all’una ed all’altra tesi (almeno per diritto privato): «la persona
giuridica non è fenomeno preesistente, bensì una creazione dell’ordinamento
giuridico positivo» per il perseguimento di scopi determinati. E’ allora la
coerenza tra lo scopo dell’ente e le finalità in concreto perseguite con il suo
impiego, che deve guidare l’operatore del diritto nella valutazione della
fattispecie concreta al fine di individuare la disciplina di volta in volta in
volta applicabile. In altri termini «il problema della repressione degli abusi
della personalità giuridica» si porrà negli stessi termini in cui si pone,
nella quotidiana esperienza dell’interprete del diritto, ogni problema di
applicazione di norme: accertare se sussistono, nel caso concreto, i
presupposti di applicazione della norma e di conseguenza applicare o
disapplicare la disciplina speciale destinata alla persona giuridica quale
organizzazione collettiva di persone e di interessi[8].
4. – Società persona giuridica e “uso” della relativa disciplina
In questa prospettiva la materia commerciale ed
in particolare il ricorso alla struttura organizzativa propria delle società di
capitali – persone giuridiche per definizione (art. 2331 e art. 2464 c.c.) – si
sono nel tempo dimostrati un singolare quanto fertile campo di sperimentazione.
A titolo esemplificativo si possono ricordare
talune ipotesi, rispetto alle quali l’accertamento dell’uso (improprio) della
persona giuridica è pregiudiziale all’individuazione della disciplina
applicabile.
In materia successoria è ben nota la prassi del
ricorso alla costituzione di società di capitali, nelle quali conferire parte o
tutto il patrimonio destinato a cadere in successione e che si intende
sottrarre alle ordinarie vicende ereditarie. In tal caso la società persona
giuridica, soggetto terzo rispetto ai suoi soci – a seconda che il conferimento
sia effettuato al fine di impedire la frammentazione del patrimonio familiare e
di assicurarne la gestione “unitaria” nel tempo ovvero che il conferimento
persegua l’intento di pregiudicare l’aspettativa di taluni eredi[9][9] – offre, con un’accorta utilizzazione della sua disciplina,
strumenti molteplici per attuare il regolamento di interessi preordinato, fermo
il pregiudiziale giudizio sulla liceità degli interessi così disciplinati[10].
Il discorso non è diverso in materia di
locazione (ed in particolare in materia di locazione di immobili destinati ad
attività imprenditoriali), in quanto da un lato l’alterità può essere
utilizzata dai terzi contro lo stesso interesse dei soci e, dall’altro, può
costituire strumento legittimo per la cessione dei rapporti, ancor quando dalla
cessione possa derivare pregiudizio alla controparte come nel caso di proroga
della locazione (l’ipotesi è quella in cui una società di un gruppo si fonde, a
seguito di incorporazione, con altra dello stesso gruppo per consentire
all’incorporante di proseguire o di subentrare in un contratto di locazione in
corso). Anche in questo caso non vi è uso di forme civili vuote di contenuto,
ma al contrario utilizzo della forma per realizzare un vantaggio offerto
dall’ordinamento (la proroga) nel pieno rispetto della disciplina societaria[11].
La materia dei rapporti di lavoro è
particolarmente ricca di attentati alla sicurezza ed alla tutela del lavoratore
(basti la disciplina dell’interposizione) e certamente lo schermo della persona
giuridica può offrire occasioni e tentazioni allettanti. Le ipotesi sono note:
costituzione di società o cooperativa per mascherare un rapporto di dipendenza
fra socio di maggioranza e gli altri soci o fra un gruppo di soci e gli altri
(coop. di lavoro); costituzione di società cui sono conferiti rami produttivi o
aziende di altre società (aventi identica compagine sociale) al fine di
licenziare la manodopera ovvero sottrarsi alle condizioni di applicazioni di
particolari tutele e procedure sindacali (statuto dei lavoratori). Qui
certamente può essere ravvisato, nell’uso degli istituti societari, un intento
elusivo, che richiede una tutela puntuale per evitare che restino prevaricati
principi fondamentali, quali quello della tutela del lavoratore, che affondano
le loro radici nella stessa carta costituzionale[12].
Analoghe considerazioni possono valere in tema
di legislazione valutaria e di concorrenza (società sottratta ai divieti
valutari in quanto qualificabile come “non residente” e però costituita da
tutti i soci residenti; società di capitali costituita fra soci di una
collettiva o fra terzi ed uno o più soci di una collettiva al fine di eludere
il divieto di concorrenza di cui all’art. 2301 cod. civ.). Sempre in materia di
concorrenza, con particolare riguardo al divieto per chi aliena l’azienda di
astenersi dall’iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela
dell’azienda ceduta (art. 2557 c.c.), giurisprudenza e dottrina hanno avuto
modo di censurare la prassi elusiva del divieto attraverso la cessione (in
tutto o in parte) delle partecipazioni della società titolare dell’azienda da
parte dei soci e l’inizio, da parte degli stessi, di un’attività concorrente.
L’immutata titolarità formale dell’azienda in capo alla società non fa, in tal
caso, venire meno l’esigenza di tutela dell’avviamento riconosciuta
all’acquirente dell’azienda[13].
Al termine di questa rapida ed incompleta
(perché meramente esemplificativa) rassegna si può richiamare il tema della
responsabilità limitata. E’ questo certamente il settore in cui maggiormente si
avvertono gli abusi, e basta ricordare l’esperienza del socio tiranno. In
ipotesi il socio di maggioranza, avvalendosi dello schermo della persona
giuridica, crea con l’attribuzione ad altri soci di una minima percentuale del
capitale, una situazione di sostanziale responsabilità limitata – sottraendosi
al regime di responsabilità fissato nell’art. 2740 cod. civ. – a fronte di un
potere dispotico e privo di qualsiasi rispetto della disciplina (imperniata
sulla distinzione del patrimonio sociale da quello dei singoli soci e sull’attribuzione
del potere gestorio ai soggetti che rivestono la carica di amministratori)[14]. Un fenomeno – per
taluni profili – riconducibile sostanzialmente in questo ambito è costituito
dai finanziamenti che il socio di maggioranza eroga alla società, precostituendosi
la qualità di creditore sociale ai fini della loro (anticipata) restituzione
rispetto agli altri creditori sociali. Anche qui l’alterità della persona
giuridica svolge un ruolo decisivo, ponendosi quale necessaria condizione
perché la società possa assumere la qualità di debitore rispetto al soggetto
terzo creditore peraltro suo socio. Attraverso il finanziamento sistematico il
socio (di maggioranza) finisce così per svolgere l’attività di impresa, i cui
atti ed effetti si imputano peraltro alla società, sua debitrice[15].
5. – segue: persona giuridica e disciplina della responsabilità
Si è peraltro ricordato che non qualsiasi uso
“indiretto” della persona giuridica si traduce in abuso e, quindi, in uso
illecito della stessa.
Ed invero sono all’attenzione di tutti
interventi legislativi volti a garantire un uso della persona giuridica che –
quand’anche comporti il superamento del principio di alterità e dei profili
strutturali della stessa – è ritenuto ammissibile al fine di consentire (la
possibilità di) una più puntuale cura degli interessi dei suoi fruitori ovvero
di un più diffuso impiego di un determinato modello associativo.
In queste ipotesi lo schema puro della persona
giuridica – si potrebbe dire con il Mancaleoni – regredisce verso forme di soggettività,
che – pur consentendo di tenere distinti l’ente dai suoi appartenenti ed il
patrimonio del primo da quello dei secondi – utilizzano modelli di agire e
criteri di imputazione non esclusivi della persona giuridica.
E’ quanto si è verificato di recente
nell’ordinamento italiano in sede di riforma della disciplina della società a
responsabilità limitata, per la quale è consentito – tramite l’esercizio delle
opzioni consentite all’autonomia statutaria – adottare regimi di gestione
analoghi a quelli previsti per le società commerciali personali ovvero
disarticolare il sistema, proprio della persona giuridica, dell’agire per
organi nel rispetto delle relative competenze attraverso l’attribuzione diretta
ai soci dei corrispondenti poteri e la superfluità dell’organizzazione
corporativa[16].
In questa prospettiva vi è chi ha segnalato che
lo stesso principio della responsabilità limitata, “principio fondamentale [di
tutto il diritto azionario] della stessa persona giuridica”, sarebbe di fatto
destinato a sostanziale “disgregazione”[17]. Si rileva, infatti,
che è tendenza degli ordinamenti moderni riconoscere la responsabilità della
persona giuridica sia in materia penale sia in materia amministrativa, al
fine di garantire ai terzi danneggiati
la tutela risarcitoria che, bene spesso, il patrimonio degli autori
dell’illecito (siano essi amministratori o dirigenti dell’ente) non sarebbe in
grado di soddisfare.
Il problema, che una disciplina di tale
contenuto introduce, non concerne – in questa sede – la questione, peraltro
risalente, se possa configurarsi o meno una responsabilità in materia penale o
amministrativa in capo alla persona giuridica[18], ma quella ben diversa
se – ammettendo tali responsabilità – si finisca effettivamente per concorrere
alla “disgregazione” di uno dei tratti essenziali della persona giuridica
(appunto, la responsabilità limitata).
Sotto il profilo squisitamente tecnico
dell’attività, la risposta più corretta sembra essere quella di segno negativo,
nel senso che la responsabilità della persona giuridica è pur sempre
conseguente ad un atto alla stessa imputabile (tale è in linea di principio
l’atto illegittimo o illecito compiuto dall’amministratore o dal dirigente
nella rispettiva qualità). Né sembra venir meno, in ipotesi, il principio di
separatezza dei patrimoni (quello della persona giuridica e quello dell’autore
dell’illecito), in quanto il destinatario del risarcimento è, in primo luogo,
creditore della persona giuridica, chiamata per legge a rispondere
dell’obbligazione (illecita)del proprio amministratore o del proprio dirigente.
E’ stato peraltro osservato che quando si
estenda la responsabilità penale della persona giuridica[19] fino a ricomprendervi
qualsiasi reato, dal momento che “chi risarcisce è la società, i soci divengono
indirettamente responsabili per i reati commessi dai manager”; si è pertanto di
fronte ad un attacco alla “separatezza dei patrimoni”, sintomo della “crisi”
del sistema e “minaccia alle sue strutture portanti”[20]. Il problema così
posto non pare risolvibile, peraltro, esclusivamente in termini di superamento
dell’alterità (o separatezza dei patrimoni). La responsabilità patrimoniale
(indiretta) del socio (e più in generale del membro della persona giuridica)
per gli atti di coloro che sono investiti del potere di gestione è insita nella
stessa qualità di socio (o di appartenente all’istituzione). In questo senso
nessuno ha mai dubitato che nel caso di mala
gestio i soci divengano indirettamente responsabili (patrimonialmente)
degli atti colposi o dolosi posti in essere dagli amministratori (salvo
l’esercizio dell’azione di responsabilità e l’esperimento delle altre possibili
forme di tutela)[21].
Anche in questo caso la soluzione del problema
e la sua giustificazione possono essere ricercate, piuttosto, proprio nella necessità
sia di adeguare la disciplina dell’istituto considerato ad esigenze di equità
sociale sia di prevenire eventuali abusi perpretabili a seguito della rigida
applicazione delle norme sull’alterità e l’organizzazione corporativa.
Domandarsi se gli adattamenti che la disciplina
della persona giuridica ha subito siano riconducibili nell’ambito del fenomeno
della regressione evolutiva tratteggiata
dal Mancaleoni può oggi risultare certamente non decisivo.
Decisivo appare, invece, cogliere nell’attuale
evoluzione della (nozione di) persona giuridica e della sua disciplina
l’esigenza di continuità di una disciplina differenziata dell’umano agire a
seconda che lo stesso si esplichi come azione individuale e quindi espressione
di un interesse proprio ovvero come attività di più soggetti, espressione di un
interesse comune da perseguire all’interno di una collettività organizzata. E’,
invero, in tale continuità che può trovare ragionevole giustificazione la
revisione della stessa nozione di persona giuridica, ispirata dalla necessità
di una sua ricostruzione compatibile con la realtà fenomenolagica di cui la
struttura giuridica è proiezione, quale “segno indicatore – come da altri
rilevato[22] – di una determinata
normativa, pur sempre risolvibile in una normativa di relazione tra uomini”.
6. – Considerazioni conclusive
Dalle considerazioni sinora svolte e dagli
esempi addotti possono ricavarsi talune conseguenze.
In primo luogo non vi è dubbio da un lato che,
in linea di principio e come può desumersi dalle indicazioni normative a
proposito della destrutturazione dell’organizzazione corporativa e del
riconoscimento della responsabilità penale della persona giuridica, non sia
necessario – per reprimere gli abusi – negare il principio dell’alterità e,
dall’altro, che il rimedio vada ricercato piuttosto nella disciplina degli atti
in frode alla legge, anche se il ricorso a tale disciplina ha necessità di
essere ancorato ad una serie di dati oggettivi, con attento vaglio degli
interessi in giuoco[23].
Ciò perché – come si è detto – non tutte le
ipotesi di uso “indiretto” della persona giuridica sono necessariamente
illecite. Anzi può dirsi, almeno in via generale, che soltanto laddove l’abuso
si concreta nell’assoluto disprezzo e comunque nella violazione “delle regole fondamentali”
che governano il modello di persona giuridica utilizzato, lì emerga l’intento
elusivo e la conseguente frode alla legge. Soltanto quando il disprezzo svuota
di ogni contenuto la forma giuridica, ciò comporta che cessi la tutela
dell’organizzazione collettiva, perché l’interesse da questa perseguito è non
più interesse comune a tutti i componenti della collettività ovvero l’interesse
istituzionale della persona giuridica, ma interesse individuale dei singoli
associati, dei suoi fondatori od anche
di terzi[24].
Il che è dire, in termini diversi, quanto già
sostenuto dai primi fautori della revisione del concetto di persona giuridica:
risolvendosi l’alterità della persona giuridica nell’interesse dei soggetti che
la compongono, è a questi interessi che bisogna far capo al fine di decidere
della loro meritevolezza, per poter poi concludere se essi – quando in
conflitto con quelli di terzi (dai creditori all’amministrazione finanziaria
fino ai lavoratori dipendenti) – debbano ancora godere della disciplina
speciale approntata dalla legge e di cui i singoli sono destinatari uti universi. Questa prospettiva – ed è
la seconda conseguenza – consente di cogliere l’altro aspetto connesso al
superamento dell’alterità, rappresentato dalla necessità di tutelare i soci
dagli abusi dei terzi, ogni qual volta si pretenda di invocare l’alterità in
loro pregiudizio.
Ne discende che è possibile ritenere che la
frode alla legge non debba essere l’unica via per reprimere gli abusi; che
accanto ad essa debba innanzi tutto collocarsi «l’istituto millenario della exceptio doli», sempre utilizzabile
allorché vi sia la volontà di nuocere o di eludere una norma imperativa[25]; che, ancora, attenta
riflessione debba essere posta per il ricorso agli strumenti “tradizionali”
previsti dall’ordinamento a tutela della garanzia patrimoniale, anche
soprattutto perché molti degli abusi della persona giuridica appaiano essere
piuttosto che abusi (presunti), effettive violazioni di ben altri principi
(vendita in frode ai creditori, sottrazione della garanzia ai creditori,
mancato – perché preordinato – esercizio dei propri diritti ed eventualità
consimili). Quindi non negazione dell’alterità o suo superamento, ma
adattamento della disciplina della (nozione di) universitas, come soggetto terzo rispetto ai suoi appartenenti,
alle concrete esigenze meritevoli di tutela, nella continuità di un
insegnamento giuridico risalente fino alla glossa accursiana ove può leggersi,
già proposto con l’incisività propria della lingua latina, il criterio garante
dell’adeguamento della persona giuridica alle mutate esigenze dei tempi ed agli
usi “impropri” della stessa: «universitas
nihil est nisi singuli homines qui ibi sunt».
* Testo della relazione tenuta
al Convegno Internazionale “Flaminio Mancaleoni e gli studi di diritto romano
fra ottocento e novecento. Prospettive nel XXI secolo” (Sassari 22-24 novembre
2001) aggiornato e corredato dai riferimenti bibliografici agli autori
espressamente richiamati.
[1] I passi riportati nel
testo si leggono in MANCALEONI, L’evoluzione
regressiva negli istituti giuridici, in Studi
Sassaresi, 1921, 2, 5 s., 9.
[2] In argomento si veda la
sintesi in ASCARELLI, Corso di diritto
commerciale, Milano 1962, 17 ss. e 40; sul concetto di usura SAPORI, Studi di storia economica, I, Firenze
1982, 181 (anche con riferimento allo statuto del comune di Pistoia del 1296);
per ulteriori riferimenti sul piano della evoluzione storica si rinvia a GAMBA,
Licita usura, Roma 2003.
[3] Cfr. al riguardo
GOLDSCHMIDT L., Storia universale del
diritto commerciale, Torino 1913, 201 (con specifico riferimento alle
radici delle forme principali delle “imprese sociali”) e 268 ss. (con
riferimento al prestito a cambio marittimo ed alle origini “dell’assicurazione”).
[4] Il rilievo è già in
SERICK, Forma e realtà della persona
giuridica, Milano 1966, 1 dell’introduzione.
[5] Sul punto,
diffusamente, BASILE e FALZEA, Persona
giuridica, in Enc. Dir., vol.
XXXIII, Milano 1983, 268; il riferimento è, peraltro, anche nella dottrina
risalente, e cfr. FERRARA Fr. sr., Teoria
delle persone giuridiche, Napoli-Torino, 1915, 9.
[6] La necessità di
superare lo schermo della persona giuridica è ormai presente in una pluralità di
vicende sottoposte al vaglio della giurisprudenza di legalità e di merito (cfr.
fra le altre Cass., 25.1.2000, n. 804 in
Giur. it., 2000, I, 1663; Cass.,
24.2.1990 n.
Analoga esigenza è fatta propria in talune
discipline volte a garantire la trasparenza della titolarità di determinati
rapporti e situazioni, come nel caso di divieto di interposizione ovvero di
intestazione fiduciaria nelle attività finanziarie (per taluni esempi si veda infra, nel testo).
[7] In questo senso può
costituire un esemplare punto di riferimento l’ammissione – a livello di
legislazione comunitaria – della società a responsabilità limitata unipersonale
[la forma della società di capitali unipersonale è, oggi, consentita anche alla
società per azioni (art. 2328 c.c.) ]. L’attribuzione della personalità
giuridica alla società così costituita e la conseguente alterità della stessa
rispetto al suo unico socio consentono di conseguire quella limitazione di
responsabilità patrimoniale in capo all’unico socio normalmente non consentita
in conformità al principio per il quale – almeno in materia societaria – quando
la persona giuridica si identifica in un unico socio cessa il beneficio della
responsabilità limitata (in coerenza anche con il principio dell’art. 2740 c.c.
per l’ordinamento italiano). Sui vari profili che riguardano la società
unipersonale si rinvia per tutti a IBBA, La
società a responsabilità limitata con unico socio, Torino 1995 nonché a DI
CATALDO e SERRA, Spa e srl con unico
socio, in CAMPOBASSO (a cura di) Armonie
e disarmonie nel diritto comunitario delle società di capitali, Milano
2003, II, 1575.
[8] Al riguardo cfr.
GALGANO, Società per azioni, in Trattato di dir. comm. e di dir. pubbl.
dell’economia diretto da Fr. Galgano, VII, Padova 1984, 125.
[9] In proposito basti
pensare da un lato alle differenze di disciplina fra società e comunione (anche
ereditaria) con riguardo alla titolarità dei beni conferiti ed al diritto, in
capo a ciascun comunista, di chiedere lo scioglimento della comunione, diritto
di scioglimento negato al singolo socio e, dall’altro, alla disciplina
dell’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione e rinuncia al
suo esercizio da parte dei soci al fine di consentire l’ingresso in società
esclusivamente a quei soggetti che si intende privilegiare rispetto agli altri
potenziali eredi.
In materia gli esempi
sono molteplici, come può suggerire il fatto che il conferimento comporta la
sostituzione dei singoli beni con la partecipazione sociale e la conseguente
possibilità di trasferimento della seconda in luogo dei primi (circostanza, a
sua volta, che può avere rilevanza decisiva anche nei rapporti con i terzi nel
caso di vigenza dell’anonimato azionario nonchè nei rapporti con il fisco,
quando sia previsto un regime di imposizione differenziata per il trasferimento
delle partecipazioni rispetto al trasferimento dei singoli beni, potendosi al
riguardo ulteriormente distinguere se il trasferimento avviene a titolo di
successione mortis causa ovvero fra vivi).
[10] Giudizio che, a sua
volta, non può essere assoluto nel senso di ritenere censurabile un qualsiasi
uso indiretto della persona giuridica. E’, in verità, ragionevole ritenere ad
es. che l’interesse alla conservazione ed alla gestione del patrimonio
familiare possa essere ritenuto meritevole di tutela rispetto al concorrente
diritto di ciascun (co)erede a ricevere la propria quota del patrimonio
potenzialmente destinato a cadere in successione. In via generale
[11] In argomento si veda
Pret. Genova, 9.4.1984 ricordata da Inzitari nel saggio richiamato alla nota
precedente.
[12] In materia è entrata in
vigore, recentemente, la legge 3 aprile 2001, n. 142, che ha disciplinato la
prestazione di attività lavorativa nelle cooperative di lavoro. Tale disciplina
ha lo scopo di promuovere una più intensa tutela del socio lavoratore, anche se
– come è intuitivo – non può eliminare il rischio di abusi. Si aggiunga che i
risultati accennati nel testo possono essere perseguiti attraverso altri
istituti, quali ad es. la scissione.
[13] In punto si vedano le
recenti decisioni della giurisprudenza, con le quali si è ritenuto che il
divieto di concorrenza previsto dalla legge per le ipotesi di alienazione
dell’azienda trovi applicazione, in via analogica, anche nel caso di cessione
delle quote di una società di capitali (Cass.,
24.7.2000, n. 9682).
[14] In argomento, anche per
gli effetti riconducibili a tali ipotesi di abuso, si vedano i riferimenti
giurisprudenziali alla nota 6.
[15] Anche in questi casi –
come si è verificato per l’ordinamento italiano (art. 2467 c.c.) – l’intervento
legislativo può fornire una più adeguata tutela ai creditori della società
concorrenti ma non eliminare (la potenzialità del) l’abuso (sul fenomeno della
società sottocapitalizzata e le conseguenti problematiche si rinvia, per tutti,
a PORTALE, Capitale sociale e società per
azioni sottocapitalizzata, in Trattato
delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino 2004, I.2, 41
ss.
[16] In argomento si possono
utilmente consultare gli interventi, destinati a sottolineare i profili qui
accennati, svolti in coincidenza con l’entrata in vigore della riforma del
diritto societario (d. leg.vo 17.1.2003, n. 6), fra i quali cfr. ZANARONE, Introduzione alla nuova s.r.l., in Riv. società, 2003, 58 (ed in
particolare 68 e 96 ss.); SPADA, La
società a responsabilità limitata come tipo, in Riv. dir. civ., 2003, I, 489; per un quadro generale delle
innovazioni introdotte con la riforma si veda anche RIVOLTA, Profilo della nuova disciplina delle società
a responsabilità limitata, in Banca,
borsa, 2003, I, 683.
[18] Sul principio per cui universitas delinquere non potest (ed il
suo contrario) si veda il riferimento in BASILE e FALZEA, Persona giuridica, cit., 268.
[19] In ipotesi il
riferimento è alle società per azioni
(ROSSI, op. cit., p. 140), ma
non può sfuggire la sua potenziale rilevanza generale a seguito dell’emanazione
del d. leg.vo 11.4.2002, n. 61 portante la disciplina degli illeciti penali e
amministrativi riguardanti le società commerciali a norma dell’art. 11 legge 3
ottobre 2001, n.
[21]
E’
intuitivo che il contenuto di tale responsabilità assuma portata diversa in
relazione alla persona giuridica, cui – in concreto – l’agire degli
amministratori e dei dirigenti è imputabile.
Nella società per azioni
– come nel caso richiamato nel testo – la responsabilità patrimoniale
(indiretta) coincide con (la perdita del ) l’ammontare del conferimento;
discorso sostanzialmente simile può farsi per il contributo versato dagli
associati nei vari tipi di associazioni mentre le stesse considerazioni non
valgono per le fondazioni a struttura meramente patrimoniale.
[24] Il punto è stato posto in
luce – in materia societaria – con
riguardo all’interesse extrasociale.