Università
di Sassari
Sommario: 1. L’“operazione
amministrativa” nella dottrina italiana di inizio Novecento. –
2. Genesi della figura:
dallo studio del fenomeno della “collaborazione giuridica” alla
graduale emersione di una nozione di carattere sostanziale affine alla opération
administrative francese. – 3. Dalla iniziale indistinzione
tra procedimento e operazione alla graduale evoluzione della operazione
amministrativa in senso differenziale rispetto al procedimento. – 4. Operazione amministrativa e
procedimento “in senso ampio”. – 5. La operazione amministrativa
nella dottrina degli anni Trenta. – 6. Luci ed ombre della nozione
di operazione amministrativa. – 7. Dalla operazione
amministrativa alla nozione formale di procedimento. – 8. L’operazione
amministrativa: una nozione “in riserva” del diritto amministrativo.
L’espressione
“operazione amministrativa” è utilizzata nella scienza
italiana del diritto amministrativo, come è noto, soprattutto per
designare certi aspetti o “momenti” della c.d. attività
“materiale” della pubblica amministrazione[1].
Va osservato, tuttavia, che l’utilizzazione
della espressione “operazione amministrativa” quale referente
pressoché esclusivo dei c.d. “comportamenti materiali” della pubblica amministrazione[2]
si è affermata nella nostra tradizione disciplinare solo a partire dagli
anni sessanta del Novecento[3].
È in tale
periodo che si registra, infatti, il definitivo tramonto della diversa e
più risalente accezione della nozione, concettualmente affine alla opération
administrative francese, che aveva trovato invece largo accoglimento in
quella dottrina amministrativistica italiana dei primi decenni del Novecento
che si era rivolta allo studio del fenomeno procedimentale[4]
prima di quel fondamentale “punto di svolta”[5]
che verrà segnato in materia dalla nota monografia del Sandulli del 1940[6].
I risultati della
ricerca del Sandulli resero immediatamente “recessivo” il programma
di ricerca seguito dalla dottrina precedente, determinando, sia sul piano della
teoria e del metodo della indagine sia su quello del dimensionamento del fenomeno
(amministrativo) oggetto di analisi, l’affermazione di una
prospettiva molto più avanzata[7],
ma, per alcuni versi, anche incommensurabile rispetto a quella invalsa in
precedenza[8].
Alcuni degli studiosi
delle generazioni precedenti rispetto a quella del Sandulli continuarono,
peraltro, a “difendere” la configurazione del fenomeno
procedimentale nei termini (prima) tradizionali della “operazione
amministrativa”[9].
È questa la ragione per cui, come poc’anzi affermato, il definitivo tramonto
della breve carriera
della (prima accezione
di) “operazione
amministrativa” nella dottrina italiana è da appuntare (non già direttamente al 1940, ma) negli anni sessanta
del novecento.
In uno dei rarissimi
contributi specificamente dedicati
dalla dottrina italiana della seconda
metà del novecento allo studio della nozione di operazione
amministrativa[10]
nei termini che seguono fu “fotografato” l’ormai consumato
(duplice) riorientamento degli indirizzi della dottrina italiana in tema:
“… Il primo problema che si pone per chi intende svolgere una
indagine diretta ad individuare il significato tecnico e giuridico del vocabolo
‘operazione’ nel campo del diritto amministrativo è senza
dubbio un problema lessicale”[11];
e ciò in quanto “la dottrina amministrativistica ha usato, ed in
parte usa, tale termine in due accezioni diverse e distinte: da un lato come
sinonimo di procedimento amministrativo, dall’altro, invece,
genericamente, per designare certi aspetti o “momenti” della
attività materiale della Pubblica Amministrazione. Si tratta, si
precisa, di una “alternatività di significato” che ormai “ha
rilevanza quasi esclusivamente da un punto di vista storico, essendo
assolutamente prevalente, oggi, la seconda delle due accezioni indicate”;
tuttavia, aggiunge l’autore, nel delineare la impostazione della sua
indagine, “non ci esimeremo peraltro
dall’esaminare la prima, anche se brevemente e di scorcio,
e ciò se non altro per verificarne la consistenza attuale
alla luce dei successivi orientamenti dottrinali”[12].
Tali proposizioni, oltre
che registrare in modo efficace, come è facile constatare, lo
slittamento, già allora in stadio molto avanzato, del significato
dell’espressione, e dell’interesse della dottrina, verso quella
accezione di “operazione amministrativa” (intesa quale comportamento
o attività c.d. “materiale”) che finirà poi per
affermarsi (ed apparire alla dottrina contemporanea) quale “nozione
tradizionale” di operazione amministrativa[13],
consentono di isolare un dato importante ai fini della presente indagine.
Posto che, differenza
dello studio appena menzionato (e dell’indirizzo poi assunto dalla
dottrina successiva), l’interesse della presente indagine è
orientato (per ragioni che tra breve si avrà modo di esplicitare) sulla
prima delle due accezioni di operazione amministrativa, è bene
sottolineare come nei passi sopra richiamati sia emblematicamente rappresentato
anche il modo parzialmente suggestivo in cui nella dottrina della seconda
metà del novecento viene conservata e tramandata “la memoria”
della elaborazione dottrinaria dedicata alla (prima accezione della) operazione
amministrativa.
L’autore,
infatti, riferisce che l’espressione era utilizzata nella dottrina
risalente, seppur “con diverse approssimazioni”, come “sinonimo
di procedimento amministrativo”, o, più precisamente, per
designare “quel fenomeno giuridico che è stato poi sistemato come
“procedimento amministrativo” dal Sandulli”[14].
E in termini pressoché identici si è espressa la dottrina
successiva, nei (rari) casi in cui ha avuto modo di richiamare la nozione di
“operazione amministrativa” accolta dalla dottrina italiana di
inizio novecento: basti segnalare che anche in una recente
voce enciclopedica si rammenta
che “in passato col termine operazione amministrativa si indicavano le attività che poi hanno trovato sistemazione definitiva nella concezione strutturale di procedimento… oppure che si ricomprendevano nella generale categoria
dell’atto amministrativo”[15].
Tali formule, esatte,
calate tuttavia nell’orizzonte ermeneutico della dottrina contemporanea, assumono
una portata suggestiva nella misura in cui inducono lo studioso di diritto
amministrativo a pensare che la elaborazione in tema di operazione
amministrativa dei primi decenni del novecento ritagliasse quale referente
della nozione esattamente la stessa materia poi sistemata nella concezione
strutturale del procedimento.
La proposizione del
Graziosi, sopra citata, in base alla quale si apprende che la dottrina
risalente utilizzava l’espressione “operazione
amministrativa” quale “sinonimo” di “procedimento
amministrativo”, ad esempio, spinge naturalmente l’interprete a
“riempire” la “operazione amministrativa” di quel
significato (di uno dei possibili significati) che egli è naturalmente
portato ad associare alla espressione “procedimento amministrativo”.
Per lo studioso di
diritto amministrativo contemporaneo, in effetti, non è facile, se non
attivando un controintuitivo processo di autoriflessione, prendere
le distanze da una idea presupposta di procedimento
che vede i propri fondamenti e i propri confini estensionali ultimi tracciati,
in fondo, proprio nella elaborazione sandulliana.
Se si riflette,
infatti, sulla circostanza che la estensione della espressione tecnica
“procedimento amministrativo” accolta nella dottrina italiana
contemporanea riposa, ancorché grandemente evoluta ed arricchita in
diverse direzioni[16],
sulla piattaforma della nozione scolpita dal Sandulli nel 1940[17],
è evidente che la associazione di significato descritta è idonea
a cogliere nel segno, ossia a rappresentare la realtà concettuale della
elaborazione in tema di operazione amministrativa, all’unica condizione
che il fenomeno assunto a riferimento da tale più risalente elaborazione
della dottrina sia interamente contenuto nei confini tratteggiati dalla
costruzione sandullliana. Ove, invece, nella dottrina in tema di
“operazione amministrativa” si diano eccedenze di materia o di
senso rispetto alla (portata estensionale della) nozione moderna di
“procedimento amministrativo”, suddetta ascrizione di significato
si rivelerebbe del tutto arbitraria.
Detto in altri termini:
se è vero, come ricordato puntualmente anche nelle recenti riflessioni,
che una parte della dottrina dei primi decenni del novecento giunse ad
utilizzare i termini di “procedimento” e di
“operazione” in maniera alternativa e, talvolta, anche come
sinonimi; è vero anche che, dagli scarni riferimenti e richiami che la
recente produzione dottrinaria dedica alla più risalente elaborazione,
non è dato ricavare l’elemento più importante, ossia quale
fosse il “significato” che la dottrina del tempo associava a
ciascuna delle due diverse espressioni nei casi in cui alle stesse faceva
corrispondere il medesimo referente.
Prima di posare l’attenzione sui alcuni
degli snodi essenziali della vicenda di elaborazione della nozione di
operazione amministrativa, tuttavia, si impongono una serie di necessari
chiarimenti, che, con l’esplicitare le ragioni che spingono
l’indagine nella direzione indicata, traccino, con queste, anche gli
obiettivi e i limiti della indagine stessa.
Sono ovviamente i
caratteri strutturali di alcuni problemi del presente, e non uno sterile problema
“lessicale”, che rendono
necessario, a nostro avviso, siffatto orientamento preliminare della
indagine.
I dati da cui muovere sono molteplici.
È opportuno
anticipare sinteticamente alcune considerazioni cui verrà dato
svolgimento nel prosieguo del lavoro: la dottrina non ha dedicato grande spazio
all’approfondimento della nozione giuridica di attività
amministrativa, intesa questa quale autonoma fattispecie giuridica, né
ha elaborato una teoria della attività amministrativa, ma si è
concentrata tradizionalmente sulla teoria del procedimento, e relativo
provvedimento; tanto che, sovente, è accaduto che la teoria della
attività amministrativa sia stata identificata interamente con la teoria
del procedimento amministrativo[18].
Ma le dinamiche
evolutive del fenomeno amministrativo e l’atteggiarsi della disciplina
positiva ad esso relativa hanno di recente condotto la teoria del procedimento, per così dire, ad “urtare” talvolta contro i
propri limiti concettuali[19],
ponendo lo studioso di diritto amministrativo a contatto con una serie di
“vicende” che, contemplando nella attività amministrativa in
quanto tale la propria autonoma fattispecie reclamano ormai una sistemazione
adeguata anche sul piano teorico[20].
Uno degli obiettivi che la dottrina
amministrativistica italiana contemporanea si è di recente assegnata
è quello della costruzione di una vera teoria della attività amministrativa, da porre a fianco della (o da innestare sulla) teoria del
procedimento e del provvedimento[21].
In questo (nuovo)
orizzonte teorico si pone la presente indagine, che intende raccogliere una
indicazione di metodo e di lavoro avanzata da una recente ed illustre dottrina[22].
Non si intende, è
bene ribadirlo, puntare
frontalmente all’obiettivo
della elaborazione della auspicata teoria della attività amministrativa,
lavoro grandemente superiore alle nostre forze. L’obiettivo di queste
riflessioni è quello, certamente più ridotto, di isolare e studiare,
in tale direzione di ricerca, un oggetto di indagine più specifico, la cui chiarificazione
ci sembra possa tuttavia contribuire a ritagliare per lo meno un tassello utile
alla costruzione complessiva: quello degli istituti giuridici di diritto
positivo con i quali l’attenzione del legislatore sembra essersi spostata
(estesa) dal singolo procedimento, e relativo provvedimento, alla complessiva
attività amministrativa necessaria per conseguire un risultato unitario[23].
È proprio con
riguardo a tali nuovi istituti, tesi a coordinare e raccordare insiemi (volta
per volta) diversi di poteri e procedimenti, tutti quelli necessariamente
coinvolti nel perseguimento funzionalmente adeguato di un “risultato
amministrativo unitario”, che la dottrina cui si devono i preziosi spunti
ispiratori della presente indagine ha proposto la utilizzazione della nozione
di “operazione amministrativa”[24],
proprio per sottolineare, anche sul piano terminologico, la fuoriuscita
dall’orizzonte teorico tracciato dalla teoria del procedimento
amministrativo.
La circostanza che
l’illustre autore abbia invitato la dottrina amministrativistica a
studiare questa “nozione nuova”[25];
ma che, al contempo, abbia proposto per essa una espressione antica, ci
è apparsa estremamente significativa.
Per approssimarsi nel modo più adeguato
alla costruzione di una “nuova” teoria della operazione
amministrativa, sembra ammonirci l’autore, è necessario tener
conto anche della elaborazione “antica” in tema di operazione
amministrativa, in modo da recuperare al patrimonio disciplinare alcuni spunti
teorici di una tradizione di ricerca che divenne recessiva con la affermazione
della teoria del procedimento amministrativo.
Tale implicita
indicazione di metodo e di lavoro abbiamo voluto raccogliere in modo ampio.
Essa ci ha già portato, infatti, ad estendere la ricerca retrospettiva
di spunti ricostruttivi in materia anche alla elaborazione francese in tema di opération
administrative. Ciò in considerazione della circostanza che gli
autori italiani, come tra breve si avrà modo di ricordare, sovente si
richiamarono (pur incorrendo, talvolta,
in fraintendimenti[26] e azzardati trapianti[27])
in modo espresso alla esperienza francese.
La dottrina
italiana pervenne, nell’arco di primi decenni
del novecento, a delineare una figura affine alla opération administrative.
Non è esatto, tuttavia, parlare di una
influenza diretta e decisiva degli sviluppi della dottrina francese sulla
dottrina italiana[28].
Questa, infatti, giunse ad enucleare una
nozione di “operazione amministrativa” seguendo un percorso teorico
autonomo rispetto a quello della teoria della opération adminstrative,
sia nelle premesse ispiratrici sia negli obiettivi avuti di mira.
Mentre in Francia, come
si è ricordato in precedenza, la teoria della opération fu
elaborata, fin dalle origini, nell’ambito della teoria della giustizia amministrativa
(e mai fu travasata, come si è illustrato, sul piano sostanziale)[29],
la dottrina italiana giunse gradualmente a tratteggiare la figura, seppur in
modo altamente problematico, muovendo direttamente, come si illustrerà
tra breve, dal piano del diritto sostanziale.
La dottrina italiana,
se così si può dire, “si imbatté”, strada
facendo, nella nozione francese; e se mostrò interesse nei suoi
confronti, lo fece soprattutto con riguardo al suo profilo concettuale
sostanziale.
È vero che gli
autori italiani richiamarono espressamente, nei propri contributi, la nozione
francese. Si trattò, peraltro, nella dottrina prevalente, di richiami
generici, volti a sottolineare l’assonanza e le affinità della
figura con la opération administrative francese, non anche ad
affermare una derivazione (concettuale) della prima dalla elaborazione francese[30].
Se derivazione vi fu,
essa rimase limitata al piano terminologico della adozione della espressione
“operazione amministrativa”. Anzi, fu quasi per rimarcare, sul piano
concettuale, la genesi autonoma della nozione italiana rispetto a quella
francese, che parte della dottrina, pur accogliendo la sostanza concettuale
della figura, ritenne di non dover accogliere, sul piano terminologico, la
espressione “operazione amministrativa”, e preferire, invece, la
locuzione “procedimento amministrativo”[31].
Fu così che, ad
un certo stadio della sua evoluzione, la prevalente dottrina italiana si
trovò a parlare di operazioni e di procedimenti amministrativi come di
due termini quasi equivalenti, e fungibili tra di loro, per individuare “quel fenomeno sostanziale, dato dal coordinamento di una serie di attività di più agenti tendenti
ad un risultato amministrativo comune”[32]
o, in altre prospettazioni,
per indicare delle serie di atti successivi, ciascuno dotato di
“individualità giuridica propria” (ossia di autonomia
funzionale e strutturale), funzionalmente coordinati verso il conseguimento di
un effetto finale[33].
Costituirono invece
posizioni minoritarie quelle che, cedendo alle suggestioni della rigida
configurazione assunta inizialmente dalla teoria della opération
administrative francese (ma poi abbandonata, a partire dal 1905, non solo
dalla giurisprudenza, ma anche dallo stesso Hauriou)[34],
arrivarono a proporre una costruzione ugualmente rigida ed estrema (nelle sue
implicazioni) della operazione amministrativa: una entità sostanziale
unitaria nell’ambito della quale tutti gli atti in essa raccolti perdono
ogni giuridica individualità; e alla cui ricorrenza avrebbe dovuto
seguire, sul piano processuale, la impugnabilità (non dei singoli atti,
ma) della intera procedura[35].
Oltre che importanti
ragioni teoriche, anche la circostanza che, attraverso il ricorso alla nozione
di operazione amministrativa, parte della dottrina, ancorché minoritaria,
fosse incorsa in siffatte esagerazioni[36]
contribuirà a spingere la dottrina successiva, a partire dalla
monografia del Sandulli del 1940, verso l’abbandono completo della
figura. Fu in effetti su queste prospettazioni che si concentrarono le critiche
maggiori[37].
Prima di soffermarci in
modo puntuale sulla figura, ricordando sia le principali definizioni offerte
dalla dottrina italiana sia la fondamentale successiva acquisizione circa la
distinzione della stessa in due nozioni distinte (una più ampia ed una
più ristretta)[38],
è opportuno rammentare rapidamente il punto da cui prese le mosse il
percorso attraverso il quale la dottrina italiana venne delineando in modo
autonomo una nozione “che ricalcava, in fondo, la falsariga della opération
administrative francese”[39].
Tale origine risale,
come è noto, a quella fase di generale riorientamento degli studi
pubblicistici[40]
che, a cavallo tra ottocento e novecento, produsse un gran fervore di studi,
nell’ambito dei quali la dottrina italiana, in prosecuzione di
orientamenti che avevano preso avvio in Germania[41],
si impegnò anche nello studio del non facile problema (che si soleva designare) della “collaborazione giuridica” delle attività
(e determinazioni) di più agenti verso il conseguimento di un risultato
giuridico comune.
Posta dinanzi alle
diverse “ipotesi di combinazione di atti”, posti in essere da più agenti,
i quali coordinano la loro azione verso il conseguimento di un certo risultato
giuridico, la nostra dottrina,
in sintonia con le allora dominanti teorie funzionali della fattispecie[42], ha dapprima isolato la problematica
dell’atto complesso[43]
e, dopo aver tentato di distinguere, sul piano strutturale,
questa figura dal contratto[44]
e da altre fattispecie limitrofe, assunse una direttrice di indagine che
confluì nello studio del fenomeno procedimentale[45].
Fu proprio
nell’ambito della riflessione dottrinaria dedicata alla (diversa
e) travagliata[46] tematica
dell’atto complesso, infatti,
che, attraverso una serie di esclusioni dalla categoria di una serie di ipotesi
che la dottrina più risalente
era invece propensa
in essa a ricomprendere[47],
venne indirettamente individuato l’elemento ricorrente in tutte le ipotesi
di preordinazione di una serie di attività umane verso la
realizzazione di un certo risultato (pratico per mezzo di un effetto) giuridico: la tensione unitaria
verso un risultato
finale ultimo che rispetto ai
suoi antecedenti si ponga almeno come fine mediato[48].
Si affermo così
l’idea, a partire dai chiarimenti decisivi del Donati[49], che il fenomeno
procedimentale fosse una figura da tener ben distinta e da contrapporre
all’atto complesso; idea da cui prese avvio la messa a punto dei
caratteri distintivi delle due nozioni.
E se il percorso di
ricerca di tali caratteri tendeva, in principio, a collocare entrambe le figure
nel contesto della teoria (e della classificazione) degli atti, la dottrina
giunse successivamente a rilevare la eterogeneità e la non
comparabilità delle due figure: l’una attinente alla struttura
della fattispecie costitutiva degli effetti giuridici (concreti); l’altra alla dinamica di formazione della fattispecie
costitutiva di tali effetti, sia questa di carattere complesso o meno.
La dottrina
amministrativistica che si apprestò a studiare il problema di dare una
collocazione adeguata a tutti quegli atti che erano stati via via esclusi dalla categoria dell’atto complesso giunse a
constatare che “questi vari atti, che ben presto, rispetto a quello che si designava come il principale”, furono denominati “secondari o accessori, si trovavano
collegati tra di loro e con il principale in quel rapporto necessario di successione preordinata a un fine che caratterizza il fenomeno del
procedimento”[50],
inteso quest’ultimo in senso ampio e comprensivo.
Fu battendo tale via che la dottrina
amministrativistica italiana cominciò a servirsi più
frequentemente, quali sinonimi, delle nozioni di procedimento e di operazione
amministrativa. Dopo essersi limitata, al principio,
“all’osservazione che nella successione di quei vari atti ricorreva
il fenomeno procedimentale, e a porre in luce la frequenza con cui il fenomeno
era riscontrabile nel diritto pubblico, e in particolare nel diritto
amministrativo”, a poco a poco, attraverso “una lenta ma continua
evoluzione concettuale”, essa giunse a delineare “un
concetto non molto dissimile da quello che la dottrina
francese era solita individuare con la qualifica di opération a
procedure e, nella sua declinazione in diritto amministrativo, opération
administrative”[51].
Il terreno degli studi
sul fenomeno procedimentale, come è noto, fu “saggiato tra i primi” dal Cammeo[52], il quale, in una “breve ma efficace
trattazione”, tracciò “un solco fecondo ad ulteriori
elaborazioni”[53].
Il testimone fu
raccolto, tra gli altri, soprattutto dal Forti e dal Miele[54],
autori ai quali si devono i contribuiti che, nella lenta ma graduale evoluzione
concettuale in materia, rappresentarono senza dubbio le punte più
elevate raggiunte dalla dottrina anteriore alla sistemazione sandulliana[55].
Nessuno di questi
illustri autori accolse, a livello terminologico, la figura della
“operazione amministrativa”[56].
Ciononostante, è
opportuno ricomprendere anche i contributi di tali autori tra quelli da
assumere quali snodi della “breve carriera” della operazione
amministrativa nella dottrina italiana.
Ciò tenendo
conto, da un lato, della circostanza che in tutti e tre gli autori menzionati
la operazione amministrativa, pur negata a livello terminologico, appare
accolta (o per lo meno abbozzata) a livello concettuale; dall’altro,
della possibilità di isolare, facendo tesoro delle raffinate
osservazioni di tali autori, una linea di (parziale, ma) progressiva
chiarificazione della nozione, più nitida rispetto a quella emergente
dalla configurazione riservata alla stessa nozione da quella larga schiera di
studiosi che pur accolsero la operazione amministrativa sul piano terminologico[57].
Prima di ricordare
alcune delle definizioni proposte, sia dai primi sia dai secondi, tuttavia,
è opportuno sottolineare che non si intende ricostruire per intero
l’evoluzione degli studi sul fenomeno procedimentale, lavoro non
proporzionato ai limiti e, in ogni caso, fuori quadro rispetto agli obiettivi
della presente indagine. Nel campo di tale più generale vicenda ci si
propone, piuttosto, di mettere a fuoco la graduale distillazione di una figura,
quella della operazione amministrativa, inizialmente indistinta da quella del
procedimento amministrativo, non solo sul piano terminologico, ma anche su
quello concettuale.
Ciò al fine di
raccogliere quegli spunti della tradizione disciplinare più risalente
che sembrano riallacciare la nozione del passato a quella “nozione
nuova” di operazione amministrativa che sembra emergere dalla recente
evoluzione del fenomeno amministrativo e della sua disciplina positiva.
Pur nelle
ambiguità di natura terminologica che contribuiscono ad intralciare la apprensione diretta
e chiara dei caratteri della figura, ci sembra possibile,
infatti, isolare, nella evoluzione degli studi in materia, alcune tappe logiche
di progressiva (anche se parziale e incompiuta) definizione della nozione, in
senso differenziale rispetto a quella, contigua, del procedimento
amministrativo.
È bene
esplicitarle immediatamente, prima ancora di appuntarle attorno a tesi e
definizioni nominate.
La posizione di
partenza contempla, come si è anticipato, una utilizzazione promiscua e
indifferenziata delle espressioni operazione amministrativa e procedimento
amministrativo, che vengono utilizzate in modo alternativo nei primi tentativi
di tratteggiare una (unica) nozione (non ancora isolata e dogmaticamente
ricostruita).
La dottrina, in tale
fase, si confronta, tra molte incertezze, con due problemi di fondo, che
rappresentano, peraltro, due diversi aspetti di una stessa situazione
problematica.
Il primo, di carattere
preliminare, è quello relativo alla scelta della “riduzione”
euristicamente appropriata del campo di osservazione; il secondo è
quello della individuazione del “punto di legamento” (o, se si
preferisce, del criterio di aggregazione dei vari elementi) della nozione.
Così, nell’ambito
di quella unità sul piano della realtà materiale (o, se si
preferisce, pregiuridica) attraverso cui il fenomeno della produzione giuridica
di diritto amministrativo si svela all’osservatore, è emersa la
necessità di ritagliare in modo opportuno la dimensione adeguata
(rispetto ai problemi teorici da risolvere) e corretta (rispetto ai dati di
diritto positivo) del fenomeno da assumere ad oggetto di analisi sul piano
scientifico. Dalle definizioni dei vari autori, tuttavia, sembra trasparire una
sorta di tentativo di conciliazione tra un punto di vista analitico e un punto
di vista olistico. Tentativo che rende alcune delle definizioni proposte tanto
più oscure e contraddittorie quanto più esse sembrano voler
annullare la distanza logica che separa i due punti di vista in questione, al
fine di abbracciare in una nozione unitaria, che sembra appiattire ogni
carattere differenziale, fenomeni eterogenei.
La nozione copre,
infatti, un campo assai esteso, comprensivo di fenomeni procedimentali di
dimensioni diverse: da un lato, sequenze procedurali più ristrette,
legalmente ordinate alla formazione di un atto amministrativo produttivo di
effetti giuridici concreti (un provvedimento amministrativo, diremmo oggi);
dall’altro, schemi procedurali più ampi, contemplanti serie
legalmente necessarie di più atti amministrativi, ciascuno dei quali
dotato di “giuridica individualità” sia sul piano
strutturale sia su quello funzionale, ma collegati ed ordinati in vista del
conseguimento di un risultato unitario.
Procedimento e
operazione amministrativa si mostrano, in tale prima fase, del tutto indistinti
sia a livello logico sia a livello terminologico: usati come sinonimi,
raccolgono in una sola figura fenomeni procedurali di diversa consistenza ed
ampiezza e, in alcuni autori, non si distaccano ancora con chiarezza dalla
controversa figura dell’atto complesso.
In una seconda fase la
nozione, pur restando unitaria (per sostanza giuridica), contempla due figure
di specie: il “procedimento”, inteso quale iter formativo del
singolo atto; la “operazione”, intesa quale serialità di
più atti funzionalmente autonomi (produttivi di c.d. effetti
“esterni”). Alla distinzione terminologica non corrisponde peraltro
una netta differenziazione concettuale: procedimento e operazione non sono
ancora due nozioni qualitativamente distinte.
È solo in un
momento logicamente successivo che operazione e procedimento sembrano
distaccarsi sul piano concettuale e dar vita (seppur a livello embrionale) a
due nozioni distinte (non semplicemente per ampiezza, dato insufficiente a
valere da criterio di differenziazione, ma) per consistenza giuridica. Le due nozioni
sembrano riposare a questo punto su piani diversi e, ciò che più conta, sembrano dover essere disegnate
sulla base di criteri giuridici differenti: mentre il
“punto di legamento” (o, se si preferisce, il criterio di
aggregazione dei vari atti) del singolo procedimento è da individuare
nell’effetto giuridico preso in considerazione (o nell’atto terminale
cui la norma ricollega la produzione di tale effetto); quello (della nozione,
posta sul piano distinto e “superiore”) della operazione è
da ricercare nello scopo ultimo da perseguire, nel risultato pratico cui la
legge predispone più poteri e la (serie della) loro successione.
Risultano adombrate,
così, due nozioni concettualmente distinte che, peraltro, sul piano operativo, fisiologicamente coesistono,
si combinano ed intrecciano incessantemente[58].
A supporto delle
affermazioni che precedono è bene incentrare l’attenzione, per la
prima fase, sulle tesi del De Valles[59]
e del Cammeo[60];
per la seconda su quella del Borsi[61];
per la terza su quelle del Forti[62]
ed anche del Miele[63],
con la ovvia precisazione che la netta distinzione del percorso di sviluppo
logico della figura della operazione amministrativa in tre fasi distinte
risponde soprattutto a finalità conoscitive e a ragioni di chiarezza
espositiva. Nessuno degli autori menzionati, infatti, può essere
rigidamente costretto entro rigidi confini: basti sottolineare, a titolo
esemplificativo, che al Cammeo, le cui tesi si è ritenuto di dover
collocare topograficamente nella prima delle tre fasi indicate, si devono
importanti anticipazioni e spunti che si trovano raccolti e sviluppati anche
dal Forti e successivamente dal Miele.
Non appaia, inoltre,
ingiustificato o, addirittura, azzardato l’effettuato accostamento delle
posizioni del De Valles a quelle del Cammeo. Si è ben consapevoli che
questi due autori, nella materia in esame, si attestarono su posizioni ben
distinte.
Ma è proprio la
misura della distanza (terminologica e concettuale) che separa le definizioni
proposte dai due autori che a nostro avviso consente di meglio lumeggiare
alcuni degli indicati elementi caratterizzanti la prima delle tre fasi logiche
del percorso di chiarificazione della figura.
È interessante
partire dalla rilevazione di un dato comune: entrambi gli autori appena
menzionati hanno cura di segnalare l’affinità della figura assunta
ad oggetto delle rispettive definizioni alla opération administrative,
richiamandosi espressamente alle tesi di Hauriou[64].
Ma, mentre il De
Valles, preferendo adottare l’espressione di derivazione francese, si
impegna nel tentativo di definire la “operazione amministrativa”;
il Cammeo, invece, giustifica la nozione e il nomen juris di “procedimento
amministrativo”.
Alle diverse
espressioni adottate non corrispondono, tuttavia, due referenti eterogenei: le
definizioni dei due autori si occupano (non di due nozioni distinte, ma) della
stessa nozione. “Procedimento” ed “operazione” si
mostrano così due locuzioni alternative utilizzate per designare grosso
modo le stesse entità procedurali.
Il che trae conferma
anche dalla constatazione che entrambi gli autori accorpano nelle definizioni
da essi proposte sequenze procedurali più ristrette, formative di
un singolo provvedimento (operazioni amministrative semplici, nella
terminologia del De Valles[65];
procedimenti amministrativi semplici, in quella del Cammeo) e procedure di
estensione maggiore, contemplanti serie di più atti collegati,
funzionalmente autonomi, produttivi di c.d. effetti “esterni”
(“operazioni complesse”, secondo De Valles[66];
“procedimenti complessi”, in Cammeo[67]).
La vicinanza tra le
tesi dei due autori, peraltro, si arresta agli appena indicati dati esteriori.
Si tratta di dati di certo utili ai fini della rilevazione, che qui interessa,
della iniziale indistinzione logica e terminologica tra procedimento e
operazione nella dottrina amministrativistica italiana. Essi non autorizzano,
tuttavia, una assimilazione, sul piano contenutistico, delle posizioni dei due
autori. In De Valles, infatti, la figura “non è delineata con
grande chiarezza, né sufficientemente sviluppata”[68]
, soprattutto con riguardo, per un verso, alla sua incerta
distinzione dall’atto complesso e, per altro verso, al riferimento,
all’interno della stessa definizione, sia agli scopi (pratici) sia agli
effetti (giuridici della operazione) quali punti di legamento della nozione[69].
Viceversa il Cammeo, con grande lucidità e lungimiranza, traccia uno schizzo
della figura i cui tratti sembrano quasi preparare il campo alla elaborazione
successiva[70].
Estremamente interessante, ai nostri fini, è che l’illustre
autore, pur ricomprendendo in una nozione unitaria (ritagliata peraltro, a
differenza del De Valles, sulla base di un criterio coerentemente unitario)[71]
procedimenti “semplici” e “complessi”, riconosca
però la impossibilità di “una trattazione generale”
della materia che riesca a sistemare unitariamente (ponendole sullo stesso
piano) sia le forme procedimentali “semplici” sia quelle
“complesse”[72]
.
È questo uno
spunto importante, raccolto (parzialmente) dal Borsi e poi sviluppato
maggiormente dal Forti, nel suo tentativo di lumeggiare la figura concettuale
della operazione amministrativa (c.d. “procedimento in senso
ampio”, nella terminologia dell’autore) in senso differenziale rispetto al procedimento (inteso “in senso stretto”)[73].
Il Borsi segna il
passaggio (dalla prima fase) alla seconda fase di sviluppo della figura della
operazione amministrativa: il chiarimento offerto sulla figura, rispetto alle
posizioni precedenti, peraltro, appare incidere soprattutto sul piano
terminologico. Acquistano in Borsi maggiore precisione gli usi rispettivi delle
due denominazioni linguistiche in questione.
L’autore distingue,
infatti, la figura del “procedimento amministrativo” da quella della “operazione amministrativa”, designando, con la prima, l’iter
formativo del singolo atto amministrativo; con la seconda, una ampia
“serialità” di più atti amministrativi collegati,
ciascuno funzionalmente autonomo[74].
Le due figure, tuttavia, non sostanziano due nozioni (concettualmente)
distinte, ma tentano principalmente di mettere a fuoco due diverse
“estensioni” dell’atteggiarsi di diritto positivo del
fenomeno procedimentale. Una mera differenza di carattere dimensionale, quindi,
sembra (materialmente) intercorrere tra le due figure; non anche una
distinzione giuridicamente rilevante. Tanto il procedimento quanto
l’operazione, infatti, sono definiti in termini di sequenze procedurali
(più o meno ristrette) di atti preordinate al conseguimento di un
“effetto finale”[75].
La evoluzione della
figura dell’operazione amministrativa, invece, è portata chiaramente
avanti a livello concettuale dal Forti, autore il quale, peraltro, si dichiara
espressamente contrario alla adozione della locuzione terminologica di
derivazione francese: “non mi par vi sia motivo di preferire”
– osserva l’autore – al nomen juris di procedimento
amministrativo “quello di operazione amministrativa, mutuato dalla
dottrina francese”[76].
Il “procedimento
in senso ampio” tratteggiato dal Forti, tuttavia, costituisce senza
dubbio il punto di snodo della evoluzione della figura concettuale
dell’operazione amministrativa.
A dispetto di quanto
sembrerebbe suggerire la denominazione prescelta, infatti, l’autore non
si limita a tratteggiare semplicemente una figura di “maggiore
ampiezza” (né una nozione contigua) rispetto a quella del
“procedimento in senso stretto”, ma mostra di isolare
una nozione giuridicamente eterogenea rispetto a quest’ultimo: una
nozione di metalivello, da (studiare e) collocare su un piano distinto e
“superiore” rispetto a quello in cui riposa l’altra nozione[77].
Sebbene
l’attenzione della dottrina successiva si sia concentrata in modo
prevalente, come è noto, su quella parte della proposta costruttiva del
Forti in cui l’autore propose, “per le esigenze sistematiche di una
classificazione degli atti amministrativi”[78]
, (di spiegare il procedimento in senso stretto attraverso) la categoria
dell’atto-procedimento, arrivando ben presto al rigetto completo di tale
controversa nozione; è proprio l’altra nozione abbozzata
dall’autore, quella della operazione amministrativa (“procedimento
in senso ampio”, nella terminologia suggestiva dell’autore), a
lungo rimasta nell’ombra, a destare oggi un rinnovato interesse.
È opportuno
allora rivolgere l’attenzione proprio a quelle parti meno valorizzate, ma
anche meno criticate, della proposta ricostruttiva dell’illustre
studioso; parti in cui l’autore, dopo aver proposto la introduzione,
nell’ambito del “campo assai vasto… comunemente assegnato
alla nozione di procedimento amministrativo”, della distinzione
“tra un procedimento in senso stretto e un procedimento in senso
ampio”[79],
e dopo essersi impegnato nella definizione del primo in termini di
atto-procedimento[80],
si impegna a ribadire il rilievo centrale da riconoscere al (lo studio e
l’approfondimento) della nozione del procedimento in senso ampio.
A differenza
dell’atto-procedimento – osserva l’autore – “la
nozione di procedimento in senso ampio si riferisce… ad una serie di
atti, che, pur essendo dotati di individualità giuridica propria, son
collegati da ciò che intervengono nella vita di un più ampio
rapporto, influendo sul nascere, sullo svolgersi o sulla fine di esso. E
provenendo or dall’uno or dall’altro dei due (o più)
soggetti del rapporto medesimo; […] onde appaiono ricongiunti per
così dire in una superiore unità”[81].
L’autore porta
inoltre una analogia, già utilizzata dal Cammeo, con la teorica del
rapporto processuale[82],
al fine di sottolineare come i diversi atti e procedimenti (in senso stretto)
siano collegati logicamente e giuridicamente nella “superiore
unità” della complessa operazione amministrativa, che,
però, non annulla l’individualità di ciascuno degli
elementi in essa raccolti.
Operazione
amministrativa e procedimento (in senso stretto) sono pertanto due nozioni
distinte, che possono, in varie forme, “combinarsi ed intrecciarsi”[83].
Esse vanno studiate entrambe[84],
sia separatamente sia nelle loro reciproche interrelazioni.
La proposta
ricostruttiva del Forti conobbe una breve stagione di relativa fortuna nella
dottrina degli anni Trenta del Novecento, la quale, da un lato, accolse
largamente la distinzione tra operazione amministrativa e procedimento in senso
stretto[85];
dall’altro, tendenzialmente rifiutò, invece, la configurazione
della seconda nozione nei termini, proposti dall’autore,
dell’atto-procedimento[86].
Ai fini della nostra
indagine non appare opportuno né utile seguire le vicende e le sorti
dell’atto-procedimento, figura alla quale, peraltro, è stata
dedicata una breve trattazione in nota. Questa figura, infatti, assume qui un
rilievo solo indiretto ed esteriore, destando interesse nella limitata misura
in cui l’attenzione quasi esclusiva che, sul piano dei contenuti, fu
dedicata dalla dottrina del tempo (alla critica da rivolgere) a tale figura
contribuisce in parte a far luce sulle ragioni per cui, al largo accoglimento
dottrinario della distinzione tra operazione amministrativa e procedimento in
senso stretto non corrispose alcuno sforzo di approfondimento ulteriore della
prima delle due nozioni.
Se l’operazione
amministrativa è una nozione (relazionale) da collocare e studiare su un
livello “superiore”, che si innesta su quello in cui riposano i
procedimenti in senso stretto, era inevitabile
che la elaborazione relativa alla prima non potesse logicamente precedere (o prescindere da) quella relativa
ai secondi. Il rifiuto (della configurazione del procedimento in senso stretto
nei termini) dell’atto-procedimento
(del tutto condivisibile) riportava, infatti, sul tavolo degli studiosi il
problema di base: quello della costruzione giuridica della nozione del
procedimento amministrativo[87].
Spetterà ad una
breve ma intensa nota del Miele l’arduo compito di mettere lucidamente a
fuoco i termini essenziali dell’intera problematica[88];
preparando così il campo, con notevoli spunti ed anticipazioni, alla
successiva costruzione sandulliana.
La trattazione del
Miele desta particolare interesse, nella nostra prospettiva, per la seguente
circostanza: pur essendo accolta, in astratto, la distinzione tra operazione
amministrativa e procedimento (in senso stretto)[89];
i caratteri e l’estensione del secondo[90][91] vengono tratteggiati
in modo tale da negare all’operazione amministrativa (quale emergeva
dalle riflessioni del Forti) ogni spazio apprezzabile di operatività sul
piano della realtà giuridica concreta.
È opportuno
rammentare, e far reagire, in tal senso, due noti passaggi argomentativi del
contributo del Miele: da un lato, quello in cui l’autore, nel criticare
la configurazione del “procedimento in senso stretto” quale
procedimento che “si svolge nell’ambito di un unico ente”[92],
estende la nozione fino a ricomprendere correttamente in essa anche i
“procedimenti nei quali si succedano atti di enti diversi”[93];
dall’altro, secondo le dominanti teoriche sulla fattispecie, quello in
cui viene decisamente individuato nell’effetto giuridico il
“punto di legamento” corretto da assegnare alla nozione di
procedimento amministrativo: è questa la “destinazione ultima e
fondamentale, che ben si adatta alla molteplicità dei casi, che serve a
delimitare l’estensione del procedimento”[94].
Vengono così
fissate alcune solide premesse alla successiva elaborazione della concezione
strutturale del procedimento amministrativo ed anche, ci sembra, di
quell’accantonamento della operazione amministrativa che
caratterizzerà il percorso della dottrina successiva.
È bene
sottolineare, tuttavia, la circostanza che l’operazione amministrativa
non sia negata dal Miele sul piano concettuale.
Oggetto di confutazione
è, infatti, la configurazione offertane dal Forti, in chiave di
opposizione con l’atto-procedimento, da un lato; la utilizzabilità
della nozione a fini di inquadramento dei procedimenti (c.d. esterni) in cui si
succedono ed innestano anche atti emanati (in esito a subprocedimenti) da
amministrazioni diverse da quella titolare del potere di provvedere,
dall’altro.
Certo è che, in
esito a tali acute precisazioni e considerevoli limature, dell’operazione
amministrativa sembra restare, per così dire, il puro concetto: una
nozione presumibilmente collocata su un piano diverso da quello del singolo
procedimento amministrativo (quale che sia la ampiezza da riconoscere a
quest’ultimo, a seconda dell’effetto giuridico preso in
considerazione), volta a raccogliere in una “superiore
unità” (che non annulla, tuttavia, la giuridica
individualità degli elementi in essa raccolti) tutti gli atti e i
procedimenti cooperanti al conseguimento di un risultato amministrativo
unitario.
Una nozione da
studiare, senza dubbio; ma non prima della compiuta elaborazione della nozione
di base: il procedimento amministrativo.
Nella ricostruzione tratteggiata
nelle pagine precedenti il fuoco della analisi è stato incentrato
principalmente attorno a due problemi di fondo dibattuti dalla dottrina dei
primi tre decenni del novecento: la individuazione del “punto di
legamento” della nozione del procedimento; la “estensione” da
assegnare alla nozione stessa.
Tale prospettiva ci
è parsa la più adeguata nella conduzione del tentativo di
isolare, nel campo della generale evoluzione degli studi di diritto
amministrativo dedicati al fenomeno procedimentale nell’arco temporale
indicato, il profilo, del tutto particolare, del percorso teorico di
approfondimento della controversa figura dell’operazione amministrativa.
Il dato significativo,
ai nostri fini, è che proprio attorno ai due punti problematici indicati
si condensò lo specifico dibattito relativo alla coppia concettuale
procedimento-operazione.
Essi, infatti, si
mostrarono alla dottrina, in modo più marcato nella fase iniziale del
percorso di elaborazione in tema, come questioni strettamente correlate, quasi
due aspetti di un problema unitario di natura preliminare: quello relativo alla individuazione (adeguata e corretta) dell’oggetto
stesso della teoria del procedimento.
Vero è che le
definizioni proposte dai vari autori, fin dalle fasi iniziali del dibattito,
furono immediatamente attratte, nell’individuazione del “punto di
legamento” del procedimento (e della operazione, all’inizio
indistinta dal primo), soprattutto dal profilo dell’effetto giuridico (o
dell’atto, definito principale o centrale, cui la norma ricollega la
produzione di tale effetto).
Non va trascurata,
tuttavia, la larga schiera di autori che, nello stesso arco temporale, accolse
la figura (del procedimento) quale operazione e, richiamandosi espressamente
alla teoria della opération administrative francese,
ravvisò nel (coordinamento di più attività verso) la unica
“finalità pratica” o nel “risultato amministrativo
comune” il punctum individuationis della nozione[95].
Detto in altri termini:
la coppia concettuale procedimento-operazione non fu letta, dalla dottrina
dell’epoca, come riferentesi a due nozioni poste su piani distinti o, se
si preferisce, in termini di ordinazione logica di due tappe di un complessivo
cammino di elaborazione teorica da percorrere (prima il procedimento; poi la
operazione). Essa, piuttosto, fu percepita come una alternativa tra due
impostazioni opposte allo studio del fenomeno procedimentale: uno analitico e
formale; un altro olistico ed empirico.
La ricostruzione che si
è offerta dovrebbe, invece, mostrare che nel percorso della dottrina italiana
vi fu un momento in cui, grazie alla parziale chiarificazione
concettuale della nozione di operazione amministrativa, in senso differenziale
rispetto al procedimento, venne superata quella indistinzione concettuale di partenza,
trasformatasi poi in una alternativa tra due punti di vista contrapposti.
Si intuì che
procedimento ed operazione sostanziassero due nozioni intrecciate e collegate,
ma da studiare su piani distinti: la prima si mostrò espressiva della
idea, in prospettiva strutturale (quella di cui allora si andavano ponendo le
premesse), “della ordinazione di una sequenza di atti all’interno
di un meccanismo unitario di produzione di effetti giuridici”, da
studiare in primo luogo nei suoi “nessi interni”[96]
; la seconda, invece, attinente alla realtà
“complessa” degli insiemi dei procedimenti collegati e coordinati
in vista di un unico risultato pratico.
Con il riferimento al
“risultato” e al coordinamento il pensiero corre immediatamente a
temi e problemi di grande attualità nell’ambito del diritto
amministrativo contemporaneo e della sua scienza: basti richiamare da un lato
il recente fiorire di studi dedicati alla c.d. “amministrazione di
risultato”[97];
e, dall’altro, quella ampia produzione dottrinaria che, pur da diverse prospettive d’analisi, ha negli
ultimi anni affrontato i temi della collaborazione e del coordinamento
amministrativi[98],
studiando in particolare una serie di originali istituti
di raccordo procedimentale emergenti dalla prassi e dal dato normativo[99],
volti a fronteggiare i problemi posti dalla frammentazione delle
competenze e dei poteri amministrativi, di regola scomposti e frazionati in una
molteplicità di centri di imputazione, tendenzialmente equiordinati[100].
La recente dottrina, come è noto, ha anche avuto modo di proporre, al
fine di raccogliere i più significativi istituti giuridici di
adeguamento della funzionalità complessiva della amministrazione
pubblica, che sembrano superare la tradizionale rilevanza giuridica
disaggregata (scomposta e frazionata su più poteri e procedimenti) della
attività amministrativa, alcune efficaci
formule riassuntive: si è
parlato così di amministrazione collaborativa[101], cooperativa[102],
concertata[103],
di coordinamento infrastrutturale[104],
di amministrazione della complessità[105],
di arena pubblica[106],
di coalizione decisionale[107],
di superamento del principio tradizionale della “solitudine” della
autorità decidente[108],
di sussidiarietà dinamica[109],
e quant’altro.
Nella risalente ed
incerta esperienza di elaborazione teorica della nozione di operazione
amministrativa sembrerebbero così potersi rintracciare preziosi spunti,
se non vere e proprie
anticipazioni, davvero notevoli, rispetto alle dinamiche evolutive oggi
in atto nel sistema di diritto amministrativo.
È bene,
tuttavia, procedere con estrema cautela nella rilevazione di eventuali nessi ed
elementi di continuità; ben avvertiti del rischio, presente in ogni
ricostruzione storica, di deformare oltre misura, attraverso le lenti del
presente, la realtà oggetto di osservazione[110].
Tale rischio ricorre
anche nella materia in esame.
Basti isolare un solo
dato: tutte le elaborazioni assunte ad oggetto
della nostra indagine
ricostruttiva si muovono
nel contesto della concezione tradizionale (ed ormai
superata) della azione amministrativa, intesa quale azione esecutiva
della legge (ed autoritativa).
Tutti gli autori considerati, in linea con tale concezione, infatti, sia che definiscano il procedimento sia che definiscano
la operazione, hanno sempre cura di comprendere nelle loro definizioni, accanto
al concorso di fatti ed atti che influiscono, rispettivamente, sulla produzione
dell’effetto giuridico considerato o sul conseguimento del risultato
amministrativo, “la condizione o il requisito… della
necessità legale di essi e del loro svolgersi in un certo ordine,
parimenti dalla legge determinato”[111].
Nel quadro di tale
concezione, cui si affianca la vigenza di un modello accentrato, statocentrico,
piramidale, gerarchizzato di organizzazione amministrativa, temi come quello
della collaborazione tra amministrazioni diverse ed equiordinate, del
coordinamento “laterale” dei poteri amministrativi, della (esigenza
di una razionale, completa ed attenta) valutazione comparativa degli interessi pubblici
(e privati) coinvolti
nel “problema amministrativo”[112],
non hanno ancora modo di essere avvertiti quali “problemi” (o, per
lo meno, quali problemi centrali)[113].
Ciò accade solo
più tardi, ormai vigente
La nozione di operazione
amministrativa proposta dalla dottrina degli anni trenta non fu pensata,
pertanto, guardando a problemi come quello della collaborazione e coordinamento
tra amministrazioni diverse e dei raccordi laterali tra procedimenti paralleli,
reciprocamente connessi in funzione dell’unico risultato (di pubblico
interesse) da soddisfare.
I dati di diritto
positivo, armonici innanzitutto con la concezione tradizionale
dell’azione amministrativa quale azione esecutiva (della legge) ed
autoritativa, offrivano infatti agli studiosi del tempo una materia diversa e
più ristretta su cui ragionare.
La nozione di
operazione amministrativa da essi messa a punto, quindi, pur essendo molto
vasta e comprensiva a livello definitorio, mirava ad inquadrare, soprattutto in
esito alle limature e precisazioni apportate dal Miele alla proposta del Forti[114],
essenzialmente la realtà amministrativa dei procedimenti che le norme di
legge (le quali, indicando il risultato e lo scopo ultimo da perseguire,
predispongono determinati poteri e la serie della loro successione) sistemano
in una ordinazione seriale[115];
o se si preferisce, la realtà lineare dei procedimenti collegati[116],
ricorrenti allorché “il provvedimento conclusivo dell’uno
è presupposto legittimante l’esercizio del potere nel successivo
procedimento”[117].
Desta comunque grande
interesse la circostanza che nelle definizioni di operazione amministrativa
proposte dagli autori dei primi decenni del novecento compaia il riferimento al
risultato pratico o allo scopo ultimo di pubblico interesse quale “punto
di legamento” della nozione.
Anche tale dato,
senz’altro da considerare uno spunto prezioso nella economia della
presente indagine, va tuttavia valutato con cautela e, soprattutto,
contestualizzato.
Nel quadro della
concezione dell’azione amministrativa intesa quale azione di esecuzione
della legge, infatti, il valore dominante non è il principio di
(legalità arricchito della) funzionalità nei confronti
dell’interesse pubblico o, se si preferisce, il conseguimento del
risultato o scopo pratico, ma è quello del rispetto de (l’ordine
seriale stabilito da) la legge.
Ciò contribuisce
a spiegare perché anche laddove compare, nelle definizioni della
operazione amministrativa, il riferimento al risultato o allo scopo di pubblico
interesse, esso risulta quasi sempre doppiato e talvolta del tutto assorbito
dal profilo (del rispetto dell’ordine seriale posto dalla legge per il
valido prodursi) dell’effetto giuridico.
L’atteggiarsi del
diritto positivo e delle concezioni generali dell’amministrazione e del
suo ruolo, pertanto, erano tali da negare un ambito apprezzabile di
effettività operativa alla figura della operazione amministrativa, pur
abbozzata da parte della dottrina nel suo schema concettuale.
La fine della breve
carriera della operazione amministrativa fu a livello teorico agevolata,
peraltro, anche dalla circostanza che la prevalente dottrina non aveva posato
grande attenzione a quel percorso di graduale evoluzione della nozione in senso
differenziale rispetto al procedimento che era giunta a rilevare una
collocazione delle due nozioni su piani ben distinti.
La nozione
continuò ad essere prevalentemente percepita come una ambigua
alternativa complanare al procedimento amministrativo, da abbandonare per la
sua genericità ed ampiezza, per la sua nota di empirismo, per la sua non
chiara distinzione dall’atto complesso: una entità sostanziale
unitaria che confonde ed oscura tutti i caratteri differenziali degli elementi
in essa raccolti.
Dalla ricostruzione che
si è offerta nelle pagine che precedono esula, pertanto, qualsiasi
intento di “difesa” della figura della operazione amministrativa,
come abbozzata dalla dottrina italiana dei primi decenni del novecento,
rispetto a quella solidissima concezione strutturale del procedimento
amministrativo che, grazie allo sforzo e al rigore di elaborazione del
Sandulli, riuscì invece ad affrancare definitivamente gli studi del
fenomeno procedimentale dalle vincolanti ipoteche della teoria degli atti,
gettando così le basi della moderna teoria del procedimento.
L’illustre
autore, come è noto, nell’edificazione teorica del procedimento
quale nozione formale, ebbe modo e cura di rivolgere critiche molto penetranti
alle teoriche della operazione amministrativa; critiche cui riservò,
nella economia complessiva della sua monografia, uno spazio molto consistente[118],
quasi a rimarcare la “necessaria discontinuità”[119]
della nuova sistemazione teorica del procedimento sul piano strutturale (e
formale) rispetto alle ambiguità ed incertezze in cui era incorsa la
più risalente dottrina della operazione amministrativa.
Un generale
riorientamento teorico del programma di ricerca in materia, pertanto, che fu
consapevole e dichiarato: “nella sua attuale direzione” – ebbe modo di affermare espressamente l’autore–
“l’indirizzo della dottrina amministrativistica… non appare
correttamente orientato”[120].
Che l’opera del Sandulli abbia segnato un fondamentale “punto di svolta” negli studi
del fenomeno procedimentale, del resto, è dato noto, unanimemente
riconosciuto nel panorama della dottrina amministrativistica italiana,
sul quale non è opportuno
indugiare[121].
Alla analisi di tale
momento di decisivo passaggio della nostra tradizione disciplinare la dottrina
ha dedicato una produzione vastissima, e di grande spessore teorico: tutti gli
studi in tema di procedimento amministrativo non hanno potuto non dedicare
grande attenzione alla fondamentale elaborazione sandulliana[122].
La nostra analisi, peraltro, pur avendo
intercettato in vari punti tale elaborazione, non ha inteso né intende
ricostruire il farsi della teoria strutturale del procedimento. È
interessata, invece, alla vicenda, a questa connessa, dell’incerto percorso evolutivo battuto
dalla figura dell’operazione amministrativa nel periodo in cui si andarono
faticosamente[123]
ponendo le premesse della teoria del procedimento.
Essa, pertanto,
può arrestarsi alle soglie della sistemazione sandulliana:
quest’ultima, infatti, della breve carriera della operazione
amministrativa ha marcato non una ulteriore tappa evolutiva, ma, come la
dottrina, anche di recente, espressamente ha avuto modo di ribadire, la sua
conclusione[124].
Alcune brevissime
considerazioni, tuttavia, si impongono proprio perché si ritiene che, a
dispetto di quanto si è appena affermato, dalla generale impostazione
della elaborazione sandulliana sia possibile indirettamente ricavare un ultimo
spunto utile alla messa a fuoco dell’operazione amministrativa.
Se si esaminano con
attenzione, infatti, le critiche che il Sandulli puntualmente rivolse alle
teoriche della operazione amministrativa e, in particolare, alle tesi del Forti[125],
è possibile isolare un dato interessante. Da tali critiche risulta
senz’altro demolita con grande acutezza e rigore di analisi la proposta
di costruire il procedimento in termini di operazione, ove questa sia intesa
come una nozione “più ampia” (rispetto al procedimento in
senso stretto), rivolta a raccogliere la realtà dei cd. procedimenti
esterni[126],
da un lato, e quella delle sequenze lineari di più provvedimenti
funzionalmente autonomi, coordinati verso il conseguimento di una unica
finalità pratica di pubblico interesse[127],
dall’altro. Non appare peraltro attaccata né intaccata dalle
stesse critiche anche la possibilità astratta di costruire (non una
nozione semplicemente “più ampia” di procedimento,
chiamandola operazione, ma) una nozione (diversa e) “superiore” di
operazione amministrativa, da innestare su quella dei singoli procedimenti
amministrativi.
Ciò che viene
definitivamente superata, in Sandulli, è proprio quella configurazione
incerta e confusa della operazione amministrativa, dominante nella dottrina
precedente, quale alternativa complanare (ma di natura sostanziale) al procedimento
amministrativo.
Riguardata da tale prospettiva, alla
fondamentale elaborazione del Sandulli può essere ascritto addirittura
un merito ulteriore: quello di aver contribuito indirettamente a chiarire,
attraverso una serrata critica alle configurazioni inaccettabili della figura
della operazione, che lo studio della operazione amministrativa fosse,
più che da abbandonare, uno studio da rimandare, ossia da posticipare rispetto a quello del
procedimento amministrativo; studio necessario, quest’ultimo, per dare
innanzitutto una risposta alla preliminare “esigenza di dare rilievo
giuridico autonomo alla nozione stessa di procedimento”[128].
Prima di potersi
occupare dei “nessi esterni” ai procedimenti; prima, cioè,
di poter studiare il modo del relazionarsi e coordinarsi giuridico di più
procedimenti (e poteri) verso un risultato concreto unitario, era necessario,
sul piano logico, dapprima costruire i poli tra cui far correre, se possibile,
tali relazioni.
Era necessario
concentrarsi sui “nessi interni” ai singoli procedimenti, individuando,
in prospettiva strutturale, gli elementi costitutivi delle serie procedurali
ordinate legalmente al valido prodursi dell’effetto giuridico concreto;
cogliendo, tra quelli, i momenti di collegamento in relazione al venire in
essere dell’effetto giuridico considerato.
Sarà necessario
attendere, tuttavia, più di sessanta anni perché la dottrina
amministrativistica potesse avvertire di nuovo l’esigenza di proporre il
“rilancio” dello studio della operazione amministrativa[129].
Perché tale esigenza potesse
imporsi, infatti, non era sufficiente portare ad emersione, sul piano strutturale, la nozione di procedimento
amministrativo. Oltre a tale tappa, di certo preliminare anche sul piano
logico, era necessario attendere la assimilazione, da parte del sistema, degli
enormi sviluppi della progressiva evoluzione (dapprima a livello teorico, poi
anche sul piano giurisprudenziale e della disciplina giuridica) in senso
funzionale del procedimento e della concezione generale dell’azione
amministrativa, da un lato[130]; e, dall’altro, che i temi e i problemi messi a fuoco dalla
concezione funzionale dell’azione amministrativa venissero finalmente posti
a contatto e fatti reagire con quelli emergenti dalla graduale affermazione di
un nuovo modello globale di organizzazione amministrativa, decentrata e
policentrica, orizzontale e flessibile[131].
Quanto al primo dei due
profili indicati era necessario, soprattutto, che il problema
“principe” della attività amministrativa divenisse, nella
considerazione generale, quello della adeguata e completa “comparazione
degli interessi” pubblici (e privati)[132]
e che di tale attività fosse, correlativamente, avvertita la natura
essenziale di “processo decisionale”[133].
Nella opera
fondamentale del Sandulli l’accantonamento della elaborazione della
operazione amministrativa rappresentò una risposta coerente rispetto al
contesto della tradizionale concezione dell’azione amministrativa: in questa,
infatti, la ponderazione degli interessi non aveva motivo di essere considerata come un
problema.
La definizione ed il
ruolo del procedimento, in Sandulli, si riconnettevano pertanto a criteri strettamente
formali, in linea con la tradizionale concezione dell’azione amministrativa, nella quale prevalevano
i caratteri di azione esecutiva (della legge) ed autoritativa.
Ognuno dei due caratteri, anche preso singolarmente, era sufficiente a marginalizzare il problema della completa ed adeguata valutazione comparativa degli interessi:
se l’attività amministrativa è intesa quale “attività esecutiva
della legge, si presuppone che il conflitto degli interessi sia già
stato risolto dalla legge stessa, e che la soluzione debba essere soltanto
realizzata in concreto dall’(azione) dell’Amministrazione
(anziché ricercata attraverso un’attività di valutazione
comparativa)”[134];
il carattere autoritativo, inoltre, era tale da premiare “la conduzione
unilaterale (per così dire solitaria) del procedimento
amministrativo” e, quindi, supponeva logicamente che fosse
“coessenziale alla disciplina del potere e al modo dell’esercizio
del potere stesso la scelta discrezionale del come e del quando esercitarlo,
prescindendo da qualsiasi collaborazione con altri centri di imputazione di
interessi diversi dall’interesse affidato alle cure
dell’Amministrazione procedente”[135].
L’affluenza nel
procedimento degli interessi pubblici, non a caso, contemplava uno strumentario
limitatissimo, condizionato per giunta da un rigido formalismo: la disciplina
positiva di taluni procedimenti prevedeva sporadicamente atti di concerto,
previe intese, pareri in senso tecnico[136];
e, in linea con tali dati positivi, si riteneva a livello teorico che fossero
soltanto questi i modi per introdurre interessi pubblici nel procedimento
amministrativo.
Si trattava di atti
formali, legati a presupposti determinati, che erano di per sé
“inidonei a superare quella che è stata definita la
“solitudine” dell’autorità decidente” e che non
potevano sospingere verso una effettiva ponderazione unitaria e globale di
tutti gli interessi coinvolti nel problema amministrativo.
Con l’evolversi in senso funzionale della
concezione dell’amministrazione e della sua azione, invece,
“l’accento, inizialmente posto sul potere (azione intesa come
esercizio di potere sovrano) è stato alla fine spostato
sull’interesse pubblico (azione finalizzata alla soddisfazione di interessi
pubblici)”. Il senso di tale evoluzione
è consistito nel diverso rilievo dato alle caratteristiche del potere e
poi alle esigenze dell’interesse pubblico: nella concezione iniziale
“l’interesse pubblico svolgeva piuttosto il ruolo di
giustificazione politica dell’attribuzione del potere; sul piano degli
istituti giuridici esso non aveva rilievo; ne aveva esclusivamente il potere
con le sue caratteristiche”[137].
Grazie, soprattutto,
alle ricerche dottrinali svolte da un lato in tema di discrezionalità
amministrativa[138]
e dall’altro in tema di funzione, intesa come nozione intermedia tra il
potere e l’atto (l’azione nel suo farsi)[139],
l’attenzione centrale si è infine spostata sulla nozione di
interesse pubblico; che “solo nella nuova ottica… non è
più stato inteso come la giustificazione extragiuridica del potere, ma
piuttosto come finalità concreta (giuridicamente rilevante) che il
potere deve, attraverso il suo esercizio, consentire di raggiungere. Il potere
è pertanto diventato niente altro che lo strumento idoneo alla soddisfazione
dell’interesse pubblico”[140].
In prospettiva
funzionale, pertanto, si è affermata la esigenza di collegare la
struttura del procedimento, la sua articolazione formale, alla realtà
sostanziale sottostante, ossia al (le esigenze di pertinente rilevazione dei
termini della situazione problematica reale e di sua traduzione adeguata, nella
costruzione del) “problema” da risolvere nella decisione.
“Problema
amministrativo” i cui termini devono trovare gradualmente[141]
proprio nel procedimento, attraverso gli atti e le operazioni di cui questo si
compone, progressiva emersione e precisazione[142].
Sulla base di tali
premesse si è potuto anche definire il procedimento amministrativo quale
sede di emersione dei fatti e degli interessi, pubblici e privati, rilevanti
per l’esercizio dei poteri amministrativi[143];
procedimento a cui, del resto, la stessa disciplina di principio garantisce di
regola una “struttura partecipata”[144].
L’approccio
funzionale, affiancatosi a quello strutturale, ha pertanto offerto (non una
alternativa, ma) una prospettiva complementare allo studio del procedimento:
mentre in prospettiva strutturale l’attenzione è incentrata sulla
analisi dei momenti e dei nessi di collegamento in relazione alla produzione
dell’effetto giuridico; l’approccio funzionale ha inteso invece
valorizzare la ragion d’essere di ciascuno degli elementi stessi in
relazione allo scopo, al risultato, dell’esercizio del potere.
Si tratta di aspetti
noti, a cui la dottrina ha dedicato importanti e numerose pagine chiarificatrici, alle quali senz’altro è bene rinviare.
Ciò che appare
opportuno mettere in luce è, tuttavia, che la feconda dialettica tra
questi due punti di vista complementari, solo a partire dal momento in cui
è stata posta a contatto con le profonde modificazioni che hanno riguardato,
in modo particolarmente marcato a partire dalla seconda metà degli anni
novanta, il piano della organizzazione amministrativa, ha reso pensabile la
rilevazione, per così dire, di alcuni limiti euristici della teoria del
procedimento (e del provvedimento)[145].
Si è
così gradualmente affermata
la consapevolezza che per studiare l’attività amministrativa in prospettiva funzionale,
oggi che tale attività è chiamata a fronteggiare, più di
ieri, per un verso una realtà problematica eterogenea e multiforme, per altro verso un contesto
organizzativo complesso, policentrico e reticolare (dunque
ben distante da quello tradizionale: compatto, piramidale, facente
riferimento allo Stato,
gerarchizzato, burocratizzato)[146], pervaso
altresì da dinamiche
contrapposte (si pensi, ad esempio,
da un lato all’esigenza di coordinamento
ed unificazione funzionale; dall’altro a quella di valorizzazione e
rispetto delle autonomie decisionali, e locali)[147], è
necessario adeguare la prospettiva tradizionale di analisi[148].
La prospettiva del “singolo” procedimento amministrativo, infatti, si mostra inidonea,
in particolare, a cogliere il senso dell’insieme: la funzionalità e la razionalità (e dunque la legalità)
di una attività amministrativa che, divenuto recessivo lo schema della decisionalità
solitaria[149]
e, più in generale, superato dalla evoluzione stessa del diritto
positivo il risalente principio della “solitudine”[150]
della amministrazione procedente, e decidente, va inquadrata e spiegata
nell’orbita di un principio diverso: quello dello svolgimento necessariamente coordinato (o collegato
o unificato, a seconda dei casi) di tutte le competenze, i poteri, i procedimenti, le decisioni e (se necessari) i
provvedimenti cooperanti verso (o condizionanti) il raggiungimento di un
risultato concreto unitario[151].
Se
l’attività amministrativa è (deve essere), in tesi, una
attività razionale[152],
il giurista non può certo arrendersi, dinanzi alla complessità
crescente del fenomeno amministrativo, alla pace della rinuncia[153]:
non può ritenere a priori che l’agire amministrativo,
abbandonato il tradizionale modello della razionalità semplice, lineare
ed olimpica[154]
della Autorità “solitaria” chiamata ad eseguire la legge
(concretizzando un singolo potere in un singolo procedimento, nello svolgimento
di una funzione che trova trasformazione in un atto), non risponda più
ad alcuna razionalità o, il che è lo stesso, risponda ormai ad
una razionalità (quale quella suggerita dal modello di teoria della
decisione “a cestino dei rifiuti”) che può essere ricostruita
soltanto a posteriori[155].
È probabile,
invece, che essa risponda ad una razionalità complessa[156],
da studiare in un piano collegato, ma diverso, rispetto a quello in cui
riposano i singoli procedimenti amministrativi.
La operazione
amministrativa, da tale prospettiva, appare una nozione “in
riserva” del diritto amministrativo.
* Si pubblica il capitolo II della monografia
di Domenico D’Orsogna:
«Contributo allo studio dell’operazione amministrativa»,
Napoli, Editoriale Scientifica, 2005. Di seguito anche l’Indice del
volume: I. Le “due carriere” della
opération administrative nella esperienza giuridica francese. – II. La breve carriera della
nozione di operazione amministrativa nella dottrina italiana:
dall’operazione al procedimento amministrativo. – III. Amministrazione di
risultato e operazione
amministrativa complessa. – IV. L’operazione amministrativa complessa quale
fattispecie.
[1] Le trattazioni
manualistiche o istituzionali del diritto amministrativo definiscono le
“operazioni amministrative” quali comportamenti o attività
“materiali” della pubblica amministrazione: cfr., da ultimo, Casetta E., Manuale di diritto
amministrativo, VI ed., 2004, Milano,
[2] Sul problema
dell’inquadramento delle operazioni amministrative è opportuno
ricordare la posizione peculiare che, sin dalle Lezioni del 1950, fu
adottata da Giannini, secondo il quale il problema della distinzione tra
operazioni e dichiarazioni giuridiche è un problema di
“distinzione tra … atti giuridici”. L’illustre autore,
dopo aver ricordato che “la distinzione consisterebbe in questo: le
dichiarazioni producono modificazioni del mondo giuridico in quanto
“pronunce”, cioè atti che, sotto l’aspetto materiale,
consistono in sequenze di parole – o di succedanei di parole –
…; le operazioni invece producono modificazioni giuridiche in quanto
apportano modificazioni effettuali della realtà, attraverso un agire
materiale del soggetto, che racchiude in sé una molteplicità di
atti singoli (per esempio il fare lezione, lo stendere una rete telefonica, il
pilotare la nave)”, rileva criticamente che “questo criterio di
distinzione è però solo in parte fondato. Ogni agire umano
comporta in realtà una operazione materiale, cioè una
sequenza di singoli atti o azioni…”. È che
“l’ordine del diritto non già forza la realtà
effettiva – come si dice – ma procede con una qualificazione
giuridica autonoma considerando “atto puntuale” ciò che di
fatto è invece un agire articolato in una molteplicità di momenti
logici e materiali (qualificazione sintetica). Altre volte invece
l’ordine del diritto procede mediante qualificazione analitica,
cioè attribuisce rilievo ad alcuni atti, o persino all’intera
serie degli atti che, logicamente o materialmente, articolano
un’azione… Il criterio di distinzione prevalente risulta quindi…
fondato solo per questo aspetto: che mentre le dichiarazioni non possono essere
che “pronunce” – cioè sono delle pronunce
“puntualizzate” –, le operazioni possono essere tanto delle
pronunce precedute da altri atti rilevanti, quanto delle materializzazioni
della volontà direttamente modificative della datità: per esempio
compimento di lavoro manuale, ispezioni, accertamenti per mezzo di strumenti,
ecc. … Per lungo tempo la scienza giuridica non si è accorta delle
operazioni giuridiche; fu invero il sorgere del diritto amministrativo che ne
diede consapevolezza; e furono delineate le figure del reato continuato, e, in
diritto privato, degli atti dovuti ad esecuzione continuata. Per quanto attiene
al diritto amministrativo può stabilirsi un altro criterio, che…
vale …in linea di massima (salvo cioè eccezioni): tutti gli atti
dell’amministrazione sono operazioni giuridiche”: così Giannini M.S., Lezioni, cit.,
284-287.
[4] Come ricorda Giannini M.S., Diritto
amministrativo, vol. II, Milano, 1970, 813, “di procedimento
amministrativo si era cominciato a parlare verso la fine del secolo scorso, per
indicare una sequenza di atti di autorità amministrative, tra loro
collegate e tendenti a un unico scopo”. Tale sequenza veniva anche chiamata
“operazione amministrativa”.
[5] Per tale affermazione
cfr. di recente Sandulli A., Il
procedimento, in Trattato di diritto amministrativo, Parte
generale, a cura di Cassese S.,
Tomo II, Milano, 2003, 1035 ss., in part. 1036.
[6] Ci si riferisce,
ovviamente, alla monografia Sandulli
A.M., Il procedimento amministrativo, Milano, 1959, ristampa della prima
edizione del 1940. La dottrina contemporanea riconosce unanimemente che essa
segnò “un punto di svolta della dottrina italiana”:
così si esprime, da ultimo, Schinaia
M.E., Aldo M. Sandulli: il procedimento amministrativo, in un saggio
pubblicato in un recentissimo volume interamente dedicato alla vicenda
scientifica e al pensiero dell’illustre Maestro del diritto
amministrativo italiano: AA.VV., Aldo Maria Sandulli (1915-1984):
attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, 2004, 331
ss.; volume al quale si rinvia senz’altro il lettore per un accurato
esame dell’importanza “fondamentale” della monografia del
1940 per gli sviluppi successivi della scienza del diritto amministrativo e
della giurisprudenza. Osserva lo stesso Schinaia
M.E., Aldo M. Sandulli, cit., 331 che “Ancora oggi chi
voglia occuparsi del procedimento amministrativo non può non attribuire
rilievo centrale” al pensiero di Sandulli; “in particolare
non… può prescindere dalla sua opera giovanile, ma
scientificamente matura e fondamentale, edita nel
[7] Come ebbe modo di
rilevare Giannini M.S., Diritto
amministrativo, vol. II, Milano, 1970, 831, l’opera del Sandulli
“sembrava non solo aver fatto recuperare il tempo perduto, ma addirittura
aver posto la dottrina italiana in una posizione avanzata nello stesso
tema”. Il giudizio di Giannini, come ha ricordato di recente Schinaia M.E., Aldo M. Sandulli,
cit., “non è solitario. Vi è infatti una communis opinio
nel ritenere la monografia del Sandulli il primo contributo sistematico allo
studio del procedimento”; anche se non va dimenticato, sottolinea
l’autore, “che la sintesi concettuale cui approda Sandulli
rappresenta, a sua volta, il punto di arrivo di un dibattito dapprima
avviatosi…”. Di Schinaia è utile consultare anche Id., Profili evolutivi nella
problematica del procedimento amministrativo, in Atti del Convegno di
Varenna 1986 sul procedimento amministrativo, Milano, 1989, 107 ss.,
contributo in cui è analizzato il pronto recepimento della elaborazione
sandulliana da parte della giurisprudenza. La giurisprudenza, infatti, ben
presto accoglierà l’ordine sistematico delle idee espresse
dall’insigne autore nello studio del procedimento (sia riguardo alle nozioni
di atto continuato, atto complesso e composto, concordando nel ritenere che
atto strutturalmente complesso e procedimento stanno su piani diversi e non
comparabili, sia) aderendo allo schema concettuale ed anche allo stesso lessico
dell’opera sandulliana, specie per quanto attiene alla distinzione in
fasi del procedimento e al dispiegamento degli effetti del suo atto terminale.
[8] È che la
scienza, anche in campo giuridico, non procede solo linearmente e per mera
accumulazione di conoscenza, ma anche attraverso tagli epistemologici (nella
terminologia di Bachelard), mutamenti di paradigma (in quella di Kuhn) o di
stile di pensiero (in quella di Fleck). Al successo di tali vicende si
accompagnano di regola fenomeni di “intraducibilità” (per lo
meno parziale) delle categorie precedenti nei termini delle nuove categorie
affermate e condivise nel campo disciplinare: in tal senso cfr. Kuhn T., The Structure of Scientific
Revolution, cit.; dello stesso autore cfr. anche l’accurata raccolta
di saggi curata da Stefano Gattei, dal titolo Id.,
Dogma contro critica. Mondi possibili nella storia della scienza,
Milano, 2000, con Prefazione di Paul Hoyningen Huene. Sui programmi di ricerca,
e sulla importanza di non trascurare, nel procedere dello sviluppo della scienze,
alcune delle prospettive e degli spunti suggeriti da programmi di ricerca
(prima “recessivi” e poi) accantonati, cfr. Lakatos I. - Musgrave
A. (a cura di), Criticism and the Growth of Knowledge, Cambridge, 1970
(tr. it. a cura di Giorello, Critica
e crescita della conoscenza, Milano, 1976); Feyerabend P.K., Against Method. Outline of an Anarchic Theory of Knowledge,
[9] Cfr.
[10] Graziosi B., Note per una definizione delle
“operazioni amministrative”, in Rass. dir. pubbl., 1968,
498 ss.
[11] Come ha sottolineato di
recente anche Sala G., Operazione
amministrativa, cit., 319-320, il “termine operazione è
già polisenso nel linguaggio comune, lo è ancora di più in
quello giuridico, in modo particolare poi nel diritto amministrativo… Nel
linguaggio comune l’operazione è l’azione
dell’operare: il compimento cioè di un’attività che
si caratterizza per il suo prevalente aspetto tecnico o pratico e, insieme, che
è costituita da una serie di atti, coordinati a un fine o comunque
giustificati da una funzionalità, anche generica. Nel linguaggio del
legislatore il termine trova impiego frequente ma con significati non sempre
univoci, in relazione all’accentuarsi dell’una o dell’altra
prospettiva della ricordata comune accezione. […] la locuzione atti e
operazioni è così a volte intesa come endiadi ad abbracciare il
complesso delle attività dell’amministrazione pubblica, il
“prodotto” globale di uffici pubblici. In quest’ultima
accezione le operazioni amministrative individuano il contenuto della
prestazione lavorativa di pubblici dipendenti con riguardo in genere ad
attività materiali a non elevato contenuto professionale… Non
è peraltro affatto raro anche nel linguaggio legislativo l’uso del
termine operazione per significare l’attività seriale,
estrinsecatasi in atti giuridici e azioni materiali, coordinata ad uno scopo o
comunque individuata dall’oggetto: così si parla di operazioni
elettorali, di operazioni concorsuali, di operazioni di collaudo… In
realtà anche nel linguaggio legislativo il termine è usato, a ben
guardare, nei due significati ricorrenti nel linguaggio comune: …come
attività materiale”… ovvero “per indicare una serie,
anche strutturalmente eterogenea, di attività, materiali e non,
orientate a un risultato […]”. È interessante rilevare che
l’autore poi segnali, quasi incidentalmente, che “…in passato
col termine operazione amministrativa si indicavano le attività che poi
han trovato sistemazione definitiva nella concezione strutturale del
procedimento amministrativo, oppure anche che si comprendevano nella generale
categoria dell’atto amministrativo”. Sul punto vedi infra,
nel testo.
[13] Che quella indicata sia
considerata dalla dottrina amministrativistica contemporanea la “nozione
tradizionale” di operazione amministrativa è riconosciuto
espressamente anche da Scoca
F.G., Attività amministrativa, cit.,
[16] Si utilizza una formula
di estrema sintesi, a fini di mera chiarezza espositiva, sebbene ci si stia
riferendo incidentalmente all’intero percorso evolutivo della teoria del
procedimento battuto dalla dottrina italiana della seconda metà del
novecento a partire dai noti studi del Benvenuti (Benvenuti F., Eccesso di potere amministrativo per vizio
della funzione, in Rass. dir. pubbl., 1950, 1; Id., Funzione amministrativa,
procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 122 ss.)
che, come è noto, aprirono la via della analisi del procedimento in
prospettiva funzionale, preparando così il campo ai notevoli
approfondimenti della dottrina successiva (sia consentito qui richiamare, nello
sterminato panorama dottrinario, oltre alle opere già citate del
Benvenuti, e alle anticipazioni contenute nel noto studio di Giannini M.S., Il potere
discrezionale della pubblica amministrazione - concetti e problemi, Milano,
1939, che risulteranno preziose per il successivo innesto della tematica della
discrezionalità nella riflessione su potere, funzione e procedimento,
solo alcuni dei contributi più significativi tra quelli anteriori alla
legge n. 241 del 1990: Piras A., Interesse
legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962; Piras A., Discrezionalità amministrativa, in Enc.
dir., vol. XIII, Milano, 1964, 65; Ledda
F., Il rifiuto di provvedimento, Torino, 1964; Allegretti U., L’imparzialità amministrativa,
Padova, 1965; Levi F., L’attività
conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967; Berti G., La pubblica
amministrazione come organizzazione, Padova, 1968; Cassese S., Il privato e il procedimento amministrativo,
in Arch. giur., 1970, 25 ss.; Scoca
F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971; Pugliese F., Il procedimento
amministrativo tra autorità e contrattazione, in Riv. trim. dir.
pubbl., 1971, 1469; Meloncelli
A., L’iniziativa amministrativa Milano, 1976; Nigro M., Procedimento
amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il
problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv.
dir. proc., 1980, 252 ss.; Id.,
Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
1980, 223; Romano Tassone A., Note
sul concetto di potere giuridico, in Annali dell’Università
di Messina, 1981, II, 405 e ss.; Cardi
E., La manifestazione degli interessi nei procedimenti amministrativi,
I-II, Perugia, 1983 e 1984; Ledda
F., L’attività amministrativa, in Il diritto
amministrativo degli anni Ottanta, Milano, 1987, 83; Villata R., La trasparenza
dell’azione amministrativa, in Dir. proc. amm., 1987, 528; Sorace D., Promemoria per una per
una nuova “voce”: Atto amministrativo, in Scritti in onore
di M.S. Giannini, III, Milano, 1988, 745; Pubusa
A., Procedimento amministrativo e interessi sociali, Torino, 1988; Nigro M., Il procedimento
amministrativo tra inerzia legislativa e trasformazioni
dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge),
in Dir. proc. amm. 1989, 5. Lo scarno riferimento di cui al testo non
intende, è bene precisarlo, affatto sottovalutare la importanza
dell’enorme percorso evolutivo battuto dalla teoria del procedimento
amministrativo; anzi, è proprio il patrimonio delle acquisizioni offerte
da tale percorso a mostrarsi prezioso nell’indirizzo da imprimere
all’indagine. Per il momento si sta semplicemente facendo leva su un dato
del tutto pacifico (cfr. nota seguente) nell’ambito della dottrina
amministrativistica (il fatto che le diverse prospettive di analisi via via
affinate dalla dottrina abbiano offerto degli approcci – non alternativi,
ma – “complementari” allo studio della realtà del
“procedimento” rispetto a quello strutturale; o, se si preferisce,
che è sempre alla concezione strutturale che bisogna guardare per avere
una risposta alla basilare domanda: che cosa è il procedimento?)
nell’esposizione delle ragioni che spingono la presente indagine a
interessarsi di quella risalente vicenda di elaborazione della nozione di
operazione amministrativa che occupò parte della dottrina italiana dei
primi decenni del novecento.
[17] La dottrina riconosce
unanimemente che gli approcci allo studio del procedimento via via emersi ed
affinati nella seconda metà del novecento siano
“complementari” rispetto a quello strutturale: cfr., per tutti, Cardi E., La manifestazione,
cit.; Villata R., Sala G., Procedimento amministrativo,
in Dig. disc. pubbl., vol. XI, Torino 1995; AA.VV., Aldo Maria
Sandulli (1915-1984): attualità del pensiero giuridico del Maestro;
già citato. La dottrina più recente, proprio prendendo sul serio
la complementarietà e la dialettica tra i diversi modi di guardare al
procedimento amministrativo, e più in generale alla attività
amministrativa, sembra aver gradualmente messo a fuoco alcuni limiti euristici
della teoria del procedimento. Alcuni di questi parrebbero risiedere nei
confini ad esso ritagliati in prospettiva “strutturale”. La
prospettiva funzionale, innestata sulla struttura del “singolo
procedimento”, sembrerebbe cioè segnalare, dinanzi
all’evoluzione del fenomeno amministrativo e della sua disciplina, la
inadeguatezza (funzionale appunto) della prospettiva del singolo procedimento a
valere da campo di rilevazione adeguata delle situazioni problematiche da
fronteggiare con l’azione amministrativa o, se si preferisce, a servire
alla adeguata costruzione del problema amministrativo da risolvere nella
decisione. Se la prospettiva del singolo procedimento non appare adeguata a
rappresentare e spiegare adeguatamente la complessità dell’azione
amministrativa, e in particolare i nessi del pluralismo istituzionale, non
è detto, tuttavia, che essa sia scorretta ovvero da abbandonare.
È probabile, invece, che l’approfondimento analitico della teoria
del (singolo) procedimento costituisca la base preziosa su cui innestare una
teoria ulteriore, che tenti (di adeguare la rilevazione della struttura
dell’agire, ossia del modo di svolgimento di tale agire, in) una
ricomposizione complessa della attività amministrativa. Sul punto cfr. infra,
nel testo e nelle note. Per il momento è utile richiamare, senza alcuna
pretesa di completezza (non verranno menzionati, ad esempio, gli studi in tema
di consensualità, sui quali si rinvia, per tutti, a Scoca F.G., Autorità e
consenso, in Dir. amm., 2002, 431 ss.) alcuni dei contributi
dottrinari che, stimolati dalle riforme avviate a partire dai primi anni
novanta, hanno contribuito ad evolvere la teoria del procedimento: Serra M.T., Contributo ad uno studio
della funzione istruttoria del procedimento amministrativo, Milano, 1991; Cassese S., La disciplina
legislativa del procedimento amministrativo. Una analisi comparata,
in Foro it., 1993, V, 27; Merusi
F., Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati
dopo le recenti riforme, in Dir. amm., 1993, 21; Cavallo B., Provvedimenti e atti
amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G.
Santaniello, Padova, vol. III, 1993; Ledda
F., Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir.
amm., 1993, 133 e ss.; Sala G.,
L’eccesso di potere amministrativo dopo la legge 241/1990: un’ipotesi
di ridefinizione, in Dir. amm., 1993, 173 ss.; Sala G., Potere
amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993; Benvenuti F., Il nuovo cittadino,
Venezia, 1994; Clarich M., Termine
del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995.; Benvenuti F., L’impatto del
procedimento nell’organizzazione e nell’ordinamento (quasi una
conclusione autobiografica), in Le ragioni del diritto, Scritti in onore
di Luigi Mengoni, III, Milano, 1995, 1723 e ss.; Scoca F.G., La teoria del provvedimento dalla sua
formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, 1 e
ss.; Bombardelli M., Decisioni
e pubblica amministrazione. La determinazione procedimentale
dell’interesse pubblico, Torino, 1996; Comporti G., Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e
garanzie, Milano, 1996; Zito
A., Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo,
Milano, 1996; Iannotta L., Scienza
e realtà: l’oggetto della scienza del diritto amministravo tra
essere e divenire, in Dir. amm., 1996, 579 ss.; Guerra M.P., Funzione conoscitiva e
pubblici poteri, Milano, 1996; Picozza
E., Attività amministrativa e diritto comunitario, in Enc.
giur Treccani., vol. VI aggiornamento, Roma, 1997; Police A., La predeterminazione delle decisioni amministrative.
Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale,
Napoli, 1997; Figorilli F., Il
contraddittorio nel procedimento amministrativo (dal processo al procedimento
con pluralità di parti), Napoli, 1997; Immordino M., Legge sul procedimento amministrativo,
accordi e contratti di diritto pubblico, in Dir. amm., 1997, 103; Corso G., L’attività
amministrativa, Torino, 1999; Scoca
F.G., Il coordinamento e la comparazione degli interessi nel procedimento
amministrativo, in Studi in onore di G. Abbamonte, Napoli, vol. II,
1999, 1261 e ss.; Scoca F.G., Analisi
giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, 255 ss.; Sandulli M.A., Il procedimento
amministrativo fra semplificazione e partecipazione: un difficile
contemperamento fra accelerazione e garanzie, in Procedimento
amministrativo fra semplificazione e partecipazione. Modelli europei a
confronto (a cura di Sandulli M.A.),
Milano, 2000, I, 1 ss.; Cerulli Irelli
V., Luciani F., La
semplificazione dell’azione amministrativa, in Dir. amm.,
2000, 617 e ss.; Sandulli A., Il
procedimento, cit.; Scoca
F.G., La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina
successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1045 e ss.; Ferrara R., Procedimento
amministrativo, semplificazione e realizzazione del risultato: dalla
“libertà dall’amministrazione” alla libertà
dell’amministrazione, in Diritto e soc., 2000, 101 e ss.; Iannotta L., Principio di
legalità e amministrazione di risultato, in Amministrazione e
ordinamenti (Atti del Convegno di Macerata del 21 e 22 maggio 1999),
Milano, 2000, 37 ss.; Comporti
G.D., Tempus regit actionem, Torino, 2001; Cassese S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo
Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 601 e ss.;
[18] Lo scarso interesse
prestato dalla dottrina alla nozione di attività amministrativa è
rilevato con forza da Casetta E.,
Attività amministrativa, cit., 522 e da Scoca F.G., Attività, cit., al quale va
ascritto il merito di aver aperto una nuova prospettiva di indagine in tema:
cfr. ampiamente nel Capitolo Quarto.
[19] Sia consentito
richiamare sul punto D’Orsogna
D., Una terapia sistemico-relazionale per la pubblica amministrazione:
l’operazione amministrativa, in Police
A. - Immordino M., Principio
di legalità, cit., 287 ss.
[20] In tal senso Scoca F.G., Attività,
cit., 76: “con la legge sul procedimento, e con le leggi successive di
riforma, l’attività della amministrazione pubblica è
diventata essa medesima, oltre al provvedimento, oggetto di una ormai cospicua
disciplina positiva, acquisendo rilevanza giuridica sempre più marcata:
si pensi al c.d. controllo di gestione o di efficienza, al c.d. controllo
strategico, alla responsabilità dirigenziale e alla
responsabilità dell’amministrazione verso terzi, tutte
“vicende” che trovano nell’attività in quanto tale la
loro fattispecie. Una volta, peraltro, che l’attività è
entrata nel campo visuale della speculazione teorica, conviene anche tentare di
sceverare tra i principi e gli istituti finora indiscriminatamente riferiti al
provvedimento, riferendo all’attività quello che le è
proprio e lasciando al provvedimento solo ciò che lo riguarda
direttamente. Costruendo una teoria dell’attività amministrativa
da collocare accanto alla teoria degli atti, e, in particolare, del
provvedimento”
[23] Si pensi, a mero titolo
di esempio, e senza pretesa di completezza, all’istituto giuridico della
conferenza di servizi (sul quale sia consentito richiamare D’Orsogna D, Conferenza di
servizi, cit.); allo sportello unico (cfr., ex multis, Gardini G. - Piperata G. (a cura di), Le Riforme amministrative alla
prova: lo sportello unico per le attività produttive, Torino, 2002;
al c.d. procedimento unificato in materia energetica (sul quale cfr.il volume
curato da Picozza E., Il nuovo
regime autorizzatorio degli impianti di produzione di energia elettrica,
Torino, 2003; Police A., Legislazione
delle opere pubbliche e dell’edilizia, Torino,
[24] Una nozione, precisa
l’autore, volta a raccogliere “l’insieme delle
attività necessarie per conseguire un risultato concreto”
(così Scoca F.G.,
Attività, cit., 84). La
figura dell’operazione, lumeggiata da Scoca, è stata prontamente
accolta da diversi autori nell’ambito delle proprie ricostruzioni, tra
questi: D’Orsogna D., Una
terapia sistemico-relazionale per la pubblica amministrazione:
l’operazione amministrativa, in Police
A. - Immordino M., Principio
di legalità e amministrandone di risultati, atti del Convegno Palermo
27-28 febbraio 2003, Torino, 2004, 287 ss.; D’Orsogna D., Conferenza di servizi e
amministrazione della complessità, Torino, 2002; D’Orsogna M., Programmazione strategica
e attività decisionale della pubblica amministrazione, Torino, 2001;
Figorilli F., Semplificazione
amministrativa e amministrazione di risultati, in Principio di
legalità, cit.; Cangelli
F., Potere discrezionale e fattispecie consensuali, Milano, 2004; Giani L., Funzione amministrativa
ed obblighi di correttezza. Profili di tutela del privato, Napoli, 2005; Cacciavillani C., Sul ricorso per
motivi aggiunti di cui all’art. 21 della legge TAR, come
modificato dalla legge n. 205 del
[25] Cfr. Id., Attività, cit., 84.
L’illustre autore precisa che la “nuova nozione” proposta
“non ha nulla ha che vedere” con la nozione tradizionale di
operazione amministrativa, significante una attività c.d. materiale
della pubblica amministrazione.
[27] In tal senso Sandulli A.M., Il procedimento,
cit., in partic. 33, 34, 35, 78, nel criticare l’idea (del Borsi U., L’atto
amministrativo complesso, in Studi senesi, 1900-1901, 52) secondo
cui l’azione del cittadino non si risolve nella impugnativa di “un
mero atto finale coronativo di un procedimento”, ma
nell’impugnativa dell’intera complessa attività posta in
essere dall’amministrazione che comunque abbia portato al risultato di
ledere un suo interesse. A tale posizione concettuale si era parzialmente
accostata la giurisprudenza in alcune decisioni: Cons. St., V sez., 28 aprile
[28] In tal senso anche Graziosi B., Note, cit., 504-505,
il quale (richiamandosi a Sandulli
A.M., Il procedimento, cit., 33-34) aggiunge, tuttavia, “che il
concetto di opération administrative – offrendo ai nostri
autori un qualche interesse solo per il suo malcerto profilo sostanziale
– costituì una delle principali remore alla sistemazione
definitiva del “procedimento amministrativo” inteso come mero
schema formale”. Tale osservazione ci sembra significativa, ma non
condivisibile: in essa la sistemazione sandulliana è innalzata al rango
di “destino logico” dell’intera elaborazione precedente del
“fenomeno procedimentale”.
[30] La affinità
della figura tratteggiata dalla dottrina italiana con la opération
administrative è segnalata dal Cammeo
F., Corso di diritto amministrativo, 1914, Padova, 1085, nota 1; dal Forti U., “Atto” e
“procedimento”, cit., 456 e dal Lucifredi R., Inammissibilità di un esercizio ex
post della funzione consultiva, in Raccolta di scritti di diritto
pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938,
[31] Cammeo F., Corso, cit., nota 1, 1085; Forti U., “Atto” e
“procedimento”, cit., 456; Lucifredi
R., Inammissibilità di un esercizio ex post, cit., 296; Miele G., Alcune osservazioni sulla
nozione di procedimento amministrativo, in Foro it., 1933, 375
[32]Così riassume Graziosi B., Note, cit., 506
ss., il nucleo concettuale comune alle posizioni di autori quali Borsi U., La giustizia
amministrativa, Padova, 1941, 33, 34, 288.; Bracci M., Dell’atto complesso, cit.,
[33] La ricostruzione
abbozzata nel testo si discosta nettamente da una rappresentazione tuttora
abbastanza diffusa, ancorché largamente criticata, del percorso
evolutivo che avrebbe seguito la dottrina dei primi decenni del novecento. Tale
rappresentazione tende a rimarcare, nei primi studi dedicati al “fenomeno
procedimentale”, una netta oscillazione della impostazione teorica tra
due poli contrapposti: da un lato la riduzione del fenomeno procedimentale alla
categoria dell’atto (e per tale orientamento viene di solito richiamata
emblematicamente la figura dell’“atto-procedimento” del
Forti); dall’altro la configurazione del procedimento quale categoria
esclusivamente formale. Tale rappresentazione è affermata in modo radicale,
ad esempio, già in Galeotti
S., Osservazioni sul concetto di procedimento giuridico, in Jus,
1955, 504-506 ss. (dello stesso autore cfr. anche la nota monografia Id., Contributo allo studio del
procedimento legislativo, Milano, 1957). Questa costruzione pecca,
tuttavia, di eccessiva semplicità proprio nella misura in cui trascura
la vasta schiera di autori che concepirono il procedimento come operazione, in
un senso analogo a quello (che fu) recepito dalla dottrina francese. Come
osserva espressamente il Graziosi, proprio in risposta al Galeotti: tra i due
“poli di oscillazione” ne va inserito un altro, quello
“rappresentato dal procedimento considerato empiricamente come sinonimo
di “operazione”” (così Graziosi B., Note, cit.).
[38] Ma si vedrà che,
più che riconoscere ad una stessa nozione due diverse dimensioni, una di
maggiore e un’altra di minore ampiezza, la dottrina giunse in
realtà a configurare due nozioni separate, eventualmente intrecciate, da
porre (e studiare) su piani distinti, e da ritagliare sulla base di due criteri
diversi. Cfr. infra.
[39] Così Graziosi B., Note, cit., del quale
peraltro non si condivide l’idea, implicitamente affermata, secondo cui
“anche” in Italia la elaborazione della categoria delle operazioni
amministrative trovò giustificazione sul piano (delle esigenze) del
processo: egli afferma, infatti, che “… se si ammette… che anche
in Francia la categoria delle opérations ha trovato il suo unico,
e labile, fondamento, nell’ordinamento giurisdizionale, si può
comprendere come, data la profonda diversità dei due sistemi positivi,
in Italia tale concetto sia stato in parte frainteso, e in parte utilizzato
nella faticosa costruzione del procedimento amministrativo”. Le tesi cui
il Graziosi sembra fare implicitamente riferimento rappresentarono proposte
minoritarie nel panorama della dottrina italiana. Senza considerare che, come
anche il Graziosi ricorda, alla elaborazione della categoria della operazione
amministrativa la dottrina italiana non era affatto pervenuta muovendo (come
avvenne in Francia) dal piano processuale, ma direttamente dal piano della
elaborazione sostanziale, partendo dallo studio del fenomeno della
“collaborazione giuridica” delle determinazioni di più
agenti per il venire in essere di un effetto.
[40] Sul generale
riorientamento che a fine ottocento interessò l’impostazione degli
studi di diritto pubblico in Italia la letteratura è ormai molto ampia:
cfr. per tutti Mannori L., Sordi B., Storia del diritto
amministrativo, Roma-Bari, 2001. La ricerca di uno statuto teorico del
diritto amministrativo scevro dai condizionamenti derivanti dal diritto comune
è, come noto, alla base del “metodo” di Orlando V.E., delineato nella nota
prolusione I criteri tecnici per la ricostruzione del diritto pubblico,
in Arch. giur., 1889, XLII, 107 ss. Sul metodo orlandiano cfr. Cianferotti G., Il pensiero di V.E.
Orlando e la giuspubblicistica italiana fra ottocento e novecento, Milano, 1980; Azzariti G., Forme
e soggetti della democrazia pluralista. Considerazioni su continuità e trasformazioni dello stato
costituzionale, Torino, 2000, 19 ss.; Costa
P., Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi nella cultura
giuridica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano, 1986; Fioravanti M., Costituzione,
amministrazione e trasformazione dello Stato, in Schiavone A. (a cura di), Stato e cultura giuridica in
Italia dall’unità alla Repubblica, Bari, 1990, 3 ss., in
particolare 13 e ss
[41] Ci si riferisce a quel
vasto movimento di studi che, nell’ambito della dottrina germanica di
fine ottocento, si concentrò sul fenomeno della c.d. collaborazione
giuridica delle attività o delle determinazioni di più agenti al
venire in essere di un effetto giuridico o, se si preferisce, della produzione
di un effetto giuridico riconnesso non ad un solo atto di volontà di un
solo soggetto, ma al “concorso di più volontà”. La
prima figura tipica riconosciuta e fatta oggetto di studio era stata quella del
contratto: dalla sua messa a fuoco era emersa la contrapposizione tra atti
unilaterali e bilaterali o plurilaterali. Nel quadro di questa indagine
classificatoria va inquadrata anche la emersione del concetto di atto complesso
(così Lucifredi R., Atti
complessi, in Novissimo dig. it., I, Torino, 1958, 1500), concetto
su cui si concentrerà poi la attenzione della dottrina italiana, a
partire dal Brondi. Nella dottrina tedesca, come ha evidenziato con estrema
chiarezza il Falcon, non vi fu, tuttavia, quella sovrapposizione completa tra
il concetto di Vereinbarung (da cui pur prese le mosse la dottrina
italiana) e quello di atto complesso che la dottrina italiana ha spesso dato
per presupposta. Il concetto di Vereinbarung, infatti, era stato
originariamente messo a fuoco dal Binding quale fattispecie normativa (cfr.
ampiamente Falcon G., Le
convenzioni pubblicistiche, Milano, 1986). Non è possibile né
opportuno qui ricostruire l’ampio dibattito svoltosi in tema nella
dottrina tedesca di fine ottocento (ed inizio novecento). Sia sufficiente
quindi ricordare, con il Sandulli (cfr. in partic. 202 ss., nota n. 7), che i
primi riferimenti chiari a un atto, il quale, pur essendo diverso dal
contratto, risultasse dal concorso di più volontà individuali si
ebbero nel campo del diritto privato (da parte di von Gierke O., Die Genossenschaftstheorie und die deutsche
Rechtsprechung, Berlin, 1887, 132 ss., che utilizzò il concetto
dell’atto complesso nella definizione della natura dell’atto di
fondazione corporativa, e di Karlowa
O., Zur Lehre von den juristischen Personen, in Grühnhuts Zeits,
1888, 402). È con il Binding (Binding
K., Die Gründung des norddeutschen Bundes, in Festgabe der
Leipziger Juristenfakultät für B. Winscheid zum 22.12.1888,
Leipzig, 1889, 69 ss), tuttavia, che si ebbe la prima vera formulazione del
concetto della Vereinbarung, e si affermò la sua distinzione
strutturale dal Vertrag (idea da cui prese le mosse la dottrina
successiva, a partire da Jellinek
G., System der subjektiven öffentlichen Rechte, Freiburg, i.B.,
1892, 204 ss., il quale spostò parzialmente il dato differenziale tra le
due figure maggiormente sul profilo funzionale). Un ordine di idee diverso, che
eserciterà grande influenza sulla dottrina italiana, fu quello del Kuntze J.E., Der Gesammtakt, ein
neuer Rechtsbegriff (Festg. D. Leipz. Juristenfakultaet O. Mueller,
Leipzig, 1892, 29-87), che intravide la differenza tra le due figure unicamente
nel fatto che mentre il Vertrag produce solo effetti tra le parti; il
Gesammtakt – nozione che si preferì opporre alla prima –
soltanto verso i terzi. Peraltro fin da allora vi fu chi criticò
l’eccessiva estensione della categoria della Vereinbarung (che
diveniva così figura ampia e comprensiva delle figure di specie del Vertrag
e del Gesammtakt), e ravvisò in essa una assenza di
omogeneità: in tal senso Brokhausen,
Vereinigung und Trennung von Gemeinden, Wien, 1893, 57 ss. I contributi
più alti in tema furono tuttavia quelli del Triepel H., Völkerrecht und Landesrecht, Leipzig,
[42] Ossia di quelle teorie,
sviluppate dalla dottrina legata alla tradizione pandettistica, che nella
relazione tra fatto ed effetto giuridico hanno ravvisato la (essenza stessa
della) giuridicità del fatto, che poteva qualificarsi “giuridico”
solo se ed in quanto idoneo a produrre effetti giuridici. Non è questa
la sede per ripercorrere l’evoluzione delle teoriche della
causalità giuridica. Si rinvia pertanto a Scoca F.G., Contributo sul tema della fattispecie
precettiva, Perugia, 1979, passim.
[43] Il concetto di atto
complesso passò dalla dottrina tedesca alla dottrina italiana, ove fu
accolto in vario modo e sviluppato da pandettisti (quali Fadda e Bensa, Note al Windscheid, vol. I, Torino, 1902, 845),
civilisti (come Coviello N., Manuale
di diritto civile italiano, 3 ed., Milano, 1924, 320), e giuspubblicisti.
Tra questi spettò proprio agli amministrativisti il merito di aver
approfondito la indagine nel tentativo di pervenire a una esatta determinazione
del concetto. Una linea di pensiero che si affermò immediatamente,
già con il Brondi V., L’atto
complesso nel diritto pubblico, in Studi giuridici dedicati a F.
Schupfer, Torino, 1898, III, 552 ss. (poi in Scritti minori, Torino,
1934, 4 ss.), si orientò a riconoscere alla figura una portata molto
vasta, riconducendo tendenzialmente all’atto complesso tutte le forme di
atti nascenti dal concorso di più volontà, in cui non fossero
ravvisabili le caratteristiche del contratto. Il pensiero del Brondi, ad
esempio, risalta con chiarezza da queste parole (20): “Della partecipazione
di due o più volontà alla costituzione di un negozio od atto
giuridico due sono le forme che si possono precisare: o una manifestazione di
voleri incrociantisi, o una manifestazione di voleri paralleli.
L’incrocio delle volontà è caratteristica specifica del
contratto… il parallelismo delle volontà è invece la
caratteristica che si pone dell’atto complesso” (la influenza del
Kuntze è evidente: cfr. supra). Una ampia estensione della figura
si ravvisa anche in Borsi U., L’atto
amministrativo complesso, Torino, 1903 (ora in Studi di diritto pubblico,
Padova, 1976, 189 ss.; dello stesso autore cfr. anche Id., Complesso (atto), in Nuovo dig. it., vol.
III, Torino, 1938, 478) il quale fa rientrare nella categoria la maggior parte
di quei casi in cui, riscontrandosi più dichiarazioni tendenti
concordemente a un solo fine ultimo, la terminologia corrente soleva parlare di
collaborazione giuridica (atti su proposta, su autorizzazione, accordi, atti
soggetti ad approvazione); e in Presutti
E., Il controllo preventivo della Corte dei Conti sulle spese pubbliche,
Torino, 1908, 85 ss.; Id., Istituzioni
di diritto amministrativo italiano, 2 ediz., Roma, 1920, vol. I, 168-172.
Fu merito tuttavia delle più rigorose impostazioni del Donati D., Atto complesso, autorizzazione,
approvazione, in Arch. Giur. 1903, 3 ss. (ora in Scritti di
diritto pubblico, Padova, 1966, 387 ss.), ed anche del Bracci M., Dell’atto complesso,
cit., quello di tratteggiare con maggior precisione ed equilibrio i confini di limitata
accoglibilità della categoria. Al Donati si deve la messa a punto della
impostazione poi divenuta a lungo dominante in dottrina: egli si mostrò
contrario ad attribuire alla nozione un estensione troppo comprensiva, e fu
piuttosto propenso a limitarne la applicazione a quei soli casi in cui si
riscontrino delle dichiarazioni aventi identico contenuto e miranti a un
medesimo effetto, per la realizzazione di un interesse unico e solo; in modo da
escludere che le proposte, i pareri, le autorizzazioni, i visti, potessero
venir considerati come facenti parte, insieme con l’atto cui si
riferiscono, di un solo atto complesso. Più tardi sarà invece il Gasparri P., Studi sugli atti
giuridici complessi, Pisa, 1939 ad accogliere di nuovo la figura in una
ampiezza talmente comprensiva da includervi persino quelli che egli chiama atti
monopersonali (o continuati), quelli cioè che sono costituiti da
più atti successivi e complementari di uno stesso agente.
[44] In esito al percorso di
riflessione sul punto (che non è possibile né utile qui
ripercorrere) la esistenza di una distinzione sul piano strutturale tra le due
figure fu negata: “mentre a considerare il fenomeno dal punto di vista
psicologico, le singole dichiarazioni si atteggiano nei loro reciproci
confronti in modo molto diverso nei due casi” (del contratto e
dell’atto complesso), “invece… a esaminare il fenomeno
…dal punto di vista strettamente giuridico …la posizione che le
varie dichiarazioni assumono di fronte all’ordinamento, per ciò
che riguarda il lato strutturale, non può apparire diversa nel contratto
e nell’atto complesso… tanto nel contratto, quanto nell’atto
complesso, ci si trova di fronte a un incontro di più dichiarazioni
omogenee e concordanti di agenti diversi, dalle quali il diritto, pel fatto
stesso che tale incontro si è verificato e che quelle dichiarazioni
coesistono, lascia scendere certe conseguenze giuridiche… Il diritto vede
l’incontro coordinato di più dichiarazioni (quale che sia il loro
contenuto), poste in essere da agenti diversi… Sia nell’un caso sia
nell’altro l’effetto sorge se e in quanto, in relazione ad esso,
sia intervenuta la concorde dichiarazione degli agenti”: così Sandulli A.M., Il procedimento,
cit., 206-207 che, in linea con le posizioni del Kormann K., System der rechtsgeschäftlichen
Staatsakte, Berlin, 1910, 44, ravvisando tra contratto e atto complesso una
diversità che attiene “unicamente al contenuto delle
dichiarazioni”, nega “valore strettamente giuridico alla
distinzione”; riconoscendole una utilità solo sul piano
gnoseologico: “gli studi compiuti su tale distinzione” –
concluse l’autore – hanno apportato “un merito
indiscutibile… alla teoria degli atti giuridici. È proprio per il
loro tramite, che son riuscite… precisazioni sul fenomeno della
collaborazione giuridica. Per tale via …si sono differenziati i casi in
cui è corretto parlare di un pari potere determinante di più atti
su un effetto giuridico e della loro unificazione in un atto unico, dai casi
nei quali invece ci si trova di fronte ad attività, che conservano la
propria autonomia funzionale e strutturale. Esaurito tale compito… la
figura dell’atto complesso è venuta a esaurire quasi interamente
la sua missione”: così Sandulli
A.M., Il procedimento, cit. 224, al quale si rinvia il lettore per
l’esame della problematica e per complete indicazioni bibliografiche.
[45] Le “discussioni e
le stesse polemiche in merito all’accoglibilità o meno del
concetto e, comunque, alla sua portata” arrecarono un “indubbio
contributo… al progredire dell’indagine scientifica”: uno dei
risultati più importanti fu proprio la scoperta della
“impossibilità di inserire in questa categoria una serie di altre
figure”, che pure vi erano “state, più volte, ricondotte
dalla dottrina. Così si dica, innanzitutto, di quegli atti che, in vario
modo, costituiscono elementi di un procedimento amministrativo”:
così Lucifredi R., Atto
complesso, cit., 1500-1501 Sull’atto complesso, e sulla sua
differenziazione dal procedimento, oltre a Donati
D., Atto complesso, autorizzazione, approvazione, in Arch. giur.,
1903, 3 ss. (ora in Scritti di diritto pubblico, Padova, 1966, 387 ss.),
cfr. Bracci M., Dell’atto
complesso in diritto amministrativo, Siena, 1927; Virga P., Il provvedimento amministrativo, Palermo,
1956, 109 ss.; Migliarese F., Atto
complesso, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988. Va ricordato
peraltro che la distinzione tra atto complesso e procedimento compare
già in De Valles A., La
validità degli atti amministrativi, Roma, 1916, 145 ss. (rist.
anastatica, Padova, Cedam, 1986), che ricalca le tesi di Tezner. Per una
ricognizione aggiornata (sui limiti attuali) dell’atto complesso cfr. da
ultimo, Sandulli A., Il
procedimento, cit., 1102 ss. Sulla peculiare posizione del Borsi in tema di
atto complesso cfr., invece, Comporti
G., L’atto complesso di Umberto Borsi, cit.
[46] Forti U., “Atto” e “procedimento”,
cit., 460-461, il quale rileva come “un po’ empirica” fosse
“l’idea di una cooperazione di più volontà,
necessaria al conseguimento di un effetto giuridico finale, che era servita ad
identificare questo tipo di atti” alle origini del dibattito in tema.
Proprio tale ragione, osserva l’autore, spiega da un lato perché
essa dava risultati poco soddisfacenti; dall’altro perché
“le felici e ben note indagini del Donati” e la “formula
più rigorosamente sistematica da lui suggerita” abbiano impresso
“un diverso indirizzo alla dottrina successiva”
[47] Quali, ad esempio, le
proposte, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, considerate insieme con
l’atto cui si riferiscono: cfr. supra, in nota, e diffusamente Sandulli A.M., Il procedimento,
cit.
[48] In tal senso Donati D., Atto complesso, cit.,
3 ss. Sulla importanza dei chiarimenti del Donati per la distinzione del
procedimento dall’atto complesso cfr. diffusamente Sandulli A.M., Il procedimento, cit.,
in partic. 4, nota 8 e 192 ss., al quale si rinvia per l’esame
dell’intera problematica.
[53] Così Forti U., “Atto” e
“procedimento”, cit., 467, che riconosce al Cammeo il merito di
aver “tracciato lo schema di una possibile trattazione futura”.
[54] Così Miele G., Alcune osservazioni,
cit., 375, il quale ricorda che, a differenza della dottrina austriaca,
“la dottrina italiana, malgrado contributi pregevolissimi, è
ancora ai primi passi in questa materia”: dopo il Cammeo, che “ha
saggiato tra i primi il terreno, aprendo un solco fecondo ad ulteriori
elaborazioni”, osserva il Miele, “il suo tentativo è rimasto
per lungo tempo isolato, fino agli studi dedicati all’argomento dal
Forti”
[55] Si vedano gli studi
appena citati. Che le tappe principali del percorso degli studi sul fenomeno
procedimentale prima della opera fondamentale del Sandulli furono segnate dagli
studi del Cammeo, del Forti e del Miele è riconosciuto anche nella
dottrina recente: cfr., ad esempio, Bombardelli
M., Decisioni, cit.,
[56] Il Cammeo, pur
segnalando la affinità della nozione da egli proposta con la opération
administrative, preferì infatti alla locuzione “operazione
amministrativa” il nomen juris di “procedimento
amministrativo”. Sulla stessa linea si pose poi il Forti U., “Atto” e
“procedimento”, cit., 467, appoggiandosi espressamente alla
presa di posizione del Cammeo; nonché il Miele G., Alcune osservazioni, cit., 375 ss. (cfr., in
particolare, 377, nota n. 6).
[58] Il piano terminologico,
tuttavia, interviene di nuovo a complicare la questione: proprio la dottrina (Forti U., “Atto” e
“procedimento”, cit., 456) che riesce ad abbozzare una
distinzione concettuale delle nozioni di operazione e di procedimento non
utilizza, per la prima, la espressione “operazione amministrativa”,
ma quella (suggestiva) di “procedimento in senso ampio”. Sul punto
cfr. infra, nel testo e in nota.
[60] Cammeo F., Corso di diritto amministrativo, II,
Padova, 1914, (nella ristampa del 1992 curata dalla Cedam).
[68] Così Miele G., Alcune osservazioni,
cit.,
[69] De Valles A., La validità, cit., 26,
“Ogni operazione amministrativa, che tende a realizzare uno degli scopi
per i quali l’attività amministrativa delle persone giuridiche
pubbliche si svolge, non consta quasi mai di un atto semplice: normalmente al
raggiungimento d’un effetto concorre una serie di atti, dei quali
l’uno è la premessa logica e giuridica dell’altro, sino alla
fine della serie”.
[70] Cammeo F., Corso, cit., 1234, ravvisa la ricorrenza
del fenomeno del “procedimento amministrativo”, cui dedica un
apposito paragrafo, “quando la produzione di effetti giuridici risulta
dal concorso di più atti, o anche da atti e fatti, purché questo
concorso sia regolato da norme che disciplinano l’ordine della
successione loro e le relative forme”.
[71] La nozione è
ritagliata infatti sulla base della destinazione legale di una serie di
più atti e fatti alla produzione degli effetti giuridici. È in
questi ultimi che è individuato il punto di legamento della nozione.
[72] Dopo aver definito il
fenomeno del procedimento amministrativo (cfr. supra, in nota),
l’autore subito precisa “Questo è fenomeno, però non
generale e costante, bensì accidentale: quando si verifica può
assumere forme diverse, essendovi procedimenti semplici e procedimenti
complessi. Non è quindi possibile una trattazione generale in
proposito” (così Cammeo
F., Corso, cit., 1234). Nella dottrina contemporanea ricorda che il
Cammeo, e, in seguito, il Forti, “si mostravano scettici circa
l’utilità di una costruzione unitaria del procedimento” Sandulli A., Il procedimento,
cit., 1092.
[74] Borsi U., La giustizia, cit., 34, il quale propone di
distinguere il procedimento formativo di ciascun atto dall’operazione
amministrativa: “È vero che l’osservanza dell’ordine
di successione stabilito dalla legge per i vari atti di uno stesso procedimento
costituisce un elemento della legittimità dei medesimi; che, di regola,
il contenuto negativo di uno di tali atti preclude l’emanazione dei
successivi, rendendoli invalidi se emanati, e che l’impugnativa di alcuni
non può avvenire che attraverso l’impugnativa di altri che
logicamente ne dipendono, ma non si deve dimenticare che anche singoli atti
hanno una loro individualità giuridica e che le modalità
sostanziali e formali ed il particolare effetto di ciascuno possono essere
distintamente valutati. In materia di giustizia amministrativa, di solito,
oggetto diretto di considerazione sono appunto i singoli atti, mentre i
procedimenti offrono punti di riferimento per l’indagine circa la
legittimità degli atti stessi. Occorre però non confondere tali
procedimenti col procedimento formativo di ciascun atto, onde sarebbe forse
opportuno assegnare ai primi un diverso nome, come, ad esempio, quello,
già introdotto in dottrina ed usato in qualche decisione, di
“operazioni amministrative””.
[75] Il riferimento
all’“effetto finale” è stato definito
“indecifrabile” da Graziosi
B., Note, cit. 505; ciò nel senso che da esso non è dato
ricavare con chiarezza se il punto di individuazione della nozione sia da
ravvisare nello scopo pratico (o nel risultato) ovvero nell’effetto
giuridico. Tale circostanza, tuttavia, sembra indirettamente avvalorare la
nostra scelta di sistemare la posizione del Borsi in una fase intermedia del
percorso logico di chiarificazione delle due figure. Sul punto si vedano i
recenti chiarimenti di Comporti G.,
L’atto complesso di Umberto Borsi, cit., il quale, attraverso un
esame esteso all’intero percorso di riflessione del Borsi, riesce a far
emergere la posizione originale assunta da questo studioso nel panorama della
dottrina pubblicistica del primo novecento, concludendo che egli,
“attratto dal mondo dinamico dell’attività e delle funzioni,
indagate sempre con occhio attento alla prassi e alla natura delle cose, ...
non è rimasto prigioniero delle classificazioni correnti e, pure a costo
di alcune inevitabili imprecisioni di carattere logico-concettuale, ha
così potuto mettere a fuoco l’idea della collaborazione quale asse
portante di ogni sistema amministrativo, anche di tipo accentrato o
statocentrico quale era nella sostanza quello a lui contemporaneo, in grado di
ordinare ed integrare le varie potestà in cui esso si articola in vista
della realizzazione dei risultati avuti di mira. È il momento
produttivo ed unificante dell’effetto finale, più che il
profilo statico e disaggregante dell’assetto normativo delle competenze
ad attirare l’attenzione dello studioso e ad orientarne l’analisi:
da essa prende progressivamente corpo l’ipotesi che il piano oggettivo
dell’attività, lungi dal riflettere il carattere irrelato delle
distinte soggettività autrici di singolari manifestazioni di
volontà, evidenzia momenti di sintesi e di integrazione mediante le
quali le varie competenze amministrative e la pluralità di atti che ne
sono la fattuale espressione, si convertono giuridicamente in unitarie
fattispecie di poteri tendenti al loro naturale esplicitamento”
(così alle pp. 312-313).
[79] Forti U., “Atto” e “procedimento”,
cit., 467, pone il “quesito se, per le esigenze sistematiche di una
classificazione degli atti amministrativi”, classificazione da operare,
precisa l’autore, non sulla base dello scopo pratico, ma degli effetti
giuridici che a ciascun tipo di atto il diritto attribuisce (così a p.
463), “non sia più utile una nozione di procedimento ristretta ad
un campo assai meno vasto di quello che comunemente le viene assegnato”:
in questo “largo campo sarebbe utile distinguere un procedimento in senso
stretto e uno in senso ampio…”.
[80] L’autore nei
termini che seguono tratteggia la configurazione del “procedimento in
senso stretto”: è questa la figura “che meglio e direi anche
letteralmente aderisce alla nozione che la dottrina ha delineato del procedimento
… quando si dice, parola più o meno, che l’effetto giuridico
può derivare più che da un “atto” da un procedimento,
se esso è riconesso ad una serie di comportamenti consecutivi, legati in
successione logica e legalmente necessaria”. Ciò può
correttamente affermarsi, prosegue l’autore, “quando invece
di un atto consistente in unica dichiarazione si abbia… una serie
…di comportamenti successivi che si potrebbe designare come atto-procedimento,
tanto per intenderci”, perché “qui il procedimento, dal
punto di vista sistematico, tien luogo dell’atto”. L’autore
così argomenta la proposta di configurare il procedimento in senso
stretto in termini di “atto-procedimento”: “… se
è vero che in ogni procedimento c’è un atto tipico (che
credo sia sempre quello finale) che sta in primo piano …, che nella
pratica a questo solo atto si riconnettono gli effetti, e che…
altrettanto suol farsi scientificamente; non è men vero però che
in questi casi l’effetto è riconnesso ad una serie di atti successivi
e come ad un atto solo. Ma perché questo si possa esattamente dire,
occorre che ciascuno degli atti, meno l’ultimo, risulti individuato da un
effetto che sia prodromico e parziale nei confronti dell’atto
finale”. Solo in questi casi, osserva l’autore, si avrà un
procedimento “in luogo di un semplice atto”; perché se uno
degli atti diversi dall’ultimo fosse individuato da un effetto giuridico
autonomo ci si troverebbe dinanzi ad “un procedimento più un
atto”. Sulla base di tale rilievo il Forti passa ad illustrare il punto
più controverso e criticato (vedi infra) della sua proposta
ricostruttiva, in cui delinea il procedimento in senso stretto, costruito ormai
in termini di atto-procedimento, inteso quale procedimento che si svolge
all’interno di un unico ente: “…se è vero … che
la formazione successiva di un atto amministrativo è fenomeno
normalmente connesso alla struttura delle persone giuridiche, a me pare che
quel requisito dei singoli atti del procedimento… (produzione di effetti
parziali nei confronti dell’effetto finale) si riscontri soltanto quando
questi emanino da più organi dello stesso soggetto. Cioè che solo
in questo caso si abbia quello che ho chiamato l’atto-procedimento”
(così Forti U., “Atto”
e “procedimento”, cit., 467, 468, 469). Sulle principali
critiche che furono rivolte alla categoria dell’atto-procedimento, presto
superata dalla dottrina, cfr. infra, in nota.
[82] L’autore la richiama nella formulazione del Chiovenda G., Principi di diritto
processuale civile. Le azioni. Il processo di cognizione, Napoli, 1923,
§ 3 e 51 bis.
[83] L’autore subito
soggiunge: “Non nego che possa apparire compito un po’ faticoso
distinguere e separar l’uno e l’altro nell’apparente
unità empirica del fenomeno giuridico: ma, se le cose stanno
così, l’opera faticosa non sarà perciò meno utile e
necessaria alla costruzione del sistema. Per la quale, come si sa, bisogna
spesso percorrere vie seminate di triboli”.
[84] È questo il
senso principale di una nota proposizione del Forti, che spesso è stata
richiamata, invece, in modo non del tutto pertinente, a mo’ di condanna
della nozione di operazione amministrativa: “Se la nozione di
“procedimento” si limita a quello che ho chiamato
procedimento in senso ampio … la nozione stessa, esatta in sé,
sarà applicata a casi diversi tra loro. Può diventare di
conseguenza non un criterio che illumini ma un mantello che ricuopra e nasconda
caratteri differenziali, …come è avvenuto… nelle prime, per
quanto pregevoli, elaborazioni della nozione dell’atto complesso (prima
delle chiarificazioni che vi ha apportato il Donati), le quali accomunano serie
di atti dotati ciascuno di vita giuridica autonoma (es. deliberazione e
approvazione tutoria) e serie di atti che concorrono a costituire una
volontà complessa”: così Forti
U., “Atto” e “procedimento”, cit., 470-471.
[86] La figura
dell’atto-procedimento destò immediate perplessità (cfr.,
ad es. Biscaretti Di Ruffia P., La
proposta nel diritto pubblico, Roma, 1936, 75 ss.; De Valles A., Teoria giuridica della organizzazione dello
Stato, I, Macerata, 1931, 249, nota 2; Carnelutti
F., Forma degli atti complessi, in Riv. dir. comm., 1937,
I, 458; Gasparri P., Studi
sugli atti giuridici complessi, Pisa, 1939, 44; Miele G., Alcune osservazioni, cit., 377 ss.), anche
in quella parte della dottrina che pur accolse la distinzione tra procedimento
in senso stretto e procedimento in senso ampio. Essa, come è noto, fu
poi oggetto di critiche fondate e definitive da parte del Sandulli. Già
il Miele, tuttavia, aveva in precedenza messo a fuoco i principali punti
critici della categoria, sui quali si appuntò poi
l’approfondimento del Sandulli. È opportuno concentrarsi
brevemente sulle considerazioni di questi due illustri autori. Il primo in
pochi efficaci tratti di penna così riassume la posizione del Forti:
nella proposta dell’atto – procedimento avanzata dal Forti
“procedimento in senso proprio sarebbe soltanto quello che è
prescritto invece di un atto, caratterizzandosi tutti gli elementi di
cui consta dai loro effetti parziali e non autonomi nei confronti
dell’effetto “pieno e indipendente” che si ricollegherebbe
solo praticamente ad uno di essi, l’atto centrale. Importa, questa
definizione, che l’atto-procedimento può dar vita a un
atto-complesso e, di regola, l’atto complesso è formato da un
procedimento; che l’atto-procedimento si ha, concorrendo le condizioni
poste, nell’ambito di un solo soggetto, dove è possibile
riscontrare la unicità di interessi” (così Miele G., Alcune osservazioni,
cit., 377). È proprio quest’ultimo punto, in cui i procedimenti
esterni vengono esclusi dalla categoria dei procedimenti in senso stretto, che,
secondo il Miele, desta la maggiore perplessità; il Forti afferma tale
esclusione sulla base del “principio… della distinzione
degl’interessi conseguente alla pluralità di soggetti”;
“principio in sé irrefutabile” – osserva –,
“ma non tale tuttavia da farci dimenticare che anche ogni organo di una
persona morale costituisce un proprio centro d’interessi, autonomo e per
sé stante rispetto a quelli propri di altri organi del medesimo ente.
Sicché le incertezze sono tutt’altro che eliminate” (Miele G., Alcune osservazioni,
cit., 379). Tale spunto è ripreso espressamente da Sandulli A.M., Il procedimento,
cit., in partic.
[87] Non agì,
ovviamente, solo un ostacolo di natura logica: era, più in
profondità, da un lato la concezione generale dell’azione
amministrativa quale azione autoritativa ed esecutiva (della legge); e,
dall’altro, i caratteri del modello globale di organizzazione
amministrativa (accentrata, piramidale e gerarchizzata, statocentrica e
burocratizzata), ad impedire (la esigenza stessa di) una raffigurazione
unitaria dell’attività amministrativa cooperante al conseguimento
di un risultato amministrativo unitario in termini di operazione
amministrativa. Sul punto si veda più diffusamente tra breve, nel testo.
Sia sufficiente richiamare, per il momento, per il profilo relativo alla
attività amministrativa, le considerazioni di Scoca F. G., Il coordinamento e la comparazione degli
interessi nel procedimento amministrativo, in Studi in onore di G.
Abbamonte, Napoli, vol. II, 1999, 1261 ss.; per quello organizzativo le
pagine di Di Gaspare G., Organizzazione
amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. X, Torino, 1995, 513 ss.
[88] L’autore mette a
fuoco innanzitutto le “principali difficoltà” inerenti al
problema della individuazione della nozione del procedimento: “Come ogni
problema, il quale si pone raramente isolato, anche il nostro pone in gioco concetti
limitrofi, quali, ad es., quello di atto complesso, di contratto, di
deliberazione collegiale (nel suo stadio ultimo di formazione della
volontà); e richiede la necessaria determinazione di altri che ne sono,
a quanto pare, necessaria conseguenza; definitività, pendenza,
perfezione, retroattività, invalidità derivata; o elementi per la
sua soluzione: effetti principali e secondari, effetti autonomi ed effetti
accessori”: così Miele
G., Alcune osservazioni, cit., 376-377. L’autore sottolinea,
inoltre, come tutte le definizioni del procedimento proposte dalla dottrina
comprendano, “accanto al concorso di fatti che influiscono sulla
produzione dell’effetto giuridico considerato, la condizione o il
requisito della necessità legale di essi e del loro svolgersi in un
certo ordine, parimenti dalla legge determinato”. Pur condividendo in
linea di massima, con la totalità della dottrina del tempo,
l’indicato ordine di idee (sul punto cfr. infra, nel testo e in
nota), l’autore abbozza una precisazione importante laddove,
nell’enunciare una distinzione tra procedimento giuridicamente necessario
(che ricorre laddove la serie degli atti, nel numero e nell’ordine,
è prescritta tassativamente dalla legge, con la conseguenza che
eventuali infrazioni si ripercuoteranno sulla validità o
sull’efficacia dell’atto principale…) e procedimento non
necessario (ricorrente nei casi in cui il concorso e l’ordine dei
comportamenti non ha giuridicamente alcuna influenza sull’atto
principale), chiarisce che anche del secondo va riconosciuta rilevanza
giuridica: Id., Alcune
osservazioni, cit., 381.
[89] Miele G., Alcune osservazioni, cit., 377: “Entrambe
le nozioni possono coesistere, perché ammetterne una non equivale a
rigettarne l’altra o ritenerla erronea”.
[90] Miele G., Alcune osservazioni, cit., 378-379. L’autore si sofferma puntualmente sul problema, aperto nella dottrina del tempo, della individuazione del “punto di legamento” del procedimento e su quello, strettamente correlato al primo, della sua estensione. Dopo aver rilevato che il problema del “rapporto fra i vari comportamenti” che si succedono nel procedimento è quello “che offre le maggiori difficoltà” teoriche; ed aver osservato che esso “non è del tutto individuato nelle formule usuali, degli atti con effetti parziali e prodromici nei confronti dell’atto autonomo o finale; o dell’ordine legale e necessario con cui si presentano i comportamenti che costituiscono il procedimento” (formule da cui dipendono le varie divergenze dottrinarie nella delimitazione dei confini del procedimento – così rileva il Miele, richiamando espressamente le soluzioni cui erano pervenuti, tra gli altri, il Cammeo F., Corso, cit., vol. III, 1272 ss., e il Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 458 ss.), conclude nel modo seguente: “la esistenza di atti accessori e dell’atto principale resta un postulato della nozione di procedimento, intendendo per atto principale quello a cui il diritto riannoda l’effetto giuridico che rappresenta la destinazione ultima e fondamentale dei diversi comportamenti. È appunto questa destinazione ultima e fondamentale, che ben si adatta alla molteplicità dei casi, che serve a delimitare l’estensione del procedimento… Dal che non si deve inferire che siffatta destinazione sia l’emanazione dell’atto centrale… La qualifica di atto centrale deriva da un dato positivo, quale il ricollegarsi ad esso dell’effetto giuridico considerato, ed è in questo che deve ravvisarsi il punto di legamento dei vari atti e fatti che intervengono nel procedimento”.
[92] Si rinvia alle note in
cui ci si è già soffermati sulle critiche rivolte dal Miele (e
dal Sandulli) all’atto-procedimento.
[93] Cfr. supra, in
nota, ove si è posta in luce, sul punto, la continuità tra la
posizione del Miele e le soluzioni affermate dal Sandulli.
[96] Così Cardi E., Procedimento, cit.,
1-2.
[97] Cfr. ampiamente Police A. - Immordino M. (a cura di), Principio di legalità e
amministrazione di risultato, cit.; Spasiano
M., Funzione amministrativa, cit. L’impulso a rassodare parte
della riflessione scientifica attorno alla formula della “amministrazione
per risultati” (coniata negli anni sessanta da Giannini) si deve a
Iannotta, che ha dedicato numerosi appassionati lavori all’argomento:
cfr. Iannotta L., Scienza e
realtà: l’oggetto della scienza del diritto amministravo tra
essere e divenire, in Dir. amm., 1996, 579 ss.; Id., La considerazione del risultato
nel giudizio amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto,
in Dir. proc. amm., 1998, 299 e ss.; Id.,
Previsione e realizzazione del risultato nella Pubblica amministrazione: dagli
interessi ai beni, in Dir. amm., 1999, 57 e ss.; Id., Principio di legalità e
amministrazione di risultato, in Amministrazione e ordinamenti (Atti del
Convegno di Macerata del 21 e 22 maggio 1999), Milano, 2000, 37 ss.; Id., Merito, discrezionalità
e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare),
in Dir. proc. amm., 2005, 1. Per alcuni lucidi e sintetici chiarimenti
sulla intera tematica cfr. Romano
Tassone A., Sulla formula “Amministrazione per risultati”,
in Scritti in onore di Elio Casetta, II, Napoli, 2001, 815 ss.; Cammelli M., Amministrazione di
risultato, in Annuario AIPDA 2002, Milano, 2003, 107; Corso G., Amministrazione di
risultato, in Annuario AIPDA 2002, 127; Pastori G., La disciplina generale dell’azione
amministrativa, in Annuario AIPDA 2002, 33; Cassese S., Che vuol dire “amministrazione di
risultati?, in Giornale dir. amm., 2004, 941.
[98] Cfr., in particolare, Scoca F.G., Il coordinamento,
cit., 1261 ss.; Comporti G., Il
coordinamento, cit.; Merusi
F., Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati
dopo la riforma delle autonomie locali e del procedimento amministrativo,
in Atti del Convegno di Varenna 19-21 settembre 1991, Milano, 1994, 39
ss. Per una trattazione sintetica, in cui si pone in evidenzia la tendenza
della dottrina più recente a considerare il coordinamento non come
potere o come una relazione organizzativa, bensì come
“risultato” di una azione (coordinata) di più uffici o
più strutture organizzative, si veda Scoca
F.G., I modelli organizzativi, in Diritto amministrativo
(a cura di Mazzarolli L., Pericu G.,
Romano A., Roversi Monaco F.A., Scoca F.G.), Bologna, 2005, vol. I, 386
ss. Per il dibattito più risalente in tema cfr. AA.VV., Coordinamento
e collaborazione nella vita degli enti locali (Atti del V Convegno di
Studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 17-20 settembre 1959),
Milano, 1961; Bachelet V., L’attività
di coordinamento nell’amministrazione dell’economia, Milano,
1957; Bachelet V., Profili
giuridici dell’organizzazione amministrativa, Milano, 1965; Bachelet V., voce Coordinamento,
in Enc. dir., vol. X, Milano, 1962, 635 ss.; Orlando L., Contributo allo studio del coordinamento
amministrativo, Milano, 1974; Amato
G. - Marongiu G. (a cura
di), L’amministrazione della società complessa. In ricordo di
Vittorio Bachelet, Bologna, 1982, 129 ss.; Piga F., voce Coordinamento (principio del), in Enc.
giur. Treccani, vol. IX, Roma, 1988, 1 ss.
[99] Cfr. Cammelli M., I raccordi tra i
livelli istituzionali, in Le istituzioni del federalismo, 2001, 1079
ss.; Torchia L., Cooperazione,
e concertazione tra livelli di governo nel nuovo titolo V, in Bottari C. (a cura di), La riforma
del Titolo V, parte II della Costituzione, Dogana, 2003, 333 ss.
[100] Cfr. Scoca F.G., Analisi giuridica della
conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, 255 e ss.; Bombardelli M., Decisioni, cit.;
Romano Tassone A., Sulla
formula, cit., 815. Dello stesso autore cfr., ampiamente, Id., Note sul concetto di potere,
cit.
[101] Sciullo G., Il federalismo amministrativo e
l’attribuzione di funzioni, in www.federalismi.it, 14/2005; Ricci S., Riflessioni su buon
andamento e principio di sussidiarietà anche alla luce della più
recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in www.federalismi.it,
9/2005; Larat F., Le
Regioni nel sistema di multi-level governance. Adattare e
trasformare la governance e le sue sfide, in Le istituzioni del
federalismo, 2004, 93; Amato
G., La riforma del Titolo V. Una rivoluzione amministrativa, in Parlamenti
regionali, 2001, 23 ss.; Berti
G - De Martin G. (a cura di), Il
sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione,
Milano, 2002; Bin R., La
funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le
Regioni, 2003, 365 ss.; Cassese
S., L’amministrazione nel nuovo titolo quinto della Costituzione,
in Giornale di diritto amministrativo, 2001, 1193 ss.; Cerase F.P., Indirizzo, controllo ed
“accountability” nella pubblica amministrazione italiana, in Riv.
trim. dir. pubbl., 1999, I, 803 ss.; Corpaci
A., Revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione e sistema
amministrativo, in Le Regioni, 2001, 1305 ss.; Corso G., Una nuova amministrazione?,
in Nuove autonomie, 2003, 3, 301 ss.; D’Atena
A., Il nodo delle funzioni amministrative, in www.associazionedeicostituzionalisti.it;
Marini F. S., La “pseudo
collaborazione” di tipo organizzativo: il caso della conferenza
Stato-Regioni, in Rassegna Parlamentare, 2001, II, 649 ss.; Albanese A., Il principio di
sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, in Dir.
pubbl., 2002; Cammelli M., Principio
di sussidiarietà e sistema amministrativo nel nuovo quadro
costituzionale, in Atti del convegno “Il sistema amministrativo dopo
la riforma del Titolo V della Costituzione”, Roma, 2002; Cassese S., L’aquila e le
mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi
nell’area europea, in Foro it., 1995, 373 ss.; Rimini, 1997; Chiti M.P., Principio di
sussidiarietà, pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in
Dir. pubbl., 1995, 516 ss.; D’Atena
A., Il principio di sussidiarietà nella Costituzione italiana, in
Riv. trim. dir. pubbl. com., 1997, 603 ss.; Duret P., La sussidiarietà
“orizzontale”: le radici e le suggestioni di un concetto, in Jus,
2000, 1, 95 ss. Tra le monografie vanno ricordate: D’Alessandro D., Sussidiarietà,
solidarietà e azione amministrativa, Milano, 2004; De Carli P., Sussidiarietà e
governo economico, Milano, 2002; Vittadini
G. (a cura di), Sussidiarietà. La riforma possibile, Milano,
1998; Moscarini A., Competenza
e sussidiarietà nel sistema delle fonti, Padova, 2003; Bifulco R., La cooperazione nello
Stato unitario composto, Padova, 1995; Buzzacchi
C., Uniformità e differenziazione nel sistema delle autonomie,
Milano, 2003; Duret P., Sussidiarietà
e autoamministrazione dei privati, Padova, 2004; Bombardelli M., La sostituzione amministrativa,
Padova,
[102] In tal senso Cartei G.F., voce Servizi
(conferenza di), in Dig. disc. pubbl., vol. XIV, Torino, 1999,
65-66, che parla del “principio … di cooperazione tra soggetti
pubblici titolari di interessi contermini”. Tale principio è
oggetto di un acceso dibattito nella dottrina tedesca, alla quale si richiamano
in Italia quegli autori che di recente hanno ad esso fatto riferimento: come
riferisce Voßkuhle A., “Concetti
chiave” della riforma del diritto amministrativo nella Repubblica
Federale Tedesca. Una ricognizione critica, in Dir. pubbl.,
2000, 730, l’intera discussione attuale sulla riforma amministrativa in
Germania “sta sotto il segno dei concetti di cooperazione e di diritto
cooperativo”.
[106] Cassese S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo
Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 601 e ss.
[108] Scoca F.G., Il coordinamento e la comparazione degli
interessi nel procedimento amministrativo, in Studi in onore di G.
Abbamonte, Napoli, vol. II, 1999, 1261 e ss.
[109] Berti G., Sussidiarietà e organizzazione dinamica,
in Jus, 2004, 171; Id., La
giuridicità pubblica e la riforma del Titolo V, parte II della
Costituzione, in Jus, 2002, 147 ss.
[110] Cfr. Hespanha A.M., Introduzione alla
storia del diritto europeo, Bologna, 1999, 14-15: che avverte del rischio
“di una prospettiva deformata del campo storico, in cui gli oggetti e le
questioni vengono ritagliati a partire di dal modo di vedere e concepire il
diritto odierno. Così il presente è imposto al passato; ma anche,
il passato è imprigionato in categorie, problematiche e angosce del
presente, perdendo così il suo stesso spessore e la sua stessa
specificità, il suo modo di immaginare la società, di organizzare
i temi, di porre le questioni e risolverle”. Detto in altri termini: nel
passato “è sempre possibile trovare segni e anticipazioni di
quanto poi si è verificato. Ma normalmente si perdono di vista tanto le
altre possibilità di sviluppo, come le perdite che l’evoluzione
che si è verificata ha originato”. In senso analogo già Giannini M.S., Diritto
amministrativo, in Enc. dir., vol. XXII, Milano, 1964, 855 ss. (in
partic. 856), quando ebbe modo di criticare chi ha scritto “degli atti
amministrativi dei consoli o degli imperatori romani” o, più in
generale, che “i Cinesi e i Romani, gli Ebrei e gli Spartani avevano un
diritto amministrativo, ma non erano riusciti ad elevarne una scienza”.
[111] Il punto è
sottolineato espressamente dal Miele
G., Alcune osservazioni, cit., 377, il quale richiama anche le
definizioni (qui già richiamate, cfr. supra) di De Valles, Forti,
Cammeo.
[112] Si utilizza
l’espressione nel significato fissato da Ledda F., Problema amministrativo e partecipazione al
procedimento, in Dir. amm., 1993, 133 ss.
[113] “In un sistema in
cui il postulato di partenza della personalità dello Stato richiedeva
l’esistenza di un’unica fonte della sua volontà e, di
conseguenza, la concentrazione della capacità creativa-innovativa di
assetti e rapporti del mondo civile nel comando legislativo, unica sorgente del
diritto, riconoscendosi al comando amministrativo la sola funzione di
provvedere alla cura di un interesse già definito
“esplicando” un rapporto giuridico (di supremazia) già
esistente fra l’autorità emanante e il soggetto o organo
destinatario, l’esame degli atti del potere esecutivo non poteva che
ridursi ad una classificazione statica dei loro elementi, condotta non nella
prospettiva unificante e dinamica del conseguimento del risultato finale ma
secondo la retrospettiva dello schema formale del singolo comando normativo di
riferimento”: così Comporti
G., L’atto complesso di Umberto Borsi, cit., 305-306, il
quale osserva che in tale quadro generale anche le ricerche attorno agli atti
complessi (da cui germinò la figura dell’operazione) divennero
“occasione non già per comporre visioni di sintesi dei poteri
concorrenti verso la realizzazione di risultati comuni, ma per scomporre
l’attività degli enti pubblici in una vasta serie di atti singoli
(autorizzazioni, pareri, visti, approvazioni), distinti secondo il valore
specifico dei rispettivi effetti, ovvero secondo la peculiare loro
capacità di dare svolgimento concreto a relazioni giuridiche
precostituite da appositi comandi
legislativi. Un’analisi condotta con lo sguardo costantemente rivolto
alla fonte normativa (delle condizioni legali) di ogni manifestazione del
potere amministrativa non poteva, del resto, consentire di ordinare le sue
vicende esplicative se non secondo un rigido criterio di serialità e
causalità meccanica capace di identificare esattamente la intima forza
motrice di ogni anello della catena di comandi destinati a dare pieno esplicamento
alla fattispecie legale. Quello che indubbiamente si acquistava in termini di
rigore e precisione di analisi, si perdeva d’altra parte in termini di
visione complessiva del fenomeno e dei momenti informali di collaborazione che
si registrano nei rapporti tra amministrazioni deputate alla cura di interessi
concorrenti e del loro possibile inquadramento entro una unitaria vicenda
procedimentale di composizione delle varie posizioni di potere capace di
rendere effettivo ed implementare l’astratto assetto organizzativo delle
competenze”.
[114] Ci si riferisce alla
esclusione, operata dal Miele, dei procedimenti c.d. “esterni”
dall’ambito di estensione della categoria dell’operazione
amministrativa (procedimento in senso ampio, nella terminologia del Forti), e la
loro inclusione in quella del procedimento in senso stretto, di cui il Miele
rifiuta, però, la costruzione quale atto-procedimento. Vedi supra,
in nota.
[115] Che si tratti di una
“realtà” alla quale corrisponda nel suo insieme il dovere
generale dell’amministrazione pubblica di perseguire gli scopi indicati
dalla legge è una verità, tuttavia, la cui acquisizione, favorita
dalla ormai matura assimilazione della concezione funzionale della azione
amministrativa, è molto più tarda rispetto alla epoca della elaborazione
della figura della operazione amministrativa: cfr., per tutti, Scoca F.G., Il silenzio della
pubblica amministrazione, Milano, 1971. Sul punto cfr. in particolare Meloncelli A., L’iniziativa
amministrativa, Milano, 1976, 165 ss. (per alcune anticipazioni cfr. anche Daniele L., L’obbligo
dell’amministrazione di provvedere, in Cons. Stato, 1959, II,
330 ss.). L’individuazione di tale “realtà giuridica
amministrativa” è suggerita dalla considerazione che “la
norma indica lo scopo ultimo da perseguire e che, di conseguenza, predispone
determinati poteri e la serie della loro successione”; il che impone di
estendere la rilevazione giuridica ai casi in cui “un provvedimento
amministrativo, cioè un atto dotato di autonomia funzionale, non sia di
per sé idoneo a soddisfare lo scopo ultimo indicato dalla legge, non sia
cioè idoneo a realizzare l’utilità totale che solo la serie
completa dei procedimenti riesce a garantire”. L’esempio classico
è quello del bando di concorso o della dichiarazione di pubblica utilità,
atti dotati di “autonomia funzionale” e “idonei a produrre
una lesione diretta nella sfera giuridica degli amministrati”, ma
inidonei a realizzare di per sé lo scopo che la legge pone
all’amministrazione pubblica, il quale potrà dirsi soddisfatto solo
quando sarà adottato “l’atto finale, non di un solo
procedimento, ma di una serie di procedimenti, predisposti nel loro insieme in
vista di un unico scopo”. Così si esprime Meloncelli A., L’iniziativa, cit., 169-
[116] Sui collegamenti tra
procedimenti cfr. Sandulli A.M., Manuale
di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 658 ss. e Giannini M.S., Diritto amministrativo, II, 1993, 650
ss.; nonché, più di recente, Morbidelli
G., Procedimento amministrativo, cit., 589 ss.
[117] Si utilizza qui la
formula proposta da Villata R. - Sala G., Procedimento, cit.,
586. Non è questo il luogo per riaprire le spinose tematiche
(sostanziali, processuali e di teoria generale) della presupposizione nel
diritto amministrativo. Oltre alle note pagine del Sandulli (Sandulli A.M., Il procedimento,
cit., in partic. 332), che hanno impresso l’indirizzo tuttora dominante
nella dottrina ed anche nella giurisprudenza amministrativistica, ci si limita
a richiamare alcuni dei principali contributi in materia: Corso A.M., Atto amministrativo
presupposto e ricorso giurisdizionale, Padova, 1990; Lubrano F., L’atto
amministrativo presupposto (spunti di una teorica), Roma, 1992; Ramajoli M., La connessione nel
procedimento amministrativo, Milano, 2002; Gattamelata S., Effetti dell’annullamento sugli atti
consequenziali, in Dir. proc. amm., 1991, 308 ss.; Garofalo L., Impugnazione
dell’atto presupposto e onere dell’impugnazione dell’atto
consequenziale, in Dir. proc. amm., 2000, 2; Cacciavillani C., Sul ricorso per motivi aggiunti,
cit., 181 ss. I vari problemi relativi ai presupposti si riallacciano tutti al
problema di fondo, che in teoria generale è stato tradizionalmente
disegnato quale problema di determinazione della “estensione” della
fattispecie. A tale impostazione si è obiettato che “il problema
va inquadrato piuttosto nella tematica relativa alla natura degli elementi
costitutivi della fattispecie, che non a quella relativa alla estensione della
medesima… perché non si tratta tanto di vedere se il presupposto
stia dentro o fuori della fattispecie che comprende il fatto presupponente (o
principale o condizionato), quanto di esaminare che cosa il presupposto sia ed
in che modo condiziona il fatto principale”: così Scoca F.G., Contributo sul tema
della fattispecie, cit., il quale così delinea la “figura del
presupposto: esso consiste in un fatto giuridicamente rilevante per una norma
il cui effetto entra a far parte della fattispecie che comprende, assieme
all’effetto del fatto presupposto, il fatto principale. Si hanno
così due successive norme, le quali implicano due fatti giuridici e due
situazioni effettuali. Il fatto giuridico descritto nella fattispecie della
prima norma si pone come presupposto del fatto giuridico descritto nella
fattispecie della seconda norma, se ed in quanto l’effetto al primo
relazionato qualifica il secondo, il che, in termini di corretta dinamica
giuridica, significa che entra alla pari del fatto (materiale) qualificato
nella sua descrizione normativa. Si ottiene in questo modo anche una chiara
costruzione della cd. influenza indiretta del presupposto, nozione sulla quale
la dottrina ha spesso sorvolato: l’influenza del presupposto rispetto al
prodursi dell’effetto principale è indiretta perché la
presenza (giuridica) del presupposto condiziona, attraverso il prodursi
dell’effetto ad essa normativamente correlato, la realizzazione nella
realtà concreta dell’effetto principale. La fattispecie principale
descrive quindi un fatto (materiale) e una situazione effettuale di
caratterizzazione; l’entità descritta – fatto giuridico
– sarà quindi un fatto caratterizzato dalla compresenza di una
situazione effettuale… Il problema del presupposto coincide con quello
della fattispecie includente tra i suoi elementi costitutivi una situazione
effettuale. Il presupposto infatti non è altro il fatto che realizza la
fattispecie della norma che questa situazione effettuale è destinata a
produrre … Da quanto detto deriva come conseguenza che, in linea
generale, la presenza del presupposto condiziona non soltanto un determinato modo
di essere giuridico del fatto principale (così invece Sandulli A.M., Il procedimento,
cit., 46 ss.) ma la sua stessa esistenza come fatto giuridico: la fattispecie
principale, comprendendo la descrizione della situazione effettuale al
presupposto relazionata, in mancanza di quest’ultimo, non può
realizzarsi completamente, per cui non determina la qualificazione giuridica
degli elementi materiali in essa descritti che eventualmente fossero
presenti”. (66 ss.; in partic. 78, 79, 80, 81). Proprio sulla base della
adozione di tale impostazione di teoria generale ha di recente affrontato il
tema della presupposizione nel diritto amministrativo il lucido studio di Dettori S., Il rapporto di
presupposizione tra atti nel diritto amministrativo, Università
degli Studi di Foggia, Tesi dottorale, 2002-2003, tra breve in edizione
monografica, al quale si rinvia senz’altro il lettore per l’esame
dell’intera problematica.
[118] Le critiche
all’operazione amministrativa (o, secondo la terminologia utilizzata
sovente dal Sandulli, al procedimento inteso come “figura
sostanziale”) percorrono l’intera opera dell’autore: cfr.
tuttavia, in particolare, pp. 6, 16, 17, 24 ss., 32, 33, 41 ss., 53, 56, 57,
77, 78, 81, 84, 97 ss., 113, 114.
[119] Si mutua
l’espressione dal noto volume Orsi
Battaglini A. (a cura di), La necessaria discontinuità,
Bologna, 1990.
[120] Così Sandulli A.M., Il procedimento,
cit., 31, dopo aver affrescato nei seguenti tratti di penna il percorso della
dottrina italiana: “Partita dalla negazione della possibilità di
unificare i vari elementi giuridici, a causa della loro mancanza di
omogeneità, entro l’ambito dell’unico atto, […] la
dottrina, battendo una strada del tutto diversa, è pervenuta di nuovo
alla riunificazione di quegli stessi elementi nella sfera di una nozione
sostanziale unitaria, e talora di un solo atto giuridico”.
[121] Si rinvia pertanto a
quanto brevemente osservato in apertura del presente capitolo, e alle opere ivi
citate, alle quali si rinvia anche per ulteriori indicazioni bibliografiche.
[124] Cfr. in AA.VV., Aldo
Maria Sandulli (1915-1984): attualità del pensiero giuridico del Maestro,
Milano, 2004, passim.
[125]Il Forti è
l’autore maggiormente citato, e criticato, nell’opera del Sandulli:
ben 113 volte (cfr. l’Indice delle fonti letterarie, 429). Il
Sandulli, in alcuni passi centrali della sua opera, fa leva, anzi, proprio
sulle critiche alla figura dell’atto-procedimento proposta dal Forti (per
costruire il procedimento “in senso stretto”) per appoggiare e
rinforzare le critiche rivolte alle elaborazioni in tema di operazione
amministrativa. Il che trova spiegazione nel fatto che la preoccupazione che
stava alla base delle critiche rivolte dall’illustre autore alle teoriche
della operazione amministrativa era soprattutto quella di superare
definitivamente quelle proposte, ambigue e generiche, che della operazione
stessa offrivano una configurazione in termini di “procedimento come
figura sostanziale”, analoga a quella proposta dal Forti per la figura
(diversa e più ristretta) dell’atto-procedimento: il procedimento
non deve essere considerato – osserva espressamente il Sandulli –
“come la struttura sostanziale di un fenomeno”; esso, invece,
“è categoria che sta a rappresentare il procedere, …e
cioè lo svolgersi di un fenomeno verso la sua conclusione. Quindi vale a
designare non tanto la serie dei singoli fatti che nel corso di tale
svolgimento trovano la loro concretizzazione, …quanto piuttosto il modo
del loro susseguirsi… Quella del procedimento è dunque nozione formale
– nel senso in cui questo aggettivo si contrappone a sostanziale
– attinente all’aspetto dinamico di un fenomeno che si concreta
in più momenti nel tempo” (così Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 35-36).
[126] Cfr. supra, ove
ci si è già soffermati sull’accoglimento sandulliano delle
critiche rivolte dal Miele alla proposta del Forti (e in particolare: la
configurazione, proposta da quest’ultimo, del procedimento cd. esterno
quale procedimento “in senso ampio”).
[127] Il momento di
individuazione di ciascun procedimento è infatti fissato
dall’autore ne “l’effetto giuridico, in funzione del
quale esso si svolge”: dato che “ciascun effetto giuridico si
riporta a una determinata fattispecie” – osserva l’autore
– “ne discende che fine immediato di ogni svolgimento procedurale,
e quindi suo elemento di individuazione, sarà sempre quella specifica
fattispecie, alla quale l’ordinamento ricollega l’effetto che
nell’ipotesi che si esamini viene in considerazione”. Sulla base di
tale premessa, e ribadito il concetto della “relatività della
fattispecie”, il Sandulli aggiunge che “se l’elemento
individuatore di ciascun procedimento è l’effetto giuridico, e
quindi la fattispecie alla quale questo si riporta, risulta ben chiaro, in
stretta dipendenza della relatività di quest’ultima nozione, il
carattere relativo del concetto di procedimento”, cosicché, ogni
volta che si esamini “un certo procedimento, è imprescindibile la
necessità di tenere in evidenza la specifica fattispecie cui si ha
riguardo”. In tal modo, “se l’estensione del procedimento va
sempre determinata in funzione della fattispecie, ne risulta specificata la
nozione in modo più preciso …Infatti, solo su tale presupposto
può dirsi che dalla nozione venga eliminata quella nota di empirismo,
che generalmente la inficia, quando la si accolga nel senso vago e
indeterminato, in cui la si suole impiegare. Quale che possa essere la sua
ampiezza – e questa varia in relazione all’importanza della
fattispecie cui ci si riferisce –, la natura, i caratteri, e la funzione
del procedimento sono sempre gli stessi. Onde appare dunque improprio voler
vedere… una distinzione tra un concetto più ampio e uno più
ristretto del procedimento, a seconda della proporzione del risultato cui si
mira, e cioè a seconda che si tratti del procedimento che si svolge in
funzione del risultato più vasto, verso il quale sia coordinata
un’ampia serie di elementi o solo del procedimento che si svolga in
funzione della concretizzazione di uno qualsiasi degli elementi che nel primo
dovranno inquadrarsi… Se anche apparentemente una disparità
può esistere, in quanto il sistema, in genere, non può prendere
il secondo ad oggetto della sua immediata considerazione in relazione al
problema della impugnabilità, … ciò non dipende affatto da
una diversa natura dell’uno rispetto all’altro … Si tratta
invece di una conseguenza che discende esclusivamente dal fatto che, ai fini
del problema pratico – quello della impugnabilità – che qui
viene in questione il diritto prende in considerazione il secondo solo in
funzione dell’altro. E ciò unicamente perché non avrebbe un
interesse sufficiente all’impugnativa chi non fosse stato leso dal
risultato ultimo dell’intero svolgimento giuridico che si sta producendo.
Per modo che, se e in quanto alla nozione di procedimento si debba riconoscere
un valore giuridico, … questo sarà sempre il medesimo, qualunque
abbia a essere la sua estensione. Questa, infatti, … è sempre in
funzione della specifica fattispecie, alla quale di volta in volta ci si
riferisca”: così Sandulli
A.M., Il procedimento, cit., in partic. 41 e 42 (in nota 4). I noti
passi che precedono, centrali nella costruzione sandulliana, si sono riportati
anche per ricordare che il procedimento, nel pensiero di Sandulli “era
stato concepito… principalmente come passaggio necessario per la
eventuale reazione giurisdizionale avverso l’azione
dell’Amministrazione”. Anche se non è questa la ragione e la
funzione esclusiva che l’autore gli riconosce, è comunque
“il profilo dell’effetto, lesivo di una situazione giuridica
soggettiva, che individua l’atto considerato finale, appunto
perché impugnabile davanti al giudice amministrativo, e il correlato
insieme seriale” (così Schinaia
M.E., Aldo M. Sandulli, cit., 339; ma si tratta di un rilievo pacifico:
cfr., per tutti, Cardi E., Procedimento
amministrativo, in Enc. giur., vol. XXIV, Roma, aggiornamento
(1995); Villata R. - Sala G., Procedimento, cit.). Ai
nostri fini è utile sottolineare che la tesi della
inaccoglibilità di una nozione di procedimento costruita sulla falsariga
del “procedimento in senso ampio”, già presente nella
impostazione del Sandulli, risultò confermata dagli sviluppi teorici
successivi. Dal momento in cui la dottrina, con la maturazione della teoria del
provvedimento (Giannini M.S., Lezioni,
cit.), prese gradualmente, ma quasi inavvertitamente, a travasare i risultati
di tale elaborazione sul piano della teoria del procedimento, ravvisando nel
provvedimento stesso il punctum individuationis dei vari elementi del
procedimento, risultò rafforzata la impossibilità di configurare sul piano giuridico
una nozione volta a raccogliere più provvedimenti (e
procedimenti) autonomi e distinti, ordinati serialmente verso una unica
finalità pratica. Una volta ricondotto “il fenomeno procedimentale
nell’orbita della teoria del provvedimento amministrativo”, ed
individuato il “punctum unionis degli elementi del
procedimento” nel provvedimento, il cui “fondamento e carattere
distintivo… è il nesso funzionale di strumentalità ad una
esplicazione unitaria di potere verso la cura di un unico interesse pubblico,
nesso che lega i diversi momenti del procedimento”, ne consegue che, non
essendo ravvisabile, nel c.d. procedimento in senso ampio, una unitaria funzionalità
(giuridica) delle diverse manifestazioni di potere, diviene impossibile
“assumere tutte le attività coordinate in unità
giuridica”: il “coordinamento alla unica finalità pratica
resta, dal punto di vista giuridico, un dato contingente ed estrinseco ai
singoli elementi (provvedimenti) che compongono la catena del procedimento in
senso lato”: così Graziosi
B., Note, cit., 505.
[128] Cardi E., Procedimento amministrativo, in Enc.
giur., vol. XXIV, Roma, aggiornamento (1995), 2.
[129] Il riferimento è
agli spunti, già richiamati, di Scoca
F.G., Attività, cit. Le esigenze che stanno alla base della
proposta dell’autore, tuttavia, sono avvertite e condivise da gran parte
della dottrina amministrativistica.
[131] Basti richiamare,
nell’ambito della ormai amplissima produzione in materia, stimolata
notevolmente dalle riforme del Titolo Quinto della parte seconda della
Costituzione, il recente e lucido saggio di Berti
G., Sussidiarietà e organizzazione dinamica, cit., 171. Per un
quadro chiaro in tema di organizzazione amministrativa cfr. le trattazioni di Scoca F.G., La pubblica
amministrazione come organizzazione, in Diritto amministrativo (a
cura di Mazzarolli L., Pericu G., Romano
A., Roversi Monaco F.A, Scoca F.G.), Bologna, 2005, vol. I, 283 ss. e Di Gaspare G., voce Organizzazione
amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. X, Torino, 1995, 513 e
ss. Dello stesso autore cfr. anche Id.,
Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992; e Id., Miti e paradossi della riforma amministrativa tra
simmetria informativa e indirizzo politico amministrativo. Verso un nuovo
modello neocavouriano di amministrazione pubblica?, in Dir. pubbl.,
2001, 653 ss. Sui profili indicati nel testo è utile consultare anche Benvenuti F., L’impatto del
procedimento nell’organizzazione e nell’ordinamento (quasi una
conclusione autobiografica), in Le ragioni del diritto, Scritti in onore
di Luigi Mengoni, III, Milano, 1995, 1723 e ss.; Spasiano M., Spunti di riflessione in ordine al rapporto
tra organizzazione pubblica e principio di legalità: la “regola
del caso”, in Dir. amm., 2000, 131 e ss.; Longobardi N., Sulle implicazioni
tra organizzazione ed attività amministrativa, Intervento
all’Incontro dell’associazione dei docenti di diritto
amministrativo San Giustino, sul tema “A dieci anni dalla L.
241/90”, Chia, 16 giugno 2001. Notevoli anticipazioni già in Marongiu G., Il coordinamento come
principio politico di organizzazione della complessità sociale, in Amato G. - Marongiu G. (a cura di),
L’amministrazione della società complessa. In ricordo di Vittorio
Bachelet, Bologna, 1982, 141 e ss.
[132] Così Scoca F.G., Il coordinamento e la
comparazione degli interessi nel procedimento amministrativo, in Studi
in onore di G. Abbamonte, Napoli, vol. II, 1999, 1261 ss. Per ulteriori
spunti cfr. Id., La
discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva,
in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1045 e ss.
[133] Le premesse del
percorso evolutivo battuto dalla recente dottrina vanno rintracciate, in
particolare, nei risultati cui pervenne la dottrina negli anni sessanta
allorché mise a fuoco il collegamento degli istituti che ritraggono
giuridicamente il processo decisionale amministrativo: la
discrezionalità, il procedimento, la funzione (basti richiamare Piras A., voce Discrezionalità
amministrativa, in Enc. dir., vol. VIII, Milano, 1964, 65 ss.). La
dottrina più recente ha dedicato grande attenzione allo studio della
attività amministrativa assumendo la prospettiva del procedimento quale
processo (o campo o arena) “decisionale”: cfr. Cardi E., La manifestazione degli
interessi, cit.; Ledda F., L’attività
amministrativa, in Il diritto amministrativo degli anni Ottanta,
Milano, 1987, 83; Ledda F., Problema
amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir. amm., 1993,
133 ss.; Scoca F.G., La teoria
del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir.
amm., 1995, 1 e ss.; Zito A.,
Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo,
Milano, 1996; Bombardelli M., Decisioni
e pubblica amministrazione. La determinazione procedimentale
dell’interesse pubblico, Torino, 1996; Police A., La predeterminazione delle decisioni
amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere
discrezionale, Napoli, 1997; Scoca
F.G., Analisi giuridica, cit.; Cassese
S., L’arena pubblica, cit.; Cognetti
S., “Quantità” e “qualità” della
partecipazione, Milano, 2000; D’Orsogna
M., Programmazione strategica e attività decisionale della pubblica amministrazione,
Torino, 2001; D’Orsogna D.,
Conferenza di servizi e amministrazione della complessità,
Torino, 2002; Scognamiglio A., Il
diritto di difesa nel procedimento amministrativo, Milano, 2004.
[136] Pareri, quindi, che non
servono a interpretare disposizioni o a valutare fatti, ma che servono ad
introdurre interessi o punti di vista di altre Amministrazioni.
[137] Id., op. ult. cit.
[138] Giannini M.S., Il potere discrezionale, cit.
[140] Così Scoca, Il coordinamento, cit.,
1263, 1265, il quale rammenta come l’emergere della doverosità
dell’azione amministrativa, e tutte le conseguenze che scaturirono da
questa caratteristica fondamentale, attengono a questa differente valutazione
delle relazioni reciproche tra potere e interesse: sull’intera
problematica cfr. ampiamente Scoca
F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971; Ledda F., Il rifiuto, cit.
[143] La concezione
sostanziale o funzionale si deve principalmente agli studi di Feliciano
Benvenuti, Massimo Severo Giannini e Mario Nigro.
[145] Cfr. Scoca F.G., Analisi giuridica,
cit.; Id., Attività
amministrativa, cit.; Sia consentito richiamare, inoltre, D’Orsogna D., Conferenza di
servizi e amministrazione della complessità, cit. e Id., Una terapia sistemico
relazionale, cit., passim.
[146] Cfr. ampiamente Ost F. - van de Kerchove M., De la piramide au reseau? Pour une
théorie dialectique du droit, Bruxelles, 2002, la tesi fondamentale
dei quali è che “dalla crisi del modello piramidale… emerge
progressivamente un paradigma concorrente, quello del diritto in rete,
nell’ambito del quale restano tuttavia dei residui importanti del
primo”, circostanza questa “che non manca di complessificare
ulteriormente la situazione…”. Gli autori sottolineano il
“pericolo di sottostimare le sopravvivenze, talvolta considerevoli
(così come i ritorni comunque possibili) del modello anteriore”.
Troppo spesso “non ci si interroga troppo… sulla sparizione dei
valori (comunque) positivi associati al modello piramidale”: una scienza
del diritto critica, dinanzi alla crisi o alla problematizzazione dei paradigmi
tradizionali, “dovrebbe tentare di formulare un nuovo quadro teorico,
più inglobante dell’antico, suscettibile alla volta di rendere
conto delle sopravvivenze del modello precedente, delle ragioni delle sue
numerosi trasformazioni e delle forme inedite che esse rivestono”
(15-17). Degli stessi autori è utile richiamare anche l’opera,
disponibile in edizione italiana, Il diritto ovvero i paradossi del gioco,
Milano, 1995 (titolo originale: Le droit ou le paradoxes du jeu, PUF,
Paris, 1992), in cui è contenuta una efficace messa a problema di quella
“rappresentazione… ricorrente del diritto consegnataci dalla
tradizione, largamente veicolata sia dalla dogmatica giuridica che dalla
filosofia del diritto, ed oggi ampiamente condivisa dai sociologi,
…segnata da un ideale di linearità, …univocità e
semplicità della razionalità”, in cui “il diritto
viene inoltre associato ad un modo di ordine gerarchizzato, nel quale la
diversità degli organi, delle norme e dei sistemi non è
concepibile altro che sotto forma di rigorosa subordinazione degli uni rispetto
agli altri”. Gli autori ritengono che vi siano oggi “delle buone
ragioni per pensare che questa idea di semplicità non sia in grado di
dar conto in profondità della realtà giuridica e che debba
lasciare il passo ad un’altra idea di complessità” (IX e
90). Al tentativo di mettere a punto tale idea i due autori hanno dedicato
numerosissimi lavori: complete indicazioni bibliografiche sono contenute nel
primo dei due volumi qui segnalati.
[147] Nell’ambito delle
teoria generale dell’organizzazione, del resto, si afferma espressamente
che “l’organizzazione è un fenomeno complesso, perché
intrinsecamente contraddittorio”; essa “ha una natura duale:
è – concettualmente, fisicamente, spesso giuridicamente, “una”
– ma è anche molteplice, fatta di elementi numerosi e diversi,
ciascuno con una propria identità costitutiva originaria. Ciò
comporta che al suo interno si sviluppino dinamiche centripete, tendenti a
rispondere alle esigenze di unitarietà mettendo in campo forze e
strumenti volti a coordinare, controllare, integrare i contributi e le
prestazioni dei diversi elementi in una logica, appunto, unitaria. Ma al tempo
stesso, e contraddittoriamente, quegli stessi elementi esercitano spinte
centrifughe, nel tentativo di affermare la propria identità e di vedere
riconosciute le proprie peculiarità” (così Romei P., L’organizzazione
come trama, Padova, 2000, 49). Queste forze, contrapposte ma compresenti,
configurano l’organizzazione come “unitas multiplex”
(così Morin E., La
méthode. La nature de la nature, Paris, 1977; tr. it. Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione., Milano, 1983), segnata
da una contraddizione strutturale, costitutiva, tra l’esigenza di
coordinamento e di riconduzione all’unitarietà propria
dell’organizzazione come tale, che si traduce nell’imposizione di
regole vincolanti, e le opposte esigenza di divergenza dei singoli elementi
costitutivi, che si traducono nella richiesta di spazi di autonomia. Cfr. anche Lawrence P.R. - Lorsch
J.W., Organization and Environment. Managing Differentiation
and Integration, Harvard University Press,
[148] L’esigenza
è avvertita di recente anche da Dettori
S., La conferenza di servizi come regola di coordinamento dell’azione
amministrativa: spunti ricostruttivi, in Tar, 2002, 107 ss., il
quale ha proposto, tuttavia, un “allargamento” della nozione
tradizionale di procedimento.
[149] 148Un auspicio
a rompere lo “schema della decisionalità solitaria” si trova
già in Marongiu: cfr. Marongiu
G., Il coordinamento come principio politico di organizzazione della
complessità sociale, 141 ss., in Amato
G. - Marongiu G. (a cura di), L’amministrazione
della società complessa, cit., 143, ripreso da Bombardelli M., Decisioni, cit.,
passim.
[150] Scoca F.G., Il coordinamento, cit.
[151] Così Scoca F.G., Analisi giuridica,
cit. Cfr. altresì Comporti
G., Conferenze, cit., 239, il quale ha rilevato che “la centralità
assunta dall’ottica del risultato nella ricostruzione dei fenomeni
amministrativi” porta ad emersione “il principio della
(tendenzialmente) necessaria corrispondenza tra unitarietà della vicenda
concreta da governare ed unitarietà della sede di formazione della
relativa disciplina amministrativa”; circostanza questa che “induce
a guardare al procedimento non più come ad una sequenza che si
giustifica in relazione al proprio esito provvedimentale, e che quindi ha come
unità di misura l’interesse o gli interessi pubblici
“dati” dall’ordinamento, ma come strumento di definizione di
una coerente disciplina che consenta la “produzione di utilità
reali””. Nello stesso senso cfr., ex multis: Torchia L., Tendenze recenti della
semplificazione amministrativa, in Dir. amm., 1998, 385 ss.; Villata R. - Sala G., Procedimento amministrativo, in Dig. disc.
pubbl., vol. XI, Torino
[152] Ledda F., Il problema amministrativo, cit.; Scoca F.G., Attività,
cit.; Ferrara A., Procedimento
amministrativo, cit.; Zito
A., Le pretese, cit., il quale si richiama al concetto di ragionevolezza,
sul quale cfr., tra gli innumerevoli studi disponibili, Mac Cormick N., On reasonableness, in Les notions
a` contenu variable en droit, a cura di C.
Perelman e R. Van der Elst,
Bruxelles, Bruylant, 1984, 131 ss.; Fletcher
G.P., The right and the reasonable, in Harv. Law Rev., 1985, vol.
98, 949 ss. Sull’evoluzione del principio di ragionevolezza nel diritto
costituzionale si v., tra gli altri, Lavagna
C., Ragionevolezza e legittimità costituzionale, in Studi in
memoria di Carlo Esposito, Milano, Giuffrè, 1973, 1673 ss.; Sandulli A.M., Il principio di
ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, in Dir. soc.,
1975, 574 ss.; Zagrebelsky G., La
giustizia costituzionale, Padova, 1988, 147 ss.; Barile P., Il principio di ragionevolezza nella
giurisprudenza della Corte costituzionale, in AA.VV., Il principio di
ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Profili
comparatistici, Milano, 1994, 21 ss.; Scaccia
G., Gli strumenti della ragionevolezza nel giudizio costituzionale,
Milano, 2000. Sulla ragionevolezza dell’azione amministrativa cfr., tra
gli altri, Merusi F., L’affidamento
del cittadino, Milano, 1970; Ledda
F., L’attività amministrativa, cit. Tra i contributi
recenti, si cfr. Sala G., Potere
amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993; Vipiana P.M., Introduzione allo
studio del principio di ragionevolezza nel diritto pubblico, Padova, 1993; Morbidelli G., Il procedimento
amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, cit., 560 ss.
[153] Monod J., Le hasard
et la nécessité, Seuil, Paris, 1970, 187-188 (tr. it. Il caso e la
necessità, Milano, 1976, 136).
[155] Il garbage can model
è oggetto del noto studio di Cohen
M.D., March J.C, Olsen J.P., Un modello di scelta
organizzativa a “cestino dei rifiuti”, in March J.C. (a cura di), Decisioni e
organizzazioni, Bologna, 1993, 287 ss. (il titolo della edizione originale
è Decisions and organizations, Basil Balckwell Ltd., Oxford,
1988).
[156] Morin E., Introduction à la pensée complexe,
1990 (trad. it. di Monica Carboni, Introduzione al pensiero complesso,
Milano, Sperling § Kupfer, 1993); van
de Kerchove M. - Ost F., Il
diritto ovvero i paradossi del gioco, cit. Cfr.
altresì Burdeau F., La
complexité n’est-elle pas inhérent au droit administratif?,
in Université de Paris, Clefs pour le siècle, Paris, 1999,
417.