N. 4 – 2005 – Contributi

 

Il passaggio marittimo fra codice della navigazione, convenzioni non ratificate e prospettive comunitarie*

 

Michele M. Comenale Pinto

Università di Sassari

 

 

Sommario: 1. La limitata attenzione della letteratura giuridica verso il contratto di passaggio. – 2. Formazione tardiva di un quadro di diritto uniforme. – 3. Riflessi della disciplina sulla sicurezza sull’assetto dei rapporti privatistici. – 4. Ambito di applicazione della Convenzione di Atene del 1974. – 5. Ragioni dell’atteggiamento italiano in ordine alla ratifica della Convenzione di Atene. – 5.1.  Il regime della responsabilità vettoriale nel testo originario della Convenzione di Atene. – 5.2. Il regime della responsabilità vettoriale nel testo della Convenzione di Atene emendato dal Protocollo del 2002. – 5.3. Comparazione con la disciplina del codice della navigazione (a proposito dell’imputazione). – 5.4. Comparazione con la disciplina del codice della navigazione (a proposito della limitazione). – 5.4.1. I parametri per la legittimità costituzionale dei limiti risarcitori per i danni alle persone. – 5.4.2. La limitazione del debito armatoriale come fattore che può incidere negativamente sulle aspettative di risarcimento. – 5.5. Bagagli e veicoli al seguito. – 5.6. Prospettive de jure condendo.

 

 

1. – La limitata attenzione della letteratura giuridica verso il contratto di passaggio

 

Il contratto di trasporto di persone per via d’acqua (c.d. contratto di passaggio)[1], nonostante la sua perdurante importanza nella realtà economica, in particolare italiana, pur dando luogo ad una serie di problemi di non scarso rilievo, non è riuscito a catalizzare nella letteratura giuridica un interesse comparabile a quello che ha suscitato il trasporto aereo di persone[2]. Anche in confronto alla produzione scientifica sul trasporto marittimo di cose[3], quella sul trasporto marittimo di persone non è particolarmente ampia: il rilievo attribuito nell’ambito di trattati e manuali è oltremodo ridotto, se non nullo[4]; i soli contributi monografici specifici risalgono al periodo antecedente la codificazione del diritto della navigazione[5] e si riferiscono ad una situazione che non è più quella attuale, non soltanto sotto il profilo delle fonti normative vigenti applicabili[6], ma anche dal punto di vista dell’organizzazione dei traffici e del contesto economico e sociale che induce i passeggeri alla domanda di trasporto.

La limitata attenzione nel passato di legislatore e dottrina per il trasporto marittimo di passeggeri, è stata ricondotta alla circostanza che un’«industria vera e propria di traffici marittimi» che lo avesse ad oggetto non si sarebbe «mai venuta a creare»[7]: l’imbarco di passeggeri sarebbe stato un’attività secondaria ed eventuale rispetto al trasporto di merci sulla maggior parte delle navi [8]. Anche ammesso che una tale ricostruzione abbia un suo fondamento storico, non trova corrispondenza nella odierna realtà economica[9].

Sembra invero più aderente alla realtà la considerazione che, anche nei periodi storici passati in cui il trasporto marittimo di passeggeri ha avuto una sua diffusione, se non altro perché la fruizione del servizio di trasporto restava tendenzialmente una vicenda occasionale nella vita delle persone trasportate, non è emerso un ceto di viaggiatori per mare che potesse contrapporre i propri interessi a quelli dell’industria marittima, diversamente da quanto è accaduto con i caricatori, le cui resistenze alle clausole di irresponsabilità che i vettori marittimi tendevano ad imporre nelle loro polizze di carico, indusse all’adozione di una normativa inderogabile per tali tipologie di trasporto[10].

Rispetto alla situazione dei traffici che avevano di fronte i compilatori del codice della navigazione del 1942, si è ormai esaurita la fase storica dei servizi oceanici di linea, soppiantati dai servizi aerei, che hanno peraltro assunto le caratteristiche di trasporto di massa; viceversa, permane, ed è anzi aumentato considerevolmente il rilievo dei servizi di traghetto, in particolare per i collegamenti con le isole [11], in un quadro in cui, in ambito comunitario, sono venute definitivamente meno le riserve di cabotaggio, in conseguenza dell’entrata in vigore del (CEE) n. 3577/92 del 7 dicembre 1992 (e si avverte quindi anche l’esigenza di non attribuire ad alcuno dei soggetti che competono sul mercato condizioni di vantaggio alla stregua di regimi di responsabilità più favorevoli che si possano tradurre quantomeno in minori costi assicurativi)[12]. Considerevole diffusione rispetto al passato hanno attualmente i contratti di crociera turistica, che, pur presupponendo l’impiego di una nave con adeguate caratteristiche, ed implicando un trasferimento sull’acqua, non si esauriscono in ciò[13]: tuttavia, al trasporto per acqua (come agli altri singoli elementi costitutivi della fattispecie) si applicherà la disciplina propria del corrispondente contratto tipico[14].

 

 

2. – Formazione tardiva di un quadro di diritto uniforme

 

Il quadro socio-economico descritto, che vedeva l’assoluta preminenza dei vettori, sembra dar sufficientemente conto delle ragioni della tardività dell’adozione di convenzioni internazionali sul trasporto marittimo di passeggeri, pur non essendo mancata del tutto un’attenzione al problema da parte degli organismi che hanno dato impulso al diritto uniforme nel campo marittimo già anteriormente alla seconda guerra mondiale[15]. Un tale risultato è stato raggiunto soltanto quando ormai era vicina ad esaurirsi la fase dei grandi collegamenti oceanici, con la Convenzione di Bruxelles del 29 aprile 1961 sul trasporto di passeggeri, che peraltro ottenne un numero di ratifiche e di adesioni piuttosto limitato; la successiva Convenzione di Bruxelles del 27 maggio 1967 sul trasporto di bagagli, non riuscì nemmeno a raggiungere le ratifiche ed adesioni necessarie ad entrare in vigore a livello internazionale. Maggior successo (non comparabile, tuttavia, a quello degli altri strumenti di diritto uniforme in materia di trasporto marittimo di merci e di trasporto aereo) ha ottenuto, viceversa, la Convenzione di Atene del 13 dicembre 1974, la cui ratifica (ad oggi non effettuata dall’Italia), con quella dei suoi protocolli di emendamento, si prospetta come verosimilmente ormai prossima per la Comunità europea[16] e per tutti gli Stati membri[17]. Dal raffronto con gli altri strumenti di diritto uniforme in materia di trasporto emerge altresì il rilievo che, diversamente che in questi ultimi (e anche dal codice della navigazione: cfr. art. 396-398), nelle convenzioni sul trasporto marittimo di passeggeri non viene apprestata una disciplina della documentazione del contratto[18], ancorché l’emissione del biglietto sia stata sempre considerata come il più  importante strumento di informazione del passeggero e di salvaguardia dei suoi diritti[19]. Nella Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 sull’unificazione di alcune regole in materia di trasporto aereo, il rilascio del biglietto (come degli altri documenti da essa previsti, per il trasporto di merci e bagagli) non costituiva una forma ad substantiam per la conclusione del contratto di trasporto; tuttavia, dall’omessa od irregolare emissione derivava la sanzione della decadenza del vettore dalla prova liberatoria e dal beneficio della limitazione risarcitoria (art. 3, § 2; art. 4, § 4; art. 9 della Convenzione di Varsavia, per quanto concerne l'assenza o l'irregolarità, rispettivamente, del biglietto di passaggio, del bollettino per il bagaglio, della lettera di trasporto aereo) di cui il vettore poteva in via normale avvalersi. Può dirsi, sulla scia di autorevole dottrina, che, nella disciplina della Convenzione di Varsavia, «in sostanza le norme in materia di biglietto e bollettino si rivelano essenzialmente dettate in funzione della responsabilità del vettore»[20]. Il Protocollo di emendamento dell’Aja del 28 settembre 1955 inserì come ipotesi specifica di decadenza del vettore dal beneficio della limitazione l’omissione nel documento di trasporto di un ravviso circa l'applicabilità del regime di diritto uniforme e dei limiti di risarcimento previsti (art. 3, § 2 e art. 4, § 2 della Convenzione di Varsavia, come emendati, rispettivamente dagli art. III e IV del Protocollo dell'Aja del 1955), facendo così un'apertura al problema di offrire all'utente del trasporto un'effettiva possibilità di avere conoscenza del regime di responsabilità applicabile ed eventualmente di rendere (per i bagagli) una dichiarazione di valore, ovvero di far ricorso allo strumento assicurativo. Anche sulla base del testo non emendato della Convenzione di Varsavia, nella giurisprudenza statunitense si escluse l'applicabilità dei limiti, lì dove le condizioni di trasporto fossero state richiamate nel biglietto in caratteri così piccoli da risultare inintelligibili[21], con un orientamento rispetto al quale sembra però essersi registrato un radicale mutamento di rotta, in chiave più restrittiva[22].

Nel campo del trasporto marittimo di passeggeri, tuttavia, la giurisprudenza statunitense continua ad escludere l’applicabilità di limiti risarcitori che siano introdotti nel regolamento contrattuale soltanto attraverso un richiamo alla Convenzione di Atene (che peraltro non è stata ratificata dagli Stati Uniti) nelle condizioni di trasporto riportate sul biglietto[23]. Ancorché possano determinare un aggravio per il passeggero, e costituiscano certamente un disincentivo alla tutela giurisdizionale dei suoi diritti, l'orientamento assunto invece dalla giurisprudenza statunitense circa le clausole di attribuzione della competenza ad un determinato foro, od anche ad una giurisdizione estera, è nel senso di affermarne in linea di principio l'efficacia, nella misura in cui il relativo avviso fosse riportato nell'estratto delle condizioni di trasporto, in maniera da offrirne adeguata notizia al passeggero[24]. Anche per quanto concerne le clausole di rinvio ad un ordinamento straniero per la disciplina degli aspetti sostanziali del rapporto, può registrarsi un generale atteggiamento delle Corti statunitensi a ritenerne l'efficacia, salvo che il passeggero non ne dimostri l'irragionevolezza[25]

È peraltro da evidenziare come l’importanza del biglietto sia stata ampiamente ridimensionata anche per il trasporto aereo con la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, che ha esteso (art. 3) anche al trasporto di persone la possibilità di avvalersi di supporti non cartacei (analogamente a quanto aveva già operato sulla Convenzione di Varsavia il IV Protocollo di Montreal del 25 settembre 1975 per le merci[26], seguendo, del resto, la linea che era stata già tracciata dall'art. II del mai entrato in vigore Protocollo di Guatemala City dell'8 marzo 1971[27]),  consentendo così il ricorso al biglietto elettronico, anche per i trasporti internazionali che ricadono nel regime di diritto uniforme[28].

Soltanto nell’art. 1, lett. e, della Convenzione di Bruxelles del 1961 è possibile reperire un riferimento, peraltro del tutto incidentale, al biglietto, che in realtà riguarda il corrispettivo del passaggio (nel senso che include nell’ambito del trasporto disciplinato dalla Convenzione anche le operazioni di imbarco a mezzo di battello fra il molo e la nave, se il corrispettivo è compreso «dans celui du billet»).

 

 

3. – Riflessi della disciplina sulla sicurezza sull’assetto dei rapporti privatistici

 

Occorre certamente dare atto che, rispetto alle altre ipotesi menzionate, il trasporto marittimo di passeggeri è caratterizzato da una minore sovrapposizione di fonti normative[29]: in particolare, non avendo l’Italia ratificato fino a questo momento alcuno strumento di diritto uniforme in tale materia e non essendosi ancora concretizzata la prospettiva di un intervento comunitario[30], i profili privatistici del trasporto marittimo di passeggeri in Italia restano assoggettati alle norme di produzione interna, a partire da quelle dettate dal codice della navigazione (che detta la disciplina specifica in materia nell’ambito del libro III, al titolo I, Capo III, Sezione I, dall’art. 396 all’art. 418). Fino a questo momento, per quanto concerne i trasporti marittimi di persone, le prospettive di intervento comunitario non si sono concretizzate per quanto concerne la regolamentazione dei rapporti fra vettori e passeggeri, mentre hanno avuto seguito effettivo nel campo della sicurezza, sia sotto il profilo della security[31]  sia sotto quello della safety[32]. Pur non potendosi individuare la sua ratio nel fine di regolare gli assetti negoziali fra le parti, non sembra completamente neutrale rispetto ad essi la direttiva 98/41/CE del 18 giugno 1998, relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti degli Stati membri della Comunità[33], alla cui adozione si è pervenuti (in coerenza con i principi capitolo III della Convenzione di Londra del 1° aprile 1974 per la salvaguardia della vita umana in mare, c.d. convenzione SOLAS) alla stregua della considerazione della necessità di «garantire che il numero di persone a bordo delle navi da passeggeri non superi il numero di passeggeri che la nave è autorizzata a trasportare o per cui sono omologati i suoi dispositivi di sicurezza» e che «le società di navigazione dovrebbero essere in grado di comunicare ai servizi di ricerca e salvataggio il numero delle persone implicate in un incidente» (considerando 3), e della necessità, altresì, di «raccogliere informazioni sui passeggeri e sui membri dell'equipaggio per facilitare la ricerca, il salvataggio e l'efficiente trattamento delle conseguenze di un incidente, vale a dire l'identificazione delle persone implicate, una maggiore chiarezza sulle relative questioni giuridiche e un contributo al miglioramento delle cure mediche delle persone tratte in salvo» (considerando 4). L’art. 4 di tale direttiva prevede l’obbligo del conteggio e comunicazione a terra del numero dei passeggeri prima della partenza[34]; l’art. 5 prevede la rilevazione e comunicazione a terra dei dati di identificazione dei passeggeri (cognome; nome o iniziale; sesso; categoria d'età oppure età o anno di nascita; cure e assistenza speciali in caso di emergenza, se richiesto dal passeggero) per i viaggi di distanza superiore a venti miglia[35], la cui raccolta presuppone la cooperazione del passeggero, al fine di consentire e facilitare la propria identificazione. Sotto altro profilo l’esigenza della preventiva identificazione dei passeggeri da parte del vettore sembra implicare una compressione della possibilità di cessione del diritto al trasporto (al di là dell’ipotesi contemplata dall’art. 398 c. nav. dell’emissione di biglietti nominativi[36], che potrebbe comunque costituire una modalità di documentazione del contratto idonea a favorire la raccolta dei dati in questione) e dell’imbarco senza biglietto, previsto dall’art. 399 c. nav.

 

 

4. – Ambito di applicazione della Convenzione di Atene del 1974

 

Va incidentalmente osservato, che, se anche l’Italia avesse ratificato le convenzioni di diritto uniforme in materia di trasporto di passeggeri, sarebbe in ogni caso ridotto il loro rilievo sulla tipologia dei collegamenti marittimi che interessano i porti italiani. In particolare, riferendosi alla Convenzione di Atene del 1974, che è la sola, fra quelle menzionate, ad aver ottenuto un discreto successo di ratifiche, anche nel testo risultante dagli ultimi protocolli di emendamento, deve puntualizzarsi che anch’essa[37] è chiamata a disciplinare ex proprio vigore soltanto quei trasporti che presentino gli elementi dell’internazionalità, come definita dall’art. 1, § 9, della Convenzione stessa[38], con soluzione influenzata dall’art. 1 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 (ed analoga a quella seguita dall’art. 1 della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999) [39], e che presentino gli ulteriori requisiti previsti dall’art. 2, § 1: «a) the ship is flying the flag of or is registered in a State Party to this Convention, or b) the contract of carriage has been made in a State Party to this Convention, or c) the place of departure or destination, according to the contract of carriage, is in a State Party to this Convention»[40]. Va puntualizzato che, nel ratificare la Convenzione di Atene, ai sensi del suo art. 22, ciascuno Stato potrebbe sottrarre al regime legale da essa introdotto quei rapporti in cui non sussista estraneità rispetto all’ordinamento in quanto «the passenger and the carrier are subjects or nationals of that Party».

Tale disciplina non è così destinata di per sé ad incidere, quand’anche intervenisse la ratifica italiana, su quel segmento dei collegamenti fra i porti della Penisola e Sicilia o Sardegna che ha assunto, nell’odierno assetto dei traffici marittimi di persone, un rilievo assolutamente preminente.

 

 

5. – Ragioni dell’atteggiamento italiano in ordine alla ratifica della Convenzione di Atene
 
5.1. – Il regime della responsabilità vettoriale nel testo originario della Convenzione di Atene

 

Si tende ad individuare la ragione della mancata ratifica italiana della Convenzione di Atene con una valutazione circa l’eccesso favore che questa accorderebbe alla posizione del vettore, sia sotto il profilo dell’imputazione della responsabilità, che della limitazione risarcitoria[41]; il solo aspetto in cui, secondo l’opinione riferita, sarebbe possibile riconoscere al regime di diritto uniforme un favore per il passeggero rispetto al regime di diritto interno, è quello dell’estensione dell’ambito dei soggetti contro i quali è ammessa la sua azione anche ai vettori di fatto[42].

L'ambito del danno risarcibile ha una definizione espressa soltanto per quanto concerne la perdita o danni ai bagagli, che, ai sensi dell'art. 1, § 7, comprende anche il ritardo, ma con esclusione esplicita di quello derivante dai conflitti di lavoro. Per quanto concerne i danni alla persona del passeggero, la Convenzione contempla (all'art. 3) il regime del risarcimento dei danni conseguenti a «death or personal injury» (che, nel testo francese, corrisponde a «décès ou … lésions corporelles»), oltre che per la perdita dei bagagli, secondo la definizione dianzi riportata.

L'art. 14 contempla per tali categorie di danni una previsione di esclusività dell'azione, sull'esempio dell'art. 24 della Convenzione di Varsavia del 1929 (sulla scia seguita poi anche dall'art. 29 della Convenzione di Montreal del 1999). Deve osservarsi che (rispetto ad altri testi di diritto uniforme in materia di trasporto di persone), non è contemplato il danno da ritardo, viceversa previsto all'art. 408 c. nav., che accomuna l'ipotesi a quella della mancata esecuzione (attribuendo peraltro al vettore la stessa prova liberatoria della causa non imputabile che l'art. 409 c. nav. prevede in tema di danni alla persona del passeggero), e (per quanto concerne il ritardo alla partenza) dall’art. 404, u.c., c. nav., che fa ricadere sul vettore il risarcimento dei danni derivanti da causa a lui imputabile[43]. Peraltro la Convenzione non disciplina nemmeno le ipotesi di soppressione della partenza e di mutamento di itinerario previste dall’art. 403 c. nav.[44].

La ratifica della Convenzione di Atene potrebbe condurre a qualche dubbio circa la possibilità per i passeggeri di far valere la responsabilità per i danni da ritardo, e per quelli da soppressione della partenza e mutamento di itinerario, rispetto ad un trasporto che ricada nell’ambito di applicazione del diritto uniforme, in relazione alla ricordata previsione di esclusività dell’azione, di cui all’art. 14 della stessa Convenzione. Quest’ultima, però, riguarda i soli «damages for the death of or personal injury to a passenger, or for the loss of or damage to luggage»: mi sembra, conseguentemente, che sia da escludere un suo rilievo rispetto alle azioni del passeggero per i danni conseguenti a ritardo[45]. A fortiori, è da escludere una sua incidenza rispetto alle azioni per l’inesecuzione del trasporto (ambito coperto unitamente al ritardo nell’art. 408 c. nav.), tenuto conto dell’ambito di applicazione della Convenzione di Atene, come risulta dal suo art. 2, ancorato alla nozione di «carriage», come definita dall’art. 1, § 8, e quindi compreso (per quanto concerne i passeggeri) fra operazioni di imbarco ed operazioni di sbarco intese in senso stretto, con esclusione dei periodi di attesa nelle infrastrutture portuali[46].

Problemi più delicati sorgono in relazione all'individuazione dell'area del danno alla persona risarcibile.

La questione si pone, in particolare per i danni alla persona che non implichino lesioni fisiche. Al riguardo sembra utile un riferimento alle soluzioni che sono state prospettate con riferimento all'art. 17 della Convenzione di Varsavia (il cui solo testo ufficiale in lingua francese evoca l'ambito del danno risarcibile alla persona con una formula analoga a quella della Convenzione di Atene). Nella giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, si è esclusa la risarcibilità dei danni da «pure emotional distress», ovvero dei danni meramente psicologici che non fossero accompagnati da lesioni fisiche, sull'assunto che una diversa conclusione sul punto non sarebbe stata possibile alla stregua della nozione impiegata per definire l'ambito delle lesioni subite dai passeggeri[47]; attribuendo un rilievo invero eccessivo alla previsione dell'art. 24 della Convenzione di Varsavia, si è escluso che il vettore aereo, od i suoi dipendenti e preposti, potessero essere chiamati a rispondere di danni (anche meramente psicologici) sulla base di fatti diversi da quelli previsti come fonte di responsabilità dalla Convenzione, sull'assunto che si dovesse impedire al danneggiato di ottenere un risultato più favorevole, eludendo la disciplina di diritto uniforme[48], venendo però così (secondo quanto è stato esattamente segnalato[49]) ad ignorare che le convenzioni di diritto privato, ed in particolare le convenzioni in materia di trasporto, non contengono mai una disciplina esaustiva della materia su cui sono state dettate, ma richiedono di essere integrate alla stregua del diritto di formazione nazionale applicabile. In questo quadro di non assoluta certezza sulle corrispondenti previsioni di diritto aereo, sarebbe stato forse opportuno un chiarimento normativo della Convenzione di Atene, in particolare sul danno meramente psicologico, che, però, non è giunto nemmeno nel Protocollo del 2002 (così, come, in campo aeronautico, non è giunto con la Convenzione di Montreal del 1999)[50].

La comparazione con altri testi di diritto uniforme (e segnatamente con le convenzioni in materia di trasporto aereo: art. 17 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, nel suo testo originario[51], ed art. 17 della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999[52]), induce a rilevare che, diversamente da queste ultime, la responsabilità vettoriale non sembra circoscritta alle sole ipotesi di danno derivante da un incidente. Secondo l'opinione prevalente la nozione di «accident» cui è collegata l’imputazione di responsabilità del vettore di persone per i danni subiti dai passeggeri nella Convenzione di Varsavia del 1929, come nella Convenzione di Montreal del 1999, corrisponde un concetto più restrittivo di «fait» (termine, invece, adoperato dal Protocollo di Guatemala City), che richiama un evento inusuale od inatteso, ovvero di intensità inusuale od inattesa rispetto al volo[53].

Per quanto concerne i criteri di imputazione della responsabilità, nel suo impianto originario, la Convenzione di Atene del 13 dicembre 1974 faceva ricadere sul vettore la responsabilità per i danni derivanti da danno da morte e da lesioni  personali subite dal passeggero e da perdita o danni subiti dal bagaglio, che fossero derivati da un «incident» verificatosi «in the course of the carriage», in conseguenza di «fault or neglect of the carrier or of his servants or agents acting within the scope of their employment». All’art. 3, § 3, veniva posta una presunzione di colpa a carico del vettore solo in caso di difetto di navigabilità e in cinque ipotesi tratte dalla prassi assicurativa (naufragio, collisione, incendio, esplosione, arenamento)[54], che la letteratura in lingua francese suole indicare cumulativamente con la formula di «sinistre majeur», in contrapposizione a quelli che, viceversa, sono «accident individuel»[55]. Tale presunzione costituiva un’eccezione rispetto al principio generale affermato dall’art. 3, § 2, secondo in quale «The burden of proving that the incident which caused the loss or damage occurred in the course of the carriage, and the extent of the loss or damage, shall lie with the claimant». Sarebbe prevalso così, secondo quanto è stato sostenuto in dottrina, l’inquadramento extracontrattuale della responsabilità del vettore di persone, secondo l’impostazione accolta nei sistemi di common law[56].

Il limite risarcitorio per i danni conseguenti a morte o lesioni personali dei passeggeri era determinato dall’art. 7 della Convenzione di Atene del 1974, nel testo originario, in 700.000 franchi oro Poincaré. L’art. 8 determinava poi i limiti risarcitori per i bagagli non consegnati, per i veicoli al seguito dei passeggeri e per i bagagli non compresi nelle precedenti categorie (ovvero i bagagli consegnati), rispettivamente in 12.500 franchi oro Poincaré, 50.000 franchi oro Poincaré e 18.000 franchi oro Poincaré.

Tali limiti sono stati poi modificati dal Protocollo del 19 novembre 1976, che li determinava in diritti speciali di prelievo, fissandoli, rispettivamente, in 46.666 DSP per i danni alle persone; 833 DSP per i bagagli non consegnati; 3.333 DSP per i veicoli al seguito e 1200 DSP per i bagagli non compresi nelle precedenti categorie[57].

Il successivo mai entrato in vigore Protocollo del 29 marzo 1990 ha a sua volta determinato i limiti risarcitori in 175.000 DSP per i danni alle persone; 1800 DSP per i bagagli non consegnati; 10.000 DSP per i veicoli al seguito e 2700 DSP per i bagagli non compresi nelle precedenti categorie[58].

È stato osservato come la tardività delle prospettive di entrata in vigore, con le relative conseguenze sulla idoneità dei limiti fissati in ciascuno di essi a soddisfare le esigenze di risarcimento in ciascuno degli Stati interessati, abbia giocato un ruolo importante tra i fattori che hanno ostacolato il successo della Convenzione di Atene e dei suoi protocolli di emendamento antecedenti a quello del 2002[59].

Sulla scia di quanto è previsto in altri testi diritto uniforme, l’art. 13, § 1, della Convenzione di Atene del 1974 (non interessato dai Protocolli di emendamento), prevede la decadenza del vettore dal beneficio della limitazione, ove il danno risulti come conseguenza di un «act or omission of the carrier done with the intent to cause such damage, or recklessly and with knowledge that such damage would probably result». Ai sensi del § 2 del medesimo art. 13, la medesima decadenza opera specificamente nei confronti di dipendenti e preposti del vettore contrattuale o del vettore di fatto che abbiano tenuto analogo comportamento.

 

5.2. – Il regime della responsabilità vettoriale nel testo della Convenzione di Atene emendato dal Protocollo del 2002

 

Il regime di imputazione è stato uno dei profili su cui ha maggiormente inciso la novella introdotta con il Protocollo di emendamento di Londra del 1° novembre 2002 che ha introdotto una responsabilità vettoriale costruita su tre livelli, analogamente al sistema del doppio binario adottato, per il trasporto aereo di persone, dalla Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 e (a livello di diritto comunitario) dal regolamento (CE) n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997 sulla responsabilità del vettore aereo in caso di incidenti[60]. Si tratta indubbiamente di una soluzione di compromesso[61], così come, del resto, è accaduto, sia a livello di diritto comunitario che di diritto uniforme, per il trasporto aereo di passeggeri[62].

Il primo livello di responsabilità per i danni da morte e lesioni personali subite dai passeggeri opera per una serie di ipotesi che coincidono sostanzialmente (con l’aggiunta[63] del capovolgimento della nave) con gli eventi cui il testo originario della Convenzione, all’art. 3, § 2, come si è visto, collegava una semplice presunzione di colpa[64]. Da un punto di vista formale, nel Protocollo del 2002 tali ipotesi sono sintetizzate con la formula «shipping incident» dell’art. 3, § 1, e art. 3, § 2, della Convenzione di Atene nel testo emendato, esplicitata poi nell’art. 3, § 5, lett. a, con riferimento a «shipwreck, capsizing, collision or stranding of the ship, explosion or fire in the ship, or defect in the ship». La nozione di «defect in the ship», come ipotesi rilevante ai fini dell’integrazione dello shipping incident trova la sua definizione (con previsione che non ha corrispondenza nel testo originario della Convenzione) nella lett. c del già richiamato art. 3, § 5, come «any malfunction, failure or non-compliance with applicable safety regulations in respect of any part of the ship or its equipment when used for the escape, evacuation, embarkation and disembarkation of passengers, or when used for the propulsion, steering, safe navigation, mooring, anchoring, arriving at or leaving  berth or anchorage, or damage control after flooding; or when used for the launching of life saving appliances»[65].

Rispetto a tali ipotesi, il Protocollo del 2002 ha introdotto una ipotesi di responsabilità oggettiva, che opera fino alla concorrenza di un primo livello di limitazione risarcitoria, rispetto alla quale il vettore può liberarsi soltanto dando la prova della ricorrenza di una delle due tipologie di eventi anomali, descritti alle lettere a e b, del menzionato art. 3, § 1, ovvero, rispettivamente «act of war, hostilities, civil war, insurrection or a natural phenomenon of an exceptional, inevitable and irresistible character» (lett. a) e derivazione integrale da «act or omission done with the intent to cause the incident by a third party»[66]. Per i danni ulteriori (e fino al limite di 400.000 DSP), l’ultima parte dell’art. 3, § 1, della Convenzione, nel testo emendato, consente al vettore di dare la prova liberatoria della derivazione dell’incidente all’origine del danno in assenza di condotta a lui riconducibile in termini di «fault or neglect». Lo stesso regime è esteso dall’art. 3, § 3, alla responsabilità per i danni ai bagagli non consegnati («cabin luggage») che derivino da «shipping incident»; e dall’art. 3, § 4, comunque agli altri bagagli (senza evocazione dello «shipping incident»).

Per tutti i danni da morte e lesioni personali subite dai passeggeri che non derivino da «shipping incident», nei termini che si sono dianzi precisati, l’art. 3, § 2, fa invece ricadere sul danneggiato la prova dell’imputabilità al vettore.

A suo tempo, con riferimento al testo originario della Convenzione di Atene, si giustificava il più ristretto ambito di operatività della presunzione posta a carico del vettore rispetto alla corrispondente disciplina del vettore aereo e di quello ferroviario richiamandosi a quella libertà di movimento di cui il passeggero gode a bordo della nave, ma non sugli altri veicoli[67]; il medesimo ordine di considerazioni sembra aver prevalso anche nei lavori preparatori del Protocollo del 2002, nel confronto con la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 e della disciplina della responsabilità del vettore aereo di passeggeri, che pure, come si è visto, è stata accolta come modello a cui ispirare la novella introdotta con il Protocollo del 2002[68].

Il Protocollo del 2002 ha fortemente inciso anche sulla limitazione. In base all’art. 7 della Convenzione, come modificato dall’art. VI del Protocollo del 2002, il limite per i danni alle persone è elevato comunque (§ 1) a 400.000 DSP, salvo l’eventuale opzione del legislatore nazionale di operare deroghe in aumento, o persino l’esclusione del limite (§2). Per quanto concerne le altre limitazioni, l’art. VII del Protocollo del 2002 emenda l’art. 8 della Convenzione, prevedendo un limite di 2.250 DSP per i bagagli non consegnati; 12.700 DSP per i veicoli al seguito e 3.375 DSP per i bagagli non compresi nelle precedenti categorie[69].

Per quanto concerne l’ambito del danno risarcibile, la Convenzione di Atene nel testo emendato dal Protocollo del 2002, ha seguito l’esempio della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 anche nell’escludere i «punitive or exemplary damages» (art. 3, § 5, lett. d)[70].

 

5.3. – Comparazione con la disciplina del codice della navigazione (a proposito dell’imputazione)

 

Un esame comparato porta a rilevare che il testo di diritto uniforme, quanto meno nella sua versione originaria, sembra accordare un regime di imputazione della responsabilità più favorevole al vettore che nella disciplina del codice della navigazione (ai sensi del cui art. 409, «Il vettore è responsabile per i sinistri che colpiscono la persona del passeggero, dipendenti da fatti verificatisi dall'inizio dell'imbarco sino al compimento dello sbarco, se non prova che l'evento è derivato da causa a lui non imputabile»). In effetti, il legislatore del 1942 era convinto di aver introdotto per il trasporto marittimo di persone un regime di responsabilità particolarmente rigoroso sotto il profilo della prova, in particolare a confronto con quello applicabile al vettore terrestre, come del resto è espressamente affermato nella Relazione ministeriale al codice della navigazione[71], seguendo un’impostazione non del tutto pacifica in dottrina[72].

Sennonché, tanto con riferimento all’art. 409 c. nav., che all’art. 1681 c. civ., l’applicazione giurisprudenziale si rivela meno favorevole al passeggero di quanto vorrebbe la dottrina prevalente, in quanto segue la distinzione fra danni a causa del trasporto e danni in occasione del trasporto, elaborata sotto l’influsso della disciplina a suo tempo vigente in materia di trasporto ferroviario, che chiamava l’amministrazione a rispondere dei danni subiti dal viaggiatore in occasione di un’anormalità nell’esercizio ferroviario, salvo il caso fortuito o la forza maggiore[73].

Su tali basi, si fonda l’indirizzo giurisprudenziale che, per i danni in occasione del trasporto, fa gravare sul danneggiato la prova dell’anormalità del trasporto come fatto causativo del danno, consentendo al vettore di esonerarsi allegando di aver adottato le cautele necessarie per assicurare, secondo la normale diligenza, la incolumità del passeggero[74]. Non sembra improprio affermare che, per come è concretamente interpretato ed applicato dalla giurisprudenza, il regime di responsabilità del vettore marittimo di persone  previsto dal codice della navigazione, per quanto concerne i criteri di imputazione, non si discosta poi tanto dal regime della Convenzione di Atene[75].

 

5.4. – Comparazione con la disciplina del codice della navigazione (a proposito della limitazione)
5.4.1. – I parametri per la legittimità costituzionale dei limiti risarcitori per i danni alle persone

 

Nel codice della navigazione non è prevista alcuna specifica limitazione risarcitoria di cui il vettore possa avvalersi per i danni alle persone dei passeggeri; per di più, il limite previsto dalla Convenzione di Atene del 1974, è sembrato[76] non corrispondere ai parametri individuati dalla nostra Corte costituzionale per escludere l’illegittimità dei limiti risarcitori per i danni alle persone, in particolare con la pronunzia  nota 6 maggio 1985, n. 132[77], resa a proposito della disciplina della Convenzione di Varsavia. Il limite risarcitorio che derivava dall’applicazione di quella normativa per i danni alle persone venne ritenuto non conforme all’art. 2 Cost., sia sotto il profilo della sua inadeguatezza, che della carenza di garanzie circa la certezza del risarcimento. Rilevò allora la Corte la necessità di «una soluzione normativa atta ad assicurare l'equilibrato componimento degli interessi in giuoco: e dunque, per un verso sostenuta dalla necessità di non comprimere indebitamente la sfera di iniziativa economica del vettore, per l'altro congegnata secondo criteri che, in ordine all'imputazione della responsabilità o alla determinazione della consistenza del limite in discorso, comportano idonee e specifiche salvaguardie del diritto fatto valere da chi subisce il danno»[78]. Su tale premessa, la Corte affermò altresì che «la limitazione della responsabilità del vettore si appalesa giustificata solo in quanto siano al tempo stesso predisposte adeguate garanzie di certezza od adeguatezza per il ristoro del danno»[79]:  ne derivò la pronunzia di illegittimità dell'art. 1 della l. 19 maggio 1932, n. 841 e dell'art. 2 della l. 3 dicembre 1962, n. 1832, nella parte in cui danno esecuzione all'art. 22, § 1, della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, come sostituito dall'art. XI del Protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955.

Per rientrare nel sistema della Convenzione di Varsavia, venne adottata la l. 7 luglio 1988, n. 274, che per soddisfare i requisiti indicati dalla Corte costituzionale, da un lato reintrodusse la possibilità per il vettore aereo di persone di avvalersi del limite risarcitorio, a condizione che («in attesa dell'entrata in vigore del protocollo aggiuntivo n. 3, adottato a Montreal il 25 settembre 1975, di cui alla legge 6 febbraio 1981, n. 43») acconsentisse ad elevarne l'importo nella misura di centomila diritti speciali di prelievo, sulla base di una accordo speciale ai sensi dell'art. 22, § 1, della stessa Convenzione di Varsavia[80] e comunque assicurasse la propria responsabilità per un massimale almeno equivalente a quello del limite così elevato[81]. Sembra di poter affermare che entrambi questi requisiti siano stati soddisfatti nei successivi interventi in materia di trasporto aereo di persone sia del legislatore comunitario che del legislatore di diritto uniforme, rispettivamente con il regolamento (CE) n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997 sulla responsabilità del vettore aereo in caso di incidenti e con la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999.

Certamente, rispetto a tali requisiti, in tema di responsabilità del vettore marittimo di persone, il testo originario della Convenzione di Atene del 1974 appare carente per quanto concerne l’assicurazione obbligatoria (od altra idonea copertura finanziaria[82]), che è stata prevista, soltanto con l’art. IV bis, introdotto dall’art. V del Protocollo di Londra del 1° novembre 2002[83], insieme all’azione diretta del danneggiato[84]. Gli Stati parte della Convenzione si obbligano peraltro, in base al § 12 del medesimo art. IV bis, a non consentire a navigare sotto la propria bandiera navi che, ricadendo sotto il regime di obbligatorietà dell’assicurazione in questione, non vi ottemperino[85].

Alla stregua delle considerazioni che precedono, può ritenersi che, sotto il profilo dell’adeguatezza dei limiti risarcitori[86], come della certezza del conseguimento del risarcimento del danno[87], il Protocollo del 2002 alla Convenzione di Atene sia idoneo a superare i dubbi sulla coerenza con i nostri principi costituzionali[88]. Il confronto con la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 in materia di trasporto aereo, induce a rilevare che, rispetto a quest’ultima, non è stata contemplata la possibilità di prevedere, quanto meno a livello di disciplina nazionale, un anticipo ai danneggiati delle somme dovute dai vettori, per far fronte alle prime necessità[89]: un intervento in tal senso appare un opportuno correttivo alle pressioni che vettori ed assicuratori possono svolgere sui danneggiati, inducendoli ad accettare risarcimenti inadeguati[90].

 

5.4.2. – La limitazione del debito armatoriale come fattore che può incidere negativamente sulle aspettative di risarcimento

 

Adeguatezza e certezza del risarcimento per il danneggiato incontrano tuttavia nel nostro ordinamento un considerevole ostacolo, sia pure indiretto, che sarebbe opportuno rimuovere de jure condendo, a prescindere dall’eventuale ratifica della Convenzione di Atene e dei suoi Protocolli, o comunque di qualsiasi riforma della responsabilità del vettore marittimo di persone. Occorre rivedere il regime nazionale della limitazione del debito armatoriale, che può incidere in maniera considerevole sulle effettive possibilità del danneggiato di veder realizzare la propria aspettativa di risarcimento alla stregua del codice della navigazione: secondo l’orientamento prevalente, il diritto potestativo del vettore che sia anche armatore di avvalersi della limitazione del debito armatoriale, di cui all’art. 275 c. nav., è applicabile anche rispetto alle obbligazioni che ricadono sull’armatore in quanto vettore[91] e dunque anche per il risarcimento dei danni ai passeggeri, ai loro bagagli ed ai veicoli che viaggiano al loro seguito[92].

 

5.5. – Bagagli e veicoli al seguito

 

Anche nel codice della navigazione è prevista una limitazione risarcitoria per i danni ai bagagli consegnati, in ragione del loro peso (12.000 lire per chilogrammo). Non è prevista, viceversa, nel codice della navigazione, alcuna regolamentazione espressa per i veicoli al seguito dei passeggeri.

In assenza di una disciplina specifica, la giurisprudenza e la dottrina prevalente tendono ad escludere per essi l’applicazione della normativa del codice della navigazione sul bagaglio, e ad assoggettarli, viceversa, al regime delle merci, sull’assunto che ci si troverebbe comunque di fronte ad un trasporto di cose, sia pure collegato al trasporto di persone[93]. Ne deriva l’applicazione del regime di imputazione dell’art. 422 c. nav. (imputabilità al vettore della colpa propria e della colpa commerciale dei suoi dipendenti e preposti; regime probatorio aggravato per il caricatore, di fronte ai pericoli eccettuati, compresa la colpa nautica dei dipendenti e preposti del vettore); con l’assoggettamento al regime di limitazione risarcitoria di cui all’art. 423 c. nav. (solo recentemente attenuato dalla pronunzia di illegittimità costituzionale, che ne ha determinato l’esclusione per i casi di dolo e colpa grave)[94], sull’assunto che ciascun veicolo costituisca, con tutto ciò che è collocato al suo interno, un’unità di carico, da risarcire come tale, salvo che non sia stata preventivamente resa una dichiarazione di valore (strumento che nella pratica appare assai difficilmente utilizzabile da un utente non professionale)[95], fino alla concorrenza dell’irrisorio importo di duecentomila lire.

 

5.6. – Prospettive de jure condendo

 

La consonanza de jure condendo fra regime interno e regime di diritto uniforme del trasporto marittimo di passeggeri, applicabile ex se ai soli trasporti internazionali, appare uno sviluppo non necessario, ma, tendenzialmente opportuno. Se non interverrà effettivamente sul punto il legislatore comunitario, si renderà auspicabile un’iniziativa nazionale in tale direzione.

Sia che l’iniziativa sia assunta dal legislatore nazionale, sia che sia assunta a livello comunitario, sarà opportuna l’introduzione di qualche intervento correttivo rispetto ai punti in cui, senza una ragione convincente, il regime di diritto uniforme non offre ancora al passeggero marittimo una tutela comparabile a quella che è garantita all’utente in altre modalità di trasporto[96]. Emerge in particolare l’esigenza di introdurre, anche al trasporto marittimo, per le ipotesi di negato imbarco e comunque di cancellazione della corsa prevista, un regime analogo a quello del regolamento (CE) 261/2004. Possono in effetti  condividersi alcune delle riserve che sono state espresse sul grado di tutela offerto dalla Convenzione di Atene, anche nel testo derivato dall’ultimo Protocollo di emendamento: è pacifico che si tratti di una soluzione di compromesso, e che sia suscettibile di miglioramenti. D’altronde, se anche in astratto, almeno per quanto concerne l’imputazione della responsabilità, il regime vigente del codice della navigazione può apparire più favorevole per il danneggiato, in concreto poi, quella che ne è l’applicazione giurisprudenziale, perviene, alla stregua della ricordata distinzione fra danni a causa del trasporto e danni in occasione del trasporto, a risultati non dissimili da quelli cui si perverrebbe sulla base dei principi di diritto uniforme. A ciò si aggiunge che, nel nostro ordinamento, il concreto soddisfacimento dei danneggiati può essere ostacolato dalla limitazione del debito dell’armatore, ai sensi dell’art. 275 c. nav.; al di là dei limiti applicabili al bagaglio, occorre rivedere profondamente la disciplina del limite risarcitorio per il trasporto di cose che, in quanto applicato ai veicoli al seguito dei passeggeri, dà certamente luogo ad ulteriori problemi. Il venire meno dell’esclusione della decadenza del vettore dal beneficio della limitazione in caso di dolo e colpa grave, per l’intervento della Corte costituzionale[97], dovrebbe indurre il legislatore nazionale almeno ad adeguare il limite risarcitorio dell’art. 423 c. nav., oggi irrisorio: l’esperienza maturata su altre limitazioni rivela una relazione di corrispondenza fra valore della merce danneggiata e numero delle vertenze in cui il danneggiato invoca la decadenza del vettore dal limite, ed è ipotizzabile un incremento del contenzioso allorché il limite sia avvertito come intrinsecamente insufficiente dalla coscienza sociale a consentire un adeguato risarcimento.

 

 



 

* Saggio destinato agli studi in memoria di Vittorio Sgroi.

 

[1] Per la sua appartenenza al più ampio genus del trasporto, come definito dell’art. 1678 c. civ., v. fra gli altri: S. Ferrarini, I contratti di utilizzazione della nave e dell'aeromobile, Roma, 1947, 69; A. Fiorentino, I contratti navali, Napoli, 1959, 35; A. Flamini, Il trasporto amichevole, Napoli, 1977, 28; G. Romanelli, Riflessioni sulla disciplina del contratto di trasporto e sul diritto dei trasporti, in Dir. trasp., 1993, 297; M. Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, Torino, 2000, 7; U. La Torre, La definizione del contratto di trasporto, Napoli, 2000, 154; V. Buonocore, I contratti di trasporto e di viaggio, Torino, 2003, 27. Tuttavia (secondo altra posizione, ormai minoritaria) l'art. 1678 si riferirebbe «ad un tipo di contratto che non viene nominato e che peraltro si identifica con il trasporto terrestre» (così D. Gaeta, Del trasporto in generale, in Dir. trasp., 1993, 7).

 

[2] Sul quale, per restare all’ambito dei contributi monografici generali successivi alla codificazione del diritto della navigazione, può menzionarsi il fondamentale contributo di G. Romanelli, Trasporto aereo di persone - Nozione e disciplina, Padova, 1959, nonché (riferito prevalentemente ad esso) S. Busti, Contratto di trasporto aereo, Milano, 2001. V. anche G. Mastrandrea, L’obbligo di protezione nel trasporto aereo di persone, Padova, 1994.

 

[3] Circoscrivendo  le citazioni alla produzione monografica generale italiana a partire dal secondo dopoguerra, possono ricordarsi: S. M. Carbone, Contratto di trasporto marittimo di cose, Milano, 1988; G. De Vita, Contributo alla teoria del contratto di trasporto di cose determinate, Milano, 1984.

 

[4] A titolo di esempio, può proporsi il confronto dello spazio dedicato, nell’ambito del solo trattato di diritto marittimo italiano del secondo dopoguerra, al trasporto di cose rispetto al trasporto di persone: G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, che dedica al primo vari capitoli, nell’ambito del titolo XVI (da p. 531 a p. 1076) ed al secondo il titolo XVII, articolato in un solo capitolo (da p. 1121 a p. 1166). Analoga considerazioni può essere fatta per la manualistica: cfr. A. Brunetti, Manuale del diritto della navigazione marittima ed interna, Padova, 1947 (che dedica al passaggio marittimo da p. 261 a p. 268, mentre al trasporto di cose dedica da p. 206 a p. 260). In un recente autorevole testo a carattere didattico, la trattazione del trasporto marittimo di persone è persino assente: S.M. Carbone, Il diritto marittimo. Attraverso i casi e le clausole contrattuali, Torino, 2002 (2a ed.). D’altronde, la situazione non sembra diversa in Francia. Nell’affrontare il tema, un marittimista francese l’ha definito «pour le moins inhabituel»: così H. Tassy, A propos du transport de passagers, in D.M.F., 1998, 883.

 

[5] Alludo qui a A. Fiorentino, Il contratto di passaggio marittimo, Firenze, 1940, ed a T. C. Giannini, Il passeggero marittimo istruito, Milano, 1939.

 

[6] Il codice della navigazione (come pone in rilievo Rel.min c. nav., § 241) pose fine alla confusione che derivava dall’inquadramento (art. 582 c. comm. 1882) del passaggio nel “contratto di noleggio per trasporto di passeggeri”.

 

[7] Così: G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, cit., 1121. Su tale ultima affermazione, tuttavia, sembra si debbano esprimere, quantomeno in relazione al periodo storico delle grandi migrazioni transoceaniche e, prima, all’epoca delle crociate (situazioni correttamente evocate dall’autore in questione, che le indica, a mio avviso non convincentemente, come non significative). È vero, invece, che il diritto marittimo medioevale di area mediterranea conosceva una regolamentazione del passaggio marittimo. Già nel Consolato del mare, accanto all’ipotesi del trasporto del mercante che accompagnava la merce (con la previsione del diritto di costui ad ottenere un’idonea sistemazione per sé, per il suo letto e per una cassa con gli effetti personali, per un domestico e per un compagno: cap. 77), si considerava anche quella del trasporto di persone diverse dai mercanti, che venivano indicate come «pelegrì» nel cap. 46 («Car pelegrì es dit tot homo, qui deia donar nolit de la sua persona sens sa mercaderia»; il riferimento è al testo pubblicato da J. M. Pardessus, Collection des lois maritimes, II, Paris 1834, p. 49 ss. , che traduce «pelegrì» con «passeger»): cfr., al riguardo, G. Romanelli, I contratti di utilizzazione della nave nel Consolato del mare, in Arch. giur. 1975, 194, 200. Per una recente esposizione della posizione del «pelegrì» nel testo in questione, v. S. Corrieri, Il Consolato del mare, Roma, 2005, 332 ss.

 

[8] In tal senso ancora G. Righetti, Trattato di diritto marittimo,II, cit., 1122 ss.

 

[9] Così (ammesso che trovasse corrispondenza nella realtà dei traffici dell’epoca in cui venne formulata) non più attuale sembra la valutazione a suo tempo espressa dalla dottrina circa il momento della formazione del vincolo contrattuale, secondo la quale «anche nel caso di trasporti eseguiti da imprese che rendano pubblici i propri servizi e le relative condizioni e tariffe, il momento di conclusione del contratto è quello nel quale il vettore dichiara al viaggiatore che egli accetta la sua richiesta di trasporto: in altre parole è sempre quest’ultimo che assume la veste di proponente, il vettore quella di accettante. Gli avvisi di questi non hanno natura di «proposta di contratto» rivolta alla generalità (art. 1336 c. civ.) ma di semplice «invito a contrattare» (invitatio ad offerendum)»: così A. Fiorentino, I contratti navali, Napoli, 1959, 44 s.; conf. A. Torrente, L’impresa e il lavoro nella navigazione – I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, Milano, 1964, 121. Conseguentemente, secondo la tesi qui richiamata, «in questi casi non solo manca la completezza, ma anche la volontà del vettore di rimanere obbligato dalla dichiarazione fatta: manca la prima, perché non può dirsi completa una dichiarazione di assumere trasporti, quando è riservata la facoltà di eseguirli con la nave, al prezzo e alla data che si vuole oppure di non eseguirli affatto; manca la seconda, perché dal modo stesso come sono formulati, quegli avvisi hanno carattere meramente indicativo e informativo» (A. Fiorentino, ibidem). Sembra viceversa doversi ritenere che, anche nel trasporto marittimo di linea di passeggeri, comunque il vettore, «offrendo in forma immediatamente accessibile per la collettività, la propria attività di trasporto con tariffe predeterminate e con orari ugualmente prefissati…si pone davanti al pubblico come offerente di una prestazione puntualmente predeterminata, in ogni aspetto esecutivo nonché per quello della remunerazione dell’attività, secondo lo schema delineato dall’art. 1336 Codice civile» (in tali termini, con riferimento al trasporto aereo: S. Busti, Contratto di trasporto aereo, Milano, 2001, 93).

 

[10] Cfr. G. Romanelli, Il regime di responsabilità del vettore, in Dir. mar., 2001, 549, 550.

 

[11] Il quadro del rilievo che tali servizi vengono ad assumere in ambito europeo è fornito nelle relazioni della Commissione sull’attuazione del regolamento (CEE) n. 3577/92 del 7 dicembre 1992. Così, nell’ambito della Quarta relazione sull’attuazione del regolamento (CEE) n. 3577/92 concernente l’applicazione del principio della libera circolazione dei servizi al cabotaggio marittimo (1999-2000) (pubblicata anche in Dir. mar., 2002, 1127), che precisa per altro (sub § 2.1.2.1) che (in nell’ambito dell’Unione europea) «Il primo mercato nazionale per i passeggeri è quello greco (circa il 30% del totale), seguito dai mercati italiano e britannico (circa un quarto del totale ciascuno)». Può incidentalmente osservarsi che, rispetto alla precedente fase storica, è cambiata in qualche modo la tipologia dell’utente di tali servizi. Mentre in passato il trasporto marittimo costituiva la modalità privilegiata, se non l’unica, per assicurare i collegamenti delle regioni insulari con il resto del territorio nazionale, oggi i residenti di tali regioni si avvalgono sempre di più, per quelli che potremmo definire i «collegamenti ordinari» dei servizi di trasporto aereo, anche grazie all’introduzione di livelli tariffari privilegiati in loro favore, ed in favore di altre categorie protette, che sono ancor oggi possibili, previo introduzione degli oneri di servizio, ai sensi dell’art. 4 del regolamento CEE 2408/1992 del 24 luglio 1992.

 

[12] La medesima esigenza è stata del resto avvertita con riferimento al trasporto aereo, dopo l’entrata in vigore del  c.d. «terzo pacchetto»: in tale ottica si pone (dichiaratamente nelle premesse) il regolamento CE n. 2027/97 del 9 ottobre 1997 in materia di responsabilità del vettore aereo di persone: v. per tutti G. Silingardi, Regolamento Ce n. 2027 del 1997 e nuovo regime di responsabilità del vettore aereo di persone, in Dir. trasp., 1998, 631.

 

[13] Tali rapporti vanno ascritti all’ambito dei contratti di viaggio, come tali assoggettati alla disciplina del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 111, che ha recepito la direttiva 13 giugno 1990, n. 90/314/cee, e/o della convenzione di Bruxelles del 23 aprile 1970 (c.d. CCV), resa esecutiva in Italia con la l. 27 dicembre 1977, n. 1084. Cfr. (anche per una ricostruzione delle posizioni assunte sul punto da dottrina e giurisprudenza) G. Tassoni, Il contratto di viaggio, Milano, 1998, 16 ss.; M. E. La Torre, Il contratto di viaggio «tutto compreso», in Giust. civ., 1996, II, 26. In tale ottica (sia pure limitandosi ad affermare l’applicabilità della CCV), v. anche G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, cit., 579 V. anche (sia pure propugnando l’abbandono del termine, V. Cuffaro, Contratto turistico, in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione Civile, IV, Torino, 1989, 294, 295. In giurisprudenza, incidentalmente sulla natura del contratto di crociera, v. da ultimo Trib. Lanciano, 1° luglio 2002, in Dir. mar., 2003, 930, con nota di D. Pippia, Osservazioni in tema di recesso del viaggiatore nel contratto di crociera turistica. Va peraltro rilevata un’evoluzione della tecnica di organizzazione e della struttura delle crociere, rispetto a quanto avveniva nella fase d’anteguerra (in cui, generalmente, si assisteva ad una ripartizione di rischi e profitti fra una compagnia turistica ed una compagnia di navigazione: cfr. A. Brunetti, Manuale del diritto della navigazione marittima ed interna, cit., 260).

 

[14] Cfr. A. Antonini, Corso di diritto dei trasporti, Milano, 2004, 123; M. Deiana, Il contratto di turismo organizzato, in Dai tipi legali ai modelli sociali nella contrattualistica della navigazione, dei trasporti e del turismo, atti del Convegno di Modena del 31 marzo – 1° aprile 1995, a cura di G. Silingardi – A. Antonini e F. Morandi, Milano, 1996, 567, 570; A. Lefebvre d’Ovidio – G. Pescatore – L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2004, 318. Peraltro, la formulazione della Convenzione di Atene del 13 dicembre 1974 è tale da poter disciplinare anche le ipotesi che derivano dal contratto di crociera: cfr. A. Dani, La convenzione di Atene 1974, sul trasporto marittimo di passeggeri e bagaglio, in Trasp., 8/1976, 101, 103.

 

[15] Già anteriormente alla prima guerra mondiale, si tentò di addivenire ad un regime di diritto uniforme, senza però pervenire a risultati (cfr.  T. C. Giannini, Un progetto da abbandonare (L’assicurazione obbligatoria dei passeggeri), in Riv. pol. econ., 1934, fasc. IX-X (v., in particolare, p. 8 e segg. dell’estratto). Va ricordato il progetto del CMI del 1923 sull’introduzione di un’assicurazione obbligatoria infortuni a favore dei passeggeri marittimi, che non ebbe però seguito, che peraltro seguiva ad una proposta formulata nel 1917 da Sir Norman Hill circa l’imposizione di una copertura assicurativa obbligatoria all’armatore (per ulteriori riferimenti: A. Giannini, Il progetto di Bruxelles (1957) sul trasporto marittimo dei passeggeri, in Assic., 1958, p. 13 ss. dell’estratto; P. Manca, Commento alle convenzioni internazionali marittime, II, Milano, 1975, 108): v. in proposito P.-Y. Nicolas, Le transport maritime de passagers: responsabilités et assurances, in D.M.F., 1999, 857, 864.

 

[16] In un contesto analogo a quello che ha consentito la ratifica comunitaria della Convenzione di Montreal, su cui v. M. Brignardello, Problematiche relative alla firma e alla ratifica della Convenzione di Montreal del 1999 da parte della Comunità europea, in Dir. mar., 2001, 3. Sulle condizioni che hanno condotto all’entrata in vigore della Convenzione di Montreal, v. E. Rosafio, Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999: problemi applicativi, in Dir. tur., 2004, 10.

 

[17] V. al riguardo (sebbene il suo perfezionamento sembri al momento in fase di stallo) la Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, del protocollo del 2002 alla convenzione di Atene del 1974 relativa al trasporto via mare dei passeggeri e del loro bagaglio, doc. COM/2004/0173 def. - 2003/0132 (AVC) del 24 giugno 2003. L’art. 1 di tale proposta prevede l’approvazione del Protocollo del 2002 alla Convenzione di Atene da parte della Comunità, mentre l’art. 2, autorizza il presidente del Consiglio alla sua sottoscrizione. L’art. 3, infine, prevede l’adozione, da parte degli Stati membri, delle misure necessarie per divenire quanto prima Parti contraenti del protocollo di Atene (da completarsi, secondo il termine stabilito in tale proposta, entro il 31 dicembre 2005).

 

[18] Riferendosi alla disciplina della documentazione, nell’ambito di una comparazione fra i vari strumenti di diritto uniforme in materia di trasporto, G. Romanelli, Principi comuni nelle convenzioni internazionali in materia di trasporto, in Dir. mar., 1999, 197, 212, rileva come tale profilo assume minore importanza nel trasporto marittimo di persone, tanto da non essere nemmeno disciplinato nella Convenzione di Atene del 1974.

 

[19] Cfr. al riguardo (con riferimento al rilievo consumieristico della disciplina sul punto della Convenzione di Varsavia) J.P. Tosi, Droit des transports et droits des consommateurs de transport, in Etudes de droit de la consommation: liber amicorum Jean Calais-Auloy, Paris, 2003, 1121, 1130. Nel senso che il biglietto di trasporto sia ancora oggi la forma tipica di documentazione del contratto di trasporto di persone, v. A. Fiorentino, Contratti navali, cit., 47; L.F. Paolucci, Il trasporto di persone, L.F. Paolucci, Il trasporto di persone, Torino, 1999 27 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, IV, Milano, 1954, 233.

 

[20] Così G. Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 184.

 

[21] Si tratta del noto caso Lisi v. Alitalia, 370 F.2d 508, U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., 16 dicembre 1966; impugnazione respinta dalla Corte Suprema, 390 U.S. 455 (1968). Peraltro, nel coevo caso Berguido c. Eastern Air Lines, 9 Avi 18,319 (1966), U.S. Court of Appeals, 3rd Cir., a fronte di una situazione sostanzialmente analoga escluse la decadenza del vettore aereo dal beneficio della limitazione. Altre decisioni di U.S. Court of Appeals, 9th Cir., e di U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., rispettivamente Warren v. Flying Tiger Line, 9 Avi, 17, 848 (1965) e Mertens v. Flying Tiger Line, in 9 Avi., 17,475 (1965), esclusero il beneficio della limitazione per il vettore, perché il biglietto era stato consegnato al passeggero soltanto sulla scaletta dell'aereo, al momento dell'imbarco, non lasciandogli quindi alcuna possibilità di stipulare un'assicurazione per il rischio del volo, tale da consentirgli di ottenere comunque un indennizzo  (in senso contrario a Lisi v. Alitalia, v. R. Mankiewicz, Irregularité des documents de transport prescrits par la Convention de Varsovie, in ET.L, 1973, 1)  Orientamento analogo a Lisi v. Alitalia è stato seguito anche in altre giurisdizioni: v. ad esempio Supreme Court of Canada, 20 dicembre 1976, Montreal Trust Co. and R.J. & A. H. Stampleman, in Lloyd's Rep. 2/1977, 80 (tuttavia, in senso diverso, pur con riferimento al medesimo incidente, Supreme Court of Canada, 20 marzo 1979, Ludecke v. Canadian Pacific Airlines, in Lloyd's Rep. 2/1979, 260, sul presupposto che dovesse farsi applicazione della Convenzione nel testo originario  e ritenendosi comunque che in ogni caso fossero stati rispettati i requisiti di contenuto del biglietto richiesti dalla normativa applicabile, e comunque tali contenuti fossero stati stampati in un carattere agevolmente leggibile da una persona media).

 

[22] V. in particolare la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso Chan v. Korean Air Lines, Ltd., 490 U.S. 122 (1989) (su cui, v., in lingua italiana, il commento di C. Coletta, In tema di adeguatezza della clausola di richiamo alla convenzione di Varsavia del 1929 inserita nel biglietto di passaggio, in Dir. trasp., 1991, 291).

 

[23] V. in tal senso, nella giurisprudenza di U.S. Court of Appeals, 9th Cir.,  Bobbie Jo Wallis v. Princess Cruises, Inc. (2002), 2002 AMC 2270, che, partendo dal presupposto che (nel caso in questione) la Convenzione di Atene fosse«legally enforceable only as a term of a legitimate contract», perviene alla conclusione (supportata da ampi richiami giurisprudenziali conformi) che «an Athens Convention limitation must be reasonably communicated before it can bind a passenger under federal maritime law». Tale requisito di ragionevole comunicazione non è assolto dalla previsione delle condizioni riportate sul biglietto che si limita a richiamare la «Convention Relating to the Carriage of Passengers and Their Luggage by Sea of 1976», senza alcun limite monetario quantificato. In particolare, secondo la Corte, una tale clausola non consente al passeggero medio di assumere consapevolezza del regime di responsabilità (e di limitazione) applicabile (v. in particolare le argomentazioni al punto 6 della motivazione). La validità del richiamo negoziale nei contratti di trasporto marittimo di regimi normativi che non sarebbero di per loro applicabili è stata questione particolarmente discussa con riferimento alle clausole c.d. Paramount nelle polizze di carico e nei charter party: nel vigore del testo originario della Convenzione, la giurisprudenza italiana ha inteso in maniera alquanto restrittiva la portata di tale richiamo (che è diventato criterio di collegamento per l'applicazione della Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924, nel testo emendato dal Protocollo di Visby del 1968, v. fra gli altri S. M. Carbone, Contratto di trasporto marittimo di cose, Milano, 1988, 64 ss.; P.A. Celle, La Paramount Clause nell’evoluzione della normativa internazionale in tema di polizza di carico, in Dir. mar., 1988, 11): cfr. Cass., 20 dicembre 1995, n. 13018, in Giust. civ., 1996, I, 689 con nota di M. Grigoli, Rilevanza dell’autonomia privata nella realtà normativa del trasporto marittimo internazionale di merci.

 

[24] Condizione che non è soddisfatta, con riferimento a clausole di attribuzione della giurisdizione, allorché il biglietto sia consegnato al passeggero a ridosso dell'imbarco, secondo Shaff v. Sun Lines Cruise, Inc., 1998 U.S. Dist. LEXIS 3903 (S.D. Texas 1998). Non privo di interesse appare il (condivisibile) orientamento della giurisprudenza statunitense, se posto a confronto con l'atteggiamento che gli Stati Uniti hanno tenuto nel negoziato per la riforma del diritto uniforme in materia di trasporto aereo, in cui hanno perorato l'introduzione della la c.d. quinta giurisdizione (possibilità di proporre l'azione di risarcimento nello Stato di residenza del passeggero). Per l'affermazione della validità di una clausola di determinazione del foro competente, nella giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, a proposito del trasporto marittimo di passeggeri, v. Carnival Cruise Lines, Inc. v. Shute, 499 U.S. 585 (1991).

 

[25] Ovvero che l'"enforcement would be unreasonable and in just": così Milanovich v. Costa Crociere SpA, 1993 AMC 1034 (D.C. Cir. 1992).

 

[26] Per riferimenti al quale, si rinvia a: V. R. Cervelli – F. Giustizieri, C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria, anzi d’antico: l’entrata , in vigore del Protocollo n. 4 di Montreal 1975, in Dir. trasp., 1999, 35 (e, con riferimento specifico alla documentazione su supporto non cartaceo del trasporto di merci: ivi, 44 ss.). Riferendosi a tale disciplina, che prevede comunque il rilascio di una ricevuta su supporto tradizionale per il mittente, si è posta la questione delle eventuali difformità fra tale documentazione del trasporto e la registrazione su supporto non tradizionale, risolta nel senso della prevalenza dei dati ricavabili dalla prima, nella misura in cui essi siano i soli dati effettivamente riscontrabili per l'utente: M. M. Comenale Pinto, La prenotazione elettronica di spazio aereo, in Arch. giur. «Filippo Serafini», 1988, 137, ivi 151. Lo stesso tipo di questioni (con analoga soluzione) può porsi rispetto alla documentazione di un trasporto di persone, alla stregua della Convenzione di Montreal: cfr. M. M. Comenale Pinto, Riflessioni sulla nuova Convenzione di Montreal del 1999 sul trasporto aereo, in Dir. mar., 1999, 798, 820.

 

[27] Sul quale, v. in generale G. Rinaldi Baccelli, Analisi critica del Protocollo di Guatemala 1971, in Dir. aereo, 1971, 181.

 
[28] Cfr. S. Busti, Profili innovativi nella documentazione del contratto di trasporto aereo di persona, in Trasporti, 81/2000, 197, 198 ss.).

 

[29] L’ambito di applicabilità della disciplina di produzione nazionale del trasporto, con riferimento alle ipotesi considerate, è stato progressivamente eroso, dapprima dalle convenzioni di diritto uniforme (per limitarci a quelle ratificate dall’Italia: Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924 sulla polizza di carico, come modificata dai Protocolli di Bruxelles del 23 febbraio 1978 e dell'11 dicembre 1979; Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 e relativi protocolli ed ora Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 sul trasporto aereo) e poi, in particolare per quanto concerne il trasporto aereo, di persone, dalla disciplina comunitaria (regolamento CE n. 2027/97 del 9 ottobre 1997, come modificato dal regolamento CE n. 889/2002 del 13 maggio 2002, in materia di responsabilità del vettore aereo comunitario; regolamento CE n. 261/2004 dell'11 febbraio 2004, che ha abrogato il regolamento CEE n. 295/91 del 4 febbraio 1991, in materia di negato imbarco; regolamento CE n. 785/2004 del 21 aprile 2004 relativo ai requisiti assicurativi applicabili ai vettori aerei e agli esercenti di aeromobili). Un obbligo di assicurazione della propria responsabilità era del resto previsto genericamente per il vettore dal regolamento dall’art. 7 del CEE n. 2407/92 del 23 luglio 1992 sul rilascio delle licenze ai vettori aerei («I vettori aerei devono essere assicurati in materia di responsabilità in caso di incidenti, in particolare per quanto riguarda i passeggeri, il bagaglio, le merci trasportate, la posta e i terzi»).

 

[30] In coerenza con le indicazioni contenute nel Libro bianco sui trasporti del 12 settembre 2001 (doc. 2001 (COM)370 definitivo), 87: (secondo cui «le misure comunitarie di protezione dei passeggeri dovranno essere estese, per quanto possibile, anche agli altri modi di trasporto, in particolare … alla navigazione marittima») un intervento in tal senso è stato prospettato (nell’ambito della Comunicazione della Commissione sul miglioramento della sicurezza delle navi da passeggeri nella Comunità del 25 marzo 2002 (doc. COM(2002) 158 definitivo), accanto all’opportunità di ratifica della Convenzione di Atene da parte degli Stati membri. La medesima prospettiva è peraltro confermata nella relazione che accompagna la già menzionata Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, del protocollo del 2002 alla convenzione di Atene del 1974 relativa al trasporto via mare dei passeggeri e del loro bagaglio. Al suo § 4 (intitolato «La strada da percorrere»), si afferma la necessità di seguire una strada analoga a quella a suo tempo seguita per il trasporto aereo di persone, con il ricordato regolamento CE n. 2027/97 del 9 ottobre 1997. Al riguardo si legge che «Per pervenire ad un regime uniforme ed adeguato in materia di responsabilità per il trasporto dei passeggeri in tutta la Comunità, la conclusione del protocollo di Atene da parte della Comunità deve essere affiancata, nei prossimi mesi, dall’adozione di un regolamento che recepisca le disposizioni del protocollo rendendole pienamente applicabili nell'ordinamento comunitario, analogamente a quanto avvenuto nel settore dell'aviazione, in cui la Comunità, attraverso il regolamento (CE) n. 2027/97 sulla responsabilità del vettore aereo in caso di incidenti, ha già introdotto un regime generale di responsabilità dei vettori aerei per il trasporto dei passeggeri applicabile in tutta l'Unione europea».

 

[31] Può ricordarsi il regolamento CE n. 725/2004 del 31 marzo 2004, relativo al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali.

 

[32] Possono ricordarsi in particolare, per rimanere nell’ambito della disciplina specifica sul trasporto di passeggeri: il regolamento 3051/95 dell’8 dicembre 1995 sulla gestione della sicurezza dei traghetti passeggeri roll-on/roll-off, modificato da ultimo dal regolamento CE 2099/2002 del 5 novembre 2002, e la direttiva 2003/25/CE del 14 aprile 2003 relativa ai requisiti specifici di stabilità per le navi ro-ro da passeggeri, attuata in Italia con il d. lgs. 14 marzo 2005, n. 65.

 

[33] Attuata in Italia dal d.m. trasporti e navigazione 13 ottobre 1999, in G.U. 25 ottobre 1999, n. 251.

 

[34] Il regime generale è trasposto nell’art. 3, comma 1, del decreto di recepimento. La direttiva prevede all’art. 9 per lo Stretto di Messina un regime di conteggio semplificato sulla base della capacità massima di trasporto passeggeri sui veicoli traghettati (attuato dall’art. 3, comma 3, lett. c, del decreto di recepimento).

 

[35] Tale regime è trasposto nell’art. 4 del decreto di recepimento.

 

[36] Cfr. da ultimo, sul punto: A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, Napoli, 2003, 245. Deve peraltro incidentalmente rilevarsi come, nell’ambito dei servizi di traghetto in Italia, il biglietto venga generalmente emesso nominativo. Nell’ambito delle condizioni generali di trasporto di vari operatori è comunque affermato espressamente il divieto di cessione del diritto di passaggio. Sulla questione, G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, cit., 581, si limita ad affermare che «di norma» il contratto sarebbe nominativo, con la «conseguente incedibilità senza il consenso del vettore».

 

[37] Come gli altri strumenti di diritto uniforme in materia di responsabilità vettoriale: v. (a prescindere dalle convenzioni sul trasporto aereo, su cui v. oltre), Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924 sull’unificazione di alcune regole in materia di polizza di carico, nel testo emendato dal Protocollo di Bruxelles del 23 febbraio 1968 (art. 10); Convenzione di Bruxelles del 29 aprile 1961 (art. 2); Convenzione di Bruxelles del 27 maggio 1967 (art. 2); Convenzione di Amburgo del 31 marzo 1978 delle Nazioni Unite sul trasporto di merci per mare  (art. 2).

 

[38] Il campo di applicazione è riferito a «any carriage in which, according to the contract of carriage, the place of departure and the place of destination are situated in two different States, or in a single State if, according to the contract of carriage or the scheduled itinerary, there is an intermediate port of call in another State».

 

[39] A. Dani, La convenzione di Atene 1974, sul trasporto marittimo di passeggeri e bagaglio, cit., 112. Tanto la Convenzione di Varsavia del 1929, che la Convenzione di Montreal del 1999, ai fini dell’integrazione dell’elemento dell’internazionalità, richiedono che il luogo di partenza ed il luogo di arrivo siano entrambi in Stati contraenti; nel caso di partenza ed arrivo nel territorio del medesimo Stato, lo scalo che determina l’internazionalità deve avvenire in altro Stato, anche se non contraente. Con riferimento all’art. 1 della Convenzione di Varsavia del 1929, si è precisato come non possa considerarsi internazionale il trasporto aereo in cui, pur essendoci sorvolo del territorio di uno Stato diverso da quello da cui il trasporto è iniziato ed è destinato a terminare, non vi sia scalo all'estero (A. Giannini, Il contratto di trasporto internazionale secondo la Convenzione di Varsavia, in Nuovi Saggi di diritto aeronautico, I, Milano, 1940, 94, ivi 95), ovvero in cui lo scalo all'estero non sia stato previsto, né voluto dalle parti, ma sia stato effettuato per ragioni contingenti (G. Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 175; T. Ballarino – S. Busti, Diritto aeronautico e spaziale, Milano, 1988, 618).

 

[40] La tendenza, registrata in particolare nella più recente evoluzione del diritto marittimo all’adozione di strumenti di diritto uniforme il cui ambito di applicazione non richiede necessariamente la sussistenza di elementi di estraneità rispetto alla lex fori (un esempio significativo recente è nella disciplina della Convenzione di Londra del 28 aprile 1989 sul soccorso, che si è sovrapposta alla disciplina dell’assistenza e del salvataggio, come dettata dal codice della navigazione; analogamente può dirsi della non ratificata dall’Italia, Convenzione di Londra del 19 novembre 1976, il cui art, 17, § 3, prevede tuttavia la possibilità per gli Stati parte di regolamentare altrimenti I rapporti privi di elementi di estraneità), non è riscontrabile nelle convenzioni in materia di responsabilità vettoriale (v., oltre le convenzioni su trasporto aereo e trasporto marittimo più sopra richiamate, quelle in materia di trasporto stradale di merci e di trasporto ferroviario: rispettivamente,  e Ginevra del 19 maggio 1986, meglio nota come CMR; Convenzione di Berna del 9 mag. 1980, relativa ai trasporti internazionali su ferrovia, meglio nota come COTIF; analogamente opera la non entrata in vigore Convenzione delle Nazioni Unite di Ginevra del 23 maggio 1980 sul trasporto multimodale di merci). Per la distinzione fra convenzioni internazionali che si sostituiscono integralmente al diritto interno degli Stati contraenti e convenzioni destinate, viceversa, ad operare esclusivamente per le ipotesi che presentino elementi di estraneità, v. A. Malintoppi, Diritto uniforme e diritto internazionale privato in materia di trasporto, Milano, 1959, 39 ss.

 

[41] A. Dani, La Convenzione di Atene, 1974, sul trasporto marittimo di passeggeri e bagaglio, cit., 112; C. De Marco, La r.c. nel trasporto di persone e di cose, Milano, 1985, 149 e (riferito al testo della Convenzione non emendato dal Protocollo del 2002) A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 281. Per un’analisi comparativa fra la disciplina di diritto interno e quella originaria della Convenzione di Atene (e per una critica sulla ritenuta eccessiva tutela accordata da quest’ultima alla posizione del vettore, v. S. Zunarelli, Trasporto internazionale, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. comm., XVI, Torino, 1999, 88, 93 s.).

 

[42] In tal senso, v. A. Zunarelli, Trasporto internazionale, cit., 94.

 

[43] Con riferimento al trasporto di persone, in tempi recenti, la nozione di ritardo è stata studiata ed è stata al centro di vicende giudiziarie, soprattutto per quanto concerne i ferroviari ed i trasporti aerei (v. tuttavia le considerazioni di E. G. Rosafio, La disciplina degli impedimenti anteriori alla partenza nel trasporto marittimo di persone, in Studi in ricordo di Elio Fanara, in corso di pubblicazione: sul ritardo alla partenza e le sue conseguenze, ivi, § 4). Va peraltro ricordata la tendenza giurisprudenziale a riconoscere il risarcimento del danno conseguente al disagio psico-fisico subito in occasione del ritardo nel trasporto di persone come danno biologico (v., ad esempio,  G. pace Roma, 19 febbraio 2002, in Dir. trasp., 2003, 631, con nota contraria di S. Giacobbe, Ancora in tema di risarcibilità del danno da ritardo fra danno biologico e danno esistenziale), ovvero come danno esistenziale (G. pace Milano18 dicembre 2000, in Giur. it., 2001, 1159, con nota di F. Bilotta, Inadempimento contrattuale e danno esistenziale; G. pace Alghero, 4 agosto 2004, in corso di pubblicazione in Dir. turismo, e, sembrerebbe G. pace Mestre, 13 gennaio 1999, in Dir. trasp., 2001, 811, con nota di  S. Giacobbe, Il ritardo nel trasporto aereo (e ferroviario) di  passeggeri e la giurisprudenza dei giudici di pace). In altre decisioni, si è percorsa la strada della richiesta di rimborso parziale del corrispettivo del trasporto, intesa come eccezione di inadempimento parziale (G. pace Venezia, 9 febbraio 1999, in Dir. trasp., 2001, 829, in tema di trasporto ferroviario; G. pace Sassari, 4 novembre 1999, in Dir. trasp., 1999, 293, con nota perplessa di L. Masala, Ritardo: rimborso del prezzo al di là del risarcimento?, ivi 297). Peraltro, il già menzionato regolamento CE n. 261/2004 dell'11 febbraio 2004 ha esteso al ritardo nel trasporto aereo le forme di assistenza ai passeggeri previste per le ipotesi di denegato imbarco: v. in generale, per tutti, E. G. Rosafio, Il negato imbarco, la cancellazione del volo e il ritardo nel trasporto aereo di persone, in Giust. civ., 2004, II, p. 471 ss.

Da ultimo, sulla clausola di stile delle condizioni generali dei vettori aerei che afferma la non vincolatività degli orari pubblicati (con riferimento, in particolare, a Trib. Palermo 15 luglio 2003, in Dir. trasp., 2003, 211): v. N. Romana, Ritardo del vettore e tutela del consumatore, intervento al Convegno di Trieste del 26 – 27 settembre 2003 Il diritto aeronautico a cent'anni dal primo volo: profili evolutivi e problematiche giuridiche attuali, atti in corso di stampa.

 

[44] Sulla derogabilità di tale disciplina, v. A. Lefebvre d’Ovidio – G. Pescatore – L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, cit., 459. Tuttavia, è da evidenziare come le clausole che prevedano una siffatta deroga vadano considerate vessatorie nei rapporti con i consumatori. Per una vicenda giurisprudenziale in cui è discusso delle conseguenze della soppressione della partenza in un trasporto marittimo di linea di passeggeri (e si è affermata vessatorietà ex art. 1469 bis, n. 2, c. civ., della clausola che limitava la responsabilità del vettore alla restituzione del prezzo del biglietto) v. Trib. Palermo, 22 ottobre 1997, in Dir. trasp., 1998, 169, con nota di F. Bianca, Clausole abusive nel contratto di trasporto marittimo di passeggeri e azione inibitoria ex art. 1469-sexies c.c.

 

[45] La conclusione proposta non può essere evidentemente estesa al ritardo nella riconsegna dei bagagli, ipotesi contemplata espressamente nella nozione di perdita o danni ai bagagli, ai sensi dell'art. 1, § 7, della Convenzione di Atene. Va incidentalmente osservato come in un regime di responsabilità del vettore marittimo di persone, qual è quello delle legislazioni marittime degli Stati nordici, certamente ispirato ai princìpi che hanno condotto al testo della Convenzione di Atene, contiene comunque un’espressa disciplina del danno da ritardo (derogabile soltanto per le vicende antecedenti alla partenza): cfr. A. Beijer, Carriage of Passengers by Sea – A Nordic Legal Survey, in Essays in Honour of Hugo Tiberg Professor of Maritime Law, Stockholm, 1996, 67, 82 s.

 

[46] Ai fini della Convenzione, con riferimento ai passeggeri ed al bagaglio di cabina, il trasporto comprende «the period during which the passenger and/or his cabin luggage are on board the ship or in the course of embarkation or disembarkation, and the period during which the passenger and his cabin luggage are transported by water from land to the ship or vice-versa, if the cost of such transport is included in the fare or if the vessel used for this purpose of auxiliary transport has been put at the disposal of the passenger by the carrier. However, with regard to the passenger, carriage does not include the period during which he is in a marine terminal or station or on a quay or in or on any other port installation» (art. 1, § 8).

 

[47] El Al Airlines, Ltd. V. Tsui Yuan Tseng, 525 U.S. 155 (1999); la decisione è pubblicata anche in Dir. trasp., 2000, 205, con nota di E. G. Rosafio, In tema di ammissibilità di azioni risarcitore da parte del passeggero al di fuori della Convenzione di Varsavia, ivi, 222.

 

[48] V. anche, nella medesima prospettiva, nella giurisprudenza inglese, Abnett v. British Airways Plc. (Scotland)

 

[49] E. G. Rosafio, In tema di ammissibilità di azioni risarcitore da parte del passeggero al di fuori della Convenzione di Varsavia, cit.,  225 ss..

 

[50] Va incidentalmente ricordato come negli Stati Uniti (che non sono parte della Convenzione di Montreal), il risarcimento del danno meramente psicologico in campo marittimo è stato circoscritto alle sole ipotesi in cui fosse riconoscibile l’elemento della intentional infliction of emotional distress: su queste basi il risarcimento è stato riconosciuto al passeggero che, contro il suo divieto espresso, era stato fotografato e le cui foto, ritocate in maniera ridicolizzante, erano state messe in vendita a bordo della nave: Muratore v. M/S Scotia Prince, 1993 AMC 2933 (1st Cir. 1988).

 

[51] L'art. 17 della Convenzione di Varsavia, nel suo testo originario, che non ha subito emendamenti sulla base del Protocollo dell'Aja del 1955, prevedeva che: «Le transporteur est responsable du dommage survenu en cas de mort, de blessure ou de toute autre lésion corporelle subie par un voyageur lorsque l'accident qui a causé le dommage s'est produit à bord de l'aéronef ou au cours de toutes opérations d'embarquement et de débarquement». Il mai entrato in vigore Protocollo Guatemala City del 1971, all’art. IV, emendando l'art. 17 della Convenzione, aveva introdotto una più articolata disciplina. Secondo l’art. 17, §, nel testo così emendato: «Le transporteur est responsable du préjudice survenu en cas de mort ou de toute lésion corporelle subie par un passager, par cela seul que le fait qui a causé la mort ou la lésion corporelle s'est produit à bord de l'aéronef ou au cours de toutes opérations d'embarquement ou de débarquement. Toutefois, le transporteur n'est pas responsable si la mort ou la lésion corporelle résulte uniquement de l'état de santé du passager».

 

[52] Ai sensi dell’art. 17, § 1, della Convenzione di Montreal, «The carrier is liable for damage sustained in case of death or bodily injury of a passenger upon condition only that the accident which caused the death or injury took place on board the aircraft or in the course of any of the operations of embarking or disembarking».

 

[53] N. Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, Montreal - Toronto, 1981, 404. Durante i lavori preparatori della Convenzione di Montreal, si era prospettata la possibilità di introdurre una previsione espressa dell'esonero del vettore dalla responsabilità, allorché la morte o la lesione subita dal passeggero fosse risultata come conseguenza dello stato di salute del passeggero: la proposta non ha avuto seguito e, del resto, non avrebbe avuto ragion d'essere lì dove si fosse accolta una lettura restrittiva della nozione di «accident»: sul punto cfr. amplius M. M. Comenale Pinto, La responsabilità del vettore aereo dalla Convenzione di Varsavia del 1929 alla convenzione di Montreal del 1999, in Riv. dir. comm., 2002, 67, 111 ss.

 

[54] Analoga previsione era stata adottata nella Convenzione di Bruxelles del 1961, relativamente alle ipotesi di naufragio, collisione, incaglio, esplosione o incendio, non senza contestazioni: cfr. P. Manca, Commento, II, cit., 119.

 

[55] Cfr. M. Rémond Gouilloud, Droit maritime, Paris, 1988, 419 s.; P.-Y. Nicolas, Le transport maritime de passagers, cit., 859.

 

[56] Cfr. A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 312. Nel senso che, comunque, il regime delineato dalla Convenzione in questione si avvicinerebbe a quello che, nel nostro ordinamento, è delineato per la responsabilità aquiliana, v. A. Zunarelli, Trasporto internazionale, cit., 93.

 

[57] Art. 7 ed 8 della Convenzione di Atene del 1974, come emendati, dall’art. II del Protocollo del 1976.

 

[58] Art. 7 ed 8 della Convenzione di Atene del 1974, come emendati, dall’art. II del Protocollo del 1976.

 

[59] Si riferisce proprio alla Convenzione di Atene l’osservazione di P. J. S. Griggs, Obstacles to Uniformity of Maritime Law The Nicholas J. Healy Lecture, in J. Mar. L. & Com., 34/2003, 191, 200, che «No state will implement a convention that requires it to apply limitation figures that do not meet current domestic needs». Il mantenimento dei limiti risarcitori viene giustificato con le difficoltà che deriverebbero, ove si addivenisse ad una diversa soluzione, al reperimento di una copertura assicurativa, in particolare sul mercato P. & I.:  cfr. B. Soyer, Sundry Considerations on the Draft Protocol to the Athens Convention Relating to the Carriage of Passengers and Their Luggage by Sea 1974, in J. Mar. L. & Com., 33/2002, 519, 531.  

 

[60] Circa l’ispirazione del meccanismo di imputazione della Convenzione di Montreal, cfr. B. Soyer, Sundry Considerations, cit., 522.

 

[61] Così F. Berlingieri, L’adozione del Protocollo 2002 alla Convenzione di Atene del 1974 sul trasporto per mare di passeggeri e loro bagagli, cit., 1496; M. Grigoli, Profili del diritto dei trasporti, Bologna, 2003, 251.

 

[62] Cfr. M. Grigoli, La tutela delle vittime degli incidenti aerei nella più recente evoluzione di diritto comunitario e uniforme, in Giust. civ., 2000, 363, 365, che (ivi, con riferimento al reg. CE 2027/97) esprime perplessità sulla rilevata commistione della «previsione di responsabilità assoluta ed oggettiva … con una fattispecie tipica di responsabilità per colpa presunta» e lamenta la sua derivazione da «spiccate ragioni di politica economica«, senza essere «concretamente rivolta ad appagare istanze di pregnante rilievo sociale». Altro autore (G. Silingardi, Reg. CE 2027/97, cit., 632) denunzia la commistione dei due criteri di imputazione come fattore ostativo rispetto alla razionalizzazione dei rischi di impresa ed alla loro trasformazione in costi assicurativi.

 

[63] Tale integrazione è stata verosimilmente ispirata dalle catastrofi che interessarono due traghetti ro-ro: la Herald of the Free Enterprise (in servizio fra Zeebrugge, e Dover) il 6 marzo 1987, e la Estonia (in servizio fra Tallin e Stoccolma) il 28 settembre 1994, che provocarono la perdita rispettivamente, di 193 e di 852 vite umane. I due incidenti sono stati fra le ragioni che hanno indotto a rivedere drasticamente la politica marittima comunitaria in materia di sicurezza marittima (safety): v. al riguardo Comunicazione della Commissione sul miglioramento della sicurezza delle navi da passeggeri nella Comunità del 25 marzo 2002, doc. COM(2002) 158 definitivo, p. 3 ss. Per le implicazioni dell’applicazione della Convenzione di Atene al primo dei due incidenti, v. N. Gaskell, The Zeebrugge Disaster – Application of The Athens Convention 1974, in New Law Journal, 137/1987, 285.

 

[64] Né il testo originario della Convenzione, né quello emendato dal Protocollo del 2002, precisano su chi ricada l’onere della prova della natura dell’incidente che ha causato la morte o le lesioni personali del passeggero: in via di interpretazione, si è ritenuto che esso gravi sul danneggiato, osservando che (salvo alcune ipotesi specifiche, ed in particolare nel caso di comparizione in mare di un passeggero), tuttavia, «la prova risulterà normalmente dalle circostanze in cui l’evento si è verificato» (così: F. Berlingieri, L’adozione del Protocollo 2002 alla Convenzione di Atene del 1974 sul trasporto per mare di passeggeri e loro bagagli, in Dir. mar., 2002, 1498, 1500)

 

[65] È stato osservato che nella nozione di «malfunction» e di «failure» non rientrano i difetti strutturali o di gestione tecnica, che corrispondono, però, verosimilmente alle ipotesi coperte dal richiamo alle norme di sicurezza: F. Berlingieri, L’adozione del Protocollo 2002 alla Convenzione di Atene del 1974 sul trasporto per mare di passeggeri e loro bagagli, cit., 1499.

 

[66] Di «responsabilità (quasi) oggettiva» parla F. Berlingieri, L’adozione del Protocollo 2002 alla Convenzione di Atene del 1974 sul trasporto per mare di passeggeri e loro bagagli, cit., 1499.

 

[67] Sul punto v. A. Dani, La convenzione di Atene 1974, sul trasporto marittimo di passeggeri e bagaglio, cit.,  112.

 

[68] Cfr. B. Soyer, Sundry Considerations, cit., 522. D’altronde, ancora nel 1999, un autorevole marittimista, già Presidente della Conferenza diplomatica del 1974, insorgeva contro la prospettazione dell’omologazione in materia di trasporto di persone della responsabilità del vettore marittimo a quella del vettore aereo, sul rilievo che «à l‘exception peut-être de l‘aéroglisseur, un navire de mer ne peut être comparé à un avion, dans lequel un passager est constamment surveillé par le personnel de bord» (così: W. Müller, Faut -il réviser la Convention d’Athènes de 1974 sur le transport de passagers par mer?, in D.M.F., 1999, 5, 7.

 

[69] Art. 7 ed 8 della Convenzione di Atene del 1974, come emendati, dall’art. II del Protocollo del 1990.

 

[70] Per ulteriori richiami alla questione specifica con riferimento al trasporto aereo di passeggeri: v. M. M. Comenale Pinto, Riflessioni sulla nuova Convenzione di Montreal del 1999 sul trasporto aereo, cit., 829. Per un inquadramento generale del tema dei punitive damages e delle sue prospettive nell’ambito del nostro ordinamento, v. V. Zeno Zencovich, Il problema della pena privata nell'ordinamento italiano: un approccio comparatistico ai «punitive damages»  di «common law», in Giur. it., 1985, IV, 12.

 

[71] Rel. min. c. nav., § 244.

 

[72] Fra i sostenitori recenti della posizione critica, v. G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, cit., 1141 ss, cui si rinvia per ulteriori richiami sul punto.

 

[73] È questo lo spunto (sull’art. 11 del R.d.l. 11 ottobre 1934, n. 1948), su cui è costruita l’impostazione di A. Fiorentino, Il contratto di passaggio, cit., 116 ss.; tesi ribadita dall’A. nel successivo I contratti navali, cit., 56 (e seguita da R. Rovelli, Il trasporto di persone, Torino, s.d., ma 1970, 154). Può essere interessante rilevare come, nonostante tale criterio di imputazione sia venuto meno nella disciplina successiva del trasporto ferroviario per effetto della l. 7 ottobre 1977, n. 754, parte della giurisprudenza di merito abbia continuato a farne applicazione, dando luogo a quello che la Corte di cassazione non ha esitato a definire «macroscopico errore» (Cass., 14 luglio 1989 n. 3303, in Dir. trasp. I/1991, 158, con nota di G. Mastrandrea, L’anormalità del servizio nel trasporto ferroviario di persone: un addio sofferto): Trib. Roma 28 febbraio 1990, in Dir. trasp. II/1991, 315, con nota di G. Mastrandrea, La sopravvivente anormalità del servizio e l’onere probatorio a carico del viaggiatore danneggiato nel trasporto ferroviario. Il criterio dell’anomalia del servizio è stato poi resuscitato dalla stessa giurisprudenza di legittimità come fondamento della responsabilità extracontrattuale del vettore ferroviario: Cass., 22 marzo 1996 n. 2487), in Dir. trasp. 1997,  503, con nota di G. Mastrandrea, In tema di anormalità del servizio nella responsabilità extracontrattuale del vettore ferroviario di persone. Va incidentalmente ricordato come, in passato, si siano sostenute tesi che richiedevano al passeggero un onere probatorio ancora più gravoso: con riferimento ai «fatti anormali», T. G. Giannini, Il passeggero marittimo, cit., 233, annotava che «… dato che non esiste una responsabilità obiettiva, noi non vediamo dove si possa fondare una presunzione generica di colpa a carico del vettore quando il fatto anormale che si ammette come produttivo del danno può egualmente dipendere da cause esterne ed estranee a lui, delle quali egli non è tenuto affatto a rispondere».

 

[74] In tali termini, limitandosi alla giurisprudenza di legittimità, con riferimento all’art. 409 c. nav. (ma con estensione anche all’art. 1681 c. civ., e con la precisazione comunque del «ragionevole affidamento» del vettore sulla prudenza e senso di responsabilità del passeggero): Cass., 29 marzo 1979, n. 1803, in Giur. it., 1980, I, 1, 688; v. anche Cass., 3 luglio 1978, n. 3285, in Porti mare territorio, 1979, 119. Contro tale impostazione, fra gli altri: A. Antonini, Corso di diritto dei trasporti, cit., 219; C. De Marco, La r.c. nel trasporto di persone e di cose, Milano, 1985, 263; A. Lefebvre d’Ovidio – G. Pescatore – L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, cit., 466. Nella medesima ottica sembra anche M. Stolfi, Appalto – Trasporto, Milano, 1961, 119. Ma, nel senso che la prova dell’anormalità o accidentalità della prestazione ricada sul passeggero sembra, nella letteratura recente, M. Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, Torino, 2000,  70. D’altronde, secondo Rel. min. c. nav., § 244., comunque «… incombe sul passeggero, quale titolo costitutivo dell’azione, l’onere di dimostrare il rapporto di dipendenza fra la causa imputabile e il sinistro».

 

[75] Ed in questa chiave, non sembra improprio nemmeno quanto sostenuto da un autore in commento ad una decisione di merito che si inserisce nel menzionato indirizzo giurisprudenziale: «L’orientamento giurisprudenziale in merito alla responsabilità del vettore marittimo di persone e in particolare all’onere probatorio del nesso causale a carico del passeggero, è maggiormente in linea con quanto previsto dalla normativa uniforme che con l’art. 409 cod. nav.» (così: E. Monzani, Brevi note sulla responsabilità del vettore marittimo di persone, nota a Trib. Genova, 17 ottobre 2002, in Dir. mar., 2004, 515, 521).

 

[76] Cfr. A. Zunarelli, Trasporto internazionale, cit., 93; A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 281.

 

[77] Tale sentenza ha avuto vastissima eco, ed è pubblicata in varie riviste giuridiche, fra cui in Giust. civ., 1985, I, 2450, con nota di M. Grigoli, Luci ed ombre della sentenza della Corte Costituzionale sulla parziale illegittimità delle leggi di esecuzione della Convenzione di Varsavia e del protocollo dell'Aja, relativi al trasporto aereo internazionale; in Dir.mar., 1985, 751, con nota di E. Fogliani, La limitazione della responsabilità del vettore aereo internazionale di persone nel giudizio della Corte costituzionale e in Foro it., 1985, I, 1586, con nota di F. Pardolesi. 

 

[78] C. cost., 6 maggio 1985, n. 132, cit, § 4.3 della motivazione.

 

[79] C. cost., 6 maggio 1985, n. 132, cit, § 6 della motivazione.

 

[80] G. Silingardi, Limite di risarcimento nei trasporti aerei internazionali di persone (l. 7 luglio 1988, n. 274), in Nuove leggi civ. comm., 1989, 772, 775.

 

[81] Sulla l. 7 luglio 1988, n. 274, v. anche G. Romanelli, Problémes de légitimité constitutionelle dans la législation italienne sur les limites des dommages-intérets dans le systéme de Varsovie, in Liber Amicorum Honouring Nicolas Mateesco Matte, a cura di G. Rinaldi Baccelli, Parigi, 1989, 269, 275-277; G. Guerreri, Law no. 274 of 7 July 1988: a Remarkable Piece of Italian Patchwork, in Air Law 1989, 176, nonché le considerazioni di T. Ballarino – S. Busti, La responsabilità del vettore aereo internazionale dal punto di vista italiano, in Dir. Trasp., I/1989, 7.

 

[82] Tale formula ricalca quella contenuta in altri strumenti di diritto uniforme in campo marittimo: v. ad esempio Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969 sulla responsabilità civile per inquinamento di idrocarburi (c.d. CLC), art. VII, § 1; Convenzione di Londra del 3 maggio 1996 (c.d. HNS), art. 12. La nozione di «other financial security», come del resto nel testo in esame, è accompagnata da un’esemplificazione («such as the guarantee of a bank or similar financial institution»).

 

[83] L’unico riferimento all’assicurazione, nel precedente Protocollo di emendamento Londra del 29 marzo 1990, è nell’art. VIII, che, a proposito dell’adeguamento dei limiti risarcitori, evoca, fra i fattori di cui tener conto, la valutazione dell’incremento dei relativi costi assicurativi. Va incidentalmente osservato che l’assicurazione prevista dal Protocollo del 2002 è comunque un’assicurazione di responsabilità del vettore (ai sensi dell’art. IV bis, § 1, l’assicurazione in questione deve coprire «liability under this Convention in respect of the death of and personal injury to passengers»): essa non può quindi essere intesa come succedanea rispetto ad un maggior livello di tutela del passeggero che sarebbe derivato da una più ampia sfera di imputabilità al vettore medesimo (diversamente da quanto invece è stato sostenuto nell’ambito dei lavori preparatori: cfr. B. Soyer, Sundry Considerations, cit., 526). La questione si porrebbe in maniera diversa di fronte ad un’assicurazione infortuni, analoga a quella che il codice della navigazione prevedeva per il trasporto aereo di passeggeri, all’art. 996 ss. del testo antecedente alla novella introdotta con il d. lgs. 9 maggio 2005, n. 96, il cui art. 18 (in luogo di aumentare il livello minimo del massimale), ha integralmente abrogato il capo I del titolo IV del libro III della parte II. In dottrina, nel senso della maggior rispondenza alle esigenze di tutela dei passeggeri e di compressione del livello delle liti di un’assicurazione obbligatoria passeggeri, piuttosto che di un’assicurazione di responsabilità del vettore (che è invece la soluzione mantenuta anche nella parte aeronautica del codice della navigazione, dopo la menzionata novella), v. M. Grigoli, In merito alla regolamentazione comunitaria della responsabilità del vettore aereo, in Giust. civ., 1999, 305, 310; Id., La tutela delle vittime degli incidenti aerei nella più recente evoluzione di diritto comunitario e uniforme, cit., 366 e 369. In effetti, nella fase preparatoria della revisione della Convenzione di Atene, si prospettò anche (da parte del CMI) l’ipotesi di un’assicurazione infortuni: cfr. l’intervento alla Cinquième journée Ripert del 29 giugno 1998 di G. Helligon, Vers l’assurance obbligatorie de navires, in D.M.F., 1998, 739, 740, seguendo un’ipotesi formulata a suo tempo nel già menzionato progetto del CMI del 1923; l’opportunità di introdurre un’assicurazione obbligatoria infortuni dei passeggeri marittimi era stata a suo tempo fortemente contestata nella letteratura italiana da T. C. Giannini, Un progetto da abbandonare (L’assicurazione obbligatoria dei passeggeri), cit. (v., in particolare, p. 22 e segg. dell’estratto), che paventava che un siffatto intervento potesse alterare il regime di sopportazione dei rischi.

 

[84] Art. IV bis, § 10. Un analogo meccanismo non è invece previsto nella Convenzione di Montreal del 1999, che si limita, all’art. 50, a prevedere l’assicurazione obbligatoria.

 

[85] Diversamente che in altri regimi di diritto uniforme che prevedono sistemi di assicurazione obbligatoria (cfr. Convenzione di Bruxelles del 29 novembre 1969 sulla responsabilità civile per inquinamento da idrocarburi, art. VII, § 11), non è prevista la possibilità per lo Stato portuale di escludere le navi di bandiera estera che non ottemperino ai requisiti assicurativi. Una previsione in tal senso, in campo aeronautico, è stata viceversa unilateralmente assunta dall’Italia con l’art. 3 della l. 7 luglio 1978, n. 274, relativamente agli aerei che non fossero stati coperti in conformità di tale legge per la responsabilità vettoriale (cfr. G. Silingardi, Limite di risarcimento nei trasporti aerei internazionali di persone, cit., 772).

 

[86] Cfr. A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 282.

 

[87] Sul rilievo dell’assicurazione obbligatoria nell’ambito delle norme «a salvaguardia della scurezza dell’attività», v. (con riferimento al regolamento CE 2027/1997, cit.), M. Grigoli, In merito alla regolamentazione comunitaria della responsabilità del vettore aereo, cit., 305.

 

[88] In tal senso sembra orientato anche A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 282.

 

 

[89] Cfr. Convenzione di Montreal del 1999, art. 28. A livello di disciplina comunitaria, già nel suo testo originario, il reg. CE 2027/1997, cit.,  all’art. 5, § 1, richiede al vettore (con formula parzialmente emendata dal reg. CE 889/2002) di provvedere senza indugio, e comunque entro quindici giorni dall'identificazione della persona fisica avente titolo ad indennità, agli anticipi di pagamento che si rendano necessari per far fronte ad immediate necessità economiche,  in proporzione al danno subito (ma, per i problemi derivanti dall’identificazione dell’avente diritto, v. G. Silingardi, Reg. CE 2027/97, cit., 630). L’importo minimo di tali pagamenti è precisato nel successivo § 2 dello stesso art. 5, in 15.000 DSP per ciascun passeggero (poi elevati a 16.000 DSP dal regolamento CE 889/2002). Sull’opportunità di tale previsione, v. in generale M. Grigoli, La tutela delle vittime degli incidenti aerei nella più recente evoluzione di diritto comunitario e uniforme, cit., 366.

 

[90] Osservava al riguardo G. Romanelli, Il regime di responsabilità del vettore aereo per infortunio al passeggero in base al reg. 2027/97, in Studi in memoria di Maria Luisa Corbino, Milano, 1999, 749, 764, che «i vettori ed i loro assicuratori tendono sempre a condizionare ogni pagamento alla definizione di ogni pretesa e al rilascio di una quietanza liberatoria».

 

[91] V. per tutti F. Berlingieri, Armatore ed esercente, in Dig. comm., I, Torino, 1987, 225, 236; in argomento v. anche A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 282. Per una comparazione degli effetti dell’applicazione del regime della limitazione nel codice della navigazione rispetto all’applicazione del regime di diritto uniforme (non vigente in Italia), prendendo come spunto il caso del traghetto Moby Prince (in cui peraltro l’armatore non si avvalse della limitazione): F. Berlingieri, La responsabilità dell’armatore e la sua limitazione, in Studi in onore di Enzio Volli, Trieste, 1993, 25, 36 ss.

 

[92] Sembra che una soluzione meno iniqua rispetto a quella che deriva dal limite, ai sensi dell’art. 275 c. nav., e dalla ricordata applicazione giurisprudenziale, sia data dalla Convenzione sulla limitazione dei crediti marittimi di Londra del 19 novembre 1976, c.d. LLMC, non ratificata dall’Italia, il cui art. 7 prevede un limite distinto per le azioni conseguenti ai danni da morte o lesioni fisiche subite dai passeggeri. Nel testo originario di quest’ultima convenzione, è previsto un limite di 46.666 DSP per ciascun passeggero, con un limite massimo complessivo di 25.000.000 DSP; il Protocollo di emendamento del 1996 ha abolito il limite globale complessivo ed ha elevato il limite per passeggero a 175.000 DSP (art. 7, § 1, Convenzione LLMC, nel testo emendato dall’art. 4 del Protocollo del 2 maggio 1996, entrato in vigore, a livello internazionale, il 13 maggio 2004), con allineamento ai limiti previsti per il trasporto di passeggeri dalla Convenzione di Atene del 1974, nel testo emendato dal Protocollo del 1990 (art. 7, § 1,  della Convenzione di Atene del 1974, come emendata dall’art. II, § 2, del Protocollo di Londra del 29 marzo 1990).

 

[93] In giurisprudenza, v. in tal senso Cass., 19 ottobre 1982, n. 5409, in Giust. civ., 1983, I, 131, con nota conforme di M. Grigoli, Sulla determinazione del limite del debito del vettore marittimo di cose; Trib. Napoli 12 luglio 1988, in Giur. mer., 1989, 1141; Trib. Genova 22 marzo 1986, in Dir. mar., 1987, 97; App. Palermo 14 aprile 1984, in Riv. giur. circ. trasp., 1985, 359. Con posizione invero minoritaria, G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, 1156, riconduce l’auto al seguito nella nozione di «bagaglio consegnato», anche con riferimento all’attuale quadro normativo vigente. Sulla nozione di «bagaglio», v. in generale, esaustivamente, E. Rosafio, Riflessioni sulla responsabilità del vettore aereo di bagaglio nella disciplina legale, ne Il nuovo diritto aeronautico – In ricordo di Gabriele Silingardi, Milano, 2002, 648 (con riferimento specifico alla responsabilità per il bagaglio consegnato nel trasporto marittimo, ivi, 657 ss.).

 

[94] C. cost., 26 maggio 2005, n. 199, in Dir. mar., 2005, 481, su ordinanza di rimessione della Corte di cassazione (Cass., 8 aprile 2003, n. 5514, in Dir. mar., 2005, 522). Tale pronunzia fa seguito, peraltro, a C. cost., 19 novembre 1987 n. 401, in Dir. trasp., II/1988, 196, con nota critica di M.M. Comenale Pinto, Brevi considerazioni sul limite del debito del vettore marittimo e sulla sua legittimità costituzionale, che aveva escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 423 c. nav., sull’assunto che «Il contenuto dell’art. 423 Codice navigazione trova ... la sua ragione, sostanziale nell’equilibrio delle prestazioni, implicito nel libero gioco della domanda e dell’offerta del servizio. L’entità del risarcimento è in funzione del costo dell’operazione di trasporto: il vettore, conoscendo, attraverso la dichiarazione del caricatore, l’effettivo valore della merce, è posto al corrente dell’entità della sua eventuale obbligazione risarcitoria e può perciò adeguare ad essa il nolo. Sì che l’operatività del limite è in funzione di un atto di autonomia di uno dei soggetti del rapporto (caricatore), libero di scegliere fra risarcimento non limitato (con maggiorazione del nolo) e risarcimento indicato nella prima parte del primo comma dell’art. 423 Codice navigazione (con conseguente minor incidenza del corrispettivo)». L’illegittimità era stata esclusa (con motivazione invero eccessivamente sintetica) da C. cost. 14 marzo 2003, n. 71, in Dir. mar., 2004, 88, ed in Dir. trasp., 2004, 121, anche rispetto alla posizione dell’utente non professionale. Rispetto alla posizione di quest’ultimo, già in passato si era avanzata l’ipotesi dell’illegittimità del limite (Trib. Genova ordinanza 21 novembre 1988, in Dir. trasp., II/1989, 186 e in Dir. mar., 1991, 334, con nota di F. Berlingieri, Il limite del debito del vettore secondo il codice della navigazione e la Convenzione di Bruxelles a raffronto), ma sulla questione venne rilevata la carenza di motivazione in ordine alla rilevanza (Corte cost. ordinanza 10 gennaio 1991, n. 8, in Dir. trasp., 1992, 485, con nota di L. Tullio, L’agevole esplicazione della dichiarazione di valore come presupposto della valutazione di costituzionalità dell’art. 423 c. nav.).  La pronunzia di illegittimità costituzionale incide sulla lettura dell’art. 423 c. nav. seguita dalla Corte di cassazione, secondo cui il vettore non sarebbe decaduto dal limite nemmeno in caso di dolo o di colpa grave: v. così Cass. 23 aprile 1969, n. 1278, in Riv. dir. nav,, 1970, II, 202, con nota di L. Tullio, Confini dell’applicabilità della limitazione del vettore; Cass. 27 aprile 1984, n. 2643, n. 2643, in Dir. mar., 1984, 864. Nella giurisprudenza di merito, v., nel medesimo senso: App. Palermo 14 aprile 1984, in Riv. giur. circ. trasp., 1985, 389; App. Messina, 25 gennaio 1980, in Vita not., 1981, 1034. Contra: Trib. Cagliari 10 ottobre 2000, in Dir. trasp., 2001, 805, con nota di L. Tullio, Ancora sull'applicabilità del limite del vettore marittimo in caso di colpa grave; Trib. Livorno 20 settembre 1997, in Dir. mar., 1999, 814; Trib. Genova 11 giugno 1986, in Dir. mar., 1987, 357; App. Cagliari 6 settembre 1985, in Riv. giur. sarda, 1986, 743. In dottrina, sul rilievo della dichiarazione di valore, nell’ottica della «fair opportunity» per il caricatore di sottrarsi attraverso di essa al regime di limitazione, v. M. Riguzzi, La responsabilità limitata del vettore marittimo di merci, Milano, 1993, 160 ss.

 

[95] Cfr. G. Romanelli, Autonomia privata e norme inderogabili in materia di trasporti, in Dir. trasp., 1998, 1, 15; M.M. Comenale Pinto, In tema di agevole esplicazione della dichiarazione di valore, in atti del Convegno Il limite risarcitorio nell’ordinamento dei trasporti, cit., 209, ivi 209-210 e ulteriori riferimenti in nota 1.

 

[96] Ed in tale occasione, se non a livello di diritto comunitario, dovrebbe trovare soddisfazione anche la ricordata esigenza (segnalata dal Libro bianco sui trasporti del 12 settembre 2001, cit., 87) di estendere  al trasporto marittimo di passeggeri quelle forme di tutela dell’utente che sono state già considerate dal legislatore per quanto concerne il trasporto aereo.

 

[97] C. cost., 26 maggio 2005, n. 199, cit.