N. 3 – Maggio 2004 – Lavori in corso –
Contributi
Primi
appunti sul patrimonio separato della società per azioni
1. – Il tema che mi è
stato assegnato è il patrimonio separato della società per azioni, istituto che
nel progetto di decreto delegato è disciplinato agli articoli 2447-bis e seguenti, ove trovano attuazione i
principî che si leggono all’art. 4, comma 4°, lett. b, della legge 3 ottobre 2001, n. 366, che mira a «consentire che
la società [per azioni] costituisca patrimoni dedicati ad uno specifico affare,
determinandone condizioni, limiti e modalità di rendicontazione, con la
possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione ad esso;
prevedere adeguate forme di pubblicità; disciplinare il regime di
responsabilità per le obbligazioni riguardanti detti patrimoni e la relativa
insolvenza».
Senza dubbio alcuno, il
patrimonio separato è uno degli istituti che di più ha fatto discutere la
Commissione di riforma del diritto societario e – caso ritengo unico – la
discussione interna alla Commissione, e i dissensi colà emersi, sono già
approdati alle riviste giuridiche[1]. Ciò
era forse inevitabile tenuto conto, non solo della novità dell’istituto, ma
anche del fatto che l’ambizione coltivata dal legislatore è quella di coniugare
le categorie della pandettistica e i modelli della microeconomia, tentando così
un ideale dialogo tra Alois Brinz e Immanuel Bekker[2] – gli
studiosi che nell’Ottocento hanno teorizzato lo Zweckvermögen - e Richard Posner[3].
Infatti, la separazione patrimoniale è pensata
dal legislatore delegante nella duplice funzione: di strumento per conseguire un
risparmio dei costi di gestione, perché si vuole evitare il ricorso alla
creazione di società controllate che sono mero veicolo dei rapporti giuridici che si vogliono rendere autonomi; di
strumento che consente di ampliare e diversificare i canali di finanziamento
dell’impresa.
Il senso del nuovo
istituto può sintetizzarsi nel fatto che - entro i limiti e le condizioni
tassativamente disciplinate – la società per azioni potrà derogare al principio
generale dell’universalità della responsabilità patrimoniale, che si legge
all’art. 2740 c. civ., in ordine alla quale il debitore risponde con tutti i
suoi beni presenti e futuri, avendosi così un fenomeno di specializzazione della responsabilità patrimoniale, perché sui beni
separati può separarsi solo la classe creditoria privilegiata[4].
Di fronte ad un nuovo
istituto la tentazione non infrequente è quella di segnalare convergenze e
dissonanze rispetto ad altri istituti già conosciuti dal nostro ordinamento: a
questo riguardo, i riferimenti che sono sembrati più appropriati sono quelli
dell’associazione in partecipazione, della cartolarizzazione dei crediti, del project financing[5]. Se
proprio si volesse scegliere un modello prossimo nel diritto vigente, credo si
potrebbe utilmente fare riferimento alla limitazione della responsabilità
armatoriale (prevista dell’art. 275 c. nav.), alla stregua della quale
l’armatore, per le obbligazioni contratte in occasione e per i bisogni di un
viaggio e per le obbligazioni sorte da fatti o atti compiuti durante il viaggio
stesso, ad eccezione di quelle derivanti da dolo o colpa grave, può limitare il
suo debito ad una somma pari al valore della nave (che, ai sensi dell’art. 276
c. nav. è quello del momento in cui si è chiesta la limitazione e non oltre
alla fine del viaggio, sempre che esso non sia inferiore al quinto o superiore
ai due quinti del valore che aveva la nave all’inizio del viaggio) e
all’ammontare del nolo e di ogni altro provento di viaggio[6].
Al contempo, e questa
volta sul piano della comparazione e poi della circolazione dei modelli giuridici, non sfugge una qualche
equivalenza funzionale del nuovo istituto con il trust di diritto anglosassone e proprio il trust è richiamato nella relazione illustrativa al c.d. progetto
Mirone[7]
- da cui la disposizione inerente ai “patrimoni dedicati” è stata
sostanzialmente ripresa -, che espressamente esorta il legislatore delegato a
confrontarsi con questo istituto.
2. – Chi parla, per il fatto di aver
partecipato alla redazione di questa parte della legge delegata, è forse la
persona meno adatta a proporne un’interpretazione, atteso che la lettura che
sono in grado di suggerire è inevitabilmente influenzata dalle considerazioni e
dalle esemplificazioni che si sono proposte in sede di formulazione delle
norme. Anche per questo, nel tempo che mi è stato assegnato, desidero limitare
la mia analisi a tre diversi ordini di considerazioni: a) sull’impianto normativo che il legislatore delegato ha adottato;
b) sulla funzione del nuovo istituto;
c) sulla sua disciplina.
Per quanto concerne la struttura dell’impianto
normativo del nuovo istituto, alla Commissione sono state sottoposte tre
possibili alternative:
i)
un modello, che potrebbe dirsi sub-societario,
in quanto caratterizzato da un regime che tendenzialmente duplicava nella disciplina
del patrimonio separato la struttura e le regole di funzionamento della società
(prevedendo un autonomo organo di amministrazione, un organo di controllo, un
nome, e così via);
ii)
un secondo modello, che ravvisava nel patrimonio separato lo
strumento per assoggettare una parte del patrimonio sociale a regole speciali
di gestione, rilevanti anche sul piano della responsabilità ed opponibili nei
confronti dei soggetti terzi;
iii)
infine, un modello che intendeva valorizzare la destinazione
patrimoniale sul piano essenzialmente finanziario, atteso che la separazione
del patrimonio era destinata ad spiegarsi esclusivamente sui proventi derivanti
da un’attività futura.
La scelta della
Commissione si è orientata verso il secondo e il terzo modello, mentre ha respinto
il primo; così che oggi l’art. 2447-bis
del progetto, che espressamente s’intitola ai Patrimoni destinati ad uno specifico affare, prevede che la società
possa «a) costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinati in via
esclusiva ad uno specifico affare; b) convenire che al rimborso totale o
parziale del finanziamento di uno specifico affare siano destinati i proventi
dell’affare stesso, o parte di essi».
Con il primo la
società, entro il limite del dieci per cento del patrimonio netto, destina una
parte del patrimonio sociale alla soddisfazione dei creditori sociali che
vantano un titolo specifico sul patrimonio separato. Con il secondo, che si
risolve tutto nel disposto di cui all’art. 2447-decies, sotto l’epigrafe «finanziamento destinato ad uno specifico
affare» introduce una forma di destinazione essenzialmente finanziaria, atteso
che al rimborso totale o parziale del finanziamento di uno specifico affare
sono destinati i proventi dell’affare stesso, o parte di essi, di cui si assicura
una sostanziale prededuzione in sede fallimentare. In questo caso, infatti, ciò
che si separa dal restante patrimonio sociale sono i crediti futuri derivanti
dall’attività realizzata in virtù di un nuovo apporto economico.
Il fulcro
dell’istituto, nelle due concretizzazioni, è costituito dall’opponibilità ai
terzi del vincolo di destinazione e dal regime della responsabilità per le
obbligazioni contratte per realizzare l’affare cui il patrimonio è destinato.
Quanto al primo punto, dall’iscrizione della deliberazione costitutiva nel
registro delle imprese decorre il termine di due mesi entro il quale i
creditori della società possono fare opposizione, atteso che successivamente
non potranno far valere alcun diritto su quella parte del patrimonio sociale. Per
quanto concerne il regime della responsabilità, la società può scegliere se per
le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare risponderà solo il
patrimonio separato ovvero se risponderà sussidiariamente anche con il restante
patrimonio sociale (o con parte di esso).
3. – Veniamo a talune considerazioni sulla
funzione dei patrimoni separati della società per azioni.
Collegandomi al Leitmotiv proposto questa mattina da
Gaetano Presti[8],
nell’illustrarci la metafora del banchetto ove sono serviti i manicaretti del
diritto societario, direi senz’altro che il senso del nuovo istituto si coglie
nel modo in cui si divide ciascuna portata e sceglierei, allora, senz’altro la
battuta con cui Merton Miller soleva spiegare il teorema che condivide nella
paternità con Franco Modigliani: «non dividere la pizza in sei pezzi, tanto
oggi ne mangio solo quattro»[9].
Faccio riferimento non a caso al teorema di
Modigliani e Miller, perché il senso del nuovo istituto si manifesta
essenzialmente nell’incidenza della struttura finanziaria della società sul
costo del capitale, in una prospettiva che è tipicamente di corporate finance[10].
Il dibattito che il teorema ha suscitato suggerisce di sovvertirne le
conclusioni, atteso che nel mercato la struttura finanziaria determina e
divarica il costo del capitale di debito e, conseguentemente, costituisce un
fattore decisivo al fine di verificare l’efficienza dell’impresa, segnatamente
per quanto concerne l’imposizione fiscale, l’incidenza sul costo del debito, la
trasmissione di informazioni rilevanti al mercato, l’incremento della liquidità
(cash flow)[11].
In questa prospettiva,
la struttura dei patrimoni dedicati della società per azioni sicuramente ha
l’effetto d’incidere sul costo del capitale di debito, atteso che assicura a
taluni creditori una posizione doppiamente privilegiata:
a)
il credito è tutelato in maniera specifica dal vincolo di
destinazione, sottraendolo alla concorsualità con gli altri creditori
dell’impresa;
b)
sono ridotti i costi di monitoraggio del creditore/investitore,
atteso che questi deve guardare non a tutto il patrimonio sociale, ma solo alla
parte perimetrata dal vincolo di destinazione, rispetto al quale ha
verosimilmente acquisito informazioni specifiche e privilegiate, nonché
eventualmente taluni poteri di controllo
Questa considerazione
mi consente di svolgerne immediatamente un’altra, che si collega direttamente
alla norma che consente alla società di prevedere quale regime di
responsabilità per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare
la responsabilità sussidiaria del patrimonio della società insieme al patrimonio separato (art. 2447-quinquies, 3° comma).
In effetti, il punto di
osservazione più significativo per analizzare il nuovo istituto non è
costituito dalla limitazione della responsabilità, quanto dal fatto che con il
patrimonio separato si ‘destina’ alla garanzia di taluni creditori un
determinato attivo patrimoniale che è posto al riparo dalle pretese degli altri creditori della società[12].
In questo modo, è
evidente che si realizza una forma evoluta di garanzia dei creditori,
conseguendosi un duplice risultato: da un lato, la separazione può servire a
sottrarre un nuovo apporto finanziario al regime della garanzia patrimoniale
generica e, dunque, alle pretese dei precedenti creditori dell’impresa;
dall’altro, e concorrentemente, ciò che rileva in termini di garanzia possono
essere non i beni attualmente presenti nel patrimonio, ma il flusso di reddito
futuro che essi sono idonei a produrre e di qui, dunque, la necessità – economica,
prim’ancora che giuridica – di assicurarne la separazione rispetto agli altri beni dell’impresa
Con il che mi sembra
trovare conferma una considerazione di carattere generale, in ordine alla quale
punto d’incidenza giuridico-economica del finanziamento non è più l’impresa, ma
la singola iniziativa imprenditoriale, di cui si valuta l’intrinseco equilibrio
economico finanziario e rispetto alla quale i soggetti interessati predetermino
convenzionalmente il regime di ripartizione dei rischi.
4. – Concludo queste
mie riflessioni avendo riguardo alla disciplina del nuovo istituto e,
segnatamente, prima ad una regola che non
c’è, poi ad una regola che, invece, è espressamente prevista dal testo
della riforma.
Il nuovo istituto non
prevede una regola per i rapporti intergestori, ovverosia per gli scambi di
ricchezza che possono aversi tra il patrimonio separato e il restante
patrimonio della società[13].
Dalla riflessione
maturata nei casi in cui la separazione patrimoniale è solo contabile – come nel caso delle sezioni di credito speciale o,
per altro verso, delle c.d. tracking
stocks, ossia delle azioni il cui rendimento è correlato ai risultati di un
determinato settore dell’attività sociale – siamo avvertiti della concretezza
del tema: emblematico è l’utilizzo d’una provvista patrimoniale riferibile ad
un diverso comparto patrimoniale, caso in cui si ritiene che nel reintegrare la
liquidità debbano includersi gli interessi nel frattempo maturati[14].
Problema che per i patrimoni separati può, verosimilmente, trovare soluzione
desumendo la norma di comportamento dai doveri fiduciarî connessi all’attività
gestoria[15].
Vengo alla seconda
regola, che invece è espressamente prevista nel progetto del decreto delegato:
faccio riferimento alla previsione che si legge all’art. 2447-quinquies e che codifica in termini
sistematici una delle più significative novità della riforma, alla stregua
della quale «resta salva tuttavia la responsabilità illimitata della società
per le obbligazioni derivanti da fatto illecito».
Con questa norma si
opera una precisa distinzione tra i creditori che volontariamente hanno
accettato di soddisfarsi sui beni gravati dal vincolo di destinazione rispetto
ai creditori che, invece, non hanno scelto il proprio debitore perché hanno
subìto un fatto illecito[16].
Col rendere
inopponibile la limitazione della responsabilità, si vuole evitare che la
separazione patrimoniale determini un incentivo anomalo a frazionare il rischio
d’impresa e ad ‘esternalizzarlo’ sui creditori involontari.
Al contempo, il legislatore non ha voluto
trasformare gli altri creditori in ‘assicuratori’, non v’è dubbio, infatti, che
l’imprenditore è il soggetto più idoneo a governare il rischio e a prevenire il
danno (è quindi il cheapest cost avoider);
semmai, si è voluto porre un incentivo affinché tutti i finanziatori
dell’impresa, nel negoziare la propria posizione, inducano l’imprenditore ad
assicurare il rischio che si determina per i soggetti terzi.
5. – Non è evidentemente agevole valutare prognosticamente
l’impatto del nuovo istituto: sarà evidentemente il mercato a decidere se il
patrimonio separato costituisce una risposta adeguata alle esigenze degli
operatori economici e più efficiente rispetto alle alternative offerte dal
diritto nazionale e straniero.
Credo, in ogni caso, che il patrimonio separato
della società per azioni sarà un istituto dotato d’un rilevante valore
segnaletico per i creditori e, più in generale, per il mercato, nel senso che
sarà un istituto di per sé capace di comunicare al mercato informazioni
rilevati su come, in termini patrimoniali,
la società è organizzata e gestita.
Al contempo, con l’aver incrementato e
diversificato i possibili strumenti giuridici a disposizione dell’imprenditore
italiano, il legislatore delegato ha, in ogni caso, attuato uno dei fini che la
riforma del diritto societario si prefiggeva.
[1] Si v. P. Ferro-Luzzi, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. soc., 2002, 121 ss. (e cfr. anche Id., I patrimoni “dedicati” e i “gruppi” nella
riforma della società per azioni, in
Riv. not., 2002, 271 ss.), e in senso sostanzialmente opposto
F. Di Sabato, Sui patrimoni dedicati nella riforma
societaria, in Le società, 2002,
665 ss., e Id., Brandelli di
esperienza (non del tutto negativa) di un aspirante legislatore, testo
dattiloscritto dell’intervento inviato al convegno Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private
promosso dall’Associazione Disiano Preite a Varese, 20 settembre ’02, che la
cortesia dell’Autore mi ha consentito di leggere.
[2] V. A.
Brinz, Lehrbuch des
Pandektenrechts, vol. I, 2a ed. modificata, Erlangen, 1873,
201 ss., e il vol. III, parte II (Das Zweckvermögen), 2a ed. modificata,
Erlangen, 1888, in part. 453 ss.; E.I. Bekker,
System des heutigen Pandektenrechts, vol.
I, Weimar, 1886, 141
ss.
[3] Ad esempio cfr. R.A. Posner,
Economic Analysis of Law, 4a ed.,
Boston-Toronto-London, 1992, 391 ss.
[4] Sulle radici storiche del principio della responsabilità patrimoniale
e sulle implicazioni sistematiche connesse al nuovo istituto sia consentito
rinviare al mio studio su Autonomia e
separazione del patrimonio, nella prospettiva dei patrimoni separati della
società per azioni, in corso di pubblicazione sulla Rivista di diritto civile.
[5] Cfr. ad es. C. Rabitti
Bedogni, Patrimoni dedicati,
in Riv. not., 2002, I, 1121 ss.
[6] V. il classico scritto di E. Spasiano,
Il fondamento logico del principio
della libertà armatoriale, in Riv.
dir. nav., 1943-1948, I, 125 ss., ove una diffusa considerazione delle
ragioni di politica del diritto che sorreggono l’istituto; per un’analisi
storica v. segnatamente B. Diebstelkamp,
Die Lehre von Schuld und Haftung,
in H. Coing e W. Wilhelm (a cura di), Wissenschaft und Kodifikation des
Privatrechts im 19. Jahrhundert, vol. VI, Zur
Verselbstständigung des Vermögens gegenüber der Person im Privatrecht,
Frankfurt am M., 1982, 21 ss., in part. 32 ss.; per
informazioni e per i necessarî riferimenti bibliografici v. F. Berlingieri, voce Armatore ed esercente di aeromobile, in Dig. comm., vol. I, Torino, 1987, 225
ss.
[7] Si legge in Riv. soc.,
2000, 25 ss., alla p. 43.
[8] La cui Relazione
introduttiva può leggersi al seguente indirizzo http://www.associazionepreite.it/html_file/..\utility\visualize.asp?id=91.
[9] Battuta che a sua volta l’economista americano aveva preso a
prestito da un noto telecronista di baseball,
Yogi Berra.
[10] Ci si riferisce ovviamente a F. Modigliani
e M. Miller, The Cost of Capital, Corporation Finance and
the Theory of Investment, in (Am.
Economic Rev., 48 [1958], 261 ss., ora parzialmente riprodotto in) R.A. Posner e K.E. Scott (a cura di), Economics
of Corporation Law and Securities Regulation, Boston-Toronto, 1980, 237 ss.
Un’illustrazione e una rassegna delle principali opinioni in O. Hart, Financial Contracting, in J.
of Economic Literature, 39 (2001), 1079 ss.
[11] Esemplarmente per questa impostazione v. P.H. Huang e M.S. Knoll, Corporate
finance, Corporate Law and Finance Theory, in S. California Law Rev., 74 (2000), 175 ss.
[12] Per questa prospettiva v. soprattutto H. Hansmann e R. Kraakman,
Il ruolo essenziale dell’organizational
law, estratto dalla Riv. soc., 2001,
21 ss.
[13] V. sul punto G.B. Portale,
Dal capitale “assicurato” alle “tracking
stocks”, estratto dalla Riv. soc.,
2002, 146 ss., a p. 168.
[14] Espressamente con riguardo al caso delle sezioni di credito v. G. Oppo, Sulla “autonomia” delle sezioni di credito speciale, in (Banca, Borsa, Tit. di cred., 1979, I, 1
ss., ed ora in) Banca e Titoli di credito.
Scritti giuridici, vol. IV, Padova, 1992, 26 ss., 57; analogamente per quanto concerne le tracking stocks v. J.J. Hass, Directorial Fiduciary Duties in a Tracking
Stocks Equity Structure: The Need for a Duty of Fairness, in Mich. Law Rev., 94 (1996), 2089 ss., in particolare
2126 ss.
[15] Sempre per un rapporto con le azioni correlate con riguardo ai
doveri fiduciari degli amministratori v. J.J. Hass,
Directorial Fiduciary Duties in a Tracking Stocks Equity Structure: The
Need for a Duty of Fairness, cit., 2162 ss.
[16] Aspetto su cui v. in part. H. Hansmann
e R. Kraakman, Toward Unlimited Shareholder Liability for
Corporate Torts, in Yale Law J.,
100 (1991), 1879 ss.