Memorie-2019

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: carta TERZA ROMA 

DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXVIII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

Campidoglio, 20-21 aprile 2018

 

 

A.Carile - CopiaAntonio Carile

Università di Bologna

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LA LEZIONE DEL MEDIOEVO EURO-ASIATICO:

FORZE CENTRIPETE E FORZE CENTRIFUGHE DA COSTANTINOPOLI ALLA CINA

 

 

SOMMARIO: 1. Forze centrifughe e forze centripete. – 2. Interessi tradizionali e i popoli nuovi.

 

 

1. – Forze centrifughe e forze centripete

 

Tema del congresso bizantinistico internazionale del 1966 a Oxford, proposto da Ostrogorsky e Lemerle nell'alveo delle preoccupazioni di scontro interetnico che da De Gobineau a Spengler hanno ossessionato gli ultimi due secoli di riflessione storico-filosofica occidentale, a margine del saldo insediarsi della supremazia anglosassone; le forze centripete furono in quella sede colte nell'ottica del centralismo imperiale e autocratico bizantino, di cui la ortodossia è funzione, mentre le forze centrifughe furono visualizzate nell'emergenza dei nazionalismi, delle eresie, dell'espansionismo mongolico e poi selgiuchide e ottomano. Un oriente europeo in bilico fra forze centripete e forze centrifughe.

Quando si vogliano rintracciare le radici culturali dell’immagine dell'Oriente d'Europa, – la cui unitarietà geostorica compare con la apoditticità del titolo di manuale in una giustapposizione di aree e specialità nel 1982 in L'Eurasie, di Duby e Mantran – ci si imbatte nello stereotipo di Scizia e di Sciti proposto dalla etnografia ionica, divulgato dalla etnografia ellenistico-romana, ripetuto scolasticamente dalla etnografia bizantina, letterariamente abusato nella storiografia fra '400 e '700: un concetto politico che, come ebbi a mostrare nel 1986 a Spoleto, mirava alla illegittimità civile di agglomerati etnici dalla prolificità incontenibile (polyanthropia), – ma Enea Silvio Piccolomini avrebbe più toscanamente sentenziato sterquilinium gentium – dominati dal governo della paura, segnati dalla incapacità nomadica per le arti civili. Il topos scitico andrebbe poi integrato nel repertorio de L'orient imaginaire che Thierry Hentsch nel 1988 ha proposto per l'est mediterraneo, lasciando da parte l'immaginario dei viaggi e dei romanzi sospesi fra morbide sufficienze ed esotismi sensuali, da Pierre Loti a De Amicis e l'ambigua scienza razziale su Persiani e Turcomanni da De Gobineau a De Quincey tanto per citare alcuni epigoni dell'immaginario turchesco – una biblioteca dal '400 ad oggi su cui esistono gli studi del Pertusi, i volumi di repertorio bibliografico di stampe del XVI secolo di Goellner – un’immagine naive stesa come un gentile velo di colore sulla rivoluzione industriale europea del secolo scorso, sia pure con l'avviso che Toynbee dava già nel 1935:

 

«Nella lotta per l'esistenza l'Occidente ha messo i suoi contemporanei con le spalle al muro e li ha imprigionati nella rete della sua economia dominante ma non li ha ancora disarmati delle loro distinte culture».

 

Prima di fondare la nuova disciplina accademica del mito storiografico e filosofico dell'Oriente eurasiatico, sarà bene ricordare la lezione di Volney nel 1876 cui Toynbee si appellava nel 1953 sul coraggio della conoscenza delle culture del mondo. La stereotipata contrapposizione Oriente/Occidente, pregiudizio che ancora nel 1953 ispirava un saggio di rara suggestione simbologica come quello di Juenger riproposto dal Il Mulino ne Il nodo di Gordio (1987), non possiamo lasciarla nel repertorio dei miti culturali quando nel 1992 si ripropone un saggio del 1931 di Josef Leo Seifert Le sette idee slave non esente da prevenzioni candidamente dichiarate dallo stesso curatore Arnaldo Alberti. Ammoniva Volney – facendo giustizia sommaria delle etnografie ideologiche:

 

«On ne s'est occupé que des Grecs et des Romains, en suivant servilement une méthode étroite et exclusive, qui rapporte tout au système d'un petit peuple d'Asie, inconnu dans l'Antiquité, et au système d'Hérodote, dont les limites sont infiniment resserrées; on n'a voulou voir que l'Egypte, la Grèce, l'Italie, comme si l'univers était dans ce petit espace; et comme si l'histoire de ces petits peuples était autre chose qu'un faible et tardif rameau de l'histoire de toute l'espèce» (Oeuvres complètes de Volney, Paris 1876, 588).

 

Non credo che il pregiudizio verso le culture "altre", - di cui cinque ancor virtuali di sviluppo nel contesto delle ventuno dell'elenco del Toynbee - sia sanabile con la sola buona volontà accademica: la difesa della identità culturale confusa con quella del ruolo politico ed economico, è un a priori conoscitivo sfruttato anche come risorsa narrativa dai romanzieri quando si descrivono con gli occhi dell'altro. L' ambiguità dell’"ignoranza" programmatica, delle nostre società, orientali o occidentali che siano, chiuse negli stereotipi della reciproca ignoranza, ci ricorda che più della conoscenza sono in gioco le risorse e il dominio per le risorse: una storia vecchia come l'uomo, la storia della pace e della guerra.

 

 

2. – Interessi tradizionali e i popoli nuovi

 

La fine del conflitto fra Romania e lo Eran-sahr[1] nel 628, al termine di lunghi secoli di confronto politico-militare fra i due imperi universali, segnò la fine del mondo antico[2]

 

«Come la piana dei Parti vide il legno di Dio allora uccide Cosroe sire dei Medi distruttori. Egli era invero genitore di guerre il malvagio signore dei malvagi, mentre della dolce pace era gelido persecutore. Vituperio degli Ebrei fuori legge contro le loro teste si volti ché il legno di Dio mosse alla città di Dio»[3].

 

I versi e la melopea con cui Sofronio, che sarà patriarca di Gerusalemme dal 634 al 638, celebra il ritorno trionfale della croce a Costantinopoli "città di Dio" nel 630, a coronamento della vittoria dell'impero romano cristiano sull'Eransahr e il suo sahansah, l'impero persiano mazdeista, che si definiva "regno degli Arii" dominato dal "re dei re" e cui Sofronio nega legittimità imperiale interpretandolo, forse secondo la tradizione peripatetica di Eudemo di Rodi e di Diodoro come Areion genos[4], polemon gar en genarches/ ho kakos kakon anasson quale fonte di guerra e signoria di malvagità; i versi e la melopea nel 1969 risuonarono sotto le volte della cattedrale di Bari ad opera del coro della abbadia greca di Grottaferrata, durante un incontro congressuale che vedeva a confronto esponenti culturali e scientifici delle due chiese, quella cattolica e quella ortodossa, allora in via di riavvicinamento, fra i protagonisti dello scisma del 1054: il papa e il patriarca di Costantinopoli.

La melopea solenne e remota, i bassi profondi di Sofronio di Gerusalemme per il trionfo persiano di Eraclio, "figlio di Roma", con la imprecazione contro gli Ebrei, evocarono dalle viscere della storia il clima di un antico conflitto totale, anche religioso, il clima di un antico trionfo che il 14 settembre di ogni anno si celebra ancora nella liturgia della Chiesa ortodossa[5]: mi fecero misurare nella fisicità del suono la incommensurabilità del divario culturale fra quei cristiani del VII secolo e i cristiani del XX secolo, la incommensurabilità della frattura fra il mondo del 630 e il mondo antico di cui erano eredi.

Il mutamento degli equilibri politici, economici, ideologici ed etnici influenzò lo sviluppo della storia futura dal Mediterraneo all'Oceano Indiano: paralizzate dal loro conflitto, le due formazioni imperiali non furono in grado di opporsi all'espansionismo verso ovest e verso sud dei popoli delle steppe a nord del Caspio e del Mar Nero, fenomeno che favorì l'insediamento slavo nella Russia meridionale e sul Danubio, e che aprì la strada all’espansione degli Arabi e all’unificazione dei popoli dall'Africa settentrionale all'India ad opera dell'Islam.

Nel conflitto entrarono tutti e tutto, direttamente o indirettamente: popoli, fedi, economia e società.

Già Lamprakis e Pankalos nella loro antologia del 1934 [6] avevano colto prima di Goubert (1951)[7] e della Pigulevskaia (1969)[8] il ruolo della seta e il ruolo dei popoli delle steppe nel conflitto fra Iran e Romania: da Giustiniano (527-565) a Maurizio (582-602) i romani orientali avevano usato i Turchi a nord del Caspio e del Mar Nero come loro alleati militari contro l'impero sassanide che facevano aggredire appunto da nord. Specularmente l'Iran, se non prima certo nel 626 [9], spingeva gli Avari contro il Danubio e contro la stessa capitale imperiale, mentre con i suoi eserciti puntava contro la capitale e puntava al crescente fertile, sbocco delle carovaniere orientali e sud-arabiche, e al grano dell'Egitto, indispensabile per il mantenimento delle grandi città ad alto ruolo simbolico e politico dell'impero orientale: Roma e Costantinopoli; soprattutto, indispensabile per il sostentamento dell'esercito bizantino e per la resistenza contro le invasioni dei popoli delle steppe sulla frontiera danubiana[10].

Bisanzio e l'Iran hanno come campo di battaglia immediato del conflitto il Caucaso, la zona Transcaucasica, l'Armenia, la Georgia e la Lazica, da ultimo la Siria, l'Egitto e anche il protettorato sull'Arabia ma come oggetto della loro guerra il controllo delle vie di comunicazione del grande commercio internazionale, in settori geografici che investono la via della seta e delle spezie nei suoi sbocchi nel Mar Nero e sulle coste siriane e che investono le rotte del Mar Rosso.

Il commercio di scambio era molto importante nella vita economica del vicino Oriente come risulta dai documenti che riguardano le relazioni commerciali e diplomatiche fra questi centri di potere. Gli scambi commerciali – secondo la prospettiva della Pigulevskaia – divennero per tempo oggetto delle pretese militari e delle trame diplomatiche. Il bacino del Mediterraneo era collegato all'India a sud per la via marinara del Mar Rosso e per la via delle carovane lungo le coste dell'Arabia. A nord era collegato dalle vie carovaniere che costeggiavano il Mar Nero e il Mar Caspio. In Romania in Iran e in Arabia anche nell'alto medioevo, quando la economia naturale domina gran parte del quadro economico interno, si era sviluppata una complessa economia monetaria fondata sull'oro e sull'argento. La situazione dell'agricoltura e dello sfruttamento dei contadini-servi era alla base della stabilità delle gerarchie sociali delle città bizantine ma il commercio di transito di seta e spezie costituiva un veicolo di accumulo di risorse non indifferente nel bilancio delle forze fra questi settori del mondo fra Mediterraneo e Oceano Indiano.

Già la Pigulevskaia ha elencato sulla base del Digesto i titoli principali del commercio indiano e cinese verso l'Impero romano: ferrum indicum, spezie, pietre preziose e seta in tutte le gamme da quella grezza (metaxa), la cui produzione a Bisanzio ai tempi di Giustino II (565-578) aveva stupito gli ambasciatori turchi, che ritenevano che non fosse ancora stata introdotta nell'impero bizantino; ai tessuti serici e semiserici (vestis serica vel subserica), guarnizioni di seta (nema serica) e veli ricamati (vela serta); lini fini (vela tincta carbasea)[11].

Cioè dal commercio con la Cina e con l'India derivava gran parte del materiale necessario per i segni sociali di prestigio delle gerarchie (seta e pietre preziose) e la funzione alimentare delle spezie, in primo luogo del pepe. Certo il commercio della seta è a nord nelle mani dei popoli turcofoni e a sud dei siriani e dei persiani. La carta di Castorio dimostra la consapevolezza del ruolo della via della seta per i romano-orientali verso l'India e la Cina passando per le steppe per lo Chwarezm e la Sogdiana mentre Cosma Indicopleusta mostra la attenzione bizantina per le rotte del Mar Rosso all'India.

Il commercio determina il valore di scambio della produzione e favorisce la circolazione del denaro e dunque il tentativo di controllarne le strade è un obiettivo politico- militare fondamentale per chi voglia esercitare un dominio universale non solo di nome. La conquista persiana dell'Arabia distrusse l'equilibrio fra popoli nomadici i Beduini e sedentari delle città e rovinò il sistema di irrigazione che consentiva la produzione agraria ponendo la premessa per il nuovo equilibrio fra la componente nomadica e la componente sedentaria della popolazione arabica che l'Islam avrebbe unito nella grande espansione del VII e VIII secolo.

E' tipico dell’ideologia delle classi superiori, che sia in Romania sia in Eran-sahr detenevano il loro potere dalle grandi proprietà fondiarie, considerare la terra sola forma nobile di proprietà. L’economia dei due imperi era essenzialmente rurale ed era un’economia di grandi aziende fondiarie. Abbiamo però anche testimonianza di consapevolezze mercantili e finanziarie circa la potenza dell'Impero romano, anche all'interno del ceto superiore: Cosma Indicopleusta nel VI secolo vedeva la forza dell'impero oltre che nella fede cristiana nel fatto «che tutte le nazioni commerciano nella sua moneta, il nomisma, che circola da un capo all'altro della terra e che è ammirato da tutti gli uomini e da tutti gli stati del mondo» (topogr. christ. II.75-77)[12]. E non mancarono tentativi di diversi assetti delle gerarchie sociali. All'interno dell'impero sassanide il movimento mazdakita aveva tentato nel VI secolo un processo di ridefinizione dell'ordinamento sociale, concluso non nella abolizione delle gerarchie ma nella riaffermazione della preminenza signorile e per così dire "feudale"; nell'impero orientale, dove pure il mazdakismo era stato propagandato dal circolo costantinopolitano del patrizio Eritrio, le ribellioni dei demi, le organizzazioni cittadine simbolicamente accentrate sulle fazioni del circo, e le rivolte dei latrones in Egitto, all'inizio del VII secolo, mostravano l’insofferenza religiosa e fiscale di quelle popolazioni nei confronti dell’organizzazione imperiale. Le élites romane ed iraniane avevano un concetto basso delle attività commerciali[13]; al contrario i Manichei davano un significato metaforico positivo anche al termine "mercanzia" "mercanzia di calma e di pace" in Teodoro bar Koni. Il Manicheismo aveva i suoi sostenitori laici principalmente fra i mercanti, mentre l’ortodossia Zoroastriana relegava le attività commerciali al più basso gradino etico. Il problema del manicheismo e delle sue influenze sulle fazioni, in particolare la Fazione dei Verdi, che si riuniva nella chiesa degli artigiani, la Chalcoprateia, e il suggerimento all'imperatore Giustiniano da parte dell'illustris prefetto Eritrio nella Costantinopoli del VI secolo, durante la famosa guerra persiana, di adottare il mazdakismo per conquistare la intera Asia, deve probabilmente esser considerato secondo il suggerimento dello Jarry, che non è stato preso sul serio, nella prospettiva di una scelta di gerarchia sociale fondata sulle attività commerciali piuttosto che di una gerarchia sociale basata sull'agricoltura con conseguente integrazione geografica più stretta dell'area centro-asiatica e i suoi scambi in una accentuazione pacifica della vita cittadina contro gli arroccamenti militari e rurali[14].

Nell'Asia centrale le merci che viaggiavano dalla Cina e dell'India al Mediterraneo erano dominate attraverso le vie carovaniere dagli Unni, dai Chioniti, dagli Eftaliti e dai Turchi: nel VI secolo gli eredi del regno di Kushan, gli Eftaliti, gli Unni bianchi, erano stati sconfitti dai Persiani e avevano ceduto il loro posto ai Turchi, i nuovi signori dell'Asia centrale[15]. Le tribù arabiche dei Gassanidi e dei Lahmidi vivevano nell'orbita di queste potenze ed entravano occasionalmente nel conflitto. Le città sudarabiche avevano ricchi collegamenti con i popoli dell'Africa e dell'Asia. Le merci dell'Etiopia e delle Indie erano per gran parte trasportate sulle strade carovaniere della penisola arabica.

I due imperi hanno lottato a morte per il controllo sulle vie del commercio internazionale, il cui effetto sarebbe stato di abbattere i costi di gestione del ceto dirigente – seta e gemme – , di destinare alla guerra le risorse così ottenute e infine di poter porre mano ad un effettivo dominio universale dall'Oceano Indiano al Mediterraneo, un sogno più grande di quello che avevano a suo tempo perseguito i sovrani Achemenidi – archetipo della monarchia sassanide – e Alessandro, archetipo del potere imperiale romano.

La diplomazia bizantina fino dalla seconda metà del VI secolo si era familiarizzata con le popolazioni nomadi al di là del Caucaso. Nell'incombere del problema persiano gli imperatori, da Giustino II ad Eraclio, strinsero con il kagan (qaγan) turco alleanze militari in funzione antipersiana. La prima alleanza fu sollecitata nel 567 da un’ambasceria del kagan Istemi (567-576), da Menandro chiamato Silzibulos (Sir-yab u)[16]. Menandro è un giurista della seconda metà del VI secolo che aveva scritto in continuazione di Agazia un'opera storica sugli anni 558-582, con una attenzione documentaria e una ricchezza di dati geografici ed etnologici che la sua carica di protictor consentiva di alimentare a fonti ufficiali connesse con l'archivio del domestico delle scuole (corpo scelto alloggiato nei locali dette le Scuole nel Sacro Palazzo di Costantinopoli addetto al cerimoniale e alla difesa imperiale)[17]. In occasione dell’alleanza, effettivamente stipulata nel 568, la narrazione storica di Menandro, composta verso l'avvento di Maurizio (582-602) secondo il racconto autobiografico premesso all'opera giuntaci in estratti[18], tratteggiò un’etnografia dei nomadi transcaucasici attenta alla loro potenza militare e alla loro ricchezza in metalli preziosi.

Menandro Protettore individua i nomadi turcofoni a nord del Caucaso con la categoria del temperamento "scitico"[19], termine usato dopo il V secolo per indicare un grande numero di tribù dell'Europa Orientale la cui unità geografica e culturale è un postulato bizantino come hanno rilevato Moravcsik e la Zasterova[20]. Menandro è a giorno del controllo che i nomadi turcofoni esercitano sul mercato della seta anche in ambito bizantino poiché dominano le vie carovaniere che nella loro fase terminale attraversano il loro territorio[21]; non è in grado di designare accuratamente la loro dislocazione geografica transcaucasica mentre ne conosce le qualità del territorio, descritte con grande vivezza; ne connota la posizione politica di predominio sugli Eftaliti – che già Procopio conosceva come sedentari[22] –, sui Varconiti, che per Menandro sono gli Avari[23], – nonché le sconfitte inflitte ad Alani ed Utiguri, episodi che gli storici hanno connesso con la conquista da parte dei turchi occidentali della regione fra il Mar d'Azov, il Don, il Volga e il Caucaso nel 567 [24]. Il soggiorno della ambasceria bizantina presso il kagan viene descritto circostanziatamente con una attenzione agli oggetti della cultura materiale in direzione del nerbo economico e della ricchezza[25].

Questi squarci sono desunti da relazioni di ambascerie[26] e rientrano nella medesima cultura etnografica a scopo politico-militare che aveva già fornito un esempio illustre in Prisco[27]. Ma vanno probabilmente connessi anche con la presenza di una qualificata colonia turca a Costantinopoli, dalla quale l'ambasciatore del 576 assunse ben centosei elementi, in funzione di interpreti, si può pensare, e di esperti di strade: una sorta di pedaggio che i mercanti turchi di ritorno ai loro paesi pagavano per la protezione a loro estesa dal seguito anche armato dell'ambasciatore[28].

Le relazioni di viaggio cinesi che Miyakawa e Kollautz hanno studiato nel 1984 mostrano che P'ei Chu morto nel 630 nel suo Racconto della terra occidentale e il pellegrino Hsuan-tsang (602-664) nel suo Racconto di viaggio, svolto attorno al 630, confermano le notizie di Menandro mentre i documenti del VII secolo ritrovati a Shan-san descrivono la presenza di un popolamento urbano sogdiano alle frontiere della Cina e il sogdiano sembra la lingua internazionale del commercio in questa zona dell'Asia centrale fino alla Cina[29]. Queste fonti confermano il ruolo dei Sogdiani quale è descritto da Menandro. Il cosiddetto Maniach, cioè Manicheo capo dei Sogdiani manichei, che compare nella testimonianza di Menandro, in occasione di una ambasceria turca ai persiani finita male

 

«utilizzò l’occasione e consigliò a Silzibulos che sarebbe stato meglio per i Turchi cercare e mantenere la amicizia dei Romani e vendere loro la seta grezza disponibile, dato che essi la usano molto di più di altri popoli. Maniach dichiarò anche che era molto volentieri disposto a viaggiare con gli ambasciatori turchi per stabilire relazioni amichevoli fra Romani e Turchi»[30].

 

Il parere dato ai turchi dal capo manicheo è in sintonia con il conflitto sorto fra l'universalismo manicheo e il nazionalismo zoroastriano dei mowbed[31].

Il ruolo degli Slavi, gli abitanti delle steppe che proprio durante le fasi finali del conflitto fra Romania e Iran si spostano dal nord del confine iraniano verso la Russia meridionale e le aree danubiane, è stato analiticamente indagato nella monografia, più che saggio di Dujcev del 1966: tale insediamento fu favorito dalla guerra fra i due imperi che costrinse la Romania a sguarnire la frontiera danubiana. D'altra parte il contatto con l'Iran consente al Dujcev di mostrare popolazioni slave già acculturate in senso iranico, portatrici di valori civili orientali nel contesto europeo, una tesi forse un po' ottimistica ma certo non infondata quanto ad influssi iranici nelle culture slave, quali che esse fossero nel VI secolo, sotto il profilo linguistico (toponimi, nomi di metalli, il nome stesso di dio Bog dal persiano baga, fino agli idoli del gran principe di Kiev nel X secolo: Churs che deriverebbe dal sole persiano xursid; Simarg'gl che riconduce a Simarg o Senmurw il cane alato o grifone sottoposto al potere della dea signora Anahid in Staxr[32] (35) (Sarasvati - Anahita) una cui immagine è stata trovata a Razgrad in Bulgaria nord-orientale. Il cane alato secondo Dittrich avrebbe dato origine a Zaptica il Feuervogel del folklore slavo. Mokos, cioè mat' syraja zemlja, secondo Niederle e Dvornik sarebbe la stessa Anahid denominata Ardvi Sura Ana-hi- ta, ardvi significa "umidità"[33] o di determinati oggetti della vita quotidiana e anche qualche termine istituzionale come angareia/angaria che proviene dal persiano angaroi=messaggeri, non sappiano però se in questo caso per via bizantina o per via delle steppe[34].

 

 

 


 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVIII Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: «IMPERO UNIVERSALE, CITTÀ, COMMERCI: DA ROMA A MOSCA, A NERČINSK») e dalla direzione di Diritto @ Storia]

[1] Gh. Gnoli, The Idea of Iran. An Essay on its Origin, Roma 1989, 137, 177 s.

[2] P. Lemerle, Quelques remarques sur le règne d'Héraclius, in Studi Medievali s. III, 1, 1960, 353.

[3] Theoph. Sim. VIII.15.5-6, 314.5-13; I. Dujcev, Il mondo slavo e la Persia nell'alto Medioevo, in Atti del convegno sul tema: La Persia e il mondo greco-romano (Roma 11-14 aprile 1965) [Accademia Nazionale dei Lincei, quaderno 76], Roma 1966, 243 ss., ristampato in I. Dujcev, Medioevo bizantino-slavo, II, Saggi di storia letteraria [Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi, 113], Roma 1968, 395.

[4] The History of Theophylact Simocatta, An english Translation with Introduction and Notes, by M. and M. Whitby, Oxford 1986, XIII.

[5] I. Dujcev, Medioevo bizantino-slavo, cit., 357.

[6] G.K. Lampraki - Ph.N. Pankalou, Hellenes kai Tourkoi ston VI Aiona, En Athenais 1934; non ho ancora potuto esaminare K. Synelli, Oi diplomatikes scheseis Byzantiou kai Persias os ton VI aiona [Historikes Monographies, 1], Athena 1986, 192.

[7] P. Goubert, Byzance avant l'Islam, I, Byzance et l'Orient sous les successeurs de Justinien, l'empereur Maurice, avec une préface de L. Brehier, Paris 1951.

[8] N. Pigulewskaja, Byzanz auf den Wegen nach Indien, Aus der Geschichte des byzantinischen Handels mit dem Orient vom 4. bis 6. Jahrhundert [Berliner Byzantinische Arbeiten, Band 36], Berlin-Amsterdam 1969.

[9] W. Pohl, Die Awaren. Ein Steppenvolk in Mitteleuropa 567-822 n. Chr., Muenchen 1988, 251. E.K. Kyriakis, Byzantio kai Boulgaroi (7os-10os ai.). Symboli stin exoteriki politiki tou Byzantiou, Athens 1993, non reca traccia di Persiani e del resto si occupa dell'insediamento bulgaro prevalentemente dalla fine del VII secolo.

[10] J. Durliat, De la ville antique à la ville byzantine. Le problème des subsistances, Rome 1990, 257 ss.

[11] Digesta 39.4.16.7; N. Pigulewskaja, Byzanz auf den Wegen nach Indien, cit., 78 s.

[12] Cosmae Indic. Topogr. Christ. 75-77.

[13] Gh. Gnoli, The Idea of Iran, cit., 160.

[14] A. Carile, Consenso e dissenso fra propaganda e fronda nelle fonti narrative dell'età giustinianea, in L'imperatore Giustiniano. Storia e mito, a cura di G.G. Archi, Milano 1978, 59 s.

[15] Su Menandro cfr. G.K. Lampraki - Ph.N. Pankalou, Hellenes kai Tourkoi ston VI Aiona, cit., 173 ss. (estratti da Fragmenta Historicorum Graecorum, IV, cit.) e 123 ss. sui patti intercorsi fra bizantini e turchi nel VI secolo. K. Truedinger, Studien zur Geschichte der griechisch-roemischen Ethnographie, Basel 1918, 41, 44, 51, 57, 61.

[16] Gy. Moravcsik, Byzantinoturcica, II, Sprachreste der Tuerkvoelker in den byzantinischen Quellen [Berliner Byzantinische Arbeiten, 11], 2a ed., Berlin 1958, 275. N. Pigulevskaja, Byzanz auf den Wegen nach Indien. Aus der Geschichte des byzantinischen Handels mit dem Orient vom 4. bis 6. Jahrhundert, Berlin 1969, 164 ss., 208.

[17] Cioè il comandante del corpo di guardia palatino, dipendente dal magister officiorum fino al 624, che ha fra gli altri ufficiali subordinati i protictores, un antico corpo di guardia conosciuto fra il III e il VI secolo, entrato nel numero di dieci unità (almeno nell'842 ca.) come sottufficiali portinsegna nel corpo delle scuole, almeno secondo Const. Porphyr., de cer. aulae byz., ed. I.I. Reiske, Bonn 1829, 11; cfr. N. Oikonomides, Les listes de préséance byzantines des IXe et Xe siècles, Paris 1972, 329 s. Si calcola che attorno all'842 la paga del protictor fosse di una lira d'oro, cioè otto volte superiore alla paga di un soldato comune, ma la metà di quella di un conte o del cartulario dello stesso corpo, in complesso rientrante nell'VIII classe di paga in un elenco che ne comprende undici; W.T. Treadgold, The byzantine State Finances in the eight and ninth Centuries, New York 1982, 104 e 111.

[18] Parte attraverso la Suida e parte attraverso gli Excerpta di Costantino Porfirogenito; le edizioni disponibili dei frammenti di Menandro sono pertanto: I. Bekker - B.G. Niebhur, Berolini 1829, 282 ss.; PG, 113, cc. 792-928; Fragmenta Historicorum Graecorum, ill. C. et T. Mulleri, IV, Paris 1885, 201 ss. Historici Graeci Minores, ed. L. Dindorfius, II, Leipzig 1871, 1 ss.; Excerpta de legationibus, ed. C. De Boor, Berlin 1903, 170 ss.; 442 ss.; Excerpta de sententiis, ed. U. Ph. Boissevain, Berlin 1906, 18 ss.

[19] Cfr. il trattatello sugli "Sciti" in Maur., strat. XI.2, 360 ss. (Dennis-Gamillscheg) e trad. Maurice's Strategikon. Handbook of byzantine military Strategy, translated by G.T. Dennis, Philadelphia 1984, 116 ss. La citazione di Menandro è tratta da Excerpta historica iussu imp. Constantini Porphyrogeniti confecta, ediderunt U.Ph. Boissevain, C. De Boor, Th. Buettner-Wobst, I, Excerpta de legationibus, edidit C. De Boor, Pars I, Berolini 1903, 450, 32-33; Memoriae populorum olim ad Danubium, Pontum Euxinum, Paludem Maeotidem, Caucasum, Mare Caspium, et inde magis ad septemtriones incolentium scriptoribus historiae byzantinae erutae et digestae a I.G. Stritter, III, Petropoli 1778, 4, 45. Il contesto di Menandro è riferito ai Turchi caucasici. La questione della origine "scitica" dei turchi è una delle costanti della etnografia bizantina fino a Laonico Calcocondila cfr. Chalk. I.9, r. 10-11, r. 9 e traduzione in K. Dieterich, Byzantinische Quellen zur Laender und Voelkerkunde, II, Leipzig 1912, 12 s.

[20] B. Zasterova, Zur Problematik der ethnographischen Topoi, in J. Herrmann - H. Koepstein - R. Mueller, Griechenland Byzanz Europa. Ein Studienband [Berliner Byzantinistische Arbeiten 52], Berlin 1985, 16; Gy. Moravcsik, Byzantinoturcica, cit., II, 13 ss.

[21] Exc. de leg., I, cit., 451, 4-6; I.G. Stritter, cit., III, 4, 45 s.

[22] K. Dieterich, Byzantinische Quellen zur Laender und Voelkerkunde, cit., II, 27 s.; Prokop., bell. pers. I.3.10.13 – 11.16.

[23] Var e Chunni per Teofilatto fr. 43 in Fragmenta Historicorum Graecorum, cit., IV, 276; Varconiti per Menandro, cfr. qui a nt. 21; H.W. Haussig, Theophylakts Exkurs ueber die skythischen Voelker, in Byzantion 23, 1953, 369; A. Alfoeldi, Zur historischen Bestimmung der Avarenfunde, in Eurasia Septentrionalis Antiqua 9, 1934, 290; Gy. Moravcsik, Byzantinoturcica, cit., II, 223, 348; K. Dieterich, Byzantinische Quellen zur Laender und Voelkerkunde, cit., II, 22, 29; Men. fr., 400, 21-22 (Bekker-Niebhur); I.G. Stritter, cit., III, 22, 60; Theophylaktos Simokates, Geschichte, Uebersetzt und erlautert von P. Schreiner, Stuttgart 1985, 187 e n. 970, 344; Theoph. Sim., hist. VII.7.14, 258, 10-11 (De Boor - Wirth); cfr. The History of Theophylact Simocatta, cit., n. 39, 189 per cui la fonte di Teofilatto sarebbe Menandro.

[24] Sui Sacai, termine dato dai greci antichi ai nomadi ed esteso dai bizantini ai Turchi cfr. E. Esin, A History of pre- islamic and early-islamic Turkish Culture [Supplement to the Handbook of Turkish Culture, Series II, volume 1/b], Istanbul 1980, 46; Men. fr., 380.4, 212 ss.; I.G. Stritter, cit., III, 9, 49; K. Dieterich, Byzantinische Quellen zur Laender und Voelkerkunde, II, 17, 12; 27. Esin nota che le fonti cinesi, indiane e bizantine concordano nell'identificare in un'unità i nomadi dell'Eurasia; K. Dieterich, Byzantinische Quellen zur Laender und Voelkerkunde, cit., II, 7; E. Chavannes, Documents sur les Tou-Kioue (Turcs) occidentaux et notes additionnelles, St. Petersbourgh 1903, 3, 243; O. Frankl, Zur Kenntnis der Tuerkvoelker und Skythen Zentralasiens, in Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften, B. 1904, 42, 54, 61; I.G. Stritter, cit., III, 1, 3: « ... a veteribus autem Massagetas et Sacas (truncate credo) eos vocatos esse, Theophanes Byzantius et Menander auctores sunt». K. Dieterich, Byzantinische Quellen zur Laender und Voelkerkunde, cit., II, 18,2 e n. 1; Theoph. Sim., hist. VII.8.12, 260, 2-6 (De Boor - Wirth).

[25] Men. fr., cit., 382, 13, 383, 11; I.G. Stritter, cit., III, 12, 52. A. Carile, I nomadi nelle fonti byzantine [Cisam, XXXV], Spoleto 1988, 59 s.

[26] E come tali furono tramandate da Costantino VII Porfirogenito nel suo de legationibus cfr. qui a n. 21.

[27] Prisci Pan., fragmenta, a cura di F. Bornman, Firenze 1979, XIII.

[28] Men. fr., cit., 403, 6-20 è l'indizione VIII di Giustino II (575).

[29] H. Miyakawa und A. Kollautz, Ein dokument zum Fernhandel zwischen Byzanz und China zur Zeit Theophylakts, in Byzantinische Zeitschrift 77, 1984, 6 ss.

[30] Menander, ed. De Boor, 430, 3 ss.; 192.14-195.25; G.K. Lampraki - Ph.N. Pankalou, Hellenes kai Tourkoi ston VI Aiona, cit., 174 s.

[31] Gh. Gnoli 1985 A 590; 1985 B 83.

[32] Gh. Gnoli, The Idea of Iran, cit., 167.

[33] I. Dujcev, Il mondo slavo e la Persia nell'alto Medioevo, cit., 349 s.

[34] I. Dujcev, Il mondo slavo e la Persia nell'alto Medioevo, cit., 342, 348, passim.