Contributo-2019

 

 

FullSizeRenderIL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM NELL’ART. 50 DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI UE

E NELLA RECENTE GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

 

Maria cristina Carta

Ricercatrice di Diritto dell’Unione Europea

Università di Sassari

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SOMMARIO: 1. Premessa: Ne bis in idem e cross-fertilization tra Corti nello spazio giuridico europeo. – 2. Le condizioni di applicabilità del ne bis in idem nell’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia. – 3. Segue: il controverso concetto di idem. – 4. Il concetto di bis e la problematica questione dell’applicabilità ratione materiae del principio ex art. 50 CDFUE al c.d. doppio binario sanzionatorio. – 5. Considerazioni conclusive: la crescente incisività del ruolo di “guida” della Corte di Giustizia UE in ordine ai parametri di valutazione del ne bis in idem. – Abstract.

 

 

1. – Premessa: Ne bis in idem e cross-fertilization tra Corti nello spazio giuridico europeo

 

Tra le principali evoluzioni che hanno caratterizzato il processo di integrazione europea nell’era post-Lisbona[1], con particolare riferimento al rafforzamento dello “spirito di affidamento” sotteso al reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie[2] ed al perfezionamento di uno Spazio di Libertà, sicurezza e giustizia[3] (SLSG), certamente degne di nota paiono l’interpretazione e l’applicazione giurisprudenziale del principio del ne bis in idem[4], ovverosia del «diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato», fornite dalla Corte di Giustizia UE.

Benché tale principio fosse stato già da tempo oggetto di attenzione in ambito UE[5], è con il Trattato di Amsterdam ed il rilancio, in occasione del Consiglio Europeo di Tampere (15-16 ottobre 1999), dello strumento del reciproco riconoscimento come cardine per la costruzione dello SLSG di cui agli artt. 3 par. 2 TUE[6] e 67 par. 1 [7] del TFUE, che il ne bis in idem torna a costituire un elemento a sua volta essenziale per tale processo. D’altra parte, dopo il Trattato di Amsterdam, il citato principio rinviene una base normativa ascrivibile al diritto dell’UE all’interno del c.d. acquis di Schengen, negli artt. 54-58 della Convenzione di applicazione dell’omonimo Accordo (CAAS).

Il principio in esame trova oggi la sua sedes materiae nel Titolo VI della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)[8], rubricato «Giustizia», all’art. 50 che dispone che: «nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».

Ne bis in idem, dunque, significa sostanzialmente preclusione nascente dalla decisione passata in giudicato; quando questa sia sopraggiunta, sarà vietata ogni iterazione (o prosecuzione) dell’esercizio dello ius puniendi che riguardi ancora lo stesso oggetto e la stessa persona. La ratio che si pone a fondamento del divieto di bis in idem è chiaramente rappresentata dalla necessità di garantire il singolo dinanzi ad un abuso dello ius puniendi dello Stato, ovvero alle concorrenti pretese punitive di più Stati[9]. Si tratta, dunque, di un principio che costituisce un evidente baluardo di certezza giuridica e, insieme, garanzia di un diritto individuale – il diritto a non essere illimitatamente esposti all’esercizio dello ius puniendi – che assurge al rango di diritto fondamentale del diritto dell’Unione, estendendone l’ambito di validità oltre i casi meramente interni[10]. Esso risponde segnatamente all’esigenza di preservare due valori fondamentali sottesi ad ogni moderno sistema giuridico: la certezza del diritto[11] e l’equità del processo[12]. Stante una declinazione di tipo processuale, infatti, il ne bis in idem sancisce il divieto di sottoporre ad ulteriore giudizio, per i medesimi fatti-reato, un soggetto che sia stato già giudicato con decisione definitiva[13]; sotto il profilo esecutivo, tale principio vieta al giudice di sanzionare più volte la medesima condotta illecita.

In alcune recenti pronunce (Menci[14], Garlsson Real Estate[15] e Di Puma e Consob[16]), la Corte di Giustizia, interpellata in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE da giudici italiani, è stata chiamata a valutare la compatibilità del c.d. doppio binario sanzionatorio (penale/amministrativo) con la previsione di cui all’art. 50 CDFUE, così come interpretato anche alla luce dell’art. 4 [17] del Protocollo n. 7 [18] della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU)[19] e della relativa giurisprudenza della Corte EDU[20]. Così, per un verso, in forza della disposizione da ultimo citata, gli Stati aderenti alla CEDU ed al relativo protocollo assumono l’obbligo di prevedere e assimilare il principio nei propri sistemi di giustizia penale, mentre, in forza dell’art. 50 CDFUE, lo stesso principio viene esplicitamente riconosciuto, a un livello sopranazionale, come diritto fondamentale dell’Unione europea, assumendovi medesimo significato e identica portata (salva una protezione più ampia ex art. 52 § 3 CDFUE[21]) di quello sancito dalla CEDU.

Per quanto concerne l’ambito di applicazione del divieto ex art. 50 CDFUE, occorre rilevare che ad essere direttamente coinvolti in questa materia sono soprattutto il settore degli abusi di mercato e, ancor di più, quello tributario, trattandosi di «campi dell’ordinamento fortemente presidiati da un sistema repressivo proprio, che convive con quello penale, senza arretrare, allorché la violazione amministrativa – nei casi di maggiore gravità dell’illecito – costituisca anche reato»[22].

Nel settore tributario, infatti, i due procedimenti repressivi proseguono in maniera autonoma e parallela laddove, tuttavia, la loro contestualità non genera litispendenza, così come la decisione definitiva nell’uno non preclude l’inizio (o la prosecuzione) dell’altro[23]. Né si determina, quindi, tecnicamente, alcun “conflitto pratico” di giudicati, quando si pervenga a due decisioni definitive nelle due differenti sedi.

In particolare, nelle citate pronunce Menci, Garlsson Real Estate e Di Puma e Consob, era richiesto alla Corte di Lussemburgo di pronunciarsi sulle condizioni di applicazione del divieto di bis in idem nelle ipotesi in cui l’ordinamento nazionale consenta di cumulare le sanzioni penali con quelle amministrative[24]. Come si vedrà nel prosieguo[25], dall’esame della più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia emergerà il rilievo sempre più multilevel (internazionale, europeo ed interno)[26] assunto in progresso di tempo dal divieto de quo[27] trattandosi di un ambito in cui sovente si assiste all’attività di costante cross-fertilization[28] tra le differenti autorità giurisdizionali (Corti costituzionali e giudici nazionali, Corte di Giustizia dell’Unione europea e Corte europea dei diritti dell’uomo)[29], operanti nello spazio giuridico europeo[30].

Il principio del ne bis in idem, quindi, inteso come diritto fondamentale a non essere punito due volte per il medesimo reato né perseguito nuovamente se già giudicato con sentenza penale definitiva, non ha più soltanto una dimensione territoriale interna ma si è esteso al di fuori dei confini nazionali, estendendo i suoi effetti nell’ambito dell’Unione europea e nei territori degli Stati del Consiglio d’Europa[31]. Ed invero, il divieto di duplicazione di giudizi e condanne si caratterizza per le sue molteplici declinazioni: sul piano interno, con riferimento al rapporto tra giudici appartenenti allo stesso sistema giuridico; su piano transnazionale, nel caso di relazioni tra Corti di Stati differenti[32]; e su quello internazionale, in una dimensione sia verticale che orizzontale, a seconda che esso operi tra Corti interne ed internazionali o tra Corti sovranazionali-internazionali (Corte di Giustizia UE – Corte EDU).

In particolare, per un verso, si vedrà come, nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’UE, l’evoluzione del contenuto, della portata e dei limiti della regola del ne bis in idem risulti sensibilmente influenzata dall’interpretazione fornita dalla Corte EDU, da cui la Corte di Giustizia non riesce pienamente a “smarcarsi” nella sua funzione di orientamento dei giudici nazionali[33].

Per altro verso, verrà al contempo posta in marcata evidenza – nel contesto di continua “salvaguardia” e “rivendicazione” del proprio ruolo di interprete autentico del diritto UE[34] – la crescente tendenza della Corte di Lussemburgo ad ancorare l’art. 50 CDFUE (e, più in generale, l’intera Carta dei diritti fondamentali) ad un’interpretazione «parzialmente autonoma» dalla CEDU, fondata esclusivamente sul «tenore e sulla portata del citato articolo»[35]. Deve, infatti, ricondursi proprio all’assenza di una totale convergenza tra l’indirizzo interpretativo della Corte di Giustizia e quello della Corte EDU in materia di ne bis in idem, l’inevitabile effetto di “disorientamento” della giurisprudenza interna, incapace di addivenire a soluzioni univoche nell’accertamento dei criteri di applicazione del principio di cui all’art. 50 CDFUE.

Si avrà, infine, modo di verificare come, seppur nel dichiarato intento di facilitare il giudice nazionale in ordine alla corretta valutazione dell’operatività del ne bis in idem, in realtà, la Corte di Giustizia UE – avendo individuato con precisione i criteri interpretativi per il vaglio di compatibilità dei sistemi nazionali di “doppio binario” col diritto UE – abbia sovente lasciato al giudice di merito nella subiecta materia[36] uno “spazio di manovra” solo “apparente”[37].

 

 

2. – Le condizioni di applicabilità del ne bis in idem nell’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia

 

Oltre a presupporre una identità soggettiva, ovverosia che la stessa persona (fisica[38] o giuridica[39]) sia oggetto di un cumulo giudiziario e/o sanzionatorio, il divieto di cui all’art. 50 CDFUE presuppone, per la sua operatività, la sussistenza di ulteriori requisiti: l’identità dei fatti su cui vertono i procedimenti (idem), la ripetizione di procedimenti sanzionatori (bis), nonché il carattere definitivo[40] di una delle due decisioni.

La verifica della presenza della contestuale esistenza delle citate condizioni di applicazione del divieto di bis in idem compete, naturalmente, al giudice nazionale. Cionondimeno è fatta salva per quest’ultimo la possibilità di interpellare in via pregiudiziale la Corte di Giustizia UE, nell’ipotesi in cui dovesse ritenere opportuno ottenere dalla stessa delle indicazioni utili ai fini della corretta interpretazione ed applicazione uniforme del diritto dell’UE all’interno degli Stati membri[41].

 

 

3. – Segue: il controverso concetto di idem

 

Particolarmente complessa risulta nella materia in esame – anche in ragione della non uniforme giurisprudenza della Corte di Giustizia[42] – la corretta individuazione del requisito dell’identità dei fatti-reato su cui vertono i procedimenti. Essa, infatti, richiede di stabilire preliminarmente se la ripetizione di giudizi e/o condanne riguardi le medesime condotte (idem factum) oppure la loro qualificazione giuridica (idem crimen).

Inizialmente la Corte di Giustizia, soprattutto in materia di diritto europeo della concorrenza[43], aveva adottato un approccio particolarmente “restrittivo”, vincolando l’applicazione del ne bis in idem alla triplice condizione dell’identità dei fatti in senso materiale, di unità del contravventore e di unità dell’interesse protetto. Di qui il conseguente limite dell’operatività del principio in esame ad un numero circoscritto di casi, in ragione dell’identità “giuridica” dei fatti volta a volta valutate dalle autorità giurisdizionali dei differenti Stati membri interessati dalle ipotesi di ripetizione di procedimenti nei riguardi della medesima persona[44].

Differente, invece, si è rivelato l’approccio della Corte di Giustizia con riguardo al bene giuridico protetto e/o alla qualificazione giuridica della condotta, nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. È evidente che in tale ambito, il ricorso all’idem crimen quale criterio di applicazione del principio del ne bis in idem, contrasterebbe con l’obiettivo di garantire che nessuno sia sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti in diversi Stati membri, unicamente per aver esercitato il proprio diritto fondamentale di libera circolazione[45].

Al riguardo, con la sentenza Gӧzütok e Brügge del 2002 [46], avallando un indirizzo interpretativo più estensivo ed una concezione “sostanzialista” del concetto di idem crimen[47], vale a dire della natura della sanzione irrogata, la Corte di Giustizia ha precisato che la fiducia reciproca tra sistemi di giustizia penale dei vari Stati membri, implica anche la possibilità di divergenti classificazioni giuridiche per gli stessi fatti nei differenti ordinamenti. Da ciò discende, quale diretta conseguenza, che uno Stato sarà comunque tenuto ad applicare la garanzia di cui all’art. 54 CAAS (e oggi art. 50 CDFUE) anche qualora il risultato sarebbe stato diverso se avesse trovato applicazione la propria legge nazionale[48]. La ratio di tale assunto deve rinvenirsi evidentemente nel fatto che, una volta giudicato in uno Stato membro, ciascun individuo dovrebbe potersi spostare all’interno del territorio dell’Unione senza temere di subire ulteriori procedimenti giudiziari per lo stesso fatto in un altro Stato membro.

Ancor più dettagliatamente, nella successiva pronuncia Van Esbroeck del 2006 [49], la Corte di Giustizia ha ritenuto che la valutazione sulla sussistenza del medesimo fatto debba essere effettuata in concreto e non in relazione agli elementi costitutivi dei due illeciti. In particolare, la Corte UE ha individuato il parametro determinante ai fini dell’applicazione del ne bis in idem nell’identità dei “fatti materiali”, intesa come: «l’esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro […] nel tempo, nello spazio, nonché nell’oggetto»[50] e ciò, quindi, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti o dall’interesse giuridico tutelato.

A parere di chi scrive, la disciplina del ne bis in idem di cui all’art. 50 CDFUE, nei termini appena ricordati, si integra perfettamente nel “metodo” dichiaratamente prescelto dall’UE per il rafforzamento della cooperazione giudiziaria, in vista, appunto, della creazione di uno Spazio europeo di giustizia che tenga in equilibrio le esigenze securitarie e, al contempo, le garanzie di tutela dei diritti fondamentali. È evidente infatti che il principio, in quanto implica di riconoscere – sebbene non nel senso dell’equipollenza a fini di esecuzione, bensì in quello della presa in considerazione a fini di preclusione di un secondo processo per lo stesso fatto – una decisione definitiva adottata in altro Paese (con “rinuncia” alla propria giurisdizione), chiama in causa, da un lato, proprio lo strumentario concettuale ed i meccanismi del reciproco riconoscimento e, dall’altro, la prioritaria esigenza di compatibilità delle legislazioni, da perseguire attraverso l’opera di ravvicinamento in materia tanto sostanziale che processuale[51], che agevola senz’altro il rispetto della preclusione di un secondo giudizio[52].

 

 

4. – Il concetto di bis e la problematica questione dell’applicabilità ratione materiae del principio ex art. 50 CDFUE al c.d. doppio binario sanzionatorio

 

Come già evidenziato[53], il divieto del bis in idem non risponde esclusivamente ad una finalità sostanziale di tutela dell’imputato/condannato ma mira altresì, in un’ottica processuale, ad evitare conflitti di giurisdizione tra le differenti autorità giurisdizionali investite di ipotesi di reato o di illecito amministrativo[54].

Nonostante nelle Spiegazioni alla CDFUE si chiarisca che la regola di cui all’art. 50 CDFUE concerne il divieto di cumulo di due sanzioni della stessa natura (in specie penali), l’esistenza di una molteplicità di norme di natura repressiva in ambiti non prettamente penali, quali quello amministrativo e tributario, ha causato non poche difficoltà interpretative in merito all’applicabilità ratione materiae del ne bis in idem anche al doppio binario sanzionatorio, ossia al cumulo di sanzioni penali e sanzioni (formalmente) amministrative[55]. A tal proposito deve rilevarsi che è soprattutto nella materia del market abuse e frode fiscale[56] che si è assistito ad una sostanziale convergenza tra le pronunce della Corte EDU e della Corte di Giustizia, anche in ragione dell’intima correlazione sussistente tra l’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU e l’art. 50 CDFUE. Seppur per sommi capi, basti in questa sede ricordare che sin dalla nota causa Engel[57], la Corte EDU aveva identificato i criteri per qualificare come “sostanzialmente penale” una sanzione che un ordinamento interno non qualificava invece come penale (c.d. Engel criteria)[58].

Accanto al criterio formale, concernente la qualificazione giuridica che una data sanzione riceve nell’ordinamento nazionale, ve ne sono due sostanziali: la natura stessa della sanzione (e segnatamente lo scopo punitivo, deterrente e repressivo) ed il grado di severità della medesima (con particolare riferimento al massimo edittale, ossia alla particolare intensità del malum infliggibile)[59]. Detti criteri, inizialmente elaborati con riferimento a sanzioni qualificate come amministrative dalle normative nazionali ma caratterizzate per la previsione di misure in qualche modo incidenti sulla libertà personale e quindi molto simili ad una sanzione penale, sono stati poi estesi anche alle misure afflittive di natura patrimoniale, che non incidono in alcun modo sulla libertà personale, come ad esempio le sanzioni tributarie[60].

Nella sentenza A e B c. Norvegia del 2016 [61], la Corte EDU – in tal modo “riallineandosi” con la giurisprudenza della Corte di Giustizia – ha parzialmente modificato la propria posizione che considerava pressoché inderogabile il divieto di cumulo sanzionatorio a favore di un criterio (addizionale) di close connection secondo cui, pur in presenza di sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali, sono ammissibili procedimenti “misti” che presentano un nesso temporale e materiale sufficientemente stretto (§ 132)[62].

Con tale pronuncia, quindi, la Corte EDU ha inteso “rimodulare” la relazione tra il binario amministrativo e quello penale, assumendo che non sussiste una violazione dell’art. 4, prot. 7 CEDU qualora i due procedimenti siano connessi alla stregua di alcuni indicatori da riscontrare e valutare nel caso concreto[63]. Tale “riassestamento” in termini più flessibili della iniziale rigidità della Corte EDU, ha scongiurato la illegittimità convenzionale dei doppi binari sanzionatori, restituendo agli Stati un significativo margine di apprezzamento nell’articolazione dei propri ordinamenti repressivi, che potranno rispondere a diverse possibili impostazioni[64], purché siano previste modalità di raccordo in linea con l’esigenza di una stretta relazione materiale e temporale fra i procedimenti e fra le sanzioni. Al contempo tale nuovo “equilibrio” tra gli interessi in gioco, segna il definitivo superamento della prospettiva di garanzia propria del ne bis in idem. Infatti, per un verso, la preclusione del secondo procedimento (elemento caratterizzante la regola del ne bis in idem) cede il passo all’esigenza del coordinamento tra procedimenti di per sé entrambi legittimi anche dopo che uno si concluda con decisione definitiva; e, per altro verso, tra gli indici sostanziali più incisivi individuati per controllare che i due procedimenti si integrino in uno (così, metaforicamente, non costituendo bis[65]), figura quello dell’esistenza di meccanismi volti ad evitare il cumulo sproporzionato di sanzioni, «del tutto estraneo al profilo teleologico del ne bis in idem processuale»[66].

Può, dunque, affermarsi che la clausola della «connessione materiale e temporale sufficientemente stretta» opera in sostanza come limite all’esercizio del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati: attraverso una verifica basata su indicatori elastici, infatti, la Corte europea si riserva un vaglio di ragionevolezza delle scelte nazionali, teso a verificare, di volta in volta, se i procedimenti in idem siano sufficientemente “integrati” da evitare che la loro pluralità produca inconvenienti sproporzionati per l’interessato.

Già nella pronuncia Spector Photo Group[67] del 2009 la Corte di Giustizia – utilizzando i criteri Engel per stabilire la natura penale della sanzione tributaria – aveva ritenuto legittimo il cumulo delle sanzioni penali con quelle amministrative irrogate per i medesimi illeciti. In particolare, la Corte aveva in tale occasione sottolineato che l’art. 50 CDFUE non impedisce ad uno Stato membro di imporre, per le medesime violazioni, una combinazione di sanzioni tributarie e sanzioni penali, qualora le prime non abbiano natura (sostanzialmente) penale[68]. Solo qualora la sovrattassa abbia natura penale e sia divenuta definitiva, opererà il divieto di bis in idem di cui alla disposizione in commento che, pertanto, impedirà che vengano avviati procedimenti penali per gli stessi fatti nei confronti della medesima persona. Da quanto appena affermato è possibile trarre quale diretto corollario che la libertà di scelta degli Stati è condizionata dalla efficacia repressiva della misura adottata[69].

La compatibilità del doppio binario sanzionatorio con l’art. 50 CDFUE è stata, da ultimo, ribadita dalla Corte di Giustizia nelle più recenti sentenze del 20 marzo 2018 nelle citate cause Menci[70], in cui il procedimento penale era stato avviato dopo l’applicazione della sanzione amministrativa; e Garlsson Real Estate[71] e Di Puma e Consob[72] in cui invece il procedimento amministrativo aveva seguito la conclusione di quello penale. Tali pronunce si caratterizzano per il fatto che la Corte di Giustizia, pur confermando ed applicando direttamente a ciascuno dei casi sottoposti al suo esame ognuno dei c.d. Engel criteria per la qualificazione penale delle sanzioni, non ne individua espressamente la fonte nella giurisprudenza della Corte EDU. Sebbene, infatti, grazie all’applicazione dei citati criteri la Corte di Giustizia giunga nelle citate sentenze a stabilire che le sanzioni in materia di illeciti tributari e market abuse, in ragione delle finalità repressive e per gli scopi afflittivi che le caratterizzano, devono ritenersi “sostanzialmente” penali, essa anche in riferimento al concetto dell’idem factum, richiama la “propria” giurisprudenza[73], senza citare quella di Strasburgo.

Dall’esame di tali pronunce emerge un aspetto di particolare rilievo rappresentato dal fatto che la Corte di Giustizia rimette solo apparentemente al giudice nazionale la verifica della sussistenza del criterio del bis, lasciando allo stesso un limitatissimo margine di discrezionalità. Si è, infatti, visto come la Corte UE si sia sostanzialmente spinta sino ad accertare la legittimità del doppio binario sanzionatorio ex art. 50 CDFUE (e, quindi, la compatibilità della normativa nazionale con quella UE), fornendo al giudice interno ulteriori elementi di valutazione per facilitarne l’applicazione. Ciò posto, nell’esercizio del potere di verificare pienamente (eventualmente anche con la collaborazione della Corte di Giustizia UE interpellata in via pregiudiziale) la compatibilità della normativa nazionale con la disposizione di cui all’art. 50 CDFUE, i giudici nazionali avranno l’obbligo di disapplicare – previa accertamento del rispetto dei diritti fondamentali degli interessati[74] – qualsiasi disposizione interna, anche posteriore, confliggente con le previsioni della CDFUE, «senza dover chiedere o ottenere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale»[75].

Come già statuito nella sentenza Spasic[76], la Corte di Giustizia precisa ulteriormente che le limitazioni al principio del ne bis in idem che potrebbero discendere dal cumulo sanzionatorio, devono avere una giustificazione fondata sui requisiti di cui all’art. 52 § 1 CDFUE, ovvero «devono essere previste dalla legge e rispettare il […] principio di proporzionalità e […] rispond[ere] effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui». Con ciò volendo in primo luogo far discendere dall’enunciazione di tale assunto, che gli obiettivi di garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nei territori degli Stati membri, l’integrità dei mercati finanziari dell’Unione e la conseguente fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, sono idonei a giustificare un cumulo di procedimenti e di sanzioni aventi natura penale. In secondo luogo, la Corte di Giustizia chiarisce al contempo che la normativa interna che ammette di instaurare (o proseguire) un procedimento amministrativo (di natura penale) per i medesimi fatti, deve assicurare che il cumulo delle sanzioni sia proporzionato alla gravità dell’illecito affinché esso non ecceda quanto strettamente necessario a conseguire l’integrità dei mercati finanziari[77]. In tal modo arricchendo il test della close connection (temporale e sostanziale) tra i procedimenti, acquisito dalla giurisprudenza della Corte EDU, con nuovi parametri di valutazione per l’individuazione dei limiti di operatività del principio ex art. 50 CDFUE in ipotesi di cumulo di sanzioni e condanne. In tale contesto, particolare rilievo viene riconosciuto dalla Corte di Giustizia al criterio della proporzione sanzionatoria in base al quale si assiste ad uno spostamento del focus dalla natura processuale del divieto di bis in idem, alla dimensione esecutiva della garanzia di cui all’art. 50 CDFUE.

Diversamente dalla giurisprudenza della Corte EDU, per cui nella valutazione della sussistenza del possibile cumulo di sanzioni rileva la pena prevista in astratto per l’illecito, la Corte di Giustizia considera determinante la sanzione comminata in concreto, vale a dire la pena definitiva comminata. Stante tale impostazione, una limitazione al divieto di bis in idem e, dunque, una duplicazione di procedimenti e di sanzioni, può trovare giustificazione solo se essi perseguono scopi complementari[78] e solo qualora la normativa nazionale preveda regole di coordinamento tra i procedimenti tali da assicurare che la severità del complesso delle sanzioni irrogate non si riveli superiore alla gravità dell’illecito accertato[79]. Ciò al fine di rispettare sia la clausola di equivalenza di cui al citato art. 52 § 1 CDFUE – che impone di dare ai diritti contemplati nella Carta e corrispondenti a quelli previsti dalla CEDU lo stesso significato e la medesima portata di quelli conferiti dalla suddetta Convenzione – sia all’art. 49 § 3 CDFUE[80], concernente il principio di proporzionalità delle pene[81], in forza del quale «l’intensità delle pene non deve essere sproporzionata rispetto al reato»[82].

 

 

5. – Considerazioni conclusive: la crescente incisività del ruolo di “guida” della Corte di Giustizia UE in ordine ai parametri di valutazione del ne bis in idem

 

Dalle considerazioni fin qui svolte emerge come, alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’esame delle questioni relative alla legittimità dei sistemi nazionali a c.d. doppio binario sanzionatorio deve essere condotto nel rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla CDFUE e, in particolare, dal suo articolo 50 che riconosce una garanzia individuale «direttamente applicabile» ai soggetti dell’ordinamento UE[83].

La Corte di Giustizia – pur nella consapevolezza di intervenire in un settore in cui il principale problema consiste nel valutare se la citata norma europea osti ad un fenomeno che attiene ad assetti tutti interni ai sistemi repressivi degli Stati membri – ha optato per l’adozione di un approccio meno restrittivo rispetto a quello che aveva caratterizzato le sue precedenti pronunce. I giudici di Lussemburgo, infatti, hanno inteso privilegiare il criterio dell’idem factum, rispetto al parametro dell’idem crimen, in tal modo ampliando l’ambito di applicabilità del principio del ne bis in idem e legittimando, usque ad exitum, la coesistenza del c.d. doppio binario sanzionatorio. Ciò all’evidente fine di far fronte – in un’ottica di protezione di interessi fondamentali dell’UE, quali nello specifico la tutela dei mercati finanziari e la conseguente fiducia del pubblico negli strumenti economici e monetari europei – alla necessità di perseguire crimini di interesse transfrontaliero, come le frodi fiscali.

Si è altresì visto come, a dispetto della clausola di equivalenza di cui all’art. 52 CDFUE, la Corte di Giustizia abbia inteso fornire un’interpretazione dell’art. 50 CDFUE “parzialmente autonoma” dalla CEDU, caratterizzata dalla preminente importanza attribuita all’aspetto esecutivo del ne bis in idem, rispetto alla dimensione meramente processuale dello stesso (vale a dire al divieto del doppio procedimento a carico dello stesso soggetto) prevista dall’art. 54 CAAS.

In tale ottica, a parere di chi scrive, deve leggersi l’individuazione del “nuovo” criterio della proporzionalità sanzionatoria quale ulteriore condizione sulla base della quale fondare eventuali limitazioni all’art. 50 CDFUE. Ed invero, dalle esaminate recenti sentenze Menci, Garlsson Real Estate e Di Puma e Consob, è emerso come la Corte di Giustizia è sempre più incisiva nel suggerire al giudice nazionale i parametri di applicazione – da determinarsi a priori e con un minimo di certezza e prevedibilità – in merito alla compatibilità del diritto interno con quello dell’Unione in materia di divieto di bis in idem; ciò soprattutto in ragione delle profonde divergenze tra i giudici di uno stesso Stato a cui talvolta si è assistito in tema di legittimità di duplicazioni di giudizi e condanne a carico di un medesimo soggetto.

Stante tale recente indirizzo interpretativo della Corte di Giustizia, dunque, non è precluso ai sistemi nazionali di disciplinare ed avviare per i medesimi fatti due procedimenti (uno penale ed uno amministrativo) allorché entrambi conducano ad una sanzione (sostanzialmente) penale. L’eventuale deroga all’operatività del divieto ex art. 50 CDFUE resta, tuttavia, subordinata al carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo delle sanzioni applicate e risponde ad un obiettivo di interesse generale che giustifichi un simile cumulo di procedimenti e sanzioni nei limiti di quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato commesso.

In ogni caso la principale preclusione al regime derogatorio della regola del ne bis in idem europeo, è rappresentata dal divieto di instaurare procedimenti consecutivi e dall’obbligo di interruzione di procedimenti paralleli nel momento in cui uno di essi passi in giudicato.

Al riguardo – in tal modo riconoscendo la sempre maggiore incidenza della giurisprudenza UE su quella interna – la Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 27564/2018 al § 21.1 ha laconicamente affermato che: «pur formalmente lasciando al giudice nazionale uno spazio di valutazione rispetto alla compatibilità del sistema del “doppio binario” (ravvisabile a fronte delle peculiarità del caso concreto) rispetto ai principi unionali (così come precisati alla luce dell’evoluzione tracciata anche dalla Corte EDU) [la Corte di Giustizia] conclude tracciando dei criteri interpretativi che sembrerebbero ridurre al minimo la discrezionalità del giudice di merito».

 

 

Abstract

 

 

The principle of ne bis in idem in the Art. 50 of the EU Charter of Fundamental Rights

and in the most recent jurisprudence of the Court of Justice

 

 

The article aims to show how, more than twenty years after the Tampere European Council and more than ten years after recognition of the binding legal force of the Charter of Fundamental Rights of the European Union, one of the main achievements of the European integration process is represented by the discipline of the ne bis in idem principle of art. 50 UECFR, that is the right not to be tried or punished twice for the same crime. The contribution highlights how, from the examination of the most recent jurisprudence of the Court of Justice (judgments Menci, Garlsson Real Estate and Di Puma and Consob) emerged the increasingly multi-level importance (international, European and domestic) taken over time by the prohibition of bis in idem. It is, in fact, an area in which we often see the activity of constant cross-fertilization between the different judicial authorities (Constitutional Courts and national judges, Court of Justice of the European Union and European Court of Human Rights), operating in the European legal area.

 

 

L’articolo si propone di evidenziare come a più di vent’anni dal Consiglio europeo di Tampere ed a più di dieci anni dal riconoscimento della forza giuridica vincolante alla CDFUE, uno dei principali traguardi del processo di integrazione europea nell’era post-Lisbona, è rappresentato dalla disciplina del principio del ne bis in idem di cui all’art. 50 CDFUE, ovverosia del diritto a non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato. Il contributo evidenzia come, dall’esame della più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze Menci, Garlsson Real Estate e Di Puma e Consob) è emerso il rilievo sempre più multilevel (internazionale, europeo ed interno) assunto in progresso di tempo dal divieto di bis in idem trattandosi di un ambito in cui spesso si assiste all’attività di costante cross-fertilization tra le differenti autorità giurisdizionali (Corti costituzionali e giudici nazionali, Corte di Giustizia dell’Unione europea e Corte europea dei diritti dell’uomo), operanti nello spazio giuridico europeo.

 

 



 

Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind.

 

[1] Cfr. G. Caggiano, I “cerchi” dell’integrazione. Sovranazionalità e sovraordinazione normativa nell’Unione europea e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Integrazione europea e sovranazionalità, a cura di G. Caggiano, Bari 2018, 25 ss.; B. Nascimbene, Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia a due anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in Aa.Vv., Il Trattato di Lisbona: due anni di applicazione. Atti della giornata di studio in ricordo di Francesco Caruso, Napoli 2013, 239 ss.

[2] Sul tema v. N. Parisi, I diritti fondamentali nell’Unione europea tra mutuo riconoscimento in materia penale e principio di legalità, in Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea: principi fondamentali e tutela dei diritti, a cura di U. Draetta, N. Parisi e D. Rinoldi, Napoli 2007, 113 ss. Più di recente v. R. Mastroianni, L’effettività della tutela giurisdizionale alla prova della Carta dei diritti fondamentali, in Liber Amicorum Antonio Tizzano. De la Cour CECA à la Cour de l’Union: le long percours de la Justice européenne, Torino 2018, 586 ss.

[3] Sui più recenti sviluppi in questa materia cfr. amplius A. Di Stasi e L.S. Rossi, Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. A vent’anni dal Consiglio europeo di Tampere, Napoli 2020, 11 ss.; G. Caggiano, Recenti sviluppi del regime delle frontiere esterne nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, cit., 383-413; v. anche D. Rinoldi, Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in Elementi di diritto dell’Unione Europea. Parte speciale ‒ Il diritto sostanziale, a cura di U. Draetta e N. Parisi, 3a ed., Milano 2010, spec. §§ 1 e 5; R. Cafari Panico, Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel trattato di riforma: le disposizioni generali, in Sud in Europa, febbraio 2008, 19 ss.; G. Caggiano, L’evoluzione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia nella prospettiva di un’Unione basata sul diritto, in Studi sull’integrazione europea, 2007, n. 2, 335 ss.

[4] T. Rafaraci, Il principio del ne bis in idem nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, cit., 333-352; A. Oriolo, Il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in Tutela dei diritti fondamentali e spazio europeo di giustizia. L’applicazione giurisprudenziale del Titolo VI della Carta, a cura di A. Di Stasi, Napoli 2019, 335 ss.; M. Bӧse, The Transnational Dimension of the Ne Bis in Idem Principle and the Notion of Res Iudicata in the European Union, in Justice without Borders. Essays in Honour of Wolfgang Schomburg, Leiden-Boston 2018, 49 ss.; M. Luchtman, The ECJ’s Recent Case Law on Ne Bis in Idem, in Common Market Law Review, 2018, 1717 ss.; C. Amalfitano, R. D’Ambrosio, Art. 50, Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato, in Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a cura di R. Mastroianni, O. Pollicino, S. Allegrezza, F. Pappalardo e O. Razzolini, Milano 2017, 1026 ss.; B. Van Bockel, Ne Bis in Idem in EU Law, Cambridge 2016; A. Iermano, Il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato ex art. 50 della Carta dei diritti fondamentali, in Spazio europeo e diritti di giustizia. Il Capo VI della Carta dei diritti fondamentali nell’applicazione giurisprudenziale, a cura di A. Di Stasi, Padova 2014, 283 ss.

[5] A questo proposito occorre ricordare la Convenzione tra gli Stati membri delle Comunità europee relativa all’applicazione del principio ne bis in idem, adottata a Bruxelles il 25 maggio 1987, resa esecutiva con L. 16 ottobre 1989, n. 350 ed entrata in vigore per l’Italia il 15 gennaio 1990. Il contenuto di tale Convenzione è stato ripreso pressoché alla lettera negli artt. 54-58 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen. Successivamente, il ne bis in idem è ancora stato previsto – con disposizioni nella sostanza sempre riconducibili alla Convenzione del 1987 – in due importanti strumenti di cooperazione giudiziaria penale adottati nell’ambito del c.d. Terzo Pilastro dell’Unione europea: la Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, adottata a Bruxelles il 26 luglio 1995, in GUCE C 316/48 del 27 novembre 1995, art. 7 e la Convenzione europea relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea, adottata a Bruxelles il 26 maggio 1997, in GUCE C 195 del 25 giugno 1997.

[6] Ai sensi di tale disposizione: «L'Unione offre ai suoi cittadini uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima».

[7] Come osservato in dottrina, tale disposizione «àncora il perfezionamento, da parte dell’Unione europea, di uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, a due condizioni legate da un nesso inscindibile di collegamento laddove si prevede che tale realizzazione debba avvenire, oltre che nel rispetto dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri, in quello dei diritti fondamentali». Così in A. Di Stasi, Tutela multilevel dei diritti fondamentali e costruzione dello Spazio europeo di giustizia, in Tutela dei diritti fondamentali e Spazio europeo di giustizia, cit., 15; Id., Rispetto dei diritti fondamentali e Spazio europeo di giustizia: a proposito del Titolo VI della Carta dei diritti fondamentali, in I diritti umani nella giurisprudenza e nella prassi del diritto internazionale ed europeo, a cura di L. Panella, Torino 2013, 373 ss.

[8] Sul valore giuridico vincolante della Carta ex art. 6 TUE cfr. L.S. Rossi, La Carta dei diritti come strumento di costituzionalizzazione dell’ordinamento comunitario, in Quaderni costituzionali, 2002, 565 ss.; R.A. Garcia, The General Provisions of the Charter of Fundamental Rights of the European Union, in European Law Journal VIII, n. 4, December 2002, 492 ss.; A. Williams, Mapping Human Rights, Reading the European Union, in European Law Journal IX, n. 5, December 2003, 659 ss.; E. Pagano, Il valore giuridico della Carta dei diritti fondamentali e le competenze dell’Unione europea, in Diritto pubblico comparato europeo, 2003, 1723 ss.; H. Hoffmann, I diritti dell’uomo, la sovranità nazionale, la Carta europea dei diritti fondamentali e la Costituzione europea, in I diritti umani tra politica, filosofia e storia, a cura di P. Barcellona e A. Carrino, Napoli 2003, 142 ss.; A. Loiodice, L’incorporazione della Carta di Nizza nella Convenzione europea: innovazioni nella tutela multilivello dei diritti, in La tutela multilivello dei diritti, a cura di P. Bilancia e E. De Marco, Milano 2004, 81 ss.; A.L. Young, The Charter, Constitution and Human Rights: is this the Beginning or the End of Human Rights Protections by Community Law?, in European Public Law II, 2005, 219 ss. Sulla efficacia “quasi giuridica” della Carta già prima della sua formale equiparazione ai Trattati cfr. ex multis, A. Celotto e G. Pistorio, L’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Giurisprudenza italiana, 2005, II, 427 ss.; A. Ruggeri, La forza della Carta europea dei diritti, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, 184.

[9] In tal senso v. Corte costituzionale, sentenza del 14 febbraio 1997, n. 58.

[10] Diversamente che in ambito internazionale, ove il riconoscimento di una norma generale che sancisca tale divieto ha sempre incontrato una certa resistenza da parte della dottrina maggioritaria, in ambito europeo il ne bis in idem è oggi riconosciuto quale principio generale di diritto dalla costante giurisprudenza UE. In tal senso cfr. le Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, presentate l’8 settembre 2011, nella causa C-17/10, Toshiba, ECLI:EU:C:2017:299, punto 99, nonché la giurisprudenza ivi citata. In ambito internazionale, invece, la dottrina maggioritaria preferisce ancorare il ne bis in idem (processuale) alle disposizioni contenute negli accordi fra Stati, piuttosto che ad un principio generale di diritto o ad una consuetudine internazionale. V. in tal senso G. Conway, Ne bis in idem in International Law, in International Criminal Law Review, 2003, 217 ss.; C. Amalfitano, Dal ne bis in idem internazionale al ne bis in idem europeo, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2002, 929 ss.; D. Oehler, The european system, in International Criminal Law, ed. M.C. Bassiouni, vol. II, Procedural and Enforcement Mechanisms, New York 1999, 607 ss. Anche la giurisprudenza italiana accoglie tale indirizzo interpretativo. In tal senso v. la recentissima Cassazione penale, sez. I, sentenza del 13 maggio 2020, n. 14868/2020; v. anche Cassazione penale, sez. VI, sentenza del 15 novembre 2016, n. 54467 con commento di A. Spinelli, Richiesta di estradizione e giudicato transnazionale: la Cassazione esalta il ne bis in idem in ambito europeo, in Diritto penale contemporaneo, 2017, n. 2, 99 ss.

[11] In un’ottica soggettiva di tutela del singolo, ciò significa che gli imputati, a seguito di sentenza divenuta irrevocabile, se assolti, devono essere certi di non essere sottoposti ad un nuovo giudizio per il medesimo fatto; se colpevoli, devono poter essere certi di non dover subire una nuova sanzione una volta espiata la pena.

[12] Il divieto del bis in idem mira ad evitare, in caso di condanna, l’eventuale cumulo di sanzioni che renderebbe la pena irrazionalmente sproporzionata ed iniqua rispetto alla condotta da punire. In un’ottica oggettiva, dunque, il principio in esame risponde marcatamente a ragioni di economia processuale, fiducia nella giustizia e pace sociale. In tal senso cfr. Risoluzione del Parlamento europeo, del 16 marzo 1984, sull’applicazione nella Comunità europea del principio «non bis in idem» in materia penale, in GUUE C 104 del 16 aprile 1984. In dottrina v. B. Nascimbene, Ne bis in idem, diritto internazionale e diritto europeo, in Diritto Penale contemporaneo, 2 maggio 2018, 3; C. Amalfitano, Conflitti di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni penali nell’Unione europea, Milano 2006, 71 ss.

[13] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer, presentate il 19 settembre 2002, nelle cause riunite C-187/01 e C-385/01, Gӧzütok e Brügge, ECLI:EU:C:2002:516, punti 48-49. Si tratta della prima sentenza emessa dalla Corte di Lussemburgo in materia ricadente nel c.d. Terzo Pilastro dell’UE. Sul tema v. J. Vervaele, Case Law, in Common Market Law Review, 2004, 795 ss.; E. Selvaggi, Il principio del ne bis in idem in ambito europeo (Unione europea), in Cassazione penale, 2003, 1692 ss. Fra le sentenze di poco successive più rilevanti v. Corte di giustizia, sentenza del 10 marzo 2005, Miraglia, causa C-469/03, ECLI:EU:C:2005:156; Corte di giustizia, sentenza del 9 marzo 2006, Van Esbroeck, causa C-436/04, ECLI:EU:C:2006:165; Corte di giustizia, sentenza del 28 settembre 2006, Van Straaten, causa C-150/05, ECLI:EU:C:2006:614; Corte di giustizia, sentenza del 28 settembre 2006, Gasparini, causa C-467/04, ECLI:EU:C:2006:610.

[14] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Menci, causa C-524/2015, ECLI:EU:C:2018:197. La domanda pregiudiziale era stata posta dal Tribunale di Bergamo con ordinanza del 16 settembre 2015. La vicenda ha ad oggetto, più precisamente, un procedimento penale per il delitto di cui all’art. 10-bis, d.lgs. 74/2000, procedimento a carico di un imputato cui era stata già inflitta, in via definitiva, una sanzione pecuniaria qualificata come amministrativa (ma, in tesi, sostanzialmente penale), all’esito del procedimento tributario, ex art13 d.lgs. 471/1997, relativa al medesimo importo IVA non pagato. In dottrina v. F. Viganò, Ne bis in idem e omesso versamento dell’IVA: la parola alla Corte di giustizia, in Diritto Penale contemporaneo, 28 settembre 2015, 1 ss.

[15] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA, causa C-537/16, ECLI:EU:C:2018:193. La domanda pregiudiziale era stata posta dalla Corte di Cassazione civile, sez. II, con ordinanza del 20 settembre 2016. In dottrina v. F. ViganòA Never-Ending Story? Alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione della compatibilità tra ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia, questa volta, di abusi di mercato, in Diritto Penale contemporaneo, 17 ottobre 2016, 1 ss. Basti in questa sede ricordare per sommi capi che la vicenda riguardava la difficile compatibilità fra l’illecito qualificato come amministrativo (ma ritenuto sostanzialmente penale) di cui all’art. 187-ter d.lgs. 58/1998 ed il delitto di manipolazione di mercato di cui all’art. 185 del medesimo decreto legislativo; ciò, in una concreta vicenda che vedeva i ricorrenti opporsi ad un provvedimento sanzionatorio emesso nei loro confronti dalla CONSOB, in un momento successivo a quello in cui il procedimento penale a loro carico si era concluso, in via definitiva, a seguito di sentenza di patteggiamento.

[16] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Di Puma e Consob, cause riunite C-596/16 e C-597/16, ECLI:EU:C:192. La domanda pregiudiziale era stata posta sempre dalla Corte di Cassazione civile, sez. II, con ordinanze del 27 maggio 2016 ed aveva ad oggetto dei procedimenti di opposizione a sanzioni inflitte dalla CONSOB ai sensi del già ricordato art. 187-ter d.lgs. 58/1998; le sanzioni, formalmente qualificate come amministrative (ma, ancora una volta, ritenute di natura sostanzialmente penale), venivano inflitte ai ricorrenti nonostante una sentenza penale definitiva li avesse assolti, in relazione ai medesimi fatti storici, dall’imputazione per il delitto di abuso di informazioni privilegiate (art. 184 d.lgs. 58/1998). In dottrina v. F. ViganòNe bis in idem e doppio binario sanzionatorio: nuovo rinvio pregiudiziale della Cassazione in materia di abuso di informazioni privilegiate, in Diritto Penale contemporaneo, 28 novembre 2016, 1 ss.

[17] Tale disposizione, rubricata «Diritto di non essere giudicato o punito due volte», nei primi due commi prevede che: «1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta». In dottrina v. S. Allegrezza, Sub Art. 4, Prot. 7, in Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cura di S. Bartole, P. De Sena e V. Zagrebelsky, Padova 2012, 897 ss.

[18] Sebbene l’art. 50 CDFUE sia chiaramente modellato sull’art. 4 Prot. 7 CEDU, occorre precisare che le due disposizioni differiscono in ordine all’ambito di applicazione territoriale del principio del ne bis in idem che, nel caso della Carta opera all’interno dell’Unione, ovvero tra le giurisdizioni degli Stati membri, mentre nel caso del Protocollo n. 7 si limita rigorosamente alle situazioni interne di uno Stato. V. le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (art. 52), in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32007X1214(01)&from=IT.

In dottrina v. A. Di Stasi, Brevi osservazioni intorno alle “spiegazioni” alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Il Trattato di Lisbona tra conferme e novità, a cura di C. Zanghì e L. Panella, Torino 2010, 425 ss. In tal senso v. Corte europea dei diritti umani, sentenza del 20 febbraio 2018, ricorso n. 67521/14, Krombach c. Francia; Corte europea dei diritti umani, sentenza del 4 settembre 2014, ricorso n. 140/10, Trabelsi c. Belgio.

[19] Il protocollo 7, contenente l’art. 4 è stato concluso a Strasburgo il 22 novembre 1984 ed è entrato in vigore il 1 novembre 1988.

[20] Cfr. S. Negri, La realizzazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia tra Carta dei diritti fondamentali e CEDU: dalla convergenza alla integrazione tra sistemi?, in Spazio europeo e diritti di giustizia, cit., 119 ss.

[21] Ai sensi di tale disposizione: «laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa» V. infra § 4.

[22] Così in T. Rafaraci, Il principio del ne bis in idem nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, cit., 339.

[23] Nell’ambito di un’approfondita indagine volta a discernere le relazioni “asimmetriche” fra litispendenza e ne bis in idem processuale, cfr. M. Bontempelli, La litispendenza penale, Milano 2017, 25 ss.

[24] Nella causa Garlsson Real Estate SA, cit., veniva disposto dalla Corte di Cassazione rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia affinché questa valutasse segnatamente: «se la previsione dell’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 del Prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte EDU e della normativa nazionale, osti alla possibilità di celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto condotta illecita di manipolazione del mercato) per cui il medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile; se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del “ne bis in idem”, in base all’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 del prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte EDU e della normativa nazionale».

[25] V. infra § 2.

[26] In dottrina il metodo di protezione “multilivello” risultante dalla “stratificazione” di un patrimonio costituzionale europeo è stato descritto come il risultato della dinamica di “interferenza” e rinvio tra le Corti costituzionali e le Corti europee, incentrato sulla prevalenza del sistema più garantista. Così in Benvenuti, Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, Roma, 2008, 122; v. anche F. Medico, I rapporti tra ordinamento costituzionale ed europeo dopo la sentenza n. 20 del 2019: verso un doppio custode del patrimonio costituzionale europeo?, in www.dirittounioneeuropea.eu, I/2019; R. Tarchi, Il patrimonio costituzionale europeo e tutela dei diritti fondamentali, Torino, 2012, 27 ss.; A. Somma, Diritto comunitario e patrimonio costituzionale europeo: cronaca di un conflitto insanabile, in Diritti sociali e Servizio sociale. Dalla dimensione nazionale a quella comunitaria, a cura di P. Costanzo, e S. Mordeglia, Milano 2005, 79-118; A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna 2002, 30 ss. e 176 ss.

[27] Cfr. B. Nascimbene, Ne bis in idem, diritto internazionale e diritto europeo, cit., 1 ss.

[28] G. Ziccardi Capaldo, Editor’s Introduction – Jurisprudential Cross-Fertilization Forum: A Pilot Experiment in Legal Harmonization on the Tenth Anniversary of the Global Community YILJ, in The Global Community Yearbook of International Law and Jurisprudence, 2010, 207-211.

[29] Un caso emblematico in cui tale rapporto osmotico tra Carta dei Diritti fondamentali UE, CEDU e principi costituzionali appare piuttosto problematico per “assenza di dialogo” è rappresentato, da ultimo, dal noto caso Taricco (Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e altri, causa C-105/14, ECLI:EU:C:2015:555 e Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 5 dicembre 2017, Taricco II, causa C-42/17, ECLI:EU:C:2017:936), conclusosi con la sentenza della Corte cost., 10 aprile 2018 (del 31 maggio 2018) n. 115, in https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2018&numero=115. Su tale vicenda vi è una bibliografia vastissima, della quale non è possibile dare conto in questa sede. V. ex multis P. Mengozzi, Corte di giustizia, Corte costituzionale, principio di cooperazione e la saga Taricco, in Studi sull’integrazione europea, 2020, 9 ss.; C. Amalfitano, Rapporti di forza tra Corti, sconfinamento di competenze e complessivo indebolimento del sistema UE?, in www.lalegislazionepenale.eu 4.2.2019, 1-36; P. Mori, Taricco II o del primato della Carta dei diritti fondamentali e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in Osservatorio europeo, dicembre 2017, www.dirittounioneeuropea.eu, in cui l’Autrice, in riferimento all’importanza che riveste il principio di legalità dei reati e delle pene tanto nell’ordinamento giuridico dell’Unione, quanto in quello degli Stati membri, pone in evidenza come, con tale pronuncia, la Corte di Giustizia abbia affermato «senza alcuna condizione che l’applicazione delle norme dei Trattati istitutivi cessa là dove ne possano derivare effetti incompatibili con i principi sanciti dalla Carta [dei diritti fondamentali UE]»; Ead., La Corte costituzionale chiede alla Corte di giustizia di rivedere la sentenza Taricco: difesa dei controlimiti o rifiuto delle limitazioni di sovranità in materia penale?, in Rivista di Diritto internazionale, 2017, 407 ss. Nella pronuncia Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza del 3 maggio 2005, Berlusconi e altri, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, in ECLI:EU:C:2005:270, era stato evidenziato che tale fenomeno di permeabilità tra ordinamenti si estende anche a principi statali non formalmente costituzionali. O. Porchia, Common Constitutional Values and Rule of Law: An Overview from the EU Perspectives, in Rivista trimestrale di Diritto pubblico, 2017, n. 4, 981 ss.

[30] Nel presente contributo, questa formula verrà utilizzata in un’accezione ampia, volendo con essa fare riferimento allo Spazio giuridico complessivo dell’area europea (non della sola UE), definito dalla dottrina come “para-costituzionale” o “intercostituzionale” o “multilivello”, con il precipuo scopo di evocare efficacemente l’idea di situazioni giuridiche soggettive che ricevono tutela in diversi ordinamenti attraverso giurisdizioni non riconducibili ad unità o gerarchia. Sul punto v. R. Pisillo Mazzeschi, Diritto internazionale dei diritti umani. Teoria e prassi, Torino 2020, 160 ss.; U. Villani, I diritti fondamentali nel dialogo tra la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia, in Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, cit., 39 ss.; M.C. Carta, Dignità umana e tutela dei detenuti nello “Spazio di Giustizia” dell’Unione europea, in Freedom, Security & Justice. European Legal Studies n. 2/2020; Ead., I “livelli” di tutela dei diritti fondamentali nello Spazio giuridico europeo: i limiti del “dialogo” tra Corti, in Studi sull’integrazione europea, I, 2019, 161 ss.; C. Amalfitano, General Principles of EU Law and the Protection of Fundamental Rights, Cheltenham 2018; E. Malfatti, I “livelli” di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea, Torino 2018, 6 ss.; v. anche F. Ferraro, Lo Spazio giuridico europeo tra sovranità e diritti fondamentali. Democrazia, valori e rule of law nell’Unione al tempo della crisi, Napoli 2014, 188 ss.; R.C. Van Caenegem, I sistemi giuridici europei, Bologna 2003, 147 ss.; A.M. Salinas de Frías, La Protección de los Derechos Fundamentales en la Unión Europea, Granada 2000. Con riferimento al concetto di tutela “integrata” dei diritti fondamentali nello Spazio giuridico europeo v. A. Di Stasi, Introduzione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Milano 2018, 38 ss.; A. Ruggeri, “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti, Torino 2015; B. Nascimbene, La centralità della persona e la tutela dei suoi diritti, in Studi sull’integrazione europea, n. 1, 2013, 9 ss.; G. Strozzi, Il sistema integrato di tutela dei diritti fondamentali dopo Lisbona: attualità e prospettive, in Il diritto dell’Unione europea, 2011, n. 4, 837 ss.

[31] Così I. Gittardi, La miccia è accesa: la Corte di cassazione fa diretta applicazione dei principi della Carta di Nizza in materia di ne bis in idem, in Diritto penale contemporaneo n. 4/2017, 1 ss.

[32] Nella sua dimensione transnazionale l’art. 50 CDFUE ricalca l’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (CAAS), conclusa il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995. Tale Convenzione, sebbene non operante per tutti gli Stati delle Comunità europee, è stata integrata nel quadro dell’Unione europea nel 1999 (il c.d. acquis di Schengen), a seguito, come detto, del Trattato di Amsterdam, attraverso un apposito protocollo. L’art. 54 CAAS, diversamente dall’art. 4 Prot. n. 7 CEDU, prende in considerazione unicamente il profilo processuale (e non anche quello esecutivo) del principio in esame, vale a dire il divieto del doppio procedimento a carico dello stesso soggetto, in quanto sancisce che: «una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra parte contraente, a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge della parte contraente di condanna, non possa più essere eseguita». In tal modo, la citata disposizione attribuisce al giudice nazionale «un’efficacia preclusiva in ordine all’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto in qualunque altro Stato membro». Così in Cassazione penale, sentenza 54467 del 2016, cit., § 2.2.

[33] Cfr. Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, ECLI:EU:C:2008:461, punto 283: «I diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un particolare significato». In dottrina v., ex multis, U. Villani, La cooperazione tra giudici nazionali, la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo, in La cooperazione fra Corti in Europa nella tutela dei diritti dell’uomo, a cura di M. Fragola, Napoli 2012, 1-23.

[34] A. Di Stasi, Tutela multilevel dei diritti fondamentali e costruzione dello Spazio europeo di giustizia, in Tutela dei diritti fondamentali e Spazio europeo di giustizia, cit., 25 che, a tal proposito, parla di “spazio di (solo) tendenziale convergenza tra i due principali sistemi giuridici di tutela dei diritti umani”; V. Grevi, Linee di cooperazione giudiziaria in materia penale nella Costituzione europea, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C.E. Paliero, vol. III, Milano 2006, 2783 ss.; A.M. Salinas de Frías, La cooperación penal internacional y la Unión Europea: ¿hacia un derecho penal comunitario?, en Revista de Derecho de la Pontificia Universidad Católica de Valparaíso XXV, Chile 2004, 405- 415.

[35] In tal senso cfr. L. Burgorgue-Larsen, Les interactions normatives en matière de droits fondamentaux, in L. Burgorgue-Larsen et al. (dir.), Les interactions normatives. Droit de l’Union Européenne et Droit International, Paris 2012, 372-373. V. anche le Conclusioni dell’Avvocato Generale Cruz Villalón, presentate il 12 giugno 2012, nella causa C-617/10, Åkerberg Fransson, ECLI:EU:C:2012:340, punto 87 e la giurisprudenza ivi citata.

[36] V. infra § 5.

[37] Cassazione civile, sez. V, sentenza del 30 ottobre 2018, n. 27564, § 21.2.

[38] Per quanto concerne le persone fisiche, la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia ha chiarito che il principio del ne bis in idem opera solo per le persone che sono state giudicate con sentenza definitiva, una prima volta, in uno Stato membro. In tal senso cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 28 settembre 2006, Gasparini, causa C-467/04, cit., punti 34-37; Corte di Giustizia, sentenza del 28 settembre 2006, Van Straaten, causa C-150/05, ECLI:EU:C:2006:614, punti 20-21, relativa al traffico di stupefacenti, in cui i giudici di Lussemburgo hanno ritenuto soddisfatto il requisito dell’identità soggettiva anche nell’ipotesi di un concorso di persone in cui i coimputati di uno stesso soggetto mutano nei procedimenti instaurati in differenti Stati membri.

[39] A tal riguardo, la Corte di Giustizia, pronunciatasi in materia di omesso versamento dell’IVA, ha escluso che la regola del ne bis in idem di cui all’art. 50 CDFUE, possa trovare applicazione nelle ipotesi in cui un procedimento penale sia avviato a carico di una persona fisica (l’amministratore di una società), mentre la sanzione amministrativa abbia riguardato la persona giuridica (ossia la società rappresentata). In tal senso v. Corte di Giustizia, sentenza del 5 aprile 2017, Orsi e Baldetti, cause riunite C-217/15 e C-350/15, ECLI:EU:C:2017:264, punto 27. In senso conforme cfr. Cassazione civile, sentenza n. 27564/2018, cit., § 18.

[40] Merita sottolineare che il concetto di “definitività”, per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, deve riferirsi a qualsiasi atto che risolva in modo vincolante una determinata questione, ivi compresa la sentenza di patteggiamento divenuta definitiva. In tal senso v. Corte di Giustizia, sentenza del 5 giugno 2014, M, causa C-398/12, ECLI:EU:C:2014:1057, punto 41; Cassazione penale, sez. V, sentenza del 5 febbraio 2019, n. 5679. Per un approfondimento su tali aspetti processualistici v. A. Oriolo, Il diritto di non essere giudicato o punito due volte, cit., 355-356.

[41] In tal senso cfr. Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit., punto 27; Corte di Giustizia, sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, causa C-146/14 PPU, ECLI:EU:C:2014:1320, punto 79.

[42] In più occasione sono stati gli stessi Avvocati Generali ad esortare la Corte di Giustizia ad adottare una nozione unica di idem valevole per tutto il diritto UE e non differenziata ratione materiae. V. Conclusioni dell’Avvocato Generale J. Kokott, presentate il 15 dicembre 2011, nella causa C-489/10, Bonda, ECLI:EU:C:2011:845, punto 33, nonché la giurisprudenza ivi citata.

[43] V. Corte di Giustizia, sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a. c. Commissione, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P, C-219/00 P, ECLI:EU:C:2004:6, punto 388; Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a., causa C-17/10, ECLI:EU:C:2012:72, punto 97. In dottrina v. R. Cafari Panico, Concorrenza, benessere del consumatore e programmi di compliance, in Scritti in onore di Giuseppe Tesauro, Napoli 2014, 1473 ss.; E. Cannizzaro, L.F. Pace, Le politiche di concorrenza, in Aa. Vv., Diritto dell’Unione europea – Parte speciale, Torino 2010, 293 ss.; S. Bastianon, Il diritto comunitario della concorrenza e l’integrazione dei mercati, Milano 2005, 14 ss.; M. Condinanzi, A. Lang, B. Nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Milano 2003.

[44] Sul punto v. C. Amalfitano, R. D’Ambrosio, Art. 50, Diritto di non essere giudicato o punito due volte, cit., 1019.

[45] Sul nesso tra diritti di cittadinanza, con particolare riferimento alla libertà di circolazione nel diritto comunitario, la Corte di Giustizia si è pronunciata nella nota sentenza Corte di giustizia, 15 novembre 2011, causa C-256/11, Dereci, ECLI:EU:C:2011:734. Cfr. D.G. Rinoldi, N. Parisi, Mobilità globale? Migrazioni e altri movimenti incidenti sull'integrazione europea al tempo delle libertà e dei conflitti, in Le sfide dell'Unione europea a 60 anni dalla Conferenza di Messina, a cura di L. Panella, Napoli 2016, 201-236. Cfr. M.C. Carta, Dalla libertà di circolazione alla coesione territoriale nell’Unione europea, Napoli 2018, 6 ss.; R. Mastroianni, Stato di diritto o ragion di Stato? La difficile rotta verso un controllo europeo del rispetto dei valori dell’Unione negli Stati membri, in Dialoghi con Ugo Villani, a cura di E. Triggiani, F. Cherubini, I. Ingravallo, E. Nalin e R. Virzo, Bari 2017, 605-612; C. Morviducci, I diritti dei cittadini europei, Torino 2017, 61 ss.

[46] Corte di Giustizia, sentenza del 19 settembre 2002, nelle cause riunite C-187/01 e C-385/01, cit., punto 38.

[47] A tal proposito, appare opportuno ricordare che anche la giurisprudenza della Corte EDU, influenzata proprio dalle pronunce della Corte di Giustizia in materia di cooperazione penale, ha “reinterpretato” la garanzia di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, in una prospettiva meno “formale” rispetto a quella che aveva caratterizzato la sua precedente giurisprudenza. In tal senso v. Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 15 novembre 2016, ricorsi n. 24130/11 e 29758/11, A e B c. Norvegia; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 18 maggio 2017, Jóhannesson e a. c. Islanda; Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 10 febbraio 2009, ricorso n. 14939/03, Zolutukhin c. Russia, § 32.

[48] Corte di Giustizia, sentenza del 19 settembre 2002, nelle cause riunite C-187/01 e C-385/01, cit., punto 33.

[49] Corte di giustizia, sentenza del 9 marzo 2006, Van Esbroeck, causa C-436/04, cit., punti 21-24. Tale pronuncia rileva anche in riferimento all’ambito di applicazione temporale del principio del ne bis in idem. Al riguardo la Corte di Giustizia ha considerato determinante il momento dell’avvio del relativo procedimento penale o di inflizione della sanzione e non il momento della commissione del fatto perseguito. Il diritto a non essere sottoposto a processo o a pena più volte per gli stessi fatti costituisce, infatti, una «garanzia materiale che si perfeziona allorché sorge l’obbligo del pubblico potere di astenersi da qualsivoglia repressione». Una precedente decisione passata in giudicato crea evidentemente questo obbligo e fa «scattare l’applicazione del principio». Così in A. Oriolo, Il diritto di non essere giudicato o punito due volte, cit., 354.

[50] Corte di giustizia, sentenza del 9 marzo 2006, Van Esbroeck, causa C-436/04, cit., punti 36-38. In riferimento alle ipotesi di reato continuato, la Corte di Giustizia ha in più pronunce evidenziato che l’esistenza di un unico disegno criminoso relativo a più infrazioni commesse in Stati membri differenti, non è sufficiente per affermare la sussistenza anche di quell’insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro – nel tempo, nello spazio e nell’oggetto – rientranti nella nozione di «medesimi fatti» ex art. 54 CAAS. Cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 18 luglio 2007, Kraaijenbrink, causa C-367/05, ECLI:EU:C:2007:444, punto 30.

[51] S. Negri, La realizzazione dello Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia tra carta dei diritti fondamentali e CEDU: dalla convergenza alla integrazione tra sistemi?, cit., 111 ss.

[52] Sulle differenze tra autorità positiva del giudicato straniero e ne bis in idem v., per tutti, già N. Galantini, Il principio del «ne bis in idem» internazionale nel processo penale, Milano 1984, 98 ss.

[53] V. supra § 1.

[54] Cfr. Libro Verde della Commissione, del 23 dicembre 2005, sui conflitti di giurisdizione e il principio del ne bis in idem nei procedimenti penali, COM(2005)696 def.

[55] E. Bindi, Divieto di bis in idem e doppio binario sanzionatorio nel dialogo tra giudici nazionali e sovranazionali, in Federalismi n. 17/2018, 2 ss.

[56] Cfr. A. Oriolo, The European Public Prosecutor’s Office (EPPO): A Revolutionary Step in Fighting Serious Transnational Crimes, in American Society of International Law Insight n. 2/2018, consultabile online in www.asil.org/insights; E. Fusco, La tutela del mercato finanziario tra normativa comunitaria, ne bis in idem e legislazione interna, in Diritto penale contemporaneo, dicembre 2016, 1 ss.

[57] Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 23 novembre 1976, ricorsi n. 5100/71, 5101/71,5102/71,5354/72, 5370/72, Engel c. Paesi Bassi, § 82. In tale pronuncia, come in altre più recenti, la Corte europea ha precisato che trattasi di parametri alternativi e non cumulativi. È quindi sufficiente che ve ne sia uno dei tre perché la sanzione possa essere qualificata come penale. Nondimeno, un approccio cumulativo è sempre possibile quando l’analisi separata di ciascun criterio non permetta di raggiungere conclusioni chiare circa l’esistenza di una «accusa in materia penale». In tal senso v. anche Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/01, Jussilia c. Finlandia, punti 30-31; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 4 marzo 2014, ricorsi n. 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10,18698/10, Grande Stevens and Others c. Italia, §§ 94-96. Per un approfondimento sulla sentenza da ultimo citata v., ex multis, M. Manetti, Il paradosso della Corte EDU, che promuove la Consob (benché non sia imparziale) e blocca il giudice penale nel perseguimento dei reati di “market-abuse, in Giurisprudenza costituzionale, 2014, 2942 ss.; A. Lanzafame, Il ne bis in idem vale anche per le sanzioni amministrative di natura afflittiva: la Corte di Strasburgo conferma l’approccio sostanzialistico e traccia la strada per il superamento del “doppio binario”, in Federalismi, 20 giugno 2014, n. 2/2014; G.M. Flick, V. Napoleoni, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? («Materia penale», giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse), in Rivista delle società, 2014, 953 ss.; G. Abbadess, Il caso Fiat-Ifil alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nozione di «pena» e contenuti del principio “ne bis in idem, in Giurisprudenza commerciale, 2014, II, 546 ss.; M. Allena, Il caso Grande Stevens c. Italia: le sanzioni Consob alla prova dei principi Cedu, in Giornale di diritto amministrativo, 2014, 1053 ss.; M. Dova, Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e giudici nazionali e sovranazionali, in Diritto penale contemporaneo, 5 giugno 2014, 1 ss.

[58] I criteri Engel di qualificazione della “natura penale” di una sanzione, a tutt’oggi sovente richiamati dalla giurisprudenza nazionale degli Stati parte del Consiglio d’Europa, erano i seguenti: la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale; la natura dell’illecito: il grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere.

[59] F. Goisis, Verso una nuova sanzione amministrativa in senso stretto: il contributo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2014, 337 ss.

[60] Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 12 luglio 2001, Ferrazini v. Italia, ric. n. 44759/98; nonché Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 4 marzo 2004, ric. n. 47650/09, Silverster’s Horeca Service v. Belgio, § 36.

[61] Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia del 2016, cit. P. Fimiani, Market abuse e doppio binario sanzionatorio dopo la sentenza della Corte E.D.U., Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, in Diritto penale contemporaneo, 8 febbraio 2017, 13.

[62] In tal senso v. anche Corte costituzionale, sentenza del 24 gennaio 2018, n. 43.

[63] In particolare la Corte EDU ha precisato che il nesso temporale, che non esige contestualità di svolgimento e di decisioni, deve concorrere con quello materiale. Quali elementi pertinenti per valutare l’esistenza di un nesso materiale sufficientemente stretto, la Corte europea indica: a) se le distinte procedure perseguono obiettivi complementari e riguardanti, non solo in abstracto ma anche in concreto, aspetti diversi dall’atto pregiudizievole alla società in causa; b) se il dualismo dei procedimenti risulti essere una conseguenza prevedibile, sia dal punto di vista del diritto che nella pratica, degli stessi comportamenti repressi (idem); c) se i procedimenti si sono svolti in una maniera che eviti, per quanto possibile, qualsiasi ripetizione nella raccolta e valutazione degli elementi di prova, principalmente attraverso un’interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, facendo sembrare che la statuizione dei fatti effettuata in uno dei procedimenti è stata ripresa nell’altro; d) soprattutto – sottolinea la Corte europea – se la sanzione imposta al termine del processo è stata prima presa in considerazione nell’ultimo processo, in modo da non gravare in modo eccessivo sull’interessato, essendo quest’ultimo rischio meno suscettibile di presentarsi esistendo un meccanismo di compensazione che possa assicurare che l’insieme globale di tutte le sanzioni irrogate sia proporzionato (§§ 126-132).

[64] La Corte europea dei diritti dell’uomo (§§ 117 e 118 della sentenza A e B c. Norvegia del 2016) prende atto dell’effettiva diversità dei sistemi sanzionatori statuali e ricorda – anche alla stregua delle Conclusioni dell’Avvocato generale Cruz Villálon presentate il 12 giugno 2012, nella citata causa C-617/10, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson – che alcuni Stati contraenti non hanno ratificato il prot. 7 mentre altri, in sede di ratifica hanno formulato riserve e dichiarazioni interpretative volte a limitare il vincolo ad applicare l’art. 4 alla sola materia qualificata come penale dal diritto interno.

[65] Al riguardo la Corte europea dei diritti dell’uomo si esprime nei termini di: «una combinazione di procedimenti che costituisce un insieme integrato».

[66] Così in T. Rafaraci, Il principio del ne bis in idem nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, cit., 343.

[67] Corte di Giustizia, sentenza del 23 dicembre 2009, Spector Photo Group e Van Raemdonk, causa C-45/08, ECLI:EU:C:2009:534, punto 70, in materia di abuso di informazioni privilegiate. Al riguardo la Corte aveva precisato che gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure sanzionatorie siano «efficaci, proporzionate e dissuasive». Anche nella successiva pronuncia Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, i giudici di Lussemburgo si erano pronunciati favorevolmente sulla compatibilità del doppio binario sanzionatorio dei sistemi nazionali con l’art. 50 CDFUE. In dottrina v. J.A.E. Vervaele, Ne bis in idem: ¿un principio transnacional de rango constitucional en la Unión Europea?, in Indret: Revista para el Análisis del Derecho, 2014, 28.

[68] Cfr. P. Corvi, I rapporti tra accertamento tributario e accertamento penale, in La nuova giustizia penale tributaria. I reati. Il processo, a cura di A. Giarda, A. Perini e G. Varraso, Padova 2016, 461 ss.; G. Piziali, Il processo penale per l’accertamento dei reati tributari, in Profili critici del diritto penale tributario, a cura di R. Borsari, Padova 2013, 332 ss.

[69] Cfr. Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e altri, causa C-105/14, ECLI:EU:C:2015:555, punto 39. In dottrina v. ex multis C. Amalfitano, Rapporti di forza tra Corti, sconfinamento di competenze e complessivo indebolimento del sistema UE?, cit., 1-36; P. Mori, Taricco II o del primato della Carta dei diritti fondamentali, cit.; G. Ziccardi Capaldo, Lotta globale all’impunità e Corte di giustizia dell’Unione europea: un nuovo approccio alla frode grave come crimine contro i diritti umani, in Aa.Vv., Liber Amicorum Antonio Tizzano. De la Cour CECA à la Cour de l’Union: le long percours de la Justice européenne, cit., 1035 ss.

[70] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit.

[71] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA, cit.

[72] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Di Puma e Consob, cit.

[73] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit., punto 53.

[74] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e altri, cit., punto 53.

[75] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA, cit., punto 67. In senso opposto cfr. Corte costituzionale, sentenza del 7 novembre 2017, n. 269, § 5.2.

[76] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 27 maggio 2014, Spasic, causa C-129/14 PPU, ECLI:EU:C:2014:586.

[77] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Menci, cit., punto 46.

[78] In tal senso Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA, cit., punto 46.

[79] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA, cit., punto 56.

[80] Un espresso riferimento alla citata disposizione è invece contenuto nelle Conclusioni dell’Avvocato Generale J. Kokott, presentate il 12 gennaio 2012, nelle cause riunite C-628/10 P e C-14/11, P Alliance One International Inc. e altri c. Commissione europea e altri, § 175, in materia di concorrenza.

[81] Tale principio è stato, da ultimo, richiamato nella pronuncia Corte costituzionale, sentenza del 21 marzo 2019, n. 63, § 2.3 in cui la Consulta ha avuto modo di precisare che: «l’apparato sanzionatorio amministrativo per gli abusi di mercato dovrebbe pur sempre essere caratterizzato da adeguatezza, dissuasività, effettività e proporzionalità».

[82] Cfr. M.C. Carta, Dignità umana e tutela dei detenuti nello “Spazio di Giustizia” dell’Unione europea, cit., ove in merito all’applicazione del principio europeo di proporzionalità nella giurisprudenza interna, viene evidenziata la difficoltà di attribuire autonomo rilievo all’art. 49 § 3 CDFUE alla luce del suo sostanziale “assorbimento” nelle previsioni costituzionali (artt. 3 e 27 Cost.), così assurgendo semmai ad “importante conferma” del principio di proporzionalità nell’ordinamento interno o a “strumento complementare rispetto al parametro costituzionale”. Sul principio di proporzionalità nell’UE v. anche M. Panzavolta, Legalità e proporzionalità nel diritto penale processuale, in Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cit., 972-1001 e 1001-1014; R. Palladino, I principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene nell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in Tutela dei diritti fondamentali e Spazio europeo di giustizia, cit., 320 ss.

[83] Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA, cit., punto 66. In tale occasione la Corte ha statuito che il principio ex art. 50 CDFUE deve essere interpretato nel senso che «osta ad una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite […] per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva» (punto 63).