Memorie-2018

 

 

paolo-maddalena - CopiaPaolo Maddalena

Vice-Presidente Emerito

della Corte Costituzionale

 

IL DEBITO “INGIUSTO”, O “DETESTABILE”, O “ODIOSO” E LA IMPOSSIBILITÀ DELLA PRESTAZIONE *

 

 

Il problema del “debito ingiusto” è stato di recente portato all’attenzione di tutti dal Sindaco di Napoli Luigi De Magistris con la manifestazione svoltasi a Roma, Piazza Montecitorio, il 14 maggio 2018.

Al riguardo, è da ricordare, innanzitutto, che, a proposito del ”debito ingiusto”, ci sono interessanti precedenti storici.

In Iraq, Bagdad e Washington condonarono il debito che pesava sui cittadini iracheni, perché il governo che lo aveva contratto fu giudicato un governo tirannico.

La dizione “debito odioso” compare per la prima volta nel 1927, quando il giurista russo Alexander Sack pubblicò un saggio su “Gli effetti della trasformazione dello Stato sul debito pubblico e sulle obbligazioni finanziarie”.

Con il Trattato di Versailles del 1919, il concetto di “debito ingiusto” venne applicato a livello internazionale. Francia e Polonia vennero esentate dall’assumersi i debiti contratti dai tedeschi sui territori conquistati, “poiché i prestiti erano stati finalizzati al mantenimento dei controlli su quei territori e non al bene delle popolazioni”.

Da questi brevi esempi può già trarsi qualche dato di grande importanza: il debito è stato ritenuto ingiusto, e quindi una prestazione non esigibile, se si tratta di debito contratto da un “tiranno”,  se il debito non è stato utilizzato nell’ “interesse del Popolo”, e, infine, se si tratta della “trasformazione” di uno Stato.

Sembra un caso, ma in realtà, se si guarda alla nostra Costituzione, questi concetti sono da ritenere tutti giuridicamente e costituzionalmente validi.

Innanzitutto, non ci vuole molto per capire che la Comunità debba rispondere soltanto dei debiti contratti da amministratori dalla stessa eletti e, comunque, dall’organo che è a ciò legittimato dalla Costituzione. Per convincersene, è sufficiente considerare la stessa nozione di “Stato” sancita dalla nostra Costituzione, secondo la quale lo Stato, non è lo Strato persona, cioè una “entità astratta” e praticamente sottratta al controllo popolare, come era lo Stato previsto dallo Statuto albertino, ma lo “Stato comunità” (art. 1 Cost.), il quale si riparte in vari enti territoriali: Comuni, Città metropolitane e Stato” (art. 114 Cost.). Dunque, siamo al sicuro: non c’è posto per i tiranni. L’unico pericolo è costituito dal fatto che le persone fisiche che agiscono come rappresentanti del Popolo o come organi dello Stato comunità, agiscano contro l’interesse degli amministrati e a favore proprio o di terzi.

Inoltre, è oltremodo chiaro, in Costituzione, che il debito deve servire a soddisfare i bisogni della popolazione, come si evince dall’art. 97 Cost., secondo il quale debbono essere assicurati «il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione», dall’art. 98 Cost., il quale  precisa che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione», nonché dall’art. 28 Cost., secondo il quale «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti»; diremmo, più precisamente, «dei diritti degli amministrati». Ed è ancora da aggiungere che le leggi di contabilità generale dello Stato contemplano una forma specifica di risarcimento del danno pubblico delle Collettività amministrate, prevedendo la “responsabilità amministrativa” patrimoniale di funzionari e amministratori pubblici.

Al riguardo, poi, non si può fare a meno di sottolineare che, a causa del sistema economico predatorio, instaurato dal pensiero unico dominante del neoliberismo, esiste, purtroppo un tiranno esterno, costituito dalla finanza e dalle multinazionali, il quale, facendo valere il concetto di “proprietà privata” di stampo borghese, e ora neoliberista (concetto pienamente contraddetto dal principio della “funzione sociale” della proprietà sancito nell’articolo 42, comma 2, della Costituzione), si impossessa di interi continenti (come l’Africa), togliendo ai Popoli sovrani la proprietà collettiva del loro territorio, oppure specula sul piano puramente finanziario, ad esempio, acquistando titoli del debito pubblico a prezzi ridottissimi e pretendendo poi dai Paesi poveri (in questo stato si trova oggi l’Italia) il prezzo pieno riportato sul titolo.

In proposito, occorre aggiungere che in Italia si è verificato anche il terzo elemento secondo il quale il debito è da definirsi “ingiusto”, il fatto cioè che il sistema economico predatorio instaurato dal neoliberismo è riuscito a “trasformare” lo “Stato comunità” , e cioè la “Repubblica democratica” voluta dalla Costituzione (nella quale, come è noto, prevale la “volontà popolare”), in uno Stato, per così dire, di natura “coloniale”, nel quale “predomina” comunque la volontà del “mercato unico globale”, e cioè della “speculazione finanziaria”, o “commerciale” che dir si voglia.

Per chiarire meglio questa affermazione, è necessario porre innanzitutto in evidenza che la nostra Costituzione fa riferimento a una “Comunità politica” (la “Repubblica” o “Stato comunità” che dir si voglia) “strutturata” in tre elementi: a) il Popolo, il quale reca il suo contributo alla Comunità con il lavoro (secondo la nostra Costituzione, tutti devono lavorare e sono esenti da questo dovere, avendo diritto all’assistenza pubblica, soltanto “gli inabili al lavoro”: art. 38 Cost.; b) il “territorio”, che fornisce al Popolo i mezzi di sostentamento e le risorse necessarie allo sviluppo della persona umana e al progresso materiale e spirituale della società (artt. 3, comma 2, e 4 Cost.); c) la “sovranità”, cioè il potere supremo di porre norme giuridiche vincolanti per tutti. Ed è inoltre da sottolineare, quanto al “funzionamento” di questa Comunità,  che la Costituzione ha previsto, con l’art. 3 e con il Titolo terzo della Parte prima, un “sistema economico produttivo” di stampo keynesiano, in modo che siano garantiti i mezzi economici necessari per lo sviluppo di tutti e per il progresso della società. Si è parlato, a questo proposito, di “norme di ordine pubblico economico”,  poiché è evidente che una Comunità non può crescere e svilupparsi, se non è salvaguardata la “ricchezza nazionale”, la quale, si badi bene, in base al citato articolo 3 Cost., deve essere distribuita equamente tra tutti i cittadini, dando luogo a una “eguaglianza economica e sociale”.

Diciamo subito che,  negli ultimi anni, le nostre leggi di carattere economico, o che comunque incidono sull’economia, (da ritenere in stridente contrasto con la Costituzione), conformandosi sovente alle prescrizioni europee (le quali ci impongono da un lato l’austerità, cioè ci impediscono lo “sviluppo”, e dall’altro pretendono che il debito diminuisca), hanno dapprima inceppato il “funzionamento” della nostra economia, e poi hanno quasi interamente distrutto il nostro potenziale economico, mutando così la “struttura stessa” della nostra Comunità politica. Questa, come è evidente, ha cambiato volto, impoverendosi drasticamente e mostrando un divario sempre più ampio tra ricchi e poveri.

Ha cominciato il Ministro del Tesoro Andreatta, il quale, il 12 febbraio 1981, con una semplice lettera indirizzata al Governatore della Banca d’Italia Azeglio Ciampi, ha sollevato quest’ultima dall’obbligo di acquistare i buoni del tesoro rimasti invenduti, in modo che siamo stati costretti a rivolgerci al mercato generale, il quale ha fatto lievitare i “tassi di interesse” fino al venticinque per cento. Oggi si può affermare che l’intero ammontare del nostro “debito pubblico” è costituito da tassi di interesse pagati alla speculazione finanziaria internazionale (la quale, come si è detto, acquista i nostri titoli a un prezzo ridotto e poi pretende di ottenere, alla scadenza, il prezzo pieno). Nel 1985 sono state “privatizzate” le Ferrovie, parte delle quali (“Italo”) sono state svendute agli Stati Uniti. Nel 1990 sono state “privatizzate” tutte le banche pubbliche, cioè le banche in “proprietà” collettiva del Popolo Italiano. Una vera e propria “sottrazione di ricchezza” a danno di tutti i cittadini. Continuando su questa linea, nel 1992, sono state “privatizzate” l’INA, l’IRI, l’ENEL e l’IRI con tutte le numerose sue industrie, che poi sono state svendute a privati, prevalentemente stranieri. Nel 1993 sono state “privatizzate” le “Poste italiane”. Nel 1998, si è ritenuto opportuno “liberalizzare” il commercio, eliminando le previste distanze tra negozi e cancellando la necessità delle cosiddette “licenze di commercio”. Nel 1999, la legge n. 130, ha dato man forte alla speculazione legittimando la “cartolarizzazione dei diritti di credito”, cioè la libera circolazione dei “debiti” nel mercato generale, come se si trattasse di “moneta contante”. Ancor peggio ha fatto, nel 2001, la legge n. 448 (finanziaria 2002), la quale ha legittimato i “derivati”, cioè delle pure “scommesse”, attribuendo loro, incredibilmente, la validità di “moneta contante”. Nel 2001, si è andati avanti nello smantellamento della nostra economia, approvando un piano di “dismissione” di tutti i nostri “immobili pubblici”, anche se “artistici e storici”, anche cioè se in “proprietà collettiva demaniale” del Popolo Italiano. Nel 2010, con il decreto legislativo n. 85, denominato “federalismo demaniale”, si sono trasferiti alle Regioni i demani statali idrico, marittimo, minerario e culturale, eliminando il carattere della “demanialità” e rendendoli “alienabili”a privati. Nel 2012 si è proceduto a togliere, in violazione palese della Costituzione, ogni vincolo all’iniziativa economica privata, dimenticando che l’art. 41 Cost. afferma sì che «l’iniziativa economica privata è libera», ma soggiunge subito che essa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Sono seguite poi innumerevoli leggi, tutte a favore della finanza e delle multinazionali e contro gli interessi del Popolo Italiano. Si pensi allo Sblocca Italia, al Jobs Act, alla cosiddetta “buona scuola”, alla “riforma della pubblica amministrazione”,  fino al recentissimo decreto legislativo “ammazza foreste” e all’ultimissimo “recepimento” nell’ordinamento italiano della Direttiva “Bolkestein”, secondo la quale devono essere messi a gara europea persino i servizi di spiaggia e i servizi ambulanti, nonché della Direttiva“Bail in”, secondo la quale, in caso di fallimento delle banche, rispondono anche i depositanti. E’ evidente che, grazie alle prescrizioni dell’Europa e grazie alla condiscendenza dei nostri governanti, siamo passati da un “sistema economico produttivo” a un “sistema economico predatorio”. Oggi non è più la Comunità politica che detta norme all’economia, ma è quest’ultima che impone alla Comunità le norme da adottare. 

Dunque, sono mutati la “struttura” e il “funzionamento” della nostra Comunità politica e si può tranquillamente affermare che si è verificato un vero e proprio “mutamento dello Stato”,e, quindi, come si diceva, una situazione di “debito ingiusto”.

In sostanza, ci troviamo oggi nell’impossibilità reale di far fronte, da un lato alle spese necessarie a garantire un minimo di “prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117 Cost., comma 2, lett. m), e dall’altro a osservare il cosiddetto “pareggio di bilancio”, imposto dall’Unione Europea e, incautamente e tenendo all’oscuro l’opinione pubblica, inserito in Costituzione. In questa situazione, come ognun vede, è diventato “impossibile” pagare il “debito pubblico”, che, come poco sopra detto, è diventato “ingiusto”. Si è realizzata, in sostanza, sul piano giuridico, “l’impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore”, come prevede, del resto, l’art. 1218 del nostro codice civile.

Ora si impone con urgenza una “revisione del debito pubblico”, che sia condotta con grande professionalità e acutezza, sia giuridica, che contabile, in modo da “non riconoscere come dovuto”  il “debito ingiusto”, causato dalla indebita ingerenza di un “tiranno”, che si è tenuto nell’ombra; dalla proditoria emanazione di leggi incostituzionali favorevoli agli interessi delle multinazionali e delle banche e contrarie agli interessi del Popolo; dal cambiamento della struttura e del funzionamento dello Stato comunità, il quale è passato da uno Stato con una economia produttiva di stampo keynesiano, ad uno Stato con una economia predatoria di stampo neoliberista, un sistema economico che impedisce lo sviluppo e, quindi, il pagamento e la stessa diminuzione del debito pubblico. E’ ovvio poi, che, in questo contesto, sono venuti meno anche gli obblighi imposti dai Trattati Europei di Maastricht e di Lisbona, i quali sono stati attuati per la parte favorevole alla finanza e agli internessi dei Paesi economicamente più forti e a discapito dei Paesi più deboli, come l’Italia. Ne consegue che, in questa abnorme situazione, l’Italia deve provvedere immediatamente a revocare gli atti di ratifica dei citati Trattati e gli atti di recepimento delle relative norme derivate sinora emesse. Ed è ancora urgentissimo approvare anche due semplicissime leggi: l’una che riscriva gli articoli del codice civile che riguardano la “proprietà privata” alla luce dell’articolo 42 della Costituzione, ed in particolare alla luce del principio della “funzione sociale” della proprietà (considerato che l’Accademia e sovente anche i giudici leggono la Costituzione alla luce delle norme del codice civile e non leggono il codice civile alla luce della Costituzione); l’altra che disponga, sull’esempio di quanto è già stato fatto in Belgio (legge del 12 luglio 2015), che impedisca agli acquirenti di titoli del debito pubblico a prezzi stracciati, di ottenere dagli Stati debitori il pagamento del valore pieno dichiarato sul titolo.

La situazione è gravissima e ricca di incognite. Non c’è più tempo da perdere. Attuare la Costituzione nei sensi sopra detti è l’unica ancora di salvezza che ci resta. Se la Costituzione venisse cambiata, come ancora si tenta di fare, non ci resterebbe che rassegnarci per sempre ad essere un Popolo in stato di schiavitù. E i padroni resterebbero soprattutto i finanzieri e le multinazionali ebreo statunitensi.

 

 

 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dai promotori del Seminario “Contro l’usurocrazia ”, dal curatore della pubblicazione e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 

* Relazione presentata nel Seminario di studi "CONTRO L’USUROCRAZIA. DEBITO E DISUGUAGLIANZE", organizzato dall’Unità di ricerca “Giorgio La Pira” del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Sapienza Università di Roma, diretta dal professore Pierangelo Catalano, e dal CEISAL - Consejo Europeo de Investigaciones Sociales de América Latina, Grupo de Trabajo de Jurisprudencia, svoltosi presso la Biblioteca Centrale del CNR il 15 dicembre 2017, in occasione del XX Anniversario della “Carta di Sant’Agata de’ Goti – Dichiarazione su usura e debito internazionale”.