Università
di Palermo
Brevi
considerazioni su diritto romano, scienza del diritto e identità giuridica
europea
(leggendo
Barberis, Europa del Diritto)
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. – Carattere paradigmatico del diritto europeo
nel mondo e diritto romano come paradigma originario del diritto europeo. – 3. Identità giuridica europea e diritto romano. – 4. ‘Rechtsgemeinschaft’ e
‘Rechtswissenschaft’: diritto comune europeo e scienza del diritto. – 5. Interpretazione e diritto europeo. – 6. Interpretazione conforme e armonizzazione. – 7. Considerazioni finali. – Abstract.
In
margine alle lezioni del corso di diritto romano, in un seminario di carattere
interdisciplinare[1],
ci siamo trovati a discutere dei contenuti e delle metodologie dei nostri
insegnamenti nell’ambito dell’attuale percorso formativo delle Facoltà
giuridiche. Le riflessioni traggono spunto dalla recente necessità di aprire
tutti gli insegnamenti impartiti nei Corsi di Laurea in Giurisprudenza anche
all’ambito e alla dimensione europea in conseguenza, se non altro,
dell’inserimento dell’ordinamento giuridico italiano nell’ambito dell’Unione
Europea e di altre entità sovranazionali.
Si
tratta di un argomento di ampiezza e complessità di rilievo, che certo esula
dall’ambito del presente contributo, sul quale mi permetterò di svolgere solo
qualche breve considerazione, traendo spunto da alcune suggestive e
interessanti riflessioni contenute nel bel volume di Mauro Barberis “Europa del diritto”.
Infatti,
visto che trattasi di problematica complessa, articolata e discussa, appare
particolarmente interessante considerare il parere di studiosi di altre
discipline proprio per evitare rischi di autoreferenzialità o di difesa
aprioristica di orientamenti consolidati tra gli studiosi di tali discipline,
peraltro non corporativisticamente compatti sulle proprie posizioni, ma
protagonisti di un vivace dibattito, animato da differenziate e variegate
opinioni sul tema[2].
Con
ciò lungi da noi ogni volontà di riprendere il tema dell’ “attualità” del
diritto romano e dell’uso del diritto romano come “diritto vigente”, né quella
dei Fondamenti del diritto europeo, già oggetto di numerose riflessioni[3],
ma semmai svolgere qualche considerazione sul rapporto tra diritto romano e
diritto comune europeo, in relazione all’esistenza di una comune identità
giuridica europea.
Nel
volume di Barberis vengono in considerazione, infatti, alcune interessanti
riflessioni sull’identità giuridica europea, sul carattere paradigmatico svolto
dal diritto romano nella costruzione del diritto europeo, e sul carattere
paradigmatico del diritto europeo nel mondo.
Non vi è dubbio, infatti, che alla luce dei notevoli
mutamenti ordinamentali sovranazionali, si rinnova la considerazione del ruolo
delle discipline storiche nell’ambito della formazione del giurista che oggi
non può che qualificarsi e accreditarsi come ‘giurista europeo’.
D’altronde, già Paolo Grossi[4] nella
premessa al volume ‘L’Europa del diritto’ non esitava ad affermare che : «...da
sempre ho avuto la coscienza precisa che lo sguardo dello storico del diritto
dovesse essere ampio, sia per ricomprendere i tempi medievale, moderno e
contemporaneo, sia per ricomprendere l'intero spazio europeo (almeno europeo).
Solo così la storia del diritto poteva assolvere (come oggi può assolvere) la
sua ineliminabile funzione formativa».
Barberis[5], nell’esordio della sua
trattazione sull’Europa del diritto, prende le mosse dal testo di una
conferenza tenuta da Carl Schmitt presso alcune Università europee dal titolo “La
Condizione della scienza giuridica europea”[6], in quanto lo considera il
prologo ideale ad un libro sull'identità giuridica europea. La Conferenza,
infatti, sebbene tenuta negli anni 1943-44, sulle macerie dell'Europa ancora
dilaniata dallo scontro bellico tra le Nazioni europee, lascia emergere in
maniera sorprendente l’esistenza di una comunità giuridica (Rechtsgemeinschaft’) e di una scienza giuridica (Rechtsvissenschaft) ancora autenticamente europee.
Per comprendere l’importanza e il
carattere lungimirante delle considerazioni di Schmitt basta valutare che solo
pochi anni dopo si perverrà alla creazione della Comunità Economica Europea e
poi all’Unione Europea che, per definizione degli stessi Trattati, è Spazio
comune di libertà, sicurezza e giustizia.
Bene, Carl Schmitt incentra la sua
trattazione – come ricorda Barberis[7] -
anzitutto sul carattere originario nella storia del mondo del diritto europeo,
figlio del diritto romano, nonostante il suo carattere composito frutto di
prestiti e recezioni fra le diverse culture giuridiche europee. Poi, sul ruolo
decisivo giocato dalla scienza del diritto, originariamente nata
nell’esperienza storica del diritto romano e poi rinata nelle università medievali,
che egli considera l'autentica custode delle fonti del diritto, se non la fonte
del diritto per eccellenza. Infine, oggetto della sua attenzione è la crisi il
rimediabile del concetto di legalità fino ad allora adottato, legato in maniera
inscindibile al positivismo giuridico.
Quando Schmitt scrive[8],
infatti, sembrava proprio che parlare di una scienza del diritto europeo fosse
inammissibile e addirittura ‘non scientifico’, in quanto il positivismo
giuridico, dominante nella cultura giuridica europea, poteva ammettere solo un
diritto tedesco, francese, spagnolo, svizzero, o comunque relativo a un unico
Stato; in mancanza di un comune Stato europeo e di una volontà normativa
europea – secondo la visione positivistica – non sarebbe potuto esistere alcun diritto
europeo né una scienza giuridica europea. Lo stesso diritto internazionale
privato, che Savigny aveva considerato espressione di una comunità giuridica
europea, era stato ormai ridotto dai giuspositivisti a mero diritto interno
statale. Pertanto – conclude Schmitt – quello stesso diritto che i giuristi
europei, per millenni, avevano concepito come unitario e tendenzialmente
universale, per i teorici giuspositivisti fra otto e novecento sarebbe ormai definitivamente venuto meno.
Al contrario, l’Autore[9], pone
in evidenza che invece, almeno dal punto di vista dell'ordinamento concreto, il
senso e il contenuto di concetti situazioni essenziali dei popoli europei
coincidono in modo sorprendente, mostrando in maniera evidente da questo punto
di vista l’esistenza una Comunità del diritto europeo.
E a
tal proposito, non a caso, utilizza l’espressione ‘Rechtsgemeinschaft’ - già usata da Savigny e Otto von Gierke, che
verrà poi significativamente ripresa dal primo Presidente della Commissione
della Comunità economica europea, Walter Hallstein[10], e poi dalla stessa Corte di Giustizia
Europea[11].
In tal
modo per Schmitt[12]
si configura l’esistenza «di un’identità giuridica europea, che consiste
proprio in questo groviglio di somiglianze e differenze: frutto di una storia
comune di incontri e di scontri, di secolare cooperazione e di sempre latenti
conflitti ».
In realtà, lo stesso Schmitt[13]
ammette che l’intera storia e l’intero sviluppo del diritto dei popoli europei
è da migliaia di anni una storia di reciproche recezioni: dove per ‘recezione’
non si intende un’accettazione distratta e priva di fantasia, ma un processo di
alterne incorporazioni, adattamenti, e perfezionamenti. Pensa però soprattutto
alla recezione del diritto romano sul continente, e, ad esempio anche alla
recezione europea, e poi mondiale, del costituzionalismo liberale inglese.
L’
identità comune troverebbe, infatti, la sua matrice più profonda nel diritto
romano, o meglio nella scienza giuridica romana.
Così,
Barberis[14],
sempre sulla scorta del pensiero di Carl Schmitt[15]: «Le matrici comuni del diritto europeo
– tanto di civil law, quanto di common law – stanno per Schmitt nel diritto
romano: o meglio nella dottrina o scienza giuridica (Recthswissenschaft) romana», precisando inoltre, che «nella
ricezione del diritto romano[....] non si è trattato semplicemente della
recezione di un diritto, ma della recezione di una scienza giuridica».
Continua
Barberis[16] ritenendo che l’argomento migliore
addotto a sostegno del ruolo di paradigma originario del diritto europeo,
giocato dal diritto romano, non è né la sua perdurante vigenza, né la sia
persistente influenza, ma piuttosto il fatto che è divenuto un sorta di
«grammatica giuridica elementare, implicita in qualsiasi discorso dei
giuristi». Riferisce così per esteso ancora una volta le parole di Schmitt, che
vogliamo riportare integralmente in questa sede in quanto ci sembrano davvero
significative:
«In
tutta Europa – anche nel diritto comune dei paesi che non hanno recepito il
diritto romano nel proprio diritto – innumerevoli e influenti autori, con
titoli o denominazioni quali ‘diritto di natura’, ‘diritto razionale’, ius gentium e ‘teoria generale del
diritto’, hanno inserito con un lavoro di secoli forme concettuali del diritto
romano nella scienza giuridica di ogni paese, producendo in tal modo un
inventario di concetti fissi tradotti in ogni lingua europea. Con il lavoro dei
giuristi di tutti i popoli europei il diritto romano è diventato un vocabolario
comune, la lingua della comunità della scienza giuridica, il modello
riconosciuto del lavoro concettuale giuridico e, in tal modo, un common law
concettuale e spirituale europeo, senza il quale non sarebbe neppure teoricamente
possibile una comprensione fra i giuristi delle diverse nazioni. L’edificio
culturale qui eretto dallo spirito europeo poggia su tale base comune, prodotta
da una comune scienza del diritto europea [...] Il processo infinitamente vario
e ricco di conseguenze della cosiddetta recezione del diritto romano, operante
sino ai nostri giorni in ogni àmbito della vita culturale, già da solo ci
autorizzerebbe a parlare ancor oggi di una scienza del diritto europea»[17].
Le
forme concettuali del diritto romano sono dunque state inserite nella scienza
giuridica di ogni paese europeo a prescindere dalle diverse concezioni del
diritto vigenti nei vari momenti storici: giusnaturalismo, razionalismo ecc.
Pertanto, in Europa il diritto romano è diventato un ‘vocabolario comune’, ‘la
lingua della comunità della scienza giuridica’, ‘il modello riconosciuto del
lavoro concettuale giuridico’ e, in tal modo, ‘un common law concettuale e
spirituale europeo’, senza il quale non sarebbe neppure teoricamente possibile
una comprensione fra i giuristi delle diverse nazioni.
Schmitt
da, dunque, per scontata la storicizzazione del diritto romano, e, valuta,
pertanto, positivamente la possibilità che, venuta meno definitivamente la sua
validità pratica e positiva, possa considerarsi pienamente invece «il significato europeo della scienza
del diritto romano»[18].
Barberis[19] concorda pienamente con
questa opinione ed è disposto a difenderla anche contro le recenti critiche
mosse da chi tenta di confutare le ‘radici occidentali’ del mondo moderno,
riportandole a quelle multiculturali di origine afroasiatica[20].
Tale
ipotesi auspica, infatti, una ‘deromanizzazione’ della giurisprudenza, connessa
con la decapitazione dell’ideologia occidentale, dichiarandosi espressamente
contraria a una strategia di legittimazione del ‘primato occidentale’ nel campo
giuridico attraverso la storia del diritto romano. Il tentativo perseguito
sembra quello di cercare di confutare le radici occidentali del diritto
moderno, allo scopo di concludere che il ruolo centrale finora assegnato alla
storia del diritto romano nella tradizione giuridica occidentale avrebbe dovuto
da tempo essere sostituito da radici multiculturali, prodotte da varie civiltà
afroasiatiche. Questo ‘approccio diffusionista’ contro un ‘modello
evoluzionista ‘ si dispiega in un attacco al modello di originalità e
superiorità del diritto romano, nonché alla sua utilità nella continuità e nel
rinnovamento[21].
Ebbene,
Barberis[22]
si oppone a tale posizione dottrinale
in quanto ritiene che poco importi che quanto la tradizione europeo-occidentale
ha chiamato diritto romano fosse in realtà laziale, o etrusco, o
assiro-babilonese: ogni identità nasce
da ibridazioni e contaminazioni.
Il punto davvero importante, a suo parere, …«non è
normativo o valutativo, ma concettuale: riguarda la possibilità stessa di,
nonché le condizioni alle quali è possibile ricavare dal concetto di diritto in
senso stretto della tradizione giuridica europeo-occidentale un concetto di
diritto talmente generico – come fa il maestro di Monateri, Sacco – da poterlo
poi ritrovare in qualsiasi cultura. Il punto è se, in assenza delle Dodici
Tavole, della iurisprudentia e
soprattutto del Corpus Iuris
l’Occidente, e più specificatamente l'Europa, avrebbe mai annoverato il diritto
fra le sue radici. Forse il totem da noi oggi venerato sotto il nome di diritto
sarebbe solo quella cosa un po' bizzarra che sono, per gli europei, i ‘diritti’
altrui: e parlare di un'Europa del diritto, allora, suonerebbe pressappoco come
parlare di un Europa dei cavilli e delle parcelle degli avvocati»[23].
In realtà, ormai pacificamente si
riconosce che la storia giuridica dell’Occidente prende origine dal diritto del
mondo antico, e in parte anche dal diritto romano. In particolare, l’idea
dell’ordine, della coerenza delle soluzioni giuridiche sostenuta dalle tecniche
della scientia iuris, costituisce la
caratteristica fondamentale della tradizione giuridica occidentale e affonda le
sue radici nell’esperienza antica.
Basti
ricordare quanto scrive, infatti, Schiavone[24]
«Da un lato, l’idea greca di fondare lo spazio pubblico su un’architettura
costituzionale espressione del primato dell’assemblea e dell’eguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge....Dall’altro, la vocazione romana a catturare
la nuda vita - sotto l’aspetto delle relazioni fra persone private - entro i
protocolli e i parametri di procedure verificabili e disciplinanti, in un
reticolo di misure e di formalismi concettuali oggetto di una conoscenza
peculiare, a statuto forte - la scienza giuridica - concepita come un’analitica
del potere e della sua normalizzazione razionale. La parabola del pensiero giuridico antico ci
mette dunque di fronte a un fenomeno di lunghissima durata e di portata
tendenzialmente universale. Un sapere senza incanti, duro e difficile, in ogni
epoca direttamente accessibile soltanto a una cerchia ristretta di specialisti,
è riuscita a segnare il nostro senso comune, si è depositato in strati profondi
di mentalità estese e condivise, dall’ultimo universo medievale [....]sino
all’epoca della Rivoluzione americana e di quella francese, al trionfo del
capitalistico e borghese, per arrivare poi almeno a lambire gli anni centrali
del Novecento.[....]Uno strato tenacissimo di concetti e di pratiche che
avrebbero raggiunto quei laboratori politici e istituzionali dei cui prodotti
noi siamo i diretti eredi».
Ma vi
è di più. In tal senso già Orestano[25]
nel definire il diritto romano precisava che vi sono almeno cinque significati
che non possono essere ridotti ad unità:
-il
diritto romano come “diritto romano dei romani” cioè convenzionalmente nei suoi
svolgimenti dalle origini alla compilazione Giustinianeo
-il diritto
romano come tradizione romanistica
- il diritto romano come diritto comune
europeo
-il
diritto romano come Pandettistica
-il
diritto romano come romanistica cioè lo studio del diritto romano dei romani
Ovviamente si tratta di significati e realtà
che pur se distinti e distinguibili, si intrecciano, si intersecano,
costituendo diversi riflessi prismatici di un'unica realtà[26].
D’altronde il grande
Maestro[27]
preliminarmente chiariva efficacemente che «il ‘problema del diritto romano’ va
visto sotto un duplice profilo:
-come ‘problema del
diritto romano’ considerato della sua storicità, con i suoi condizionamenti, le
sue connessioni, i suoi svolgimenti nell’ambito dell’esperienza romana vera e
propria;
-come ‘problema del
diritto romano’ considerato nelle sue conseguenze rispetto alle esperienze
successive (compresa, oggi, la nostra) e nei diversi significati che hanno
avuto e hanno i suoi molteplici procedimenti di studio».
Una considerazione del
diritto romano che non è solo dei moderni, ma che si presenta come un problema antico, addirittura già dai tempi
di Giustiniano, che ne fu al tempo stesso una manifestazione e una soluzione [28].
Questi diversi
significati, difatti, sono legati dal loro ruotare intorno al Corpus Iuris anche se, rispetto al primo – diritto romano dei romani – la
compilazione Giustinianea costituisce punto di arrivo, mentre rispetto agli
altri significati, anche se con notevoli differenze, punto di partenza[29]. Ma
per ciò stesso è evidente che sono diversi
i significati e i problemi, riferendosi ciascuno a processi distinti, i quali richiedono una diversa e appropriata
considerazione.
Ritiene, infatti, Orestano[30] giustamente che «parlare genericamente di ‘diritto
romano’ per nominare questi diversi processi che concretano realtà eterogenee è
non solo errato, ma impedisce di vedere le particolarità delle singole
formazioni e dei loro movimenti. Si confondono i problemi del ‘diritto romano
dei romani’ con i problemi delle successive manifestazioni del giuridico nei
vari luoghi e nelle varie epoche; si finisce per considerare la ‘storia del
diritto’ di gran parte dell'Occidente come uno ‘svolgimento’ ulteriore del
‘diritto romano dei romani’, una specie di suo incremento all'infinito,
assumendo esperienze plurime, complesse e mutevoli come se fossero lo sviluppo
di un unico ‘organismo’».
Affermando ciò, tuttavia,
non vuole disconoscere che da Giustiniano a noi il Corpus Iuris abbia rappresentato l’asse intorno al quale hanno
ruotato gran parte del diritto e delle scienze giuridiche dei popoli con esso
entrati a contatto. Anzi, afferma con decisione, che la tradizione di Roma e
l’interpretazione del Corpus Iuris
costituiscono ‘la trama e l’ordito’ di gran parte delle singole scienze
giuridiche dell’Europa continentale, quale si sono volute svolgendo e
componendo del mondo medievale e moderno.
«Di esse» – precisa ancora Orestano – «le
vicende dell’interpretazione del Corpus
Iuris costituiscono una sorta di canovaccio ideale e pur senza essere
l’unico aspetto sotto cui possano venir studiate forniscono una delle chiavi
migliori per la comprensione dei loro svolgimenti. La Tradizione del Corpus iuris per la sua relativa
costanza e onnipresenza rappresenta una specie di coordinata massima, che
permette di accertare e differenziare di tempo in tempo e di luogo in luogo i
movimenti del diritto e delle dottrine attraverso la loro posizione di fronte a
quella. E tale rapporto è fra i più significativi e illuminanti per la
valutazione degli orientamenti fondamentali di ciascuna esperienza e in ciascun
tempo e quindi anche nel nostro»[31].
In tal
senso lo studio del diritto romano, in tutta la sua poliedricità, consente non
solo la comprensione della tradizione
giuridica europea ma anche
del «diritto comune europeo»[32],
e in particolare, del comune modo di ragionare sul diritto[33],
sulla base di una scienza del diritto che accomuna le nazioni europee[34].
Infatti,
se è vero che la storia giuridica dell’Occidente prende origine dal diritto del
mondo antico, e in parte anche dal diritto romano[35],
va tuttavia considerato che la
peculiarità del modello romano si è risolto e concretizzato tuttavia nella
recezione non di un
diritto ma di una scienza giuridica[36].
Pertanto,
se possiamo affermare che esiste ancora oggi una ‘Rechtsgemeinschaft’ europea, - pur nella profonda diversità – è
perché questa si basa sulla condivisione del senso e del contenuto di concetti e istituzioni giuridiche
essenziali, e che questo dipende - se non esclusivamente - principalmente da
una comune tradizione giuridica fondata su uno statuto scientifico forte[37].
Ed è
proprio tale connotato ha fatto sì che la tradizione giuridica europea si
caratterizzasse per l’esistenza di una ‘grammatica giuridica fondamentale’ che
ha determinato il carattere di paradigma
originario giocato dal diritto romano nell’ambito della storia europea e, a
sua volta, il valore paradigmatico del
diritto europeo nella storia del mondo[38].
D’altronde,
nella storia, i concetti, le categorie e principi derivanti dal diritto romano
e dalla tradizione romanistica non hanno
fornito ‘soluzioni’, ma hanno contribuito principalmente a orientare
l’attività degli interpreti in connessione all’esigenza di ‘predisporre ed articolare modelli teorici di comprensione della realtà
giuridica’, che si ponessero anche come ‘strumenti concreti di razionalizzazione’ della stessa.
L’identificazione dello ‘strumentario
concettuale comune della scienza giuridica europea’, infatti, non ha finalità
meramente teoriche ma è funzionale al rafforzamento del dialogo e
dell’integrazione. L’intento non è quello di cercare le somiglianze né le
differenze in modo descrittivo, né quello di cercare la soluzione migliore da
imporre alle altre, l’intento è quello di trovare strumenti comuni di dialogo,
confronto e interazione tra giuristi.
Si
tratta di creare dei ‘riferimenti comuni’ sottratti alla disponibilità, alla
mutevolezza o all’arbitro dei singoli legislatori o delle singole prassi
determinatesi in particolari momenti storici.
D’altronde,
se il fenomeno giuridico è un fenomeno essenzialmente
storico, nel senso che il fenomeno giuridico non è identificabile in
astratto ma va colto e individuato in relazione ad un preciso contesto politico, sociale, economico culturale etc.,
è impossibile per il giurista registrare e osservare la molteplicità, senza
individuarne caratteristiche, cause e dinamiche fondamentali.
In tal
senso ci piace ricordare ancora una volta le parole di Orestano che risultano
emblematiche al riguardo[39] «… in nessun momento storico la concezione
della storicità del diritto si è imposta al pensiero giuridico come nel
presente, dimostrandosi l'unica idonea a spiegare, oltre se stessa e il proprio
fondamento, anche altre posizioni, in ciò che implicano, nei condizionamenti
che le determinano in quelli che esse generano».
«Certo» – continua l’Autore[40]
– «non si può disconoscere la forza e il peso che questi condizionamenti continuano
ad esercitare sulla scienza giuridica dell'Europa continentale, soprattutto
quelli derivanti dall'idea razionalista, cui è così intimamente legato il
dogmatismo tradizionale; condizionamenti che sono anch'essi elementi e dati
dell'esperienza, della nostra stessa esperienza. Ma come fu luminosamente
affermato dal De Francisci… anche i ‘principi domatici non possono essere
afferrati nella loro interezza se non attraverso la storia’. Appunto nel solco
di questa profonda intuizione la romanistica più recente è venuta chiarendo la
genesi e il valore storico delle categorie giuridiche e le loro connessioni con
strutture e procedimenti logici anche se storicamente condizionati».
Così, in fine, «tutto il bagaglio tradizionale
dei concetti su cui si è fondata per secoli e millenni la conoscenza giuridica
viene a prospettarsi, infatti, negli studi più nuovi e vivi sotto un profilo
rilevatore: precisamente come materia di conoscenza e pertanto oggetto,
anch’esso, di indagine. Un'indagine rivolta non solo a ricercare dietro i
concetti la vita, ma pure la storicità dei concetti stessi e le loro
connessioni con la vita che attraverso di essi in essi si esprime»[41].
È
possibile, dunque, che in tale prospettiva anche oggi la riflessione dello
storico del diritto possa dare un proprio contribuito alla più ampia e
rinnovata riflessione cui sono chiamati tutti i giuristi europei all’interno
delle singole esperienze nazionali, nella realizzazione di un’attività
interpretativa del diritto sempre più complessa, che si è recentemente
arricchita di un’imprescindibile attività di mediazione tra principi
sovranazionali e tradizioni giuridiche interne.
E, in effetti, uno degli aspetti più rilevanti
del diritto sovranazionale è rappresentato proprio dall’incremento dei luoghi di creazione e di tutela dei diritti tramite la
valorizzazione e il coinvolgimento più soggetti nel processo d’ interpretazione
e creazione del diritto.
Si è dato origine, così, a un vero e proprio processo dialettico e circolare tra ordinamento
sovranazionale e ordinamenti interni che ha decisamente moltiplicato i soggetti chiamati a svolgere un ruolo nella
formazione e nell’applicazione dei principi giuridici[42].
Tale processo si lega certamente all’allargamento dei confini del
diritto – per determinati aspetti – verso orizzonti mondiali (weltrecht)[43] e alla conseguente
destrutturazione del concetto di Stato e sovranità nazionale, a cui
inevitabilmente si legano la crisi di democraticità dello stesso procedimento
legislativo e, di riflesso, della legge, sempre meno considerata parametro
fondamentale di giuridicità[44].
D’altro canto, il primato del diritto comunitario, che si impone
ai diritti nazionali, ha frantumato la sistematicità già precaria degli stessi,
senza però sostituirvi un nuovo ordine formale. Ha determinato l’affermarsi,
più genericamente, di un sistema giuridico sovranazionale sempre più basato su
una pluralità di fattori di produzione che
non si sviluppa ed articola
unicamente secondo criteri
puramente formali, ma secondo un modello giuridico complesso e
peculiare, di recente definito in termini di multivel constitutionalism[45].
Si è determinata, così, la creazione, dunque, di una ‘formazione
a rete’ in cui le scelte
giuridiche sono il prodotto di un’attività collettiva, di una pluralità di
centri legati e coordinati da un processo di circolarità discorsiva di
reciproca integrazione.
Il processo descritto ha determinato, di conseguenza,
l’accresciuto ruolo della funzione giurisdizionale come anello di congiunzione fra tali molteplici realtà, così come
spesso esplicitato nelle decisioni delle Corti europee[46], e ora anche dalla nostre
Supreme Corti[47].
Sembra pertanto condivisibile l’idea che processo interpretativo
possa costituire il momento centrale dell’europeizzazione
del diritto[48].
In conseguenza dei profondi e
radicali elementi di cambiamento del diritto il giurista è, infatti, chiamato a
riappropriarsi di un ruolo-guida nel
processo di comunicazione e armonizzazione dei vari piani
ordinamentali della realtà giuridica.
Per far questo, tuttavia, deve
essere in grado di possedere e coltivare conoscenze nazionali e
soprannazionali, e, al tempo stesso, capace di cogliere, ove possibile, gli
spunti derivanti dal diritto sovranazionale anche come occasioni di
arricchimento del proprio sistema giuridico nella prospettiva
dell’accrescimento della qualità tecnica della propria normazione,
dell’integrazione delle scelte di carattere contenutistico e valoriale e, al
contempo, delle forme e dei mezzi di tutela[49].
È
necessario, infatti, oggi per il giurista procedere valorizzando la peculiarità
dei singoli diritti nazionali, pur armonizzandoli e inserendoli prudentemente
nei circuiti del diritto sovranazionale.
Le
nuove prospettive dell’interpretazione sono, infatti, quelle
dell’interpretazione costituzionalmente orientata e quella dell’interpretazione
conforme al diritto europeo[50] che assegnano al singolo
giudice nazionale [51] il potere ma anche
l’obbligo di operare una costante rilettura del proprio ordinamento giuridico
alla luce dei valori costituzionali, ma anche del diritto sovranazionale
europeo.
Si
tratta di un compito immane, che comporta padronanza del proprio ordinamento ma
anche dell’ordinamento sovranazionale, ma ancora della più ben complessa
attività di mediazione, integrazione e armonizzazione tra normative, principi,
interpretazioni stratificate e consolidate.
E
spesso in questo compito il singolo interprete si trova in prima linea, essendo
ormai superati i rigidi steccati del sindacato accentrato di costituzionalità.
Pertanto,
gli interpreti, nel compiere tale attività, potrebbero e dovrebbero tener conto
del dato fondamentale che i nostri attuali sistemi giuridici nazionali sono già
tra loro fortemente legati anche da una comune tradizione storica che ha
determinato la formazione di un patrimonio comune di concetti, principi e
modelli giuridici (Rechtsgemanischaft[52]).
Può certamente essere utile considerare, ad
esempio, la stessa stratificazione presente nelle nostre fonti codicistiche[53], che sono frutto
in realtà dell’integrazione dei principi e dei concetti derivanti da tale
patrimonio comune, ascrivibile alla tradizione, e le determinazioni della
volontà legislativa del diritto statuale.
I
codici nazionali, infatti, sono il prodotto dell’opera dei legislatore ma nei
contenuti spesso riproducono le soluzioni della tradizione giuridica che li
precede, tanto che la frattura con le esperienze storiche che li precedono non
è poi così profonda, come usualmente si ritiene.
Di
conseguenza, gli interpreti – nella prospettiva del dialogo e
dell’armonizzazione dei principi nazionali con quelli provenienti dagli
ordinamenti sovranazionali – potrebbero operare una rilettura interpretativa
dei nostri testi codicistici che ne attui e concretizzi il significato al di là
del dato formale.
In tal
modo è possibile, e forse anche necessario, dare concretezza e vita alle soluzioni
tecniche contenute nei nostri codici, nella consapevolezza che essi non sono
unicamente il frutto di scelte politiche compiute in un momento storico
determinato, ma sono anche il frutto di secoli di elaborazione teorica e
applicativa.
Si
tratta, infatti, di soluzioni tecniche che hanno in sé grandi potenzialità, ma
che vanno, tuttavia, calibrate e adattate ai mutamenti dei tempi. La loro
importanza è costituita proprio dall’essere il frutto di ‘processo secolare di
elaborazione e sedimentazione’, che ha visto coinvolti tutti i paesi dell’area
europea. Sono, pertanto, dotate della forza di riproporsi per alcuni aspetti in
maniera immutata e, al tempo stesso, in forme sempre nuove nell’adattarsi alle
diverse esigenze storiche[54].
E, in
effetti, negli ultimi decenni si sono incrementati i tentativi
d’identificazione di tale ‘grammatica giuridica europea’. Va considerato,
inoltre, che si tratta di iniziative non solo di natura i dottrinale[55], ma anche
giurisprudenziale e legislativa, che si articolano a loro volta in ulteriori e
molteplici indirizzi e criteri metodologici[56].
Per
quanto riguarda le iniziative istituzionali
una particolare attenzione va riservata al Draft Common Frame of Reference (DCFR), ormai alla seconda edizione
(Sellier, 2009), che scaturisce da un’ iniziativa istituzionale, promossa dalla
Commissione, che ha affidato a due gruppi di studio, lo Study
Group on a European Civil Code
e al Group on EC Private Law (Acquis Group), la raccolta di “Principles, Definitions and Model Rules of
European Private Law”.
Si
tratta di una raccolta di principi, definizioni e regole-modello per la
formazione di un Quadro comune di riferimento, in conformità alle prescrizioni
della Commissione europea[57], che ha dato avvio
a un piano d’azione per realizzare un ravvicinamento della legislazione
privatistica patrimoniale dei paesi membri dell’Unione Europea, e, in
particolare, una maggiore coerenza del diritto contrattuale europeo anche in
vista di un’ eventuale progettazione di ‘un codice civile europeo’.
L’idea
è quella di procedere all’armonizzazione delle discipline privatistiche
nazionali non tramite una disciplina imposta ‘dall’alto’, ma prendendo invece
le mosse ‘dal basso’, dalla ricognizione dei principi, delle definizioni e
delle regole-modello che sono già comuni e condivisi, anche partendo dal
presupposto che «il diritto privato è uno di quei campi del diritto, che sono,
o almeno dovrebbero essere, basati su e guidati da principi profondamente
radicati»[58].
Inoltre, negli ultimi anni, anche presso le nostre supreme
giurisdizioni si è diffusa una crescente sensibilità e attenzione per
l’identificazione e tutela dei principi generali o dei diritti fondamentali, sia facendo riferimento alle
Carte e Convenzioni che ne cristallizzano i contenuti[59],
ma anche adottando e rendendo ordinario il
metodo del confronto e della comparazione fra ordinamenti per ricercarne le
matrici comuni o i segni distintivi che possano confermarne l’universalità e la
generalità[60].
Si
tratta di assicurare il rispetto e l’effettivo riconoscimento di tutto un
sistema di protezione dei diritti fondamentali che è stato rafforzato dalle
previsioni del Trattato di Lisbona. In esso si prevede infatti la piena equiparazione
della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea ai Trattati,
l’adesione dell’Unione Europea alla CEDU – il cui processo è peraltro ancora in
corso – e la qualificazione dei diritti fondamentali previsti nella CEDU e
nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri come principi generali
dell’Unione europea[61].
Infatti,
nell’ambito dell’interpretazione costituzionalmente orientata, o
interpretazione adeguatrice, si è parimenti consolidato l’orientamento
giurisprudenziale in base al quale anche in relazione ai diritti fondamentali
l’interpretazione in questione deve ora arricchirsi, tenendo conto che il
parametro di costituzionalità va integrato con principi e valori provenienti da
ordinamenti sovranazionali[62].
E ciò
vale anche per i principi e valori che non sono riconducibili in senso stretto
al diritto comunitario[63], e, dunque, al principio
del suo primato sul diritto interno. Il riferimento primario è, dunque, a tutte
quelle Convenzioni, Carte e disposizioni internazionali di carattere pattizio
che rappresentano la cristallizzazione dei principi fondamentali della
tradizione giuridica europea, e in particolare dunque alla CEDU.
Si può
quindi affermare che l’interpretazione conforme rappresenta «una sorta di via
nazionale alla tutela dei diritti attribuiti ai singoli dal diritto
sovranazionale»[64].
D’altronde, l’obbligo di interpretazione conforme non vincola solo lo
Stato-governo ma anche per lo Stato-apparato, e dunque tutti i soggetti che ne
fanno parte, in primo luogo i giudici, che sono tenuti ad interpretare la norma
interna in conformità alle disposizioni e
ai principi del diritto europeo.
Deve
d’altronde riconoscersi che di fatto si è già realizzato un percorso di reale
integrazione tra le Carte Costituzionali. Già
secondo risalenti pronunce della Consulta[65]
tutte le Carte si integrano reciprocamente nella interpretazione, e perciò uno
stesso diritto può essere fatto oggetto di convergenti discipline da parte di
più carte, con la conseguenza che l'applicazione diretta della Costituzione si
converte e risolve in applicazione diretta di altra Carta e viceversa ovvero
pure di una ‘tradizione costituzionale comune’[66].
L’ulteriore
svolta è costituita dall'abbandono del criterio strutturale di
risoluzione delle antinomie, che riguarda il carattere auto applicativo ovvero
non auto applicativo delle norme dell'Unione, a vantaggio di un criterio
assiologico-sostanziale, volto a dare rilievo alla carica di valore espressa
dalle norme stesse.
Si tratta di un’ affermazione di straordinario rilievo
che impone un autentico ripensamento di metodo che attiene all'assetto
complessivo delle relazioni inter ordinamentali. «Il criterio strutturale, che
riguarda appunto al modo di essere degli enunciati, viene risolutivamente messo
da canto per far posto ad un criterio assiologico-sostanziale, che attiene alla
capacità delle norme di incarnare i valori fondamentali dell'ordinamento, di
darvi voce e assicurarne l'inveramento – il massimo possibile alle condizioni
oggettive di contesto – nell'esperienza[67].
La Consulta evoca a tal proposito anche il canone della
‘massima salvaguardia dei diritti a
livello sistemico’ di cui all'articolo 53 della carta dell'Unione[68].
La
Corte[69]
chiarisce, infatti, che l’integrazione del parametro costituzionale
rappresentato dal primo comma dell’art. 117 Cost. non deve intendersi come ‘una sovraordinazione gerarchica’ delle
norme CEDU – rispetto alle leggi ordinarie e, tanto meno, rispetto alla
Costituzione, e che d’altronde, con riferimento ai diritti fondamentali, il
rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una
diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento
interno, ma può e deve, invece, costituire strumento
efficace di «ampliamento» della tutela stessa.
Nelle
interrelazioni normative tra i vari livelli delle garanzie, l’obbligo
dell’interpretazione conforme grava su tutti gli attori della scena giuridica,
legislatore, giudice comune, Corte Costituzionale e non si fonda su un criterio
gerarchico di prevalenza ma su una ‘combinazione virtuosa’ delle reciproche
attività interpretative, che si risolve nel non consentire che continui ad
avere efficacia nell’ordinamento giuridico interno una norma di cui sia stato
accertato il deficit di tutela rispetto a un diritto fondamentale tutelato nelle fonti sovranazionali, né
d’altra parte consentire l’applicazione di una norma sovranazionale quando
comporti un livello di tutela inferiore rispetto alla norma interna[70] .
«Il risultato
complessivo dell’integrazione delle garanzie dell’ordinamento – sempre a parere
della Corte[71]
– deve essere tale da determinare ‘incremento di tutela’ per tutto il sistema
dei diritti fondamentali, effettuando una continua ‘comparazione’ con un
livello superiore già esistente e giuridicamente disponibile in base alla
‘continua e dinamica integrazione del parametro’, costituito dal vincolo al
rispetto degli obblighi internazionali, di cui al primo comma dell’art. 117
Cost. Il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti
fondamentali deve dunque essere effettuato mirando alla ‘massima espansione
delle garanzie’, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle
norme costituzionali che hanno a oggetto i medesimi diritti».
Quello descritto è un caso paradigmatico della complessità dei
percorsi interpretativi. Oggi dunque al giudice, ma in realtà al giurista, in
tutte le sue vesti, spetta un compito assolutamente non facile. Gli si
richiede, infatti, non solo una piena conoscenza e consapevolezza del diritto
interno e sovranazionale nelle sue diverse articolazioni, ma anche dei diversi
diritti stranieri con i quali di volta in volta si viene a contatto, con una
conoscenza che non può limitarsi unicamente alla dimensione formale e
legislativa, ma deve estendersi anche a quella interpretativa ed applicativa.
Il giurista, inoltre, è chiamato a leggere il diritto proprio e
il diritto straniero alla luce dei principi sovranazionali, per valutarne la
conformità ad essi, pur nella diversità delle soluzioni in concreto
prospettabili.
Si tratta di effettuare una continua ‘comparazione’ con un
livello superiore già esistente e giuridicamente disponibile in base alla
‘continua e dinamica integrazione del parametro’, mirando alla ‘massima
espansione delle garanzie’, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità
insite nelle norme costituzionali che hanno a oggetto i medesimi diritti.
Si
tratta di un intreccio complesso e articolato d’interpretazioni
giurisdizionali, che – pur nel rispetto delle reciproche competenze – debbono
collaborare fattivamente per garantire l’effettività non solo del diritto comunitario ma anche dei
principi contenuti nella CEDU, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione
Europea e dei principi generali dell’Unione europea[72].
L’orientamento
descritto mira a valorizzare, così, sia il ruolo del giudice comune,
riconducendolo nell’alveo dell’interpretazione adeguatrice, come parte di una
complessa rete giurisdizionale di cui fanno parte anche le nostre Corti Supreme
e le Corti europee. E, al tempo stesso, conduce a un pieno riconoscimento dei
principi generali del diritto comunitario, su indicazione delle Corti Europee,
come importanti strumenti di rilettura di norme interne, anche costituzionali.
Ebbene,
nell’ambito di questo complesso e articolato sistema europeo multilivello, lo
studio del diritto romano, ma anche delle altre discipline storiche, può
fornire ancora strumenti utili anche per la comprensione della realtà giuridica
attuale, caratterizzata da una complessità non solo degli ordinamenti ma anche
delle soluzioni normative, giurisprudenziali e interpretative.
In particolare l’osservazione e la
comprensione delle singole problematiche giuridiche oggi non può sottrarsi
innanzitutto alla considerazione degli orizzonti complessivi della realtà
giuridica caratterizzata del pluralismo dei valori e degli ordinamenti
giuridici.
In tal
senso la lettura e comprensione anche in chiave storica del pluralismo che
caratterizza oggi la vita del diritto può fornire al giurista ulteriori
elementi di valutazione[73]. Si tratta, infatti, di
una realtà complessa che necessita per la sua piena comprensione di approcci
molteplici e diversificati[74].
D’altronde,
lo studio e la consapevolezza storica degli strumenti giuridici fondamentali a
sua disposizione possono orientare l’interprete e renderlo più consapevole nel
suo sempre più importante e centrale ruolo di strumento di razionalizzazione e miglioramento
del sistema giuridico.
La
ricerca dell’identità giuridica europea, di un diritto europeo comune, di una
scienza giuridica comune, non rappresentano un mero esercizio retorico o
dottrinario, ma una necessità imprescindibile nell’ottica del dialogo,
dell’integrazione e armonizzazione dei nostri diritti europei.
Vi è,
dunque, da ritrovare gli elementi d’identità che possono favorire integrazione
e armonizzazione, ma vi è un altro importante compito da assolvere: la
riconduzione ad un’unità del sistema per evitare le derive particolaristiche.
La
scienza del diritto, in particolare, la scienza dell’interpretazione, assume
centrale importanza nel panorama delle fonti nazionali e sovranazionali come
strumento di razionalizzazione e miglioramento del sistema giuridico nel suo
complesso.
Il problema, infatti, non è certo costituito dall’arricchimento
del catalogo dei diritti, delle soluzioni giuridiche e dei mezzi di tutela,
quanto piuttosto dalla necessità di procedere all’identificazione di nuovi criteri
di ‘gestione’ e di ‘composizione sistematica’ della loro molteplicità[75].
Il sistema giuridico in cui viviamo fa appello, più di prima, al
profondo senso di responsabilità del giurista, in connessione all’esigenza di
predisporre e articolare modelli teorici di comprensione di questa realtà, che
si pongano anche come strumenti concreti di razionalizzazione di un sistema
sempre in precario equilibrio tra opposte e conflittuali tendenze e spinte[76].
D’altronde, la scienza giuridica ha giocato un ruolo decisivo nei
momenti cruciali della storia giuridica europea, e forse anche oggi può
rivestire un ruolo determinante. Basti pensare alla fondazione originaria[77], che ha segnato l’inizio
della stessa tradizione giuridica occidentale, e successivamente alla rinascita
studi giuridici, e poi ancora alla pandettistica.
Va valutato, inoltre, che oggi si sta realizzando una
‘rifondazione’ della scienza giuridica, nel senso più ampio e generale, e, in
particolare, di una scienza giuridica costituita non da un ‘sistema’ di concetti
astratti, ma da un ‘sistema prudenziale’.
Non possiamo che concordare in proposito con l’autorevole
giudizio di G. Zagrebelsky[78] nella misura in cui
esplicitamente ravvisa «negli ordinamenti contemporanei, aspetti del diritto
premoderno». Si legge infatti testualmente nel magistrale saggio sul ‘diritto
mite’ che «..contro ogni consapevolezza gli autori delle Costituzioni vigenti,
hanno posto le condizioni di un rinnovamento del diritto nel segno della
tradizione antica, mostrando ancora una volta che uno sviluppo lineare delle
concezioni del diritto si rivela un’infondata ideologia».
Il riferimento esplicito alla tradizione è rappresentato proprio
dalla iuris prudentia antica, di origine
romanistica, quale espressione di una razionalità materiale orientata ai
valori, da contrapporre ad una razionalità formale tipica dell’ultimo tratto
dell’esperienza moderna.
Si tratta di una ratio
practica, di un sistema prudenziale,
a fronte di una ratio speculativa,
che rende persuasivo e non semplicemente coerente il discorso giuridico, che
mette in opera procedure leali trasparenti e responsabili che consentono il
confronto tra principi in gioco, e che necessita della selezione di una classe
giuridica capace di rappresentare principi e non solo nudi interessi o mere
tecniche[79].
D’altronde come ricorda Grossi[80]
«….la scienza è la sola fonte che, in assenza di un potere politico compiuto,
può raccogliere, organizzare, unificare un enorme materiale fattuale sparso,
ossia può conferire quel carattere ordinativo che è la cifra intima del
diritto, di ogni dimensione giuridica. Con questo non piccolo vantaggio: che,
mentre la norma autorevole del principe non può che tradursi in comandi
generali necessariamente rigidi, le categorie teoriche e i principi, di cui è
portatrice una riflessione scientifica, hanno una loro elasticità che li rende
particolarmente congeniali a un'esperienza giuridica in perenne cammino. Come
opportunamente si precisava più sopra, la scienza armonizza non sopprimendo le
diversità ma riconducendole nell'alveo delle grandi linee direttrici quali
elementi di arricchimento».
The article
contains some considerations on the relationship between Roman law and
‘European Common Law’, in relation to the existence of a ‘common European legal
identity’. In fact, some
reflections on the European legal identity, on the paradigmatic character of
Roman law within the European legal tradition, and on the paradigmatic
character of European law in the world are taken into consideration. The gaze of the legal historian should
be broad, both to re-understand the medieval, modern and contemporary times,
and to embrace the entire European (at least European) space. Only in this way
can the history of law absolve its indispensable formative function.
Nell’articolo
si svolgono alcune considerazioni sul rapporto tra diritto romano e diritto
comune europeo, in relazione all’esistenza di una ‘comune identità giuridica
europea’. Vengono in considerazione, infatti, alcune interessanti riflessioni
sull’identità giuridica europea, sul carattere paradigmatico svolto dal diritto
romano nell’ambito della tradizione giuridica europea, e sul carattere paradigmatico
del diritto europeo nel mondo. Lo sguardo
dello storico del diritto dovrebbe essere ampio, sia per ricomprendere i tempi
medievale, moderno e contemporaneo, sia per ricomprendere l'intero spazio
europeo (almeno europeo). Solo così la storia del diritto può assolvere la sua
ineliminabile funzione formativa.
[Per la
pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato,
in maniera rigorosa, il procedimento di peer
review. Ogni articolo è stato valutato positivamente
da due referees, che hanno operato
con il sistema del double-blind]
[1] Si
tratta di seminario un interdisciplinare tenuto insieme a colleghi di Diritto
Costituzionale e Diritto Europeo in occasione dell’inizio dei corsi dell’anno
accademico 2017-2018, allo scopo di confrontarci su metodologie e contenuto dei
nostri insegnamenti, ma soprattutto di fornire agli studenti una visione
unitaria degli obiettivi formativi complessivi del Corso di Laurea in
Giurisprudenza di Palermo. L’interesse degli studenti è stato notevole e ha
determinato sia un vivace dibattito, sia richieste di successivi e ulteriori
approfondimenti. Tali circostanze ci hanno indotto alla decisione di
pubblicarne i contenuti. Il presente contributo rappresenta, infatti, il testo
della relazione tenuta in occasione del seminario, ulteriormente integrata da
una bibliografia minima sui temi trattati.
[2] F.P. Casavola, Diritto
romano e diritto europeo, Labeo 40 (1994) 161 ss.; C.A. Cannata, Per una storia della scienza giuridica europea, I, Torino 1997; Id., Il
diritto romano e gli attuali problemi di unificazione del diritto europeo,
in Studi in memoria di Giambattista
Impallomeni, Milano 1999, 41 ss.; L.
Labruna, “Ius europaeum commune”.
Le matrici romanistiche del diritto europeo attuale, in Matrici romanistiche del diritto attuale, Napoli 1999,1 ss.; G. Crifò, Prospettive romanistiche per l'Europa unita, in Droit romain et identité européenne,
Bruxelles 1994, 125 ss.; L. Capogrossi
Colognesi, I fondamenti storici di
un diritto comune europeo, in Index 30
(2002) 163 ss.; ID., Luci e ombre del
processo di integrazione giuridica europea, in I giuristi e l'Europa,
Roma-Bari 1997, 91 ss.; S. Schipani, Intervento di sintesi. Traduzione del
Digesto, riflessione sui fondamenti del diritto in Europa, in Atti del Convegno di Studi Scientia iuris e
linguaggio nel sistema giuridico romano, Sassari 22-23 novembre 1996, Milano 2001; M. Talamanca, Relazione
conclusiva, in Diritto romano e terzo
millennio. Radici e prospettive dell'esperienza giuridica contemporanea.
Relazioni del Convegno Internazionale di Diritto Romano, Copanello 3-7 giugno
2000, Napoli 2004, 341 ss.; O.
Troiano, G. Rizzelli, M.N. Miletti, Harmonisation
involves history? Il diritto privato europeo al vaglio della comparazione e della
storia, Foggia, 20-21 giugno 2003, Milano, 2004, 3 ss.; L. Vacca, Cultura giuridica e armonizzazione del diritto europeo, in Europa e diritto privato, 1 /2004,
53.ss.; F.
Lamberti, Giusromanistica e formazione del giurista europeo, in O. Troiano, G. Rizzelli, M.N. Miletti, Harmonisation involves history?, cit.,
74.ss.; L. Garofalo, Scienza giuridica, Europa, Stati: una dialettica incessante, in Europa e diritto privato, 3/2004, 907
ss., ora in Fondamenti e svolgimenti
della scienza giuridica. Saggi. [Il
giurista europeo. Collana diretta da L. Garofalo e M. Talamanca. Percorsi
formativi], Padova 2005, 117 ss.;
L. Solidoro Maruotti, La tradizione romanistica del diritto
europeo. Lezioni, I e II, Torino 2001; 2003; O. Diliberto, Sulla
formazione del giurista (a proposito di un saggio recente) in Rivista di diritto civile 51.2, Parte II
(2005) 113.ss.
[3] Da ultimo sul tema F. Mercogliano, Su
talune recenti opinioni relative ai fondamenti romanistici del diritto europeo,
in Index 33 (2005) 83 ss., ora in Fundamenta, Napoli 2007, 21 ss.; 61
ss a cui si rinvia per l’ampia e
dettagliata rassegna bibliografica sul tema.
[6] C. Schmitt, Die Lage der europäischen
Rechtswissenschaft (1943-1944), trad. it. La condizione della scienza giuridica
europea, Roma 1996. Sul pensiero di C. Schimtt v. anche L. Garofalo, Carl Schimtt e la “Wissenschaft des Römischen Rechts”, in Giurisprudenza romana e diritto privato
europeo [Il Giurista europeo. Collana
diretta da L. Garofalo e M. Talamanca. Percorsi formativi], Padova 2008, 57
ss.
[11] cfr. in proposito G.
Itzcovich, Teorie e ideologie del
diritto comunitario, Torino 2006, 122 ss.
[16] M.
Barberis, Europa del diritto,
cit., 20. L’Autore è pronto a riconoscere l’importanza e l’alto valore
rivestito dal diritto romano nell’ambito della scienza giuridica europea, pur
non risparmiando qualche notazione critica agli studiosi della disciplina.
Afferma, infatti, che «gli argomenti addotti da Schmitt per sostenere il
carattere di paradigma originario giocato dal diritto romano nei confronti del
diritto europeo e mondiale, sono diversi e migliori, da quelli impiegati da
molti romanisti».
[20] cfr. P. G. Monateri, Gaio nero in P.G. Monateri,
T. Giaro, A. Somma, Le radici
comuni del diritto europeo. Un cambiamento di prospettiva, Roma 2005, 19
ss.
[21] cfr. F. Mercogliano, Su talune recenti opinioni, cit., 35-36, a cui si rinvia per le
considerazioni critiche in proposito e per una rassegna delle repliche.
[29] S. Riccobono, Letture
londinesi (maggio 1924). Diritto romano e diritto moderno, a cura di G.
Falcone, Torino 2004, 17 ss.; L. Maganzani,
Formazione e vicende di un'opera
illustre. Il corpus Iuris nella cultura del giurista europeo, Torino 2002,
13 ss.; 107 ss.
[32] Sul tema in senso
problematico L. Solidoro
Maruotti, La tradizione romanistica nel diritto europeo. II. Dalla crisi dello
ius commune alle codificazioni moderne. Lezioni, Torino 2010, 281 ss.
[37] P. Gallo, Grandi sistemi
giuridici, Torino 1997, 45 ss.; L.
Garofalo, Diritto romano e scienza
del diritto, già in Diritto romano,
tradizione romanistica e formazione del diritto europeo. Giornate di studio in
ricordo di G. Pugliese, a cura di L. Vacca, Padova 2008, 263 ss. ora in L. Garofalo, Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica. Nuovi Saggi, Torino
2015, 137 ss.; L. Lantella - E Stolfi,
Profili diacronici di diritto romano,
Torino 2005, 157 ss.
[39] R. Orestano, Introduzione
allo studio, cit., 567. Sul tema anche L. Peppe, Uso e ri-uso,
cit., 2 ss.
[42] Già da tempo si
sostiene che l’elaborazione delle tradizioni
costituzionali comuni e la stessa Costituzione
europea non devono avere un unico centro propulsivo ma essere «il prodotto
di un’attività collettiva, con una pluralità di centri legati e coordinati da
un processo di circolarità discorsiva…Alla ‘Costituzione europea’
corrisponderebbe così ‘una giustizia costituzionale europea’ strutturata in
forma ‘reticolare’»; cfr. Chessa, La tutela dei diritti oltre lo stato. Fra
“diritto internazionale dei diritti umani” e “integrazione costituzionale
europea”, in I diritti costituzionali,
a cura di Nania-Ridola, Torino 2001. Sul tema, tra i contributi più recenti v. Ruggeri, Sistema
integrato di fonti, tecniche interpretative, tutela dei diritti fondamentali,
Osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 3/2009 cit., 1 ss.; nonché G. Tesauro, Costituzione e norme esterne, in Dir. Un. Eur., II, 2009, 195 ss.; G. Pitruzzella-Bin
, Le fonti del diritto, Torino 2009,
97 ss.; in proposito v. anche infra,
nt. 66.
[43] Si
pensi solo alla tendenza sempre più accentuata all’internazionalizzazione e ‘sovranazionalizzazione’ degli ordinamenti
costituzionali e, con essa convergente, alla ‘costituzionalizzazione’
degli ordinamenti sovranazionali e dello stesso ordinamento della Comunità
internazionale. In particolare v. A.
Pizzorusso, La produzione
normativa in tempi di globalizzazione, Torino 2008.
[44]
Particolarmente significative ci sembrano in proposito le considerazioni di G. Fiandaca, Legalità penale e democrazia, in Quaderni Fiorentini. Per la
storia del pensiero giuridico moderno, vol. XXXVI (2007). Nello stesso
senso autorevolmente S. Cassese, Il mondo nuovo del diritto. Un giurista e
il suo tempo, Il Mulino, 2008, 29 ss., il quale discute addirittura di un «diritto senza stato».
[45] I.
Pernice, Multilevell
constitutionalism and the treaty of Amsterdamm: European constitution-making
revisited? in Common Market Law
Review, 1999, 703 ss.; Weiler,
The trasformation of Europe, in The Constitution of Europe, Cambridge
University Press, Cambridge 1999, 19 ss.
[46] In
ambito europeo la
giurisdizione ha assunto un ruolo di particolare rilievo non solo nell’ambito
di applicazione ma anche di creazione del diritto comunitario. La stessa
definizione della struttura giuridica del sistema comunitario e
dell’effettività del medesimo diritto – a fronte di ritardi e inceppamenti
dell’integrazione politica – è prevalentemente frutto di un complesso processo
interpretativo svolto in primo luogo dalla Corte di Giustizia che ha messo in
atto un vero e proprio processo di costituzionalizzazione dell’Unione; sul
punto T. Giovannetti, L’Europa dei diritti. La funzione
giurisdizionale nell’integrazione comunitaria, Torino 2009, 148 ss.; O. Pollicino, Corti europee e allargamento
dell’Europa: evoluzioni giurisprudenziali e riflessi ordinamentali, in Dir.
Un. Eur., 1/2009, 1; F.
Fontanelli-G. Martinico, Alla
ricerca della coerenza: le tecniche del “dialogo nascosto” fra i giudici
nell’ordinamento costituzionale multi-livello, in Riv. trim. dir. pubbl., 2/2008, 351 ss. e ulteriore bibliografia ivi
richiamata.
[47] Si è
dunque realizzato un complesso intreccio interpretativo tra le giurisdizioni di
diversi livelli che cooperano per garantire l’effettività del diritto
comunitario. Sull’interessante e complessa tematica v. P. Perlingieri, Leale
collaborazione tra Corte costituzionale e Corti europee. Per un unitario
sistema ordinamentale, Quad. della
Rass. dir. pubbl. eur., Napoli 2008; B. Conforti, Atteggiamenti preoccupanti della
giurisprudenza italiana sui rapporti fra diritto interno e trattati
internazionali, in Dir. um. e dir. internaz., 2008, 581 ss.; R. Mastroianni, La sentenza della
Corte cost. n. 39 del 2008 in tema di rapporti tra leggi ordinarie e CEDU:
anche le leggi cronologicamente precedenti vanno rimosse dalla Corte
costituzionale?, e V. Sciarabba,
Il problema dei rapporti tra (leggi di esecuzione di) vincoli internazionali
e leggi precedenti nel quadro della recente giurisprudenza costituzionale,
entrambi in www.forumcostituzionale.it.
[48] In tal
senso cfr. M. Miceli, Validità e effettività del modello
romanistico della proprietà nell’esperienza giuridica attuale, in Iustel, Revista General de Derecho Romano,
27 (2016), § II.
[49] v. in
proposito L. Garofalo, Scienza giuridica, Europa, Stati, cit.,
21 ss.; Id., Una nuova dogmatica per il diritto privato europeo, in Nuove Autonomie, Rivista di dir. pubbl.,
Anno XV, Nuova serie, 1/2006, Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
Costituzione europea e sistema delle fonti del diritto: la problematica della
gerarchia e del coordinamento delle fonti e il ruolo del giudice. Atti del
Convegno di Enna, 21-22 ottobre 2005, 71 ss.
[50] R. Cafari Panico, Per un’interpretazione conforme, in Dir. pubbl. comparato europeo, 1999-I, 383 ss.; B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli
1995, 309 ss.; G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova 2008, 191; C. Pinelli, Interpretazione conforme (rispettivamente, a Costituzione e al diritto
comunitario) e giudizio di equivalenza, in Giur. Cost., 2008, 136; A.
Ruggeri, Interpretazione conforme e tutela dei diritti fondamentali,
tra internazionalizzazione (ed “europeizzazione”) della Costituzione e
costituzionalizzazione del diritto internazionale e del diritto eurounitario,
in associazionedeicostituzionalisti.it; E.
Epidendio, Riflessioni teorico-pratiche sull’interpretazione conforme,
in Dir. pen. cont., 17 ottobre 2012, 17 ss.; V. Manes, Metodo e limiti dell’interpretazione conforme
alle fonti sovranazionali in materia penale, in Arch. pen., 2012, 26
ss.; M. Luciani, Le funzioni
sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme a”,
in federalismi.it, par. 5.2, 10 ss.
[51] E’
ormai pienamente riconosciuto dalle Corti nazionali e sovranazionali il ruolo
del singolo giudice nazionale chiamato contemporaneamente a un’ interpretazione
conforme del diritto interno al dato costituzionale e del diritto interno alle
norme comunitarie, in veste di «giudice
comunitario di diritto comune» (cfr. Concl. Avv. Gen. Saggio 15 dicembre 1999,
causa Océano gruppo editoriale, Cause
riunite da C-240/98 a C-244/98) e del diritto interno alla CEDU, quale «giudice
comune della Convenzione» (sent. 348-349 Corte
Cost.). Sul tema v. R. Conti., Il principio di effettività della tutela giurisdizionale ed il ruolo
del giudice: l’interpretazione conforme, in Pol. diritto, 2007, 3, 377 ss.; M. Bignami, L’interpretazione del giudice comune nella
“morsa” delle Corti sovranazionali, in Giur.
cost., I, 2008, 595 ss.; G. Tesauro, Costituzione
e norme esterne, Dir. un. Eur.,
II, 2009, 218 ss.; I. Carlotto, I giudici comuni e gli obblighi
internazionali dopo le sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte
costituzionale: un’analisi sul seguito giurisprudenziale, in Pol. dir., 2010, 41 ss,; 285 ss.
[53] R. Orestano, Introduzione allo studio, cit., 42 ss.; G. Wesenberg - G. Wesener, Storia del
diritto privato in Europa, trad. it. a cura di P. Cappellini e M.C.
Dalbosco, Padova, 1999; L. Garofalo, Una nuova dogmatica, cit., 71 ss.; L. Solidoro
Maruotti, I percorsi del diritto.
Esempi di evoluzione storica e mutamenti del fenomeno giuridico, Torino
2011, 28 ss. Sul tema anche gli interessanti volumi Modelli teorici e metodologici nella storia del diritto privato,
Jovene, Napoli. Di notevole interesse, inoltre, quanto si legge nella
Presentazione della Rivista Europa e
Diritto Privato, 1 (1998), 2-3 si legge «…L'Europa come idea dinamica che
di momento in momento si storicizza ha bisogno dell'opera diuturna dei cultori
di diritto, che all'idea fornisca le strutture relazionali nelle quali prendere
forma concreta. La scienza del diritto privato, che ha costruito i modelli
originari di tali strutture nelle quali i singoli Paesi hanno potuto
riconoscersi come parti di un intero anche nei momenti in cui le forme statuali
le predicavano divise quando pure non avversarie, più di ogni altra è deputata
a dare conferma e nuovo impulso a tale unitarietà….(p. 2) Occorrerà sempre
ricordare, invece che il diritto europeo nasce su una base comune ma come
diritto nuovo, rivolto al futuro e come tale esso deve essere accolto, anche
quando questo comporti sommovimenti più o meno significativi rispetto al dato
normativo (legislativo e giurisprudenziale) nazionale o ai modelli
interpretativi o sistematici invalsi nelle culture giuridiche di ciascuno dei
Paesi uniti. L'unità europea, insomma va inverata e ribadita di pari passo al
suo stesso esserci… Nell'alternativa tra un’ Europa dei codici e un codice per
l'Europa…. l'occhio a una realtà di divisione che ancora sembra sovrastare non
puoi esimerci dal cogliere tutto quanto pur in essa è anticipazione di un
futuro antico (p. 3)».
[55] Tra le
iniziative maggiormente significative ricordiamo quella dell’ “Italian Group”
dell’Università dì Pavia, presieduto dal Prof. Giuseppe Gandolfi, il “Trento
Project on the Common Core of European Private Law” e la “Commissione di
diritto europeo dei contratti”, comunemente nota come Commissione Lando dal
nome del suo presidente. Quest’ultima, merita senza dubbio un richiamo
approfondito, in quanto i Principles of European Contract Law (PECL) da essa
redatti, hanno trovato largo eco non solo dottrinale, ma anche in sede
giurisprudenziale e legislativa.
[56] Per un
quadro articolato delle diverse posizioni sul tema cfr. Alpa-Andenas, Fondamenti del diritto privato europeo,
in Iudica-Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato europeo,
Milano 2005. In proposito v. anche C.
Castronovo, Dagli ordinamenti
nazionali al diritto uniforme europeo: la prospettiva italiana, in Europa e dir.
priv., 1999, 445 ss.; R. Zimmermann, Roman Law, Contemporary law, European law, The civilian Tradition
today, Oxford, 2001; C. Castronovo -
S. Mazzamuto, I fondamenti del
diritto privato europeo, I, cit., 3 ss.
[57] Comunicazione del 12 febbraio 2003 [COM
(2003) 68 def.]; Comunicazione
dell’11 ottobre 2004 [COM(2004) 651 def.].
[58] cfr. C.
Von Bar – E. Clive, Definitions an
Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of reference (DCFR),
Full edition, Munich 2009, I, 12 ss. In proposito Lucchetti - Petrucci, Fondamenti romanistici del diritto europeo.
Le obbligazioni e i contratti dalle radici romane al Draft Common Frame of
Reference, I, Bologna 2010, 9-28.
[59] Si
tratta principalmente della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle
Libertà Fondamentali, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea
approvata dal Consiglio Europeo di Nizza nel Dicembre del 2000, del Patto
internazionale sui diritti civili e politici, che ha sancito un complesso di
diritti fondamentali incentrati sulla dignità, libertà, uguaglianza,
solidarietà, giustizia; a tal proposito v. in particolare Corte Cost. n. 393 del 2006.
[60] M.
Miceli, Storia e pluralismo giuridico.
Le forme dell’appartenenza: la proprietà, Roma 2013, §§ 6.2; 6.3.
[63]
Adottiamo l’espressione ‘diritto comunitario’ per designare, in conformità ad
opinione corrente, il diritto relativo alla Comunità Economica Europea e, oggi,
all’Unione Europea.
[66] A. Ruggeri, Svolta della
consulta sulle questioni di diritto euro unitario assiologicamente pregnanti,
attratte nell'orbita del sindacato accentrato di costituzionalità, pur se
riguardanti norme dell'unione self executing (a margine di Corte cost. n. 269
del 2017), in Rivista di Diritti comparati,
n. 3 (2017) 237 e bibliografia ivi citata. In tal senso già Ruggeri, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva
formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d’inquadramento
sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in www.forumcostituzionale.it. Va ricordato inoltre che la stessa decisione (Corte cost. n. 269 del 2017) precisa che
la Carta dei diritti dell'Unione richiede di essere interpretata in armonia con
le “tradizioni costituzionali” pure
richiamate dall’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (punto 5.2, cons. in dir.). Sul decisivo valore delle tradizioni costituzionali
nella risoluzione delle antinomie tra diritto interno e europeo v. O. Pollicino, Corte di giustizia e giudici nazionali. Il moto ascendente, ovverosia
l'incidenza delle tradizioni costituzionali comuni nella tutela apprestata ai
diritti dalla corte dell'unione, In Aa.
Vv., Crisi dello stato nazionale,
dialogo inter giurisprudenziale, tutela dei diritti fondamentali, a cura di
L. D'Andrea-G. Moschella-A. Ruggeri-A. Saitta, Torino 2015, 93 ss.
[70] Corte cost., n. 317 del 2009 ( punto 7, cons. in dir.): «Se si
assume questo punto di partenza nella considerazione delle interrelazioni
normative tra i vari livelli delle garanzie, si arriva facilmente alla
conclusione che la valutazione finale circa la consistenza effettiva della
tutela in singole fattispecie è frutto di una combinazione virtuosa tra
l’obbligo che incombe sul legislatore nazionale di adeguarsi ai principi posti
dalla CEDU – nella sua interpretazione giudiziale, istituzionalmente attribuita
alla Corte europea ai sensi dell’art. 32 della Convenzione – l’obbligo che
parimenti incombe sul giudice comune di dare alle norme interne un’interpretazione
conforme ai precetti convenzionali e l’obbligo che infine incombe sulla Corte
costituzionale – nell’ipotesi d’impossibilità di un’interpretazione adeguatrice
– di non consentire che continui ad avere efficacia nell’ordinamento giuridico
italiano una norma di cui sia stato accertato il deficit di tutela riguardo ad
un diritto fondamentale. Del resto, l’art. 53 della stessa Convenzione
stabilisce che l’interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicare
livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali».
[74] F. Viola, Introduzione in Lo Stato
costituzionale di diritto e le insidie del pluralismo, (a cura di F. Viola)
2012, Il Mulino, 18 ss.
[75] In
proposito v. Il pluralismo delle fonti previste in Costituzione e gli
strumenti per la loro composizione, Università
degli Studi di Roma tre, 27-28 novembre 2008, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
[76] In tal
senso M. Miceli, Editoriale, in Nuove Autonomie, Rivista di dir. pubbl., Anno XV, Nuova serie, 1/2006, Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, Costituzione europea e sistema delle fonti del diritto: la
problematica della gerarchia e del coordinamento delle fonti e il ruolo del
giudice. Atti del Convegno di Enna, 21-22 ottobre 2005, 5-7. Sul tema
autorevolmente L. Vacca, Cultura giuridica e armonizzazione, cit.,
53 ss.; Ead., L’interpretazione casistica fra storia e comparazione giuridica, in
Nuove Autonomie, Rivista di dir. pubbl.,
Anno XV, Nuova serie, 1/2006, cit., 115 ss.