Università
Suor Orsola Benincasa di Napoli
POTERE COSTITUENTE E SOVRANITA’ POPOLARE (*)
Sommario: 1. Premessa. – 2. Vicende di teoria e storia
costituzionale. – 3. Dalla “coscienza
costituente” alla coscienza costituzionale. – 4. Una
nota elogiativa della sovranità (e del potere costituente). – 5. Classificare
i procedimenti costituenti – 6. Referendum
e potere costituente.
– 7. Una nota conclusiva.
Dai suoi inizi fino a oggi, il concetto di potere costituente si
accompagna, anzi vorrei dire si unisce, a quello di sovranità popolare: si
tratta di un connubio concettuale che mi pare difficilmente possa essere
sciolto. Certo, il tema “potere costituente e sovranità popolare” per essere
svolto distintamente in tutta la sua estensione teoretica, necessita di un
certo grado di approfondimento e analiticità ricostruttiva, che qui non mi è
davvero possibile fare. Si pensi, soltanto al dibattito dottrinario, che si è
sviluppato nel Novecento, da Schmitt a Mortati, da Friedrich a Elster fino a
Böckenförde, solo per fare alcuni esempi (di cui, comunque, in parte tratterò);
e poi, il tema non può non essere affrontato secondo una prospettiva
storico-politica-istituzionale e comparatistica. Sebbene proprio per
quest’ultima prospettiva, ovvero quella comparata, si deve confermare quanto
già affermato da Jon Elster, secondo cui «lo studio comparato dei processi
costituenti è praticamente inesistente […] E’ una lacuna sconcertante»[1]. Consapevole di questo
riscontro, debbo quindi procedere per flashes.
Prima di avviarmi però, faccio mia, anche come una sorta di dichiarazione di
intenti, un’affermazione di Gerhard Leibholz: «ogni democrazia presuppone che
il popolo sia sovrano, vale a dire che tutto il potere derivi dal popolo, e che
il popolo sia soggetto e portatore del potere costituente»[2]. Certo, non è un atto di
fede, né un imperativo categorico, ma rimane, piaccia oppure no, il punto di
partenza della discussione, dal quale, credo, non si possa prescindere.
Provo inizialmente a esporre per sommi capi alcuni profili del
problema, sotto l’angolatura della teoria e storia costituzionale.
Il primo profilo non può che partire dalla teoria dell’abate Emmanuel-Joseph
Sieyès sul pouvoir constituant della
nazione[3], quale soggetto del potere
costituente: nazione da intendersi come popolo, e quindi come unità capace di
agire politicamente. Pertanto, deve essere riconosciuto al popolo, come a un
soggetto umano, il potere di disporre sulla formazione dell’ordine
politico-sociale. Sieyès, con la sua teoria sulla forza creatrice della
costituzione, vuole contrapporre al potere di dominio del re il libero e
illimitato potere di decisione politica del popolo. Sviluppando, in tal modo,
il concetto di potere costituente entro una teoria democratica della
costituzione e in un contesto di forma di stato repubblicana. Certo, la teoria
dell’abate Sieyès venne discussa, criticata ovvero condivisa. Non posso dare
conto qui di quel dibattito che si svolse nella Francia rivoluzionaria di fine
Settecento[4]: basterà però citare il
nome di Antoine Barnave e il suo discorso del 31 agosto 1791 sulle Convenzioni
nazionali, nel quale si afferma che il potere costituente, nella sua permanente
pienezza, appartiene al popolo sovrano ma deve essere riservato a situazioni
eccezionali estremamente rare, perché il suo esercizio può attentare alle «due
cose di cui i popoli generosi e civilizzati non possono fare a meno: l’una è la
tranquillità, l’altra è la libertà»[5]. E si può altresì citare
il nome di Marie-Jean marchese di Condorcet, in numerosi scritti e discorsi in
particolare nell’Exposition des principes
et des motifs du plan de la Constitution (1792), dove si afferma che il
popolo, sebbene deleghi, riserva a sé stesso l’esercizio di almeno tre diritti:
diritto di veto o iniziativa per tutte le leggi; diritto di chiedere la
revisione della costituzione e il diritto assoluto di accettare o rifiutare la
costituzione tramite un referendum costituzionale.
Si aggiunga la proposta, sempre del Condorcet, di rivedere con frequenza,
almeno ogni vent’anni, la costituzione per il tramite di un’apposita
convenzione. Tesi, come noto, convintamente avanzata dall’altra parte
dell’Oceano, e in quello stesso periodo storico, da Thomas Jefferson. E che
trovò forma di codificazione nella costituzione francese del 24 giugno 1793: «Un popolo ha sempre il diritto di rivedere,
riformare e modificare la sua Costituzione». Tema niente affatto da
sottovalutare quello dell’autonomia costituzionale delle generazioni, che si
rivela nel paradosso secondo cui «ciascuna generazione vuol essere libera di
legare i suoi successori mentre non vuole farsi legare dai suoi predecessori»[6].
Fin qui, succintamente, alcuni nomi e alcune teorie che hanno
maggiormente caratterizzato il dibattito sul potere costituente (e sovranità
popolare) nella Francia rivoluzionaria. E che comunque, in tale congerie
storica, devono essere contestualizzati.
Nel secolo successivo, ovvero verso la metà dell’Ottocento, va
senz’altro ricordato il nome e l’azione politica di Giuseppe Mazzini[7]: il quale dà vita a
un’Assemblea costituente, eletta a suffragio universale diretto e composta da
duecento deputati, che elabora e approva la Costituzione della Repubblica
Romana, che si fonda sul principio, di cui all’art. I, che «La sovranità è per diritto eterno nel
popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica».
Emerge un duplice significato di popolo, uno di impronta politico-giuridica,
l’altro di impronta sociale-culturale, e per entrambi va stabilita una
equazione non rigida ma dialettica, riconducibile altresì alla dottrina di
Mazzini, secondo cui vi è un popolo, ma si vive nel popolo, inteso come
individuo, famiglia, associazione.
Della Costituzione della Repubblica romana, risulta poi
interessante il procedimento di revisione costituzionale, in particolare
l’articolo 64, che recita: «L’Assemblea
delibera per due volte sulla domanda all’intervallo di due mesi. Opinando
l’Assemblea per la riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i
comizi generali, onde eleggere i rappresentanti per la costituente, in ragione
di uno ogni 15 mila abitanti». Sebbene fu una costituzione inattuata,
infatti il giorno dopo la sua approvazione le truppe francesi restituirono Roma
al Papato, è rilevante sul piano della teoria del potere costituente esercitato
per il tramite della sovranità popolare[8]. Anche in questo caso,
come in quello francese, Mazzini e i suoi seguaci fondano il connubio costituente/sovranità
popolare come generatore dell’idea e dell’azione repubblicana. Anzi, per
proclamare la Repubblica ci vuole il voto del popolo sovrano – e quindi a
suffragio universale diretto – che legittima un’Assemblea costituente, a cui
viene attribuito il mandato a scrivere e approvare una Costituzione che sia
repubblicana. Una vicenda costituzionale, che si ripeterà, certamente con dei
distinguo, esattamente un secolo dopo in Italia, stavolta unita e laica.
Altri due rapidi esempi di storia costituzionale: la nascita
della Costituzione degli Stati Uniti d’America, frutto di una Convenzione
costituente, con quell’incipit: «We the People» con cui si apre il testo
costituzionale, così indicando che è il popolo americano nella sua interezza
che ha «decretato e stabilito questa
Costituzione per gli Stati Uniti d’America»; e che, come ha ben spiegato
Ackerman[9],
esprime la sovranità che il popolo statunitense detiene ed esercita, anche al
fine di affermare i diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Anche la
costituzione come «idea di legge superiore» è debitrice dell’affermarsi del
principio della sovranità popolare e costituente del popolo. Come scrive Edward
S. Corwin, «Oggigiorno è invalsa l’opinione di attribuire sia la legittimità sia la supremazia della costituzione – e l’una cosa, in realtà, non è che
l’opposta faccia dell’altra – esclusivamente alla circostanza che, secondo la
precisa espressione che vi troviamo usata, essa venne “decretata dal popolo
degli Stati Uniti”. In tale proposizione, i concetti enunciati sono due: uno è
la concezione “positiva” della legge, intesa nell’accezione comunemente usata
per indicare determinati comandi espressi da un legislatore, vale a dire una
serie di manifestazioni della volontà umana; l’altro concetto è quello che la
fonte suprema di tali comandi non possa che essere il “popolo”, inteso appunto
quale più alta incarnazione della volontà umana»[10]. In America, il richiamo
alla sovranità popolare indica tre cose: «in primo luogo, la mera indipendenza
delle colonie, superiorem non
recognoscentes, in secondo luogo, serve a legittimare – in modo diverso
dall’Europa – il potere delle classi politiche attraverso un compact o un trust e, in terzo luogo, a riconoscere al popolo un potere ultimo,
quello costituente»[11]. Aggiungo, un popolo
repubblicano di un repubblicanesimo politico ma non etico, ovvero legale ma non
spirituale. Si può allora concludere, che la «sovranità popolare rappresenta
uno degli elementi fondanti del costituzionalismo americano»[12], che è caratterizzato,
dato significativo, dal liberalismo prima ancora che dalla democrazia, ma che
si è poi sviluppato nella cd. dualist
democracy, in cui la sovranità popolare viene a essere parte integrante
della democrazia liberale[13].
Chiudo con due rapidi esempi, che non hanno bisogno di essere
supportati da ricostruzioni e argomentazioni, tenuto conto della loro
diffusione nel dibattitto scientifico. Uno, è quello riferito alla Costituzione
della Repubblica di Weimar, che nasce su volontà costituente e che radica il
concetto di sovranità popolare nella codificazione costituzionale dell’art. 1,
laddove afferma che «il potere statale
emana dal popolo». Una concezione della sovranità che voleva essere,
innanzitutto, la risposta istituzionale al problema dell’avvento della moderna
e dinamica società di massa: una società che si esprimeva in forma pluralistica
e che sollecitava il riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali (quali
anche sociali) del cittadino. Si può ben dire che la concezione della sovranità
risorge proprio con la Costituzione di Weimar e attraverso le opere degli
studiosi del “laboratorio Weimar” (oltre a Kelsen e Schmitt: Smend, Preuss,
Triepel, Fraenkel, Kirchheimer). Risorge perché si innerva in quella dialettica
di relativizzazione e assolutizzazione, che aveva fortemente contraddistinto la
storia dell’idea di sovranità in un senso o nell’altro. Nella Costituzione
democratica di Weimar, infatti, venne affermato che «la sovranità emana dal
popolo», facendo così perdere alla sovranità quella sua tipica configurazione
di potere proveniente dall’alto e facendole piuttosto assumere, nel contesto di
uno Stato fondato su di un ordinamento democratico e pluralista, la
caratteristica di una legittimità scaturente dal basso. L’interpretazione e poi
l’applicazione materiale delle norme costituzionali (si pensi all’art. 48, che
prevedeva l’emanazione di Reichsgebiete-Verordnungen
presidenziali) hanno invece finito col piegarsi alla forza della sovranità
intesa come decisione forte e assoluta: questo è stato reso possibile a causa
della dissoluzione della democrazia liberale tedesca frantumata dal vento del
totalitarismo, che soffiava sempre più forte già nell’Europa degli anni Trenta[14], e che seppe piegare
l’idea pluralista di sovranità a favore di quella originaria, intesa cioè come
decisione forte e assoluta assunta da un unico soggetto titolare del potere.
C’è poi l’esperienza italiana: dove la Costituzione come patto
fra cittadini, come legame tra le forze sociali, come prima vera e autentica
prova di democrazia, nasce il 2 giugno 1946. Quel giorno, infatti, i cittadini,
per la prima volta veramente a suffragio universale, e quindi anche con le
donne elettrici, si assumono la responsabilità di una duplice scelta che sarà
determinante per il divenire della Costituzione. Con il referendum istituzionale decidono la forma di Stato; con l’elezione
dell’Assemblea costituente scelgono a chi affidare la scrittura e
l’approvazione della Costituzione. Un contemporaneo e convergente esercizio
della democrazia diretta e della democrazia rappresentativa, che valorizza al
massimo il principio della sovranità popolare[15]. In particolare, il referendum istituzionale ha compiuto,
come è stato scritto in termini condivisibili, «la prima e fondamentale scelta del
“potere costituente” in azione, cioè la prima importante decisione sulla nuova
costituzione. […] oltre a svolgere le tipiche funzioni legittimanti proprie di
un referendum costituente, è stato
anche un referendum d’indirizzo
costituzionale»[16].
E’ per volontà del corpo elettorale che si attribuiva mandato a
556 persone della responsabilità a scrivere le nuove regole per una nuova
Italia. Con il solo vincolo giuridico di prevedere un Presidente della
Repubblica, in luogo di un Monarca, ma senza sapere come articolare l’ordito
costituzionale entro il quale declinare diritti e libertà, poteri e garanzie. E
senza nemmeno potersi avvalere di precedenti storici di potere costituente, né
tantomeno di esperienze comparate da emulare. Una condizione di incertezza che
rappresentò un vantaggio, anche perché i costituenti poterono lavorare sotto il
“velo d’ignoranza”[17].
Mi preme però mettere da subito in evidenza un aspetto, che
emerge anche da quanto finora accennato, e che credo meriti attenzione. E cioè,
che nel binomio potere costituente/sovranità popolare deve entrare un altro
concetto, e cioè quello di Repubblica, anche al fine di contestualizzare al
meglio lo sviluppo costituzionale. Mi sembra che le teorie e le storie
costituzionali finora sia pure brevemente accennate rappresentino una conferma,
sul senso e sul valore della Repubblica nella dialettica fra potere costituente
e sovranità popolare. Anche perché l’affermarsi del principio di sovranità
popolare è consequenziale a quello di Repubblica: non c’è sovranità popolare
senza Repubblica così come non ci può essere Repubblica senza sovranità
popolare (nessuno nega che in Gran Bretagna e in Spagna, per esempio, il popolo
esercita la sua sovranità, ma questa, almeno formalmente, appartiene al monarca
quale sovrano unico)[18].
Nel volume di Costantino Mortati, di cui ricorrono i settanta
anni dalla pubblicazione, nella prefazione
si legge della «”coscienza costituente”
del popolo»: bellissima definizione, che più avanti esplicita quando
afferma che «in fondo il valore
sostanziale della costituente […] è di natura spirituale, è in quel “sovraeccitamento della vitalità
popolare”, in quello stato d’animo di “audace fiducia in sé e nel futuro”, di
cui parlava il Mazzini»[19].
Si introduce così un significato che definirei quasi emozionale
dell’esercizio del potere costituente, che deve altresì consistere nella
assunzione del valore e del senso della costituente nell’opinione comune;
pertanto, scrive ancora Mortati, «la
preparazione alla costituente deve mirare a rendere chiara all’opinione comune
la meta da raggiungere ed i mezzi per conseguirla, a predisporre i congegni più
idonei perché tale opinione emerga con nettezza ed imponga ai rappresentanti
dell’assemblea i suoi imperativi»[20].
Quella che Mortati chiamava la “coscienza costituente” deve poi
svilupparsi, quale logica conseguenza vorrei dire, nella “coscienza
costituzionale”: in cui la comunità cui si appartiene possiede una struttura,
un’autonomia, una validità di diritto, fondate sulla adesione dei cittadini a
una obbligazione politica, che è quella definita e stabilita nella carta
costituzionale. “Obbligazione politica” da intendersi nell’accezione della
dottrina inglese, che implica l’idea del dovere morale di obbedienza del
cittadino allo stato, e l’idea dello stato come realizzazione del “bene comune”
(common good), quale principio della
libertà[21]. Ecco perché spetta allo
stato rimuovere gli ostacoli, che impediscono il libero sviluppo della
personalità verso una più ricca partecipazione alla vita della comunità. Io
credo che questo sia il lascito dei costituenti, cioè quello dopo avere
interiorizzato una “coscienza costituente”, avere saputo iniziare a formare una
“coscienza costituzionale”: attraverso i valori, i principi e le norme della
Costituzione. Facendo cioè sprigionare dal testo, quale mera codificazione, e
quindi altro e oltre le sole regole giuridiche, un ordine sociale modellato dai
fini e dai valori delle forze politiche, sociali e culturali pluralisticamente
rappresentate e che nella Costituzione si riconoscono[22].
Coscienza costituzionale vuol dire anche esercizio della
sovranità popolare entro il perimetro della costituzione. Il principio di
sovranità popolare innerva l’intero ordinamento costituzionale e non si
esaurisce affatto nel solo momento elettorale del voto per la rappresentanza
parlamentare. La sovranità popolare, pertanto, è da ritenersi un principio
cardine delle democrazie liberali contemporanee in quanto su di esso vengono a
fondarsi tutte le forme di partecipazione della cittadinanza, intendendo con
esse non solo il voto ma anche i diritti fondamentali e libertà costituzionali.
Infatti, la sovranità non può esaurirsi nella rappresentatività: certo, le
elezioni costituiscono un momento essenziale in una democrazia, ma
rappresentano altresì soltanto uno degli esiti emergenti del processo di
formazione della volontà popolare, la quale trova nel momento elettorale un suo
spontaneo sbocco, ma si nutre nel suo contenuto delle libertà e dei diritti con
i quali il cittadino è il sovrano di sé stesso e nel loro esercizio si
manifesta un’espressione permanente di sovranità popolare. E’ questa una
visione che consente di concepire il popolo come sovrano nella
Costituzione, in quanto unico destinatario della stessa,
attraverso una forma di pluralismo costituzionale, dove il popolo – come
singolo o come gruppo organizzato – assume un ruolo centrale all’interno del
sistema costituzionale. Quindi, il contenuto della sovranità popolare è dato dall’insieme
delle situazioni giuridiche costituzionali, che i cittadini sono competenti a
esercitare singolarmente o in forma associata. Si ritiene che questo sia il
modo storicamente adeguato al nostro tempo di riproporre il principio della
sovranità popolare[23]. Sul punto, mi piace qui
riportare le chiare affermazioni di un autorevole studioso: «la sovranità non
può essere assunta come predicato del potere del popolo se non è immanente
all’effettivo potere decisionale dei singoli cittadini; se non le corrisponde
pienezza di posizione riconosciuta a ciascuno nella “polis”; se essa non si
trasforma in statuto dei governati e non comprende il diritto di questi di
apparire nell’”agorà” e di prendere parte alle decisioni che li riguardano; se,
in una parola, essa è disposta ad appagarsi di deleghe, ad esaurirsi nella
completa alienazione e non rivendica una riserva intangibile di decisione
diretta a favore di ciascuno come parte integrante del sistema di libertà nella
democrazia moderna, come diritto fondamentale accanto agli altri diritti
fondamentali»[24].
A proposito di sovranità, mi sia consentito svolgere una breve
nota a favore della stessa, anche con riferimento al potere costituente. E’
merito di un insigne studioso avere, di recente, svolto un vigoroso Elogio della sovranità politica in
polemica con tutti quegli studiosi «che si liberano della storia della
sovranità come principio riducibile a potente arbitrio, nemico del diritto, e mostrano
nei suoi confronti una sorta di repulsione, soddisfatti ora per intravederne e
poterne celebrare quella che appare la sua irreversibile morte […] i
sostenitori di questa tesi […] riducono l’immenso significato storico che esso
ha avuto; svalutano e magari “condannano” (col piglio di pubblici ministeri) lo
spazio di storia estremamente ampio che esso ha creato, la complessità dei
principii che ha introdotto, la ricchezza di cultura e di idee che ha
stimolato»[25].
Si ritiene che esista solo il costituzionalismo dei diritti, in grado di
purificare la politica normativizzandola; «si pretende che l’indisponibilità
dei diritti si sottragga ad ogni formalizzazione dello spazio prodotto dalla
decisione politica. Diritti che volteggiano per l’aria, più astratti di ogni
giusnaturalismo del passato»[26]. Parole forti, che
debbono però indurre a una accorta riflessione.
Coloro i quali criticano in termini distruttivi il concetto di
sovranità, e il suo utilizzo nelle democrazie odierne, trascinano nella critica
anche il concetto di potere costituente, quale concetto a rischio di politica,
dunque di arbitrio, e pertanto da rigettare in ogni sua possibile forma di
autonomia, che oscilla pericolosamente tra il fatto e il diritto. «Una certa
nobile guerra che, però, avendo spinto oltre ogni limite i propri obiettivi, si
ritrova infine in difficoltà con se stessa, perché si accorge di avere
contribuito alla crisi della politica, per alcuni un duro risveglio»[27]. E che comunque lascia
inevasa una domanda: «se togli l’autonomia del potere costituente chi regge il
significato del potere costituito?»[28].
E allora, ha ragione chi ha scritto, che «ritorna attuale
l’esigenza di ripensare senza strumentalismi e pregiudizi a quella
straordinaria novità che nella storia plurisecolare del costituzionalismo ha
rappresentato l’invenzione del potere costituente del popolo […] Quel
“terribile” potere, se non ci ferma ai dogmi formalistici del positivismo
giuridico e del normativismo, può essere declinato come un potere altamente
trasparente, formale e ordinante. Consono e coerente con l’”eterna” istanza
garantista che anima il costituzionalismo»[29].
Questo è il punto: senza potere costituente del popolo nessuna
costituzione può diventare legittima, nessuna democrazia può essere pensata e organizzata.
La costituzione non nasce come Minerva dalla testa di Giove, deve avere dietro
sé (e, per certi versi, anche davanti a sé) un processo storico-politico, e
quindi deve avere per presupposto un atto costituente derivato dalla volontà
del popolo-nazione. La Costituzione, è stato detto, «deriva il suo diritto di
validità e la sua particolare qualità giuridica […] da una grandezza ad essa preesistente, che si presenta come
specifica autorità o potenza. A partire dalla Rivoluzione francese questa grandezza
viene denominata potere costituente»[30]. Anche Böckenförde, che è
l’autore appena citato, parla di “coscienza
giuridica forte”, che deve esserci in un popolo che si attivi come potere
costituente, che «porta in sé uno “spirito” che può prendere forma – ed
effettivamente anche la prende – in istituzioni, regole e procedure. Mancando
ciò, nessun postulato, per quanto ben fondato, può essere causa della validità
di qualcosa che nel popolo, o nella nazione, non vive come spirito autonomo»[31].
Sul concetto di potere costituente, e quello a esso affiancato
di sovranità popolare, aleggia il fantasma di Carl Schmitt. Si ha come
l’impressione che di questi due concetti, altamente rappresentativi del diritto
costituzionale e del costituzionalismo, si debba invocare abiura per scacciare
il fantasma del “terribile” Carl Schmitt. Il quale sarà stato, secondo la
tagliente definizione di Alberto Predieri “un nazista senza coraggio”[32], ma non gli si può certo
negare la raffinatezza e profondità delle teorie costituzionali e non solo. E
la sua presenza, ancora oggi molto significativa nel dibattito scientifico[33], che va ben oltre lo Zeitgeist, dimostra comunque che non si
possono non fare i conti con Carl Schmitt[34]: sul potere costituente e
la sovranità popolare così come sul nomos
della terra e le categorie del politico. E quindi lo si cita ma tendenzialmente
contra, anche per non essere attratti
o, peggio, identificati, con la sua Weltanschauung.
Il punto è colto molto bene da Biagio de Giovanni, il quale così scrive:
«Dunque, il potere costituente (del popolo) muore con la morte della vecchia
Europa. Muore con l’esaurimento della prospettiva schmittiana alla quale il
giurista la lega in modo pressoché esclusivo, ancora una volta Schmitt che
domina un secolo, messo al centro dai continuatori e dai denigratori, pietra
dello scandalo o pietra di paragone. […] Questa impostazione rende del tutto
arbitraria l’idea di un rapporto esclusivo tra irrazionalismo+Schmitt e l’idea
di potere costituente, per cui, pur senza dichiararlo in questa forma, aboliamo
una categoria elaborata nei secoli moderni perché, per dirla in un modo
riassuntivo che però tocca l’essenziale, uno dei grandi giuristi del XX secolo,
erede dell’ “irrazionalismo”, ha legato la sovranità all’eccezione.
Francamente, pur considerando Carl Schmitt uno dei grandi pensatori (non solo
giurista) del 900, mi pare eccessivo»[35]. Ancora Biagio de
Giovanni, con affermazione pienamente condivisibile: «Il tema è dunque il
potere costituente, abolirlo significa liberarsi del fantasma schmittiano, ma
non rischia di cadere qualcosa d’altro con esso? Non solo cade Schmitt, ma con
lui cadono personaggi che non si possono certo fra loro confondere, cade
Rousseau e cade Tocqueville, cadono le visioni politiche della democrazia, diverse e lontane fra loro, ma vicine
nell’impossibilità di frapporre ostacoli nel rapporto tra politica e
democrazia: Tocqueville contro Guizot, all’origine moderna del problema»[36]. Credo che una
precisazione vada fatta, anche per non incorrere in un equivoco interpretativo:
ho voluto evidenziare la figura di Carl Schmitt perché su di essa, e sulle sue
teorie, si sono affissate le maggiori critiche di coloro i quali tendono a
ridurre la portata del principio di sovranità popolare e potere costituente.
Certo, non è una “lotta contro Carl Schmitt”, ma è pur vero che nei suoi
confronti si muovono le critiche più affilate, identificando in lui il maggior
teorico di una certa idea di sovranità popolare e potere costituente (del
popolo)[37]. Talvolta la foga critica
porta però, o almeno questa è l’impressione che si avverte, a volere fare di
Schmitt l’unico depositario di teorie costituzionali da rigettare, quasi
fossero portatrici di autoritarismo e negazione della democrazia. Il che,
invece, è tutto da dimostrare.
Qui mi fermo, consapevole che questi discorsi, che discutono
teorie costituzionali, avrebbero bisogno di adeguati approfondimenti con tanti
argomenti e ragionamenti, che in questa sede non mi è certo possibile fare[38].
Dalle teorie all’effettività. E quindi, vengo ora a svolgere un
(veloce) esercizio di classificazione relativamente al processo o procedimento
costituente, per poi analizzare nello specifico il rapporto con la sovranità
popolare: pur consapevole che le forme di svolgimento del potere costituente
non sono prevedibili e, pertanto, poco inclini a essere classificate.
Chiarisco, che intendo per procedimento costituente quel
complesso di attività poste in essere per l’instaurazione di un nuovo Stato e
nella specifica funzione, che è quella di dar vita a nuova Costituzione intorno
a cui si viene a ordinare lo Stato. In tal senso, c’è chi, come Costantino
Mortati, ha voluto valorizzare il ruolo dei partiti politici, quali soggetti in
grado di differenziare l’unità indistinta del popolo, che fanno altresì
emergere parti indistinte fra loro in competizione, riconducendo poi gli
interessi frazionali e particolari a progetti di lungo periodo, di interesse
qualificabile come collettivo. Tale attività di composizione di funzioni si
determina il processo costituente, da intendersi altresì come procedimento di
definizioni dei caratteri autentici e originali del regime, attraverso la
plurisoggettività dei protagonisti del cambiamento[39]. E lo stesso Mortati,
poi, sviluppa un fitto svolgimento e componimento dei modi di manifestazione,
natura e fondamento del potere costituente, individuando e descrivendo i
criteri di classificazione del potere costituente, che debbono basarsi in una
combinazione sia dell’elemento formale che di quello materiale[40].
Ci si può avvalere della suddivisione per fasi del procedimento
costituente, riferibile alla teoria di Jon Elster[41], dove a ogni fase del
procedimento è ravvisabile una particolare connotazione del concetto di
legittimità il quale, in ultima istanza, dovrà poi informare il documento
prodotto dal processo costituente. Certo, il potere costituente segue sempre i
percorsi della legittimazione, anche quando viene esercitato secondo
procedimenti di legalità costituzionale. Da qui la legittimazione ascendente, riferita alla Assemblea costituente e al
suo formarsi in modo legittimo; poi la legittimazione
procedurale, e quindi le modalità di decisione assunte in seno
all’Assemblea, che non debbono essere percepite come non democratiche; infine,
la legittimazione discendente in
quanto una costituzione ratificata dal voto popolare potrà avanzare con più
forza la pretesa di incarnare la volontà popolare[42]. Le tre fasi sopra
descritte, rispondono al tendenziale schema “classico” di procedimento
costituente: l’iniziativa, ovvero la
decisione preliminare di adottare una nuova Costituzione; la preparazione, che viene svolta da un organo provvisorio; la deliberazione, che porta all’adozione
finale del nuovo testo costituzionale per il tramite del voto popolare. Il
procedimento si caratterizza per seguire i percorsi della legittimazione.
Ci si può, poi, avvalere della classificazione, svolta da
Giuseppe de Vergottini[43], dei procedimenti
costituenti in relazione alle diverse modalità di formazione delle costituzioni,
che si declinano vuoi sulla base della derivazione dell’iniziativa costituente,
e quindi procedimenti esterni (tra i
numerosi esempi, vedi il caso della Legge fondamentale tedesca del 1949 o della
costituzione del Giappone nel 1946), in cui cioè l’iniziativa costituente si
manifesta in atti di Stati diversi rispetto a quelli cui la Costituzione è
destinata; procedimenti internazionalmente
guidati (come in Namibia nel 1982-1990 e in Cambogia nel 1989-1993 e poi in
Bosnia-Erzegovina negli anni 1991-1995 e più di recente in Iraq nel 2004-2006 e
in Kosovo nel 2001-2008), frutto di accordi costituenti fra diversi Stati,
ovvero organizzazioni internazionali, in cui partecipano anche gli Stati
direttamente interessati al varo della nuova Costituzione; infine, procedimenti
interni, vuoi sulla base delle
modalità di sviluppo del procedimento stesso, con riferimento ai procedimenti monarchici, democratici e autocratici.
Mi soffermo sui procedimenti di carattere democratico, che sono
poi quelli che investono direttamente il principio di sovranità popolare, in
quanto derivano da un’attività diretta del popolo, quale legittimo titolare del
potere costituente. Qui si può ben svolgere un’ulteriore classificazione, con
riferimento alle modalità di manifestazione del potere costituente: e quindi,
se avviene nell’ambito di Convenzioni o Assemblee costituenti, e quindi elette
allo scopo specifico di approvare una costituzione; ovvero attraverso referendum precostituenti, e quindi
consultazioni popolari finalizzate alla scelta di un’opzione istituzionale, di
una separazione di un territorio (come nel caso della indipendenza di Lituania,
Lettonia, Estonia e Georgia nel 1991) o di una proposta di elezione di
un’Assemblea costituente (come in Italia nel 1946 o in Norvegia nel 1905 e più
volte in Grecia da ultimo nel 1974); altrimenti referendum costituenti, che sono connessi alla ratifica di un testo
di costituzione già definito (come in Francia più volte da ultimo nel 1958 o in
Spagna nel 1978 e, tra gli altri, anche il Marocco nel 2011)[44]. Altra cosa è il plebiscito, di cui parla Carl Schmitt,
come una votazione, e quindi la decisione generale del popolo (Volksentscheid) di darsi una
costituzione «può essere dimostrata solo dal fatto e non dall’osservanza di un
procedimento normativamente disciplinato […]. La volontà costituente del popolo
si manifesta in un sì o no fondamentale ed assume in tal modo la decisione
politica, che fissa il contenuto della costituzione»[45].
Recenti esperienze costituenti, a cavaliere tra la fine del Novecento
e inizio del Duemila, derogano rispetto alla classificazione di cui finora si è
dato conto: per esempio il Venezuela (nel 1999), dove sono gli organi del
precedente ordinamento costituzionale che decidono di convocare un’Assemblea
costituente; o altrimenti in Bolivia (nel 2001), dove si è addirittura
rigettato, perché ritenuto illegittimo, un progetto di legge che istitutiva
un’Assemblea costituente, sulla base della legittimazione, quale unica modalità
di riforma, del solo potere di revisione previsto dalla costituzione. Ancora,
in Sudafrica (nel 1991), dove gli stessi organi già costituiti avviano un
processo di negoziazione articolata con i soggetti politici fino ad allora
esclusi o sottorappresentati; oppure in Ungheria (nel 1990), dove gli organi del
vecchio regime si rilegittimano sulla base di una nuova legge elettorale e
attraverso procedure di revisione costituzionale danno vita a una nuova
costituzione, che comunque sottopongono a un referendum consultivo. Così pure in Estonia (nel 1992), che si
caratterizza anche per il ricorso all’istituto del referendum costituente, sia per l’indipendenza della repubblica sia
per l’approvazione della costituzione. Segnando così, nelle esperienze dei
recenti processi costituenti delle democrazie della cd. terza ondata, la
valorizzazione della volontà popolare quale impulso costituente e quale arbitro
del destino del nuovo testo costituzionale[46].
Il referendum è l’istituto
su cui si salda in maniera più forte il legame fra potere costituente e
sovranità popolare, specie quale atto ratificatore della nuova costituzione,
che in tal modo garantisce alla costituzione stessa una sorta di plusvalore di
legittimazione. Che agisce e interagisce come atto indiscutibilmente formale,
sebbene si manifesta sul versante della legittimazione «che parla attraverso la
legalità, nel senso […] che il consenso sulle procedure “legali” è talmente
alto da permettere che di queste ultime possa servirsi anche il “potere
costituente”»[47].
Come senz’altro nel caso del voto popolare a maggioranza
favorevole alla ratifica, e quindi all’approvazione e all’entrata in vigore
della costituzione; ma che può ben avere una forza “costituente negativa”, per
così dire, anche laddove il popolo si esprimesse contro la ratifica (si pensi
alla IV Repubblica francese del 1946). Anzi, proprio in questo ultimo caso, e
cioè di diniego, il referendum, quale
atto imputabile per intero alla sovranità popolare, diventa una fonte
sovraordinata a quella costituente, perché dal suo esito dipende il dispiegarsi
costituzionale dell’esercizio costituente. Aggiungo: le procedure che prevedono
il referendum approvativo del testo
costituzionale, frutto dell’esercizio del potere costituente, per esempio in
Assemblee dotate di mandato costituente, individuano nella sovranità popolare
il principio fondamentale e fondante, e quindi gli riservano il potere di
decidere anche contra costituente, e
cioè di vanificare l’esercizio di un potere pensato e attuato come illimitato
ma che è suscettibile di essere sacrificato sull’altare del principio
democratico della sovranità popolare. Forse questo è un aspetto che merita
attenzione: il potere costituente non è davvero libero, illimitato e privo di
regole, perché può essere, laddove previsto, soggetto al controllo da parte di
chi lo ha generato, ovvero dal popolo, per il tramite del referendum, attraverso il quale si può approvare la nuova
costituzione ma parimenti respingerla, finendo così con lo “sfiduciare” il
potere costituente e annullare quando dallo stesso prodotto. Risulta decisiva,
quindi, la ratifica popolare che, ripeto, può anche essere di rigetto, senza
che ciò determini un dramma. Una costituzione risulta dal complesso incontro tra
gruppi che avanzano un progetto costituzionale, delegati in tal senso dal voto
elettorale nell’assemblea costituente, e il popolo che ne afferma l’effettività
ovvero la validità attraverso una ratifica che traduce quel progetto in una
costituzione, oppure decide di non volerla validare. Comunque, è questo atto di
volontà popolare che esprime in concreto il potere costituente del popolo, che
è quello non di dare una costituzione
ma piuttosto di darsi una
costituzione[48].
Nella vicenda italiana, come noto, si è escluso il ricorso al referendum confermativo: sul punto, già
Mortati nel volume del 1945, dopo avere sostenuto che in base ai principi e in
mancanza di una delega esplicita ai costituenti, il testo deliberato dalla
costituente avrebbe dovuto essere successivamente ratificato dal corpo
elettorale, scrive e precisa che «il
seguire un procedimento diverso, così da dare alla pronuncia dell’organo
assembleare valore definitivo potrebbe perciò essere giustificato solo da
considerazioni di opportunità pratica, desunte dalla particolarità della
situazione italiana, non certo da motivi di ordine teorico».
E sempre con riferimento alla vicenda italiana, una battuta
conclusiva sul referendum
costituzionale (art. 138 cost.) e quello abrogativo (art. 75 cost.): il primo,
pensato come oppositivo a disposizione delle minoranze è diventato anche
confermativo per volere della maggioranza (vedi il referendum costituzionale del 2001), che in tal modo mira alla
legittimazione della riforma[49]. E’ pur vero che siamo
entro la cornice del potere costituito, ex
art. 138 cost., ma è altrettanto vero che la forza legittimante del referendum a favore della revisione
costituzionale altera la natura deliberativa rappresentativa del Parlamento.
Per quanto riguarda il referendum
abrogativo ex art. 75 cost.
meriterebbe una dedicata riflessione con riguardo alla sua capacità di emanare
“bagliori costituenti”, di cui parlava Carlo Mezzanotte, il quale chiudeva così
un suo apprezzato intervento: «Manca in Italia una tradizione di potere costituente
e fatichiamo a riconoscerlo poiché esso non ha forme tipiche sotto le quali
manifestarsi. Sembra avere trovato, in una consultazione popolare ex art. 75 cost., il suo veicolo di
apparizione. Se quel referendum si rivelerà realmente fondatore di democrazia e
non d’altro (solo il tempo potrà dircelo), potremo anche noi affermare, come
oggi è d’uso fra gli studiosi francesi, che il potere costituente è al servizio
dei diritti e delle libertà pubbliche»[50].
Il richiamo al potere costituente che sia (anche) al servizio
dei diritti e delle libertà pubbliche apre nuovi orizzonti di
costituzionalismo. E ridimensiona la concezione di chi invece vuole il potere
costituente ormai svuotato, ovvero esaurito proprio perché l’universalismo dei
diritti rappresenterebbe, oggi e für ewig,
l’unica vera e sola forma di costituzionalismo[51]. Da qui una indimostrata
incompatibilità tra potere costituente e costituzionalismo dei diritti, nella
convinzione, anche qui tutta da dimostrare, che l’indisponibilità dei diritti
si sottragga a una qualsiasi formalizzazione dello spazio prodotto dalla
decisione politica, proveniente dalla sovranità popolare. E invece, non basta
il costituzionalismo dei diritti a esaurire la fisionomia delle democrazie;
anzi, «proprio in epoca democratica, la politica che sgorga dal potere
costituente, dalla sovranità, è decisiva. E’ essa che dà forma perfino ai
diritti fondamentali, come diritti incardinati nell’ordinamento, non fluttuanti
in uno spazio indefinito e senza forma»[52].
Chiudo, con ulteriore richiamo al potere costituente[53]: mi sembra difficilmente
opinabile l’affermazione che in uno stato democratico, anzi di democrazia
liberale, il popolo deve potere direttamente esprimere la sua volontà. E’ al popolo
che spetta darsi una costituzione: al popolo come comunità di persone, libere e
uguali, e non certo come astratta moltitudine. Se il principio fondamentale e
fondante dell’ordinamento è quello democratico e liberale, allora le sue regole
costituzionali è bene che trovino nell’espressione della libera e sovrana
volontà popolare la loro affermazione e legittimazione. Questo non ritengo che
sia “plebiscitarismo” – un termine vuoto di cui si dubita il suo preciso
significato – penso piuttosto che sia più semplicemente democrazia.
[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza,
rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati.
Per questa ragione, gli scritti della sezione “Memorie” sono stati oggetto di
valutazione “in chiaro” da parte della direzione di Diritto @
Storia]
(*) Relazione tenuta al convegno Costantino Mortati, Potere costituente e limiti alla revisione costituzionale,
organizzato dal Master in Istituzioni parlamentari “Mario Galizia” in
collaborazione con la Fondazione “Paolo Galizia Storia e Libertà” e svoltosi a
Roma, presso la Camera dei Deputati, il 14 dicembre 2015.
[2] G. Leibholz, La rappresentazione nella democrazia, ed. it. a cura di S. Forti con intr. di P. Rescigno, Milano 1989, 314, il quale
aggiunge «Il popolo, in quanto fonte determinante del potere politico, deve
prendere le decisioni politiche supreme e le decisioni relative alla giustizia
o autonomamente o attraverso istanze rappresentative, legittimate regolarmente
dal popolo, e limitate nelle loro competenze. Il popolo è sovrano quando esso,
entro una comunità politica, è l’istanza decisionale suprema ultima ed
universale».
[3] E.J. Sieyès, Che cosa è il terzo Stato?, in Id.,
Opere e testimonianze politiche, a
cura di G. Troisi Spagnoli, t. I,
vol. 1, Milano 1993.
[4] Su cui, v. il vol.
di R. Martucci, L’ossessione costituente. Forma di governo e
costituzione nella Rivoluzione francese (1789-1799), Bologna 2001.
[5] A. Barnave, Potere costituente e revisione costituzionale, a cura di R. Martucci, Manduria 1996, 11 (per la
cit.).
[8] V. il testo della
Costituzione nel vol. Le Costituzioni
inattuate, a cura di G. Negri
e S. Simoni, Roma, 1990; sul punto,
v. M. Ferri, Costituente e Costituzione nella Repubblica romana del 1849, in Diritto e Società, n. 1, 1989.
[10] Così, E.S. Corwin, L’idea di “legge superiore”e il diritto costituzionale americano, a
cura di S. Rosso Mazzinghi,
Vicenza s.d., 20.
[11] Così, N. Matteucci, La costituzione statunitense e il moderno costituzionalismo, in La costituzione statunitense e il suo significato
odierno, a cura di T. Bonazzi,
Bologna 1988, 34.
[12] Cfr. S.M. Griffin, Il costituzionalismo americano. Dalla teoria alla politica, ed.
it., Bologna 2003, 49.
[14] Cfr. G. Leibholz, La dissoluzione della democrazia liberale in Germania e la forma di
stato autoritaria, ed. it., a cura di F. Lanchester,
Milano 1996.
[15]
Sia consentito rinviare a T.E. Frosini,
Sovranità popolare e costituzionalismo,
Milano 1997.
[17] Sul processo
costituente italiano, v. i numerosi scritti di Enzo
Cheli, ora in buona parte raccolti nel vol. Taccuino di un costituzionalista, a cura di M. Manetti, Modena 2015, 17-118.
[18] Secondo la nota
impostazione del problema datane da R. Bendix,
Re o popolo. Il potere e il mandato di
governare, pref. di A. Martinelli,
Milano 1980.
[21] Il riferimento è a
T.H. Green, L’obbligazione politica, intr. V. Frosini,
Catania 1973; su cui, v. A. Jellamo,
Interpretazione del bene comune. Saggio
su Thomas H. Green, Milano 1993.
[22] Sul punto, le
chiare ed efficaci pagine di A. Barbera,
Costituzione della Repubblica italiana,
in Enciclopedia del diritto, Annali
VIII, Milano 2015, 267 ss.
[23] Ribadisco qui una
tesi già sostenuta in T.E. Frosini,
Sovranità popolare e costituzionalismo,
cit. e di recente ripresa in T.E. Frosini,
In Praise of Sovereignty, in Mediterranean Journal of Human Rights,
vol. 17, 2013, 213 ss.
[24] C. Mezzanotte, Referendum e legislazione, relazione al convegno AIC “Democrazia maggioritaria e Referendum”,
Siena, 3-4 dicembre 1993, 8 (del paper).
[25] Così, B. de Giovanni, Elogio della sovranità politica, Napoli 2015, 5. Tra i critici
della sovranità e del potere costituente, quale potere da ritenersi oramai
esaurito e quindi non riproponibile, si segnala in particolare M. Dogliani, Potere costituente e revisione costituzionale nella lotta per la
costituzione, in Il futuro della
costituzione, a cura G. Zagrebelsky,
P.P. Portinaro, J. Luther, Torino 1996, 253 ss.
[29] Così, A. Cantaro, Costituzionalismo versus potere costituente? In Democrazia e diritto, n. 4-94/1-95, 145.
[30] E.W. Böckenförde, Il potere costituente del popolo, ora in Id., Stato,
costituzione, democrazia. Studi di teoria della costituzione e di diritto
costituzionale, ed. it. a cura di M. Nicoletti
e O. Brino, Milano 2006, 114.
[32] Il riferimento è
ai volumi di A. Predieri, Carl Schmitt, un nazista senza coraggio,
2 voll., Firenze 1998; ma v. altresì Y.C. Zarka,
Un dettaglio nazi nel pensiero di Carl
Schmitt. La giustificazione delle
leggi di Norimberga del 15 settembre 1935, ed. it. a cura di S. Regazzoni, Genova 2005.
[33] Basti segnalare
come ancora nel finale di questo anno (2015) sono stati pubblicati due libri in
italiano di Carl Schmitt, che si vanno ad aggiungere ai già numerosi. Mi
riferisco a: Imperium. Conversazioni con
Klaus Figge e Dieter Groh 1971, Macerata 2015 e Stato, grande spazio, nomos, a cura di G. Maschke, Milano 2015.
[34] In un breve
articolo, animato da uno spirito volutamente provocatorio, mi sono domandato se
Serve ancora il pensiero di Carl Schmitt?
(in www.confronticostituzionali.eu,
dicembre 2013); tale articolo ha suscitato un interessante dibattito, sempre sullo
stesso sito online prima citato, con contributi di Alessandro Morelli,
Salvatore Prisco, Augusto Barbera e Massimo Luciani
[37] A principiare
dall’affermazione: «il potere costituente vero e proprio […] non può essere
trasferito, alienato, assorbito o consumato. Per quanto possibile esso è sempre
presente e si pone accanto e al di sopra di ogni costituzione da esso derivata
e di ogni disposizione legislativa costituzionale vigente nell’ambito di questa
costituzione», C. Schmitt, Dottrina della costituzione, ed. it., a
cura di A. Caracciolo, Milano
1984, 130
[38] Di un certo
interesse e di una certa estensione teorica è il vol. di A. Negri, Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno, Varese
1992; v. altresì il recente vol. di G. Pisarello,
Procesos constituyentes. Caminos para la
ruptura democrática, Madrid 2014.
[39] Si fa riferimento
a C. Mortati, La costituente, cit.; sul punto, v. M. Fioravanti, Potere
costituente e diritto pubblico. Il caso italiano, in particolare, in Potere costituente e riforme costituzionali,
a cura di P. Pombeni, Bologna
1992, 74.
[40] C. Mortati, op. cit., 11 ss. Espone la teoria mortatiana, G.P. Calabrò, Potere costituente e teoria dei valori. La filosofia giuridica di
Costantino Mortati, Cosenza 1997.
[42] J. Elster,
op. cit., e, in maniera più
specifica, Id., Constitution-Making in Eastern Europe: Rebuilding
the Boat in the Open Sea, in Public
Administration, LXXI, 1993, 169-217.
[44] La classificazione
dei referendum in precostituenti e
costituenti la ricavo da G. de Vergottini,
op.cit., 258 ss.
[45] Così, C. Schmitt, Dottrina della costituzione, cit., 119 e 120. Ulteriori riflessioni
in punto di democrazia diretta, C. Schmitt,
Democrazia e liberalismo. Referendum e
iniziativa popolare. Hugo Preuss e la dottrina tedesca dello Stato, ed. it.
a cura di M. Alessio, Milano 2001,
27-86.
[46] Sui modi di
formazioni delle costituzioni dei paesi nel testo ricordati, e altri, v. Facets and practices of State-building,
ed. by J. Raue and P. Sutter, Leiden-Boston 2009; How Constitution Change. A
comparative study,
ed. by D. Oliver and C. Fusaro, Oxford 2011. Con
particolare riguardo all’esperienza dell’Europa dell’est, v. altresì il
contributo di A. Rinella, Nuovi processi costituenti a confronto,
in Gnosis, n. 4, 2009. Sui processi
costituenti in America Latina, Africa del Nord e Islanda, v. G. Pisarello, op. cit., 107 ss.
[48] Sul punto, le
chiare riflessioni di G. Palombella,
Costituzione e sovranità. Il senso della
democrazia costituzionale, Bari 1997, 43.
[49] Per i termini
della questione, v. S.P. Panunzio,
Riforma delle istituzioni e
partecipazione popolare, in Quad.
cost., n. 3, 1992; da ultimo, riassuntivamente, G. Fontana, Il referendum
costituzionale nei processi di riforma della Repubblica, Napoli 2013.
[51] Ho discusso
dell’importanza dei diritti nel costituzionalismo, secondo un approccio
liberale e quindi privo di esasperazioni, in T.E.
Frosini, La lotta per i diritti.
Le ragioni del costituzionalismo, Napoli 2011.
[53] … e con
un’ulteriore citazione, che non vorrei altrimenti dimenticare di fare: è quella
tratta da P. Barile, Potere costituente, in Novissimo Digesto Italiano vol. XIII,
Torino 1966, 444, secondo il quale, il potere costituente «rientra
nella categoria delle fonti di produzione del diritto obiettivo, in quanto
fonte di produzione delle norme costituzionali».