La cittadinanza
romana tra esperienza storica e attualità*
Università di Sassari
SOMMARIO: Abstract. – 1. Identità e cittadinanza europea. – 2. Dalla polis
alla cittadinanza nazionale. – 3. Tendenze
universalistiche della cittadinanza romana. – 4. Cittadinanza e integrazione. – 5. Cittadinanza come strumento di identità culturale.
– 6. Conclusioni. 7.
– Appendice bibliografica.
The concept of citizenship has become
one of the key issues of the European political debate. The European
citizenship was introducing, according to Community institutions, to strengthen
and enhance the European identity and enable European citizens to participate
in the Community integration process in a more intense way. But the result of
this attempt, maybe too much related to national citizenships and devoid of
genuine content statute, has been rather disappointing enough. The Roman
citizenship, characterized by an opening beyond the boundary of the urbs identifying a community united in
the fellowship in the same religio
and ius, can be helpful in redefining
a new EU citizenship.
Понятие гражданства стало одним из ключевых вопросов в европейских политических дебатах. Гражданство Европейского Союза было введено, по данным нормативных документов ЕС, для укрепления и усиления европейской идентичности и с целью позволить европейскому гражданину более интенсивно участвовать в процессе интеграции в общество. Но результат этой попытки, может быть, слишком связанной с национальными института-ми гражданства и отсутствием реального содержания в этом институте, был достаточно разочаровывающим. Анализ римского гражданства, характеризовавшегося открытостью границ urbs, выявлявшего сообщество, объединенное в братство одной и той же religio и одним и тем же ius, можетбыть полезным в разработке нового гражданства ЕС.
Il tema della cittadinanza è di grande attualità e oggetto di
molteplici dibattiti che investono i differenti modi di concessione della
cittadinanza nazionale dei vari Stati europei e la nozione stessa di
cittadinanza europea che, se adeguatamente rielaborata, potrebbe giocare un
ruolo fondamentale nel processo d’integrazione e di definizione di un’identità
europea.
La cittadinanza europea, introdotta con il Trattato di
Maastricht del 7 febbraio 1992 [1], è
propria di chi è in possesso della cittadinanza nazionale, accessoria a
quest’ultima e concretizzata nella previsione di alcuni diritti politici.
Nella sua iniziale formulazione la figura del cittadino europeo,
attraverso un richiamo specifico alla volontà dei cittadini, era figura
centrale nella politica europea. L’articolo I-1 del Trattato costituzionale
faceva, infatti, riferimento alla ”volontà dei cittadini e degli Stati europei
di costruire un futuro comune".
Con il Trattato di Lisbona il richiamo alla volontà dei cittadini è
stato eliminato, per lasciare esclusiva rilevanza alla volontà dei governi
nazionali. La cittadinanza europea è, dunque, un complemento della cittadinanza
dei singoli Stati nazionali, strettamente connessa a questi[2].
In molti si chiedono se sia invece opportuno, affinché la
cittadinanza europea abbia realmente un significato concreto, delineare un
concetto di cittadinanza europea non più legata alla cittadinanza nazionale[3].
Se si considera che l’attività economica comune muove verso l’uniformazione
giuridica basata su principi condivisi (tutto, dalle direttive emanate dal
Consiglio dell’Unione Europea, ai case
law della Corte Europea di Giustizia, porta alla definizione di un diritto
transnazionale comunitario)[4], ci si
deve domandare se sia possibile giungere alla definizione di una cittadinanza
europea che non sia più derivazione dei singoli Stati, ma elemento costitutivo
di una comunità di diritto.
Questa duplice prospettiva è la sintesi di due modelli
fondamentali di organizzazione politica.
Il modello più antico è quello greco della polis, una forma di governo creata
attraverso un patto da individui che hanno predeterminato diritti e doveri dei
partecipanti, un’istituzione autocentrica indipendente senza alcun legame di
dipendenza dagli individui che vi abitano, tanto superiore ad essi da generarne
la stessa qualifica, polìtes. Da
Polis, infatti, deriva il sostantivo polítes, ovvero il cittadino
appartenente ad una determinata comunità politica ed esistente solo grazie ed
in funzione di questa[5].
L’altro modello è
quello romano, che risulta esattamente invertito. Già etimologicamente il
termine primario è civis, dal
quale discende e si origina il derivato civitas. Civis è, dunque, quel soggetto che rileva in
relazione al suo rapporto con un altro civis; da questa compartecipazione nasce la civitas, in parallelo a quanto avviene per la società, che nasce
dall’unione di più soci.
Questi due modelli sono stati assimilati dalla tradizione
giuridica europea, ma si è giunti ad un errore di fatto sul significato
logico-linguistico che il termine cittadino ha assunto nelle lingue europee
moderne. Il significato storico di civis
è stato oscurato dalle moderne traduzioni che racchiudono, al contrario, la
relazione logica esistente tra polis
e polìtes, per cui il cittadino
deriva da città, “citoyen” da “cité”[6],
“(Staats-)Bürger” da Burg, citizen da city. Già il
Benveniste aveva evidenziato nel suo Deux modèles linguistiques de la cité
la pericolosità di questo anacronismo concettuale, ostacolo al reale sviluppo
della nozione di cittadinanza[7].
Il lungo percorso che ha portato a questo risultato non può
essere affrontato in questa sede, se non in poche righe di sintesi sottoposte a
non poche forzature.
Con il Medioevo la civitas
é strettamente correlata alla appartenenza e partecipazione ad un determinato
corpo politico in cui religione, status
sociale e consistenza economica assumono importanza basilare[8].
Nell’Ancien Régime il cittadino è un suddito che gode di alcuni diritti e
privilegi in funzione del suo legame con il Sovrano, dal quale deriva tutto[9].
Questa impostazione è ribaltata con l’Illuminismo e la dottrina
giusnaturalistica attraverso l’affermarsi della teoria dell’esistenza di
diritti naturali inalienabili dell’individuo che non dipendono dalla
concessione di un Sovrano o dalla inclusione in un corpo sociale. Nasce la
teoria del “contratto sociale” e si modifica radicalmente il concetto di
cittadino[10]. Secondo Rousseau, il
cittadino dev’essere un individuo libero e autonomo, partecipe della vita politica
e, dunque, fautore egli stesso delle leggi a cui obbedisce, in un contesto di
libertà che è la libertà romana delineata dal diritto e, nello specifico, dalla
legge[11].
Questo concetto di cittadino non riesce ad imporsi negli Stati
europei della Restaurazione, fondati sul valore
della “Nazione” di derivazione romantica ottocentesca.
Lo Stato nazionale, che nasce
dai cittadini riuniti e viventi sotto una stessa legge, è titolare della
sovranità di conferire il diritto di cittadinanza (secondo le dottrine opposte
dello ius sanguinis e dello ius soli). Il
territorio della nazione diviene sempre più rilevante, così come il popolo ivi
stanziato, caratteristica stessa della Nazione cui appartiene[12].
Da un lato, dunque, il concetto
di cittadinanza ha finito per appiattirsi su quello di nazione, poiché la
cittadinanza ha finito per coincidere con il concetto di “nazionalità” e
divenire lo strumento per contraddistinguere gli appartenenti ad una
determinata nazione. Dall’altro, la
cittadinanza europea, nonostante le potenzialità iniziali, è stata concepita in
tale connessione alle cittadinanze nazionali da essere priva di soluzioni e
strumenti che le permettano di affermarsi e di avere un ruolo centrale
nell’Unione.
Pertanto, molteplici sono i
principi ispiratori che possono trarsi dall’esperienza storica e dal
concetto di cittadinanza romana sulla via del superamento della attuale
eterogenea situazione europea[13].
Vorrei prendere le mosse
dal punto di vista dello straniero e dalla percezione che questi aveva della
cittadinanza romana e del sistema
tendenzialmente aperto che da essa deriva.
Un esempio, peraltro
molto noto, è la lettera del 241 a.C. inviata da Filippo V re di Macedonia ai
Larissei. Nel documento Filippo esorta i suoi
sudditi a seguire l’esempio romano per risolvere la profonda crisi demografica
della città tessala:
ὦν
καὶ οἱ ‘Ρωμαῖ|οί
εἰσιν, οῖ
καὶ τοὐς oἰκέτας
οταν ἐλευθερώσωςίν
προσδεχόμενοι
εἰς τὸ πολίτευμα καὶ τῶν ἀρχαίον
με[ταδι]δόντες[14].
Il re richiama le caratteristiche della civitas Romana,
contraddistinta da un’apertura al di là dei confini
dell’urbs e non limitata da
fattori etnici. I Romani concedono la cittadinanza ai loro schiavi
affrancati che, di conseguenza, possono accedere alle cariche pubbliche. Si tratta di
una forma di integrazione che ha come conseguenza pratica la crescita della
popolazione romana, positivamente messa in luce da Filippo in antitesi alla
politica di chiusura della polis i cui effetti negativi incidono
direttamente sulla forza e sulla ricchezza della comunità.
La concessione della cittadinanza romana con liberalità - in un
atteggiamento di commistione tra utilitas
per la res publica e pura filantropia
- è messa in luce da Dionigi di Alicarnasso.
Dion. Hal. 1.9.4: 'Ρωμύλου
δέ την
έπώνυμον αύτοΰ
πόλιν
οίκίσαντος έκκαίδεκα
γενεαΐς των
Τρωικών
ύστερον, ην νϋν
εχουσιν
όνομασίαν
μεταλαβόντες,
έθνος τε
μέγιστον έξ ελαχίστου
γενέσθαι χρόνω
παρεσχεύασαν
καί περιφανέστατον
έξ άδηλοτάτου,
των τε
δεομένων
οίκήσεως παρά
σφίσι
φιλανθρώπφ
υποδοχή καί
πολιτείας
μεταδόσει τοις
μετά τοΰ
γενναίου έν
πολέμω
κρατηθεΐσι, δούλων
τε δσοι παρ*
αύτοΐς
έλευθερωθεϊεν
άστοίς είναι
συγχωρήσει,
τύχης τε
ανθρώπων
ουδεμιάς εί
μέλλοι τό
κοινον ώφελείν
απαξιώσει υπέρ
ταύτα δέ πάντα
κόσμφ τοΰ κολιτεύματος,
ον έκ πολλών
κατεστήσαντο
παθημάτων, έκ
παντός καιρού
λαμβάνοντες τι
χρήσιμον.
Il passo evidenzia con chiarezza come Roma sia cresciuta anche
grazie alla concessione della cittadinanza a stranieri, nemici vinti e schiavi
liberati[15]. Questa tendenza è rilevabile sin dalla origini di Roma e, per lo
storico, caratterizzerà sempre la civitas
Romana.
L’apertura verso lo
straniero è una caratteristica originaria della costituzione romana a conferma dell’idea di Gaio sul principium[16],
per cui gli Initia urbis sono
presentati «come principium della storia delle istituzioni romane, e
quindi come potissima pars di quelle istituzioni; che, nel
divenire storico della vita del popolo romano, hanno accresciuto e
perfezionato la loro completezza iniziale»[17].
Cicerone evidenzia nel
De re publica come la costituzione
romana sia opera di molti.
Cic. De re publ. 2.37: Tum Laelius: ‘Nunc fit illud Catonis certius, nec temporis unius nec
hominis esse constitutionem <nostrae> rei publicae; perspicuum est enim,
quanta in singulos reges rerum bonarum et utilium fiat accessio. Sed sequitur is qui mihi videtur ex omnibus
in re publica vidisse plurimum’. ‘Ita est’ inquit Scipio. ‘Nam post eum Servius
Tullius primus iniussu populi regnavisse traditur, quem ferunt ex serva
Tarquiniensi natum, cum esset ex quodam regis cliente conceptus.
Della fondazione di Roma non si nascondono, ed anzi si esaltano, gli apporti dei re di origine straniera[18]. Numa è rex alienigena[19], Servio Tullio è nato ex serva Tarquiniensi[20].
Le particolari origini del rex
Servio, nato da una captiva, sono
riportate anche dal princeps Claudio
nel suo discorso del 48 d.C. a proposito dell’attribuzione
ai Galli dello ius honorum e della
possibilità per questi di entrare nel Senato,
conservato nella grande iscrizione sulle tavole di bronzo di Lione[21].
Lo stesso fatto è
riportato da Tacito in una versione rielaborata ma fedele all’originale
epigrafico[22]:
Tac. Ann. 11.24: His atque talibus haud permotus princeps et statim contra disseruit et vocato senatu ita exorsus est: maiores mei, quorum antiquissimus Clausus origine Sabina simul in civitatem Romanam et in familias patriciorum adscitus est, hortantur uti paribus consiliis in re publica capessenda, transferendo huc quod usquam egregium fuerit.
Claudio apre il discorso utilizzando appositamente l’antico nome Clausus per un espresso riferimento alle sue origini familiari sabine. Il princeps, infatti, sottolinea che la nascita non romana non ha impedito alla gens Claudia di essere accolta a Roma tra le famiglie patrizie. Così com’è avvenuto per gli Iulii che arrivarono da Alba, i Coruncanii da Camerius e così via; gentes di varia provenienza che si sono unite nel nomen Romanus e, a loro volta, hanno contribuito alla grandezza di Roma.
Così com’è avvenuto anche per comunità più ampie. Il princeps ricorda, infatti, la nuova forza acquistata da Roma con l’annessione dei Transpadani; o l’annessione dei Balbos ex Hispania e dei Galli Narbonensi i cui discendenti hanno ormai un amore verso Roma identico ai Romani stessi.
Si tratta di una tendenza politica che per Claudio deve essere perseguita se non si vuole incorrere negli errori di Lacedemoni e Ateniesi i quali, malgrado il loro alto valore in guerra, hanno sempre mantenuto con insistenza un atteggiamento di chiusura verso gli stranieri che ha portato alla loro rovina.
Il passo è un
pregnante esempio dell’apertura della cittadinanza romana che, contrariamente
alla Grecia classica fondata sul concetto di stirpe, ha sempre cercato di
riportare a concordia le diversità in una comunione di valori sia giuridici,
sia religiosi, attraverso i quali una multitudo
diversa et vaga concordia civitas facta est[23].
Esempio di questo
atteggiamento culturale romano si ha già con Romolo, abbastanza saggio da saper
trattare gli stessi popoli prima da nemici, poi da cittadini come riferito da
Cicerone:
Cic. Pro Balb. 31: Illud vero sine ulla dubitatione maxime nostrum fundavit imperium et
populi Romani nomen auxit, quod princeps ille creator huius urbis, Romulus,
foedere Sabino docuit etiam hostibus recipiendis augeri hanc civitatem
oportere; cuius auctoritate et exemplo numquam est intermissa a maioribus
nostris largitio et communicatio civitatis. Itaque et ex Latio multi, ut
Tusculani, ut Lanuvini, et ex ceteris generibus gentes universae in civitatem
sunt receptae, ut Sabinorum, Volscorum, Hernicorum; quibus ex civitatibus nec
coacti essent civitate mutari, si qui noluissent, nec, si qui essent civitatem
nostram beneficio populi Romani consecuti, violatum foedus eorum videretur.
La cittadinanza romana
è, dunque, un «elemento d’unione fra i popoli»[24] che ha
consentito ai Romani di aggregare a sé elementi sempre nuovi in un processo di
continuo arricchimento che porterà alla
diffusione stessa del diritto romano.
Il quadro appena
descritto, a partire dalla stessa fondazione di Roma, mette in luce la
sostanziale ininfluenza dell’elemento etnico nella definizione del concetto di
cittadino. È il popolo, o anche il singolo cittadino, che partecipa alla
concessione della cittadinanza. In questo modo a Roma non solo la civitas ma anche il civis crea il civis[25].
Il sistema è in linea
con l’appartenenza volontaristica dei cives
alla civitas, per cui il cittadino è
elemento fondante della comunità politico-religiosa, costituitasi proprio dagli
individui e dalla comunanza d’interesse in capo agli stessi.
Proprio l’idea della comunione di interessi posta alla base di
questa interazione tra individui è un ulteriore aspetto della cittadinanza
romana che merita di essere messo in evidenza. Attraverso la comunione di interessi
la cittadinanza romana diviene, infatti, uno strumento di identità culturale,
in cui il concetto di identità riesce ad essere potente nonostante (o forse
proprio grazie a) la capacità di integrare nel tempo elementi di novità.
D'altronde, i Romani non hanno mai sentito il bisogno di dare
una definizione dell’istituto o dello ius
civitastis, tutto ciò che li definisce è il risultato di una sedimentazione
secolare di costumi e norme[26].
Un primo aspetto di
questa identità culturale si fonda sulla religione romana, connessa con
«imprescindibile causalità»[27]
ad ogni manifestazione significativa relativa a vita e storia della civitas
Romana, la cui comunanza fornisce
un unicum tra tutti i cives, senza operare alcuna forma di
disgregazione[28].
Già Fustel de
Coulanges ha messo in luce che la costituzione di una città è sempre
essenzialmente un atto religioso e la religione è il primo legame tra i singoli
che, in tale compartecipazione, diventano, l’uno per l’altro, cives[29]. È la
religione che pone il fondamento e la giustificazione della costituzione di una
città e di tutte le regole poste a suo presupposto, gettando così le basi per
la costituzione dello ius.
La religio non si limita ad essere elemento
‘caratterizzante’ dei primi legami tra cittadini romani, ma diviene strumento
essenziale di crescita, contraddistinta da un più ampio atteggiamento culturale
di apertura verso l’alienus che
attraverso la concezione di pax deorum, come meglio è stato
evidenziato da Francesco Sini, «postulava una costante apertura religiosa,
giuridica e politica verso l’esterno. Nell’intero arco del suo sviluppo storico
dalla civitas all’impero, la res publica romana – e la sua
religione politeista –, è sempre stata caratterizzata dalla continua esigenza
(e preoccupazione) di integrare l’“alieno”: dèi, uomini, spazi terrestri;
divinità dei vicini e divinità dei nemici, cerchi concentrici sempre più
larghi, che potenzialmente abbracciavano l’intero spazio terrestre e tutto il
genere umano»[30].
La tendenza universalistica della religione si rinviene nella
straordinaria capacità di accogliere i culti stranieri che risultano integrati nel rituale romano, conservandone le
cerimonie originarie. Ciò emerge con chiarezza nella nota definizione dei Peregrina sacra proposta da Sesto Pompeo Festo nella sua
opera De verborum significatu.
Fest. v. Peregrina sacra, p. 268 L.: Peregrina sacra
appellantur, quae aut evocatis dis in oppugnandis urbibus Romam sunt † conata †
[conlata Gothofr.; coacta Augustin.], aut quae ob quasdam religiones per
pacem sunt petita, ut ex Phrygia Matris Magnae, ex Graecia Cereris, Epidauro
Aesculapi: quae coluntur eorum more, a quibus sunt accepta[31].
Ed
assieme alla religio, questa societas che nasce nella comunione
tra uomini e dèi[32], si fonda sulla
comunanza di lex
e ius[33] come evidenzia Cicerone nel noto passo del De
legibus:
Cic. De leg. 1.23: Est igitur,
quoniam nihil est ratione melius, eaque est et in homine et in deo, prima
homini cum deo rationis societas. Inter quos autem ratio, inter eosdem etiam
recta ratio [et] communis est: quae cum sit lex, lege quoque consociati homines
cum dis putandi sumus. Inter quos porro est communio legis, inter eos communio
iuris est. Quibus autem haec sunt inter eos communia, ei civitatis eiusdem
habendi sunt. Si vero isdem imperiis et potestatibus parent, multo iam magis
parent [autem] huic caelesti discriptioni mentique divinae et praepotenti deo,
ut iam universus sit hic mundus una civitas communis deorum atque hominum
existimanda.
Lo ius, assieme alla religio, diviene strumento fondamentale
della civitas, in un rapporto
inscindibile[34] che genera quella
forma di elasticità e integrazione, racchiusa nel concetto di civitas augescens[35],
fondamentale per la stessa crescita e lo sviluppo di cittadinanza e istituzioni romane.
Numerose
fonti pongono il diritto, ed in particolare la legge, quale aspetto basilare nella definizione di una identità romana.
Tale
concetto può trarsi da un passo di Sallustio in cui si riferisce come una moltitudine variegata di uomini, senza legge e senza
autorità, unita insieme diviene in breve tempo una civitas.
Sall.
Cat. con. 6: Urbem Romam, sicuti
ego accepi, condidere atque habuere initio Troiani, qui Aenea duce profugi
sedibus incertis vagabantur, cumque iis Aborigines, genus hominum agreste, sine
legibus, sine imperio, liberum atque solutum. Hi postquam in una moenia
convenere, dispari genere, dissimili lingua, alii alio more viventes,
incredibile memoratu est, quam facile coaluerint: ita brevi multitudo diversa
atque vaga concordia civitas facta erat [36].
Sallustio
non pone espressamente l’accento sull’importanza del diritto nella costituzione
della civitas, tuttavia ciò si può
desumere dalla descrizione iniziale di un insieme di uomini agrestes e senza diritto. L’elemento
rilevante del passo è la centralità della collettività come unione di più
uomini, anche se profondamente diversi tra loro.
Certamente, l’idea di comunità unita in un vincolo giuridico si
ritrova espressa nella definizione ciceroniana, peraltro assai conosciuta, quid est enim civitas nisi iure societas
civium?[37]
Tale affermazione è ribadita più avanti nella stessa opera:
Cic. De re publ. 6.13:
Sed quo sis Africane alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto: omnibus qui
patriam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum
locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo,
qui omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat acceptius, quam concilia
coetus que hominum iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et
conservatores hinc profecti huc revertuntur.
Cicerone caratterizza la civitas come una società di cittadini e, dunque, come un legame volontario di uomini liberi, uniti dal diritto[38].
Il concetto di concilia
coetus e iure sociati si rinviene
anche secoli dopo in Macrobio:
Macr. Sat. 1.8.1: Nihil est enim illi principi deo, qui omnem
mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetus
quehominum iure sociati, quae civitates appellantur.
La civitas nasce, dunque, dalla stessa unione dei cives e, a sua volta, li definisce,
rappresentando la loro condizione globale e il loro status[39]. La civitas può, in
questo senso, essere definita come quell’unione di uomini liberi i quali,
aggregandosi volontariamente, formano una comunità politico-religiosa organizzata nel diritto[40].
La cittadinanza romana manterrà le sue prerogative e la sua forza fintanto che resterà
ancorata a tale senso di compartecipazione, via via che diverrà un modo di
uniformazione dei soggetti, portati a livello di sudditi[41],
finirà col perdere la sua stessa essenza giuridica.
La cittadinanza
romana, quale derivato dei rapporti giuridico-religiosi, o meglio,
religioso-giuridici, correnti tra i singoli compartecipanti di questo complesso
sistema, riunisce tutti coloro che entrano in relazione con tale assetto, senza
alcuna distinzione o discriminazione[42]. Il
termine civis è, infatti, utilizzato
spesso nelle fonti in senso ampio e non si ricollega completamente e unicamente
alla partecipazione politica, ma unisce, in un ambìto status giuridico, tutti i compartecipanti di una medesima
organizzazione politico religiosa.
Se, dunque, la cittadinanza romana nasce
in stretto collegamento con l’Urbe ed i suoi primi abitanti, con la sua
vocazione universale si sposta ben presto da una
dimensione ‘territoriale’ ad una dimensione giuridica, per andare a definire
quello status giuridico e sociale tipico dei partecipanti a un medesimo
diritto e a una medesima religione.
È un concetto di
cittadinanza che individua una comunità nel suo insieme e nei suoi legami,
riunita da elementi che non trovano distinzione nell’età, nel sesso e nella
stretta capacità di partecipazione politica, ma che, al contrario, si
identificano nella comunione di vita in una medesima religio ed in un medesimo diritto.
In tal senso la cittadinanza diviene un
efficace strumento in mano alle classi dirigenti per accrescere il Populus
Romanus e i fines Populi Romani. La cittadinanza appare, quindi, il
principale motore di crescita fin dalla Roma più antica, che – combinata con la
propensione universalistica insita fin dai primordi nella religione – ha
favorito la costante aggregazione, per lo più volontaria, di elementi sempre
nuovi.
In conclusione,
ritengo che l’esperienza storica e i principi ispiratori del concetto di
cittadinanza romana possano oggi fornire nuova linfa vitale alle necessarie
riflessioni sull’elaborazione di un nuovo concetto di cittadinanza europea non
più legata alla cittadinanza nazionale, in un processo che sia in
grado di delineare una chiara identità europea.
§ 1. Identità e cittadinanza europea
Tra i molteplici
lavori di carattere comparatistico dedicati alla cittadinanza rinvio in part.
a: C. Parry, British Nationality Law and the History of Naturalization, in Comunicazioni e Studi V, Milano 1953, 3
ss. (estratto online http://www.uniset.ca/naty/parry.htm); R. Aron, Is Multinational Citizenship Possible?, in Social Research 41.4 (1974), 638 ss.; G. Kojanec (a cura di), La
cittadinanza nel mondo, voll. I, II (2 tomi), III, IV, Padova 1977, 1979,
1982, 1986; M.D.A. Freeman (a
cura di), British Nationality Act 1981,
London 1982; S. Bariatti, Nationalité et statut personnel dans le
droit de la nationalité italienne, in Nationalité
et statut personnel: Leur interaction dans les traités internationaux et dans
les législations nationales, Bruxelles-Paris 1984, 123 ss.; Ead., Le droit italien de la nationalité, in Nationality Laws in the European Union, Milano 1996, 465 ss.; R.W. Brubaker, Immigration and the Politics of Citizenship in Europe and North America,
Lanham 1989; Id.,Citizenship and Nationhood in France and
Germany, Cambridge 1992, 13 ss.; L. Fransman,
British Nationality Law, London 1989;
A. Dummett-A.G.L. Nicol, Subjects, Citizens, Aliens and Others: Nationality and Immigration Law, London
1990; G. Broggini, Nuove norme svizzere in tema di cittadinanza
e loro riflessi sui rapporti italo-svizzeri, in Rivista di Diritto Internazionale Privato e Processuale (1991), 295
ss.; P. Harmel, Traité de la nationalité en droit belge,
Bruxelles 1993; L. Baccelli, Cittadinanza e appartenenza, in La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari 1994, 129 ss.; A. Rosas,
Nationality and Citizenship in a Changing
European and World Order, in Law
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nazione e la questione del nazionalismo, in Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna 1994,
53 ss.; B. Nascimbene (a cura
di), Nationality Laws in the European
Union – Le droit de la nationalité dans l’Union européenne, Milano 1996; P.
Weil, Nationalities and Citizenships: The Lessons of the French Experience
for Germany and Europe, in Citizenship,
Nationality & Migration in Europe, Routledge-London 1996, 74 ss.; Id., The State Matters Immigration Control in Developed Countries, New
York 1998; Id., The History of French Nationality. A Lesson
for Europe, in Towards a European
Nationality: Citizenship, Immigration and Nationality Law in the EU, Basingstoke-New York 2001, 52 ss.; Id., Access to Citizenship: A Comparison of twenty five Nationality Laws,
in Citizenship Today: Global Perspectives
and Practices, Washington 2001, 17 ss.; A.C. Amato-Mangiameli, Identità
religiosa e cittadinanza: Guerrieri di Dio o di Cesare, in Rivista Internazionale di Filosofia del
diritto 74 (1997), 181 ss.; G. Cordini,
Cittadinanza e immigrazione. Profili di diritto pubblico comparato, in Europa e bene comune. Oltre moderno e
postmoderno, Napoli 1997, 177 ss.; Id.,
Elementi per una teoria giuridica della
cittadinanza: profili di diritto pubblico comparato, Padova 1998, 22 ss.; Id., Appunti in tema di status e condizione giuridica soggettiva nel
trattato costituzionale europeo, in Studi
Urbinati, A - Scienze giuridiche, politiche ed economiche 57.1 (2006), 5
ss. http://ojs.uniurb.it/index.php/studi-A/article/view/272;
E. Grosso, Le vie della cittadinanza, le grandi radici storiche. I modelli storici di riferimento, Padova 1997, in part. 37 ss.; P. Lagarde,
La nationalité française, 3a ed.,
Paris 1997; D.F. Orentlicher, Citizenship and National Identity, in International Law and Ethnic Conflict,
Ithaca-London 1998, 296 ss.; L.W. Barrington,
The Making of Citizenship Policy in the
Baltic States, in Georgetown
Immigration Law Journal 13 (1999), 159 ss.; P. Costa, Cittadinanza e comunità. Un “programma” di
indagine storiografica fra medioevo ed età moderna, in Filosofia politica 23 (1999), 15 ss.; Id.,
La cittadinanza: un tentativo di ricostruzione '”archeologica”, in La cittadinanza. Appartenenza, identità,
diritti, cit., 55 ss.; Id., Storia della cittadinanza in Europa. L’età
dei totalitarismi e della democrazia IV, Roma-Bari 2001, 485 ss.; Id., La cittadinanza: un «geschichtlicher Grundbegriff»?, in Sui concetti giuridici e politici della
costituzione dell'Europa, Milano 2010, 251 ss.; G. Dalla Torre-F. D’Agostino, La
cittadinanza: problemi e dinamiche in una società pluralistica, Torino
2000; N.W. Barber, Citizenship, nationalism and the European
Union, in European Law Review
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§ 2. Dalla polis alla cittadinanza
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§ 3. Tendenze universalistiche della cittadinanza romana
Sull’apertura della cittadinanza al di là dei confini dell’urbs e non limitata da fattori etnici si vedano in part.:
F. De Visscher, L’espansione
della civitas romana e la diffusione
del diritto romano, in Conferenze
romanistiche V, Milano 1960, 179 ss.; P. Catalano,
Linee del sistema sovrannazionale romano,
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Roma Initia urbis. Fondazioni di Roma Costantinopoli Mosca,
Campidoglio 21-24 aprile 1997, 1 ss.; M.P. Baccari, Il concetto giuridico di civitas augescens: origine e
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ss. [= Studi in memoria di Gabrio Lombardi II,
Roma 1996]; Ead., Cittadini popoli e comunione
nella legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996, 56 ss.; Ead., Alcuni principi del diritto romano per la
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Res publica res populi, Torino 1996, 194 ss.; F. Sini,
Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei baccanali: alcune
riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, in Studia et Documenta Historiae et Iuris
60 (1994) [= Studi in memoria di Gabrio
Lombardi I, Roma 1996, 49 ss., ripubblicato ora in La condition des “autres” dans les systèmes juridiques de la
Méditerranée, sous la direction de F. Castro et P. Catalano, Paris 2001
(pubbl. 2004), 59 ss.]; Id., La fondazione di Roma tra teologia e diritto negli autori dell’epoca
di Augusto (linee per una ricerca su Virgilio e Ovidio), in Da Roma alla
III Roma. Initia urbis. Fondazioni di Roma Costantinopoli Mosca,
Campidoglio 21-24 aprile 1997; Id., Impero Romano e
religioni straniere: riflessioni su universalismo e tolleranza nella religione
politeista romana, in Sandalion 21-22
(1998-1999) [ma 2001], 57 ss.; Id.,
Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica,
Torino 2001, 1 ss.; Id., Dai documenti dei sacerdoti romani:
dinamiche dell’universalismo nella religione e del diritto pubblico di Roma,
in Diritto @ Storia 2 (2003) http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Sini-Dai-Documenti.htm;
Id., Diritto e documenti sacerdotali romani: verso una palingensi, in Diritto @ Storia 4 (2005) http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Sini-Diritto-documenti-sacerdotali-palingenesi.htm.
§ 4. Cittadinanza e integrazione
Sul concetto del principium
in Gaio: C.A. Maschi, Il
diritto romano I. La prospettiva storica della giurisprudenza classica (Diritto
privato e processuale), 2a ed., Milano 1966, 132 ss.; F. Gallo, La storia in Gaio, in Il
modello di Gaio nella formazione del giurista. Atti del Convegno Torinese 4-5
maggio 1978 in onore del Prof. Silvio Romano, Milano 1981, 90 ss.; S. Morghese,
Appunti su Gaio ad legem
duodecim tabularum, in Il modello
di Gaio nella formazione del giurista, cit., 117 ss.; L. Lantella, L’isolamento dell’origine: pretese
teoriche e sostanza pragmatica, in Studi
in onore di A. Biscardi IV, Milano
1983, 1 ss.; Id.,‘Potissima pars principuim est’ (D. 1.2.11), in Studi in onore di C. Sanfilippo IV, Milano 1983, 283 ss.; O. Diliberto, Considerazioni intorno al commento di
Gaio alle XII Tavole, in Index 18 (1990), 403 ss.; Id., Materiali per la palingenesi delle XII
Tavole I, Cagliari 1992, 63 ss.;
B. Albanese, Brevi studi di diritto romano.
Sull’introduzione di Gaio al suo commento delle XII Tavole (D. 1,2,1), in Annali del Seminario Giuridico
dell’Università di Palermo 43
(1995), 7 ss.; S. Schipani,
Principia iuris. Potissima pars principium est. Principi generali del diritto. Schede
sulla formazione di un concetto, in Nozione
formazione e interpretazione del diritto, dall’età romana alle esperienze
moderne. Ricerche dedicate al Professor Filippo Gallo, Napoli 1997, 631
ss.; F. Sini, Initia Urbis e sistema giuridico-religioso romano (Ius
sacrum e ius publicum tra terminologia e sistematica), in Diritto @ Storia 3 (2004),
http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Sini-Initia-Urbis-2.htm; Id., Urbs: concetto e implicazioni normative
nella giurisprudenza, cit.
Sulla cittadinanza
romana come modello di aggregazione si
vedano in part.: F. De
Visscher, L’espansione della civitas
romana e la diffusione del diritto romano, cit., 183; P. Gauthier, ‘Générosité’ romaine et ‘avarice’ grecque: sur l’octroi du droit de la cité, in Mélange Seston,
Paris 1974, 212 ss.; A. Giardina, L’uomo romano, Bari 1993, XVII; L. Capogrossi Colognesi, Il potere romano: cittadinanza e schiavitù,
in Ankara Üniversitesi Hukuk Fakültesi
Dergisi, 43 (1993), 285 ss.; M. Sordi, Paolo a Filemone, o, Della schiavitù,
Milano 1987, 32 ss.; Ead, Integrazione, mescolanza, rifiuto
nell’Europa antica: il modello greco e il modello Romano, in Integrazione mescolanza rifiuto: incontri di
popoli, lingue e culture in Europa dall’Antichità all’Umanesimo: atti del convegno internazionale. Cividade del Friuli,
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Ead., Scritti di storia romana, Milano 2002, 259 ss.; Ead., La dialettica costituzionale in età cesariana. Tra esaltazione del
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sovversione nel mondo greco e romano: Atti del convegno internazionale,
Cividale del Friuli, 25-27 settembre 2008 (a cura di G. Urso), Pisa 2009, 117
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politische Wirklichkeit. Hornruf von der anderen Seite des Limes, München
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origine e continuità, cit., 759 ss.; Ead., Cittadini popoli e comunione nella
legislazione dei secoli IV-VI, cit., 47 ss.
§ 5. Cittadinanza come strumento di identità culturale
Su religio e identità
culturale: P. Voci, Diritto sacro romano in età arcaica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris
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Citoyenneté française et citoyenneté
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Atti del XXIII Congresso nazionale della Società italiana di Filosofia
giuridica e politica Macerata, 2-5 ottobre 2002, Macerata 2008, 22 ss. http://eum.unimc.it/catalogo/catalogo-2008/diritto-politica-e-realta-sociale-nell2019epoca/at_download/fileBook;
L. Labruna, Civitas quae est
constitutio populi e altri studii di
storia costituzionale romana, Napoli 1999, 21; G. Oppo, Declino del
soggetto e ascesa della persona, in Rivista
diritto civile 48 (2002), 835 ss.
N.D. Fustel de Coulanges, La
cité antique. Étude sur le culte, le droit, les institutions de la Grèce et de
Rome, 1864, nella riedizione Paris 1952. Sull'influenza delle tesi del
Fustel de Coulanges si veda: J. Gaudemet,
Tendances et méthodes en droit romain,
in Revue Philosophique 145 (1955),
151; A. Fernández-Barreiro, Los estudios de derecho romano en Francia
después del código de Napoleón, Roma-Madrid 1970, 54; A. Momigliano, La città antica di Fustel de Coulanges, in Rivista storica italiana 82 (1970), 81 [= Id., Quinto contributo
alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1975, 159]; C. Ampolo, Le origini di Roma e la «Cité antique», in Mélanges de École Française de Rome 92 (1980), 567 ss.; C. Warnke, Antike Religion und antike Gesellschaft: wissenschaftshistorische
Bemerkungen zu Fustel de Coulanges «La cité antique», in Klio 68 (1986), 287 ss.
Sulla definizione dei Peregrina sacra proposta da Sesto Pompeo Festo vedi per tutti: J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, III. Das Sacralwesen, 2ª ed. a cura di
G. Wissowa, Leipzig 1885, 42 ss. [= Le
culte chez les Romains I, Paris 1889, 44 ss.]; G. Wissowa, Religion
und Kultus der Römer, 2ª ed., München 1912, 348 ss.; M. van Doren, Peregrina sacra. Offizielle Kultübertragungen im alten Rom, in Historia 3 (1955), 488 ss.; R. Turcan, Lois romaines, dieux étrangers et «religion d’Etat», in Diritto e religione da Roma a Costantinopoli
a Mosca, Roma 1994, 23 ss.; F. Sini, Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana, in Diritto@Storia 3 (2004), http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Sini-Religione-e-sistema-giuridico.htm;
Id., Dai peregrina sacra ai
pravae et externae religiones dei
Baccanali, alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema giuridico-religioso Romano,
in Studia et Documenta Historiae et Iuris
60 (1994) [= Studi in memoria di Gabrio
Lombardi I, Roma 1996], 49 ss.
Per le implicazioni giuridiche e politiche del concetto di civitas augenscens, con particolare riguardo alla raccolta di iura ordinata dall’imperatore
Giustiniano, rinvio a P. Catalano,
Diritto e persone. Studi su origine e
attualità del sitema romano, Torino 1990, xiv
s.; M.P. Baccari, Il concetto giuridico di civitas augescens:
origine e continuità, cit., 759 ss.; Ead.,
Cittadini popoli e comunione nella
legislazione dei secoli IV-VI, Torino 1996. M. Cacciari, Il mito della
civitas augescens, cit., 161 ss.; M. Sordi,
Pax deorum e libertà religiosa nella storia di Roma, cit.
Sull’opera di Sallustio, tra i molteplici: D.C. Earl, The Political Thought of Sallust, Cambridge 1961; A. La Penna,
Sallustio e la "rivoluzione"
romana, Milano 1968; K.-E. Petzold,
Der politische Standort des Sallust,
in Chiron 1 (1971), 219 ss.; S. Mazzarino, Il pensiero storico classico II.2, 4ª ed., Roma-Bari 1974, 3 ss.; V. Pöschl, Sallust, 2ª Aufl., Darmstadt 1981; K. Büchner, Sallust,
2ª Aufl., Heidelberg 1982.
Sulla nozione di civitas come iuris societas gentium, si vedano: G. Lobrano, Res publica res populi. La
legge e la limitazione del potere, Torino 1996,
113 ss.; . Id., La Respublica romana, municipale-federativa e tribunizia: modello costituzionale
attuale, in Diritto@Storia 3
(2004), http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Lobrano-Res-publica-Romana-modello-costituzionale-attuale.htm; M. Baccari, Cittadini
popoli e comunione nella legislazione dei secoli IV-VI, cit., 53 ss. Intorno all’utilizzo dello schema della societas vedi le perplessità di M. Varvaro, Iuris consensus e societas in Cicerone. Un’analisi di Cic., De rep., 1,25,39, in Annali del
Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 45 (1998), 445 ss., 456 ss.
Sulla concezione stoica in Cicerone rinvio in part. a O. Sacchi, Le nozioni di stato e di proprietà in Panezio e l’influenza della
dottrina stoica sulla giurisprudenza romana dell’epoca scipionico-cesariana,
in Revue Internationale des droits de
l’Antiquité LII (2005), 325 ss., in part. 335 ss. fonti e bibl. ivi http://www2.ulg.ac.be/vinitor/rida/2005/Sacchi2.pdf.
Per un quadro sulla Constitutio
Antoniniana si vedano, senza presunzione di
esaustività, in part.: V. Capocci, La Constitutio Antoniniana, in Memorie
della E. Accademia dei Lincei. Classe discienze morali, storiche e filologiche
VI ser. 1 (1925), 1 ss.; E. Bickermann,
Das Edikt des Caracalla Kaisers in P.
Giess. 40, Berlin 1926; C. Sasse, Die Constitutio
Antoniniana, Wiesbaden 1958; Id.,
Literaturübersicht zur Constitutio
Antoniniana, in Journal of Juristic
Papyrology 14 (1962), 109 ss; A. d’Ors,
Nuevos estudios sobre la Constitutio
Antoniniana, Atti dell’XI Congresso Internazionale di Papirologia, Milano
1966, 408 ss.; M. Talamanca, Su alcuni passi di Menandro di Laodicea relativi agli effetti della
‘constitutio Antoniniana’, in Studi
Volterra V, Milano 1971, 433 ss.; A.N. Sherwin-White, The Roman citizenship, Oxford 1973, 380
ss.; Id., The Tabula of Banasa and the Constitutio
Antoniniana, in Journal of Roman Studies
63 (1973), 86 ss.; G.I. Luzzatto,
Appunti di Papirologia Giuridica,
Bologna 1974, 177 ss.; H. Wolff, Die Constitutio
Antoniniana und Papyrus Gissensis 40, Köln 1976; T. Spagnuolo Vigorita, Cittadini e sudditi tra II e III secolo,
in Storia di Roma III, L’età Tardoantica, I, Crisi e trasformazioni
(a cura di A. Schiavone), Torino 1993, 5 ss.; Id.,
Città e impero: un seminario sul pluralismo cittadino nell’impero romano, cit., 98
ss.; A. Torrent,
La constitutio Antoniniana. Reflexiones sobre el Papiro Giessen 40 I, Madrid 2012; G. Purpura, Constitutio Antoniniana de civitate, in Revisione ed integrazione dei Fontes Iuris Romani Anteiustiniani - FIRA.
Studi preparatori I, Leges, Palermo 2012, 699 ss.; Id.,
Il P. GISS. 40, I, in Iuris Antiqui Historia 5
(2013), 73 ss. http://www1.unipa.it/dipstdir/portale/ARTICOLI%20PURPURA/P.Giss.%2040%20IAH%205%202013.pdf;
C. Corbo, Constitutio Antoniniana. Ius, Philosophia,
Religio, Napoli 2013; V. Marotta, Tre riflessioni sulla cittadinanza: da Roma antica al mondo attuale, in Iuris Antiqui Historia 5
(2013), 53 ss.; G. Lobrano, La constitutio
Antoniniana de civitate peregrinis danda del
212 d.C.: il problema giuridico attuale di ri-comprendere scientificamente la
cittadinanza per ri-costruirla istituzionalmente, in La cittadinanza tra impero, stati nazionali ed Europa. Studi promossi
per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana, Roma 2015.
* Lo scritto trae origine
dala relazione presentato a Novedrade il 15 novembre 2015 all’XI Undicesimo
Seminario Internazionale “Diritto romano e attualità” sul tema «Il sistema del
diritto pubblico romano come fondamento del diritto pubblico europeo».
[1] Molteplici autori ritengono che la cittadinanza europea,
formalizzata con il Trattato di Maastricht, fosse già stata delineata con la
nascita stessa delle CE soprattutto attraverso
il principio di non discriminazione a motivo della nazionalità; si veda in part.: N.W. Barber, Citizenship, Nationalism
and the European Union, in European
Law Review 27 (2002), 241 ss. http://papers.ssrn.com/sol3/Delivery.cfm/SSRN_ID2256427_code472864.pdf?abstractid=2256427&mirid=1&type=2; I. Bulvinaite, Union Citizenship and its Role in the Free
Movement of Persons Regimes, in WebJournal
of Current Legal Issues, 5 (2003), http://www.bailii.org/uk/other/journals/WebJCLI/2003/issue5/bulvinaite5.html; G. Cordini,
Appunti in tema di status e
condizione giuridica soggettiva nel trattato costituzionale europeo, in Studi Urbinati
57.1 (2006), 5 ss., http://ojs.uniurb.it/index.php/studi-A/article/view/272/264; L.S. Rossi, I cittadini, in Il diritto privato dell’Unione Europea I, II ed., Torino 2006, 103 ss.; K. Rostek-D. Gareth, The Impact of Union Citizenship on National
Citizenship Policies, in European
Integration online Papers 10 (2006), 6 ss. http://eiop.or.at/eiop/pdf/2006-005.pdf; E. Triggiani, La cittadinanza europea per la “utopia” sovranazionale, in Studi sull’integrazione europea 3 (2006), 435 ss. http://www.studisullintegrazioneeuropea.eu/Scarico/Rivista%20Studi%200306.pdf.
[2] Trattato di Maastrict del 1992 art. 8, par.1: É cittadino dell’Unione europea chiunque abbia
la nazionalità di uno Stato membro.
Trattato CE (2002/C 325/01) Articolo 17:
1. È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione
chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione
costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce
quest’ultima.
2. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai
doveri previsti dal presente trattato.
[3] D. Zolo, La strategia della cittadinanza, in La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Bari 1994, 44; J.
Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Milano 1998, 220
ss.; R. Kovar, L’émergence et l’affirmation du concepì de
citoyenneté européenne dans le processus d’intégration européenne, in La citoyenneté européenne, Montréal
2000, 81; E. Triggiani, La cittadinanza europea per la “utopia”
sovranazionale, cit., 465 ss.; T. Padoa-Schioppa, Europa una pazienza attiva. Malinconia e riscatto del Vecchio
Continente, Milano 2006, 70; P. Ponzano,
Identità europea e cittadinanza
dell’Unione, in Cittadinanza e
diversità culturale nello spazio giuridico europeo, Padova 2010, 21; L. Montanari, La cittadinanza in Europa: alcune riflessioni sugli sviluppi più
recenti, in Rivista telematica
giuridica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti 2 (2012), 29; C.
Gambino, Cittadinanza europea: un lungo iter giuridico non sostenuto da un’adeguata
partecipazione democratica, in in KorEuropa
4 (2014), 104 ss. http://www.unikore.it/index.php/numero-4/claudio-gambino.
[4] R. Zimmermann, Diritto romano, diritto contemporaneo,
diritto europeo: la tradizione civilistica oggi. Il diritto privato europeo e
le sue basi storiche, in Rivista di
diritto civile 47 (2001), 710 ss.
[5] É. Benveniste, Deux modèles linguistiques de la cité,
in Problèmes de linguistique générale 2, Paris 1974, 276. Il Polites è, dunque, “colui che
partecipa alla pólis, che
assume i doveri ed i diritti della sua condizione”, in un ottica opposta a
quella del civis.
[6] Ibid. Al
di là del rapporto di derivazione meramente linguistico, Beneveniste si sofferma
sull’oscurazione dell’”insieme dei rapporti” causata dalla errata traduzione di
civis con ‘cittadino’. Tale
traduzione cancella l’idea di reciprocità e l’insieme di relazioni che
identificano un civis come civis, e che rendono inconcepibile l’esistenza di un
singolo civis. Si dovrà dunque tener presente la necessaria pluralità,
definita non certo da un numeo minimo quanto da un insieme di correlazioni e
rapporti, forse anche condivisione di uno stesso sistema giuridico- religioso. «Così
il modello linguistico della parole latine Civis/civitas/civilis fornisce un modello intero per riesaminare
le domande di cittadinanza (nel campo di tensione tra il significato giuridico
di questo concetto, da un lato, e la designazione di una pluralità irriducibile
di concittadini, dall’altro), della "città" o cité come uno spazio politico, o ancora della
cosiddetta ‘società civile’, un modello che non prende spunto da uno spazio
sempre già politico istituzionalizzato, ma da una relazionalità primordiale e
irriducibile».
[7] É. Benveniste,
Deux modèles linguistiques de la cité,
cit., 273.
[8] Si vedano, tra gli studi più recenti, in part.: P. Costa, Civitas. Storia
della cittadinanza in Europa, 1. Dalla civiltà comunale al Settecento,
Roma-Bari 1999, 36 ss.; J. Kirshner, Genere e cittadinanza nelle città-stato del Medioevo e del Rinascimento,
in Innesti. Donne e genere nella storia
sociale, Roma 2004, 21 ss.; M. Ascheri, Nella città medievale italiana: la cittadinanza o le
cittadinanze?, in Initium Revista Catalana d’història del dret 16 (2011), 299 ss. http://www.isime.it/public/biblioteca/Miscellanea%20virtuale/M.%20Ascheri,%20Nelle%20citt%C3%A0.pdf;
G. Todeschini, La reputazione economica come fattore di
cittadinanza nell’Italia dei secoli XIV-XV, in Fama e publica vox nel Medioevo, Roma 2011, 103 ss.; Id., Introduzione,
in Mélanges
de l’École française de Rome - Moyen Âge 125.2 (2013), http://mefrm.revues.org/1289; S. Menzinger, Diritti di cittadinanza
nelle quaestiones giuridiche duecentesche e inizio-trecentesche, in Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge 125-2 (2013), http://mefrm.revues.org/1468; M. Vallerani, Logica della
documentazione e logica dell’istituzione. Per una rilettura dei documenti in
forma di lista nei comuni italiani della prima metà del XIII secolo, in Notariato e medievistica. Per i cento anni
di Studi e ricerche di diplomatica comunale di Pietro Torelli (Mantova 2-3
dicembre 2011), Roma 2013.
[9] J. Bodin, Six livres de la
république, Paris 1576,
qui citato in trad. it. I sei libri dello Stato I, Torino 1964, 49 s., il cittadino é un suddito
libero che dipende dalla sovranità altrui, quella appunto del Principe o
Sovrano, tant’è che lo
straniero non essendo suddito, non ha diritti o privilegi.
[10] Sul punto e sul rapporto
fra Bodin e Rousseau si veda D. Quaglioni, I limiti della sovranità. Il pensiero di
Jean Bodin nella cultura giuridica e politica dell’età moderna, Padova
1992, 277 ss.
[11] J.-J.
Rousseau, Du contrat social ou Principes du droit politique, Paris 1762, qui citato in trad. it. a cura di P. Alatri, Il contratto sociale, in Scritti politici, Torino 1979, in part. I.6 «Ciascuno di noi mette in
comune la propria persona e ogni potere sotto la suprema direzione della
volontà generale; e noi riceviamo ogni membro come parte indivisibile del
tutto» e I.8.
J.-J. Rousseau, Émile ou De l'éducation, Paris 1762,
qui citato in trad. it a cura di P. Massimi, Emilio o Dell’educazione, 3a ed., Roma 1997, 67: «Di fronte alla necessità di contrastare o la natura o le istituzioni sociali, bisogna decidere se
formare un uomo o un cittadino: formare l’uno e l’altro insieme non
si può [...] L'uomo naturale è un’entità del tutto
a sé stante; è l'unità numerica, è l'intero assoluto che ha rapporto solo
con se stesso o col suo simile. L'uomo civile non è che un’unità frazionaria condizionata dal
denominatore e il cui valore risiede nel suo rapporto con l'intero, che è il corpo sociale. Le buone
istituzioni sociali sono quelle che meglio riescono a snaturare l'uomo, a privarlo della sua esistenza
assoluta per conferirgliene una
relativa, e inserire l'io
nell'unità comune, di guisa che ogni singolo individuo non senta più se stesso come
unità, ma come parte
dell'unità, e non abbia rilevanza alcuna se non nel tutto in
cui è assorbito. Un cittadino romano non era né Caio né Lucio;
era un Romano, e giungeva ad amare la patria fino al
totale oblio si se stesso».
[12] F. Chabod, L’idea di nazione, Bari 1961, 61 ss.; G. Lombardi, Principio di
nazionalità e fondamento della legittimità dello Stato, Torino 1979, 20
ss.; M. Albertini, Lo stato nazionale, Napoli 1981; E. Gellner,
Nations and Nationalism, Oxford 1983
(trad. it. Nazioni e nazionalismo,
Roma 1985); C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia (1848-1948),
Roma-Bari 1983; Id., Stato, Nazione e Costituzione nell’Italia
contemporanea, Napoli 1999; E.J.E. Hobsbawm,
Nations and Nationalism since 1780, Programme, Myth, Reality,
Cambridge 1990 (trad. it. Nazioni e
Nazionalismo dal 1780. Programma, mito, realtà, Torino 1991); M. Cossutta, Stato e Nazione. Un’interpretazione giuridico-politica, Milano
1999; S.J. Woolf, Histories of Europe and the Nation-State,
in Contemporary European History 12
(2003), 323 ss.; S.B. Galli, Romanticismo e nazionalismo: da Fichte a
Renan, in Da Platone a Rawls. Lineamenti
di storia del pensiero politico, Torino 2012, 329 ss.; F. Di Giannatale, Il principio di nazionalità un dibattito nell’Italia risorgimentale,
in Storia e Politica 6.2 (2014), 234
ss. http://www.unite.it/UniTE/Engine/RAServeFile.php/f/File_Prof/DI_GIANNATALE_2234/Il_Principio_di_Nazionalita_Di_Giannatale.pdf.
[13] F. De Visscher, L’espansione della civitas
romana e la diffusione del diritto romano, in Conferenze romanistiche V, Milano 1960, 184.
[14] Sylloge II3.543
(Decretum Larisaeorum, quod duas Philippi regis
epistulas continet). Sulla datazione del decretum rinvio a C. Habicht, Epigraphische Zeugnisse zur Geschichte Thessaliens unter der
Makedonische Herrschaft, in Arcaia Makedonia, Thessaloniki 1970, 273 ss. Cfr. Appian. bell. civ. 2.120, che parla della cittadinanza romana incrementata da stranieri e
servi emancipati, ma, al contrario di Filippo, dà un giudizio negativo della
mancata distinzione fra cittadini e liberti.
[15] Per il concetto di cittadinanza espresso da Dionigi di
Alicarnasso rinvio a G. Poma, Dionigi
d’Alicarnasso e la cittadinanza romana, in Mélanges de
l’École française de Rome 1 (1989), 187 ss.
[16] D. 1.2.1 (Gaius lib.
primo ad legem duodecim tabularum): Facturus
legum vetustarum interpretationem necessario prius ab urbis initiis repetendum existimavi,
non quia velim verbosos commentarios facere, sed quod in omnibus rebus
animadverto id perfectum esse, quod ex omnibus suis partibus constaret: et
certe cuiusque rei potissima pars principium est. Sull’idea gaiana rinvio, tra i molteplici
lavori, a: C.A. Maschi, Il diritto romano I. La prospettiva
storica della giurisprudenza classica (Diritto privato e processuale), 2a
ed., Milano 1966, 132 ss.; F. Gallo, La storia in Gaio, in Il
modello di Gaio nella formazione del giurista. Atti del Convegno Torinese 4-5
maggio 1978 in onore del Prof. Silvio Romano, Milano 1981, 90 ss.; S. Morghese, Appunti
su Gaio ad legem duodecim tabularum, in Il modello di Gaio nella formazione del
giurista, cit., 117 ss.; L. Lantella, L’isolamento dell’origine: pretese teoriche
e sostanza pragmatica, in Studi
in onore di A. Biscardi IV, Milano
1983, 1 ss.; Id.,‘Potissima pars principuim est’ (D. 1.2.11), in Studi in onore di C. Sanfilippo IV, Milano 1983, 283 ss.; O. Diliberto, Considerazioni intorno al commento di
Gaio alle XII Tavole, in Index 18 (1990), 403 ss.; Id., Materiali per la palingenesi delle XII
Tavole I, Cagliari 1992, 63 ss.;
B. Albanese, Brevi studi di diritto romano.
Sull’introduzione di Gaio al suo commento delle XII Tavole (D. 1,2,1), in Annali del Seminario Giuridico
dell’Università di Palermo 43
(1995), 7 ss.; S. Schipani,
Principia iuris. Potissima pars principium est. Principi generali del diritto. Schede
sulla formazione di un concetto, in Nozione
formazione e interpretazione del diritto, dall’età romana alle esperienze
moderne. Ricerche dedicate al Professor Filippo Gallo, Napoli 1997, 631
ss.; F. Sini, Initia Urbis e sistema giuridico-religioso romano (Ius
sacrum e ius publicum tra terminologia e sistematica), in Diritto @ Storia 3 (2004),
http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Sini-Initia-Urbis-2.htm; Id., Urbs: concetto e implicazioni normative
nella giurisprudenza, cit.
[17] F. Sini,
Initia Urbis e sistema
giuridico-religioso romano (Ius sacrum e ius publicum tra terminologia e sistematica), cit.
[18] Sul
punto vedi: M. Sordi, Scritti di storia romana, Milano 2002,
259 ss.; Ead., La dialettica costituzionale in età
cesariana. Tra esaltazione del nuovo e accuse di sovversione, in Ordine
e sovversione nel mondo greco e romano: Atti del convegno internazionale,
Cividale del Friuli, 25-27 settembre 2008 (a cura di G. Urso), Pisa 2009, 117 ss.
[19] Vedi
anche Cic. De re publ. 2.25: Quibus cum esse praestantem Numam Pompilium
fama ferret, praetermissis suis civibus regem alienigenam patribus auctoribus
sibi ipse populus adscivit, eumque ad regnandum Sabinum hominem Romam Curibus
accivit. Qui ut huc venit, quamquam populus curiatis eum comitiis regem esse
iusserat, tamen ipse de suo imperio curiatam legem tulit, hominesque Romanos
instituto Romuli bellicis studiis ut vidit incensos, existimavit eos paulum ab
illa consuetudine esse revocandos;
Livio sull’inaugurazione di Numa 1.18.6-10. Liv. 4.3: En unquam creditis fando auditum esse, Numam
Pompilium, non modo non patricium sed ne civem quidem Romanum, ex Sabino agro
accitum, populi iussu, patribus auctoribus Romae regnasse? L. deinde
Tarquinium, non Romanae modo sed ne Italicae quidem gentis, Demarati Corinthii
filium, incolam ab Tarquiniis, vivis liberis Anci, regem factum? Ser. Tullium
post hunc, captiva Corniculana natum, patre nullo, matre serva, ingenio,
virtute regnum tenuisse? Quid enim de T. Tatio Sabino dicam, quem ipse Romulus,
parens urbis, in societatem regni accepit? Ergo dum nullum fastiditur genus in
quo eniteret virtus, crevit imperium Romanum. Paeniteat nunc vos plebeii
consulis, cum maiores nostri advenas reges non fastidierint, et ne regibus
quidem exactis clausa urbs fuerit peregrinae virtuti? Claudiam certe gentem
post reges exactos ex Sabinis non in civitatem modo accepimus sed etiam in
patriciorum numerum. Ex peregrinone patricius, deinde consul fiat, civis
Romanus si sit ex plebe, praecisa consulatus spes erit? Utrum tandem non credimus
fieri posse, ut vir fortis ac strenuus, pace belloque bonus, ex plebe sit,
Numae, L. Tarquinio, Ser. Tullio similis, an, ne si sit quidem, ad gubernacula
rei publicae accedere eum patiemur, potiusque decemviris, taeterrimis
mortalium, qui tum omnes ex patribus erant, quam optimis regum, novis
hominibus, similes consules sumus habituri?
[20] Cic. De re publ. 2.37: Tum
Laelius: ‘Nunc fit illud Catonis certius, nec temporis unius nec hominis esse
constitutionem <nostrae> rei publicae; perspicuum est enim, quanta in
singulos reges rerum bonarum et utilium fiat accessio. Sed sequitur is qui mihi videtur ex omnibus in re publica
vidisse plurimum’. ‘Ita est’ inquit Scipio. ‘Nam
post eum Servius Tullius primus iniussu populi regnavisse traditur, quem ferunt
ex serva Tarquiniensi natum, cum esset ex quodam regis cliente conceptus. Qui cum
famulorum <in> numero educatus ad epulas regis adsisteret, non latuit
scintilla ingenii quae iam tum elucebat in puero; sic erat in omni vel officio
vel sermone sollers. Itaque
Tarquinius, qui admodum parvos tum haberet liberos, sic Servium diligebat, ut
is eius vulgo haberetur filius, atque eum summo studio omnibus iis artibus quas
ipse didicerat ad exquisitissimam consuetudinem Graecorum erudiit.
[21] Il frammento riferito a Servio Tullio recita così: Huic quoque et fìlio nepotive eius, nam et hoc inter auctores discrepat, insertus Servius Tullius, si nostros sequimur, captiva natus Ocresia; si Tuscos, Caeli quondam Vivennae sodalis fidelissimus omnisque eius casus comes, postquam varia fortuna exactus cum omnibus reliquiis Caeliani exercitus Etruria excessit, montem Caelium occupavit, et a duce suo Caelio ita appellitatus J mutatoque nomine, nam tusce Mastarna ei nomen erat, ita appellatus est ut dixi, et regnum summa cum reipublicae utilitate optinuit. Per l’intero testo si veda: CIL XIII.1668; V. Boissieu, Inscriptions antiques de Lyon reproduites d’après les monuments ou recueillies par les auteurs, Lyon 1846-1854, 136 ss.
[22] Sul discorso di Claudio riportato da Tacito rinvio a: A. De Vivo, Tacito e Claudio: Storia e codificazione letteraria, Napoli 1980;
E. Gabba, Dionigi e la storia di Roma arcaica, Bari 1996, 82 ss.; M. Sordi, Scritti di storia romana, cit., 258 ss.
[23] Vedi M.
Sordi, Integrazione, mescolanza, rifiuto nell’Europa antica: il modello greco
e il modello Romano, in Integrazione,
mescolanza, rifiuto. Integrazione di popoli, lingue e culture in Europa
dall’Antichità all’umanesimo, Roma 2001, 25.
[24] F. De Visscher, L’espansione della civitas romana, cit., 183.
[25] P. Gauthier, ‘Générosité’ romaine et ‘avarice’ grecque: sur l’octroi du droit de la
cité, in Mélange Seston, Paris
1974, 212 ss A. Giardina, L’uomo romano, Bari 1993, XVII; L. Capogrossi Colognesi, Il potere romano: cittadinanza e schiavitù,
in Ankara Üniversitesi Hukuk Fakültesi
Dergisi, 43 (1993), 285 ss.
[26] C. Nicolet, Citoyenneté française et citoyenneté
romaine: essai de mise en perspective, La nozione di «Romano» tra cittadinanza e
universalità [Da
Roma alla terza Roma, Studi II], Napoli 1984, 165.
[27] F. Sini, Diritto e Pax deorum in Roma arcaica, in Diritto@Storia 5 (2006), n. 17; http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm,
vedi inoltre quanto l’A. afferma in relazione alla civitas augescens: «Teologia e ius divinum mostravano che la
volontà degli Dèi aveva determinato la fondazione dell’urbs Roma; ne aveva
sostenuto la prodigiosa “crescita” del numero dei cittadini (civitas
augescens, per usare l’espressione del giurista Pomponio, conservata dai
compilatori dei Digesta Iustiniani); infine, presiedeva
all’incomparabile fortuna dell’imperium populi Romani e garantiva la sua
estensione sine fine».
[28] P. Voci, Diritto sacro romano in età arcaica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris
19 (1953), 49 ss. [= Id., Scritti
di diritto romano I, Padova 1985, 226 ss.]; J. Bayet, La religion
romaine. Histoire politique et psychologique, 2a ed., Paris 1969
[rist. 1976], 57 ss.; M. Sordi,
Pax deorum e libertà religiosa nella storia di Roma, La pace nel mondo antico, Milano 1985, 146 ss.; F. Sini, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”,
Sassari 1991, 256 ss.; Id., Populus et
religio dans la Rome républicaine, in
Archivio Storico e Giuridico Sardo di
Sassari 2, n. s., 1995 [ma 1996], 77 ss.; Id.,
La negazione nel linguaggio precettivo
dei sacerdoti romani, in Il
Linguaggio dei Giuristi Romani. Atti del Convegno Internazionale di Studi,
Lecce, 5-6 dicembre 1994 (a cura di O. Bianco e S. Tafaro), Galatina 2000; Id., Diritto e pax deorum in Roma antica,
in Diritto@Storia 5 (2006), http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm.
[29] N.D. Fustel
de Coulanges, La cité antique. Étude sur le
culte, le droit, les institutions de la Grèce et de Rome, 1864, qui citata nel
testo della riedizione Paris 1952.
[30] In materia rimando a F. Sini,
Diritto e pax deorum in Roma antica, in Diritto@Storia 5 (2006), http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm.
[31] Sul concetto di peregrina
sacra rimando a F. Sini, Religione e sistema giuridico in Roma repubblicana, cit.; Id., Dai peregrina sacra ai pravae et externae religiones dei Baccanali, alcune riflessioni su ‘alieni’ e sistema
giuridico-religioso Romano, in Studia
et Documenta Historiae et Iuris 60 (1994) [= Studi in memoria di Gabrio Lombardi I, Roma 1996], 49 ss.
[32] Si vedano in particolare: P. Catalano, Una civitas
communis deorum atque hominum: Cicerone tra temperatio
reipublicae e rivoluzioni, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris 61 (1995), 724; F. Sini, Sua cuique
civitati religio, Religione e diritto
pubblico in Roma antica, cit., 190 s.; Id., Uomini e Dèi nel sistema giuridico-religioso romano: Pax deorum, tempo degli Dèi, sacrifici, in Diritto@Storia 1 (2002), http://www.dirittoestoria.it/tradizione/F.%20Sini%20-%20Uomini%20e%20D%E8i%20%20nel%20sistema%20giuridico-religioso%20roman.htm.
[33] F. Sini, Diritto e Pax deorum in Roma arcaica, cit., nn. 26 s.
[34] Vedi quanto sostiene in materia F. Vallocchia, Collegi
sacerdotali ed assemblee popolari nella repubblica romana, Torino 2008, 10:
«”Non isolamento” e, più decisamente “commistione” sono concetti che non si
limitano a chiarire la relazione tra religione e diritto, almeno nella Roma
repubblicana, ma tracciano altresì le linee per uno studio del sistema
giuridico romano che sia diverso da quello a cui conducono concetti quali
“isolamento” e “laicizzazione”. Religione e diritto non sono separati ... ».
[35] Per il concetto di civitas
augescens rimando in particolare a P. Catalano,
Diritto e persone. Studi su origine e
attualità del sistema romano, Torino 1990, XIV s. Vedi anche M.P. Baccari, Il concetto giuridico di civitas augescens: origine e continuità,
in Studia et Documenta Historiae et Iuris
60 (1994), 759 ss.; Ead.,
“Civitas augescens”: cittadinanza e
sviluppo dei popoli da Roma a Costantinopoli a Mosca, in Index 30 (2002), 81-86.
[36] Rinvio per un commento a M. Sordi,
Integrazione, mescolanza, rifiuto nell’Europa
antica: il modello greco e il modello Romano, cit., 23 ss.
[37] Cic. De re publ.
1.49. Il pensiero dell’oratore viene ripreso da Isidoro di Siviglia, Etymol. 15.2.1: civitas est hominum multitudo societatis vinculo adunata, dicta a
civibus … nam urbs ipsa moenia sunt, civitas autem non saxa, sed habitatores
vocantur.
[38] Sulla nozione di civitas come iuris
societas gentium, si veda: G. Lobrano,
Res publica res populi. La legge e
la limitazione del potere, Torino 1996, 113
ss.; . Id., La Respublica romana, municipale-federativa e tribunizia: modello costituzionale
attuale, in Diritto@Storia 3
(2004), http://www.dirittoestoria.it/3/Memorie/Organizzare-ordinamento/Lobrano-Res-publica-Romana-modello-costituzionale-attuale.htm; M. Baccari, Cittadini popoli e comunione nella
legislazione dei secoli IV-VI, cit., 53 ss. Intorno all’utilizzo dello schema
della societas vedi le perplessità di
M. Varvaro,
Iuris consensus e societas in Cicerone. Un’analisi di Cic., De rep., 1,25,39, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 45
(1998), 445 ss., 456 ss. Sulla concezione stoica in Cicerone rinvio
in part. a O. Sacchi, Le nozioni di stato e di proprietà in Panezio e l’influenza della dottrina stoica sulla giurisprudenza romana
dell’epoca scipionico-cesariana, in Revue Internationale des
droits de l’Antiquité LII (2005), 325 ss., in part. 335 ss. fonti e bibl. ivi, http://www2.ulg.ac.be/vinitor/rida/2005/Sacchi2.pdf.
[39] C. Nicolet,
Citoyenneté française et citoyenneté
romaine: essai de mise en perspective, cit., 166.
[40] Vedi: T. Spagnolo Vigorita, Città e impero: un seminario sul pluralismo cittadino nell’impero romano, Napoli 1996, 14 ss.; L. Labruna, Civitas quae est constitutio
populi e altri studii di storia
costituzionale romana, Napoli 1999, 21.
[41] Per un quadro delle fonti e delle opinioni sugli effetti
dell’editto di Caracalla si vedano, senza presunzione di esaustività, in part.: V. Capocci, La Constitutio
Antoniniana, in Memorie della E.
Accademia dei Lincei. Classe discienze morali, storiche e filologiche VI
ser. 1 (1925), 1 ss.; E. Bickermann,
Das Edikt des Caracalla Kaisers in P.
Giess. 40, Berlin 1926; C. Sasse, Die Constitutio
Antoniniana, Wiesbaden 1958; Id.,
Literaturübersicht zur Constitutio
Antoniniana, in Journal of Juristic
Papyrology 14 (1962), 109 ss; A. d’Ors,
Nuevos estudios sobre la Constitutio
Antoniniana, Atti dell’XI Congresso Internazionale di Papirologia, Milano
1966, 408 ss.; H. Wolff, Die Constitutio Antoniniana und Papyrus Gissensis 40 I, Köln 1976;
M. Talamanca, Su alcuni passi di Menandro di Laodicea
relativi agli effetti della ‘constitutio Antoniniana’, in Studi Volterra V, Milano 1971, 433 ss.; A.N.
Sherwin-White, The Roman citizenship, Oxford 1973, 380
ss.; Id., The Tabula of Banasa and the Constitutio
Antoniniana, in Journal of Roman Studies
63 (1973), 86 ss.; G.I. Luzzatto,
Appunti di Papirologia Giuridica,
Bologna 1974, 177 ss.; H. Wolff, Die Constitutio
Antoniniana und Papyrus Gissensis 40, Köln 1976; T. Spagnuolo Vigorita, Cittadini e sudditi tra II e III secolo,
in Storia di Roma III, L’età Tardoantica, I, Crisi e trasformazioni
(a cura di A. Schiavone), Torino 1993, 5 ss.; Id.,
Città e Impero, Napoli 1996, 98 ss.; A. Torrent,
La constitutio Antoniniana. Reflexiones sobre el Papiro Giessen 40 I, Madrid 2012; G. Purpura, Constitutio Antoniniana de civitate, in Revisione ed integrazione dei Fontes Iuris Romani Anteiustiniani - FIRA.
Studi preparatori I, Leges, Palermo 2012, 699 ss.; Id.,
Il P. GISS. 40, I, in Iuris Antiqui Historia 5
(2013), 73 ss. http://www1.unipa.it/dipstdir/portale/ARTICOLI%20PURPURA/P.Giss.%2040%20IAH%205%202013.pdf;
C. Corbo, Constitutio Antoniniana. Ius, Philosophia,
Religio, Napoli 2013; V. Marotta, Tre riflessioni sulla cittadinanza: da Roma antica al mondo attuale, in Iuris Antiqui Historia 5
(2013), 53 ss.; G. Lobrano, La constitutio
Antoniniana de civitate peregrinis danda del
212 d.C.: il problema giuridico attuale di ri-comprendere scientificamente la
cittadinanza per ri-costruirla istituzionalmente, in La cittadinanza tra impero, stati nazionali ed Europa. Studi promossi
per il MDCCC anniversario della constitutio Antoniniana, Roma 2015.
[42] Si
veda, sul punto, P. Catalano, Una civitas communis deorum atque hominum: Cicerone tra temperatio
reipublicae e rivoluzioni, in Studia et
Documenta Historiae et Iuris 61 (1995), 723 ss.