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Note in tema di responsabilità medica in équipe

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M. ILARIA MANCA

Università di Sassari

 

 

SOMMARIO: 1. Il caso giuridico. – 2 La ripartizione delle responsabilità nell’attività medica di équipe: il principio di affidamento. - 3. Il caso di specie: la responsabilità del capo équipe. - 4. La responsabilità dei medici aventi posizioni non preminenti e degli infermieri. - 5. Conclusioni.

 

 

 

 

1. – Il caso giuridico

 

 

Colui che ha correttamente rispettato le leges artis imposte nei suoi confronti, a quale titolo può rispondere delle lesioni materialmente causate da altro compartecipe al medesimo intervento chirurgico? Il principio di affidamento trova ancora spazio nella giurisprudenza oppure resta vacuus flatus?

Una recente sentenza[1] fornisce l’occasione per riflettere sull’attualità di questi i dubbi.

Una paziente veniva sottoposta ad intervento chirurgico di laparoisterectomia totale.

In seguito all’operazione riportava un processo infettivo conseguente alla permanenza di una pezza laparotomica nella cavità addominale, per la rimozione della quale si sottoponeva ad un ulteriore intervento.

Agli imputati (nella specie, tre medici della divisione di Ginecologia e Ostetricia, un’infermiera strumentista ed un infermiere di sala) viene addebitata la dimenticanza di una garza in situ, con conseguente condanna per lesioni colpose gravi in primo grado confermata in appello.

Ricorrono tutti per Cassazione, chiedendo l’applicazione dell’esonero da responsabilità per colpa lieve introdotto dall’art. 3 del D.L. 158/2012 e del principio di affidamento in materia di colpa medica, come oggi valorizzato dalle nuove definizioni legislative del ruolo delle professioni infermieristiche.

La Cassazione, ai fini penali, pur annullando senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato, lascia intendere di condividere i rilievi già espressi dai giudici di merito, ritenendo sussistente in capo a tutti gli imputati la colpa generica e specifica per non aver eseguito correttamente la verifica ed il conteggio degli strumenti chirurgici utilizzati ed omesso il doveroso controllo reciproco sulla rimozione di tutto il materiale all’interno del sito addominale.

Ai fini civili, viceversa, conferma la condanna al risarcimento dei danni nei confronti dei due infermieri e del chirurgo in posizione apicale, mentre nei confronti dei due ginecologi in posizioni non preminenti dispone l’annullamento con rinvio al giudice civile.

In punto di diritto, la Cassazione si sofferma principalmente su due ordini di questioni: quella concernente l’irrilevanza nella fattispecie dell’art. 3 del D.L. 158/2012 e quella riguardante la violazione del principio di affidamento in materia di responsabilità medica.

In questa sede l’attenzione verrà dedicata particolarmente alla seconda.

In merito alla prima questione, la difesa del capo équipe osserva come la condotta dell’imputato sia stata rispettosa delle linee guida ministeriali, le quali prevedono che il controllo delle garze in ingresso e in uscita e la verifica della cartella di conteggio siano compiuti dall’infermiere.

Nel caso di specie, il controllo del chirurgo sulla correttezza della conta delle garze adoperate era stato effettuato con le modalità previste dalla raccomandazione, secondo la quale, dopo il conteggio effettuato dagli strumentisti a voce alta, solo ove lo stesso risulti discordante deve essere obbligatoriamente avvisato il chirurgo.

Pertanto, l’imputato, dopo avere espressamente chiesto se la conta fosse stata concorde, non essendo stato avvisato di alcuna discordanza numerica, procedeva alla chiusura del sito.

La Corte, invece, qualificando la responsabilità degli imputati come negligenza ed imprudenza, ritiene che non entrino in gioco le «Raccomandazioni per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico»[2] richiamate dalla difesa, giacché riguardanti solo regole di perizia. La diligenza, scrive nero su bianco, starebbe sempre fuori dalle linee guida.

Conseguentemente, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, si afferma che il novum della legge Balduzzi è inapplicabile poiché la distinzione tra colpa lieve e colpa grave rileva solo nei casi in cui esistano linee guida indicanti il grado di perizia a cui attenersi.

L’art. 3 del D.L. 158/2012, invero, non distingue tra le forme di colpa. Eppure, sulla scia della nota sentenza Pagano[3], la Corte ripropone un’applicazione restrittiva della legge Balduzzi che «non può involgere ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza, perché, come sopra sottolineato, le linee guida contengono solo regole di perizia».

 

 

2. – La ripartizione delle responsabilità nell’attività medica di équipe: il principio di affidamento

 

Da sempre, gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono considerati portatori ex lege di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto dagli artt. 2 e 32 Cost. nei confronti dei pazienti.

Ciò che è mutato è la visione della responsabilità professionale in ambito sanitario che, stante l’odierna di “parcellizzazione” dell’atto medico[4], si è ritrovata a fare i conti con una prestazione medico sanitaria - per così dire - spersonalizzata, priva di un soggetto unico e ben definito cui fare riferimento.

Di fatti, pur ancora teleologicamente orientata verso un fine ultimo superiore - tutelare la salute del paziente -, l’erogazione della prestazione sanitaria è oggi un atto di competenza di più soggetti, diversi in ragione delle proprie specializzazioni.

Attraverso l’esercizio dell’attività medica, il sanitario cura beni giuridici di primaria importanza (vita, integrità fisica) che il paziente non potrebbe autonomamente tutelare, assumendo nei suoi confronti, con la semplice instaurazione della relazione terapeutica, un obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo per la salute del paziente.

Il medico assume, dunque, una posizione di garanzia di protezione, volta a preservare il bene giuridico-salute affidatogli da ogni rischio (patologico in primis ma anche iatrogeno) che sia tale da lederlo[5].

D’altra parte, l’esercizio dell’attività medica porta con sé fattori intrinseci di rischio, che l’ordinamento tollera se ed in quanto restino entro i margini del c.d. rischio consentito, attraverso il rispetto delle regole di diligenza che ne disciplinano lo svolgimento.

Le pronunce giurisprudenziali che hanno affrontato il problema del riparto degli obblighi cautelari tra medici e personale infermieristico sono improntate a particolare rigore, nel senso che, in caso di evento lesivo cagionato dal comportamento negligente o imprudente dell’infermiere a cui il sanitario abbia affidato uno specifico incarico, viene riconosciuta la concorrente responsabilità di quest’ultimo[6].

Tanto in quanto il medico, nella sua posizione di garanzia di protezione, è tenuto a preservare il bene giuridico-salute affidatogli da ogni rischio[7] (patologico in primis ma anche iatrogeno).

Se tale soluzione ermeneutica s’intona ai casi nei quali al personale infermieristico vengano delegati compiti non meramente materiali, anzi addirittura prettamente di natura tecnica (quali, ad esempio, la preparazione di un composto medicinale anestetico[8]), essa diviene più delicata quando il personale paramedico sia chiamato a svolgere solo compiti rientranti nella sua sfera di competenza, caratterizzati dalla massima semplicità e dal carattere puramente esecutivo (come, ad esempio, la conta dei ferri e delle garze da rimuovere prima della sutura della ferita, la sostituzione di un flacone di sangue, ecc.).

Lo svolgimento dell’attività medica in équipe, come qualsiasi attività plurisoggettiva, porta con sé problemi di coordinamento, rischi di difettosi passaggi di informazioni fra i vari cooperatori, difetti di controllo sull’operato altrui, mancata conoscenza o inesatta percezione dell’altrui contributo, ecc...

In questo settore, peraltro, il principio di affidamento - in base al quale ciascuno può e deve confidare sul fatto che coloro coi quali si trovi a cooperare, si atterranno ai doveri di diligenza loro riferiti, con conseguente possibilità di concentrarsi unicamente sulle mansioni a sé affidate - si combina con un altro principio tendenzialmente opposto: quello della gerarchia.

Ai sensi dell’art. 27, comma 1 Cost., infatti, ciascuno risponde unicamente della violazione delle regole cautelari che perimetrano la propria posizione di garanzia rispetto al paziente e non anche di un fatto riconducibile all’agire colposo di altri con cui si trovi, occasionalmente o meno, a collaborare.

Tanta assolutezza, peraltro, pur giustificata da esigenze tecnico giuridiche di carattere penalistico, trascurerebbe un bene costituzionale di pari rilevanza - la salute del paziente (art. 32 Cost.) - che viceversa richiede che non si gravino di cautele eccessive i medici coinvolti nel trattamento curativo.

Nel lavoro in un’équipe c.d. “sincronica”, nella quale la cooperazione multidisciplinare si svolge con contestualità spazio-temporale, di cui gli interventi chirurgici rappresentano il classico esempio, la questione consiste nel verificare se effettivamente fra i vari cooperatori sussista o meno un obbligo di controllo reciproco e, in caso di risposta affermativa, quali conseguenze ne derivino sotto il profilo del quantum di diligenza esigibile nei confronti di ciascuno degli agenti[9].

Fondamentalmente, le alternative sono due: ritenere ciascuno responsabile delle sole violazioni cautelari riferibili all’attività materialmente da sé svolta; ovvero far rispondere anche per il fatto colposo altrui, nella misura in cui una norma cautelare ne imponesse il controllo e l’eventuale neutralizzazione degli effetti dannosi.

Nella recente sentenza sopra menzionata (imp. Sozzi), la Cassazione ha seguito la seconda strada, rifiutando una stretta applicazione del principio di affidamento inteso in senso assoluto[10].

La prima strada si radica sulla rigida divisione dei ruoli dei partecipanti all’équipe, sulla predeterminazione dell’attività in concreto doverosa per ciascuno, al fine di perimetrare le rispettive aree di responsabilità mediante l’adozione di regole cautelari con una fisionomia ben precisa.

La seconda strada, viceversa, supponendo un ampio dovere di diligenza, massimizza comprensibilmente la tutela dei beni giuridici di più alto rango. Tuttavia essa, ove seguita in ogni caso e senza eccezioni, comprimerebbe gravemente la libertà personale di ciascun medico ed impronterebbe i rapporti reciproci durante gli interventi chirurgici su una generale sfiducia[11].

Un’applicazione “temperata”[12] del principio di affidamento costituirebbe un’utile via di mezzo.

Esso, lungi dall’essere concepibile in termini assoluti, viene meno laddove l’altrui inosservanza delle regole cautelari sia riconoscibile e non settoriale[13].

Nel caso affrontato dalla Corte di legittimità, non essendoci state discordanze numeriche nella conta delle garze rimosse effettuata a voce alta dai due infermieri, nessuno dei chirurghi avrebbe dovuto o potuto prevedere l’errore[14].

Eppure, secondo la Cassazione, la rimozione delle garze sarebbe da inquadrare tra i c.d. “doveri comuni”, ovvero tra quei compiti imposti contemporaneamente ad alcuni partecipanti al gruppo (o a tutti), al fine di garantire maggiormente il bene protetto[15].

Poiché il rischio operatorio di lasciare nel corpo del paziente oggetti estranei verterebbe sul bagaglio conoscitivo di qualunque medico, la lesione del bene-salute sarebbe stata realizzata dall’équipe nel suo intero, in quanto tutti avrebbero contravvenuto contemporaneamente al proprio comune compito[16].

A nostro parere, invece, essendo le linee guida ministeriali espressamente rivolte a soggetti determinati (strumentista, infermiere di sala, operatore di supporto)[17], il dovere di conteggio delle garze rimosse dovrebbe rientrare nei doveri c.d. “divisi”, incombendo sui soli operatori previamente individuati dal Ministero della Salute proprio al fine di permettere agli altri partecipanti all’intervento di concentrarsi esclusivamente sul corretto svolgimento delle proprie mansioni, integrate dalle eventuali ulteriori conoscenze specifiche di cui l’agente sia portatore in relazione ai rischi percepibili nella situazione peculiare.

La strada percorsa dalla recente sentenza Sozzi, allora, insinua la perplessità espressa in apertura: colui che ha correttamente rispettato le leges artis imposte nei suoi confronti, a quale titolo può rispondere delle lesioni materialmente causate da altro compartecipe al medesimo intervento chirurgico?

 

 

3. – Il caso di specie: la responsabilità del capo équipe

 

La sentenza Sozzi induce a chiedersi fino a che punto sia applicabile nei confronti del capo équipe il principio di affidamento in funzione limitativa della responsabilità in caso di esito infausto derivante dall’altrui condotta colposa, ovvero se, al contrario, egli rappresenti un vero e proprio limite all’applicazione di tale principio[18].

Per quanto riguarda la posizione del superiore gerarchico nella fattispecie in commento, la Suprema Corte lo ritiene gravato della «responsabilità dell’intervento riguardo all’adeguato controllo della rimozione di tutti i materiali utilizzati nel corso del medesimo, non potendo tale controllo risolversi nel mero riscontro del conteggio numerico effettuato dal personale infermieristico»[19].

È seguita, infatti, la condanna penale nonché al risarcimento civile.

Secondo autorevole dottrina, invece, il contenuto precettivo del dovere incombente sul capo équipe dovrebbe intendersi limitato a verificare l’inesistenza di quelle circostanze di fatto che facciano supporre come altamente probabile il prodursi di una negligenza altrui, sorgendo in caso contrario il dovere di limitare il rischio innescato dal cooperatore[20].

Nel caso di specie, dalla cartella clinica è risultato che la conta sia stata fatta senz’altro a voce alta ed in presenza di tutti i componenti del team chirurgico, quindi il capo équipe sarebbe dovuto andare assolto.

Diversamente sarebbe stato laddove si fosse trattato di omissione completa del conteggio, con evidenza macroscopica[21]; o – ancora peggio – laddove all’esito della conta effettuata dal ferrista e risultata non coincidente con il numero di pezzi utilizzati durante l’intervento, venissero successivamente omessi i necessari accertamenti per reperire il materiale mancante[22]; oppure – altrettanto negligentemente – laddove, nonostante la rottura del margine di una pinza durante un’operazione chirurgica addominale, non seguisse il conteggio dei ferri dopo la sutura della ferita[23].

La sentenza analizzata, in effetti, imponendo un obbligo di controllo così lato al capo équipe, oltretutto individuato solo «in forza delle indicazioni emergenti dalla cartella clinica»[24], lascia trapelare il rischio di un eccesso di responsabilizzazione.

Tanto più che non risulta che il B. ricoprisse formalmente la qualifica di superiore gerarchico rispetto agli altri medici coinvolti nell’intervento. Pare, piuttosto, che fosse un primus inter pares tra specializzati nella stessa branca, di fatto incaricato di svolgere un ruolo di guida e di coordinamento durante il singolo intervento medico, e non il primario del reparto.

Sul tema della responsabilità del capo équipe per fatto di un collaboratore la giurisprudenza sembra da tempo improntata al non fare distinzione tra qualifica formale e posizione di fatto, finendo per equiparare completamente il regime di responsabilità.

In una nota sentenza afferente un caso in parte differente, si afferma che «Il principio di affidamento non si applica nel caso in cui all’agente sia attribuita una funzione di controllo dell’opera altrui; in questo caso egli risponde secondo le regole ordinarie delle condotte colpose del terzo da lui riconoscibili ed evitabili»[25]. Trattavasi di un caso in cui, nel corso di intervento chirurgico, era stato somministrato alla paziente un infiltrato anestetico nel quale - per errore dell’infermiere assistente ferrista - era stato aggiunto un disinfettante anziché una soluzione fisiologica, con successiva deformazione permanente del viso della paziente. Il chirurgo era stato ritenuto colpevole per l’omesso controllo sulla composizione del preparato. In tal caso, i giudici di legittimità osservavano come «la preparazione del composto medicinale da somministrare è certamente un atto medico di competenza del medico chirurgo; questi può delegarne a persona competente l’esecuzione materiale ma deve sempre controllare, proprio perché si tratta di atto solo a lui riferibile, la corretta esecuzione dell’operazione; e, nella specie, non risulta che questo controllo sia stato dal chirurgo posto in essere».

Ebbene, mentre nella sentenza Rago non vi è dubbio che la preparazione di un medicinale anestetico sia un atto tecnico e complesso spettante esclusivamente al medico chirurgo, sorgono dubbi sull’obbligo di conta delle garze richiamato nella sentenza oggi in commento.

Alla luce delle sopra menzionate linee guida ministeriali, nonostante il prevenire la ritenzione di garze, strumenti e altro materiale estraneo nel sito chirurgico sia considerato un obiettivo di carattere generale, la procedura per il conteggio sistematico dei materiali e per il controllo della loro integrità è esplicitamente riferita al «personale infermieristico (strumentista, infermiere di sala) o ad operatori di supporto, preposti all’attività di conteggio». Residua in capo al chirurgo, invece, la «verifica che il conteggio sia stato eseguito e che il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prima e durante l’intervento»[26].

Pertanto, la condanna del capo équipe per il solo fatto di non aver impedito l’evento infausto che si aveva l’obbligo di evitare attraverso il controllo sull’operato altrui, sembra andare oltre le linee guida richiamate.

La semplicità dell’incombenza spettante agli infermieri - viceversa – sben poteva giustificare l’applicazione del principio di affidamento, a meno che in concreto non fossero evidenti motivi leciti per dubitare del comportamento prudente o perito dei cooperatori, quali – ad esempio – un’attività colposa già in atto, un errore commesso in fase preparatoria, cattive condizioni fisiche dei colleghi, oppure – più semplicemente – risultati non coincidenti nelle due conte eseguite.

 

 

4. – La responsabilità dei medici aventi posizioni non preminenti e degli infermieri

 

Nei confronti dei medici in posizioni non preminenti la Corte ritiene di non avere sufficienti elementi per valutare il ruolo in concreto svolto dai due ginecologi, non essendo stato verificato il nesso causale tra le singole condotte poste in essere da ciascun sanitario e l’evento.

Pertanto, viene disposto annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Considerare il controllo ed il coordinamento come obblighi primari gravanti ab origine su ogni partecipante all’intervento chirurgico, infatti, comporterebbe un’estensione eccessiva dell’area della rilevanza penale, finendo per considerare punibili comportamenti atipici che non hanno determinato alcun contributo essenziale alla produzione dell’evento lesivo.

Nei confronti degli altri due ginecologi, quindi, la Cassazione sembra essere ben orientata ad intendere il principio di affidamento come regola generale nella cooperazione intersoggettiva, la cui vigenza sarà eccezionalmente esclusa solo quando sia palese l’altrui comportamento rischioso (non necessariamente colposo) oppure vi sia un vertice incaricato di controllare su tutti.

Circa la posizione degli infermieri, infine, altrettanto giustamente la Suprema Corte individua una responsabilità a titolo di cooperazione colposa, essendo stato accertato il nesso di causalità tra l’omesso controllo loro imputabile e le lesioni.

 

 

5. – Conclusioni

 

La Corte di Cassazione, nel caso di cooperazione multidisciplinare nell’attività chirurgica, adotta come regola generale l’obbligo di controllo diffuso e primario sull’operato altrui[27].

Ritenendo che incomba sui medici «la responsabilità del buon esito dell’intervento, non solo in relazione all’oggetto dell’operazione, ma altresì per tutti gli adempimenti connessi»[28], i giudici di legittimità impongono agli stessi un dovere di perdurante e pedissequo controllo dell’operato del personale infermieristico, che si ribadisce avere una mera «funzione di ausilio del medico»[29].

Eppure, forse proprio nelle ipotesi di lavoro in un team questo orientamento andrebbe affievolito, prediligendo il principio di affidamento come protocollo necessario. Ciò, sia per permettere a ciascuno specialista di rispettare la divisione organizzativa dei ruoli in ragione delle differenti specializzazioni, sia per perseguire l’interesse principale di tutelare al massimo la salute del paziente.

Ma proprio perché di lavoro di squadra si sta parlando, sarebbe ingenuo pretendere che un capo squadra non sia necessario.

Così, il vertice dell’équipe sarà sì fisiologicamente gravato di un ruolo di coordinamento, ma il suo dovere di controllo non dovrà essere illimitato, salvo incorrere in forme occulte di responsabilità oggettiva, sub specie di responsabilità di posizione.

Gli altri componenti dell’équipe in posizione non preminente, invece, potranno (e dovranno) riporre piena fiducia sull’altrui professionalità, fatto salvo il limite della colpa a ciascuno imputabile in ragione della propria specializzazione e dei compiti a ciascuno assegnati durante l’intervento.

Solo la mancata percezione del rischio percepibile o il mancato attivarsi in senso neutralizzante di fronte al percepito errore altrui dovrebbe costituire violazione punibile degli obblighi cautelari di controllo sorti, si ribadisce, eccezionalmente. Solo così ci sarà rimproverabilità soggettiva, in linea con il dettato costituzionale.

L’équipe medica, specialmente quella che opera in sede chirurgica, non può essere considerata come un’entità astrattamente unitaria. Al contrario, essa è una collettività di professionisti (medici ed infermieri), individualmente autonomi, in cui ciascuno è tenuto a svolgere in primo luogo il proprio ruolo[30].

Tutto ciò non è messo in dubbio neanche dall’innegabile sussistenza di un fine unitario, o meglio “comune ed unico”, per dirla con le stesse parole dei giudici di legittimità.

La responsabilità degli infermieri imputati, che ben è stata individuata nella negligenza nel compimento di quanto rientrante nella specifica competenza infermieristica, doveva rimanere esclusiva. Meno condivisibile appare la deduzione di una presunzione di colpa in capo ai medici da un errore di calcolo degli infermieri.

Squadra sì, ma macchina no.

Nel settore della responsabilità sanitaria, il principio di affidamento troppo spesso non viene formalmente evocato, forse per il timore che esso possa determinare cedimenti nel sistema di rigorosa repressione di condotte risultate non all’altezza del dovere di strenua dedizione al servizio del paziente.

Le linee guida, in quanto tali, valgono come indicazioni generali riferibili astrattamente a tutti i casi in cui risultano applicabili. Le stesse devono essere rispettate dai medici e più in generale dagli operatori sanitari e devono essere assunte quale parametro di riferimento nel giudizio di legittimità sulla condotta del medico.

Considerata, inoltre, la fonte da cui promanano le linee guida in questione, il loro livello di scientificità dev’essere condiviso.

Pronunce meno rigorose, peraltro, sono già affiorate nella giurisprudenza meno recente[31], sintomo della necessità di verificare costantemente il ruolo svolto da ciascun medico alla luce delle linee guida esistenti, essendo inammissibile sul piano giuridico una responsabilità penale “di gruppo”, basata su un fattore meramente psicologico (la prevedibilità astratta delle negligenze altrui) in palese violazione del principio del diritto penale del fatto ed il principio di materialità.

 

 

 



 

[1] Cass. Pen. Sez. IV, n° 7346/2015, imp. Sozzi.

 

[2] Raccomandazione del Ministero della Salute n° 2 del 31.03.2008.

 

[3] Cass. Pen. Sez. IV, n° 35922/2012.

 

[4] A. R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2005, 225 ss.

 

[5] L. FORNARI, La posizione di garanzia del medico, in S. RODOTÀ - P. ZATTI (diretto da), Trattato di biodiritto, Le responsabilità in medicina, Milano 2011, 833 ss.

 

[6] Sul rapporto tra medici e personale paramedico in dottrina, v. C. PARODI - V. NIZZA, La responsabilità penale del medico, Torino 1996, 148. Per esempi giurisprudenziali, v. Cass. Pen. Sez IV, n° 231538/2005, imp. Cloro e Cass. Pen. Sez IV, n° 239605/2008, imp. Vavassori, nelle quali è stata ritenuta sussistente la responsabilità di tutti i componenti dell’équipe medica, per non avere partecipato alla verifica finale della corrispondenza tra le garze utilizzate e quelle restituite, nonostante tale compito fosse stato preventivamente demandato all’infermiere strumentista, come da prassi. Peraltro, si noti come le linee guida ministeriali rilevanti per la sentenza qui in commento, essendo state emanate nel 2008, non avevano assunto ancora importanza.

 

[7] L. FORNARI, La posizione di garanzia del medico, in S. RODOTÀ - P. ZATTI (diretto da), Trattato di biodiritto, Le responsabilità in medicina, cit., 833 ss.

 

[8] V. Cass. Pen. Sez. IV, n° 24360/2008, imp. Rago, infra.

 

[9] G.P. LUBINU, L’attività medica plurisoggettiva tra affidamento e controllo reciproco, Tesi dottorato, Università di Sassari, anno accad. 2012-2013, http://eprints.uniss.it/9360/1/Lubinu_GP_Attivit%C3%A0_medica_plurisoggettiva_tra.pdf , 21.

 

[10] Al contrario, sulla necessità di valorizzare il ruolo del principio di affidamento per limitare una prassi giurisprudenziale volta a focalizzare il giudizio di responsabilità medica sulla mera sussistenza della posizione di garanzia verso il paziente, v. Cass. Pen., Sez. IV, n° 19755/2009 «Nell’ambito dell’attività medica, [...] il principio di affidamento consente [...] di confinare l’obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l’esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancita dall’art. 27 Cost. Il riconoscimento della responsabilità per l’errore altrui non è, conseguentemente, illimitato e [...] richiede la verifica del ruolo svolto da ciascun medico dell’équipe, essendo aberrante ritenere sul piano giuridico una responsabilità penale di gruppo».

 

[11] Espressione coniata da G. MARINUCCI - G. MARRUBINI, Profili penalistici del lavoro medico-chirurgico in équipe, in Temi, 1968, 219; in seguito anche L. RISICATO, L’attività medica di équipe tra affidamento e obblighi di controllo reciproco. L’obbligo di vigilare come regola cautelare, 2013, 51; L. GIZZI, Équipe medica e responsabilità penale, 2011, 117. P. PIRAS - G.P. LUBINU “L’attività medica plurisoggettiva tra affidamento e controllo reciproco”, in S. CANESTRARI - F. GIUNTA - R. GUERRINI - T. PADOVANI (a cura di) “Medicina e Diritto Penale”, 2009, 312.

 

[12] M. MANTOVANI, Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano 1997, passim.

 

[13] V. Cass. Pen. Sez. IV, n° 46842/2011, imp.ti Castellano e altri; Cass. Pen. Sez. IV, n° 23298/2011, imp. Di Giglio; Cass. Pen. Sez. IV, n° 43988/2013.

 

[14] Questa teoria è condivisa anche da F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 2012, 363-365.

 

[15] Sul tema E. BELFIORE, Profili penali dell’attività medico chirurgica in équipe, in Arch. Pen. 1986; L. D’APOLLO, Profili di penale responsabilità nell’attività medica in équipe, 2007; A. BUZZONI, Responsabilità medica in équipe: breve disamina degli orientamenti giurisprudenziali, 2006.

 

[16] In questo senso anche Cass. Pen. Sez. IV, n° 46961/2011 «In materia sanitaria, il principio di affidamento, quale criterio utilizzato onde verificare se ed in che limiti il singolo medico debba rispondere dell’infausto esito del trattamento sanitario effettuato in équipe e se il medesimo debba o meno rispondere dei comportamenti colposi riferibili agli altri componenti dell’équipe, non trova applicazione nelle ipotesi in cui la colpa attenga all’inosservanza di obblighi comuni o indivisi tra i vari operatori».

 

[17] V.  Raccomandazione per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico, cit., 6-7.

 

[18] G. P. LUBINU, L’attività medica plurisoggettiva tra affidamento e controllo reciproco, cit., 21.

 

[19] V. sentenza in commento 7, § 7.

 

[20] In proposito, A.R. DI LANDRO, Vecchie e nuove linee ricostruttive in tema di responsabilità penale nel lavoro medico d’équipe, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2005, 256, ha recentemente sostenuto che il capo équipe debba verificare che non vengano compiuti errori decisionali o di valutazione (c.d. mistakes) mentre non potrebbe pretendersi, in forza dell’applicazione del principio di affidamento nella divisione del lavoro, che egli possa controllare che non vengano compiuti errori di distrazione o meramente manuali (c.d. slips).

 

[21] V. Cass. Pen. Sez. IV, n° 19506/2008, imp. Malagnino, in F. GIUNTA - G. LUBINU - D. MICHELETTI - P. PICCIALLI - P. PIRAS - C. SALE (a cura di), Il diritto penale della medicina, cit., 53, secondo cui «L’omesso conteggio dei ferri dopo la sutura della ferita e la conseguente omessa rimozione del corpo estraneo integrano condotta colpevole da parte dei sanitari, in quanto violatrice di regole semplici di diligenza, di prudenza e di perizia. Il controllo della rimozione spetta all’intera équipe operatoria, cioè ai medici, che hanno la responsabilità del buon esito dell’operazione anche con riferimento a tutti gli adempimenti connessi, e non può essere delegato al personale paramedico, avendo gli infermieri funzioni di assistenza ma non di verifica».

 

[22] Cass. Pen. Sez IV, n° 32997/2007, imp. Sicilia, in F. GIUNTA - G. LUBINU - D. MICHELETTI - P. PICCIALLI - P. PIRAS - C. SALE (a cura di), Il diritto penale della medicina, cit., 52.

 

[23] Cass. Pen. Sez IV, n° 39062/2004, imp. Picciurro, in F. GIUNTA - G. LUBINU - D. MICHELETTI - P. PICCIALLI - P. PIRAS - C. SALE (a cura di), Il diritto penale della medicina, cit., 168-169.

 

[24] V. sentenza in commento 8, pgf. 8.

 

[25] Cass. Pen. Sez. IV, n° 24360/2008, imp. Rago, in F. GIUNTA - G. LUBINU - D. MICHELETTI - P. PICCIALLI - P. PIRAS - C. SALE (a cura di), Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità (2004-2010), 2011, 60. 

 

[26] V. Raccomandazione per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico, cit., 6.

 

[27] Per un caso analogo Cass. Pen. Sez IV, n° 18548/2005 «La negligenza della équipe chirurgica conseguente al mancato controllo sul recupero di tutti i ferri chirurgici, esclude l’applicabilità del principio dell’affidamento, con la conseguenza che ciascuno dei componenti risponde personalmente dell’evento lesivo cagionata paziente per fatto proprio e non per fatto altrui». E ancora: Cass. Pen. Sez IV, n° 39062/2004, imp. Picciurro, nella quale sono stati ritenuti responsabili i componenti di una équipe operatoria i quali, ad intervento chirurgico eseguito, aderendo ad una prassi che rimetteva esclusivamente al personale infermieristico l’incombenza di provvedere alla conta dei ferri, non si siano curati di verificare che nessuno di detti ferri risultasse mancante e non abbiano quindi potuto rendersi conto che uno di essi (una “pinza di Kelly”) era rimasto nel corpo del paziente.

 

[28] V. sentenza in commento 7,  §. 7.

 

[29] Anche Cass. Pen. Sez IV, n° 39062/2004, imp. Picciurro, «Qualora l’équipe medica si avvalga dell’attività di paramedici ai quali sia materialmente affidata l’esecuzione di un compito, conserva il dovere di vigilanza sulla loro attività perché ha la responsabilità del buon esito dell’intervento, non solo in relazione all’oggetto dell’operazione, ma altresì per tutti gli adempimenti connessi; il controllo della rimozione dei ferri [...] spetta ai medici, [...] sicché è del tutto inaccoglibile l’argomento secondo il quale il controllo successivo alla suturazione della ferita, e cioè quello definitivo e tranquillizzante, sia devoluto al personale infermieristico, secondo una prassi consolidata, avendo il personale paramedico, nel settore chirurgico, funzioni di assistenza, ma non di verifica dell’attuazione dell’intervento operatorio nella sua completezza».

 

[30] Cfr. C. COLOMBO, La responsabilità del medico come singolo e come compartecipe del lavoro d’équipe, in Dir. Form., 2006; D. CHINDEMI, Responsabilità del medico e della struttura sanitaria pubblica e privata, 2014.

 

[31] V. Cass. Pen. Sez IV, n° 217477/2000, imp. Troiano, in Cass. Pen., 2002, 574, in cui la Suprema Corte  ha escluso la concorrente responsabilità del medico per l’evento lesivo cagionato dalla condotta colposa del personale infermieristico, a cui il primo aveva delegato - in modo inequivoco - un compito meramente materiale.