fotoADRIANA MURONI

Università di Sassari

 

Sull’origine della libertas in Roma antica: storiografia annalistica ed elaborazioni giurisprudenziali

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SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Libertas est naturalis facultas – 3. Il regnum: alle origini della libertas – 4. Ius (lex) e libertas – 5. La libertas del populus Romanus – 6. Lex e libertas tra diritto romano e storiografia moderna. Alcune note – 7. Conclusioni. – Abstract.

 

 

1.Introduzione

 

È opinione corrente che la libertas[1] sia a Roma diretta espressione della res publica[2], conseguenza dell’introduzione del consolato e, più in generale, del sistema giuridico repubblicano[3]. Ne consegue la connotazione fortemente negativa del regnum[4], quale periodo privo di libertas. Esemplificativo è l’adfectatio regni[5], quel crimine che punisce l’uso distorto o l’abuso del potere in violazione dei principi posti a fondamento della res publica e che riporta, non a caso, il termine regnum proprio nel suo nomen iuris.

Tuttavia, il modello di quella tradizione che collega in modo netto la libertas alla res publica appare una semplificazione storiografica. Sono, infatti, riscontrabili fonti che, in vario modo, precisano l’assenza di libertas durante il regnum e la ricollegano espressamente al modo di esercizio del potere di uno specifico rex, Tarquinio il Superbo[6]; e ancora, più in generale, sono da segnalare quelle fonti, sia letterarie, sia giuridiche, che mettono in evidenza il collegamento tra libertas e norme certe e vincolanti erga omnes[7].

Il fatto che le fonti parlino di assenza di libertas in caso d’incertezza del diritto, fa quindi sorgere il dubbio che il nucleo originario di quella libertà - che sarà a Roma via via arricchita di molteplici significati[8], sovente politici - non si fondi su un determinato sistema di governo ma, piuttosto, origini da elementi differenti, quali lo ius e, più nello specifico, la lex[9]. Ciò a maggior ragione se si verifica che anche nella prima res publica, fino alla redazione delle XII Tavole, sono attestate situazioni d’incertezza del diritto[10]. Il binomio libertas/certezza del diritto va, quindi, a minare il collegamento stretto tra libertas e res publica.

A questo punto è importante incentrare la ricerca sull’analisi del pensiero espresso da fonti tardo-repubblicane e classiche sull’origine della libertas nel tentativo di individuarne gli elementi fondanti che la storiografia successiva - tendenzialmente - darà per scontati.

 

 

2. – Libertas est naturalis facultas

 

Appare opportuno prendere le mosse dalla definizione giuridica di libertas che si rinviene nel noto passo del giurista Fiorentino[11]:

 

Libertas est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid vi aut iure prohibetur[12].

 

L’uso del termine facultas assume nel testo una precisa connotazione in relazione alla successiva e correlata definizione di schiavitù come constitutio iuris gentium[13]. In particolare, la contrapposizione tra facultas e constitutio rafforza l’idea della libertas come condizione naturale[14].

Nel passo sono evidenziabili due distinti piani, uno astratto, che attiene alla volontà di fare, ed uno pratico che attiene all’attuazione di tale volontà; l’esercizio della libertas si pone nell’ambito di ciò che non è espressamente vietato, o in ogni caso limitato, dallo ius e dalla vis[15].

Una problematica sorge in relazione all’uso che il giurista fa del termine vis e allo specifico significato che questi ha inteso richiamare. Da una lato, infatti, è riscontrabile a Roma un uso del concetto di vis come «manifestazione di una 'forza' legittima»[16] che, dunque, accompagnerebbe il diritto stesso[17], dall’altro vi è invece l’accezione più ampia del termine, implicante una forza o comunque un comportamento antigiuridico, significato quest’ultimo, forse, più rispondente a un suo uso nel II sec. d.C.[18].

Indipendentemente da quale dei due significati si voglia ritenere più coerente con l’idea contenuta nel passo, ius e vis appaiono in ogni caso come elementi in grado di limitare – prohibere – il facere, e pertanto, precisano, quella libertas di cui l’individuo, almeno in potenza, è già dotato. A tal proposito il fatto che Fiorentino utilizzi un generico pronome (is) rende difficile comprendere se vi sia un espresso richiamo all’uomo libero, o se invece l’intento del giurista fosse quello di indicare più in generale la libertas, senza entrare nei limiti del rigido schema libero-schiavo. D'altronde, l’elaborazione giurisprudenziale romana sul concetto di libertas, come pervenutaci, è essenzialmente collocata nel raffronto con l’istituto della schiavitù, a differenza delle fonti storiografiche che, seppur con le ovvie semplificazioni o strumentalizzazioni politiche, dedicano all’argomento un forte e costante interesse e descrivono sovente la libertas come quell’elemento caratterizzante e distintivo sia del populus, sia del civis Romanus. Tuttavia, analizzando il passo come riportato da Giustiniano in I. 1.3.1 [19], che fonde in un unico paragrafo la summa divisio de iure personarum di Gaio alla definizione di libertas tratta dalle Institutiones di Fiorentino, si può notare come l’Imperatore introduca l’inciso ex qua etiam liberi vocantur. Attraverso tale modifica, si circoscrive espressamente la definizione della libertas alla condizione di uomo libero. Il fatto che tale inciso non compaia nella definizione di Fiorentino, può far propendere per l’ipotesi di una visione della libertas, operata dal giurista, più ampia e riferibile a qualsiasi individuo.

Questa definizione giuridica potrà essere utile per l’interpretazione delle antiche fonti storiografiche che esaltano la libertas come una caratteristica tipica del popolo Romano, nonché delle istituzioni repubblicane, dandone, tuttavia, per scontato il fondamento.

 

 

3. Il regnum: alle origini della libertas romana

 

Tito Livio afferma che la libertatis dulcedo è un concetto sconosciuto nel regnum[20]. Dalla fondazione di Roma si sono dovuti attendere duecentoquarantaquattro anni[21] per ottenere la libertas attraverso l’istituzione della res publica[22]. Il momento della scacciata dei re è, nelle fonti, tanto rilevante che exactis regibus diviene locuzione e parametro per calcolare il tempo[23].

Questa rappresentazione netta viene, tuttavia, temperata dallo storico nel II libro, laddove si precisa che la privazione della libertas per il populus Romanus è da ricondurre all’atteggiamento di superbia dell’ultimo Tarquinio[24].

La libertas è, dunque, posta al centro della narrazione del II libro che si apre proprio con il termine ‘liberi’:

 

Liberi iam hinc populi Romani res pace belloque gestas, annuos magistratus, imperiaque legum potentiora quam hominum peragam. Nam priores ita regnarunt ut haud immerito omnes deinceps conditores partium certe urbis, quas novas ipsi sedes ab se auctae multitudinis addiderunt, numerentur; neque ambigitur quin Brutus idem qui tantum gloriae superbo exacto rege meruit pessimo publico id facturus fuerit, si libertatis immaturae cupidine priorum regum alicui Regnum extorsisset. Quid enim futurum fuit, si illa pastorum convenarumque plebs, transfuga ex suis populis, sub tutela inviolati templi aut libertatem aut certe impunitatem adepta, soluta regio metu agitari coepta esset tribuniciis procellis, et in aliena urbe cum patribus serere certamina, priusquam pignera coniugum ac liberorum caritasque ipsius soli, cui longo tempore adsuescitur, animos eorum consociasset? Dissipatae res nondum adultae discordia forent, quas fouit tranquilla moderatio imperii eoque nutriendo perduxit ut bonam frugem libertatis maturis iam viribus ferre possent. Libertatis autem originem inde magis quia annuum imperium consulare factum est quam quod deminutum quicquam sit ex regia potestate numeres[25].

 

Il testo contiene un concetto di libertas come liberazione dalla superbia[26] attestato per l’ultimo re di Roma e che permane anche in epoche successive[27] in quel pensiero che concepisce la libertas come «libertà dalla dominazione di un re o di un tiranno»[28]. Nella narrazione si precisa il momento esatto dell’origine della libertas a Roma che coincide, per Tito Livio, con la creazione di magistrature dotate di imperium annuale. Liberator del popolo romano dal rex e garante stesso della libertas è, per lo storico, Lucius Iunus Brutus[29].

La libertas, che sarà una caratteristica tipica del cittadino e del popolo romano, appare, dunque, nel passo liviano strettamente connessa alla res publica e alle sue istituzioni.

Analoga rappresentazione è riscontrabile in Tacito, il quale riferisce dell’assenza di libertas in epoca monarchica e della sua successiva introduzione, unitamente al consolato, per merito dello stesso Bruto:

 

Urbem Romam a principio reges habuere; libertatem et consulatum L. Brutus instituit[30].

 

L’esercizio e l’ampiezza stessa del potere regio, nonché la conseguente impossibile coesistenza di libertas, è resa dallo storico attraverso l’uso del verbo habere. Detto verbo - comunemente - porta in sé il concetto di possesso se non anche proprietà[31] e viene nel passo utilizzato per trasmettere l’idea di un esercizio arbitrario del potere. Tale idea è ripresa dallo stesso Tacito anche con riferimento al regno di Romolo il quale ut libitum, imperitaverat[32]:

 

Nobis Romulus ut libitum imperitaverat: dein Numa religionibus et divino iure populum devinxit, repertaque quaedam a Tullo et Anco. Sed praecipuus Servius Tullius sanctor legum fuit quis etiam reges obtemperarent[33].

 

Nel passo Tacito rafforza il verbo impero[34], che già di per sé caratterizza un potere forte e connotato militarmente, con l’uso dell’espressione ut libitum[35], che indica discrezionalità ed è, dunque, manifestazione dell’esercizio del potere scevro da qualsivoglia limitazione esterna.

Tuttavia, nell’opera di Tacito sono riscontrabili elementi ulteriori.

La narrazione dello storico prosegue, infatti, riferendo la graduale trasformazione di questa forma di esercizio del potere tramite una qualche normazione: da quella di carattere strettamente religioso di Numa, a ciò di cui è rimasta memoria dell’opera di Tullo Ostilio ed Anco Marzio, sino a giungere a Servio, le cui leggi appaiono come vincolanti gli stessi re.

Nella specificazione dell’opera di Servio, la legge, e in ogni caso, la presenza di norme certe e vincolanti erga omnes, è rappresentata come un limite all’esercizio del potere che determina una situazione nuova rispetto al governo di Romolo, a garanzia della libertas[36].

Ragionamento analogo, seppur con maggiore precisione giuridica, si ritrova in Pomponio:

 

Et quidem initio civitatis nostrae populus sine lege certa, sine iure certo primum agere istituit omniaque manu a regibus gubernabantur[37],

 

per il quale ab initio civitatis, l’incertezza del diritto grava sul populus Romanus, giacché tutto si trova nella manus[38] del rex[39], il quale governa attraverso un potere che può essere caratterizzato da vi et armis[40] privo di limiti al suo esercizio.

Leges, riferisce Pomponio[41], sono approvate in seguito alla divisione del popolo in curie operata da Romolo[42]; a questa situazione seguirà una nuova fase di incertezza del diritto poiché omnes leges hae exoleverunt.

Dunque, anche Pomponio, parimenti a quanto esposto da Tacito, ritiene che l’arbitrarietà del potere regio sia conseguenza dell’incertezza del diritto, o meglio, con le stesse parole del giurista, di un governo sine certa lege, sine iure certo.

Entrambe le fonti[43] sono uniformi nel ritenere che le XII Tavole rappresentino in epoca repubblicana un momento di certezza del diritto, per cui appare come sia ai primordi del regnum, sia durante i primi anni della repubblica vi siano stati periodi di incertezza del diritto.

È interessante notare che nelle fonti analizzate, è il complesso di norme certe e vincolanti per tutti a porsi quale fondamento dell’origine della libertas a Roma. Sicché si può ritenere che non sia tanto una precisa forma di governo a determinare la presenza o meno della libertas, quanto una sua esatta e inequivoca regolamentazione in ragione della quale si possa affermare che la libertas sussista anche quando si è governati da un re[44].

Questo collegamento tra libertas e normazione non si trova in contrasto con Liv. 2.1.1 [45]; nel passo, infatti, seppur sottinteso, emerge l’importanza del diritto, giacché lo storico evidenzia la continuità tra il potere consolare e quello regio, potere che, secondo la tradizione che Livio raccoglie, è reso certo dal diritto attraverso la limitazione temporale e le garanzie costituzionali del cittadino operanti all’interno del pomerium.

Dunque, le affermazioni sia di Tacito (libertatem et consulatum L. Brutus instituit), sia di Livio (Libertatis autem originem inde magis quia annuum imperium consulare factum est) che pongono l’origine della libertas in concomitanza ed in ragione stessa dell’istituzione del consolato, devono leggersi come l’individuazione meramente convenzionale dell’origine della libertas che non potrà porsi in esatta coincidenza con l’instaurazione della repubblica bensì, come emerge dai passi analizzati, con la vigenza di un diritto certo e vincolante erga omnes[46].

In tal modo non si potrà escludere a priori la sussistenza della libertas, o suoi ambiti, in alcune fasi del regnum, così come non se ne dovrà forzosamente ammettere la sussistenza nella repubblica, specialmente all’atto della prima fase, se il parametro resta la certezza del diritto.

Questa ricostruzione trova ulteriore fondamento in quanto affermato dallo storico repubblicano Sallustio[47], il quale, riportando la differenza tra l’ultimo re di Roma e i re precedenti, evidenzia la continuità tra potere regio e potere consolare e descrive l’imperium regio, appartenuto ai reges che hanno preceduto Tarquinio il Superbo, come posto a preservare la libertas e accrescere il sistema giuridico-religioso romano:

 

Post, ubi regium imperium, quod initio conservandae libertatis atque augendae rei publicae fuerat, in superbiam dominationemque se convortit, inmutato more annua imperia binosque imperatores sibi fecere: eo modo minume posse putabant per licentiam insolescere animum humanum[48].

 

Questa fonte, che è la più antica tra quelle esaminate, mostra l’esistenza di un legame imprescindibile tra potere e libertas nel regnum e, dunque, attesta, la risalente presenza di libertas nell’età dei reges.

 

 

4. – Ius (lex) e libertas

 

Il valore e l’importanza delle leggi a Roma, fundamentum stesso di libertas per tutti i cittadini, è ben rappresentato in un passo della pro Cluentio:

 

Hoc enim vinculum est huius dignitatis qua fruimur in re publica, hoc fundamentum libertatis, hic fons aequitatis; mens et animus et consilium et sententia civitatis posita est in legibus. Ut corpora nostra sine mente, sine lege suis partibus ut nervis ac sanguine et membris uti non potest. Legum ministri magistratus, legum interpretes iudices, legum denique idcirco omnes servi sumus ut liberi esse possimus[49].

 

Una problematica sorge in relazione all’uso nel passo del termine lex e allo specifico significato che gli si deve attribuire. Da un lato, infatti, il termine può essere ricondotto alla sua rappresentatività come fonte del diritto e assumere, così, un valore paradigmatico di tutto lo ius[50]. Tuttavia, non si può escludere che Cicerone abbia voluto specificatamente richiamare la lex come fondamento della libertas al fine di esaltare il valore centrale dell’esercizio della volontà popolare. La volontà generale sarebbe così sublimata nel diritto e collegata alla stessa libertas, fatto da cui naturalmente deriva che i cittadini romani possono essere liberi solo se a servizio delle leggi.

Nel pregnante paragone dell’importanza della mente per il corpo umano, l’oratore pone la lex come sintesi di tutti i poteri della civitas e fondamento della libertas; un vincolo necessario per fruire della dignitas[51], quella precisa connotazione socio-politica di cui si dispone nella res publica e che, nel diritto, caratterizza il cittadino romano. La libertas, dunque, diviene tale solo se regolata dal diritto e, di conseguenza, non può essere assoluta, ma deve imporsi una limitazione interna, a garanzia della libertas di tutti gli altri consociati e del rispetto dell’autorità[52]. Perché la libertas possa mantenersi, infatti, è necessario che i consociati seguano il diritto al fine di garantire il corretto funzionamento di istituzioni e vita sociale.

Livio evidenzia l’importanza della maturità del popolo nella fruizione della libertas, ricordando che la stessa cacciata dei Tarquini sarebbe stata imprudente se perpetrata nei confronti di uno dei reges precedenti, in ragione dell’immaturità del popolo romano[53]:

 

Neque ambigitur quin Brutus idem qui tantum gloriae superbo exacto rege meruit pessimo publico id facturus fuerit, si libertatis immaturae cupidine priorum regum alicui Regnum extorsisset.

 

Il testo liviano esprime con chiarezza il profondo legame esistente tra libertas e populus Romanus, giacché solo un popolo unito e coeso è capace di gestire la libertas che, una volta ottenuta, va preservata attraverso la previsione di vincoli che limitino il potere nella misura necessaria all’esercizio corretto del governo, evitando il ripresentarsi di situazioni di superbia.

 

 

5. – La libertas del populus Romanus

 

Il legame tra popolo romano e libertas emerge all’interno dell’analisi sulle relazioni di postliminium[54] operata da Proculo[55]:

 

Liber autem populus est is, qui nullius alterius populi potestati est subiectus: sive is foederatus est item, sive aequo foedere in amicitiam venit sive foedere comprehensum est, ut is populus alterius populi maiestatem comiter conservaret. Hoc enim adicitur, ut intellegatur alterum populum superiorem esse, non ut intellegatur alterum non esse liberum: et quemadmodum clientes nostros intellegimus liberos esse, etiamsi neque auctoritate neque dignitate neque viri boni nobis praesunt, sic eos, qui maiestatem nostram comiter conservare debent, liberos esse intellegendum est.

 

Nel passo, il giurista riferisce un concetto di libertas astrattamente applicabile a qualsiasi popolo che nullius alterius populi potestati est subiectus. Questa definizione giuridica identifica libero un populus quando non è sottoposto a una potestas esterna e, con una significativa asserzione, estende la libertas anche a quel popolo che si trova sottomesso per mezzo di un foedus. Il testo precisa, infatti, che le civitates foederatae si ritengono libere, poiché, come avviene nella clientela[56], il rapporto di superiorità non esclude la libertas che, al contrario, nell’esempio romano è specificatamente ritenuta sussistente[57]. Il passo, che pure non è esente da sospetti d’interpolazione[58], mi pare utile per delineare la libertas riferita al popolo romano[59]. Pur se, infatti, il frammento si apre con il concetto di libertà di un qualsiasi popolo, si conclude con il richiamo alla “nostra” maiestas[60], ovvero la supremazia del popolo romano che, come si è detto, quando sussiste non priva della libertas il popolo a essa subiectus. In tal senso, la libertas diviene caratteristica essenziale delle istituzioni romane che, a loro volta, ne garantiscono la conservazione sia in capo agli stessi cittadini, sia ai popoli subiecti[61]. È evidente, particolarmente con riferimento al rapporto maiestas/subiectus, che il passo implicitamente richiami quanto visto poco sopra circa l‘ambito di libertas garantito dalla certezza del diritto. Il concetto per il quale vi sia libertas anche se sottoposti a un governo esterno, purché l’esercizio del potere di governo trovi il suo stesso vincolo in norme certe e valide per tutti (nel caso de quo, un foedus) è talmente radicato da poter essere lasciato quasi sottinteso.

Sulla stretta connessione tra libertas e populus Romanus si era già espresso Cicerone con la famosa affermazione, definita da De Martino carica d’orgoglio storico[62], per cui aliae nationes servitutem pati possunt: populi Romani est propria libertas[63].

Una tale dichiarazione, chiaramente caratterizzata dallo spirito propagandistico della lotta politica contro Antonio, può tuttavia fornire una rilevante testimonianza del valore della libertas a Roma[64], tanto radicata nelle istituzioni da divenire metro di distinzione tra il popolo romano e tutte le altre nationes[65].

In tal senso, il popolo romano è distinto dal resto delle comunità organizzate, divenendo unico nella libertas[66]; e questa unicità si riflette anche sul singolo cittadino cui è attribuito un complesso di virtù distintive sue proprie:

 

Nostis insolentiam Antoni, nostis amicos, nostis totam domum. Libidinosis, petulantibus, impuris, impudicis, aleatoribus, ebriis servire, ea summa miseria est summo dedecore coniuncta. Quodsi iam, quod di omen avertant! fatum extremum rei publicae venit, quod gladiatores nobiles faciunt, ut honeste decumbant, faciamus nos principes orbis terrarum gentiumque omnium, ut cum dignitate potius cadamus quam cum ignominia serviamus. Nihil est detestabilius dedecore, nihil foedius servitute. Ad decus et ad libertatem nati sumus; aut haec teneamus aut cum dignitate moriamur[67].

 

Nel passo si trova il concetto di libertas come caratteristica del cittadino romano, unitamente a quel complesso di virtù evidenziate dalla contrapposizione con l’esempio negativo di Antonio[68].

Il richiamo al decus[69] e alla dignitas[70] evidenzia come essere cittadino romano, sia fonte di un onere ed un impegno specifico.

Il discorso sulla libertas individuale del cittadino romano viene espresso chiaramente dal giurista Paolo in un frammento riguardante l’istituto della capitis deminutio[71]:

 

Capitis deminutionis tria genera sunt, maxima media minima: tria enim sunt quae habemus, libertatem civitatem familiam. Igitur cum omnia haec amittimus, hoc est libertatem et civitatem et familiam, maximam esse capitis deminutionem: cum vero amittimus civitatem, libertatem retinemus, mediam esse capitis deminutionem: cum et libertas et civitas retinetur, familia tantum mutatur, minimam esse capitis deminutionem constat[72].

 

Dal passo emerge come non sia possibile perdere la libertas ed essere civis, mentre al contrario si potrà perdere la cittadinanza e restare liberi[73]. Questo concetto di libertas non si esaurisce nel binomio libero-schiavo, ma identifica un requisito essenziale del cittadino come membro attivo della comunità. Uomini, donne e bambini assumono con la cittadinanza romana uno specifico ruolo all’interno del sistema giuridico-religioso romano, uniti nel rispetto di istituzioni e leggi. In tal senso, la perdita della libertas determinerà parimenti la perdita della cittadinanza in ragione della sopravvenuta impossibilità di una partecipazione attiva alla civitas.

Sia populus, sia civis, sono nelle fonti caratterizzati dalla libertas e compartecipano alla sua stessa sussistenza, garantita dal sistema giuridico-religioso romano e, nello specifico dal diritto, con il contributo indispensabile di ogni singolo cittadino che, per essere tale e partecipare alla vita della civitas, non può che essere libero[74].

 

 

6. – Lex e libertas tra diritto romano e storiografia moderna. Alcune note

 

Il rilievo e l’importanza della lex e, più in generale, dello ius a fondamento della libertas romana è sovente affrontato dalla dottrina in relazione al periodo repubblicano.

Si è evidenziato come l’assenza di ‘giustizia’ ed ‘equità’, finanche alla prima fase repubblicana, escluda che tutti i cittadini romani potessero godere della libertas[75]. In particolare, Luigi Bruno argomenta l’assenza di eguaglianza basandosi sulla contrapposizione patrizio-plebea. L’A., in particolare, arriva ad affermare «che a Roma ius e leges, essendo rimasti per oltre un cinquantennio - stando alla cronologia liviana - patrimonio riservato della classe patrizia, non furono certamente uno strumento di libertas per la classe plebea»[76]. Tuttavia, si tratta di una posizione che risente di una lettura in chiave moderna del concetto di libertas[77], poiché l’utilizzo di una categoria come l’uguaglianza non può essere ricondotta alla riflessione romana, la cui posizione, sul punto, è ben sintetizzata dal concetto di unicuique suum tribuere[78].

È opinione comune che la normazione attraverso leges abbia avuto a Roma un utilizzo più rilevante nell’ambito del diritto pubblico[79]. Attraverso la lex sono state sancite quelle garanzie di libertà che hanno caratterizzato il passaggio dal regnum alla res publica[80]. Il largo uso di leggi è evidenziato in quelle teorie più moderne che rilevano una possibile e massiccia espunzione[81] di leges dalle opere dei giuristi, operata all’atto della compilazione del Digesto, attraverso metodi e finalità in esso dichiarate.

Se, dunque, questo largo uso è senz’altro attestato per l’epoca repubblicana[82], in ogni caso, non vi è motivo di ritenere falso quanto affermato da Pomponio - nel lungo frammento dell’Enchridion riportato nel Digesto - che attribuisce sia a Romolo, sia ai re successivi, la presentazione di leggi[83].

In ragione di questa risalente rilevanza delle leges, non mi sento di aderire integralmente alla teoria di Giuliano Crifò il quale sostiene che il ‘nucleo costitutivo’ del diritto che regola i rapporti sociali corrisponde in ‘età arcaica’ a una ‘situazione omogenea’ di ‘consenso diffuso’, più che a espresse leges[84].

Sostenere l’assenza di un ricorso alla lex durante il regnum, si pone in contrasto con le fonti analizzate che richiamano un sistema normativo per opera dei reges e descrivono - espressamente – lo ius e spesso la stessa lex come limite all’esercizio arbitrario del potere[85] e, conseguentemente, fonte di libertas[86].

D’altronde lo stesso Crifò, pur arrivando a soluzioni differenti, presuppone un passaggio dal regnum alla res publica che mantiene «il più possibile della realtà preesistente»[87], laddove la vera novità dell’età repubblicana è essenzialmente rappresentata dalla limitazione dell’imperium del rex. E dunque, se è vero, quanto espresso da Crifò, che la libertà si fonda sul diritto[88], allora la libertas romana va posta in relazione a quelle fonti che attestano una normazione già durante il regnum[89].

La risalente presenza di libertas non è superata dall’eccezione per cui più ci si sposta indietro nel tempo, più emerge che «tra gli uomini liberi alcuni erano più liberi e più uguali degli altri»[90]. Le origini della libertas, per quanto visto sopra, non si fondano sull’uguaglianza davanti al diritto, bensì nel diritto stesso e, più precisamente, nella lex, quando questa, attraverso la partecipazione popolare e la manifestazione della volontà generale, vincola tutti, compreso il rex.

 

 

7. Conclusioni

 

Dall’analisi delle fonti è emerso che:

a) l’imperium regio era originariamente posto a conservazione della libertas, come riferisce Sallustio;

b) la privazione della libertas per il populus Romanus si lega all’atteggiamento di superbia dell’ultimo Tarquinio, come emerge dai passi liviani;

c) vi è stata una graduale trasformazione dell’esercizio arbitrario del potere del rex attraverso l’emanazione di norme certe, sino a quelle di Servio Tullio che sono definite vincolanti gli stessi re, come narra Tacito;

d) durante il regnum, vi è stata, secondo Pomponio, un’antica fase di certezza del diritto per la presenza di leges proposte da Romolo e dai re successivi.

La libertas, inoltre, è emersa come caratteristica tipica del cittadino romano in quanto appartenente alla collettività, un elemento inscindibile della cittadinanza[91], una connotazione essenziale della civitas[92]. La civitas Romana è, in tal senso, un’organizzazione di uomini liberi[93], segnata da una comunione d’interessi che si perfeziona nella volontarietà e, dunque, nella libertas. Conseguentemente, il cittadino è libero in quanto partecipante alla civitas che, in quanto libera, ne garantisce e fonda questa libertas[94]. In virtù di ciò, l’individuo deve partecipare alla vita sociale e acquistare una posizione determinata dallo ius che gli è riconosciuta dalla comunità stessa[95].

Indipendentemente dall’effettiva portata attribuita al principio di libertas[96], nel pensiero della giurisprudenza romana è emerso un concetto di libertà fortemente concreto[97], fondato e regolato nello ius e nella lex, in un’ottica di concatenazione tra il singolo e il sistema giuridico-religioso cui questi appartiene[98]. Per tale ragione civitas diverrà a Roma sinonimo di piena libertas[99], i due termini, pur senza coincidere[100], quasi si sovrapporranno.

Come emerge dalle fonti, l’origine del concetto di libertas per cui si è comunque liberi anche se sottoposti al governo di un rex, di due consoli o alla maiestas del popolo Romano, si fa solo convenzionalmente coincidere con l’instaurazione della repubblica, poiché, come si è detto, è il complesso di norme certe e vincolanti per tutti a porsi quale fondamento dell’origine della libertas a Roma.

 

 

Abstract

 

The aim of this study is to shed light on the origins of Roman libertas. Libertas is often meaning a direct expression of republican institutions. The research explores the sources which do not exclude the existence of libertas in some phases of regnum. The conclusions drawn from sources allow to highlight the importance of legal norms binding erga omnes.

 

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind].

 

[1] Per i vari significati del termine vedi G. Kuhlmann, v. libertas, in Thesaurus Linguae Latinae VII.2, fasc. IX liberalis-linearius, Lipsiae 1956-1979, coll. 1310 ss.; per un’analisi etimologica rimando ad A. Ernout-A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots 3a ed., Paris 1979, voce liber, -a -um, 355. Vedi sul punto anche le riflessioni di G. Crifò, Su alcuni aspetti della libertà in Roma, in Archivio Giuridico 154 (1958), 27 ss., il quale richiama l’etimologia del termine liber che in origine identifica ‘colui che appartiene alla stirpe’, per dimostrare che la libertas possiede da subito una connotazione politica, poiché attiene a quelle facoltà che vengono attribuite all’individuo (in questo caso dalla stirpe). Dunque, contrario al soggetto liber non sarebbe tanto lo schiavo quanto un qualsiasi soggetto estraneo a quella stessa stirpe. Vedi anche 22 ss. per una ricostruzione della trasformazione del concetto di libertà nelle vicende politiche di Roma e, in particolare, nella lotta tra le classi.

Sul tema della libertà degli antichi, con particolare riferimento all'esperienza romana, si veda: Ch. Wirszubski, Libertas as a Political Idea at Rome during the Late Republic and Early Principate, Cambridge 1950, in part. 24-30 e 122, (= Id., Libertas. Il concetto politico di libertà a Roma tra Repubblica e Impero, con appendice di A. Momigliano, Bari 1957); E. Levy, Libertas und civitas, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte: Romanistische Abteilung 78 (1961), 142 ss.; J. Bleicken, Der Begriff der Freiheit in der letzen Phase der römischen Republik, in Historische Zeitschrift 195 (1962), 3 ss.; Id., Staatliche Ordnung und Freiheit in der römischen Republik, Kallmunz 1972; L. Bruno, Libertas plebis in Tito Livio, in Giornale Italiano di Filologia 19 (1966), 107 ss.; A. Weische, Studien zur politischen Sprache der römischen Republik, Münster Westf. 1966, 57 ss.; J. Hellegouarc'h, Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la République II, Paris 1972, 546 ss.; F. De Martino, Storia della costituzione romana III, 2a ed., Napoli 1973, 138 ss.; I. Lana, La libertà nel mondo antico, in Id., Studi sul pensiero politico classico, Napoli 1973, 13 ss.; Id., Studi sulla libertà nell’antica Roma. Corso di letteratura latina, Torino 1991; C. Venturini, “Libertas” e “dominatio” nell'opera di Sallustio e nella pubblicistica dei “populares”, in Studi per Ermanno Graziani, Pisa 1973, 636 ss.; H.P. Kohns, Libertas populi und libertas civium in Ciceros Schrift De re publica, in Bonner Festgabe J. Straub zum 65. Geburtstag (Hrsg. von A. Lippold und N. Himmelmann), Bonn 1977, 201 ss.; C. NICOLET, Le métier de citoyen dans la Rome républicaine, Paris 1976 [= ID., Il mestiere di cittadino nell’antica Roma (trad. it. di F. Grillenzoni), Roma 1980, 404 ss.]; ID., Il cittadino, il politico, in L'uomo romano (a cura di A. Giardina), trad. it. di C. De Nonno, Roma-Bari 1989, 3 ss.; G. CRIFÒ, Libertà e uguaglianza in Roma antica. L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, Roma 1984; P.A. Brunt, Libertas in the Republic, in Id., The Fall of the Roman Republic and Related Essays, Oxford 1988, 281 ss.; Y.P. Thomas, L’indisponibilité de la liberté en droit romain, in Hypotheses. Travaux de l’Ecole doctorale d’histoire de l’Université Paris I Panthéon-Sorbonne X (2006), 379 ss.; G. VALDITARA, Saggi sulla libertà dei romani, dei cristiani e dei moderni, Soveria Mannelli 2007; W. Wołodkiewicz, Libertas non privata sed publica res est, in Civis Civitas Libertas, Index per Franco Salerno (a cura di L. Labruna e C. Cascione), Napoli 2011, 38 ss. e da ultimo V. ARENA, Libertas and the Practice of Politics in the Late Roman Republic, New York 2012, 14 ss. e M. Genovese, Libertas e civitas in Roma antica, Roma 2012.

Non si analizzerà in questa sede la sfera della libertà privata propria del cittadino romano (sul punto e sul fondamentale esempio della familia rimando a F. De Martino, Individualismo e diritto romano privato - rist. anast. dell'orig. del 1941, ripubblicato nel 1979 - Torino 1999, in part. 8, laddove l’A. descrive la libertà individuale del pater familias «soggetto di diritti pienamente capace», come una sfera di libertà più ampia dell’attuale libertà concessa al cittadino moderno, e la risolve con il prevalere dell’individuale sul collettivo, poiché le comunità arcaiche romane si fonderebbero sulla direzione di un capo e non sull’astratto concetto di potere), né si opererà un raffronto tra la libertà degli antici e la libertà dei moderni, pur se sul punto non si può prescindere dal richiamare il celebre discorso di B. Constant, De la liberté des Anciens comparée à celle des Modernes [= ID., Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, in Il pensiero politico. Dalle origini ai nostri giorni, Roma 1966, 705 ss.].

 

[2] Rinvio, in particolare, a P.M. Martin, Esclaves ou citoyens? La référence à Rome dans le débat sur les esclaves noirs avant et pendant la révolution française, in La nozione di «Romano» tra cittadinanza e universalità - Da Roma alla terza Roma II, Napoli 1984, 203-216 e C. Nicolet, Il cittadino, il politico, cit., 3 ss.

 

[3] Si veda Liv. 2.1.7: Libertatis autem originem inde magis quia annuum imperium consulare factum est quam quod deminutum quicquam sit ex regia potestate numeres. Sul passo R.M. OGILVIE, A Commentary on Livy, books 1-5, Oxford 1965, 235 s.; vedi inoltre infra par. 3. Analoga ricostruzione anche in Tac., Annales 3.26: Urbem Romam a principio reges habuere; libertatem et consulatum L. Brutus instituit.

 

[4] In tal senso, si richiama il giuramento del popolo romano - su impulso di Giunio Bruto - a che non venisse più tollerato un rex a Roma, Liv. 2.1.9: Omnium primum auidum novae libertatis populum, ne postmodum flecti precibus aut donis regiis posset, iure iurando adegit neminem Romae passuros regnare; nonché sulla sua successiva sanzione legislativa 2.8.1-2: Latae deinde leges, non solum quae regni suspicione consulem absoluerent, sed quae adeo in contrarium verterent ut popularem etiam facerent; inde cognomen factum Publicolae est. Ante omnes de provocatione adversus magistratus ad populum sacrandoque cum bonis capite eius qui regni occupandi consilia inisset gratae in volgus leges fuere.

 

[5] In materia di adfectatio regni vedi M. SORDI, L'ultima dittatura di Cesare, in Aevum 50 (1976), 151 [ora in EAD., Scritti di storia romana, Milano 2002, 251 ss.]; P.M. MARTIN, Distorsions dues à l’idéologie tripartite dans le récit des trois adfectationes regni de la tradition romaine, in Études indo-européennes 7 (1988), 15 ss.; E. CANTARELLA, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano 1991 [si veda la nuova edizione rivista, EAD., I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene di morte in Grecia e a Roma, Milano 2011]; E. GABBA, Dionigi e la storia di Roma arcaica, Bari 1996, 143 s. (opera originale ID., Dyonisius and the History of Archaic Rome, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1991); R. FIORI, Homo sacer: dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa, Napoli 1996, 325 ss.; B. LIOU-GILLE, La sanction des «leges sacratae» et l'«adfectatio regni». Spurius Cassus, Spurius Maelius et Manlius Capitolinus, in La parola del passato 51 (1996), 161 ss.; R. PESARESI, Studi sul processo penale in età repubblicana: dai tribunali rivoluzionari alla difesa della legalità democratica, Napoli 2005, 32 ss.

 

[6] Sall., De coniuratione Catilinae VI; Liv. 2.1.1.

 

[7] Tac., Annales 3.26.

 

[8] Vedi L. Bruno, Libertas plebis in Tito Livio, cit., 111, per le molteplici accezioni di libertas nel linguaggio della storiografia liviana: «libertas populi, libertas plebis, libertas patrum, libertas consulum, libertas civitatis, libertas urbis, libertas omnium, etc.; riguardano, invece, la libertà personale (habeas corpus), la libertà giuridica, espressioni come libertas servorum, libertas privatorum, libertas uniuscuisque, etc., esprimono, infine, quella che noi oggi chiamiamo libertà di pensiero, libertà spirituale, freedom of speech, freedom of religion, espressioni come libertas animi, libertas ingenii, libertas vocis, libertas urbana, etc.».

 

[9] Si veda, in part., Cic. pro Cluent. 146: Hoc enim vinculum est huius dignitatis qua fruimur in re publica, hoc fundamentum libertatis, hic fons aequitatis; mens et animus et consilium et sententia civitatis posita est in legibus. Ut corpora nostra sine mente, sine lege suis partibus ut nervis ac sanguine et membris uti non potest. Legum ministri magistratus, legum interpretes iudices, legum denique idcirco omnes servi sumus ut liberi esse possimus.

 

[10] Tac., Annales 3.27: pulso Tarquinio adversum patrum factiones multa populus paravit tuendae libertatis et firmandae concordiae, creatique decemviri et accitis quae usquam egregia compositae duodecim tabulae, finis aequi iuris. D. 1.2.2.4 (Pomponius lib. sing. ench.): Postea ne diutius hoc fieret, placuit publica auctoritate decem constitui viros, per quos peterentur leges a Graecis civitatibus et civitas fundaretur legibus: quas in tabulas eboreas perscriptas pro rostris composuerunt, ut possint leges apertius percipi: datumque est eis ius eo anno in civitate summum, uti leges et corrigerent, si opus esset, et interpretarentur neque provocatio ab eis sicut a reliquis magistratibus fieret. Qui ipsi animadverterunt aliquid deesse istis primis legibus ideoque sequenti anno alias duas ad easdem tabulas adiecerunt: et ita ex accedenti appellatae sunt leges duodecim tabularum. Quarum ferendarum auctorem fuisse decemviris Hermodorum quendam Ephesium exulantem in Italia quidam rettulerunt.

 

[11] Sul pensiero del giurista si veda l’opera di S. Querzoli, Il sapere di Fiorentino: etica, natura e logica nelle Institutiones, Napoli 1996.

 

[12] D. 1.5.4 pr. (Florentinus lib. 9 inst.). Sul passo rimando, tra i tanti, a CH. WIRSZUBSKI, Libertas as a Political Idea at Rome during the Late Republic and Early Principate, cit., 2 ss.; S. QUERZOLI, Il sapere di Fiorentino: etica, natura e logica nelle Institutiones, cit., 110 ss.; G. CRIFÒ, Semitae et vestigia libertatis, in Studi per Giovanni Nicosia I, Milano 2007, 60 ss.; R. QUADRATO, Hominum gratia, in Studi in onore di Remo Martini III, Milano 2010, 276 ss.

 

[13] D. 1.5.4.1 (Florentinus lib. 9 inst.): Servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur.

 

[14] Sui sospetti di interpolazione del passo e le proposte di ricostruzione rinvio per tutti a: G. Crifò, Semitae et vestigia libertatis, cit., 61 s.

 

[15] Sul significato del termine rimando ad AE. FORCELLINI, Totius latinitatis Lexicon (consilio et cura J. Facciolati) IV, Lipsiae 1835, v. vis, 455. Sul tema della rilevanza giuridica della vis si vedano, tra i tanti: E. BETTI, La vindicatio romana primitiva ed il suo svolgimento storico nel diritto privato e nel processo, in Filangieri 39 (1915), 321 ss.; TH. MAYER-MALY, v. Vis als juristischer Begriff, in Römisches Recht IX AI (1961), 321 ss.; U. EBERT, Vi metusve causa, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte: Romanistische Abtheilung 86 (1969), 415; L. LABRUNA, ‘Vim fieri veto'. Alle radici di una ideologia, Napoli 1971, 8 ss.; ID., “Iuri maxime … adversaria”. La violenza tra repressione privata e persecuzione pubblica nei conflitti politici della tarda repubblica, in Illecito e pena privata in età repubblicana. Atti del convegno internazionale di diritto romano. Copanello 4-7 giugno 1990, Napoli 1992, 253 ss.; L. SOLIDORO, La repressione della violenza nel diritto romano, Napoli 1993 [= ID., Problemi di storia sociale nell’elaborazione giuridica romana, Napoli 1994, 49 ss.]; G. COSSA, Studi sulla repressione del crimen vis tra tarda Repubblica e Principato. La legislazione giulia de vi publica et privata, Siena 2007, 9 ss.; E. CALORE, Considerazioni sulla clausola edittale ”quod metus causa gestum erit, ratum non hebebo”, in Diritto @ Storia 9 (2010), http://www.dirittoestoria.it/9/Tradizione-Romana/E-Calore-Quod-metus-causa-gestum-erit.htm .

 

[16] Così S. Schipani, La repressione della vis nella sentenza di L. Helvius Agrippa del 69 d.C. (Tavola di Esterzili), in La Tavola di Esterzili: il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda. Convegno di studi, Esterzili, 13 giugno 1992 (a cura di A. Mastino), Sassari 1993, 145: «Per cogliere il problema, si deve tenere presente in modo del tutto generale che il termine vis non indica qualche cosa di necessariamente contrario al ius. Vis infatti può indicare la manifestazione di una 'forza' legittima. Basti ricordare l'uso di essa per la legge, per atti del magistrato, per i poteri del tutore, per dichiarazioni di volontà di singole persone, quali le dichiarazioni testamentarie, per le azioni processuali o per le forme di autotutela che ne implichino l'uso, la cui più antica notevole estensione vediamo successivamente venir riducendosi. A volte poi, in modo assai significativo, vediamo sanzionata la realizzazione di eventi che sono il risultato di una vis, ma non viene sanzionata la vis stessa come tale, e le condotte che la perfezionano solo in presenza di altre concorrenti circostanze vengono incluse nella prospettiva di costituire un illecito, la lesione di un bene giuridicamente protetto».

 

[17] Sui rapporti tra ius e vis si veda, in part., D. 1.3.17 (Celsus lib. 26 dig.): Scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem; 26.1.1 pr. (Paulus lib. 38 ad ed.): Tutela est, ut servius definit, vis ac potestas in capite libero ad tuendum eum, qui propter aetatem sua sponte se defendere nequit, iure civili data ac permissa. Si vedano inoltre P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma 1959; R. SANTORO, Potere e azione nell'antico diritto romano, in Annali del Seminario Giuridico dell'Università di Palermo 30 (1967), 103 ss.; E. STOLFI, Riflessioni attorno al problema dei “diritti soggettivi” fra esperienza antica ed elaborazione moderna, in Studi Senesi 55 (2006), 120 ss.; e C. GIACHI, L’interdictum de migrando e l'origine della tutela del pegno, in Studi in onore di Remo Martini II, Milano 2009, 270 ss.

 

[18] Esemplificativo è l’uso del termine vis nell’editto del pretore riportato nel noto passo D. 4.2.1 (Ulpianus lib. 11 ad edict.): Ait praetor: ‘Quo metus causa gestum erit, ratum non habebo’. Olim ita edicebatur ‘quod vi metusve causa’: vis enim fiebat mentio propter necessitatem impositam contrariam voluntati: metus instantis vel futuri pericoli causa mentis trepidatio. Sed postea detracta est vis mentio ideo, quia quodcumque vi atroci fiat, id metu quoque fieri videtur.

 

[19] I. 1.3.1: Et libertas quidem est, ex qua etiam liberi vocantur, naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid aut vi aut iure prohibetur.

 

[20] Liv. 1.17.2: Romani veteres peregrinum regem aspernabantur. In variis voluntatibus regnari tamen omnes volebant, libertatis dulcedine nondum experta.

 

[21] Liv. 1.60.3: Tarquinius Superbus regnavit annos quinque et viginti. Regnatum Romae ab condita urbe ad liberatam annos ducentos quadraginta quattuor. Duo consules inde comitiis centuriatis a praefecto urbis ex commentariis Ser. Tulli creati sunt, L. Iunius Brutus et L. Tarquinius Collatinus.

 

[22] Liv. 1.60: Harum rerum nuntiis in castra perlatis cum re nova trepidus rex pergeret Romam ad comprimendos motus, flexit viam Brutus - senserat enim adventum - ne obvius fieret; eodemque fere tempore, diversis itineribus, Brutus Ardeam, Tarquinius Romam venerunt. Tarquinio clausae portae exsiliumque indictum: liberatorem urbis laeta castra accepere, exactique inde liberi regis. Duo patrem secuti sunt qui exsulatum Caere in Etruscos ierunt. Sex. Tarquinius Gabios tamquam in suum Regnum profectus ab ultoribus veterum simultatium, quas sibi ipse caedibus rapinisque concierat, est interfectus. L. Tarquinius Superbus regnavit annos quinque et viginti. Regnatum Romae ab condita urbe ad liberatam annos ducentos quadraginta quattuor. Duo consules inde comitiis centuriatis a praefecto urbis ex commentariis Ser. Tulli creati sunt, L. Iunius Brutus et L. Tarquinius Collatinus. Si veda R.M. OGILVIE, A Commentary on Livy, books 1-5, cit., 235 s.; F. Charpin, La structure du livre I de l’Histoire Romaine de Tite-Live et le personnage de Brutus, in Annales Latini Montium Arvernorum 8 (1981), 15 ss.; P.M. Martin, Le mythe de Brutus, fondateur de la République romaine, in Annales Latini Montium Arvernorum 9 (1982), 5 ss.

 

[23] Si veda: Liv. 2.8.9: Haec post exactos reges domi militiaeque gesta primo anno; 3.39.9: Fuisse regibus exactis patricios magistratus; creatos postea post secessionem plebis plebeios; cuius illi partis essent, rogitare; 4.3.14: Claudiam certe gentem post reges exactos ex Sabinis non in civitatem modo accepimus sed etiam in patriciorum numerum; 4.4.1: At enim nemo post reges exactos de plebe consul fuit; Varr., Res. rust. 1.2.9: Eiusdem gentis C. Licinius, tr. pl. cum esset, post reges exactos annis CCCLXV primus populum ad leges accipiendas in septem iugera forensia e comitio eduxit; Svet., De vita Caes., divus Tiber. 1.1: Patricia gens Claudia--fuit enim et alia plebeia, nec potentia minor nec dignitate--orta est ex Regillis oppido Sabinorum. Inde Romam recens conditam cum magna clientium manu conmigravit auctore Tito Tatio consorte Romuli, vel, quod magis constat, Atta Claudio gentis principe, post reges exactos sexto fere anno.

 

[24] Cfr. Liv. 2.1.1: Quae libertas ut laetior esset proximi regis superbia fecerat. Nam priores ita regnarunt ut haud immerito omnes deinceps conditores partium certe urbis, quas novas ipsi sedes ab se auctae multitudinis addiderunt, numerentur.

 

[25] Liv. 2.1.1. Vedi R.M. OGILVIE, A Commentary on Livy, books 1-5, 235 s.; M. Mazza, La praefatio di Livio: una rivisitazione, in La cultura storica nei primi due secoli dell’impero Romano (a cura di L. Troiani-G. Zecchini), Roma 2005, 48 s.

 

[26] Si veda la traduzione regis superbia come tirannia operata da Gaston Baillet in Tite-Live, Histoire Romaine, Tome II (texte étabili par Jean Bayet), Paris 1962, 5. Per il termine superbia rimando a Ae. Forcellini, Totius latinitatis Lexicon (consilio et cura J. Facciolati) IV, Lipsiae 1835, v. superbia, ae, 238; A. Ernout-A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, cit., v. super, 668.

 

[27] Così J.M. André, La conception de l’État et de l’Empire dans la pensée gréco-romaine des deux premiers siècles de notre ère, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.30.1, Berlin-New York 1982, 3 ss.

 

[28] Così F. De Martino, Storia della costituzione romana III, cit., 138.

 

[29] Liv. 1.56.8: Ergo ex industria factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit cognomen ut sub eius obtentu cognominis liberator ille populi Romani animus latens opperiretur tempora sua.

 

[30] Tac., Annales 1.1.

 

[31] Sul significato del verbo si veda Ae. Forcellini, Totius latinitatis Lexicon (consilio et cura J. Facciolati) III, Patavii 1771, v. Habeo, -es, 366.

 

[32] Per le accezioni del verbo rimando a O. Prinz, in Thesaurus Linguae Latinae, Lipsiae 1937, v. impero, -āvī, -ātum, -āre, coll. 582 ss.

 

[33] Tac., Annales 3.26.

 

[34] V. Bulhart, v. manus, -ūs, in Thesaurus Linguae Latinae, VIII fasc. III mano-matrimonium coll. 342 ss., Lipsiae 1939. In part. col. 352 lin. 65 le accezioni di pugna, vis, robur: cfr. Sen., Benef. 3.29.7: Quae consilio ac manu gero; Sall., Iug. 98.1: Manu consulere militibus, quoniam imperare conturbatis omnibus non poterat.

 

[35] B. Bader, in Thesaurus Linguae Latinae, VII.2 fasc. IX liber (adi.)-linearius, v. libet, -uit et -itum est, -ēre, coll. 1323 ss., Lipsiae 1975.

 

[36] Tac., Annales 3.26-27: Vetustissimi mortalium, nulla adhuc mala libidine, sine probro, scelere eoque sine poena aut coercitionibus agebant. Neque praemiis opus erat cum honesta suopte ingenio peterentur; et ubi nihil contra morem cuperent, nihil per metum vetabantur. At postquam exui aequalitas et pro modestia ac pudore ambitio et vis incedebat, provenere dominationes multosque apud populos aeternum mansere. Quidam statim aut postquam regum pertaesum leges maluerunt. hae primo rudibus hominum animis simplices erant; maximeque fama celebravit Cretensium, quas Minos, Spartanorum, quas Lycurgus, ac mox Atheniensibus quaesitiores iam et plures Solo perscripsit. Nobis Romulus ut libitum imperitaverat: dein Numa religionibus et divino iure populum devinxit, repertaque quaedam a Tullo et Anco. Sed praecipuus Servius Tullius sanctor legum fuit quis etiam reges obtemperarent. Pulso Tarquinio adversum patrum factiones multa populus paravit tuendae libertatis et firmandae concordiae, creatique decemviri et accitis quae usquam egregia compositae duodecim tabulae, finis aequi iuris. Nam secutae leges etsi aliquando in maleficos ex delicto, saepius tamen dissensione ordinum et apiscendi inlicitos honores aut pellendi claros viros aliaque ob prava per vim latae sunt. Hinc Gracchi et Saturnini turbatores plebis nec minor largitor nomine senatus Drusus; corrupti spe aut inlusi per intercessionem socii. Ac ne bello quidem Italico, mox civili omissum quin multa et diversa sciscerentur, donec L. Sulla dictator abolitis vel conversis prioribus, cum plura addidisset, otium eius rei haud in longum paravit, statim turbidis Lepidi rogationibus neque multo post tribunis reddita licentia quoquo vellent populum agitandi. Iamque non modo in commune sed in singulos homines latae quaestiones, et corruptissima re publica plurimae leges.

 

[37] D. 1.2.2.1. (Pomponius lib. sing. ench.). Per l’analisi del passo rimando a D. NÖRR, Pomponius oder “Zum Geschichtsverständnis der römischen Juristen”, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.15, Berlin-New York 1976, 563 ss. del quale è ora presente una trad. it. a cura di M.A. Fino ed E. Stolfi, Pomponio o della intelligenza storica dei giuristi romani, in Rivista di Diritto Romano 2 (2002), http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano02noerr.pdf.

 

[38] V. Bulhart, in Thesaurus Linguae Latinae VIII fasc. III mano-matrimonium, v. manus, -ūs, coll. 342 ss., Lipsiae 1939.

 

[39] Per l’analisi del liber singularis Enchiridii di Sesto Pomponio, opera finalizzata a ipsius iuris originem atque processum demonstrare, e la visione “dinamica” dell’origine e dell’evoluzione del diritto si veda F. Sini, A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a.C., Torino 1995, 134; Id., Urbs: concetto e implicazioni normative nella giurisprudenza, in Diritto @ Storia 10 (2011-2012) http://www.dirittoestoria.it/10/Tradizione-Romana/Sini-Urbs-concetto-norme-giurisprudenza.htm. Legge il frammento in altra prospettiva G. Lobrano, Pater et filius eadem persona. Per lo studio della patria potestas, Milano 1984, 65.

 

[40] Su tale accezione vedi in part. col. 352 lin. 65, Bulhart, in Thesaurus Linguae Latinae VIII fasc. III mano-matrimonium, v. manus, -ūs, loc. cit.

 

[41] D.1.2.2.2-3 (Pomponius lib. sing. ench.): Postea aucta ad aliquem modum civitate ipsum Romulum traditur populum in triginta partes divisisse, quas partes curias appellavit propterea quod tunc reipublicae curam per sententias partium earum expediebat. Et ita leges quasdam et ipse curiatas ad populum tulit: tulerunt et sequentes reges. Quae omnes conscriptae exstant in libro sexti Papirii, qui fuit illis temporibus, quibus superbus Demarati Corinthii filius, ex principalibus viris. Is liber, ut diximus, appellatur ius civile Papirianum, non quia Papirius de suo quicquam ibi adiecit, sed quod leges sine ordine latas in unum composuit. 3. Exactis deinde regibus lege tribunicia omnes leges hae exoleverunt iterumque coepit populus Romanus incerto magis iure et consuetudine aliqua uti quam per latam legem, idque prope viginti annis passus est.

 

[42] Sulla iuris origo contenuta nell’Enchiridion di Pomponio si veda, da ultimo, D. Mantovani, Legum multitudo e diritto privato. Revisione critica della tesi di Giovanni Rotondi, in Leges publicae. La legge nell'esperienza giuridica romana. Collegio di diritto romano 2010 Cedant (a cura di J.-L. Ferrary), Pavia 2012, 707-767. In senso diverso A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino 2005, 73 ss. per il quale il passo contiene la retrodatazione dell’iter legislativo d’epoca repubblicana.

 

[43] Tac., Annales 3.27: pulso Tarquinio adversum patrum factiones multa populus paravit tuendae libertatis et firmandae concordiae, creatique decemviri et accitis quae usquam egregia compositae duodecim tabulae, finis aequi iuris. D. 1.2.2.4 (Pomponius lib. sing. ench.): Postea ne diutius hoc fieret, placuit publica auctoritate decem constitui viros, per quos peterentur leges a Graecis civitatibus et civitas fundaretur legibus: quas in tabulas eboreas perscriptas pro rostris composuerunt, ut possint leges apertius percipi: datumque est eis ius eo anno in civitate summum, uti leges et corrigerent, si opus esset, et interpretarentur neque provocatio ab eis sicut a reliquis magistratibus fieret. Qui ipsi animadverterunt aliquid deesse istis primis legibus ideoque sequenti anno alias duas ad easdem tabulas adiecerunt: et ita ex accedenti appellatae sunt leges duodecim tabularum. Quarum ferendarum auctorem fuisse decemviris Hermodorum quendam Ephesium exulantem in Italia quidam rettulerunt.

 

[44] Ed è così che Tacito (Ann. 3.26: At postquam exui aequalitas et pro modestia ac pudore ambitio et vis incedebat, provenere dominationes multosque apud populos aeternum mansere. quidam statim aut postquam regum pertaesum leges maluerunt. Hae primo rudibus hominum animis simplices erant; maximeque fama celebravit Cretensium, quas Minos, Spartanorum, quas Lycurgus, ac mox Atheniensibus quaesitiores iam et plures Solo perscripsit) contrappone appunto alle dominationes le città governate con proprie leggi, e dunque liberae, benché di regio carattere.

 

[45] Vedi supra.

 

[46] Così anche Dionigi (Dion. Hal. 10.2: τι πολιτειν κρατστη τος λευθροις στν σηγορα, κα κατ νμους ξου διοικεσθαι τ τε διωτικ κα τ δημσια. Οπω γρ ττε ν οτ´ σονομα παρ ωμαοις οτ´ σηγορα, οδ´ ν γραφας παντα τ δκαια τεταγμνα· λλ τ μν ρχαον ο βασιλες ατν ταττον τος δεομνοις τς δκας, κα τ δικαιωθν π´ κενων τοτο νμος ν) quando afferma che il miglior governo perché le persone siano libere è quello in cui tutti abbiano la σηγορα, ovvero letteralmente la libertà di parola, da intendersi come libertà civile, fatto che ha indotto la plebe a pretendere che ogni questione sia di diritto pubblico che di diritto privato venisse gestita secondo il diritto. La richiesta viene motivata in raffronto alla condizione precedente dove il rex aveva un potere discrezionale tale che δεομνοις τς δκας, κα τ δικαιωθν π´ κενων τοτο νμος ν.

 

[47] Sulla libertas in Sallustio rimando in paticolare C. Venturini, “Libertas” e “dominatio” nell'opera di Sallustio e nella pubblicistica dei “populares”, cit., 636 ss.

 

[48] Sall., De coniuratione Catilinae VI.

 

[49] Cic. pro Cluent. 146.

 

[50] Gai., Inst. 1.3: Lex est quod populus iubet atque constituit; plebiscitum est quod plebs iubet atque constituit. Tac., Ann. 3.26: Nobis Romulus ut libitum imperitaverat: dein Numa religionibus et divino iure populum devinxit, repertaque quaedam a Tullo et Anco. Sed praecipuus Servius Tullius sanctor legum fuit quis etiam reges obtemperarent.

 

[51] Sul significato di dignitas vedi: Ae. Forcellini, Totius latinitatis Lexicon (consilio et cura J. Facciolati) II, Schneebergae 1831, v. dignitas, atis, 80 s.; A. Ernout-A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, cit., v. decet, -vit -ere, 166 ss.; per la letteratura rimando a: P. Lévy, Dignitas, gravitas, auctoritas testium, in Studi in onore di Biondo Biondi II, Milano 1965, 29 ss.; G. Giliberti, ‘Omnium una libertas’. Alle origini dell’idea di diritti umani, in Tradizione romanistica e Costituzione II, Napoli 2006, 1900; M. De Filippi, Dignitas tra repubblica e principato, Bari 2009, 113 ss.; U. Vincenti, Diritti e dignità umana, Roma-Bari 2009, 12 ss.

 

[52] In questo senso G. Crifò sostiene che la libertas romana si avvicina molto al concetto greco di autonomìa: Libertà e uguaglianza in Roma antica, L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, cit., 24 s.

 

[53] Liv. 2.1.3.

 

[54] Sul postliminium si vedano, tra i molteplici: F. De Visscher, Aperçus sur les origines du postliminium, in Festschrift Paul Koschaker, Weimar 1939, 367 ss.; C. Gioffredi, Sul ius postliminii, I La struttura dell’istituto, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 16 (1950); S. Solazzi, Il concetto del ius postliminii, in Scritti Ferrini 2, Milano 1947, 288 ss.; L. Amirante, Captivitas e postliminium, Napoli 1950; Id., Ancora sulla captivitas ed il postliminium, in Studi in onore di P. de Francisci 1, Milano 1956, 517 ss.; Id., Prigionia di guerra, riscatto e postliminium, Napoli 1970; P. Fuenteseca Díaz, Origen y perfiles clásicos del postliminium, in Anuario de historia del derecho español 31-32 (1951-52), 300 ss.; F. Bona, Postliminium in pace, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 21 (1955), 249 ss.; E. Levy, Libertas und civitas, cit., 142 ss.; F. de Visscher, Droit de capture et ‘postliminium in pace’, in Études de droit romain public et privé, Milano 1966, 117 ss.; A. Maffi, Ricerche sul postliminium, Milano 1992; G. Nicosia, Prigionia di guerra e perdita della libertà nell’esperienza giuridica romana, in Silloge. Scritti 1956-1996, Catania 1998, 701 ss.; M.F. Cursi, La struttura del ‘postliminium’ nella repubblica e nel principato, Napoli 1996; M.V. Sanna, Nuove ricerche in tema di ‘postliminium’ e ‘redemptio ad hostibus, Cagliari 2001; Ead., Capitis deminutio e captivitas, in Diritto @ Storia 6 (2007), http://www.dirittoestoria.it/6/Tradizione-romana/Sanna-MV-Capitis-deminutio-captivitas.htm.

 

[55] D. 49.15.7.1 (Proculus lib. 8 epist.).

 

[56] Della sterminata bibliografia dedicata alla clientela, vedi: M.R. Cimma, Reges soci et amici populi Romani, Milano 1976; J.E. Skydsgaard, The disintegration of the Roman labour market and the clientela theory, in Studia Romana in honorem Petri Krarup 27 (1976), 44 ss.; J.M. Roldán Hervas, La Comunidad Romana Primitiva. La Clientela y la Plebe, in Colonato y otras formas dependientes no esclavistas, Oviedo 1978, 25 ss.; E. Ferenczy, Clientela e schiavitù nella repubblica romana primitiva, in Index 8 (1978-1979), 167 ss.; N. Rouland, La clientela nell’età del principato, in Labeo 29 (1983), 191 ss.; J.H. D’Arms, Control, companionship, and clientela. Some social functions of the Roman communal meal, in Classical Views 28 (1984), 327 ss.; G. Franciosi, Una ipotesi sull’origine della clientela, in Labeo 32 (1986), 263 ss.; J. Rich, Patronage and interstate relations in the Roman Republic, in Patronage in Ancient Society, New York 1989, 117 ss.; F. De Martino, Nota minima sulla clientela, in Index 22 (1994), 343 ss.; M.A. Levi, Da clientela ad amicitia, in Epigrafia e territorio. Politica e Società. Temi di antichità romane, Bari 1994, 375 ss.; R. Astolfi, L’endogamia della clientela gentilizia, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 60 (1994), 75 ss.; M.A. Levi, Clientela e fides, in Rendiconti dell’Accademia Lombarda 9ª serie, 7 (1996), 677 ss.; A. Ziolkowski, La scomparsa della clientela arcaica, in Athenaeum 87 (1999), 369 ss.; P.J. Burton, Clientela or amicitia? modeling Roman international behavior in the Middle Republc (264-146 B.C.), in Klio 85.2 (2003), 333 ss.

 

[57] Sul punto si veda per tutti E. FABBRINI, L'impero di Augusto come ordinamento sovranazionale, Milano 1974.

 

[58] Rimando alle proposte di modifica del passo formulate da Th. Mommsen-P. Krueger, Corpus Iuris Civilis I, Berlin 1899, 833 n. 8, nel quale si propone l’eliminazione del primo sive e da O. Lenel, Palingenesia iuris civilis II, Lipsia 1889, 166. Vedi anche: F. Bona, Postliminium in pace, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 21 (1955), 249 ss.; C. Krampe, Proculi Epistulae. Eine friihklassische Juristenschrift, Karlsruhe 1970; A. Maffi, Ricerche sul postliminium, Milano 1992, 128.

 

[59] Vedi anche Liv. perioch. 15: Victis Tarentinis pax et libertas data est.

 

[60] C. Dietzfelbinger, v. maiestas -atis, in Thesaurus Linguae Latinae VIII fasc. I m-malachim, Lipsiae 1936, coll. 152 ss.

 

[61] Liv. 45.18.2.

 

[62] Così F. De Martino, Storia della costituzione romana III, cit., 143.

 

[63] Cic. Phil. 6.19. Vedi anche 3.36: Ad decus et ad libertatem nati sumus.

 

[64] P.M. Martin, Esclaves ou citoyens? La référence à Rome dans le débat sur les esclaves noirs avant et pendant la révolution française, cit., 197.

 

[65] Per il significato del termine natio rimando a Ae. Forcellini, Totius latinitatis Lexicon (consilio et cura J. Facciolati) III, Patavii 1771, v. natio, onis, 188; A. Ernout-A. Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots, cit., v. nascor, -eris, natus sum, nasci, 429 s.

 

[66] Sul punto rimando al famoso passo Verg., Aen. 6.851-853: Tu regere imperio populos Romane memento: / haec tibi erunt artes, pacisque imponere morem, / parcere subiectis et debellare superbos. Nei celebri versi dell’Eneide, caratterizzati secondo F. Schulz «d’imperialismo giuridico» (I principii del diritto romano (trad. it. di V. Arangio-Ruiz), Firenze 1946, 103), la responsabilità di imporre l’imperium agli altri popoli e dare loro la pace, risparmiando quanti si sottomettono ma stroncando chi si oppone, differenzia i Romani dalle altre popolazioni. Sull’interpretazione del passo rimando per tutti a F. Sini, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto internazionale antico”, cit., 240 s., bibliografia ivi. Sulla politica augustea sottesa al passo, si veda: F. Fabbrini, L'impero di Augusto come ordinamento sovrannazionale, cit., 114; L. Braccesi, Epigrafia e storiografia. Interpretazioni augustee, Napoli 1981; V. Ilari, v. Imperium, in Enciclopedia Virgiliana II, Roma 1984, 927 ss.

 

[67] Cic. Phil. 3.35-36.

 

[68] Interessante l’analisi dei termini usati da Cicerone operata da J.-F. Thomas, Déshonneur et honte en latin: étude sémantique, Leuven 2007, 39 ss.

 

[69] Si veda Leissner, Thesaurus Linguae Latinae, V.1 fasc. I d-decus (Lipsiae 1910) e fasc. II decus-demergo (Lipsiae 1910), v. decus, -oris, coll. 235 ss.

 

[70] Si veda Thesaurus Linguae Latinae, V.1 fasc. V dicio-dimico, Lipsiae 1913, v. dignitas, -ātis, coll. 1133 ss.

 

[71] In materia rinvio, tra la sterminata bibliografia, a: U. Coli, Saggi critici sulle fonti del diritto romano. I. Capitis deminutio, Firenze 1922 (= Id., Scritti di diritto romano 1, Milano 1973), 55 ss.; G. Nicosia, Prigionia di guerra e perdita della libertà nell’esperienza giuridica romana, in Actes du XIX Colloque Internationale GIREA, Napoli 1966, 39 ss.; Id., «Servus hostium» e «capitis deminutio», in Index 39 (2011), 274 ss.; M.F. Cursi, ‘Captivitas’ e ‘capitis deminutio’. La posizione del ‘servus hostium’ tra ‘ius civile’ e ‘ius gentium’, in Iuris vincula. Studi in onore di Mario Talamanca II, Napoli 2001, 395 ss.; L. D’Amati, Civis ab hostibus captus. Profili del regime classico, Milano 2004, 75 ss.; M.V. Sanna, Capitis deminutio e captivitas, cit., http://www.dirittoestoria.it/6/Tradizione-romana/Sanna-MV-Capitis-deminutio-captivitas.htm.

 

[72] D. 4.5.11 (Paulus libro 2 ad sab.).

 

[73] Vedi altre fonti che contrappongono la libertà civile dell’individuo alla schiavitù: Cic. De off. 1.38: Et hoc simul accipe dictum: Quorum virtuti belli Fortuna pepercit, Eorundem libertati me parcere certum est. Dono, ducite, doque volentibus cum magnis dis; Caes. De bell. Gall. 3.10: Omnes autem homines natura libertati studere et condicionem servitutis odisse.

 

[74] Sul punto interessante lo stralcio del discorso di Catone riportato da Festo che pone sullo stesso piano ius, lex, libertas e res publica cui tutti i cives romani devono godere, a fronte di gloria ed onore da costruirsi nella sfera personale. Fest. 408 L s.v. struere: iure, lege, libertate republica communiter uti oportet; gloria atque honore, quomodo sibi quisque struxit.

 

[75] L. Bruno, Libertas plebis in Tito Livio, cit., 109 ss.

 

[76] L. Bruno, Libertas plebis in Tito Livio, cit., 117.

 

[77] Questo postulato porterebbe a voler individuare, secondo il pensiero moderno, una necessaria uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Tuttavia a Roma l’uguaglianza davanti alla legge non comportava necessariamente che tutti i consociati avessero uguali diritti, perché non tutti versavano nella stessa condizione. Rinvio, sul punto, alle riflessioni di C. Nicolet, Il mestiere di cittadino nell’antica Roma, cit., 33 ss.; Id., Il cittadino, il politico, cit., 8 ss.; G. Crifò, Libertà e uguaglianza in Roma antica. L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, cit., 7.

 

[78] Si veda D. 1.1.10 (Ulpianus lib. 1 reg.): Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. 1. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere. Cic. De leg. 1.6.19: Itaque arbitrantur prudentiam esse legem, cuius ea vis sit, ut recte facere iubeat, vetet delinquere, eamque rem illi Graeco putant nomine ‘nómon’ a suum cuique tribuendo appellatam, ego nostro a legendo; Cic. De fin. 5.23.65: Quae animi affectio suum cuique tribuens atque hanc quam dico societatem coniunctionis humanae munifice et aeque tuens iustitia dicitur; 5.23.67: Atque haec coniunctio confusioque virtutum tamen a philosophis ratione quadam distinguitur. Nam cum ita copulatae conexaeque sint, ut omnes omnium participes sint nec alia ab alia possit separari, tamen proprium suum cuiusque munus est, ut fortitudo in laboribus periculisque cernatur, temperantia in praetermittendis voluptatibus, prudentia in dilectu bonorum et malorum, iustitia in suo cuique tribuendo; Cic. De nat. deorum 3.15.38: Nam iustitia, quae suum cuique distribuit, quid pertinet ad deos; hominum enim societas et communitas, ut vos dicitis, iustitiam procreavit.

Su giustizia ed uguaglianza a Roma, tra i tantissimi, rimanda a: A. Carcaterra, Iustitia nelle fonti e nella storia del diritto romano, in Atti del congresso internazionale di diritto romano e di storia del diritto (Verona 27-28-29/9/1948) II, Milano 1951, 37 ss.; C. Gioffredi, Sul problema del diritto soggettivo nel diritto romano, in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano 70 (1967), 231 ss.; A. Burdese, Sul concetto di giustizia nel diritto romano, in Annali di storia del diritto XIV-XVII (1970-1973), 103 ss.; W. Waldstein, Zu Ulpians Definition der Gerechtigkeit (D. 1.1.10 pr.), in Festschrift für Werner Flume zum 70. Geburtstag I, Köln 1978, 225 ss.; U. Von Lübtow, Die Anschauungen der römischen Jurisprudenz über Recht und Gerechtigkeit, in Studi in onore di Cesare Sanfilippo 6, Milano 1985, 526 ss.; M. Diesselhorst, Die Gerechtigkeitsdefinition Ulpians in D. 1.1.10 pr. und die Praecepta iuris nach D. 1.1.10.1 sowie ihre Rezeption bei Leibniz und Kant, in Römisches Recht in der europäischen Tradition. Symposion aus Anlaß des 75. Geburtstags von Franz Wieacker (Hrsg. von Okko Behrends), Ebelsbach 1985, 185 ss.; P. Cerami, ‘Ordo legum’ e ‘ iustitia’ in Claudio Trifonino, in Annali del Seminario giuridico della Università di Palermo 40 (1988), 5 ss.; F. Gallo, Diritto e giustizia nel titolo primo del Digesto, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 54 (1988), 19 ss. (= Id., Opuscula selecta, Padova 1999, 605 ss.); Id., L’interpretazione del diritto è affabulazione?, Milano 2005, 38 ss.; Id., Aspetti peculiari e qualificanti della produzione del diritto nell’esperienza romana, in Iura 65 (2003), 1 ss.; T. Honoré, Ulpian. Pioneer of human rights 2, Oxford 2002, 215 ss.; L. Peppe, ‘Jedem das Seine’,«(uni)cuique suum», ‘a ciascuno il suo’, in Tradizione romanistica e Costituzione (diretto da L. Labruna, a cura di M.P. Baccari-C. Cascione), Napoli 2006, 1707 ss.

 

[79] Sul punto rinvio al fondamentale G. Rotondi, Osservazioni sulla legislazione comiziale romana di diritto privato (1910), ora in Id., Scritti giuridici I, Milano 1922, 2 ss., per cui la lex rogata è la principale fonte del diritto pubblico attraverso la quale si attuano quelle riforme relative all’organizzazione delle magistrature e la loro stessa istituzione, all’organizzazione della giustizia penale, all’introduzione di provvedimenti fiscali o di polizia, e dello stesso autore Leges Publicae populi romani, Milano 1912. Contra W. Kunkel, Gesetzesrecht und Gewohnheitsrecht in der Verfassung der römischen Republik (1970), in Id., Kleine Schriften, Weimar 1974, 368 ss. che ritiene l’intervento per legem meno rilevante, limitandolo a non più di 50 leges, da cui vanno ulteriormente escluse circa 20 di scarsa credibilità. Sul rilievo della lex nel sistema giuridico romano, della ampia bibliografia rinvio a: Th. Mommsen, Disegno del diritto pubblico romano, (trad. it. di P. Bonfante, rist. an. ed. 1943), Milano 1973, 377 ss.; V. Arangio-Ruiz, La régle de droit et la loi dans l’antiquité classique, in L'Égypte contemporaine 29 (1938), 17 ss. (= Rariora, Roma 1946, 231 ss.); G. NOCERA, Il potere dei comizi, Milano 1940; C. GIOFFREDI, Ius, lex, praetor, in Studia ed Documenta Historiae et Iuris XII (1946), 186 ss.; P. FREZZA, Preistoria e storia della «lex publica», in Archives de droit privé 16 (1953) 54 ss.; G. TIBILETTI, Sulle leges romane, in Studi in onore di P. de Francisci IV, Milano 1956, 347 ss.; G. BROGGINI, Ius lexque esto, in Ius et Lex. Festgabe für Max Gutzwiller, Basel 1959, 23 ss.; F. SERRAO, Ius e lex nella dialettica costituzionale della prima repubblica. Nuove riflessioni su un vecchio problema, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall'età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al Prof. Filippo Gallo II, Napoli 1997, 294 ss.; J.-L. FERRARY, Chapitres tralatices et références à des lois antérieures dans les lois romaines, in Mélanges de droit romain et d’histoire ancienne. Hommage à la mémoire de André Magdelain, Paris 1998, 69 ss.; C. WILLIAMSON, The Laws of the Roman People. Public Law in the Expansion and Decline of the Roman Republic, Ann Arbor 2005, 3 ss.; V. MANNINO, Questioni di diritto, Milano 2007, 74 ss.; D. MANTOVANI, Legum multitudo e diritto privato. Revisione critica della tesi di Giovanni Rotondi, cit., 707 ss.

 

[80] Si veda in particolare E. BETTI, Le origini giuridiche e lo svolgimento politico del conflitto tra Giulio Cesare e il senato romano sino allo scoppio della guerra civile, Città di Castello 1915, ripubblicato - a cura di G. Crifò - in Id., La crisi della repubblica e la genesi del principato in Roma, Roma 1982, 217 ss.

 

[81] Definisce «espunzione sistematica» l’opera dei compilatori del Digesto che esclusero le leges publicae ben presenti negli scritti dei giuristi classici D. Mantovani, Legum multitudo e diritto privato. Revisione critica della tesi di Giovanni Rotondi, cit., 740. Vedi inoltre 709 ss. in cui l’A. precisa che «negli ultimi anni si è da più parti richiamata l’attenzione sulla parzialità dell’informazione di cui disponiamo a proposito delle leges, che soffre gravemente della selezione operata dagli autori antichi in funzione degli intenti di volta in volta da ciascuno perseguiti» ed in part. nn. 10 e 11.

 

[82] Si veda, per tutti, il fondamentale G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, cit., 46 ss.

 

[83] D. 1.2.2.2 (Pomponius lib. sing. ench.): Postea aucta ad aliquem modum civitate ipsum Romulum traditur populum in triginta partes divisisse, quas partes curias appellavit propterea quod tunc reipublicae curam per sententias partium earum expediebat. Et ita leges quasdam et ipse curiatas ad populum tulit: tulerunt et sequentes reges. Quae omnes conscriptae exstant in libro sexti Papirii, qui fuit illis temporibus, quibus superbus Demarati Corinthii filius, ex principalibus viris. Is liber, ut diximus, appellatur ius civile Papirianum, non quia Papirius de suo quicquam ibi adiecit, sed quod leges sine ordine latas in unum composuit. Sul passo ed in particolare sulle analisi intorno alle leges regiae rinvio ad A. WATSON, Roman Private Law and the 'leges regiae', in The Journal of Roman Studies LXII (1972), 100-110; S. TONDO, 'Leges regiae' e 'paricidas', Firenze 1973; P. MAROTTOLI, 'Leges sacratae', Roma 1979, 91 ss.; A. GUARINO, L’ordinamento giuridico romano, Napoli 1990, 129 ss.; F. GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto, Torino 1993, 28 s.; B. SANTALUCIA, Studi di diritto penale romano, Roma 1994, 146 nt. 2; C.A. Cannata, Per una storia della scienza giuridica europea I, Dalle origini all’opera di Labeone, Torino 1997, 40 ss.; D. Mantovani, Le due serie di leges regiae, in Rendiconti dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere (Cl. Lettere), 136 (2002), 59 ss. [= Seminarios Complutenses de Derecho Romano, Madrid, 2004].

 

[84] G. Crifò, Normazione e libertà. Il rapporto tra legislazione alto repubblicana ed identità civica, cit., 353.

 

[85] Si vedano, in particolare, i passi di Tacito (Annales 3.26) e Pomponio (D. 1.2.2.1) meglio analizzati supra.

 

[86] Vedi supra Cic. pro Cluent. 146.

 

[87] G. Crifò, Normazione e libertà. Il rapporto tra legislazione alto repubblicana ed identità civica, cit., 353.

 

[88] G. Crifò, Libertà e uguaglianza in Roma antica, L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, cit., 17 s. per il quale «il diritto non è soltanto una istituzione della libertà; ma a Roma, almeno, lo si può considerare piuttosto come la realizzazione tendenzialmente completa di quelle oggettivazioni della libertà che costituivano la libertà reale dei romani».

 

[89] Si veda, ad esempio, Pomponio che parla espressamente di leggi curiate, D.1.2.2.2-3 (Pomponius lib. singulari enchiridii): Postea aucta ad aliquem modum civitate ipsum Romulum traditur populum in triginta partes divisisse, quas partes curias appellavit propterea quod tunc reipublicae curam per sententias partium earum expediebat. Et ita leges quasdam et ipse curiatas ad populum tulit: tulerunt et sequentes reges.

 

[90] G. Crifò, Libertà e uguaglianza in Roma antica, L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, cit., 20.

 

[91] Sul punto si devono ricordare quelle teorie che, estremizzando il concetto espresso, ritengono l’esistenza di due soli status (civitatis e familae), sostenendo che non esista a Roma una forma di libertà che sia autonoma dalla cittadinanza. Tale dottrina si fonda sulle idee espresse da E. Betti, Istituzioni di diritto romano, Padova 1942, 37 ss.; Ch. Wirszubski, Libertas as a Political Idea at Rome during the Late Republic and Early Principate, Cambridge 1950, 3 ss.; E. Volterra, Istituzioni di diritto romano, Roma 1961, 50 ss.

 

[92] Gell., Noct. Att. 10.3.13: Complorationem deinde tam acerbae rei et odium in Verrem detestationemque aput civis Romanos inpense atque acriter atque inflammanter facit, cum haec dicit: O nomen dulce libertatis! O ius eximium nostrae civitatis! O lex Porcia legesque Semproniae! O graviter desiderata et aliquando reddita plebi Romanae tribunicia potestas! Hucine tandem haec omnia reciderunt, ut civis Romanus in provincia populi Romani, in oppido foederatorum, ab eo, qui beneficio populi Romani fasces ac secures haberet, deligatus in foro virgis caederetur? Sull’analisi dello status libertatis rimando a: G. Melillo, Personae e status in Roma antica, Napoli 2006, 16 s.; C. Nicolet, Citoyenneté française et citoyenneté romaine: essai de mise en perspective, cit., 166.

 

[93] Sull’interdipendenza delle partes della civitas e la loro connessione con la libertà vedi G. Crifò, Normazione e libertà. Il rapporto tra legislazione alto repubblicana ed identità civica, cit., 351 s. e in part. L. Labruna, Civitas quae est constitutio populi e altri studii di storia costituzionale romana, Napoli 1999, 20; per l’A. la civitas si fonda sull’interdipendenza di tre partes: rex prima e poi magistrati, senato e popolo. L’organizzazione e i meccanismi di funzionamento di queste partes pongono le basi della crescita stessa della res publica. Dunque si può affermare che la cittadinanza «fonda e struttura l’ordinamento dello Stato».

 

[94] G. Crifò, Libertà e uguaglianza in Roma antica, L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, cit., 31.

 

[95] Si veda in particolare quanto la semplice dichiarazione di essere cittadino romano comportasse maggiori garanzie nei confronti del potere e dunque maggiore libertà: Cic. In Verr. 2.5.162: Caedebatur virgis in medio foro Messanae civis Romanus, iudices, cum interea nullus gemitus, nulla vox alia illius miseri inter dolorem crepitumque plagarum audiebatur nisi haec, ‘Civis Romanus sum’; 167: Hac una tamen fiducia civitatis non modo apud nostros magistratus, qui et legum et existimationis periculo continentur, neque apud civis solum Romanos, qui et sermonis et iuris et multarum rerum societate iuncti sunt, fore se tutos arbitrantur, sed, quocumque venerint, hanc sibi rem praesidio sperant futuram. Rinvio a C. Nicolet, Il mestiere di cittadino nell’antica Roma, cit., 409 s.; J. Gaudemet, Les romains et les “autres”, in La nozione di «romano» tra cittadinanza e universalità, cit., 9.

 

[96] Per il discorso sorto in dottrina sulla portata effettiva della libertà del cittadino vedi C. Nicolet, Il cittadino, il politico, cit., 11, il quale ha sostenuto che il cittadino sia in qualche modo ‘debitore’ verso la civitas: «il cittadino è, per la natura stessa delle cose, un soldato che può essere mobilitato, un contribuente, un elettore ed eventualmente anche un candidato a determinate funzioni». Questa concatenazione di diritti e obblighi ha fatto ritenere che, in un certo qual modo, la libertà privata dei cittadini fosse limitata. L’essere cittadino romano comportava grandi vantaggi e privilegi, tanto che spesso si è evidenziata la portata utilitaristica dell’appartenenza alla vita civica, vista come una ‘associazione naturale’ in cui si soppesano costantemente vantaggi e obblighi. Per l’A. il singolo cittadino in realtà non è libero di esprimersi per quel che riguarda decisioni di rilevanza pubblica, perché egli non può scegliere di cosa discutere o di modificare la portata della questione per cui viene interpellato, non può neanche decidere di riunirsi autonomamente in assemblea.

 

[97] In questo senso la libertà si connette strettamente all’uguaglianza nel rapporto tra civitas e individuo e nello scopo comune dell’individuazione della misura migliore da adottare tra i loro rapporti come affermato dalle classiche teorie dei costituzionalisti F. Racioppi-I. Brunelli, Commento allo statuto del Regno II, Torino 1909. Si veda anche G. Crifò, Libertà e uguaglianza in Roma antica, L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, cit., 9.

 

[98] Vedi G. Crifò, Libertà e uguaglianza in Roma antica, L’emersione storica di una vicenda istituzionale II, cit., 20.

 

[99] Esempio è dato dall’affrancatura del servus, vedi Liv. 2.5.35: Secundum poenam nocentium, ut in utramque partem arcendis sceleribus exemplum nobile esset, praemium indici pecunia ex aerario, libertas et civitas, data. Ille primum dicitur vindicta liberatus; quidam vindictae quoque nomen tractum ab illo putant; Vindicio ipsi nomen fuisse. Post illum observatum ut qui ita liberati essent in civitatem accepti viderentur.

 

[100] Contrario R. Danieli, A proposito di libertas, in Studi in onore di Pietro de Francisci 1, Milano 1956, 548, per il quale i due termini indicano la medesima situazione.