Università di Bari “Aldo Moro”
ABSTRACT: Il denominatore comune delle tante laicità, a livello
mondiale ed europeo, è la distinzione degli ordini e delle attribuzioni,
che è il nucleo più ristretto ed essenziale della laicità
dello Stato, valido per qualsiasi modello od orizzonte geografico in Occidente.
Le radici lontane della laicità sono individuabili nel periodo che va
dal primo al quarto secolo e, successivamente, si sono sviluppate (sino al 1054
d.C.) nel senso della sinfonia fra sacerdotium ed imperium. Sono
stati poi i vissuti dei popoli ed i loro ordinamenti ad atteggiarsi nelle
formule che conosciamo, ponendo anche le basi di quelle che potremmo conoscere
in futuro. Attualmente nell'Unione Europea ricevono dappertutto tutela (e ne
riceveranno sempre maggiore) il diritto di credere accanto al diritto di non
credere, le organizzazioni di libero pensiero accanto alle confessioni
religiose, nonché la condizione della donna e di quanti, in passato,
hanno subito discriminazioni di razza e di qualsiasi genere. E in tal senso che
può parlarsi di una “laicità europea” e della sua
evoluzione.
Alla luce delle
comunicazioni svolte e dei vari interventi del nostro colloquio internazionale
è emerso che il concetto di laicità non ha un significato
univoco, ma varia, assumendo caratteri e sfumature diversi, a seconda dei
settori d’indagine, dei campi specifici in cui viene esaminato.
E' tuttavia
possibile fissare un denominatore comune, che, come tale, deve contenere il
minimo delle estensioni o delle implicazioni possibili in campo giuridico,
politico, storico e filosofico.
1. – La prima considerazione, che intendo produrre, concerne la
definizione del principio di laicità dello Stato in questa accezione
minimale, costituente la base di una sorta di laicità
“europea”, evitando peraltro di essere semplicista a fronte di
fenomeni così complessi. Tale principio può essere espressamente
ricollegato all'estraneità per lo Stato dell'elemento religioso, come in
Francia,
ovvero, come in Italia, alla libertà religiosa,
all'uguaglianza giuridica ed, essenzialmente, alla distinzione fra ordine
spirituale e ordine temporale, che si riconduce comunemente a Gelasio I (494
d.C.) ed, ancor prima, alla separazione fra le appartenenze di Dio e quelle
proprie del potere terreno, così come formulata dalla famosa ed
insuperata massima evangelica circa il tributo a Cesare (Matteo, 22,21).
Su di essa si
fonda, non solo a mio avviso, una delle principali peculiarità della
tradizione politico-giuridica occidentale, di cui è indubitabile la
matrice cristiana, mentre conosciamo gli svolgimenti, non sempre conseguenti,
riconducibili all'armatura di pensiero teologico-giuridico della Chiesa
cattolica
(Condorelli). Tale
tradizione, sostanzialmente dualista, si oppone alla concezione
tendenzialmente monista, accolta dall'Islam, che ebbe origine
nell'antichità. Oggi si danno versioni edulcorate di tale concezione,
rappresentativa di una realtà molto frastagliata (Charfi – Dammacco), ma va
riconosciuto che in Occidente il confronto fra “le due spade”, fra
potere religioso e potere civile-politico, è stato continuo, complesso e
non raramente conflittuale, onde affermare, con i mezzi di volta in volta
consentiti, la supremazia dell'uno sull'altro e viceversa.
Sono stati forse
questi svolgimenti deteriori, che hanno oscurato il principio del dualismo di
vincoli e funzioni, ad indurre uno dei massimi esperti dell'antica Roma, Paul
Weine (storico ed archeologo), ed altri con lui in questo colloquio, a cercare
di superare quello che sarebbe stato un pregiudizio: Dio e accanto a Lui
Cesare, in quanto personificazione del potere terreno, innalzato sino al
vertice indeclinabile della trascendenza; null'altro i due termini esprimerebbero
se non un luogo comune, in base a cui l'Europa continuerebbe, senza ragione, ad
essere debitrice al cristianesimo della separazione della politica dalla
religione. In realtà, secondo la linea culturale sostenuta da Weine, fu
proprio con il trionfo del cristianesimo che le relazioni tra religione e
potere avrebbero cessato di essere superficiali (pur senza confusione delle
relative sfere di dominio), furono teorizzate e sistematizzate.
Dio e Cesare non
avrebbero più agito ciascuno dalla propria parte, Dio avrebbe cominciato
a pesare su Cesare, per cui bisognava che Cesare rendesse a Dio ciò che
era di Dio. Al contrario crediamo che sia stata proprio la creazione graduale
di una “struttura” politico-religiosa forte, di stampo dualista, ad
impedire che il cristianesimo esigesse dall'imperatore o dai re ciò che
il paganesimo potrebbe aver richiesto al potere.
La riconosciuta
superficialità delle relazioni confina, infatti, con la confusione dei
differenti poteri e relative sfere di dominio, proprie di alcune società
ai loro primordi. Non a caso le prime cinque comunicazioni presentano, per
l'antichità, un quadro in cui le relazioni fra religione e potere
possono qualificarsi allo stato embrionale, nonostante la distinzione fra sacerdotes
e magistratus.
Le radici della
laicità sono individuabili proprio dal primo al quarto secolo e,
successivamente (sino al 1054 d.C.), si sono sviluppate nel senso della
sinfonia fra sacerdotium e imperium, fra potere religioso e
potere secolare tanto in Occidente quanto in Oriente (desidero qui ricordare le
comunicazioni di Siniscalco, Baccari e Ventrella Mancini da una parte; di Pitsakis e di Codevilla
dall'altra).
Vista la
questione in questi termini, laicità e dualità del potere vanno
riguardate tanto “prospetticamente”, quale occasione di una
riflessione esegetica e teologica (direi anche giuridica), che porti ad una
“rideclinazione” del significato del messaggio evangelico per il
mondo, quanto in primo luogo retrospettivamente, come esito di un
percorso non solo giuridico ed ineludibile (perché altrimenti si
rinnegherebbe il valore della dimensione storica), che renda giustizia alle
parole tratte dal Vangelo, correttamente intese, secondo una prospettiva basica
di conoscenza, come direttive o linee-guida perché «la dimensione
politica e lo Stato riprendano coscienza di sé» (Rizzi).
2. – La seconda considerazione che si
avanza, dopo questo breve excursus fra presente e passato, attiene al
dato attualmente più probante, consistente in una sorta di “geopolitica
della laicità”, ponendosi da più parti in evidenza come nel
mondo odierno essa sia intesa in varie maniere, perfino contraddittorie tra
loro (Incampo). Lo ha asserito,
fra gli altri, con incisività Benedetto XVI nel discorso che ha rivolto,
il 9 dicembre 2006, ai Giuristi Cattolici Italiani partecipanti al 56°
convegno nazionale di studio sul tema “La laicità e le
laicità”. Una di esse, veramente sui generis e di non
facile comprensione, è quella ben illustrata da TORRE a proposito del
Regno Unito.
Proprio per
tutto ciò anche per la Chiesa Cattolica, al pari di differenti
confessioni e denominazioni religiose, la laicità non può
considerarsi immobile, un assoluto fuori del tempo, bensì il prodotto
maturo di processi storici, di mutamenti sociali, nonché di precisi
fondamenti filosofico-giuridici e di risposte confessionali. La laicità
indicava originariamente lo stato di membro della Chiesa, di colui che faceva
parte del popolo di Dio, in un'accezione che lo opponeva agli appartenenti al
clero ed allo stato religioso.
Solo
successivamente, nel Medioevo, essa ha rivestito un significato ricollegabile
prevalentemente al contrasto tra le gerarchie ecclesiastiche ed i poteri
civili, con salvezza del suo nucleo più ristretto ed essenziale
ravvisabile, come sappiamo, nella distinzione fra potere religioso e potere
civile politico, nella progrediente rivisitazione delle attribuzioni dello
Stato e della Chiesa, delle res mixtae, nonché delle aspettative
e delle esigenze della Chiesa stessa nel suo ultrasecolare, permanente
confronto con lo Stato e la comunità politica, specialmente nel c.d.
“perimetro forte” della grande conflagrazione fra Stato e Chiesa
cattolica (Italia, Francia, Penisola iberica).
Dopo le
divisioni provocate, nel XVI e XVII secolo, all'interno della comunità
cristiana dalla riforma protestante (Tamm),
a cui fece seguito la controriforma, che resta uno degli eventi più
fecondi della storia umana del cattolicesimo, si è giunti ad
identificare il principio di laicità (o di non confessionalità)
alla stregua di una condizione di autonomia della politica dalla sfera
religiosa, nel senso della possibilità per l'uomo e per la donna di
raggiungere la verità, prescindendo dalla fede.
Il passaggio
ulteriore ha permesso di assistere, quasi un epilogo del “tragico”
distacco della Chiesa e di altre confessioni dalla modernità, al
tentativo di confinare la religione ed i suoi simboli nell'ambito del privato e
della coscienza individuale con esclusione dalla vita pubblica, dai vari
settori della società.
Lo Stato laico
si esprimerebbe, nella forma più genuina, nella totale separazione dalle
istituzioni ecclesiastiche; la Chiesa cattolica e le rimanenti confessioni
religiose non dovrebbero intervenire, con strategie mirate di presenza, nel
raggio dei c.d. temi sensibili, dal
divorzio all'aborto, ai simboli religiosi nei locali pubblici, alla posizione
delle coppie di fatto, alla procreazione medicalmente assistita, all'eutanasia,
alla bioetica in genere e così via. Siamo di fronte alla laicità,
come oggi sovente viene intesa in vari settori della pubblica opinione in
Italia ed altrove.
Secondo gli
esponenti di alcuni ambienti cattolici in Italia e in Francia, il dibattito
sulla laicità degli anni a noi più vicini avrebbe, in fondo,
spiegato che è la storicità del soggetto ecclesiale ad essere
messa in discussione insieme con il modello di presenza della Chiesa nella
storia. La responsabilità laicale sarebbe sempre più predicata e
sempre meno praticata. In quest'ottica il nodo è il tema del popolo di
Dio (che è il tema rimosso per eccellenza), unitamente con la forma di
Chiesa ad esso connessa.
3. – La terza osservazione, di fronte a
quanto abbiamo ascoltato in questi due giorni (anche nelle comunicazioni in cui
vengono affrontati temi specifici), attiene all'emergente rilievo della
“religione o coscienza del popolo”, con ascendenti nobili nel mondo
romano e nei Padri della Chiesa, specialmente in Agostino.
Contro una
concezione estrema della laicità, diventata quasi l'emblema distintivo
del mondo post-moderno, della secolarizzazione della società, richiamata
egregiamente da Padre Farrugia,
viene rammentato il compito di tutti i credenti, in particolare dei cristiani,
di contribuire ad elaborare un concetto di laicità che, senza
misconoscere a Dio e alla sua legge morale il posto che loro spetta, affermi e
rispetti la «legittima autonomia della realtà terrena»,
cioè che «le cose create e le stesse società hanno leggi e
valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare» (G.S.,
36).
In un simile contesto,
secondo il Pontefice regnante, non potendo darsi autonomia delle realtà
terrene se non nei riguardi delle competenze ecclesiastiche (mai dall'ordine
morale), è il popolo – ecco la novità da evidenziare
– che deve decidere liberamente i modi più consoni di organizzare
la vita politica, non potendo essere la Chiesa-istituzione, le altre
confessioni o ideologie ad assolvere il compito di indicare quale sia
l'ordinamento politico-sociale da scegliere. Per converso lo Stato veramente
laico non può considerare la religione alla stregua di un sentimento
individuale, da confinare esclusivamente nella sfera privata, come sembra
emergere, salve le zone di esenzione, dalla laicità francese, che
costituisce un modello poco seguito nel contesto europeo.
4. – La quarta ed ultima considerazione
attiene alla forte opzione dell'Occidente in favore della democrazia.
Un brano molto
suggestivo, considerato impreciso, oggetto di molteplici critiche negative,
accompagnava lo sfortunato trattato che adottava una Costituzione per l'Europa:
«la nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere non
è nelle mani di pochi, ma dei più» (Tucidide, II,37). Senza
ripercorrere le radici greche del passo, che indirizzano verso la distinzione dalla
monarchia e dall'oligarchia, il significato più pregnante del termine
democrazia è possibile rapportarlo, nell'odierna temperie dei rapporti
sociali, a quelle situazioni in cui, al di là delle connotazioni
negative, «tutto emana dal popolo e in esso rientra» (Berlin). Occorre evitare la tentazione
di vedere nella regola della maggioranza il criterio a cui ricondurre la
legislazione e la prassi amministrativa. Scriveva Alexis de Tocqueville che la “tirannide della
maggioranza” nasce anche in una democrazia allorché si identifica
la maggioranza con la volontà generale del popolo, ignorando quella
parte della società, che, per essere minoranza, non può
governare. Eppure, scriveva ancora questo attraente paladino della
liberal-democrazia, «è nell'essenza stessa dei governi democratici
che il dominio della maggioranza sia assoluto; poiché fuori della
maggioranza, nelle democrazie, non vi è nulla che resista».
Nessuna
negazione né occultamento del fenomeno delle minoranze, dunque, come
avviene in Francia; né, per converso, loro tutela privilegiata, passando
dalla c.d. ragione “dei più”, dalla dittatura della
maggioranza, ad un mal celato complesso verso le minoranze, siano esse
religiose, etniche o linguistiche. Non per tanto, l'equilibrata salvaguardia
delle medesime garantisce le democrazie dal pericolo della disgregazione.
Lasciamo da
parte lo Stato-Dio ed i rapporti fra religioni ed ateismi (Lobrano – Colaianni), che possono
reputarsi momenti di cultura elitaria o segmenti nella storia e nel pensiero
europei fino ai nostri giorni. La soluzione finale del problema rimanda alla
formazione intrinseca del cittadino. Parafrasando Rawls, è possibile
asserire che la laicità, battistrada della democrazia, va vissuta ed
alimentata sino a coinvolgere in una sorta di “ragione pubblica”
tutto il popolo, senza distinguerne la matrice confessionale, in quanto
composto da persone responsabili delle proprie scelte e del proprio destino.
In ultima
analisi, la realizzazione della società democratica attraverso il filo
conduttore della laicità e delle laicità, la
crescente configurazione della democrazia e della laicità in termini di
tolleranza, eguaglianza, accoglienza e pluralismo, rappresentano compiti che
spettano, secondo la più attenta giuspubblicistica secolare e nello
sviluppo del pensiero della Chiesa cattolica, ai cittadini ed ai fedeli (se si
vuole, al civis-fidelis della tradizione classica), se è vero che
la dinamica della democrazia non è una lezione suscettibile di essere
impartita dall'alto.
È dunque
la responsabilità dei singoli individui, visti come parte del tutto -
come popolo (su cui ha posto l'accento il collega BOUINEAU), che
dovrebbe innalzare il tono democratico e laico di una società tanto
nell'ottica statualistica quanto per la Chiesa cattolica e, in forza di
analoghe ragioni, per alcune delle altre confessioni storiche.
Perfino l'Islam,
come abbiamo visto nel corso del colloquio, non può evitare il confronto
con questa non eludibile spinta popolare. Un caso a parte rappresenta la
Turchia (Demaldent), in cui,
mentre gli apparati statali continuano ad affermare l'opzione europea, prende
sempre più corpo una contraddittoria laicità, sorretta dai
difensori dello Stato fondato da Atatürk, che continuano a farsi promotori
di provvedimenti (mi si perdoni il termine) sostanzialmente antidemocratici.
Ciò comprova che la laicità assoluta, pura, è un concetto
astratto, fuori della realtà, specie se disancorato dalla volontà
popolare.
5. – Ci riannodiamo, ora, all'interrogativo iniziale di
BOUINEAU ed alle sue considerazioni finali: in questo colloquio italo-francese
non vi è stata materia, secondo chi parla, per una seconda disfida di
Barletta. Distinzione degli ordini, propria del modello italiano, e neutralità
religiosa, che caratterizza il modello francese, non sono termini o
idealità in opposizione fra di loro nel quadro delle acquisizioni sulla relatività
dell’applicazione dei concetti giuridici o comunque assunti nella sfera
del diritto.
Come negli altri
Stati europei, la stessa storia francese si è costruita sulla
dualità del potere o sul dualismo cristiano di vincoli e funzioni e la
grande rivoluzione non ne ha tagliato le radici: come ho già detto, la
distinzione degli ordini e delle attribuzioni è il nucleo più
ristretto ed essenziale della laicità, valido per qualsiasi modello od
orizzonte geografico in Occidente. Sono stati poi i vissuti dei popoli e i loro
ordinamenti ad atteggiarsi nelle formule che conosciamo o che potremmo
conoscere in futuro.
Desidero
rammentare che, attualmente, dappertutto nell'Unione Europea ricevono tutela (e
ne riceveranno sempre maggiore) il diritto di non credere accanto al diritto di
credere, le organizzazioni di libero pensiero accanto alle confessioni
religiose, nonché la condizione della donna (Vianès) e di quanti, in passato, hanno subito
discriminazioni di razza o di qualsiasi genere.
I regimi
unionisti (con Chiese di Stato) sono in declino in Europa, quanto meno nelle
versioni originarie. Le forme più accreditate sono quella del
coordinamento, cioè del regime convenzionale ecclesiastico-statale,
e quella della separazione degli ordini distinti, che per altro non
escludono il sottomodello, che ho più volte chiamato cripto-convenzionale.
Ciò
avviene nella stessa Francia, oggi come ieri, e negli Stati Uniti d'America,
esempio molto citato di democrazia, al di là delle mende o dei difetti
che lo hanno contraddistinto e che non cessano di caratterizzarlo. Dichiaro
chiuso, con il consenso del collega Catalano, il colloquio internazionale su
“La laicità nella costruzione dell'Europa – Dualità
del potere e neutralità religiosa”.
[I contributi
della sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte
dei promotori e del Comitato scientifico del Colloquio internazionale,
d’intesa con la direzione di Diritto
@ Storia].
* Colloquio internazionale “La laicità nella costruzione dell'Europa – Dualità del potere e neutralità religiosa” (Bari - Aula Magna “Aldo Moro”, 4-5 novembre 2010), organizzato dal Dipartimento Giuridico delle Istituzioni, Amministrazione e Libertà dell'Università di Bari “Aldo Moro”, dal Centre d’études internationales sur la romanité – Université de “La Rochelle” e dall’Unità di Ricerca “Giorgio La Pira”, CNR – Università di Roma “La Sapienza”. Atti in corso di pubblicazione a mezzo stampa.