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Raffaele Coppola

Università di Bari “Aldo Moro”

 

QUATTRO NOTAZIONI SULLA LAICITÀ: CONCLUSIONI GENERALI*

 

 

ABSTRACT: Il denominatore comune delle tante laicità, a livello mondiale ed europeo, è la distinzione degli ordini e delle attribuzioni, che è il nucleo più ristretto ed essenziale della laicità dello Stato, valido per qualsiasi modello od orizzonte geografico in Occidente. Le radici lontane della laicità sono individuabili nel periodo che va dal primo al quarto secolo e, successivamente, si sono sviluppate (sino al 1054 d.C.) nel senso della sinfonia fra sacerdotium ed imperium. Sono stati poi i vissuti dei popoli ed i loro ordinamenti ad atteggiarsi nelle formule che conosciamo, ponendo anche le basi di quelle che potremmo conoscere in futuro. Attualmente nell'Unione Europea ricevono dappertutto tutela (e ne riceveranno sempre maggiore) il diritto di credere accanto al diritto di non credere, le organizzazioni di libero pensiero accanto alle confessioni religiose, nonché la condizione della donna e di quanti, in passato, hanno subito discriminazioni di razza e di qualsiasi genere. E in tal senso che può parlarsi di una “laicità europea” e della sua evoluzione.

 

 

Alla luce delle comunicazioni svolte e dei vari interventi del nostro colloquio internazionale è emerso che il concetto di laicità non ha un significato univoco, ma varia, assumendo caratteri e sfumature diversi, a seconda dei settori d’indagine, dei campi specifici in cui viene esaminato.

E' tuttavia possibile fissare un denominatore comune, che, come tale, deve contenere il minimo delle estensioni o delle implicazioni possibili in campo giuridico, politico, storico e filosofico.

 

1. – La prima considerazione, che intendo produrre, concerne la definizione del principio di laicità dello Stato in questa accezione minimale, costituente la base di una sorta di laicità “europea”, evitando peraltro di essere semplicista a fronte di fenomeni così complessi. Tale principio può essere espressamente ricollegato all'estraneità per lo Stato dell'elemento religioso, come in Francia, ovvero, come in Italia, alla libertà religiosa, all'uguaglianza giuridica ed, essenzialmente, alla distinzione fra ordine spirituale e ordine temporale, che si riconduce comunemente a Gelasio I (494 d.C.) ed, ancor prima, alla separazione fra le appartenenze di Dio e quelle proprie del potere terreno, così come formulata dalla famosa ed insuperata massima evangelica circa il tributo a Cesare (Matteo, 22,21).

Su di essa si fonda, non solo a mio avviso, una delle principali peculiarità della tradizione politico-giuridica occidentale, di cui è indubitabile la matrice cristiana, mentre conosciamo gli svolgimenti, non sempre conseguenti, riconducibili all'armatura di pensiero teologico-giuridico della Chiesa cattolica (Condorelli). Tale tradizione, sostanzialmente dualista, si oppone alla concezione tendenzialmente monista, accolta dall'Islam, che ebbe origine nell'antichità. Oggi si danno versioni edulcorate di tale concezione, rappresentativa di una realtà molto frastagliata (Charfi – Dammacco), ma va riconosciuto che in Occidente il confronto fra “le due spade”, fra potere religioso e potere civile-politico, è stato continuo, complesso e non raramente conflittuale, onde affermare, con i mezzi di volta in volta consentiti, la supremazia dell'uno sull'altro e viceversa.

Sono stati forse questi svolgimenti deteriori, che hanno oscurato il principio del dualismo di vincoli e funzioni, ad indurre uno dei massimi esperti dell'antica Roma, Paul Weine (storico ed archeologo), ed altri con lui in questo colloquio, a cercare di superare quello che sarebbe stato un pregiudizio: Dio e accanto a Lui Cesare, in quanto personificazione del potere terreno, innalzato sino al vertice indeclinabile della trascendenza; null'altro i due termini esprimerebbero se non un luogo comune, in base a cui l'Europa continuerebbe, senza ragione, ad essere debitrice al cristianesimo della separazione della politica dalla religione. In realtà, secondo la linea culturale sostenuta da Weine, fu proprio con il trionfo del cristianesimo che le relazioni tra religione e potere avrebbero cessato di essere superficiali (pur senza confusione delle relative sfere di dominio), furono teorizzate e sistematizzate.

Dio e Cesare non avrebbero più agito ciascuno dalla propria parte, Dio avrebbe cominciato a pesare su Cesare, per cui bisognava che Cesare rendesse a Dio ciò che era di Dio. Al contrario crediamo che sia stata proprio la creazione graduale di una “struttura” politico-religiosa forte, di stampo dualista, ad impedire che il cristianesimo esigesse dall'imperatore o dai re ciò che il paganesimo potrebbe aver richiesto al potere.

La riconosciuta superficialità delle relazioni confina, infatti, con la confusione dei differenti poteri e relative sfere di dominio, proprie di alcune società ai loro primordi. Non a caso le prime cinque comunicazioni presentano, per l'antichità, un quadro in cui le relazioni fra religione e potere possono qualificarsi allo stato embrionale, nonostante la distinzione fra sacerdotes e magistratus.

Le radici della laicità sono individuabili proprio dal primo al quarto secolo e, successivamente (sino al 1054 d.C.), si sono sviluppate nel senso della sinfonia fra sacerdotium e imperium, fra potere religioso e potere secolare tanto in Occidente quanto in Oriente (desidero qui ricordare le comunicazioni di Siniscalco, Baccari e Ventrella Mancini da una parte; di Pitsakis e di Codevilla dall'altra).

Vista la questione in questi termini, laicità e dualità del potere vanno riguardate tanto “prospetticamente”, quale occasione di una riflessione esegetica e teologica (direi anche giuridica), che porti ad una “rideclinazione” del significato del messaggio evangelico per il mondo, quanto in primo luogo retrospettivamente, come esito di un percorso non solo giuridico ed ineludibile (perché altrimenti si rinnegherebbe il valore della dimensione storica), che renda giustizia alle parole tratte dal Vangelo, correttamente intese, secondo una prospettiva basica di conoscenza, come direttive o linee-guida perché «la dimensione politica e lo Stato riprendano coscienza di sé» (Rizzi).

 

2. – La seconda considerazione che si avanza, dopo questo breve excursus fra presente e passato, attiene al dato attualmente più probante, consistente in una sorta di “geopolitica della laicità”, ponendosi da più parti in evidenza come nel mondo odierno essa sia intesa in varie maniere, perfino contraddittorie tra loro (Incampo). Lo ha asserito, fra gli altri, con incisività Benedetto XVI nel discorso che ha rivolto, il 9 dicembre 2006, ai Giuristi Cattolici Italiani partecipanti al 56° convegno nazionale di studio sul tema “La laicità e le laicità”. Una di esse, veramente sui generis e di non facile comprensione, è quella ben illustrata da TORRE a proposito del Regno Unito.

Proprio per tutto ciò anche per la Chiesa Cattolica, al pari di differenti confessioni e denominazioni religiose, la laicità non può considerarsi immobile, un assoluto fuori del tempo, bensì il prodotto maturo di processi storici, di mutamenti sociali, nonché di precisi fondamenti filosofico-giuridici e di risposte confessionali. La laicità indicava originariamente lo stato di membro della Chiesa, di colui che faceva parte del popolo di Dio, in un'accezione che lo opponeva agli appartenenti al clero ed allo stato religioso.

Solo successivamente, nel Medioevo, essa ha rivestito un significato ricollegabile prevalentemente al contrasto tra le gerarchie ecclesiastiche ed i poteri civili, con salvezza del suo nucleo più ristretto ed essenziale ravvisabile, come sappiamo, nella distinzione fra potere religioso e potere civile politico, nella progrediente rivisitazione delle attribuzioni dello Stato e della Chiesa, delle res mixtae, nonché delle aspettative e delle esigenze della Chiesa stessa nel suo ultrasecolare, permanente confronto con lo Stato e la comunità politica, specialmente nel c.d. “perimetro forte” della grande conflagrazione fra Stato e Chiesa cattolica (Italia, Francia, Penisola iberica).

Dopo le divisioni provocate, nel XVI e XVII secolo, all'interno della comunità cristiana dalla riforma protestante (Tamm), a cui fece seguito la controriforma, che resta uno degli eventi più fecondi della storia umana del cattolicesimo, si è giunti ad identificare il principio di laicità (o di non confessionalità) alla stregua di una condizione di autonomia della politica dalla sfera religiosa, nel senso della possibilità per l'uomo e per la donna di raggiungere la verità, prescindendo dalla fede.

Il passaggio ulteriore ha permesso di assistere, quasi un epilogo del “tragico” distacco della Chiesa e di altre confessioni dalla modernità, al tentativo di confinare la religione ed i suoi simboli nell'ambito del privato e della coscienza individuale con esclusione dalla vita pubblica, dai vari settori della società.

Lo Stato laico si esprimerebbe, nella forma più genuina, nella totale separazione dalle istituzioni ecclesiastiche; la Chiesa cattolica e le rimanenti confessioni religiose non dovrebbero intervenire, con strategie mirate di presenza, nel raggio dei c.d.  temi sensibili, dal divorzio all'aborto, ai simboli religiosi nei locali pubblici, alla posizione delle coppie di fatto, alla procreazione medicalmente assistita, all'eutanasia, alla bioetica in genere e così via. Siamo di fronte alla laicità, come oggi sovente viene intesa in vari settori della pubblica opinione in Italia ed altrove.

Secondo gli esponenti di alcuni ambienti cattolici in Italia e in Francia, il dibattito sulla laicità degli anni a noi più vicini avrebbe, in fondo, spiegato che è la storicità del soggetto ecclesiale ad essere messa in discussione insieme con il modello di presenza della Chiesa nella storia. La responsabilità laicale sarebbe sempre più predicata e sempre meno praticata. In quest'ottica il nodo è il tema del popolo di Dio (che è il tema rimosso per eccellenza), unitamente con la forma di Chiesa ad esso connessa.

 

3. – La terza osservazione, di fronte a quanto abbiamo ascoltato in questi due giorni (anche nelle comunicazioni in cui vengono affrontati temi specifici), attiene all'emergente rilievo della “religione o coscienza del popolo”, con ascendenti nobili nel mondo romano e nei Padri della Chiesa, specialmente in Agostino.

Contro una concezione estrema della laicità, diventata quasi l'emblema distintivo del mondo post-moderno, della secolarizzazione della società, richiamata egregiamente da Padre Farrugia, viene rammentato il compito di tutti i credenti, in particolare dei cristiani, di contribuire ad elaborare un concetto di laicità che, senza misconoscere a Dio e alla sua legge morale il posto che loro spetta, affermi e rispetti la «legittima autonomia della realtà terrena», cioè che «le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare» (G.S., 36).

In un simile contesto, secondo il Pontefice regnante, non potendo darsi autonomia delle realtà terrene se non nei riguardi delle competenze ecclesiastiche (mai dall'ordine morale), è il popolo – ecco la novità da evidenziare – che deve decidere liberamente i modi più consoni di organizzare la vita politica, non potendo essere la Chiesa-istituzione, le altre confessioni o ideologie ad assolvere il compito di indicare quale sia l'ordinamento politico-sociale da scegliere. Per converso lo Stato veramente laico non può considerare la religione alla stregua di un sentimento individuale, da confinare esclusivamente nella sfera privata, come sembra emergere, salve le zone di esenzione, dalla laicità francese, che costituisce un modello poco seguito nel contesto europeo.

 

4. – La quarta ed ultima considerazione attiene alla forte opzione dell'Occidente in favore della democrazia.

Un brano molto suggestivo, considerato impreciso, oggetto di molteplici critiche negative, accompagnava lo sfortunato trattato che adottava una Costituzione per l'Europa: «la nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più» (Tucidide, II,37). Senza ripercorrere le radici greche del passo, che indirizzano verso la distinzione dalla monarchia e dall'oligarchia, il significato più pregnante del termine democrazia è possibile rapportarlo, nell'odierna temperie dei rapporti sociali, a quelle situazioni in cui, al di là delle connotazioni negative, «tutto emana dal popolo e in esso rientra» (Berlin). Occorre evitare la tentazione di vedere nella regola della maggioranza il criterio a cui ricondurre la legislazione e la prassi amministrativa. Scriveva Alexis de Tocqueville che la “tirannide della maggioranza” nasce anche in una democrazia allorché si identifica la maggioranza con la volontà generale del popolo, ignorando quella parte della società, che, per essere minoranza, non può governare. Eppure, scriveva ancora questo attraente paladino della liberal-democrazia, «è nell'essenza stessa dei governi democratici che il dominio della maggioranza sia assoluto; poiché fuori della maggioranza, nelle democrazie, non vi è nulla che resista».

Nessuna negazione né occultamento del fenomeno delle minoranze, dunque, come avviene in Francia; né, per converso, loro tutela privilegiata, passando dalla c.d. ragione “dei più”, dalla dittatura della maggioranza, ad un mal celato complesso verso le minoranze, siano esse religiose, etniche o linguistiche. Non per tanto, l'equilibrata salvaguardia delle medesime garantisce le democrazie dal pericolo della disgregazione.

Lasciamo da parte lo Stato-Dio ed i rapporti fra religioni ed ateismi (Lobrano – Colaianni), che possono reputarsi momenti di cultura elitaria o segmenti nella storia e nel pensiero europei fino ai nostri giorni. La soluzione finale del problema rimanda alla formazione intrinseca del cittadino. Parafrasando Rawls, è possibile asserire che la laicità, battistrada della democrazia, va vissuta ed alimentata sino a coinvolgere in una sorta di “ragione pubblica” tutto il popolo, senza distinguerne la matrice confessionale, in quanto composto da persone responsabili delle proprie scelte e del proprio destino.

In ultima analisi, la realizzazione della società democratica attraverso il filo conduttore della laicità e delle laicità, la crescente configurazione della democrazia e della laicità in termini di tolleranza, eguaglianza, accoglienza e pluralismo, rappresentano compiti che spettano, secondo la più attenta giuspubblicistica secolare e nello sviluppo del pensiero della Chiesa cattolica, ai cittadini ed ai fedeli (se si vuole, al civis-fidelis della tradizione classica), se è vero che la dinamica della democrazia non è una lezione suscettibile di essere impartita dall'alto.

È dunque la responsabilità dei singoli individui, visti come parte del tutto - come popolo (su cui ha posto l'accento il collega BOUINEAU), che dovrebbe innalzare il tono democratico e laico di una società tanto nell'ottica statualistica quanto per la Chiesa cattolica e, in forza di analoghe ragioni, per alcune delle altre confessioni storiche.

Perfino l'Islam, come abbiamo visto nel corso del colloquio, non può evitare il confronto con questa non eludibile spinta popolare. Un caso a parte rappresenta la Turchia (Demaldent), in cui, mentre gli apparati statali continuano ad affermare l'opzione europea, prende sempre più corpo una contraddittoria laicità, sorretta dai difensori dello Stato fondato da Atatürk, che continuano a farsi promotori di provvedimenti (mi si perdoni il termine) sostanzialmente antidemocratici. Ciò comprova che la laicità assoluta, pura, è un concetto astratto, fuori della realtà, specie se disancorato dalla volontà popolare.

 

5. – Ci riannodiamo, ora, all'interrogativo iniziale di BOUINEAU ed alle sue considerazioni finali: in questo colloquio italo-francese non vi è stata materia, secondo chi parla, per una seconda disfida di Barletta. Distinzione degli ordini, propria del modello italiano, e neutralità religiosa, che caratterizza il modello francese, non sono termini o idealità in opposizione fra di loro nel quadro delle acquisizioni sulla relatività dell’applicazione dei concetti giuridici o comunque assunti nella sfera del diritto.

Come negli altri Stati europei, la stessa storia francese si è costruita sulla dualità del potere o sul dualismo cristiano di vincoli e funzioni e la grande rivoluzione non ne ha tagliato le radici: come ho già detto, la distinzione degli ordini e delle attribuzioni è il nucleo più ristretto ed essenziale della laicità, valido per qualsiasi modello od orizzonte geografico in Occidente. Sono stati poi i vissuti dei popoli e i loro ordinamenti ad atteggiarsi nelle formule che conosciamo o che potremmo conoscere in futuro.

Desidero rammentare che, attualmente, dappertutto nell'Unione Europea ricevono tutela (e ne riceveranno sempre maggiore) il diritto di non credere accanto al diritto di credere, le organizzazioni di libero pensiero accanto alle confessioni religiose, nonché la condizione della donna (Vianès) e di quanti, in passato, hanno subito discriminazioni di razza o di qualsiasi genere.

I regimi unionisti (con Chiese di Stato) sono in declino in Europa, quanto meno nelle versioni originarie. Le forme più accreditate sono quella del coordinamento, cioè del regime convenzionale ecclesiastico-statale, e quella della separazione degli ordini distinti, che per altro non escludono il sottomodello, che ho più volte chiamato cripto-convenzionale.

Ciò avviene nella stessa Francia, oggi come ieri, e negli Stati Uniti d'America, esempio molto citato di democrazia, al di là delle mende o dei difetti che lo hanno contraddistinto e che non cessano di caratterizzarlo. Dichiaro chiuso, con il consenso del collega Catalano, il colloquio internazionale su “La laicità nella costruzione dell'Europa – Dualità del potere e neutralità religiosa”.

 

 

 



 

[I contributi della sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei promotori e del Comitato scientifico del Colloquio internazionale, d’intesa con la direzione di Diritto @ Storia].

 

* Colloquio internazionale “La laicità nella costruzione dell'Europa – Dualità del potere e neutralità religiosa” (Bari - Aula Magna “Aldo Moro”, 4-5 novembre 2010), organizzato dal Dipartimento Giuridico delle Istituzioni, Amministrazione e Libertà dell'Università di Bari “Aldo Moro”, dal Centre d’études internationales sur la romanité – Université de “La Rochelle” e dall’Unità di Ricerca “Giorgio La Pira”, CNR – Università di Roma “La Sapienza”. Atti in corso di pubblicazione a mezzo stampa.