Testatina-internaseconda-pagtrad

 

profLetizia Vacca

Università Roma Tre

 

Interpretazione e scientia iuris: problemi storici e attuali*

 

 

Sommario: 1. Interpretazione dei giudici e interpretazione dei giuristi. – 2. Nuova rilevanza dell’interpretazione giurisprudenziale nel diritto europeo. – 3. Necessità del recupero della scientia iuris per l’elaborazione del diritto europeo. – 4. Interpretazione giurisprudenziale ed elaborazione scientifica. – 5. La scienza giuridica come scienza pratica nella storia del diritto. – 6. (segue) La rinascita della scienza giuridica nel “Medioevo sapienziale”. – 7. Il diritto giurisprudenziale nella tradizione del Civil Law e nella tradizione del Common Law. – 8. L’apporto della prospettiva storico-comparatistica nell’elaborazione della nuova scienza giuridica. – 9. Il modello romanistico come strumento utile alla comprensione della tecnica dell’interpretazione giurisprudenziale. – 10. Osservazioni conclusive. – Abstract.

 

 

1. – Interpretazione dei giudici e interpretazione dei giuristi

 

E’ noto che il problema dell’interpretazione del diritto[1] e del suo rapporto con la elaborazione della ‘scientia iuris[2] non può essere posto negli stessi termini per tutti gli ordinamenti e in riferimento ai diversi momenti storici. Il valore di creazione del diritto di queste attività in un determinato contesto e in un certo territorio è infatti ovviamente condizionato dall’equilibrio dei poteri nell’assetto istituzionale in cui i giuristi operano, dalle concezioni politiche che caratterizzano quel territorio; è cioè prima di tutto un problema teorico-politico che viene risolto diversamente a seconda della concezione formale delle fonti del diritto e dei soggetti a cui l’ordinamento in considerazione riconosce il potere di ‘iura condere’[3].

Non solo quindi il rapporto tra i due concetti muta storicamente, e in relazione ai differenti contesti geografici e socio-politici, ma muta anche il significato stesso che ai due termini può essere attribuito nella cultura giuridica, così come può mutare il compito che queste due attività che concernono la vita del diritto sono chiamate a svolgere.

L’attuale esperienza giuridica, nella dimensione nazionale e transnazionale, ha travolto i principi del positivismo giuridico che vedeva il giudice ed il teorico chiamati a svolgere una interpretazione formalmente solo ‘ricognitiva’ ed ‘esplicativa’ del sistema normativo posto dal legislatore, e cioè dallo Stato[4].

Fra i giuristi continentali tuttavia circola ancora l’idea che l’interpretazione non possa che essere intesa come ‘riconoscimento degli enunciati normativi nel loro significato’; questa attività può avere tuttavia diverso oggetto a seconda che si tratti dell’interpretazione-applicazione del giudice e dell’interpretazione del giurista, «perché l’interpretazione del giudice è sempre collegata al caso e quella del giurista è prevalentemente collegata alla norma: l’uno ha il compito di applicare la legge e procede alla sua interpretazione muovendo induttivamente dal caso per dargli soluzione, l’altro, il giurista, ragiona sulle leggi, e se esamina i casi lo fa attraverso un processo logico giuridico, rovesciato rispetto a quello del giudice»[5].

Questa differenziazione spesso ricorrente fra l’interpretazione del giudice e l’interpretazione del ‘giurista’, che si giustifica nell’analisi del diverso obiettivo e delle differenti operazioni logiche che caratterizzano le due attività, in un certo senso può implicare anche l’idea della necessaria diversità e autonomia delle diverse esperienze, pratica e teorica, portando ad identificare i giudici con i ‘tecnici’ chiamati ad ‘applicare’ il diritto e i giuristi con i ‘dotti’, unici depositari della ‘scienza giuridica’, chiamati esclusivamente ad elaborare la riflessione dottrinaria sul ‘sistema normativo’.

 

 

2. – Nuova rilevanza dell’interpretazione giurisprudenziale nel diritto europeo

 

Da molti si avverte tuttavia come questa concezione risulti non più atta a descrivere l’effettività della realtà giuridica, e a risolverne la complessità[6].

Come è noto, l’attuale momento storico vede impegnati i giuristi[7] di tutti i paesi nello sforzo di individuare il modello evolutivo che permetta di dominare i diversi elementi che compongono la realtà complessa costituita dal ‘nuovo diritto europeo’[8], in cui concorrono fattori di produzione del diritto di diversa provenienza e autorità, che oscurano l’idea del primato della legge, e fra i quali assume nuovo risalto l’interpretazione di matrice giudiziale, sia a livello interno dei singoli ordinamenti, sia a livello europeo.

In questo dibattito generale si intrecciano questioni tecnico-politiche, quali possono essere considerate anche quelle relative alle fonti di produzione di questo nuovo diritto, ed alla gerarchia fra esse, e problemi teorico-metodologici, che vanno da temi più generali, quali quelli collegati all’idea di una crisi dell’idea stessa di diritto e della tendenziale unitarietà del sapere giuridico, a problemi più specifici, quale quello del ruolo della cultura storico-giuridica nella formazione attuale del giurista, e del rapporto fra teoria e prassi, o, se si preferisce, fra ‘scopi del diritto’ e ‘scopi della tecnica’, o, peggio ancora, fra ‘cultura del sapere’ e ‘cultura del fare’[9].

 

 

3. – Necessità del recupero della scientia iuris per l’elaborazione del diritto europeo

 

L’idea da cui muovono le considerazioni che seguono è la convinzione che nel momento attuale, anche in considerazione del nuovo e differente rilievo della ‘giurisprudenza’, intesa come attività delle Corti e prodotto di questa attività, vi sia l’esigenza di recuperare la consapevolezza della circostanza che il momento conoscitivo e la padronanza delle tecniche per interpretare il dato giuridico esistente non può che avere lo scopo pratico di applicare i risultati della scienza alle soluzioni dei casi pratici[10]; nell’interpretazione, sia essa scientifica o giudiziaria, deve quindi trovare ‘riconoscimento’ non solo la legge ma l’elaborazione complessiva che porta a coerenza i vari ‘formanti’ dell’ordinamento nazionale e transnazionale: il problema della creazione di uno spazio giuridico europeo come elemento fondamentale di identità e di unificazione della nuova Europa è necessariamente anche il problema del recupero della dimensione scientifica del diritto, e recupero della dimensione scientifica significa recupero della consapevolezza che nella ‘costruzione’ del diritto europeo non può che essere attribuito un rilievo fondamentale alla scienza giuridica anche quale custode della tradizione scientifica e di un metodo condiviso di elaborazione razionale del diritto in funzione pratica. Le due attività ‘interpretazione del diritto in funzione delle soluzioni concrete’ ed ‘elaborazione e sistemazione scientifica’, che si rivolgono alla comprensione ed evoluzione del diritto, sono infatti strettamente connesse e l’una non può validamente porsi in essere se non in correlazione all’altra.

Non può esservi cioè una interpretazione che possa considerarsi effettiva comprensione ed attuazione del diritto anche nella soluzione di singoli casi concreti se questa comprensione non si nutre della scienza del diritto, come non può esservi scienza del diritto che prescinda dalla interpretazione del diritto vigente, inteso non esclusivamente nelle sue fonti normative ma nella complessità dei fattori in esso operanti: entrambe le attività infatti non possono che essere indirizzate alla ricerca della soluzione ‘più giusta’ per i problemi della pratica[11].

 

 

4. – Interpretazione giurisprudenziale ed elaborazione scientifica

 

In questa prospettiva ‘interpretazione giurisprudenziale’ e ‘elaborazione scientifica’ tendono a indicare attività necessariamente interdipendenti. Ciò non significa che il giudice o gli avvocati debbano essere necessariamente ‘scienziati del diritto’ e che il giurista ‘dotto’ debba anche svolgere attività forense, ma significa che il giurista deve lavorare tenendo conto della pratica e per la pratica, e che l’operatore pratico deve utilizzare il diritto nella sua dimensione scientifica.

 

«La scienza giuridica non può esaurirsi né in un momento teorico, conoscitivo, né in un momento pratico applicativo: il momento conoscitivo e la padronanza delle tecniche per interpretare il dato giuridico esistente non può che avere lo scopo pratico di applicare i risultati della scienza alle soluzioni dei casi pratici, e cioè alla giurisprudenza. Quando di fatto avviene che il giurista pratico e il giurista teorico siano persone diverse, o si ha solo un’occasionale divisione di compiti ed il teorico lavora per il pratico, sicuro che il pratico utilizzerà i concetti e i metodi elaborati dal teorico, realizzando la sintesi necessaria perché il diritto venga costruito in forma razionale, o si ha per un verso l’isterilimento della scienza giuridica in una vuota teoria astratta, lontana dal diritto vivente e non idonea a risolvere i compiti che il momento storico assegna al diritto, e per altro verso la scomparsa del giudice giurista, in favore di un mero tecnico capace di applicare le norme ma non di elaborare il dato applicativo in sintesi con il dato scientifico ordinante»[12].

 

La riflessione di Carlo Augusto Cannata sembra riecheggiare le parole con cui Savigny nel 1839 introduceva il suo Sistema del diritto romano attuale[13]:

 

«L’attività intellettuale di ciascuno, relativamente al diritto, può seguire due diversi indirizzi: o comprendere e svolgere la scienza giuridica in generale con la dottrina, l’insegnamento, l’esposizione, o applicare le regole ai casi della vita reale. Questo duplice elemento del diritto, il teorico ed il pratico, è dunque fondato sulla generale natura del diritto stesso, ma l’evoluzione di questi ultimi due secoli, ha fatto si che questi due indirizzi si siano separati in due diversi stati e professioni sicché i giurisperiti, fatte alcune rare eccezioni, sono per loro vocazione esclusiva o principale dediti o soltanto alla teoria o soltanto alla pratica. Se dunque il vizio capitale delle nostre attuali condizioni giuridiche consiste in una sempre più marcata separazione della teoria e della pratica, non vi si può trovare rimedio che nel ristabilimento della loro naturale unità».

 

Va notato che lo stesso fondatore della Scuola storica, tuttavia, in un certo senso contribuì a teorizzare proprio quella separatezza, distinguendo l’interpretazione legale da quella dottrinale[14], e circoscrivendo a quest’ultima la libera operazione di creazione del diritto attraverso la scienza.

Sono passati quasi due secoli, ovviamente sono mutate profondamente le condizioni geografiche, politiche ed economiche, ma sembra che non sia mutata molto quella situazione di separatezza fra l’elaborazione scientifica e la decisione concreta, e che vi sia quindi ancora oggi l’esigenza di ristabilire la loro naturale unità.

Il Juristenrecht del sistema scientifico di Savigny si è sviluppato nella Pandettistica come Professorenrecht, sistema dommatico concettuale, tendenzialmente chiuso, e non come ‘diritto giurisprudenziale’[15], accentuando, soprattutto nelle aree di influenza culturale tedesca come l’Italia, il carattere teorico astratto della cultura accademica, depositaria della nuova scienza giuridica, rispetto alla interpretazione giudiziale, che a sua volta si è sviluppata in una giurisprudenza autoreferenziale, in cui ‘autorità interpretative’ sono considerate le sentenze precedenti, ma non le teorie dottrinarie.

 

 

5. – La scienza giuridica come scienza pratica nella storia del diritto

 

L’osservazione della storia del diritto, intesa come storia della scienza giuridica ci insegna che il carattere specifico della tradizione giuridica europea è di essere il risultato dell’opera di giuristi, intendendo per ‘giuristi’ coloro che padroneggiano una specifica tecnica di ‘interpretazione’ ed uno specifico metodo razionale che permette di operare sulle istituzioni giuridiche con un patrimonio di strumenti concettuali che comportano la creazione del diritto come ‘scienza pratica’[16].

La diffusione territoriale e temporale di quella scienza è dipesa dalla presenza e dalla comunicazione diacronica e sincronica fra i giuristi stessi. La caratteristica della interpretatio-scienza del diritto è infatti di essere per sua natura creativa di categorie ordinanti che trascendono il contingente contesto per trasformarsi in cultura giuridica, in elementi concettuali che entrano a far parte del diritto come elementi strutturali dello stesso e che costituiscono il necessario riferimento per ulteriori ‘interpretazioni’ e soluzioni. Il diritto come scienza richiede cioè il formarsi di un ceto di giuristi-interpreti, che padroneggino l’insieme dell’’interpretatio’ preesistente, la tradizione giuridica, e abbiano gli strumenti tecnici necessari per utilizzarla e portarne le soluzioni a coerenza con le esigenze del contesto in cui operano in una dialettica ininterrotta fra passato e presente, e fra gli stessi giuristi.

Il patrimonio di ‘scientia iuris’, conservato nelle opere dei giuristi classici, trasmesso alla cultura giuridica europea attraverso la raccolta degli iura nel Digesto giustinianeo[17], e che per questo tramite costituisce la radice della tradizione giuridica occidentale, è un patrimonio non solo di contenuti tecnico-giuridici ma soprattutto di metodo scientifico[18].

La scienza del diritto ha infatti origini antiche nella tradizione della cultura giuridica europea, avendo inizio nella ‘interpretatio’ della giurisprudenza romana. La raccolta giustinianea, cristallizzando il prodotto della interpretatio in un insieme di iura da utilizzarsi come fonti normative in quanto promulgate come leggi dello stesso Imperatore, che ne vietava anche l’interpretazione[19], ha tradito il metodo scientifico di elaborazione casistica del diritto proprio dei giuristi romani, ma ne ha preservato le strutture concettuali.

Il disegno politico imperiale di superare la ‘volgarizzazione’ del diritto recuperando come diritto vigente l’interpretatio della giurisprudenza classica, ricomponendo in un insieme normativo ‘chiuso’ le soluzioni giurisprudenziali, e affidando ai giudici l’attività di mera applicazione del ‘nuovo’ diritto codificato si è rivelato inadeguato a risolvere i problemi di razionalizzazione e unificazione della prassi nel territorio dell’impero[20], anche per l’assenza di un ceto di giuristi in grado di ‘interpretarlo’.

Ne sono seguiti, come è noto, i secoli della crisi del diritto, del particolarismo giuridico dell’età feudale e delle autonomie locali, nella frammentazione e ricomposizione caleidoscopica degli ordinamenti politici europei.

 

 

6. – (segue) La rinascita della scienza giuridica nel “Medioevo sapienziale”

 

La scienza giuridica si è risvegliata nel momento storico che Paolo Grossi[21] chiama Medioevo sapienziale: «un simile aggettivo si confà alla fase della maturità medievale, perché in essa è la scienza – per noi la scienza giuridica – ad avere un ruolo primario. E assistiamo alla circostanza rilevantissima che l’esperienza affida alla scienza di disegnare quel diritto di cui il momento storico ha urgente necessità. Quel che si deve, però, aggiungere, per non essere tratti a conclusioni falsanti, è che si tratta di scienza incarnata. … non sono in gioco sapienti chiusi nel loro studio, maledettamente assorbiti da disegni teorici astratti dal contesto circostante, sono grandi speculativi, quasi sempre grandi maestri disseminati nelle università in tutta Europa, ma sono personaggi in carne ed ossa, ben inseriti all’interno della società civile e non di rado in posizioni di prestigio e di potere, per di più attentissimi a quanto accade fuori dello scrittoio o dell’aula di lezione, e coscienti che su di essi pesa il carico onorevole e greve di dare ordine al magma socio-economico».

Ancora: «I nostri giuristi erano interpreti, ma non nel significato – corrente nell’Europa continentale moderna – di approccio con un testo vincolato da quel testo; la loro interpretatio – uso volentieri il termine latino per evitare equivoci – è più intermediazione fra legge antica (il Corpus iuris) e fatti nuovissimi che spiegazione, esegesi»[22].

Queste osservazioni di Paolo Grossi mettono a fuoco l’aspetto fondamentale della rinascita della scienza giuridica europea, come scienza pratica.

L’ordito del nuovo diritto comune, opera fondamentalmente dei maestri che insegnavano nelle università, che diventa patrimonio comune dell’Europa proprio mediante la circolazione di questi maestri nelle Università che via via sorgono in tutta Europa, non si ferma nelle aule accademiche, ma entra nella vita pratica del diritto attraverso le amministrazioni locali, i consigli dei principi e dei signori, i grandi Tribunali, formando un grande patrimonio che, con un itinerario che si diparte del diritto romano, non senza soluzioni di continuità e con percorsi contorti di flussi giuridici e recezioni più o meno esplicite, nonché di reciproca influenza in diversi momenti storici e in diversi contesti geopolitici, costituisce ancora oggi quello che Carl Schmitt[23] chiama l’ultimo asilo della coscienza giuridica europea.

 

 

7. – Il diritto giurisprudenziale nella tradizione del Civil Law e nella tradizione del Common Law

 

Tuttavia è forse proprio nel momento della riscoperta medioevale del Corpus juris che inizia il percorso storico che porta a divaricare il ruolo del ‘diritto giurisprudenziale’ nelle due grandi ‘famiglie’ della tradizione giuridica occidentale.

Nell’ambito della tradizione del Civil Law, si afferma l’idea che l’interpretatio scientifica sia propria della dottrina, dei doctores, che si identificano con i giuristi colti che hanno gli strumenti scientifici per ‘interpretare’ il testo scritto delle leges romane, e che con le loro ‘opinioni autorevoli’ elaborano un diritto giurisprudenziale ‘dotto’, mentre spetta ai giudici la soluzione delle liti mediante l’applicazione del diritto, variamente composto da fonti di diversa autorità e provenienza, nelle diverse aree geografiche e nei diversi contesti politico-sociali. Il patrimonio degli iura romani diventa ‘ratio scripta’ dell’interpretatio sapienziale e penetrerà nel diritto dei diversi territori dell’Europa continentale attraverso gli itinerari complessi e differenziati dello ius commune.

Diversa, come è noto, la vicenda della influenza della scienza giuridica romana nella formazione del Common Law. Come la dottrina comparatistica più avveduta ha ormai da tempo rilevato, il Common Law si è sviluppato come diritto giurisprudenziale, inteso però non come Juristen Recht, ma come Judicial Law, non solo da una forte matrice culturale medioevale, trasmessa dalla cultura universitaria e dal diritto canonico, e quindi impregnata delle categorie concettuali ‘romanistiche’, ma anche secondo un metodo casistico, che permetteva di utilizzare le precedenti decisioni giurisprudenziali-giudiziali in una elaborazione scientifica[24] che seguiva logiche e prospettive costruttive in un certo senso analoghe a quelle della scientia iuris romana[25], e che quindi coglieva appieno la struttura ‘dinamica’ delle soluzioni giurisprudenziali romane che si evolvevano nella diagnosi dei fatti concreti, nell’individuazione degli strumenti processuali atti a tutelarle e dei principi di diritto da utilizzare, ricercandoli nell’insieme dell’ordinamento giuridico, costituito da una molteplicità di ‘fonti’.

Paradossalmente quindi la cultura giuridica romana che è penetrata nei due grandi sistemi di Civil Law e di Common Law con modalità differenti, divaricandosi nelle strutture concettuali e sistematiche del diritto continentale, consolidate nelle Codificazioni, e nella grande creazione casistico-giurisprudenziale del Common Law.

 

 

8. – L’apporto della prospettiva storico-comparatistica nell’elaborazione della nuova scienza giuridica

 

Le considerazioni che precedono portano ad un’altra riflessione, che concerne il problema del necessario apporto della prospettiva storica e comparatistica nella elaborazione dell’attuale ‘scienza giuridica’, e quindi dello strumentario ‘culturale’ che la complessità dell’esperienza giuridica contemporanea richiede all’interprete, sia esso giurista o giudice[26].

Il problema non è nuovo[27], anche se oggi si propone forse con maggiore urgenza, e riguarda per un verso gli storici del diritto – romanisti e storici del diritto medievale e moderno – e i comparatisti nel porsi in rapporto con l’attuale esperienza giuridica transnazionale, e per altro verso i giuristi del c.d. diritto positivo che sono chiamati a rivolgersi alla storia ed alla comparazione per mettere in luce le strutture e gli strumenti ‘scientifici’ utili a comprendere i problemi costruttivi di una nuova realtà giuridica, e a ricercarne la soluzione in coerenza con la ‘tradizione giuridica europea’, in una visione che compone il ‘sistema scientifico’ attraverso l’osservazione diacronica e sincronica dei suoi elementi strutturali, e che costituiscono il necessario riferimento per ulteriori ‘interpretazioni’ e soluzioni.

Limitandomi ad alcune osservazioni che concernono il rapporto fra la scientia iuris elaborata nell’ambito dell’interpretatio della giurisprudenza romana e la scienza del diritto nel contesto contemporaneo[28], si tratta di capire come in concreto l’esperienza giuridica romana possa costituire elemento fondamentale di conoscenza nell’elaborazione dell’attuale scienza del diritto, intesa come riflessione sul fenomeno giuridico nella sua complessità ed elaborazione di strumenti tecnici atti ad operare con il diritto e a controllarne la razionalità.

Luigi Garofalo[29], rileva che «Conoscere non significa guardare con nostalgia agli schemi del passato, tentandone un acritico recupero, quasi che l’alta risalenza e la persistente utilizzazione, pur giustificata dall’intrinseca – e tuttavia relativa, perché funzionale al sistema di riferimento – validità ne legittimi di per sé la reviviscenza nell’esperienza giuridica attuale. Conoscere significa invece affinare la sensibilità ed accrescere la capacità di analisi rispetto al problema, attinente alla comprensione o alla formazione del dato positivo che si abbia di fronte; avere chiari i contesti nel cui ambito lo stesso o un analogo problema nel corso del tempo è stato affrontato e discusso, così da scorgere legami altrimenti insospettabili e scrutarlo e sviscerarlo da angoli prospettici che l’ignoranza della dimensione diacronica oscura; poter misurare le vie di uscita escogitate e sperimentate al suo riguardo, onde pervenire alla soluzione più adeguata … . Significa anche e soprattutto perpetuare un metodo che contribuisce a mantenere il diritto nell’alveo di una scienza, impedendone il declinare verso quello che Luigi Capogrossi Colognesi[30] chiama «un empirismo quotidiano fatto di regole e provvedimenti, dimentico di ogni teoria, verso cioè un insieme amorfo di decisioni legislative e giudiziarie, privo di una logica interna».

 

 

9. – Il modello romanistico come strumento utile alla comprensione della tecnica dell’interpretazione giurisprudenziale

 

La riflessione di Garofalo evidenzia con chiarezza il rapporto essenziale fra consapevolezza del ‘modello romanistico’, nelle strutture metodologiche e concettuali utilizzate dai giuristi per pervenire alle soluzioni concrete in coerenza con il ‘sistema’ preesistente, la scienza giuridica, nella sua dimensione diacronica e transnazionale, e l’interpretazione delle leggi e della giurisprudenza nel contesto contemporaneo.

Soffermiamoci su quest’ultimo punto: interpretazione della giurisprudenza.

Nelle considerazioni da cui hanno preso l’avvio queste mie osservazioni, ho rilevato che uno degli elementi che caratterizzano la nuova esperienza giuridica, nella dimensione nazionale ed europea, è costituito dal forte impatto della ‘giurisprudenza’ nell’attuale meccanismo di evoluzione del diritto e di formazione del diritto europeo.

Alla scienza giuridica si propone quindi il compito non solo di riflettere sulla nuova normativa, coordinandone i principi con la tradizione giuridica preesistente, ma anche di riportare a coerenza l’insieme complesso dei modi di produzione del diritto, assegnando all’elaborazione della giurisprudenza un peso nuovo e diverso, in considerazione del fatto che la giurisprudenza ha assunto esplicitamente il carattere di fonte creativa del diritto.

La scienza giuridica deve cioè fornire ai pratici anche gli strumenti tecnici necessari ad interpretare correttamente non solo la legge ma anche le sentenze, coordinando i principi giuridici in esse evidenziati con il resto del sistema.

Come si è sopra accennato, gli itinerari storici hanno allontanato il diritto di Civil Law dalla matrice romanistica nella sua struttura di diritto giurisprudenziale, per configurare un ‘modello’ normativo e dottrinario, confluito nelle grandi codificazioni ottocentesche.

Nei diversi ordinamenti europei continentali la stessa interpretazione ‘giudiziale’, per un verso viene oggi utilizzata, attraverso il procedimento di massimazione delle sentenze, quale insieme di ‘regole astratte’, con valore ‘autorevole’ e non vincolante, ma che tuttavia vengono ‘applicate’ dai giudici con lo stesso procedimento logico-deduttivo che caratterizza l’applicazione delle leggi; per altro verso la dottrina si limita ad osservare in forma critica queste ‘regole decisionali’, ancora una volta nella struttura massimata, senza preoccuparsi di collegare la decisione o le decisioni, più o meno uniformi, agli specifici fatti che sono stati presi in considerazione per individuare il principio giuridico atto a risolvere la questione che si proponeva in relazione ad essi.

L’inadeguatezza scientifica di questo modo di rapportarsi alle decisioni giudiziali dei casi concreti, generalizzandole, comincia oggi ad emergere nel confronto con l’esperienza di Common Law, confronto che sino a qualche tempo fa si riduceva alla constatazione che mentre nel diritto continentale le sentenze non costituiscono fonte del diritto, potendo il diritto essere espresso solo dalla legge, nel modello anglossassone il valore vincolante del precedente sancito nella regola dello stare decisis comportava il valore ‘normativo’ non della legge ma delle sentenze[31].

 

 

10. – Osservazioni conclusive

 

Dalle osservazioni che precedono risulta che non solo la comparazione ma anche l’analisi storica dei differenti modelli giurisprudenziali e normativi possono offrire alla scienza giuridica attuale gli strumenti per la migliore conoscenza della struttura metodologica del diritto giurisprudenziale, nella consapevolezza che l’utilizzazione delle soluzioni individuate in relazione ai singoli casi concreti deve avvenire secondo meccanismi euristici che pongono in primo piano la diagnosi scientifica dei fatti qualificanti il singolo caso da decidere, nel raffronto con i fatti che nelle precedenti decisioni sono stati diagnosticati tecnicamente come ‘rilevanti’ ai fini della soluzione del problema giuridico posto in relazione ad essi.

Solo la scienza giuridica, intesa nella sua necessaria struttura complessa di ‘interpretazione’ del diritto, intendendo per diritto tutti gli elementi strutturali dello stesso, in cui confluiscono anche le conoscenze storiche e comparatistiche, può infatti fornire ai giuristi, siano essi teorici o pratici, gli elementi di metodo razionale sia per la corretta ‘utilizzazione’ della ‘giurisprudenza’ delle Corti in relazione alla singola decisione del caso concreto, sia per la correlazione fra i principi che emergono dall’insieme di queste decisioni ed il tessuto normativo, nazionale o transnazionale, spesso frammentario e lacunoso, in cui esse si inseriscono.

 

In questa prospettiva, come ho avuto occasione di rilevare in altra sede[32] «Il divario e la separatezza fra ‘scienza del diritto’ e ‘pratica del diritto’ potranno essere superati solo se la ‘scienza del diritto’ ricomincerà a riflettere anche sulle regole ed i principi che emergono dalle sentenze considerate in rapporto ai fatti ritenuti rilevanti per la decisione, inducendone, in coerenza con il complesso del sistema, soluzioni ‘probabilmente giuste’ per la decisione di altri casi simili, ed elaborando scientificamente i limiti in cui questa ‘utilizzazione’ possa essere compiuta anche alla luce degli altri ‘principi’ dell’ordinamento, e delle ‘norme’ in esso vigenti; per questa via la scienza potrebbe mettere a disposizione dei ‘pratici’ un importante strumento di ‘conoscenza’, permettendo ai giudici di formare il proprio convincimento e agli avvocati di argomentare anche sulle decisioni giurisprudenziali precedenti con piena consapevolezza dei presupposti e delle implicazioni di quelle soluzioni».

 

 

Abstract

 

Interpretation and scientia iuris: historical and actual problems

 

The A. analyzes the delicate relationship between interpretation of the law and scientia iuris. From this point of view, the traditional distinction between the interpretation made by the judges and the interpretation made by the jurists is not appropriate to describe and solve the complexity of the juridical reality. According the “new European private law”, the statute law lost its supremacy and the juridical interpretation of the law became more important. In fact, thanks to the creation of a European juridical system, the scientia iuris assumed a fundamental role as well as the interpretation in the search of the best solution for the problems of the juridical practice. On the basis of the results of this diachronic and trans-national analysis, the A. proposes to overcome the distinction between the two juridical activities, applying on the scientia iuris the rules and the principles emerging from the decisions pronounced by the judges.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind].

 

* Questo testo riproduce nelle grandi linee la relazione svolta nel Convegno “La fabbrica delle interpretazioni”, Convegno annuale della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano-Bicocca, 19-20 novembre 2009; tuttavia, nel preparare il contributo scritto ho tenuto conto anche delle suggestioni delle altre relazioni e della discussione svoltesi in quel contesto; ho ritenuto utile inoltre introdurre la citazione anche di alcuni saggi, pubblicati successivamente al convegno, da autorevoli studiosi, che attestano come il dibattito sul ruolo dell’interpretazione e della scienza giuridica nell’attuale contesto ‘globale’ sia attualmente percepito come particolarmente rilevante.

 

[1] Il problema dell’interpretazione è, come è noto, una delle questioni centrali da sempre al centro della riflessione dei giuristi, siano essi storici, teorici del diritto o giuristi del diritto positivo. Per un primo ampio inquadramento storico e teorico si veda per esempio la trattazione di E. Paresce, voce Interpretazione (filosofia), in EdD, 22, Milano 1972, 152 ss. ed i relativi riferimenti bibliografici.

 

[2] Le osservazioni svolte in questa sede non possono che proporre una prospettiva dettata dalla mia specifica esperienza di romanista e costituiscono l’ulteriore sviluppo di mie precedenti ricerche, dedicate in particolare all’analisi della struttura casistica dell’‘interpretatio’ dei giureconsulti romani, che si sviluppa in un ‘sistema scientifico aperto’ in cui l’insieme degli elementi in cui si compone l’ordinamento giuridico romano trova attuazione e sintesi nei responsi, nelle soluzioni concrete, che vengono composte dalla scientia iuris in un insieme unitario e internamente coerente anche nella sua evoluzione: su questi problemi v. L. Vacca, La giurisprudenza nel sistema delle fonti del diritto romano, Torino 1995; Metodo casistico e sistema prudenziale, Ricerche, Padova 2006, che raccoglie diversi saggi su questo tema; v. ivi anche per i riferimenti bibliografici essenziali.

 

[3] L’espressione gaiana mi sembra esprimere con grande efficacia il particolare ruolo del giurista nell’ambito della formazione del diritto romano come diritto giurisprudenziale: Gai. 1,7: Responsa prudentium sunt sententiae et opiniones eorum quibus permissum est iura condere. Cfr. C.A. Cannata, Iura condere e il problema della certezza del diritto fra tradizione giurisprudenziale e auctoritas principis, in Ius controversum e auctoritas principis. Giudici, principe e diritto nel primo impero, Atti del Convegno internazionale di Diritto romano e del IV premio G. Boulvert, a cura di F. Milazzo, Napoli 2003, 27 ss.

 

[4] P. Grossi, nella sua lectio magistralis del 20 gennaio 2010, Il ruolo del giurista oggi, ora pubblicata in SDHI, LXXVI, 2010, XI ss., rileva che «La modernità ha nutrito una profonda diffidenza per il giurista, cioè colui che conosce provvedutamente ideario e vocabolario giuridici, sia esso il maestro universitario, il giudice l’avvocato il notaio. E’ uno dei punti fermi delle correnti illuministiche continentali, che possiamo verificare – in Italia – negli acri e demolitivi libelli di un Muratori e di un Beccaria. A metà del secolo XVIII si veniva a ribaltare completamente quella che era stata la scelta fondamentale dell’antico diritto romano, dello ius commune medievale e del common law di Oltremanica (nel quale anche durante il corso dei secoli moderni continua a battere un cuore medievale); se in queste civiltà era il giurista – colui che sa di diritto – il motore prevalente dell’ordinamento giuridico, la scelta illuministica, vogliosa di operare una rottura clamorosa con le vecchie soluzioni medievali e chiesastiche, consegna il diritto nelle mani del potere politico».

 

[5] Vedi U. Petronio, L’analogia tra induzione e interpretazione nell’ottica di uno storico del diritto, in Europa e diritto privato, 2010,1, 99. Inoltre, dice ancora l’autore, il giudice interpreta la norma per dettare la soluzione del caso, che è una soluzione “vera”, almeno nel senso in cui sono vere le soluzioni giuridiche – quindi che è vera limitatamente all’assetto di interessi che gli sono stati prospettati – e che è anche precettiva; il giurista invece interpreta la norma per trovare soluzioni “probabili” o “possibili”, per una serie di casi, e che sono probabili o possibili in ragione della loro persuasività. Ugo Petronio, in questo recentissimo scritto rimedita il senso e il fondamento del binomio interpretatio/interpretazione, sottoponendo ad analisi critica anche alcune letture di storici del diritto e di teorici.

 

[6] N. Lipari, Il ruolo del giudice nella crisi delle fonti del diritto, in Riv. trim dir. proc. civ., 2009, 482 ss. rileva che «l’odierna crisi del sistema delle fonti del diritto, ormai sicuramente svincolate dall’unico punto di riferimento di segno statualistico e sempre più di frequente affidate ad una dialettica interna che sposta il punto di individuazione del precetto come regola all’azione dal momento di posizione dell’enunciato a quello del suo concreto riconoscimento nel contesto storico dato, ha fatto giustizia di quegli antichi postulati, oggi semplicemente riecheggiati in stereotipi generici, strumentalmente utilizzato per contingenti fini politici». E ancora «… dobbiamo reagire alla tentazione – significativamente ricorrente in stagioni come quella che stiamo vivendo – di ricondurre la scientificità del metodo giuridico a giudizi di conformità a forme previamente individuate in una asserita oggettività fattuale e rispetto alle quali si pretende risulti estraneo ogni giudizio di valore» (op. cit., 487).

 

[7] Ho usato in questo contesto il termine ‘giuristi’ riferendomi alla accezione più ampia del termine stesso; intendendo cioè per giuristi tutti coloro che riflettono ed operano nell’ambito della realtà giuridica: gli accademici, i giudici, gli avvocati ed i notai. Ciascuno di questi ‘conoscitori del diritto’ può guardare al fenomeno giuridico da una diversa prospettiva e con differenti obiettivi. Tradizionalmente al teorico del diritto è affidata la sistemazione scientifica dell’esistente giuridico: «E’ pertanto la scienza che fa dell’ordinamento giuridico un insieme osservato» (P. Grossi, Prima lezione di diritto, Laterza 2003, 19 ss.).

 

[8] Su ciò v. L. Vacca, Cultura giuridica e armonizzazione del diritto europeo, in Europa e diritto privato, 2004, I, 53 ss., ripubblicato con modifiche in L. Vacca, Metodo casistico e sistema prudenziale, cit., 217 ss.

 

[9] Questa divaricazione fra cultura del sapere e cultura del fare, che viene spesso teorizzata come auspicabile – se anche proposta programmaticamente nella individuazione di percorsi differenziati di formazione in recenti progetti di riforma degli studi universitari – è ovviamente destinata ad accentuarsi in ossequio all’idea che una ‘tecnicizzazione’ del diritto ed una specializzazione ‘professionale’ del giurista siano istanze inarrestabili dell’attuale società di massa: v. per es. Irti, Nichilismo giuridico, Roma-Bari 2005, in part. 101 ss.

 

[10] Va infatti considerato che la ‘giurisprudenza’ – intendendo con questo termine non solo il ‘precipitato’ costituito dall’insieme delle decisioni giudiziarie considerate come precedenti, ma anche il procedimento interpretativo cui è chiamato il giudice nel momento in cui deve ‘trovare’ la soluzione giusta del singolo caso concreto – costituisce l’aspetto ‘vivente’ del diritto; costituisce cioè il momento fondamentale in cui il diritto opera nella pratica.

 

[11] «Quella che noi chiamiamo scienza del diritto è la conoscenza tecnica della struttura interna delle istituzioni giuridiche, accompagnata dalla padronanza di un metodo che permette di operare su di esse e per mezzo di esse. La scienza giuridica non può esaurirsi né in un momento teorico, conoscitivo, né in un momento pratico applicativo: il momento conoscitivo e la padronanza delle tecniche per interpretare il dato giuridico esistente non può che avere lo scopo pratico di applicare i risultati della scienza alle soluzioni dei casi pratici, e cioè alla giurisprudenza»: C.A. Cannata, Lineamenti di Storia della giurisprudenza europea, cit., I, 7 ss.

 

[12] Cfr. C.A. Cannata, Storia della giurisprudenza europea, Torino 1976.

 

[13] F.C. von Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad. italiana di V. Scialoja, I, Torino 1886, 10 ss.

 

[14] Op. cit., 215 ss.

 

[15] Nella sua accezione teorica più ampia tuttavia ‘diritto giurisprudenziale' significa diritto prodotto da giuristi, diritto elaborato cioè nell'ambito di un ceto che condivide e padroneggia la scienza giuridica ed esprime opinioni che sono autorevoli in quanto espressioni 'della ragione giuridica in sé' e che non si limita ad offrire la conoscenza di un diritto già interamente formato, ma contribuisce essa stessa alla formazione del diritto, ed è 'creativa' indipendentemente dal valore vincolante delle sue opinioni. Sul punto si veda Lombardi, v. Giurisprudenza, Teoria generale, Enciclopedia Treccani, 1 ss., ma si veda già dello stesso autore, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano 1967, passim.

 

[16] C.A. Cannata, Lineamenti di storia della giurisprudenza europea, cit., in part. 13 ss., rileva che la storia della scienza giuridica coincide con la storia della giurisprudenza europea, che trova inizio nella Roma antica. «La ragione di ciò risiede nel fatto che il mondo romano, primo e solo fra gli ambienti dell’antichità, conobbe – e fu anzi sua creazione originale e specifica – la figura del giurista» (op. cit., 17).

 

[17] C.A. Cannata nei suoi Lineamenti di storia della giurisprudenza europea, cit., 1 ss. scrive: «il materiale romano venne in considerazione, dal medio evo in poi, non solo per il suo contenuto materiale - normativo -, ma soprattutto per il patrimonio di strumenti concettuali che esso racchiude, e, ancor più, per il suo valore di metodo, quale è sempre stato considerato».

 

[18] In particolare il metodo del diritto giurisprudenziale romano dell’età classica fu caratterizzato dalla capacità dei giuristi di creare un ‘sistema scientifico’ in cui la ‘interpretatio’ del jus, indirizzata alla ricerca, nell’ambito di in ordinamento giuridico composto da una pluralità di fonti, della soluzione ‘probabilmente giusta’ dei casi concreti, si collegava in una ‘trama aperta’ portata a coerenza interna dall’elaborazione di categorie concettuali ordinanti, in un dialogo ininterrotto, sincronico e diacronico, fra gli stessi giuristi. L’accentramento del potere normativo imperiale isterilì la scienza giuridica giurisprudenziale, oscurando l’autorità dei giuristi. Su ciò vedi L. Vacca, Metodo casistico e sistema prudenziale, Ricerche, cit., 175 ss.

 

[19] Const. Tanta, in particolare §§ 18-20.

 

[20] Esula dall’oggetto di queste osservazioni qualsiasi riferimento preciso alle vicende del diritto romano nella storia medievale, e alle circostanze che determinarono il silenzio della scienza giuridica sino al XII secolo. Al proposito si veda in particolare E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, I, L’alto medioevo, Roma 1995.

 

[21] L’Europa del diritto, Bari 2008, 45 ss.

 

[22] Op. cit., 51.

 

[23] C. Schmitt, La condizione della scienza giuridica europea, (1943), trad. it., Roma 1996, su cui cfr. in particolare L. Garofalo, C. Schmitt e la Wissenschaft des römischen Recht. Saggio su un cantore della scienza giuridica europea, in Fides humanitas ius. Saggi in onore di L. Labruna, Napoli 2007, 2081 ss., ripubblicato in Giurisprudenza romana e diritto privato europeo, Padova 2008, 167 ss.

 

[24] Sulla ‘scientificità’ del binomio case law - judge made law nella formazione del Common law inglese cfr. di recente M. Serio, nella sua relazione su ‘L’apporto della comparazione nel rapporto tra scienza giuridica ed elaborazione giurisprudenziale’, in Scienza giuridica e prassi. Atti del Convegno ARISTEC, Palermo 26-28 novembre 2009, a cura di L. Vacca, Napoli 2011.

 

[25] Cfr. Vacca, Contributo allo studio del metodo casistico del diritto romano, II ed., Milano 1982, passim; in part. 144: «… Al di là della manifesta differenza fra l’attuale sistema del precedente vincolante inglese e l’articolato meccanismo romano, in cui la decisione del caso concreto non è altro che un momento della individuazione del principio da applicare (in cui convergono gli elementi fondamentali della determinazione del mezzo processuale e della valutazione della fattispecie da parte dei tecnici del diritto), assume evidenza la comunanza dei presupposti che nei due sistemi guida l’interpretatio, che, peraltro, a sua volta, va inteso come costruzione del sistema giuridico». Per esempio il Radbruch, Lo spirito del diritto inglese, trad. italiana a cura di A. Baratta, Milano 1972, rilevava che proprio l’originaria autonomia culturale del mondo germanico da cui deriva il sistema anglosassone dell’epoca della conquista normanna ha permesso ai giuristi inglesi di avvicinarsi allo spirito e al metodo casistico dei giuristi romani senza l’influenza dell’idea codificatoria dell’imperatore Bizantino. Si vedano al proposito anche i miei saggi dedicati a questo tema, oggi raccolti in Metodo casistico e sistema prudenziale, cit.

 

[26] G.M. Berruti, in un recente contributo, in Giustizia Civile, LX, 2010, 3, 125 ss., che riproduce il testo di una relazione al Convegno ARISTEC in Scienza giuridica e prassi. Atti del Convegno ARISTEC, Palermo 26-28 novembre 2009, cit., rileva che «La sistemazione scientifica dell’esistente giuridico include le tecniche con le quali, inteso il fenomeno giuridico quale forma di ordinamento autoritativo del sociale, e dunque di organizzazione della vita dell’uomo, si esaminano anche le decisioni giudiziarie e l’insieme al quale queste danno vita. Pertanto essa elabora le chiavi di lettura che consentono di conferire all’insieme la razionalità di un sistema. Operazione autonoma, non codificabile dall’esterno, affidata alla comunità scientifica, la cui funzione è più forte nelle fasi di decostruzione dei sistemi legislativi, dovuta, come credo sia osservazione attuale nel caso italiano, anche alla difficoltà politica di riconoscersi in un catalogo condiviso di fonti del diritto. Al contrario, è proprio la scienza giuridica la quale per sua natura sintetizza nella valutazione delle funzioni evocate anche dalla più frammentata e meno consapevole giurisprudenza, che oggettivamente ricostruisce il sistema ogni qual volta si pone a valutare la natura giuridica di un fatto».

 

[27] Si vedano al proposito per esempio le osservazioni di R. Sacco, Comparazione giuridica e conoscenza del dato giuridico positivo, in AA.VV., L’apporto della comparazione alla scienza giuridica, a cura di R. Sacco, Milano 1980, 241 ss., e per quanto concerne il diritto romano, G. Pugliese, Diritto romano e scienza del diritto, in Annali dell’Università di Macerata, XV, 1941, 5 ss., ora in Scritti giuridici scelti, III, Napoli 1985, 159 ss., in cui peraltro si poneva anche in luce il rapporto nella elaborazione della scienza giuridica fra la storia e la comparazione e su cui L. Garofalo, in una relazione dal medesimo titolo, tenuto in occasione delle giornate di studio in ricordo di G. Pugliese, sul tema ‘Diritto romano, tradizione romanistica e formazione del diritto europeo, svoltesi a Roma nei giorno 9-11 giugno 2005, (gli Atti sono ora pubblicati a cura di L. Vacca, Padova 2008) sviluppa una riflessione concernente anche gli orientamenti metodologici attuali nell’ambito della ricerca romanistica: L. Garofalo, Diritto romano e scienza del diritto, in Atti, cit., 263 ss. (ora anche in Giurisprudenza romana cit., 167 ss.).

 

[28] Carlo Augusto Cannata ha osservato che «… la collaborazione della scienza romanistica alla scienza giuridica si presenta come un elemento della scienza, e non vi si presenta come un elemento nuovo: la scienza del diritto romano fa parte della scienza giuridica da quando essa è nata, perché sono i giuristi romani che l’hanno creata …», Pugliese precursore, in Diritto romano, tradizione romanistica e formazione del diritto europeo, cit., 19.

 

[29] L. Garofalo, Scienza giuridica, Europa, Stati: una dialettica incessante, in Troiano–Rizzelli-Miletti, Harmonisation involves history? Il diritto privato europeo al vaglio della comparazione e delle storia (Foggia, 20-21 giugno 2003), Milano 2004, 89 ss. (ora in L. Garofalo, Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica europea. Saggi, Padova 2005, 117 ss. e da qui citato), in part. 134 ss.

 

[30] Riflessioni su ‘i fondamenti del diritto europeo’: una occasione da non sprecare, in Iura, LI, 2000 (ma pubblicato nel 2003), 22.

 

[31] E’ ormai abbastanza usuale nella dottrina la considerazione che anche negli ordinamenti di Civil Law, che formalmente non riconoscono il valore vincolante del precedente, la rilevanza delle sentenze su precedenti casi simili sia stata di fatto introdotta come strumento di interpretazione di cui il giudice si serve per pervenire alla nuova decisione, e che quindi la differenza fra i diritti di Common Law e i diritti di Civil Law si riduca alla circostanza che nei primi il precedente è vincolante nei secondi è solo persuasivo, e che quindi in concreto i due sistemi sono abbastanza simili. Ciò anche per un accentuarsi nei paesi di Common Law della rilevanza dello Statute Law. Una valutazione di questo tipo risulta tuttavia del tutto imprecisa, sia per la circostanza che non necessariamente in un sistema di Common Law le Corti sono sempre vincolate dal precedente (cfr. per es. Cannata Gambaro, Lineamenti di storia della giurisprudenza europea, iv ed., II, Dal Medioevo all’epoca contemporanea, 110 ss.) sia per il fatto che la citazione delle sentenze nei paesi di Civil Law avviene spesso in modo che nulla ha a che fare con la tecnica scientifica del precedente; ciò anche per il modo in cui nei paesi continentali le sentenze sono redatte e utilizzate successivamente; è per esempio interessante notare (ma la questione richiederebbe una specifica indagine approfondita) che in Italia, dove indubbiamente è altissima l’autorità delle decisioni della Corte di Cassazione, la citazione delle sentenze avviene quasi sempre utilizzando non il testo integrale della sentenza ma le ‘massime giurisprudenziali’, spesso formulate da operatori inesperti di diritto, che indicano in modo erroneo il rapporto fra la struttura del caso concreto e la decisione, con la conseguenza che talvolta si forma una ‘giurisprudenza costante’ su casi che in realtà non solo non sono affatto simili fra loro, sotto il profilo degli elementi di fatto rilevanti, ma neanche sono stati decisi secondo la stessa.

 

[32] L. Vacca, L’interpretazione casistica fra storia e comparazione giuridica, in Metodo casistico, cit., 257 ss.