I pubblicani romani: l’esperienza romana
nell’attuazione privata della funzione statale*
Università di Xiamen
Indice-Sommario: I. Gli
aspetti storici della figura istituzionale dei pubblicani. – I.1. L’origine dell’istituzione
dei pubblicani ad Atene. – I.2. Istituzione dei pubblicani a Roma. – I.3. Il
declino dell’istituzione dei pubblicani a Roma. – II. Gli
aspetti giuridici della figura istituzionale dei pubblicani. – II.1. La stipulazione del contratto di appalto del tributo.
– II.2. Le attività della
tassazione dei pubblicani. – II.3. Il
controllo della legge sull’abuso di potere dei pubblicani. –
II.4. La struttura interna della societas publicanorum. – III. Conclusione. – Abstract.
L’istituzione dei pubblicani ha origine ad Atene,
grazie ad essa i pubblicani acquistavano il diritto di imporre un certo tipo di
tributo (ad esempio il dazio doganale, le tasse agli stranieri residenti, le
tasse della vendita), qualora fossero riusciti a vincere il concorso per
l’appalto. Essi dovevano pagare i tributi allo Stato anticipatamente e le
remunerazioni per loro consistevano nella parte eccedente i tributi imposti in
pratica. In questo modo lo Stato si liberava dalle spese per mantenere un
collegio di funzionari con il compito di raccogliere i tributi e poteva
così ottenere i tributi all’inizio di ogni anno finanziario[1], perché si poteva calcolare la quota tassabile
annuale con il registro fiscale dell’anno precedente. Lo svantaggio
dell’istituzione dei pubblicani era che il popolo doveva pagare di
più dei tributi previsti, altrimenti non ci sarebbe stato profitto per i
pubblicani. Inoltre, se i pubblicani si accordavano a deprimere il prezzo
dell’appalto, la finanza statale poteva essere danneggiata. Per i
pubblicani c’era sempre sia il rischio sia il profitto, che in genere era
del 12%. Il rischio esisteva perché se qualcuno evadeva i tributi e non
si riusciva a raccogliere quelli previsti, loro stessi dovevano pagare le quote
mancanti.
La ragione per cui la nascita dell’istituzione dei
pubblicani si colloca ad Atene è che lì vigeva il principio
secondo cui l’assunzione di un ufficio pubblico per un lungo tempo era
contraria alla costituzione della città, perciò i magistrati si
scambiavano in breve tempo i posti. L’istituzione dei pubblicani
risolveva quindi questo problema costituzionale[2]. Nella città-Stato quest’istituzione si
è rivelata migliore dell’istituzione della tassazione del governo
perché essa era più efficiente e più economica[3].
Ad Atene la legge stabiliva i requisiti per essere un
pubblicano ed i loro obblighi e privilegi. Tutti gli individui e le
società potevano diventare pubblicani, ma le ultime potevano cogliere
più facilmente il prezzo dell’offerta, che doveva essere
equivalente alla metà del valore del diritto di imporre i tributi. Il
contratto di appalto era valido per un anno, ma l’attività della
tassazione chiedeva un’esperienza di lungo termine, perciò sempre
la stessa persona vinceva il concorso di appalto nell’anno successivo. I
pubblicani dovevano prestare un garante[4]. Il pagamento dei pubblicani si divideva in due rate.
Dovevano pagare nella durata in carica[5] del primo prytaneia[6] la prima rata, dopo di che loro potevano cominciare a
tassare. Gli altri pagamenti dovevano essere fatti nella durata di carica del
sesto prytaneia. Se il pagamento era
in ritardo, essi erano sanzionati con
l’infamia e il carcere. Se ancora non avessero pagato fino alla
durata di carica del nono prytaneia
il debito diventava il doppio, i beni dei pubblicani dovevano essere trattenuti
e il garante doveva assumere la responsabilità. Se scoppiava la guerra o
una pestilenza, il popolo di Atene poteva alleviare il debito del pubblicano,
dopo un’indagine. I pubblicani erano liberati dalla leva per garantire la
continuità delle loro attività. Nel processo della tassazione
loro impiegavano i dipendenti e gli schiavi. Se c’era il sospetto
dell’evasione dei tributi, potevano controllare le navi e confiscare le
merci sulle quali non erano stati pagati i tributi. Il pubblicano poteva
accusare il contrabbandiere al thesmothetai.
Dopo l’accusa, le merci relative dovevano essere confiscate e chi aveva
evaso i tributi doveva essere punito. Si poteva anche accusare davanti
all’apodecte[7]. Nelle altre città greche, ad esempio in
Macedonia, le legislazioni sui pubblicani erano più o meno simili.
L’istituzione dei pubblicani ad Atene non ha avuto
problemi nella sua attuazione ed ha avuto una buona fama perché in quel
tempo le tariffe erano basse, le dimensioni delle società dei pubblicani
non erano grandi e operavano solo per qualche tipo di tributo, ad esempio
quello del dazio doganale, in cui i soggetti passivi erano principalmente gli
stranieri[8].
Il problema della tassazione nell’età dei Re
è per noi oscuro, infatti di esso gli autori dei manuali del diritto
pubblico romano tacciono. Si trovano due tipi di tributi nelle tradizioni. Uno
è il dazio doganale che, secondo l’opinione comune[9], è il primo tipo di tributo nella storia romana,
perciò doveva esistere già nell’età monarchica, ma
non prima dei primi tre Re. Il quarto Re, Ancus
Marcius, aveva costituito il porto di Ostia. È probabile che da quel
tempo si iniziò ad imporre il dazio doganale[10]. L’altro tipo è il tributum[11]. Dopo la riforma di Servius
Tullius, tutti i cittadini romani dovevano pagare il tributum ex censu secondo la quota dei beni che il censore aveva
confermato nel census e la tariffa
era l’uno per mille. La maggiore parte di questi beni erano terreni,
perciò questo tipo di tributo poteva chiamarsi il tributo dei terreni.
Chi non aveva figli e le vedove dovevano pagare un tipo di tributo simile, la
cui tariffa era 2000 assi ogni anno. I tributi pagati dai primi erano
utilizzati come compensi per i soldati, mentre quelli pagati dagli ultimi erano
utilizzati per l’aes hordiarium
degli equites equo publico[12]. I poveri, che erano della classe più umile,
dovevano pagare il tributo pro capite
perciò questo tipo di tributo si chiamava anche capitatio plebeia[13]. Non è chiaro se per imporre il dazio doganale era
nominato un magistrato o se fosse appaltato a un privato. Ma è chiaro
che il tributo di guerra era imposto tramite le tribù e poi queste lo
trasmettevano al governo centrale[14].Ciò vuole dire che c’erano dei responsabili
per questa tassazione.
È molto più chiara la situazione della
tassazione nell’età repubblicana. I tributi di guerra che erano
stati sospesi per un certo periodo di tempo e ripresi con l’assedio di
Veio, erano imposti dai tribuni aerarii,
che erano i cittadini ricchi selezionati da ogni tribù e responsabili
del pagamento dei tributi ricevuti dai soldati. Per garantire il pagamento ai
soldati veniva ad essi attribuito il potere di pignoris capio[15] sui tribuni
aerarii. In quel periodo sembrava che i tributi romani fossero imposti
direttamente e non esistevano i pubblicani. Nel 167 a.C. Roma conquistava la
Macedonia e acquistava numerosi bottini, da quel momento il popolo non dovette
pagare più i tributi di guerra, perciò scomparsi i tribuni aerarii, la funzione della
tassazione fu assunta dai questori[16].
Allora quando si passò, in età
repubblicana, dalla tassazione diretta alla tassazione indiretta? In altre
parole, quando i romani importarono l’istituzione dei pubblicani dalla
Grecia? Secondo Livio (Liv.23,48,10-29), già nel 212 a.C. esisteva delle
persone che avevano assunto il diritto della tassazione dal censore, attraverso
il concorso d’appalto, da Valerius
Maximus chiamate pubblicani[17]. Livio parla anche, in un altro testo (Liv.25,3,12), del
fatto che nel 212 a.C. il senato cominciava a considerare la possibilità
adoperare l’istituzione dei pubblicani[18]. Possiamo vedere che la conquista della Macedonia nel
167 a.C. fu un evento importante. Da un lato risultava la sospensione, seppur
in parte, della tassazione diretta vigente a Roma, dall’altro lato essa
presentava il vantaggio dell’istituzione dei pubblicani utilizzata in
Macedonia che i romani desideravano copiare. Possiamo dire che i romani
adoperarono l’istituzione dei pubblicani nel periodo tra 167 a.C e 212
a.C.
L’accettazione dell’istituzione greca dei
pubblicani a Roma ebbe le stesse ragioni costituzionali. La carica del
magistrato durava un anno generalmente e non vi era un sistema di servizio
civile responsabile dell’amministrazione dei beni statali e della
tassazione, perciò dovettero rivolgersi ai pubblicani[19]. Certamente la costituzione dell’istituzione dei
pubblicani è legata anche all’espansione di Roma e in cui è
compresa la conquista della Macedonia. Come dice lo studioso Sergei Ivanovich
Kovalev: «Quando Roma da una città è diventata il centro
dei paesi potenti del mondo, gli organi statali sono rimasti quelli vecchi
della civitas. Al di là non
c’erano gli organi specifici per amministrare l’Italia e le
province. Soprattutto non c’erano gli organi finanziari perciò il
modo più conveniente per tassazione era l’appalto»[20].
La forma latina di pubblicano è publicanus, secondo lo studioso spagnolo
Antonio Mateo questa parola significa “pubblico”[21] e viene tradotto in “procuratore degli uffici
pubblici” dallo studioso giapponese Nanami Spiono[22]. Sulla base della comprensione del termine da parte dei
due studiosi, publicanus recita un
ruolo che serve al pubblico, ma lo studioso americano Charles Adam afferma che publicanus deriva da publicum,
quest’ ultimo significa il bene dello stato oppure il reddito dello stato[23], cioè, publicanus
è soltanto una persona che sfrutta il bene dello stato (quia publico fruuntur)[24]. La comprensione del termine secondo Charles Adam
implica il ruolo di homo aeconomicus dei
pubblicani.
Publicanus è il nome di un categoria, cioè il suo
nome concreto si può differenziare a seconda dei diversi tipi di tributo
appaltati. La persona che prende in appalto il tributo decimale si chiama decumanus, ma la persona che prende in
appalto il tributo provinciale in Asia è chiamata ancora publicanus dagli Asiatici. La persona
che prende in appalto la spesa dell’utilizzazione di pascolo pubblico (scriptura)si chiama scripturarius.
La persona che prende in appalto il dazio doganale si chiama portitor[25]. Perciò, possiamo concludere che non sia
appropriato tradurre publicanus con
“pubblicano”, perché questi prendevano in appalto non solo i
tributi, ma anche le spese, per esempio, la spesa dell’utilizzazione di
pascolo pubblico era un tipo di spesa che solo l’utilizzatore doveva
pagare, quindi non era un tipo di tributo che tutti devono pagare.
Publicanus ha i diversi nomi nei differenti luoghi. In Italia, si
chiama petitor o pignerator. In Sicilia, dopo il cambiamento del modo di imporre il
tributo di Gaius Verres[26], si chiama ereptor
o possessor [27], ed il primo nome riflette rettamente il contenuto della
riforma di Gaius Verres.
Come un nome di categoria, publicanus è affiancato ad altre persone che assumono
funzioni dello stato, cioè il manceps
e il redemptor. Discutiamoli uno a
uno.
Manceps indicava la persona che vinceva l’appalto del
contratto pubblico, il quale includeva non solo quello dello stato, ma anche
quello del municipio, i cui contenuti comprendevano: l’ottenimento
all’asta del patrimonio dell’ esiliato, costituire e mantenere la
costruzione pubblica, sfruttare le terre pubbliche, e imporre i tributi[28]. Il concetto di manceps
deriva dalle attività estese dell’appalto
dell’amministrazione dei beni pubblici che lo stato Romano dava, nella
prima metà del II sec. a.C. Per quanto riguarda questo fenomeno, Polibio
scrive: «molti sono infatti i lavori dati in appalto dai censori in tutta
Italia per la costruzione ed il restauro di varie opere pubbliche, che non
è facile elencare, numerosi inoltre sono gli appalti di corsi
d’acqua, di porti, di pascoli, di miniere, di terreni, in una parola, di
quanto rientra nell’area di dominio dello Stato romano. Ora, tutti questi
appalti sono gestiti dal popolo e si può dire che quasi tutti i
cittadini sono coinvolti in tali appalti e nei guadagni che ne derivano»[29].
Anche redemptor
indicava l’appaltatore, cioè la persona che vinceva il concorso di
appalto organizzato dal censore[30], però l’ oggetto dell’appalto non era
la costruzione pubblica, ma la fornitura ed il servizio pubblico, ad esempio,
fornire le vettovaglie e gli strumenti per la guerra all’ esercito e
mantenere il tempio sacro. La loro attività, quindi, aveva una natura
intermediaria, cioè, benché la loro attività non fosse
stata la costruzione pubblica di per se, questa attività aveva una
funzione attiva per il complemento della costruzione pubblica[31]. Certamente, anche l’appalto di raccogliere i
tributi era una attività intermediaria, quindi più tardi
emergeranno i redemptores vectigalium[32].
Quali sono le differenze tra le tre figure suddette?
Innanzitutto, manceps è
differente da redemptor. Il primo
prende in appalto soltanto gli affari pubblici, l’ultimo invece prende in
appalto non solo gli affari pubblici, ma anche quelli privatiil primo emerge
prima dell’ultimo[33].
In secondo luogo, manceps ha una
relazione con publicanus, e nella
trattazione successiva indicherò che manceps
è il rappresentante della società dei pubblicani, il quale firma
il contratto d’appalto dei tributi con lo stato Romano. Alla fine, publicanus è diverso da redemptor, perché l’oggetto
dell’appalto del primo include solo i tributi, quello dell’ultimo
include di più, quindi publicanus
è solo un tipo di redemptor, e
nel periodo repubblicano il primo diventa un termine che indica specialmente la
persona che prende in appalto il reddito pubblico del popolo Romano[34]. Perciò, come scrive il giurista Gaius:“Eum qui
vectigal populi Romani conductum habet, "publicanum" appellamus
…”(D.50,16,16 Gaius libro tertio ad edictum provinciale). Certamente, il reddito annuale dello stato non era
limitato ai tributi, perciò Gaius
dice:“Sed et hi, qui salinas et cretifodinas et
metalla habent, publicanorum loco sunt”(D.39,4,13pr. Gaius libro XIII
ad edictum provinciale).
Ciò nonostante, l’attività di tutti e
tre ruota intorno alla necessità dello stato, uno amministra i beni
dello stato, uno soddisfa la necessità dello stato e l’altro
impone i tributi per lo stato. Gli stati moderni hanno due metodi per trattare
queste attività: il primo metodo è di nazionalizzazione,
cioè lo stato incarica queste tre attività a funzionari dello
stato oppure alle imprese nazionali e come tutti sanno, questo metodo è
stato adottato da molti stati socialisti reali. Il secondo metodo è di
privatizzazione, cioè lo stato, alla maniera dei Romani, dà le
tre maggiori attività ai privati, per esempio, gli Stati Uniti hanno
fatto così, ma pochi stati moderni affidano l’attività di
imporre il tributo di natura sovrana ai privati. Questa sistemazione straordinaria
indica la realtà politica romana in cui non c’era il sistema
burocratico in senso moderno.
Nella storia romana l’istituzione dei
pubblicani ha pessima fama, il destino è, quindi, molto diverso da
quello ad Atene. Gli studiosi parlano spesso del fatto che il sistema fiscale
romano fosse «più o meno la rapina organizzata» e che i
pubblicani romani fossero «un gruppo di rapinatori»[35]. Un autore romano del II sec. a.C. scriveva:
«Tutto il mondo geme ai piedi dei pubblicani»[36]. I pubblicani potevano ottenere maggior profitto se
imponevano più i tributi, perciò facevano tutto il possibile per
“depredare” i contribuenti. I pubblicani romani erano differenti
dai loro colleghi di Atene. Gli ultimi imponevano il tributo ai concittadini
oppure agli stranieri nella terra nazionale, quindi dovevano tener conto della
propria fama e dell’opinione dei i compatrioti; mentre i primi erano nati
dall’espansione esterna romana, di solito imponevano il tributo agli
stranieri nelle terre straniere, perciò non avevano bisogno di tenere in
considerazione la loro reputazione e l’opinione dei compatrioti, infatti
gli stranieri erano molto sfruttati. Pertanto, l’istituzione dei
pubblicani ha rovinato la repubblica romana, ha distrutto le province e ha compromesso
la stabilità dell'impero romano. Nell’anno 88 a.C. Mitridate il
Grande guidò la maggioranza delle città dell’Asia e della
Grecia contro Roma, e nel primo giorno della rivolta 80.000 pubblicani romani
furono uccisi. Mitridate dette inizio a questa rivolta in nome
dell’abolizione dell’istituzione dei pubblicani, e promise che
tutte le città che vi partecipavano sarebbero state esenti dai tributi
per cinque anni[37]. Lucius Cornelius
Sulla aveva soppresso la rivolta di Mitridate, ma aveva accettato la richiesta
di abolire l’istituzione dei pubblicani, i quali furono sostituiti dal
procuratore speciale (simile alla polizia fiscale moderna)[38] e da quel momento il potere di pubblicani andò
gradualmente in declino.
Nel 47 a.C. Cesare affidò alle
città dell’Asia il potere di imporre il tributo dello stato,
lasciando 1/3 del reddito alle città che avevano contribuito ad
eliminare la posizione sfruttatrice dei pubblicani[39]. Augusto e i suoi successori cominciarono a limitare i
poteri delle societates publicanorum e le fecero diventare
appaltatrici di tributi locali invece che dello stato[40]. Il potere delle societates
publicanorum di imporre i tributi
diretti fu cancellato totalmente nel periodo de Tiberio. Nerone emanò
una legge per limitare i poteri dei pubblicani, i cui contenuti erano i seguenti:
a) Pubblicare le norme in passato tenute segrete sui
tributi diversi.
b) Stabilire la decadenza della tassazione in un anno,
cioè se i tributi non erano imposti entro il termine, non potevano
più essere richiesti.
c) I pretori e i proconsoli dovevano giudicare
prioritariamente i casi di accusa verso i pubblicani[41].
Nel periodo di Adriano i poteri di imporre i tributi
indiretti furono tolti alle societates
publicanorum di Roma ed affidati agli
esattori dei tributi locali, sotto la supervisione del procurator del princeps.
Ma la figura istituzionale dei pubblicani non si era estinta e ancora in molti
paesi la riscossione dei tributi era in appalto[42]. Nel II sec. d.C., le societates publicanorum
si estinsero. Da quel momento, il praepositus
sacri cubicoli imponeva il maggiore tributo e il dazio doganale era
affidato ad un pubblicano generale. Dalla fine del II sec. anche il dazio
doganale cominciava ad essere imposto direttamente[43]. Però la studiosa Maria Rosa Cimma dice che
all’inizio del II secolo ancora esistevano le persone che raccoglievano vectigalia, ma tali soggetti non
prendevano più in appalto la costruzione di opere pubbliche[44]. Sebbene ci siano molte opinioni diverse che confermano
l’estinzione della figura istituzionale del pubblicano, un punto fermo a
riguardo si ha nelle Institutiones di
Gaio, pubblicate nel 161 d.C., in cui ancora viene menzionata tale figura.
Prima del 438 d.C., nel Codex
Theodosianus sono presenti le disposizioni sul pubblicano (libro 4, titolo
13). Non sappiamo se la figura
istituzionale del pubblicano fosse
decaduta o meno, ma è certo che è stata rimessa in vigore nel Codex Theodosianus. Dopo di che, Anastasius
(491-518) affidò ai pubblicani
il compito di imporre le tasse delle terre, per aumentare il reddito del fiscus.
Ancora nel Digesto Giustinianeo, sono presenti le disposizioni sui pubblicani (libro 39,
titolo 4), mentre nel Codice di Giustiniano, il pubblicano viene sostituito dall’ exactor. Questo duplice sistema sembra
dimostrare che la figura istituzionale del pubblicano ancora esisteva nel
periodo giustinianeo, ma diminuivano le sue competenze[45].
La figura istituzionale del pubblicano, inventata dai
Greci e destinata a durare per 2500 anni nella cultura occidentale seppure in
forme diverse, si estinse nel periodo della prima guerra mondiale, nel XX
secolo. Tuttavia, oggi riappare in alcuni paesi[46].
Le parti del contratto comprendono lo stato
romano e i pubblicani. All’inizio
del II secolo a.C., i censori e i consoli, in qualità dei rappresentanti
dello stato, davano in appalto la riscossione dei tributi ai pubblicani[47]. La procedura della stipulazione era aperta e i censori
potevano dare in appalto i diversi vectigalia
soltanto nei comitia davanti al
popolo romano[48]. Prima di Gaius
Gracchus, chiunque poteva prendere in appalto, anche i latini. Secondo le
fonti, in particolare secondo “la Storia di Roma” di Livio, i
latini avevano vinto la carica di pubblicano[49].
Ma dopo l’emanazione della Lex Sempronia de provincia Asia a censoribus locanda da Gaius Gracchus nel 123 a.C.,
solo ai cavalieri (equites)
poteva essere affidato l’incarico di pubblicano[50]. Perciò questo tipo di contratto aveva avuto natura
di classe, cioè chi non apparteneva alla classe dei cavalieri non poteva
presentare l’offerta per raccogliere le imposte.
Quest’esclusione ha una ragione politica. Ad
esempio, secondo la Lex Licitationis, i membri del senato erano esclusi dal participare e
prendere in appalto la riscossione delle imposte[51], ma potevano esercitare
l’attività agricola, che era in connessione con la politica dei
romani che esaltavano e favorivano l’ agricoltura. Le ragioni
dell’esclusione potevano derivare anche dalla considerazione del malo creditus o della mancanza di
capacità. Per quanto riguarda la prima, i pubblicani che non adempivano al contratto della riscossione del
tributo dell’anno precedente non potevano presentare nuovamente
l’offerta (D.39,4,9,2. Paulus libro quinto
sententiarum), neanche i debitori del fiscus
e dello stato(D.39,4,9,3. Paulus libro
quinto sententiarum); per quanto
riguarda la seconda, i minori che non avevano compiuto venticinque anni non
potevano presentare l’offerta (D.49,14,45,14. Paulus libro quinto sententiarum).
Nella procedura di presentazione
dell’offerta si seguiva il principio
di volontarietà, non si potevano forzare i
nuovi o i pubblicani di esperienza a farla (D.39,4,9,1.
Paulus libro quinto sententiarum). Tale fonte ci da l’informazione che la carica
del pubblicano non era totalmente vantaggiosa: i pubblicani potevano guadagnare
molti soldi, ma si mettevano di fronte al pericolo morale e anche al pericolo
della vita. Perciò si arrivò al fatto che i pubblicani furono forzati a continuare a prendere l’appalto
della riscossione dei tributi quando il termine del contratto scadeva. Per
risolvere la difficoltà della leva dei pubblicani, l’imperatore Hadrianus aveva rilasciato un rescriptum principis per negare la legittimità della
stipulazione forzata, cioè valde
inhumanus (D.49,14,3,6.
Callistratus 3 d. i. fisci). Nonostante questo, i pubblicani che avevano guadagnato molti soldi dal primo contratto di
riscossione dei tributi, se non vi erano altre persone che presentavano
l’offerta per stipulare tale contratto, avrebbero dovuto continuare a
raccogliere i tributi alla stessa condizione del primo contratto (D.39,4,11,5. Paulus libro quinto
sententiarum).
Qualche volta, la procedura di presentazione
dell’offerta era molto competitiva. In regime di concorrenza, anche se il
offerente proponeva un’offerta più alta di quella normale, il
contratto di riscossione dei tributi non era concluso ipso iure, eccetto soltanto quando si dava la garanzia e il
fideiussore avesse la capacità di garantire, in tal caso il contratto
poteva essere concluso(D.39,4,9
pr. Paulus libro quinto sententiarum). In
realtà ogni contratto di riscossione dei
tributi aveva bisogno del praedes che
poteva dividere gli interessi[52].
Nel periodo della Repubblica, il termine del contratto di
riscossione dei tributi era di cinque anni, come la durata della carica dei
censori, era, quindi, più breve di quello di Atene[53]. Nel periodo del principato, il termine del contratto
era diminuito a tre anni[54]. Il potere di imporre i tributi poteva essere trasmesso
in appalto nuovamente[55]. I tributi potevano venire pagati in più rate
entro il termine del contratto. Quando una rata non veniva pagata, sebbene il
termine del contratto non fosse scaduto, i pubblicani potevano essere
sostituiti. Dovevano pagare anche gli interessi della dilazione di pagamento
(D.39,4,10,1. Hermogenianus libro quinto epitomarum).
In primo luogo, i contribuenti dovevano
dichiarare gli oggetti della tassazione. Ad esempio, per quanto riguardava gli
schiavi importati, che erano oggetto di dazio doganale, se i contribuenti non
li dichiaravano, i loro relativi patrimoni andavano confiscati e venivano presi
dal fiscus (D.39,4,16,3. Marcianus lib. singularis de delatori bus). I
contribuenti potevano essere perdonati solo se erano minorenni (D.39,4,16,9.
Marcianus lib. singularis de delatoribus).
Quando i contribuenti dichiaravano legittimamente gli oggetti di tassazione, i
pubblicani erano obbligati ad imporre i tributi, in caso contrario, per
qualsiasi ragione, a seguito della perdita dei redditi da parte del fiscus, i pubblicani e i loro fideiussori dovevano
rispondere per la perdita dei tributi(D.39,4,16,12. Marcianus
lib. singularis de delatoribus). Le merci scaricate dalla nave a causa di
una tempesta marina non erano oggetti di tassazione (D.39,4,16,8. Marcianus lib. singularis de delatoribus).
In secondo luogo, i pubblicani avevano i
mezzi coattivi per realizzare la tassazione. Il primo era il potere di pignoris capio. Gaius diceva che la lex
censoria aveva conferito il potere di pignoris
capio ai pubblicani che prendevano in appalto la riscossione dei tributi
pubblici nei confronti della persona che doveva pagare i tributi secondo una certa legge (Gai. 4,28)[56]. La pignoris capio era solo un mezzo deterrente. Se i contribuenti pagavano i tributi dopo tale deterrente,
potevano riacquistare i loro beni pignorati; in caso contrario, il pubblicano acquistava la proprietà di questi beni[57]. Poiché il pubblicano
non poteva eseguire la sua richiesta coattivamente, riusciva a raggiungere il
suo fine solamente tramite la pignoris
capio dei beni dei debitori o poteva forzare i debitori a venire in
giudizio[58]. Perciò il
pubblicano, in Italia, era chiamato
pignerator[59].
Ma se il pubblicano pignorava il bene
erroneamente, ad esempio prendeva il bestiame di un contribuente, pensando che
avesse commesso una qualche violazione della legge sui tributi, questo non
poteva agire contro il pubblicano con l’actio vi bonorum raptorum, perché non c’era
l’intenzione del dolo. Tuttavia, se il pubblicano avesse racchiuso il
bestiame in modo che non si potesse far pascolare e lo faceva morire di fame,
era responsabile secondo l’actio
utilis dell’actio aquiliana
(D.47,8,2,20 Ulpianus Ad Edictum lib. LVI).
Il secondo mezzo coattivo del pubblicano era il potere di commissum, che si praticava principalmente nella tassazione del
dazio doganale, applicato al trasporto illegale. In questa situazione, appena
venivano scoperte le merci, il pubblicano le poteva confiscare e imputare al fiscus. Se il proprietario della nave
aveva partecipato alla trasporto illegale, anche la sua nave doveva essere
confiscata. Invece, se il proprietario della nave non vi aveva partecipato e il
responsabile era, invece, il comandante, il timoniere, il pilota o il marinaio
che lavorava sulla nave, erano confiscate soltanto le merci, mentre la nave
andava essere restituita al suo proprietario ed i lavoratori suddetti erano
condannati alla pena capitale (D.39,4,11,2 Paulus Sent. Lib. V)[60].
Ma quali merci erano considerate illegali per il trasporto? Nella prima fase
dell’età imperiale, l’esportazione di grano, di spade e di
sale era vietata, per tagliare eventuale fonte di alimenti e di armi ai nemici.
Fino al basso periodo dell’età imperiale, i tipi di merci vietate
per il trasporto erano tanti (D.39,4,11pr. Paulus Sent. Lib. V)[61]. Evidentemente, anche se il pubblicano
era un privato, possedeva il potere di applicazione della legge sulla
importazione ed esportazione doganale.
Poiché il pubblicano assumeva un
ufficio dello stato, ma cercava gli interressi propri dei privati e i soggetti
passivi della tassazione erano peregrini, molto spesso i suoi comportamenti
illeciti erano conseguenti. Perciò Ulpiano dice: «non vi è
nessuno che non è a conoscenza dell’audacia e dell’insolenza
del pubblicano» (D.39,4,12 pr. Ulpianus Ad Edictum lib. XXXVIII). Alla fine dell’età
repubblicana il pretore aveva promulgato un editto al fine di sanzionare gli
atti di ruberie del pubblicano: «quod
pubblicano eius publici nomine vi ademerit quodve familia publicanorum, si id
restitutum non erit, in duplum aut, si post annum agetur, in simplum iudicium
dabo. item si damnum iniuria furtumve factum esse dicetur, iudicium dabo. si id
ad quos ea res pertinebit non exhibebitur, in dominos sine noxae deditione
iudicium dabo» (D.39,4,1 pr. Ulpianus Ad Edictum lib. LV).
Quest’editto include tre aspetti nel
suo contenuto. innanzitutto sanzionava il comportamento del pubblicano
nell’attività di tassazione che violava direttamente la
proprietà del contribuente. Se il pubblicano e la sua familia applicavano il potere di pignoris capio illegittimamente per
rubare i beni del contribuente e la vittima agiva entro termine di un anno, il
pubblicano oltre a dover restituire il bene, doveva anche
pagare la pena pecuniaria uguale al doppio del valore della cosa. La pena era
meno grave perché, in sostanza, il convenuto aveva commesso il furto, ma
non subiva la pena del quadruplo come il rapinatore (D.39,4,1,3 Ulpianus Ad Edictum lib. LV). La causa di questa tolleranza si trova nella qualità
ufficiale dell’attività del pubblicano. Se il contribuente agiva
dopo un anno, anche se vinceva il processo recuperava solo la cosa rubata.
In secondo luogo, l’editto sanzionava
gli illeciti civili incidentali del pubblicano e della sua familia nel processo di riscossione delle imposte, sopratutto, i
comportamenti che violavano la personalità e la proprietà del
contribuente, come maledire, picchiare, e poi rubare. Se il pubblicano e la sua
familia entravano in un luogo del
contribuente e compivano un furto, se il contribuente avesse agito nel termine
di un anno, il pretore gli poteva ancora concedere l’azione per la pena
del doppio del valore del bene; invece se avesse agito dopo un anno, il pretore
gli concedeva soltanto l’azione per il valore semplice. Tutte e due le
azioni erano trasferibile sia agli eredi dell’ attore (D.39,4,13,4, Gaius
Ad Edictum Provinc. Lib. XIII), sia
agli eredi del convenuto nella misura in cui ne avevano beneficiato
(D.39,4,4pr. Paulus sent. Lib. LII).
In terzo luogo, l’editto distribuiva la
responsabilità degli illeciti civili tra il pubblicano e la sua familia. Con il termine familia del pubblicano ci si riferisce a
tutte le persone che partecipavano alla riscossione dei tributi, includendo: a)
gli schiavi del pubblicano; b) i membri della famiglia di questi schiavi; c) il libertus (probabilmente del publicanus);
d) gli schiavi degli altri (D.39,4,1,5 Ulpianus
Ad Edictum lib. LV). Nonostante nel gruppo di lavoro del pubblicano non
mancassero liberi o professionisti, questi non partecipavano mai al
pignoramento del patrimonio del contribuente. Mi sembra che quest’
attività assomigli all’attività dei gestori della
città in Cina, è un lavoro sporco, che appartiene specialmente ai
membri della classe inferiore (‘gli schiavi degli altri’ potrebbero
essere quelli vaganti e fuggitivi, D.39,4,12,2 Ulpianus Ad Edictum lib. XXXVIII).
Se la familia commetteva qualche
illecito civile, la scelta prima del pubblicano era quella di esibirli
affinché l’attore potesse identificare i responsabili[62].
Questa esibizione era un processo speciale di actio noxalis, nel quale ogni schiavo esibito, doveva presentarsi
in tribunale per verificare l’illecito civile che aveva commesso. In caso
di accettazione dell’actio noxalis,
la responsabilità del pubblicano si risolveva, e i soggetti passivi
dell’actio noxalis diventavano
un nexus per risarcire il danno della
vittima. Certamente, se il pubblicano avesse voluto compensare i danni reali
della vittima, lo schiavo autore del illecito civile poteva ottenere perdono
(D.39,4,3,3 Ulpianus Ad Edictum lib. LV). Invece, se il pubblicano rifiutava
di esibire la sua familia, egli
stesso doveva assumere la responsabilità per l’illecito civile
della sua familia, e non poteva cambiare
idea successivamente, cioè non poteva ritornare alla soluzione
dell’actio noxalis. Quindi, il
pubblicano che assomiglia al leader dell’impresa, doveva assumere la
responsabilità per gli atti ufficiali dei sui impiegati, perché
lui ha una colpa nella scelta dei questi ultimi (D.39,4,3 pr. Ulpianus Ad Edictum lib. LV).
In forza dell’editto pretorio citato,
l’abuso di potere da parte dei pubblicani era sotto controllo. Essi erano
stati chiamati ad esercitare il potere di pignoris
capio in maniera ragionevole, ed era loro vietato violare la
personalità e la proprietà del contribuente nel processo di
tassazione. Attraverso il testo dell’ editto pretorio e i commentari dei
giuristi, possiamo vedere che la riscossione dei tributi di solito veniva
realizzata dagli schiavi, quindi molto spesso tutti e due i tipi di illeciti
civili precedenti erano fatti da loro. Quando venivano accusati, il pubblicano
doveva assumere la responsabilità, o indirettamente, cioè
consegnare l’autore dell’illecito civile alla vittima e soffrire la
perdita di valore di questi schiavi, o direttamente, cioè compensare la
perdita della vittima in conto proprio, in questo modo essi erano costretti a
scegliere, per la riscossione dei tributi, gli schiavi di buon comportamento.
Secondo la trattazione precedente, la
tassazione del pubblicano avveniva sulla base dell’attività di
un’organizzazione che includeva gli schiavi e i liberi, detta societas publicanorum[63].
La sua struttura interna poteva presentarsi nei modi illustrati qui di seguito.
Il
manceps, cioè l’appaltatore, che a suo nome firmava il
contratto d’appalto di riscossione dei tributi con il magistrato che
rappresenta lo stato romano. È un problema discusso se la societas publicanorum esistesse
già, quando l’appaltatore faceva un’offerta d'appalto. Gli
studiosi, sia quelli che affermano sia quelli che negano, riconoscono che prima
di fare l’ offerta, l’appaltatore doveva consegnare una lista dei
membri che erano già esistenti o stavano per costituire la
società, al fine di provare la propria capacità nella concorrenza
dell'appalto. Per ottenere il potere di tassazione si aveva bisogno di pagare
anticipatamente una grande somma di denaro allo stato, che di solito i singoli
individui non riuscivano a pagare, ma una società riusciva a pagarla,
per questo vantaggio gli individui che volevano fare le proprie offerte
nell’appalto, si univano in società. Dopo avere vinto l’
appalto, l’appaltatore diventava il presidente della societas publicanorum, perché, al momento
dell’offerta, la società non esisteva e l’appaltatore era
solo il fondatore della società.
Il
magister, cioè il direttore generale della sede centrale della societas publicanorum, era eletto dai
membri dell’ assemblea e il suo mandato era di un anno. Era responsabile
degli eventi amministrativi della società e della vigilanza sulla
esecuzione rigorosa delle condizioni del contratto d’appalto, della
decisione ordinaria sul funzionamento quotidiano della società, del
controllo dei conti, della conservazione della corrispondenza, degli archivi e
dei documenti nei libri della società, di convocare e presiedere
l’assemblea per decidere il buon funzionamento dell’
attività finanziaria. Le decisioni erano prese dalla maggioranza dell’
assemblea[64].
Il motivo per cui lo si chiama direttore generale è che abitava a Roma
ed era il capo dei direttori delle divisioni della società in diverse
provincie.
Il promagister,
cioè il capo dei direttori delle divisioni locali della società
in diverse provincie, era il rappresentante della societas publicanorum, mandato nelle diverse province. Nella
provincia dove c’erano gli affari della società, si stanziava
almeno un direttore di questo tipo, perfino di più nelle provincie
più importanti. Evidentemente essi stavano nelle provincie per
concludere la pactio con
l’autorità delle provincie.[65]
In qualità di rappresentanti della società concludevano i negozi
giuridici, erano responsabili della conservazione dei libri e della
contabilità che riguardava l’ attività della
società, riportavano la situazione della gestione economica e rendevano
periodicamente i conti a Roma.
Il
decumanus era il direttore. Ho
detto in precedenza che la parola di decumanus
si riferiva al pubblicano specializzato nell’imporre i decimali, ma essa
qui ha un altro senso che indica il personaggio influente della societas publicanorum, con la carica di
conservare il testo del contratto e con il potere di prendere decisioni
importanti e delicate. Appartenevano alla classe più alta dei cavalieri.
Il Magister convocava i direttori in
riunione per prendere una decisione segreta che avrebbe influito su una qualche
operazione decisiva interna o esterna della società. A questa decisione
i direttori costringevano il magister[66].
L’actor
oppure syndicus era il
rappresentante della societas
publicanorum nel processo. Actor
significa attore e syndicus si
riferisce al rappresentante di un’associazione o società
(D.3,4,1,1-2). Qui tutti e due indicano il rappresentante della societas publicanorum nel processo,
colui che è responsabile nel trattare gli affari processuali della
società con la terza parte e nella risoluzione dei conflitti[67].
L’esistenza di questi significa che la societas publicanorum aveva la personalità giuridica, non
essendovi il bisogno che tutti i soci tutti i soci si presentassero in
tribunale, perché come un insieme facevano parte di una persona
giuridica, essi potevano presentarsi in tribunale tramite un’organo
specializzato.
Il
praedes, come ho detto prima, era il garante che doveva garantire allo
stato il normale funzionamento e la buona organizzazione della società
dei pubblicani e non delle obbligazioni della società nei confronti di
terzi[68]. Poiché la conclusione dei contratti
dell’appalto della riscossione dei tributi aveva sempre per oggetto una
grandissima somma di denaro, gli appaltatori avevano bisogno di predisporre
quattro garanti di questo tipo al momento della conclusione del contratto.
Ognuno di essi assumeva la totale responsabilità dell’obbligazione
dell’ appaltatore verso lo stato, senza la possibilità di
pretendere il beneficium separationis[69]. Il magistrato incaricato del servizio di appalto doveva
indagare su ogni bene dei pubblicani per valutare la loro capacità di
garanzia. Se fosse stato necessario, il pubblicano stesso poteva assumere la
posizione di garante, infatti, non importava il fatto che il garante fosse un
socio della società.
I socii,
cioè i membri della societas
publicanorum, erano i singoli pubblicani che si aggregavano per realizzare
una grande opera che non sarebbero riusciti a compiere con le singole forze
individuali[70]. Essi contribuivano con denaro o propri lavori alla
società propria, ma non assumevano l’amministrazione della
società. Come ho già ricordato prima, i membri del ceto dei senatori
non potevano essere socii, né
i magistrati a cui erano affidati compiti di gestione del denaro pubblico[71]. I socii
partecipavano alla società mediante un contratto o il fatto di essersi
iscritti nella lista dei socii dall’appaltatori.
Ogni membro della società possedeva una quota propria, attraverso cui
gli spettava il diritto di condividere il dividendo[72], mentre assumevano la responsabilità illimitata
per le obbligazioni della società. Del resto, la morte dei socii non portava allo scioglimento
della società.
Gli adfines,
cioè gli investitori della societas
publicanorum, rivestivano una posizione inferiore a quelle dei socii. Non partecipavano alla
conclusione del contratto della società, né intervenivano nella
gestione di essa, dunque erano avvantaggiati dall’esenzione del rischio
di tale gestione, il che significa che la responsabilità da loro assunta
era limitata ai loro rispettivi contributi, quando potevano ancora condividere
i profitti della gestione. I loro contributi si intendevano come un depositum irregolare. Ogni tanto, gli
investitori potevano svolgere un compito precisamente determinato, come un
libero impiegato a pagamento della società. Il capitale della
società dei pubblicani si classificava in due categorie, uno contribuito
dai socii, l’altro dagli adfines, e quest’ultimo si divide
in azioni che circolavano e potevano essere acquistate da chi avesse avuto
interesse alla società o dagli ex adfines,
in altre parole, c’era un mercato di secondo grado di queste azioni. Il
Foro Romano, vicino al tempio di Castor,
era per l’appunto il luogo in cui si faceva tale compravendita e
può essere considerato la “prima” Wall Street nel mondo. Il rendimento che si ricavava dalle azioni
della società dei pubblicani era eccellente ed era infatti un ottimo investimento
in quell’epoca[73].
La familia
comprendeva, infine, i dipendenti che percepivano lo stipendio dalla
società e gli schiavi. Però, nell’ordinamento romano, lo
schiavo non apparteneva alla familia
in senso stretto, ma era piuttosto un tipo di bene della società.
Allora, quale è la natura di questa
collettività? È un tipo di persona giuridica? Se sì di che
tipo? Risponderà ad ognuna di queste domande di seguito.
La risposta alla prima questione deve essere
positiva, perché la società dei pubblicani aveva una
personalità giuridica, poiché essa poteva agire e condotta in
tribunale sotto il proprio nome e la morte dei socii non comportava lo scioglimento della società. Era
dotata di un proprio organo decisionale ed esecutivo, possedeva un patrimonio
proprio (arca communis), le sue
decisioni erano prese a maggioranza, a differenza delle altre società
generali che richiedevano una decisione unanime[74].
Tutti questi corrispondono ai requisiti della persona giuridica in senso
moderno.
Per quanto riguarda la seconda questione, in
dottrina si hanno diverse risposte. La diversità deriva dallo sfondo
culturale degli studiosi che danno le risposte: ad esempio, gli studiosi
anglo-americani equiparano società a persona giuridica, mentre gli
studiosi di famiglia giuridica latina non distinguono tra società e corporation, quindi qualche studioso
crede che la società dei pubblicani sia una societas negotiationis alicuius, mentre un altro studioso crede che
la società dei pubblicani sia un tipo di corporation.
Visto che il capitale della società
dei pubblicani derivava da due fonti, è meglio identificarla con
l’espressione limited partnership
o società in accomandita. La prima è un termine del sistema
giuridico anglo-americano e l’ultima è un termine del sistema
giuridico continentale. Ambedue indicano sostanzialmente la stessa cosa con
diversi termini.
In forza dell’istituzione dei
pubblicani, lo stato appaltava la riscossione dei tributi ad individui privati
che vincevano tale appalto tramite l’offerta più alta. Questi
ultimi potevano appropriarsi degli altri redditi del tributo, a condizione di
consegnare allo stato anticipatamente una determinata somma di denaro, il
merito di quest’istituzione era che lo stato poteva riscuotere il tributo
anche senza il sistema burocratico[75]. Com’è noto, a Roma non era presente un
sistema burocratico, ordinato in modo stratificato, prima del regno di
Diocleziano, si praticava, invece, un amministrazione semplice. Questo regime
non poteva realizzarsi senza l’istituzione dei pubblicani. Si è
detto che non c’è nulla di buono o cattivo in senso assoluto,
dunque, se i difetti dell’istituzione dei pubblicani presenti in questa
relazione fossero tanti di meno rispetto a quelli derivanti dal mantenimento di
un sistema gigantesco di servizio civile per tassazione, l’istituzione
dei pubblicani è una scelta consigliabile pure per un paese moderno,
soprattutto per la Cina, un paese con la più grande popolazione del
servizio civile nel mondo.
È molto interessante, come
nell’ambito del diritto romano, due note figure negative, cioè
pubblicano e delatore, siano connesse al regime di tassazione. Tuttavia,
l’istituzione dei pubblicani non è necessariamente negativa,
infatti deriva da un’ idea abbastanza nobile relativa all’istituzione
repubblicana, secondo cui lo stato non è l’altro che le cose del
popolo, quindi ogni cittadino può essere magistrato statale. La
copertura a turno della magistratura da parte dei cittadini può evitare
una corruzione, per questo la Comune di Parigi (Commune de Paris) la adottò come uno dei suoi propri
principi costituzionali. Perciò, l’istituzione dei pubblicani
godeva di una fama non cattiva quando era applicata ad Atene antica, mentre la
sua cattiva fama a Roma deriva sia dalla sua applicazione nei paesi
colonizzati, che dalla bassa qualità di personale dei pubblicani che
manipolavano de facto le leggi. Del
resto, dagli editti di pretori che erano destinati a limitare il potere dei
pubblicani, si può scorgere bene che tramite tale istituzione si
controllavano i liberi attraverso le mani degli schiavi. Quindi è
possibile ripristinare l’ottima fama di quest’ istituzione, una
volta che siano stati eliminati i fattori negativi menzionati. Siamo in
un’ epoca caratterizzata dal processo di privatizzazione, e infatti negli
Stati Uniti, si già esiste la privatizzazione delle carceri. Senza
bisogno di dire sulla prassi di privatizzazione di tante imprese statali nel
mondo. È possibile privatizzare il funzionamento della tassazione della
Cina? La mia risposta è certamente positiva, almeno lo si potrebbe
provare nell’ambito di alcuni tipi di tributi, ad esempio
nell’ambito dei tributi nuovi. Anche lo scrittore francese Charles
Montesquieu, che nega sul piano generico il valore dell’istituzione dei pubblicani,
ha ammesso il suo valore nell’applicazione dei tributi nuovi. È
vantaggioso dare in appalto la riscossione di un tributo nuovamente ai
pubblicani, poiché grazie al loro interesse, riescono sempre a trovare
varie misure per prevenire l’evasione fiscale; non ci sono interessi,
invece, che spingerebbero il servizio civile a formulare tali espedienti[76].
Si può constatare con questa relazione
che la presenza della società di pubblicani nella repubblica romana ha
contribuito a tante, utili ed importanti, istituzioni giuridiche del mondo
contemporaneo, ad esempio l’istituzione della persona giuridica, il
sistema della responsabilità limitata, l’ordinamento dei valori
mobiliari (anche incluso quello dei titoli obbligazionari), ecc. Dunque, non
è casuale che l’impresa dei pubblicani abbia interessato tanti
studiosi, che contribuiscono al tema con le loro monografie. Però,
purtroppo, in Cina, finora, non ancora è stato scritto un libro
specialistico su tale argomento, perciò spero che questa mia relazione
possa giocare un ruolo significativo nel riempire questa lacuna.
The
question of tax-farming system includes two aspects: historical aspect and
legal aspect. It originated in Athen and was transplanted into the ancient Rome
and funtioned actively there. In these two countries ,it was a product of
republican ideology, but its effects of application in the ancient Rome was
influenced negatively by some unfavorable factors such as the colonial ambient
of its application, the status of lower-class of its executants group, etc.
Finally it was limited its application and abolished. Anyway the Roman
tax-farming system has left us some valuable heritages, such as a contracting
system of public administration, joint liability company, a practice of issuing
debenture, a regime to coordinate the state?s taxation power and property
rights of tax-payers, etc.
* Xu Guodong è professore ordinario e direttore
dell’Istituto di Ricerca di Diritto Romano presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Xiamen.
Quest’articolo corrisponde alla relazione per il
convegno internazionale su Diritto privato romano e Cultura giuridica Europea
tenuto in Russia, San Pietroburgo (27-29 maggio, 2010). Ringrazio gli
organizzatori per l’invito che mi ha spinto a scrivere questo articolo.
Ancora ringrazio molto la dott.ssa Ruan Huiling, la dott.ssa. Wang Yingying, il
dott. Xiao Jun, il dott. Qi Yun e il dott. Zhou Jie per la traduzione di questa
relazione dal cinese in italiano.[La traduzione italiana è stata
revisionata dalla dott.ssa Stefania Fusco (Università di Sassari),
componente della segreteria di redazione di Diritto
@ Storia]
[1] Si v. G. Kittel, G. Friedrich, Theological Dictionary of the New
Testament, Vol.VIII, Trans.by Geoffrey W. Bromiley,Wm.b.Eerdmans Publishing,1972, 89.
[3] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The
Impact of Taxes on the Course of Civilization, Second Edition, Madison
Books, Lanham, 1999, 70.
[10] V. M.R.Cagnt,
Etude historique sur les impots indirects
chez les Romain jusqu’aux invasion des Barbares, Imprimerie
Nationale,Paris,1882, 6.
[11] V. H.H.Scullard,
A History of the Roman World, 753 to 146
BC, Routledge, London and New York,1980, 69.
[12] V. P.Willems,
Le droit public romain ou les
institutions politiques de Rome, Typographie de CH.Perters,
Libraire-Editeur, Louvain, 1883, 356.
[13] V. A.
Berger, Encyclopedic Dictionary of
Roman Law, Philadelphia, The American Philosophical Society, 1991, 380.
[14] Cfr. M. Madio,
Il tributum: aspetti e funzioni del
diritto romano, articolo del V Convegno internazionale su “Diritto
privato romano e Cultura giuridica Europea” tenuto in ,Russia, Susdal-Mosca(25-30
giugno, 2009), 3.
[15] Si v. A. Mateo,
Manceps, redemptor, publicanus.
Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma, Universidad
Cantabria,Santander, 1999, 95.
[16] Si v. A. Mateo,
Manceps, redemptor, publicanus.
Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma, cit., 96.
[20] Cfr. S.I.Kovalev,
La storia di Roma antica, trad.
cinese di Wang Yizhu, Casa editrice di Libreria Shanghai, 2007, 390.
[21] Si v. A. Mateo, Manceps, redemptor, publicanus.
Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma, cit., 15.
[22] Cfr. N. Spiono,
La storia dei Romani, Vol.II, Le guerre di Annibale, trad. cinese di
Zhang Huijun, Casa editrice di Sanming, Taibei,1998, 55.
[23] Si v. W.
Ramsay, A Manual of Roman
Antiquities, Richard Griffin and Company, London and Glasgow, 1863, 232;
238.
[24] D.39.4,1,1 Ulpianus
libro 55 ad edictum. Cfr. Corporis Iuris Civilis fragmenta selecta: il
diritto pubblico, a cura di Sandro Schipani, trad. da Zhang Lihong,
Casa editrice dell’Università cinese di scienze politiche e
giurisprudenza, Bejing, 2002, 40.
[25] Si v., W.
Ramsay, A Manual of Roman
Antiquities, Richard Griffin and Company, London and Glasgow, 1863, 238.
[26] Prima della assunzione della carica di propretore
siciliano da parte di Gaius Verres,
il publicanus poteva imporre
solamente il decimo raccolto dei cereali, se avesse imposto eccessivamente, il
contribuente poteva chiedere l’arbitrato. Dopo, con Gaius Verres, si era data al publicanus
troppa libertà, cioè, solo se il publicanus avesse imposto
il tributo otto volte di più del dovuto, il contribuente poteva
intentare una causa contro di lui. Si v. R. Pritchard, Gaius Verres and the Sicilian Farmers, in Historia: Zeitschrift für Alte Geschichte, Vol. 20, N. 2/3
(2nd Qtr., 1971), 224ss.
[28] Si v. A. Mateo,
Manceps, redemptor, publicanus.
Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma, cit., 31.
[30] Si v., A. Mateo,
Manceps, redemptor, publicanus. Contribucion
al estudio de los contratistas publicos en Roma, cit., 39.
[31] Si v. A. Mateo, Manceps, redemptor,
publicanus. Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma,
cit., 181.
[32] V. A. Mateo,
Manceps, redemptor, publicanus.
Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma, cit., 182.
[33] Si v. A. Mateo,
Manceps, redemptor, publicanus.
Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma, cit., 55.
[34] Si v. A. Mateo,
Manceps, redemptor, publicanus.
Contribucion al estudio de los contratistas publicos en Roma, cit., 183.
[35] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The
Impact of Taxes on the Course of Civilization, cit., 75.
[36] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The
Impact of Taxes on the Course of Civilization, cit., 87.
[37] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The Impact
of Taxes on the Course of Civilization, cit., 91.
[38] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The
Impact of Taxes on the Course of Civilization, cit., 91.
[39] V. T.A.J.
Macginn, Prostitution, Sexuality,
and Law in Ancient Rome, Oxford University Press, New York, Oxford,1998,
258.
[40] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The
Impact of Taxes on the Course of Civilization, cit., 100.
[41] Cfr. Cornelio Tacito, gli Annales(2),
trad. cinese di Wang Yizhu,Cui Miaoyin, C.P., BeiJing,1981, 445.
[46] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The
Impact of Taxes on the Course of Civilization, cit., 71.
[48] Cfr. Leonid
Kofanov, Il contratto
d’appalto statale nel diritto pubblico romano e nel diritto russo moderno,
trad.cin. da Zeng Jianlong in Diritto
romano e Diritto civile moderno, a cura di Xu Guodong, vol.VII, casa
editrice dell’università di Xiamen, 272.
[52] Si v. G. Kittel, G. Friedrich, Theological
Dictionary of the New Testament, Vol.VIII, cit., 93.
[53] Si v. C.
Adams, For Good and Evil: The
Impact of Taxes on the Course of Civilization, cit., 87.
[54] V. E. Pendón Meléndez, Régimen jurídico de la
prestación de servicios públicos en derecho romano, Madrid, 2002, 84.
[56] Cfr. Gaius,
Institutiones, trad. cinese di Hunag Feng, Casa editrice di Cupl,1996, 301
ss., secondo la traduzione di cui ho fatto la correzione.
[61] Si v. S. Laet,
Portorium: Estud sur l’organisation
douaniere chez les Romains, surtout à l’epoque du Haut-Empire,
cit., 431.
[64] Si v. E.
Pendón Meléndez, Régimen jurídico de la
prestación de servicios públicos en derecho romano, Madrid, 2002, 110.
[66] Si v. E. Pendón Meléndez, Régimen jurídico de la
prestación de servicios públicos en derecho romano, cit., 120.
[67] Si v. E.
Pendón Meléndez, Régimen jurídico de la
prestación de servicios públicos en derecho romano, cit., 122.
[68] Si v. E.
Pendón Meléndez, Régimen jurídico de la
prestación de servicios públicos en derecho romano, cit., 132.
[72] Si v. E.
Pendón Meléndez, Régimen jurídico de la
prestación de servicios públicos en derecho romano, cit., 134.
[74] Si v. P.W.
Duff, Personality in Roman Private
Law, Augustus M.Kelly·Publishers, New York, 1971, 161.
[75] Cfr. M. Jun,
La nascita ed il declino del Tax farming:
le tariffe degli scambi e la scelta del contratto di tassazione, in Analisi di Economia, 2003, Vol. VI.,
72.