Qualche suggestione in tema di
“barbari” e Constitutio Antoniniana
Università
del Molise
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Sulle origini dell’Editto di Caracalla. – 3. La
progressiva internazionalizzazione dell’Impero: decentralizzazione ed
impatto con i popoli del nord. – 4. Leggi
romano-barbariche ed evoluzione dell’originario diritto romano.
– 5. Conclusione.
Il tema
della cittadinanza romana, della sua concessione e delle prerogative che ad
essa si accompagnano, è da sempre al centro del dibattito dottrinale[1].
Le particolari attenzioni e le distinzioni storiche fra cives romani e peregrini sono
sintomatiche di una particolare cura rivolta al cittadino romano, rispetto a
coloro che non godevano di tale status.
La stessa attività compiuta dal praetor
peregrinus e dal praetor urbanus
nasceva dall’esigenza di differenziare le due giurisdizioni, quella
relativa a cittadini romani e stranieri e quella peculiare solo per i peregrini. Particolarmente importante al
riguardo è la c.d. Constitutio
Antoniniana, altrimenti definita Editto di Caracalla, a mezzo della quale
l’Imperatore Marco Aurelio Severo Antonino nel 212 d.C. concesse, con
poche eccezioni su cui si avrà modo di soffermarsi, la cittadinanza a
tutti i cittadini dell’Impero.
La
storiografia moderna si è a lungo soffermata sul provvedimento di
Caracalla, in merito al quale vi è una generale scarsità di fonti[2]:
rilevante in tal senso è stata la pubblicazione di un papiro egiziano
appartenente al museo di Giessen, che contiene parte del testo della Constitutio Antoniniana medesima,
avvenuta nel 1910 [3].
I maggiori dubbi in materia riguardano i limiti oggettivi e soggettivi
dell’allargamento della cittadinanza romana, particolarmente in ordine
alle eccezioni che furono previste per talune categorie di soggetti, ma anche
le motivazioni di fondo che condussero l’Imperatore, al potere fino alla
sua morte nell’aprile del 217 d.C., ad adottare un simile provvedimento.
Inoltre particolarmente dibattute sono state le implicazioni derivanti dai
dubbi circa la normativa applicabile ai soggetti ai quali il provvedimento del
212 d.C. era indirizzato[4]:
a lungo si è argomentato in ordine alla sussistenza di una novella
doppia cittadinanza piuttosto che, ed è l’opinione largamente
dominante in dottrina, di una applicazione del diritto romano come normativa di
portata generale, a cui si contrapponeva un diritto locale utilizzato in chiave
consuetudinaria. Questa situazione era particolarmente viva nella parte
orientale dell’Impero, laddove era maggiormente avvertita
l’influenza greca, a differenza della parte occidentale di cultura
prettamente romana; una conseguenza diretta della Constitutio Antoniniana era l’apertura quasi totale delle
prerogative dell’originario mondo romano a tutti i suoi territori, segno
ulteriore di un accentramento totale del potere, forse preludio al progressivo
decadimento dell’Impero.
L’Editto
di Caracalla, infatti, apre la strada ad una stagione di progressiva “romanizzazione”
dell’Impero: in seguito alla centralizzazione del potere sorse la
necessità di riorganizzazione delle fonti del diritto. Tale necessità
fece da volano per la creazione di alcune raccolte normative che diverranno
centrali nella prassi sociale delle popolazioni dell’Impero; le stesse
leggi c.d. romano barbariche
riprodussero gran parte di tali raccolte, contribuendo, seppur con intento
innovativo e talvolta critico, a mantenere viva la memoria delle constitutiones imperiali.
All’interno di questo breve scritto si tenterà di dare conto delle
varie opinioni dottrinarie in merito alla nascita e alle conseguenze dirette
dell’Editto di Caracalla, cercando di verificare, brevemente,
l’impatto rispetto alla discesa delle popolazioni
“barbariche”.
Infatti,
fra i temi maggiormente dibattuti all’interno della dottrina vi è certamente
quello delle origini e della ratio
del provvedimento caracalliano[5].
Una fonte coeva di Dione Cassio[6]
tende a ricondurre le origini del provvedimento a motivi di natura fiscale, e
quindi alla necessità di assoggettare i peregrini alla legislazione erariale dei cives[7].
In ogni caso permangono i dubbi circa la possibilità che il
provvedimento mirasse altrimenti all’affermazione ancora più netta
e decisa del potere imperiale, in una prospettiva di controllo generalizzato
dell’Impero: autorevole dottrina[8]
afferma che la Constitutio Antoniniana
«era in realtà lo sbocco di tutto un processo di adeguamento fra i
Romani e loro sudditi […] così l’Editto si inseriva nel
grande sviluppo storico d’internazionalizzazione, e in ispecie orientalizzazione,
del nomen Romanorum, che dal III secolo procede sempre più spedito, fino
a scavalcare le invasioni barbariche dell’Occidente ed a continuare
nell’Impero bizantino». Come spesso era accaduto in precedenza e
come sarebbe accaduto nel futuro all’interno della storia romana,
Caracalla tese a concedere frequenti elargizioni alle sue milizie, in maniera
tale da rinforzare la fiducia dell’esercito ed accrescere il morale: a
farne le spese furono principalmente le opere pubbliche e, tra i cittadini, la
classe dei senatori. Pertanto l’integrazione e la parificazione fra tutte
le regioni dell’Impero, e soprattutto fra l’Oriente e
l’Occidente, era certamente una delle ragioni che condussero ad appianare
le differenze giuridiche esistenti fra i sudditi[9].
D’altra parte la progressiva riconduzione al potere centrale di ogni
prerogativa in merito (anche) alla giustizia era un dato acquisito, assieme ad
un lento decadimento della giurisprudenza classica come fonte creativa del
diritto[10].
Fra le motivazioni profonde che condussero all’emanazione
dell’Editto non vi erano certamente, almeno non come motivi di fondo,
elementi di matrice religiosa: va tuttavia considerato, come si sottolinea in
dottrina[11],
che talune implicazioni legate alla persecuzione dei cristiani non furono
secondarie, e produssero delle conseguenze rilevanti a livello sociale. Il
provvedimento dell’Imperatore Caracalla, d’altra parte, non si
estendeva a tutti i cittadini indiscriminatamente ma prevedeva delle eccezioni
individuabili nei liberti dediticii ex
lege Aelia Sentia e nei barbari
dediticii: pertanto le popolazioni o gruppi di barbari che erano sottomessi
dall’esercito romano erano esclusi dalle prerogative e dai benefici
derivanti dallo status di cittadino romano.
Il
progressivo incontro con le popolazioni dell’Europa del nord da parte dei
romani venne sempre visto, nella cultura romana ma anche in quella greca, come
il convergere di un sistema sociale subordinato (quello dei “barbari”) al cospetto di
ordinamenti e sistemi di vita superiori come quelli dei romani. D’altra
parte nella stessa società romana il sistema repubblicano aveva lasciato
spazio ad una centralizzazione del potere: la riorganizzazione
dell’Impero e la necessità di dover procedere ad una catalogazione
delle fonti giuridiche condusse alla creazione di alcuni importanti
compilazioni, aventi la caratteristica di non essere di ispirazione imperiale.
Il dato della coesistenza fra l’antico diritto romano , o le sue
strutture sistematiche, ed i vari diritti locali era uno degli elementi focali
del sistema sociale e partiva già dal momento dell’applicazione
della Constitutio Antoniniana[12].
Tra le medesime sono fondamentali il Codice Gregoriano ed il Codice
Ermogeniano, che raccolgono delle Costituzioni che vanno dall’epoca di
Settimio Severo fino a quella di Valentiniano I; il Codice Gregoriano viene
redatto ai tempi di Diocleziano[13]
e, a differenza del Codice Ermogeniano, era suddiviso in libri.
Se il
diritto romano poteva essere considerato la massima rappresentazione della
territorialità del diritto nel mondo antico, le consuetudini su cui vivevano
le popolazioni del nord Europa discese nei territori romani erano, altrimenti,
votate al principio della personalità del diritto. L’atteggiamento
di rispetto tenuto nei confronti del diritto romano fece sì che nella
maggior parte dei casi venisse mantenuta la possibilità, per le
popolazioni di stirpe romana, di utilizzare il loro diritto originario, in
qualche modo conservando la naturale inclinazione delle popolazioni germaniche
a questo modello di organizzazione sociale. E’ da sottolineare, come dato
ulteriore in tal senso, che i romani considerarono sempre il loro confronto con
le popolazioni c.d. barbariche come l’incontro fra due culture in cui
quella del nord Europa era certamente inferiore: era il sistema sociale e
giuridico romano ad essere considerato moderno e superiore.
Tra le
principali leggi barbariche possiamo annoverare la Lex Romana Wisigothorum e la Lex
Romana Burgundionum. La prima entrò in vigore nel febbraio del 506
d.C. e comprende una serie di estratti di varie fonti romane: fu predisposta
per ordine di Alarico II, re dei Visigoti, dovendo essere destinata alle genti
di stirpe romana nei territori del regno dei Visigoti. La Lex Romana Burgundionum fu, probabilmente, anteriore al Breviarum Alariciarum[14]
e fu destinata ai romani del regno Burgundo.
Dalle
brevi considerazioni effettuate emerge un quadro giuridico – sociale
permeato da profondi mutamenti che hanno interessato l’Impero Romano a
partire dal II secolo d.C. fino alla sua caduta. La progressiva espansione dell’Impero
ha contribuito ad accrescere le già fisiologiche difficoltà per
la sua gestione, divenendo uno dei fattori determinanti per la sua caduta:
d’altra parte il dualismo con la cultura delle popolazioni germaniche ha
messo in luce un diverso modo di intendere la vita ed il diritto, anche se
ritenuto inferiore al sistema adottato dai romani. Si può dire che la Constitutio Antoniniana abbia svolto da
spartiacque fra due diversi momenti, il primo di espansione e crescita, il
secondo di regressione e progressivo declino, contribuendo a ridefinire i
confini di un diritto che ha sempre mantenuto il cardine della
territorialità.
[1] Per una
esauriente bibliografia aggiornata fino alla fine degli anni ’50 cfr. Arangio Ruiz v., voce Editto di Caracalla, in Nov.Dig.It., vol. VI, 1968, 403-404.
Cfr., inoltre, Talamanca m., Su alcuni passi di Menandro di Laodicea
relativi agli effetti della “Constitutio Antoniniana”, in Studi Volterra, V, Milano, 1971, 433
ss.; Wolff h., Die Constitutio Antoniniana und Papyrus Gissensis
40 I, 1, Köln, 1976, 28 e ss.; Pinna
Parpaglia p., Sacra peregrina,
civitatis romanorum, dediticii nel papiro Giessen 40, Sassari, 1995.
[2] Al
riguardo cfr. D. 1.5.17 (Ulp. 22 ad.ed.): In
orbe Romano qui sunt ex constitutione imperatoris Antonini cives Romani effecti
sunt.
[3] Sul
punto cfr. Capocci v., voce Caracalla, in E.I., vol. VIII, 1949, 926, il quale ricorda la
frammentarietà e l’estrema difficoltà interpretativa della
fonte, sottolineando che «delle 31 linee di scrittura che lo componevano
sono rimasti soltanto i frammenti (taluni dei quali ridotti a minime
proporzioni) delle prime dieci righe. In essa, dopo un preambolo di carattere
religioso, si dichiara in prima persona di concedere la cittadinanza
romana».
[4] Circa
la convivenza del diritto romano con i diritti locali, particolarmente nel
mondo orientale, cfr. Bucci O., Le province orientali dell’Impero
Romano. Una introduzione storico-giuridica, Roma, 1998, 142: «Dunque, questo diritto romano,
è fino alla Constitutio Antoniniana, un diritto che viene
applicato ai soli cittadini romani, ma questi cittadini sono solo una
“parte” della vasta umanità che occupa l’Impero
Romano. Da questo punto di vista il diritto romano è, fino alla Constitutio Antoniniana, un “diritto personale” che si accompagna
agli altri diritti dell’Impero: non si impone agli altri, ma convive con
essi e nel rispetto di essi; anzi, la sua esistenza è garanzia
dell’esistenza di questi».
[5] Sul
concetto di editto cfr. De Francisci p.,
voce Editto, in E.I., vol. XIII, 1950, 476-477. L’A. sottolinea che
«gli editti degl’Imperatori, almeno nei primi due secoli del
principato, hanno solo raramente per oggetto il diritto privato» mentre
sotto l’Impero assoluto «la maggior parte si riferisce
all’amministrazione, ma talune hanno per oggetto anche la procedura e il
diritto privato».
[6] Cfr.
Dio. Cass. 77.9.5; sull’opera del senatore romano cfr. Millar f., A Study of Cassius Dio, Oxford, 1964; Letta c., La
composizione dell’opera di Cassio Dione: cronologia e sfondo storico-politico,
in Ricerche di storiografia greca di
età romana, Pisa, 1979, 117-189, 141 n. 100.
[7] Sul
punto in senso critico cfr. AA.VV. Lineamenti
di storia del diritto romano, cit., 520:
«Le effettive ragioni di tale provvedimento rimangono, ancora, non
completamente accertate: già uno scrittore contemporaneo
all’avvenimento, come il senatore Dione Cassio, dà una
caratterizzazione dello stesso inadeguata e probabilmente dovuta ad un
atteggiamento di ostilità nei confronti dell’Imperatore Caracalla,
non certamente favorevole alla classe senatoria, quando afferma che il movente
andrebbe ricercato nel desiderio del princeps di assoggettare i peregrini alle
imposte dovute dai cittadini romani (Dio. Cass. 77.9.5)»; Arangio Ruiz v., voce Editto di Caracalla, vol. VI, 403: «La ragione dell’Editto, che
con la consueta malevolenza qualche contemporaneo attribuiva
all’opportunità d’impinguare l’erario facendo pagare
anche ai provinciali l’imposta del 5% sulle eredità e le
manumissioni, mentre con altrettanto incontrollato egocentrismo
l’imperatore lo riportava alla propria volontà di portare la messa
dei provinciali al culto degli dei romani, a lui propizi per averlo liberato
dal fratello e coreggente Geta».
[9] Le
medesime argomentazioni sono individuate da Capocci
v., voce Caracalla, cit., 926,
laddove l’A. afferma che «quanto
alle cause che indussero l’Imperatore e il consiglio imperiale alla
promulgazione dell’editto, sembra che i motivi di carattere fiscale
esposti sommariamente da Cassio Dione (77, 9, 5) e il fine di guadagnarsi con
un atto nella apparenza liberale degli aderenti fra i provinciali come compenso
alle ostilità delle più alte classi della società romana
dopo la tragica fine di Geta, non siano stati fra gli ultimi; nello stesso
tempo però l’editto va ricollegato alle tendenze livellatrici
della politica dei Severi, alla luce della quale la nuova concessione di
Caracalla rappresenta un grande passo in avanti sulla via per cui la base vera
della forza dell’Impero s’andava spostando sempre di più
verso i provinciali meno romanizzati più prossimi alle frontiere».
[10] Sul
punto cfr. Zoz m.g., A proposito dei rapporti tra giurisprudenza
classica e legislazione imperiale, in Scritti
Franciosi, IV, 2877-2906. In particolare, 2905, l’A. ivi conclude
affermando, tra l’altro, che «La
graduale decadenza della funzione creativa della giurisprudenza
nell’ambito del diritto è quindi dovuta a fattori esterni:
istauratosi un regime autoritativo, tutti i poteri tendono a concentrarsi in
una sola persona; quest’unica persona, assommando in sé tutti i
poteri dello stato, diviene simbolo dello stato stesso. La sua volontà,
quindi, è la volontà dello stato e come tale va rispettata e
seguita da parte dei cittadini».
[11] Sul
punto cfr. Bucci O., cit., 137: «Resta il fatto che, anche a voler escludere, come appare
certo, che la Constitutio sia nata
con questo intento, è indubbio che il documento – obbligando tutti
i sudditi dell’Impero, ora divenuti cittadini, al culto tradizionale
– rendeva più semplice, e più facile,
l’identificazione di quanti se ne astenessero, e in primo luogo, di
conseguenza, i Cristiani. Non c’è dubbio, cioè, che, fermo
rimanendo che la Costituzione non fu emanata contro i Cristiani, di fatto
poté essere usata contro di essi, e ciò indipendentemente dalle
intenzioni del legislatore».
[12] Al
riguardo cfr. Capocci v., voce Caracalla, cit., 926: «infine va ricordato come
all’indomani dell’applicazione dell’editto, specie nelle
provincie orientali, sorgesse aspro il conflitto fra il diritto romano che
doveva diventare il diritto privato dei novelli cittadini e i diritti locali, i
quali finirono con reagire e penetrare nello stesso diritto romano
particolarmente dal secolo IV in poi».
[13] Cfr. Astuti g., Lezioni di storia del diritto italiano. Le fonti. Età
romano-barbarica, Padova, 1968, 17: «Il Codex Gregorianus fu
compiuto ai tempi di Diocleziano, intorno al 292: le costituzioni più
antiche che questo codice comprendeva erano probabilmente dell’Imperatore
Adriano (117-138), ma quelle a noi pervenute risalgono solo a Settimio Severo
(a. 196)». Sul punto cfr., altresì, Scherillo g., voce Codex
Gregorianus, in Nov.Dig.It., vol.
VI, 379-380; Idem, voce Codex Hermogenianus, in Nov.Dig.It., vol. VI, 380; AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano,
Talamanca m. (a cura di), Napoli,
1990, 611 ss.